Opinione scritta da Picasso91

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Picasso91 Opinione inserita da Picasso91    24 Luglio, 2012
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Nessuno si salva da solo, nemmeno la Mazzantini.

Mi trovo sempre in difficoltà quando devo stroncare un libro, perchè si dovrebbe cercare, nell'ambito del possibile, di coglierne comunque i lati positivi e concentrarsi su questi - no, non appartengo alla categoria di critici avari di lodi -, quanto basta perlomeno a non rimpiangerne il prezzo del libro stesso. Ma di fronte a quest'ultimo lavoro della Mazzantini, ci vorrebbe davvero un lavoro certosino. "Nessuno si salva da solo" è il semplice racconto - perlopiù condito di parolacce - di una semplice coppia che ha smesso semplicemente di amarsi. La Mazzantini cerca di andare a fondo negli animi di Gaetano e Delia, i protagonisti del romanzo, e in alcuni casi riesce a colpire il lettore e a catalizzare l'attenzione sul dramma di un amore che è stato tanto grande ma di cui non ne è che rimasta la cenere, ma è la storia stessa ad essere sterile e priva di spunti narrativi coinvolgenti che spingano a continuare nella lettura.

La vicenda si svolge nell'arco di un'unica serata, in cui Delia e Gaetano si danno appuntamento in un ristorante. Da qui parte una numerosa serie di flashback che ci riportano indietro nel tempo, per indagare i motivi che hanno portato alla rottura del loro matrimonio. Delia è stata una ragazza debole, colpita da alcuni problemi alimentari che l'hanno portata sull'orlo dell'anoressia, ed ora che è mamma, risulta anaffettiva e ben poco premurosa, e nonostante abbia a cuore la vita dei due figli, non riesce a gestirne i loro disagi, i capricci e le problematiche. Gaetano invece ha prima grandi aspettative nei confronti della vita, in virtù della propria carriera di sceneggiatore, per poi diventare in un secondo momento un uomo deluso e un marito fedifrago convinto che sia sempre l'ultima volta. "E' andato tutto così veloce. Eppure sembrava tutto così solido. E' quello che Gaetano vorrebbe dire a ogni coppia che passa, se mai gli importasse essere buono con gli altri e dare un consiglio. Non vi fidate di voi stessi, di quello che credete di avere costruito".

Entrambi sono ancora due ragazzi, giovani genitori alla ricerca di un angolo di ristoro all'interno della propria dimensione affettiva, confusi e arrabbiati perchè nessuno è venuto loro in soccorso per salvare un matrimonio che stava giungendo alla deriva. Così come nessuno può esimersi dal bocciare il romanzo. La trama è banale, a tratti piatta e non stimola curiosità nel lettore, essendo completamente priva di colpi di scena. Delia e Gaetano sono solamente l'embrione di ciò che sono stati Gemma e Diego nel vero capolavoro della Mazzantini, "Venuto al mondo", la cui forza sta nel possedere uno sfondo storico netto e ben focalizzato, sfondo che manca in quest'ultimo romanzo, ambientato in una contemporaneità viva ma al tempo stesso eccessivamente scontata e imbarazzante. Se Gemma cerca incessantemente la maternità, Delia non riesce a comunicare completamente il proprio amore verso i figli, e si trova anche a fare una scelta diametricalmente opposta a quella auspicata da Gemma. Il romanzo è carente di tutta una serie di contorni e sfumature che potevano renderlo ricco e alleggerirne il tono. Sono aboliti i personaggi secondari, tutto è riempito dalla presenza ridondante dei due protagonisti, che hanno sì uno spessore, ma sono gli unici a riempire il palcoscenico, con la loro rabbia che sfocia anche in un odio vicendevole, seppure particolare, perchè conseguenza di un amore liberatorio.

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Picasso91 Opinione inserita da Picasso91    13 Giugno, 2012
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Le ombre di un romanzo in precario equilibrio.

