Opinione scritta da PICCOLO P.
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Scrittura raffinata
La giovane autrice de “La storia dell’amore” ritenta la scalata al successo con un romanzo dalla struttura singolare, anche se non innovativa, in cui si intrecciano quattro vicende narrate a capitoli alterni. Quattro storie lontane fra loro come disposizione geografica e collocamento temporale ma con qualche elemento comune a fare da anello di congiunzione alle vite dei personaggi.
Sono le storie di Nadia, scrittrice Newyorchese incapace di esprimere sentimenti ed emozioni se non attraverso la scrittura; di Dovik e suo padre, con quest’ultimo che fin dalla nascita del figlio percepisce che questi svilupperà un rapporto profondo con la madre, intuendo da subito quello che la vita gli presenterà come una conseguenza, ovvero un rapporto difficilissimo con il figlio, un rapporto in cui l’amore sarà soffocato da incomprensioni e mancato dialogo per quasi un’intera esistenza; di Lotte Berg, scrittrice inglese di origine tedesca, fuggita dagli orrori della seconda guerra mondiale e da un orrore che sconvolgerà la sua esistenza prima, e quella del marito dopo la sua scomparsa; la storia, infine , dei fratelli Yoav e Leah Weisz e del padre George, famiglia in costante itinere alla ricerca di oggetti perduti insieme al loro bagaglio di ricordi ed emozioni.
Proprio uno di questi oggetti costituisce l’anello di unione tra le varie storie, una imponente scrivania la cui storia attraversa quasi un secolo appartendendo, si dice, al grande poeta Garcia Lorca ed entrando in possesso, grazie ai volubili mutamenti del destino, ad alcuni personaggi del libro.
La narrazione avviene sempre in prima persona e prende la forma di un lungo monologo interiore, una profonda disamina dei rapporti con l’altro e una lucida visione di come i propri sentimenti sgorghino dal profondo rivestiti di una carica destinata a scontrarsi ed accordarsi con quelli antagonisti. Decisamente efficace la capacità di immedesimare il lettore con l’io narrante di turno, fondendoli ad una profondità tale da non poterli più distinguere, riuscendo a far vivere in prima persona tutta una serie di stati d’animo veramente complessi e profondi. In questo senso assume importanza, ed una decisa lode a parer mio, la scrittura sofisticata e ricercata della Krauss, che ricorda un finissimo lavoro di cesello alla ricerca della parola e della forma più appropriate. Ci si ritrova spesso a rileggere interi periodi per il solo gusto di assaporare con quanta ricercatezza si siano potuti esprimere anche pensieri non particolarmente complicati, anche se a volte si ha l’impressione che l’autrice abbia ecceduto nell’autocelebrazione.
Credo che la forza di questo romanzo risieda, oltre che nellla scrittura di alto livello, nella notevole capacità di riconoscere e descrivere gli stati d’animo ed emozioni che a turno vengono espressi dai protagonisti, con una menzione speciale alla vicenda del difficile rapporto padre-figlio, caratterizzato da una incomunicabilità cronica in cui potrebbero riconoscersi in tantissimi.
Il punto debole potrebbe essere una eccessiva distanza tra le varie storie, con degli anelli di giunzione un po’ troppo deboli che lasciano l’impressione che il lavoro risulti incompleto, così come la decisa tendenza a lasciare aperti tanti possibili spiragli di giudizio da parte del lettore.
In definitiva un romanzo che mette sul piatto la prelibatezza di una scrittura piacevole e raffinata e che permette al lettore di esplorare in maniera completa stati d’animo di una certa complessità lasciandogli la libertà di muoversi al loro interno per svilupparli secondo la propria personalità.
L’autrice, Nicole Krauss, una volta conosciuta come la moglie del più noto Jonhatan Safran Foer, dimostra le sue elevate capacità letterarie lasciando intravedere un futuro molto promettente, complice anche la giovane età.
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TANTI COLORI DOMINANTI
Taiye Selasi, scrittrice cosmopolita nata da padre ghanese e madre nigeriana con origini scozzesi, come una delle protagoniste del libro, scrive questo romanzo dividendolo in tre parti. Come ha spiegato in un’intervista, tale scelta riflette alcune partiture di piano e violoncello, anche loro divise in tre movimenti, facendo in modo che il primo sia un largo, il secondo una marcia ed il terzo un allegro.
La bellezza delle cose fragili, titolo originale “Ghana must go” che si riallaccia al periodo storico degli anni ‘80 in cui due milioni di ghanesi furono espulsi dalla Nigeria, narra la storia di una famiglia, prima unita, poi disgregata e alla fine di nuovo riunita da un evento. Inizia con la morte, la dolce morte, di Kweku Sai, il capofamiglia, colui che aveva saputo creare questo nucleo famigliare insieme all’amata Fola, ma anche colui che ha distrutto in un attimo un legame apparentemente inscindibile. Kweku è un uomo forte, un genio nel campo della chirurgia, il più bravo di tutti, dicono i suoi colleghi al John Hopkins Hospital di Boston. Ma la sua carriera si trova ad attaversare un incrocio impossibile da superare, un nodo nel quale il suo destino viene deciso prescindendo dai suoi meriti, ma prendendo in esame l’unica cosa che conta per affibbiare una qualsiasi colpa: il colore della sua pelle. Kweku inizialmente combatte ma poi si lascia sopraffare da un sistema immensamente più grande di lui e si trasforma in un perdente, un uomo che rinuncia a combattere e, cosa ancora più grave, rinuncia ad affrontare lo sguardo delle persone che lo ritenevano invincibile: la sua famiglia. Non riuscirà più a tornare l’uomo di un tempo e la sua famiglia perderà questo importante centro di gravità, frammentandosi in cinque unità separate fisicamente ed emotivamente.
“Kweku muore scalzo, una domenica all’alba,le pantofole all’uscio della camera, come cani. In questo istante è fermo, tra la veranda e il giardino, indeciso se tornare a prenderle. Non lo farà. In quella camera dorme Ama, la sua seconda moglie: le labbra dischiuse, la fronte leggermente aggrottata, la guancia che cerca calda uno scampolo di fresco sul cuscino, e Kweku non vuole svegliarla. Non potrebbe neanche se volesse”.
E’ questo l’incipit del romanzo, a cui seguirà una narrazione serrata, fatta di brevi periodi, frasi serrate, sentimenti alternanti, continui viaggi nel tempo e nello spazio fino ad abbracciare Boston e l’America con Accra e il Ghana, ma raggiungendo anche la LIberia e la Nigeria, una tavolozza di colori che spaziano dal grigio bianco dell’inverno della Pennsylvania ai caldi giallo, rosso e oro del Ghana. Soprattutto i colori emergono ripetutamente con prepotenza, dando una percezione visiva a chi come me, trova sempre il modo di attribuire un colore dominante ad un libro. In questo caso il giallo.
Un romanzo che si svolge come l’ultimo giro di una corsa, quando all’approssimarsi del traguardo la mente ripercorre tutto il percorso fatto fino a quel punto, facendo emergere attimi di gioia alternati a grandi amarezze, legate a quello che si è dovuto abbandonare per essere arrivati a quel punto. Un ultimo giro in cui ci si volta indietro, scoprendo che tutti quelli che avevano fatto il percorso con te non sono lì in quel momento, sono rimasti indietro oppure sparsi chissà dove. Qualcuno ha rinunciato, ha deviato verso altre destinazioni mentre qualcuno si è fermato in un punto ben definito di un appartamento lussuoso di Lagos ed aspetta di ripartire dopo vent’anni. Quello che Kweku non può sapere, nel momento in cui taglia il suo traguardo, è che il compimento della sua vita porterà quella magia che lui non ha saputo ricreare, dalle sue ceneri risorgerà nuovamente quello spirito chiamato Famiglia che era stato demonizzato e mai più nominato dai suoi figli e dalla moglie Fola.
Un romanzo con protagonisti africani, ambientato per buona parte in Africa ma che alla fine africano non è, perchè i protagonisti sono figli del mondo, cresciuti da una madre cosmopolita che risiede ovunque e che dispensa i suoi insegnamenti lasciandoli come piccole tracce sul loro percorso.
La scrittrice stessa è figlia di questa madre multiforme, avendo risieduto in diverse parti del mondo, e traspare nella narrazione una forte connotazione autobiografica, ammessa tacitamente, così come traspare una scrittura che sgorga dal cuore e si traduce su carta senza subire troppe revisioni dalla razionalità del pensiero. Inizialmente sconcerta, con tutti quegli strani periodi brevi, con i continui balzi da un’emozione all’altra, ma poi ci si abitua e si riesce a fondere il proprio ritmo con quello narrativo e quello che ne nasce assomiglia ad una danza che il lettore fa sulle note della narrazione.
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CONFLITTO PADRE-FIGLIO
Un romanzo basato su una grande storia di amicizia, al centro di un piccolo universo nel quale gli elementi cercano di orbitare immutabilmente intorno alla propria fonte di verità, ovvero la stella. Danny e Reuven sono due ragazzi quindicenni, entrambi ebrei, che vivono nel quartiere di Brooklyn negli anni che attraversano la seconda guerra mondiale, inseriti nel microcosmo della comunità ebraica. Ma l’apparenza di una identità culturale comune viene solcata in due dalle profonde differenze esistenti tra la comunità chassidica, alla quale appartiene Danny Saunders, e quella degli “apicorsim”, termine utilizzato dai primi per definire sprezzantemente gli ebrei progressisti, alla quale invece appartiene Reuven Malter. La rivalità esplode subito all’inizio del libro, durante l’incontro di baseball che oppone la squadra liceale dei chassidici contro quella di Reuven, e culmina con l’infortunio all’occhio di quest’ultimo, colpito con volontaria violenza dalla palla lanciata da Danny. Eppure sarà questo grave episodio a fornire la scintilla che accenderà la fiamma della loro amicizia. Due mondi all’apparenza così simili e invece diametralmente opposti, troveranno un punto di incontro nel momento in cui si renderanno conto di essere due piccoli ingranaggi inseriti in un meccanismo che ha già scelto quale dovrà essere la loro funzione. La tradizione chassidica vuole che il figlio del rabbino, in questo caso Danny, debba seguire per reditarietà le orme del padre, ma questa usanza secolare si scontra con la mente del ragazzo, predisposta ad un futuro ben diverso e molto lontano dalle aspirazioni paterne. IL romanzo si snoderà attaverso il conflitto interiore di Danny che,passo dopo passo, si renderà conto della voce interiore che prima sussurra e poi urla con disperazione il desiderio di percorrere il cammino della propria vita su un percorso nuovo. E purtroppo anche attaverso il conflitto esteriore con il padre che all’apparenza ripudia ogni cosa che non sia espressione dell’ortodossia chassidica.
Il protagonista del romanzo è indubbiamente Danny, ma la narrazione è improntata dal punto di vista dell’amico, Reuven, un espediente che permette di osservare e comprendere la crescita di un carattere attraverso l’alterità, senza mai far trapelare emozioni e pensieri di Danny.
Molto interessante l’ambientazione storica, dato che il romanzo si sviluppa tra il 1940 e il 1948, anni importantissimi per il giudaismo mondiale culminati con la sofferta creazione dello stato di Israele. Evento, quest’ultimo, che ovviamente creerà un’altra profonda divisione all’interno delle comunità ebraiche Newyorchesi, e sarà terreno di scontro per le figure altamente eurdite dei padri di Reuven e Danny.
Un romanzo che si basa su una storia di amicizia ma che, durante lo svolgimento, introduce molti altri temi interessanti oltre a quelli storici, e personalmente ho trovato di una profondità immensa l’analisi del conflitto tra le aspettative dei padri per i figli e le aspirazioni di questi ultimi per la prorpia vita. Un conflitto che durerà tutto il romanzo e si risolverà in una maniera inaspettata, cambiando il senso della storia nelle ultime trenta pagine.
Una nota positiva la merita anche la prosa di Potok, molto scorrevole pur cimentandosi con dialoghi contenenti termini strettamente Yiddish, tenendo sempre alta l’attenzione del lettore e il desiderio di proseguire pagina dopo pagina. Un libro molto profondo, ma che si divora come una bella avventura.
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CAPOLAVORO
Quando un libro mi colpisce con tanta forza da lasciarmi esangue ed attonito a fissare l’ultima sua pagina, con una serie di emozioni contrastanti che lottano fra loro per prendere il sopravvento sul conscio, cercando la via per formulare un pensiero, oppure un giudizio su quello che si è appena letto, mi rendo conto di essere di fronte a quello che io definisco un capolavoro.
E la prima conseguenza è una palese difficoltà ad esplicare in parole o concetti quello che internamente si sta attraversando.
Stoner. Un romanzo che può essere letto come una biografia, come una storia di vita, una vita drammatica eppure intrisa di picchi di felicità. La vita di William Stoner, narrata nella sua interezza, non parla di eroi, di storie mitiche, di vicende storiche importanti. No, Stoner non è un eroe, apparentemente non ha nulla di speciale. Come dice lui stesso, non era speciale in niente, non era neppure un bravo insegnante poichè nella sua vita ha dovuto rendersi conto dei propri limiti. Stoner non è nessuno. Dopo pochi anni dalla sua scomparsa, nessuno si ricorderebbe di lui se non fosse per quella piccola targa che commemora la sua carriera di professore all’Università del Missouri. Una carriera iniziata da giovanissimo quando, praticamente ancora studente, gli fu offerto un posto come lettore per la letteratura Inglese, e conclusa con la sua morte. Fu un ottimo professore, ma a parte un libro e qualche buon ricordo nei suoi studenti, non lascerà il segno nella storia neppure per i suoi meriti di docente.
Ma ha lasciato il segno in milioni di lettori, e credo che porterò anche io le stigmate per una storia che mi ha inciso profondamente in profondità.
Stoner è la normalità, è la vita apparentemente senza senso e scopo, uguale a quella di milioni di altri individui, che normalmente sfuggirebbe all’attenzione e al ricordo di tutti. Ma se ci si fa attirare al suo interno se ne resta affascinati, perchè ci si accorge che ogni pagina rappresenta la vita per come è veramente, la vita che ognuno di noi vive ogni giorno, impressa nella memoria personale e mai rilevata dalla moltitudine che ci circonda.
Stoner non eccelle in nulla, non aveva crediti particolari ricevuti in eredità, non è bello, non è caparbio, non è un buon marito e forse potremmo giudicare che non è stato nemmeno un buon amante. Anche sul suo ruolo di padre potremmo trovare parecchio da ridire. Ma non si può non amarlo, così come forse si vorrebbe amare la proiezione di quello che vorremmo essere, e non si può fare a meno di soffrire e gioire con lui per le sue vicende.