Mandorla è una bambina alle prese con le proprie famiglie. Sì, perchè Mandorla ha tante famiglie, che se da una parte si prendono cura di lei, dall'altra si mostrano con tutte le loro fragilità. Maria, la sua madre naturale, muore, portandosi con sè un segreto. Lascia una lettera: il padre di Mandorla si nasconde dentro uno degli appartamenti di Via Grotta perfetta 315, che lei stessa amministrava. La storia della piccola Mandorla però ha del surreale. I condomini non decidono infatti di sottoporsi al test del DNA, bensì stabiliscono all'unanimità di adottare la bimba tutti insieme. "Dobbiamo ancora organizzarci. Di fatto qui, nel condominio. Ospiteremo quella piccolina un po' per uno, stando ben attenti a che non si sballotti troppo, povera stella".

E così di fronte agli occhi prima innocenti poi sempre più consapevoli della protagonista - che nel frattempo cresce e si innamora, nonostante non riesca a sentirsi mai come gli altri della sua età - si presenta un'umanità variegata, afflitta dai problemi odierni, vittima chi di un'eccessiva solitudine, chi di un marito non troppo fedele perchè ambizioso e chi in lotta per l'integrazione nella società. Spostandosi di piano in piano, Mandorla ricerca nei piccoli gesti dei condomini l'identità negata del padre. Tra i candidati Samuele Grò, regista di ben poco successo e marito infedele, Michelangelo Arca, migliore amico di Maria nonchè dichiaratemente omosessuale - Mandorla si troverà ben presto coinvolta in un Gay Pride -, Lorenzo Ferri, abile scrittore con atteggiamenti nichilistici e infine l'Ingegner Barilla, padre di famiglia ma al tempo stesso uomo che farebbe sentire sicura ogni donna al suo fianco. Ma chi è realmente il padre di Mandorla? Alla lista si deve aggiungere Gianpietro Costanza, ex alunno della signora Polidoro, la zitella del primo piano tutta casa e chiesa, che "forse per noia forse per curiosità" potrebbe aver fatto l'amore con la madre.

La vicenda gira intorno al medesimo quesito, fino ad un finale che per quanto possa lasciare basiti molti - "Il corriere della sera" ha addirittura osato usare il prestito inglese knockout - risulta ancora più surreale della storia stessa. Nonostante non abbia alcuna pretesa di veridicità, il romanzo si lascia leggere fino all'ultima pagina, stimolando talvolta - ma non sempre come dovrebbe - la curiosità del lettore. Purtroppo Chiara Gamberale non riesce mai ad andare a fondo delle problematiche che affligono i propri personaggi, così come non riesce a munirsi della giusta profondità per descrivere condizioni in bilico. I suoi personaggi sono talmente prevedibili che rasentano la macchietta e le situazioni - al di là dell'irrealtà della vicenda principale - non sono mai descritte pienamente. Rimane un gusto di insoddisfazione, dovuto ad eccessive interruzioni del racconto, interruzioni appunto che non verranno mai riprese, ma che rimangono lì, in sospeso. Lo stile è moderno e fresco, anche se il romanzo è condito da parolacce e da ridondanze che a lungo andare risultano fastidiose (un'intera pagina ricoperta dalla medesima parola, per intenderci, è fastidiosa). Tutto sommato, è consigliabile per chi vuole una lettura non troppo impegnata, da portare sotto l'ombrellone nei caldi pomeriggi che oramai sono alle porte.

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Picasso91 Opinione inserita da Picasso91    15 Mag, 2012
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L'amore infinito di una madre determinata.