Stoner siamo noi. Questo è quello che sento emergere profondamente dalle pagine di questo romanzo. Leggerlo, equivale a fare una lunga introspezione dentro se stessi, prendendo proprio come paragone lui, che più di una volta si è reso conto di non avere grandi capacità di introspezione. Lui non ha avuto la possibilità di leggere il romanzo della sua vita con altri occhi rispetto ai suoi, noi abbiamo l’incredibile dono di poterlo fare, anche parzialmente, leggendo la sua storia.
So che tutto quello che ho scritto non si avvicina neanche lontanamente a descrivere la marea di sensazioni che questo libro mi ha regalato. Probabilmente nei giorni a seguire, anzi negli anni a seguire affioreranno periodicamente altre riletture personali e tante sensazioni troveranno la traduzione in parola.
Ho trovato anche decisamente efficace ed elegante la prosa di John Williams, con una narrazione che portava il lettore a seguire gli eventi con lo sguardo rivolto al passato. Ma, incredibilmente, nei momenti importanti, così come nei dialoghi, ci si sentiva trascinare all’indietro in un istante fino a vivere la scena in un tempo presente. Per poi allontanarsi nuovamente poco dopo. Uno sguardo intimo sulla vita di una persona, sorvolandola, per poi gettarsi in picchiata ogni tanto fino ad esplorare le coscienze.
Stoner fa parte del patrimonio della letteratura mondiale e sono certo che diventerà un classico perchè la sua forza è quella di poter essere sempre attuale. La vita, come viene raccontata nel romanzo di J. Wlliams, è un concentrato di vita dell’umanità intera.
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Anna Arkadevna
AVVISO SPOILER
IL romanzo capolavoro di Lev Nicolaev Tolstoj, ruota intorno alla vita di tre coppie che, per motivi diversi, rappresentano ogni possibile legame tra uomo e donna. Il libro si apre con le vicende di Stepan e Dolly, ingabbiati in un rapporto conforme ai canoni della società russa di fine ottocento. Gabbia da cui riesce ad evadere ogni tanto Stepan, ritagliandosi attimi di effimera felicità obbedendo ai suoi istinti primari come un bambino. Gabbia da cui non riesce ad uscire invece Dolly, scegliendo di trasformarla in un ambiente accogliente ma soprattutto pieno di dover ed impegni, in modo da impedire voli della fantasia troppo elevati. Quello che puntualmente accade quando, lasciatasi la famiglia alle spalle, si reca a trovare Anna, rimanendo impressionata dalla femminilità, dalla sensualità e dalla libertà che questa emana. Il loro è il tipico rapporto in cui si potrebbero riconoscere l maggioranza delle coppie esistenti. Completamente all’opposto la coppia Levin e Kitty, perfetto simbolo di come dovrebbe essere un’unione d’amore tra un uomo e una donna. Il loro non è un amore nato per caso o per forza maggiore, ma una libera scelta, un atto di volontà che non conosce fratture o debolezze con lo scorrere del tempo. Il perfetto esempio verso cui si desidererebbe tendere. La terza coppia protagonista è quella formata da Anna e Vronsky, ed appartiene alla categoria della passione incontrollata, senza ragione, a volte dolorosa, a volte esaltante ed alla fine tragica. L’amore che tutti vorremmo ed allo stesso tempo da cui tenersi alla larga. Un amore fuori dalle convenzioni sociali, che regala emozioni inarrivabili in altri tipi di rapporto, ma che chiede tantissimo a chi lo vive, sottraendogli la serenità. Un amore che non si esaurisce lentamente, ma che si spezza all’improvviso ferendo a morte gli amanti con le sue schegge acuminate.
Intorno a questi tre mondi così diversi tra loro, ma comunque legati da vicende e legami di parentela, Tolstoj tesse la sua storia con una penna molto delicata, senza mai affondare il colpo anche quando gli eventi sarebbero un invito a nozze per uno scrittore che ricerchi un facile consenso. Il romanzo si intitola come la protagonista, Anna Karenina, che io però preferisco chiamare con il suo nome di battesimo Anna Arkadevna, ma il protagonista assoluto è, secondo me, Levin. Un uomo dai principi apparentemente incrollabili, con una devozione assoluta verso la terra e il lavoro e con un amore senza incrinature verso la giovane e bella moglie Kitty. Un uomo che, ad un certo punto, si interroga sul significato della sua vita e delle proprie azioni, arrivando dopo un lungo travaglio interiore ad abbracciare una fede verso la quale era stato sempre piuttosto freddo. Un cammino parallelo a quello che in quegli anni percorreva Tolstoj stesso, con la stessa meta.
Credo che l’autore sia riuscito a descrivere i personaggi con un realismo tale da farli apparire al lettore come realmente esistenti, come figure che possiamo aver conosciuto direttamente anche noi. Ed è riuscito a farlo mantenendo un certo distacco, come se non fossero esattamente delle sue creature, limitandosi a narrare le loro azioni ed i loro pensieri, come individui nati spontaneamente e vissuti fuori dalle pagine di un romanzo. Il drammatico episodio che decide la vita di Anna è emblematico della sensibilità dell’autore in quanto volutamente “non affonda la penna”, ma lascia uno spazio vuoto che il lettore, incredulo, deve riempire da sé.
Non mancano i riferimenti storici e soprattutto culturali che dipingono un’alta società russa che nell’ottocento non aveva nulla da invidiare, come sfarzo e cultura, a quelle europee occidentali.
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FILOSOFISICA
Questo libro ripercorre e svela in sei capitoli le grandi conquiste della fisica del XX secolo. Con un linguaggio accessibile a tutti, Carlo Rovelli, fisico teorico di successo, narra di relatività, di meccanica quantistica, di struttura dell'universo e della materia con uno stile accattivante che tiene l'attenzione costantemente elevata nel recepire concetti all'apparenza difficilissimi, ma una volta capiti straordinariamente semplici. Particolarmente efficace la descrizione dei grandi scienziati della fisica, tratteggiati un po' come artisti perché, a suo dire, nonostante l'enormità dei calcoli e delle equazioni necessarie per svelare i tanti segreti, la fisica moderna è soprattutto immaginazione. Nella mente dello scienziato si forma un'istantanea, un'immagine, una visione di una possibile realtà, e poi dedicherà la sua vita a scrivere le equazioni necessarie per dimostrarla. Ho scritto sei lezioni, perché nonostante il titolo ne citi sette, in realtà l'ultimo capitolo non riguarda la fisica, ma si sposta in un campo apparentemente non adiacente, quella della filosofia. Alla luce di tutte le scoperte, l'autore pone un interrogativo insolubile: cosa siamo noi? siamo un ammasso di particelle che casualmente collidono e generano fenomeni ed energia, tra i quali il pensiero e la coscienza? in questo momento la scienza non è in grado di rispondere a queste domande, ma è interessante seguire la formulazione di domande interessanti, alle quali ognuno di noi potrebbe dare una risposta diversa. Perché lo scopo di un buon libro e della lettura in genere, non è trovare risposte, ma porre i giusti interrogativi. Consigliatissimo
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MANCA IL THRILLING
Ho iniziato questo romanzo non sapendo bene cosa aspettarmi, dato che non conoscevo l'autore. Ma fin dalle prime pagine ho avvertito una trama scontata che mi auguravo decollasse in qualche maniera dopo la metà libro, cosa che purtroppo non è avvenuta. Nonostante il considerevole dispendio di violenza gratuita perpetrata dai personaggi cosiddetti "cattivi", questi non riescono ad elevarsi che a poco più che caricature della bestialità della razza umana. Ed anche la colorita accozzaglia del gruppetto dei "bravi", dove l'unica ad emergere con un minimo di spessore è una prostituta, sembra poco più che la fiera del luogo comune. La narrazione è molto scorrevole, la prosa fluida, tanto che ho divorato le 347 pagine in meno di due giorni, ma ho sentito l'assenza del thrilling, della paura dell'attesa, del colpo di scena. Tutto è velocemente filato verso quell'epilogo che già dopo una trentina di pagine ogni lettore poteva immaginare. Mi dicono che non sia precisamente il libro più bello di Joe R. Lansdale, che per poterlo apprezzare nella sua piena potenzialità andrebbe testato su altri romanzi più coinvolgenti. Ma per il momento avrei bisogno di una forte motivazione per riprendere un suo romanzo
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Memorie di una cortigiana
Questo romanzo ricorda in molti tratti il più famoso "memorie di una geisha", essendo ambientato nei primi decenni del '900 in una Shanghai dove prosperavano le case di cortigiane. Una storia molto avvincente, che si sviluppa su tre generazioni di donne distribuite tra Shanghai e San Francisco, raccontata con sapienza dall'autrice, americana ma di origini cinesi. Una storia che racconta la vita vissuta secondo i dettami della cultura cinesi, ma in un crogiolo di razze e di fazioni politiche contrastanti tra loro, un ambiente in cui Violet crescerà imparando ad essere orgogliosa di essere americana e successivamente fiera della sua parte cinese, assimilando pregi e difetti di due culture così agli estremi fra di loro. Un'avventura attraverso i decenni che metterà alla prova la fibra di una donna rimasta sola a combattere un mondo fortemente maschilista e patriarcale, ma forgiando il suo carattere in maniera unica e non soggetta a nessuna imposizione. La scrittura di Amy Tan non raggiunge la struggente fragilità di quella di Arthur Golden in "Memorie di una geisha", una sorta di inferiorità che si manifesta nel libro con la triste invidia delle cortigiane cinesi verso le più famose e culturalmente elevate colleghe giapponesi. In teoria il libro potrebbe essere un ottimo compendio di storia orientale, ma l'autrice ha scelto di narrare le numerose vicende politiche sopravvalutando il lettore, utilizzando termini e raccontando fatti in maniera tale da essere compresi solo da lettori con un importante bagaglio culturale storico del periodo.
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Lasciate girare il mondo
E' la fantastica avventura di Philippe Petit la colonna portante di questo romanzo. L'uomo che attraversò, nel 1974, lo spazio vuoto tra i grattacieli del World Trade Center usando solo una fune tesa e l'equlibrio mentale prima che fisico, catalizza l'attenzione dei personaggi che caratterizzano la vicenda. Una storia ambientata nella New York in piena campagna bellica contro il Vietnam, una città che assomiglia ad una cloaca, i cui miasmi e liquami, sotto forma di droga, violenza e prostituzione si abbattono sulle vite dei bassofondi del Bronx. Ma in mezzo a tale squallore si elevano le vite di uomini e donne che si aggrappano alla vita con l'unica forza data loro, quella della sopravvivenza. Vite che, come fiori, crescono tra le spaccature dell'asfalto lurido riuscendo in taluni casi a fiorire ed in altri casi a venire spezzate da qualcosa di molto più grande di loro. Un intreccio di storie, casualmente legate tra loro in cui Mc Cann riesce ad andare in profondità nei pensieri delle persone facendole diventare tremendamente vere, vive e dannatamente aggrappate alla vita che scorre e gira come il mondo. Let the great world spin, titolo originale.
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Superficiale
Forse, avendo voluto provare McEwan , ho iniziato dal libro sbagliato. Il romanzo ruota attorno ad una spy story a sfondo letterario con intrecci amorosi, credo volutamente sviluppato in maniera leggera dall'autore. In realtà lo sviluppo resta superficiale, e a una trama senza grossi colpi di scena viene abbinata una protagonista senza grande personalità, che si infatua dei protagonisti maschili uno dopo l'altro senza che si sia capito come ciò sia potuto accadere. Anche la prosa è priva di lucentezza, omologandosi ad un giudizio secondo me insufficiente di questo romanzo valido come passatempo. Non consigliato
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IL TEMPO E' RELATIVO
Il romanzo di Jennifer Egan, premio Pulitzer 2011, dimostra che dopo secoli di narrativa esistono ancora spazi proficui e inesplorati per la sperimentazione. Non avevo mai letto un romanzo così innovativo, dalla struttura unica e particolare. Una serie di capitoli, ognuno possibile racconto a sé stante, collegati con il presente ed il successivo da uno dei protagonisti; con un continuo spostamento temporale che abbraccia un periodo lunghissimo dai primi anni '80 ad un ipotetico 2020; e soprattuto con un continuo cambio della voce narrante, che cattura il lettore fino al momento in cui questi non indovina di chi si tratta, ad esclusione dei protagonisti trasversali di tutto il romanzo, Bennie e Sasha, che vengono sempre narrati dall'esterno. E soprattutto un ardito, lunghissimo capitolo, strutturato come una presentazione di power point, criticato e osannato ma che non lascia indifferenti. L'autrice narra le vicende di una generazione ruotante attorno alla scintillante, ma ricca di ombre, industria discografica americana; personaggi di cui si narra la vita con continui viaggi nel tempo, ma che vengono descritti sempre come se per loro esistesse solo il presente, senza mai accennare a passato e futuro. Forse volutamente, non traspare felicità da nessun avvenimento narrato, come se fosse una dimensione scontata, oppure inesistente. Nonostante venga citato più volte, non si avverte neanche la presenza di una qualsiasi forma d'amore, ma solamente affetto, anche se indirizzato verso gli amici e mai coinvolgendo un parente. In definitiva un romanzo unico nella produzione mondiale recente, che lancia nell'etile degli scrittori di successo la giovane e disinibita scrittrice americana.
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FILM O LIBRO?
Come raramente mi accade, ho affrontato questo capolavoro di King facendo il percorso inverso rispetto al canone usuale: avevo visto il film tempo fa ed ho letto il libro adesso. Un libro sicuramente avvincente per come lentamente avviluppa la sua trama attorno al protagonista principale, l'Overlook Hotel. Questo sfarzoso edificio sorge arroccato in uno dei luoghi più desolati delle montagne rocciose e si rivelerà essere non solo un semplice hotel, ma quasi una piega nello spazio-tempo dalla quale si viene attratti, deformati ed infine inglobati in eternità. Ogni volta che sulla scena irrompeva Jack Torrance, non potevo fare a meno di immaginare Jack Nicholson nella sua memorabile interpretazione e questo, a mio giudizio, significa che stavolta l'attore ha superato il suo alter ego letterario. Ci sono parecchie differenze tra le due trasposizioni, ma non mi hanno infastidito, dato che il filone logico del film ha dovuto seguire la filosofia di Stanley Kubrick, genio sicuramente all'altezza di Stephen King.