C'è chi sostiene che i sogni servono a dare colore alla vita, e chi al contrario li considera banalità controproducenti, perchè quando non si realizzano, quando non prendono la forma di qualcosa di reale, tangibile e vero, la rendono ancora più grigia, la vita. Harry Bernstein, che il suo di sogno l'ha realizzato a novant' anni suonati, ci riporta indietro nel tempo, esattamente nel 1922, e ci racconta il sogno della madre, desiderosa di raggiungere l'America, terra di nuove speranze e aspettative. Ma la famiglia di Harry è numerosa, i soldi sono pochissimi e il padre spende tutto il suo stipendio nell'alcol, che lo rende necessariamente ancora più iracondo. Ma la mamma - che viene chiamata con il proprio nome solo una volta all'interno del romanzo, quasi a voler sottolineare che la mamma è la mamma e basta - non si arrende pur di assicurare ai figli un futuro migliore rispetto a quello che l'Inghilterra poteva offrire loro e scrive assiduamente alla famiglia del marito affinché spediscano i biglietti per arrivare in America e un giorno quei biglietti arrivano davvero. E così inizia un viaggio alla scoperta del continente americano, ma se per un momento tutto sembrava andare verso la direzione giusta, al boom economico fa seguito la grande depressione, e le vecchie ombre ritornano puntuali ad attanagliare la vita del protagonista, il piccolo Harry, che nel frattempo cresce, trova l'amore e concretizza, almeno lui, il suo sogno.

Recensire il romanzo di un autore che ha passato a sua volta gran parte della sua attività letteraria a recensire libri è quantomeno curioso, considerando che questo è un piccolo capolavoro di narrativa e merita quindi un'attenzione particolare, a partire dalle tematiche che offre al lettore e che è giusto ricordare con la dovuta ricorrenza. Harry racconta la crisi durissima della fine degli anni venti del secolo scorso, quando le opportunità di lavoro erano pressocchè nulle, i mendicanti e gli accattoni affollavano sempre di più le strade e l' università era un privilegio che solo pochi potevano permettersi, e il pensiero corre irrimediabilmente alla difficile situazione economica attuale (ovviamente con i dovuti crismi e sacrismi del caso). L'autore pone sotto l'occhio scrupoloso del lettore le condizioni in cui versavano tante famiglie solo apparetentemente più unite di quelle di oggi. La stessa famiglia dell'autore era ancorata a delle tradizioni, esattamente a quelle ebraiche, e le seguiva in maniera talmente ossequiosa da far sembrare le stesse ridicole - celebrando addirittura il funerale della primogenita Lily soltanto perchè quest'ultima decide di sposarsi con un cristiano, e solo per questo andava considerata morta, nonostante ovviamente non lo fosse - e facilmente rintracciamo fili narrativi che l'autore ricicla dal suo romanzo d'esordio, "Il muro invisibile", ma se nel suo primo successo venivano messe a fuoco le difficoltà di convivenza tra la comunità ebraica e quella cristiana, ne "Il Sogno infinito" - o più semplicemente "The dream", come recita il titolo originario - e quindi nell'America del primo novecento le violenze e le ostilità cessano di esistere, così come i pregiudizi, che lentamente muoiono.

Ma il protagonista principale del libro è l'amore e la riconoscenza di un figlio verso la propria madre, una donna coraggiosa, tenace, che riesce anche in situazioni estreme a mantenere il decoro e la dignità. "Mamma, tu non sei mai stata innamorata? [...]Innamorata? E che cos'è l'amore? Chi l'ha mai saputo! Io l'ho saputo, dissi sottovoce, perchè io ti ho sempre amato". Il romanzo tocca punti di drammaticità altissimi, a volte risulta addirittura commovente e si arriva all'ultima pagina in modo veloce, dispiaciuti sì per la fine immediata, ma allo stesso tempo anche un pò sollevati, nell'attesa di un lieto fine che non arriva mai e nell'acquisizione di una sicurezza che può derivare solo dalla speranza che quei tempi cupi sono terminati.

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Picasso91 Opinione inserita da Picasso91    30 Aprile, 2012
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Chanel salva il romanzo dalla mediocrità'.

Gabrielle Chanel, meglio nota semplicemente come Coco, è la protagonista assoluta del romanzo biografico portato a termine da Signorini (sì, lo stesso che presenzia nei salotti televisivi oramai da anni). Chanel è una vera self-made woman, una donna che è riuscita a costruire intorno a sè un impero, basato sul denaro e su un successo tale da annoverare tra le proprie amicizie uomini del calibro di Picasso e di Stravinsky. Signorini ce la presenta prima bambina alle prese con una madre malata di tubercolosi, e che quindi non può prendersi cura della famiglia, e con un padre fannullone, lontano da casa e mai amorevole verso i propri figli, poi adolescente a Notre-Dame turbata dalle prime pulsioni sessuali e infine donna con la consapevolezza del proprio fascino e talento.

Gabrielle, la piccola Gabrielle, di fronte agli stenti e alle miserie a cui è costretta diventa Coco in una delle tante notti trascorse in un caffè a Moulin, mentre delizia il pubblico con la canzone Qui qu'a vu Coco? Da quel momento la sua vita prende una piega inaspettata che la porta lentamente ad una gloria che risuona ancora oggi. Signorini si sofferma sul suo unico amore, quello divampante per Boy Capel, mai suggellato però dai fiori d'arancio. La stilista non convolerà mai a nozze nè tantomeno proverà i piaceri della maternità, ma nonostante ciò, riuscirà a vendicarsi nei confronti di chi non aveva mai creduto in lei.

Il romanzo nel suo complesso risulta godibile (se non altro per la protagonista, la cui vita offre numerossisi spunti narrativi) e Signorini è molto più credibile di quando siede accanto alla Toffanin. Però molti dettagli non vengono approfonditi a dovere, come il contesto storico (Coco vive sia i tempi duri della prima guerra mondiale sia la Francia in ginocchio della seconda) lasciato a pochi e fugaci riferimenti. Inoltre i salti temporali sono troppi e mal gestiti e la drammaticità talvolta risulta immotivata.

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Picasso91 Opinione inserita da Picasso91    23 Aprile, 2012
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Un mazzo di carte ed un'umanità' da svegliare.

Hans Thomas è il protagonista del romanzo di Jostein Gaarder, che, come già aveva dimostrato ne "Il Mondo di Sofia" è abilissimo ad arricchire le proprie opere con preziose delizie filosofiche. Hans è un bambino in viaggio con il padre - un filosofo mancato, con il vizio di alzare il gomito - alla ricerca della madre fuggita ad Atene per ritrovare sè stessa. Ma "L'enigma del solitario" è anche la storia di un naufrago in un'isola che non è esattamente come quella di Robinson Crusoe. Piuttosto è popolata da tanti nani quanto sono le carte da gioco, che si dividono i compiti in base al propria natura di picche, fiori, quadri e cuori. Ma l'isola nasconde un mistero, che sarà proprio il piccolo Hans a dover svelare. Le due vicende infatti si intrecciano e si rincorrono fino a quando Hans non comprenderà che le avventure dell'isola sono strettamente legate alla proprie.

I nani però non sono personaggi assennati, anzi a causa di una bevanda che stimola tutti i sensi hanno perso la capacità di ragionare. Dietro a queste figure prese in prestito dalle leggende popolari si nasconde l'intera umanità, talmente abituata alla realtà che finisce per ignorarla e darla per scontato. Ma fra questi c'è un jolly, un folletto solitario, l'unico a porsi quesiti su ciò che lo circonda. E anche il piccolo Hans è un jolly, che vaga sullo sfondo di un' Atene suggestiva e stimolante. Ed a Atene l'autore fa rivivere attraverso la bocca dei protagonisti anche il dramma di Socrate, l'unico jolly del proprio tempo, e quello di Edipo, vittima del tiro mancino del destino.

Jostein Gaarder non è mai eccessivo o ridondante, ma piuttosto utilizza uno stile colloquiale e semplice. Sa dosare la giusta profondità negli occhi del protagonista che si ritrova di fronte ad una storia fuori dalle righe, ma perfetta in ogni dettaglio e ad un padre che ama filosofeggiare. L'unica pecca è la poca chiarezza tra i diversi interlocutori che nella prima parte del libro si alternano a prendere la parola fino ad arrivare al protagonista del naufragio. Nonostante questa piccola imperfezione (assolutamente perdonabile) risulta comunque godibile e consigliabile a chi ama le storie semplici ma al tempo stesso ricche di significato.

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