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Malinconico come la pioggia
Il romanzo più personale di Murakami, si apre con un flashback temporale del protagonista Toru Watanabe che, sulle note di Norwegian wood dei Beatles prova un profondo turbamento nel sentirsi riportare indietro nei ricordi di 20 anni, al tempo in cui era uno studente universitario a Tokyo. Correva l’anno 1968 e la gioventù di tutto il mondo assaporava una nuova possibile era di libertà culturale e sessuale. Watanabe trascorre gli anni universitari osservando il mondo scorrergli accanto come al rallentatore, vivendo il passaggio da ragazzo a uomo cercando di ascoltare le sensazioni che gli trasmettono due ragazze in particolare, Naoko e Midori. Profondamente diverse tra loro, Naoko eterea e fatata con un tragico passato che la costringe ad un percorso di cura, Midori più concreta, terrena e con una presenza fisica esuberante, entrambe esercitano una forza magnetica su Watanabe che non si capacita di non saper prendere una direzione. Come sempre, sarà la vita che, come un fiume lento ma inarrestabile, trasporterà l’incerto Watanabe nell’unica direzione possibile. Un romanzo malinconico, densamente intriso del malessere ignoto che spezza le vite di tanti giovani incapaci di trovare un’identità in un mondo che scorre frenetico, che pretende una durezza d’animo che purtroppo non appartiene a tutti. Murakami dipinge le relazioni tra i protagonisti con una delicatezza estrema, con un realismo ammantato di naturalezza, usando le tinte del bianco, del nero, ma soprattutto del grigio dei sobborghi di Tokyo e dell’immancabile pioggia che cade ora silenziosa, ora sottile, ora densa e scrosciante ricoprendo ogni cosa e rendendo più scuro ogni colore.
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QUESTO E' IL PROBLEMA DEL DOLORE...
Questo libro, uno dei successi editoriali del 2014, narra la vicenda di Gus e Hazel, due giovani ragazzi ammalati di cancro. Ma la malattia, tetra e implacabile ricopre solo il ruolo di palcoscenico della storia, al centro del quale domina invece l'amore, come fonte di gioia e forza universale. Pochi attimi di amore profondo giustificano un'intera esistenza, anche se potenzialmente breve come quella dei protagonisti. Non c’è nessuna dignità o coraggio nel morire, “fa schifo e basta” come dice Hazel. E allora conta come si vive, non conta come finisce il libro della nostra vita, conta quello che c'è scritto in mezzo. Per questo , nonostante tanta sofferenza per Gus e Hazel riesco a vedere qualcosa di positivo.Quante altre vacue, lunghe vite possono vantare di aver vissuto attimi simili? Che Green sia bravo o meno a solleticare la commozione altrui, queste sono cose che non possono lasciare indifferenti. Un libro sicuramente doloroso, che fa meditare su quanto la vita sia effimera, su quanto l'oblio assomigli ad un'onda che cancella le orme sulla battigia, al punto che trattenere le lacrime diverrà impossibile, sentendone il gusto amaro sulla propria pelle ma con una sorpresa inaspettata : sebbene all’apparenza amaro e doloroso, il pianto lascerà un retrogusto dolce, perché quello che hanno realizzato Hazel e Gus della loro vita è un capolavoro ed esempio di come tutti vorrebbero condensare una vita in pochi istanti. Possibile solo dopo aver superato certi ostacoli all’apparenza insormontabili, perché , e cito testualmente una delle frasi più significative del libro, “ questo è il problema del dolore, esige di essere vissuto”.
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Dolori diversi...
Leggendo, ho assunto alternativamente la posizione di spettatore e quella di protagonista, immedesimandomi in entrambi i protagonisti. Da uomo ammetto di non riuscire a provare le stesse sensazioni di Luce, mi risulta troppo difficile oppure non sono dotato di nessun briciolo di maternità, dote non così sconosciuta agli uomini. E purtroppo mi tocca convenire che la maggioranza degli uomini avrebbe avuto una reazione come Pietro, io compreso. Però è stato costruttivo vivere queste sensazioni con gli occhi di Luce, perchè credo che siano raccontate in una maniera così credibile da far nascere la certezza che la scrittrice sappia benissimo di cosa sta parlando. Tutte drammatiche sensazioni che non hanno mai preso vita dentro il mio corpo, a parte una fondamentale, che ha dovuto subire anche Luce. Mi riferisco alle conseguenze di una scelta consapevole, dovuta e inevitabile. Mentre Pietro ha dovuto lottare contro il destino che gli ha inviato un figlio senza futuro, ed ha potuto riprendere la sua vita con lo slancio del guerriero che non si fa abbattere dalle difficoltà, Luce ha dovuto combattere contro un senso di colpa, legittimo, che le ha premuto contro lo stomaco per mesi e mesi lasciandola con al sensazione di avere il fiato corto. Questo è i vero dramma che ha dovuto sopportare, in silenzio, non capita da nessuno. Quando il destino ci manda i suoi strali,e nella maniera più dolorosa , ci offre anche la possibilità di rivolgergli la sua rabbia, facendo crescere le forze a dismisura, aiutandoci a trasformare una difficoltà in una prova di forza. Quando invece lo fa nella maniera più subdola, lasciandoci solo la possibiltà di scegliere quale dolore sopportare e su quale persona scaricarne buona parte, ci toglie ogni arma e ogni scudo di difesa, lasciandoci in balia della tempesta da noi stessi alimentata. Queste sono le ferite difficilmente rimarginabili, quelle inferte dal fato ma continuamente agitate nella piaga dal nostro inconscio.
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Quello sguardo..
Non ho mai capito a fondo in base a quale criterio vengano scelte le copertine dei libri, spesso addirittura non attinenti alla trama. Nel caso del libro di Tracy Chevalier, ma non certo per merito suo, l'intero senso del romanzo è riassunto in quello sguardo così indifeso, tramite il quale ognuno potrebbe sondare l'anima, le emozioni e le percezioni della fantesca Griet. La bocca socchiusa, il gioco di luci e ombre sul suo viso, il luccicare perlaceo dell'orecchino sono elementi aggiuntivi che permettono come non mai di immaginare quali pensieri abbiano attraversato il pittore Veermer nel fissare quell'attimo. Un attimo, pochi frammenti di secondo che si imprimono nella tela immaginaria del suo padrone, il quale li trasforma in qualcosa di eterno. Non ho fatto ricerche, ho voluto farmi cullare dall'illusione che questa grande opera d'arte sia il frutto di una vicenda realmente accaduta, in un'epoca in cui sfuggire al rigore morale era sì possibile, ma veniva pagato a caro prezzo. Un secolo in cui le vite dei protagonisti erano ancora imprigionate in rigidi schemi simili a grandi gabbie, al di fuori delle quali non vi era libertà ma solo vergogna. L'autrice ha il grande merito di aver ideato una storia coinvolgente, capace di far innamorare molti di questa serva, ma soprattutto far amare, illuminandolo di una luce di desiderio, questo bellissimo quadro. Stilisticamente la scrittura della Chevalier non ha acceso particolari entusiasmi, è mancato un certo approfondimento caratteriale dei personaggi, e anche le descrizioni ambientali sono state un po' approssimative. Non credo che leggerò altre sue opere, ma le dò credito di aver acceso un lume di interesse verso questo quadro, con il quale ho purtroppo mancato l'incontro lo scorso anno a Bologna.
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L'unico modo degno di morire è morire per amore
ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER
Inizio col dire che secondo me questo libro è un capolavoro. Di letteratura ma soprattutto di vita. Nelle prime 80 pagine ho apprezzato lo stile di scrittura di Gabriel, con il suo ritmo lento, ma costante, incalzante e ricco di colore e profumo. Da quel punto in poi mi sono sentito strappare dalle pagine di un libro per essere catapultato in una realtà viva. La narrazione era così sentita che non ho potuto fare a meno di credere che un uomo come Florentino Ariza sia esistito veramente , con la sua incredibile storia. Le sue sensazioni, il suo amore inesauribile, la sua forza, la sua vita fatta di abnegazione per un ideale, per raggiungere il quale ha prima assaggiato le delizie offerte da ogni tipo di donna. Solamente per allenare la prestanza del suo fisico e l'entità del suo desiderio quando ne sarebbe stato richiesto lo spessore. Uomini come Florentino provocano sentimenti altalenanti negli altri uomini: danno conforto nell' alimentare la certezza che anche l'uomo quando vuole può conservare per tutta la sua vita una dignità incrollabile nel perseguire quello in cui crede. Oppure tolgono dolcemente le forze a tutti coloro che, illuminati dall'ammirazione, si rendono conto di non essere mai stati all'altezza di un neanche lontano paragone. Uomini come Florentino non si odiano: il sentimento peggiore che si possa provare nei loro confronti è invidia. In ogni caso nessuno può descrivere sensazioni e sentimenti in maniera così fedele e sincera senza che ne abbia avuto notizia diretta o li abbia provati direttamente. Florentino è esistito, forse sotto altro nome, forse nella persona di Garcia Marquez stesso. Nella caratterizzazione delle altre persone del romanzo l'autore è meno preciso, non entra quasi mai nei loro pensieri, e quando lo fa usa sempre il metro di giudizio di Ariza. E' il caso del Dottor Urbino, ma soprattutto di Fermina Daza, una donna enigmatica, cha abbiamo imparato a conoscere attraverso le sue uscite pubbliche, mai per la sua vita privata. Anche nella parte finale, in cui Fermina rivela tutta se stessa, parecchi suoi sentimenti ci vengono celati. Cosa aveva di tanto speciale questa donna? tante belle qualità, ma Florentino ha conosciuto nella sua vita diverse donne più interessanti e "vere" di lei. Ai nostri occhi di lettore è apparsa una donna che, non me ne vogliate, ricorda a grandi linee la Daisy di Jay Gatsby. Una donna che ha vissuto gran parte della sua vita seguendo i dettami delle convenzioni sociali dell'epoca, certamente con un carattere di particolare rilievo, evidenziato anche dalla sua andatura da "cerva". E' stato Florentino a trasfigurarla ai suoi occhi, sublimandola nel centro dell'universo, il suo universo, fino a raggiungere un obiettivo che più volte è sembrato sfuggirgli di mano. Ma il destino ha saputo premiare la sua perseveranza dandogli la possibilità di realizzare il suo giardino dell'Eden a bordo di una nave da crociera fluviale, dove consumerà il resto della sua vita vivendo sospeso in una bolla di felicità fino a quando il destino stesso non deciderà di farla scoppiare come una bolla di sapone. Senza preavviso. In ogni momento. Perché non esiste nessun modo degno di morire, se non morire per amore ...
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E SE LA PROPRIA VITA FOSSE LA TRAMA DI UN LIBRO?
Accade spesso che, quando ci si avvicina ad un libro universalmente apprezzato, le aspettative possano essere talmente elevate che la conclusione della lettura lasci un pò insoddisfatti, come se ci si aspettasse di più. Per me non è stato così con "l'ombra del vento", un romanzo che mi ha coinvolto in maniera cos' profonda come poche volte mi è accaduto con altri libri. La vicenda è avvincente fin dalle prime pagine (già questa una singolarità), instaurando un crescente desiderio di proseguire nella lettura. E crescente è l'atmosfera magica, passionale e avventurosa che si sviluppa pagina dopo pagina. Illuminante l'ispirazione di Zafon di creare una vicenda nella quale il protagonista (Daniel) rimane rapito ed incuriosito dalle vicende di uno strano scrittore (Julian Carax) le cui vicende di vita saranno pericolosamente simili alle proprie. Un crescendo di emozioni e colpi di scena che non lasciano trapelare nulla sullo svolgimento della vicenda fino ad un rocambolesco finale. Numerosi e particolarmente caratterizzati i protagonisti nati dalla penna dello scrittore, nei quali ogni lettore potrà riconoscere una parte di sé. Oltre ai personaggi principali, Daniel, Fermin e Julian ho particolarmente apprezzato la descrizione dei personaggi femminili della storia, creati da Zafon con una tale dolcezza per cui è difficile non innamorarsene; come Clara Barcelò, bellissima donna irresistibilmente attraente, con diverse qualità invidiabili ma con un problema (l'essere non vedente) che passa, con leggerezza, in secondo piano. L'ambientazione temporale e logistica, la Barcellona del dopoguerra, è meravigliosa per lo sviluppo della vicenda e lo stile di scrittura è molto fluido, gradevole, ricercato senza eccedere. Indubbiamente un libro che, una volta terminato, lascia quel senso di vuoto che spesso accomuna quei bei libri il cui ricordo accompagna la nostra esistenza.
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VITE SEGNATE
Oskar, un bambino, un ragazzo, un adulto. Una trasformazione naturale che richiede un percorso di anni viene affrontata dal protagonista in pochissimi mesi. La domanda che mi sono posto è: " con quali conseguenze?". Molto meno devastanti di quanto ci si aspetterebbe perchè Oskar, nonostante il destino lo abbia colpito in maniera orrenda privandolo del padre, ha la "fortuna" di appartenere ad una famiglia speciale. Una famiglia che ha visto i nonni sopportare la devastazione di un bombardamento nella città natia di Dresda che devierà la loro vita in maniera definitiva. Una famiglia di cui faceva parte suo padre, Thomas Schell, rimasto intrappolato nel crollo delle Torri Gemelle nel "giorno più brutto". Ed è partendo da un dettaglio apparentemente insignificante (il ritrovamento di una chiave appartenuta a papà) che Oskar intraprende un viaggio nella New York post 11 settembre, incontrando persone tra loro diversissime ma con un filo invisibile che le unisce. Un viaggio che il lettore può intraprendere entrando in simbiosi con il ragazzo, dato che lo scrittore è molto abile a porre chi legge nella sfera più intima della personalità del ragazzo. Per ovvi motivi non rivelo come si concluderà questo viaggio di ricerca, ma posso fin da ora rivelare che ciò che più conta non sarà la destinazione ma il cammino intrapreso per raggiungerla. Chi proverà una forte emozione apprezzerà in pieno il capolavoro di J. Safran Foer; chi dovesse restarne deluso avrebbe dovuto leggerlo in un momento di maggior predisposizione emozionale. Ma difficilmente deluderà. Buona lettura.
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DELICATA
Questo libro è stato consigliato a mio figlio dal suo professore di italiano. Ne ho letto la trama e mi sono domandato se fosse adatto per n ragazzo della sua età, così l'ho letto io per primo. E le nubi grigie si sono dissolte sin dalle prime pagine per lasciare spazio ad un cielo sereno, di un azzurro tenue che illuminava un paesaggio primaverile dai colori pastello. In una parola: delicato. E' così che sento di descrivere lo stile di Banana, così come lo sono i suoi personaggi. E' vero che la scrittrice aveva intrapreso in precedenza un viaggio in Egitto e affascinata dai luoghi aveva deciso di scrivere un romanzo che contenesse un viaggio nella terra da cui è nata la civiltà.
Ed il risultato è la creazione di un'atmosfera tenera, quasi dolce che avvolge la storia di tre ragazzi, o quattro, che dopo aver vissuto tra di loro una relazione d'amore si trovano a vivere un'amicizia pura, ripulita dalle scorie del precedente sentimento che hanno condiviso.
Non ripercorro la trama poiché la si può trovare ben descritta qui sopra, ma quello che più mi è piaciuto è la descrizione del legame che unisce Kiyose, HIdeo e Takashi ed il modo con cui la scrittrice lo fa. I dialoghi non sono numerosi, spesso anche banali mentre maggiore attenzione viene posta sulla descrizione dei pensieri che turbinano nella mente di Kiyose. Pensieri germinati dalle condizioni di Takashi, dal maestoso paesaggio che si presenta davanti ai suoi occhi durante il viaggio in Egitto, dalla smisurata energia che trasmette il sole, variabile nella forza e nei colori a seconda della posizione che occupa nella volta celeste.
I pensieri di Kiyose sono lievemente accennati, resta al lettore completarli con la propria immaginazione ed esperienza con un breve percorso interiore che secondo me sfocia nell'identificazione di ognuno di noi nella protagonista. Che verrà plasmata a nostra immagine e somiglianza.
Aggiungo che lo stile delicato, soave e puro di Banana ben si adatta ad ogni età e formazione culturale del lettore quindi......ne consiglio la lettura :)
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..una piccola luce sulla spalla.....
Ho scoperto di apprezzare Coelho solo recentemente e sto cercando di leggere tutti i suoi libri rispettando la cronologia secondo la quale sono stati scritti. Brida è stato pubblicato in Italia solo recentemente ma in realtà si tratta del terzo libro in ordine di scrittura di Paulo.
Narra le vicende di una giovane donna irlandese (Brida) che scopre dentro di sé un irresistibile attrazione verso il mondo della magia e verso un mago che conduce una vita solitaria. Brida è una predestinata, ancora non sa che una forza superiore l'ha dotata fin dalla nascita di una sensibilità particolare, intensa che prende il nome di magia.
La sua missione, lo scopo per il quale lei si trova ad incarnare lo spirito e le esperienze di altre donne nei secoli precedenti le viene rivelata piano piano con gli insegnamenti del mago, che si trova ad un livello di conoscenza e di esperienza superiore al suo.
Il percorso che dovrà affrontare per scoprire la luce che sembra esplodere incontenibile dentro di sé viene narrato da Paulo con il consueto stile, riuscendo a far coesistere il sacro ed il profano, l'amore di Dio con l'amore verso l'Universo, religione e magia.
Bellissima l'immagine poetica della piccola luce sulla spalla di ogni persona, ma visibile solamente dalla propria anima gemella che abbia completato il percorso spirituale intrapreso da Brida.
L'ho trovato molto piacevole ed alcuni passaggi hanno continuato a ronzarmi in mente per parecchio tempo, tanto che mi piacerebbe rileggerlo.
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...infatti tiene svegli....
Anche io non sono un grande amante dei thriller, ma questo mi è veramente piaciuto. La trama è molto interessante subito dall'inizio: Christine ha subito un trauma che le ha lasciato una conseguenza grave e rarissima. Soffre di amnesia, una forma particolare che cancella ogni ricordo degli avvenimenti vissuti ogni volta che si addormenta e piomba nella fase di sonno profondo. Questo significa svegliarsi ogni mattina e non riconoscere il luogo dove ci si trova, accorgersi con sgomento di dormire accanto ad uno sconosciuto che in realtà è suo marito. Ogni giorno deve ritrovare la consapevolezza di se stessa e di quella che è la sua vita attuale, lottando con il dolore di scoprire che le mancano vent'anni di ricordi, che forse le manca un figlio e scoprire con angoscia che tutto quello che riuscirà ad apprendere di sè verrà inesorabilmente cancellato dalla sua mente la prossima notte. Ma grazie all'aiuto di un dottore Christine comincerà a fare dei lievissimi progressi e lentamente scoprirà perchè si trova ridotta in questo stato e per colpa di chi, in un crescendo di emozioni che veramente non lascia respiro. Ogni giorno scoprirà cose nuove, mentre il giorno seguente apprenderà che le sono state dette menzogne, si affiderà con fiducia ad un marito che la ama ma a proposito del quale trova un messaggio scritto da lei stessa "non ti fidare di Ben". L'abilità dello scrittore S.J. Watson è quella di porre sullo stesso piano la protagonista con il lettore, il quale farà praticamente lo stesso percorso di Christine, affrontando le stesse difficoltà e le stesse angoscie ogni giorno fino allo sconvolgente epilogo della vicenda. Forse, volendo trovare il pelo nell'uovo, una situazione mentale di questo genere meritava qualche approfondimento in più, si prestava ad un'analisi ed un viaggio nella mente umana dai risvolti indefiniti. Ma si tratta di un thriller e forse è stato giusto non deviare dalla linea ad alta tensione di tutta la narrazione.
Il titolo è comunque azzeccatissimo: "non ti addormentare" ha tolto il sonno anche a me ......
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Piacevole
Dopo aver letto "Il quinto giorno" (dello stesso autore), ed avendolo apprezzato tantissimo, ho deciso di lanciarmi in questa nuova lettura, scoprendo un libro totalmente diverso da quello che mi aspettavo. Già dalla prefazione vengo a sapere che SChatzing è un eminente biologo e che il libro non si svilupperà come un romanzo. In realtà l'autore ripercorre la nascita e l'evoluzione della vita nell'ambiente più fertile da noi conosciuto: l'acqua. E lo fa in maniera coinvolgente, narrando il tutto come una storia dalla trama intessuta da una regia superiore che chiama Madre Natura.
Il risultato è, secondo me, veramente interessante. Non ci si annoia mai neanche nei passaggi più monotoni perchè l'evoluzione viene raccontata come un romanzo il cui protagonista è la vita stessa. E credo che chiunque possa rimanere meravigliato da quali forme di vita sono nascoste nei fondali marini ancora al giorno d'oggi. Anzi, fa ancora più riflettere pensare al fatto che conosciamo solamente meno del 5% delle forme di vita celate negli oceani. Del resto proprio la quantità di possibili ignote fonti di vita acquatiche ha ispirato il suo romanzo più famoso.
Io ne consiglio la lettura a tutti, perchè rappresenta nella maniera migliore il detto "unire l'utile al dilettevole". Oltre al fatto che si tratta di un libro particolarmente "lungo", la quantità di nozioni scientifiche è veramente rilevante, e tutte trasmesse in un modo semplice e diretto, come una storiella in modo che possano essere recepite da tutti con facilità.
Buona lettura
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una sorpresa
Inizialmente l'avevo regalato a mio figlio credendo fosse una lettura per ragazzi. Me l'ha restituito dopo averne letto 100 pagine e dicendomi che non gli piaceva, soprattutto per lo stile di scrittura. Allora l'ho cominciato io e subito mi sono scontrato con una grande difficoltà di lettura. Devo ammettere di aver fatto fatica anch'io a superare lo scoglio delle 100 pagine.......era completamente diverso da quello che mi aspettavo: non una gradevole avventura da leggere con disattenzione, ma dialoghi particolarmente contorti, orientati ad esplorare la natura umana ed a mostrarne le debolezza e la vacuità. Insomma mi sono dovuto impegnare a fondo ed alla fine sono riuscito ad apprezzare il messaggio contenuto nella grande opera di Melville. Il viaggio della Pequod nei mari alla ricerca di MOby Dick è un viaggio di introspezione nella mente umana volto a stanare il mostro che è insito dentro di noi. Il mostro, la natura stessa, non possono essere sconfitti dall'uomo che è inerme contro tali forze. Ed in effetti il senso di tragedia avvolge come una densa vernice tutto il libro, dalla prima all'ultima pagina. L'unico sopravvissuto è colui che riesce a non abbandonarsi agli istinti animali che, secondo Melville, accomunano l'essere umano agli animali, ponendolo a volte addirittura ad un livello inferiore.
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Cara Sophie, voto insufficiente
Come altri romanzi pubblicati con il nome di Madeleine Wickam anche questo è risultato per me deludente. Siamo lontani anni luce dai migliori titoli della Kinsella come "sai tenere un segreto?" oppure "la regina della casa". La storia è un pò povera di colpi di scena ed anche il modo di scrivere è meno effervescente del solito. Non riesco a trovare un punto a favore per stimolare la lettura a qualcuno, ragione per cui consiglio a tutti di impiegare il proprio tempo in altre letture. Se si vuole leggere qualcosa di divertente e gradevole puntate comunque sulla Kinsella, ma altri suoi titoli.
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IL PIU' BELLO
Letto moltissimi anni fa. Oggi sono più maturo e felice di aver letto moltissimi libri stupendi, ragione per cui faccio fatica a dire quale sia il mio preferito. Credo che un libro possa sprigionare più o meno emozioni nello stesso lettore a seconda del momento storico in cui viene letto. Da come sono rimasto coinvolto e da come mi ha scatenato la passione nel leggerlo, sono sicuro di averlo letto nel momento giusto del mio processo di maturazione come lettore. Oggi forse lo valuterei diversamente, pur mettendolo tra i libri più belli che io abbia mai letto. In ogni caso resta, per me, il miglior libro di Wilbur Smith.
Consigliato a chiunque
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e l'azzurro dei suoi occhi.....
Dicono che il colore che diciamo di odiare e con il quale non ci vestiremmo mai sia invece inconsciamente il colore di cui abbiamo più bisogno. Io ho sempre odiato il rosso..........e adesso ho imparato ad apprezzarlo, riuscendo ad identificare esattamente quale emozione può trasmettere un colore. Grazie allo stupendo libro di Alessandro D'Avenia. Un libro che mi ha stupito per la grande quantità di riflessioni che contiene in (relativamente) poche pagine. Sono perfettamente d'accordo con chi ha scritto una recensione prima di me: le frasi da ricordare sono tantissime e trasmettono sentimenti come amore, paura, odio, tragedia con una grande delicatezza. Questo libro lo rileggerò senz'altro. E consiglio a tutti di leggerlo. Soprattutto a quanti fanno ancora fatica ad attraversare la materialità delle cose per riuscire a vedere esattamente di cosa è composta la natura umana. E per cercare di capire, una volta per tutte, cosa realmente muove il mondo e dà un senso alla nostra esistenza.
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UN PIACERE
"L'orgoglio è un difetto assai comune. Da tutto quello che ho letto, sono convinta che è assai frequente; che la natura umana vi è facilmente incline e che sono pochi quelli che tra noi non provano un certo compiacimento a proposito di qualche qualità - reale o immaginaria - che suppongono di possedere. Vanità e orgoglio sono ben diversi tra loro, anche se queste due parole vengono spesso usate nello stesso senso. Una persona può essere orgogliosa senza essere vana. L'orgoglio si riferisce soprattutto a quello che pensiamo di noi stessi; la vanità a ciò che vorremmo che gli altri pensassero di noi.
Al di là della gradevole storia immaginata dalla grande Jane (che io suppongo attinta dalle proprie esperienze di vita) è un grandissimo piacere accarezzare con gli occhi e con la mente questo capolavoro di scrittura. Come vorrei essere in grado di scrivere con tanta delicatezza e perfezione. Appena il mio grado di preparazione sarà di livello sufficiente, sarà il primo libro che leggerò in lingua originale perchè sono convinto che si tratti di un'opera di riferimento per la lingua inglese ancora attuale. Ho da poco "Emma" sul comodino, che comincerò appena possibile.
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La forza della pubblicità
Appena finito. Ho cominciato a leggerlo perché spinto dalla collocazione in libreria, dalla posizione in classifica, dalla bella introduzione sulla seconda pagina..........lo so, sono cose da non fare. Però hanno stuzzicato la mia curiosità. Ma purtroppo hanno creato anche delle attese che sono poi state smentite. Ed il perché è scritto dalla stessa autrice nell'epilogo: in realtà la storia è stata scritta come sceneggiatura di un film. Poi, incoraggiata dall'editore, ne ha creato un libro che, pur avendo riscosso un grande successo in Germania ed altri paesi, secondo me è sviluppato male. Due terzi del libro sono molto monotoni e privi di suspense, l'interesse si risveglia un po' verso la fine. Secondo me la storia di base è un'ottima idea, ma sviluppata con un po' di fretta. Comunque un po' di piacere nel leggerlo si prova, poi credo che ne resti un vago ricordo.
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Inquietante
Ho letto tantissime recensioni su questo libro prima di decidermi a leggerlo. Ovviamente erano tutte positive. Ma nessuna mi aveva preparato a questa incredibile lettura. E' veramente inquietante. Ma come ha fatto Orwell ad immaginare una storia del genere nel 1948? come ha potuto sviluppare una trama simile e fare in modo che possa essere attuale praticamente in eterno? Tutti i libri di fantascienza del novecento sono poi stati disattesi dai fatti, trasformandosi in piacevoli letture fantasy man mano che si dimostravano inverosimili. Questo libro invece, pur nei limiti di alcuni errori sulle tecnologie immaginate nel prossimo futuro, cavalca lo spettro di una minaccia per l'umanità che sembra possa prendere vita ogni giorno che passa. E' questa la genialità di questo libro: sarà sempre attuale, non sarà mai superato. Sarà sempre PIU' attuale, purtroppo. Ed il finale amaro non fa che lasciare il lettore con i sensi ancora più allarmati da questa terribile minaccia. I personaggi, Winston e Julia, sono degli antieroi. Sono dei perdenti. E proprio per questo il senso di immedesimazione giunge al lettore vivido come non mai. Un altro di quei libri che, dopo averlo letto, non ti lascia più e continua ad attrarre l'immaginazione. E' come una vaccinazione: essere messi in contatto con una minaccia simile lascia i nostri anticorpi costantemente all'erta per il resto della nostra vita. E meno male....
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Indimenticabile
Ho letto questo libro sull'entusiasmo dei commenti positivi che ho trovato ovunque. Tra l'altro ho prima letto l'ultimo, 1Q84, e prima ancora di questo "After dark" sempre di Murakami. E' un piacere trovare la conferma di un certo stile e modo narrativo in tutti i suoi libri. Murakami, secondo me, è una lettura difficile che può piacere o lasciare indifferenti. A me piace, molto. Soprattuto Norwegian wood. E' una storia che entra in profondità e non ti lascia più. Mentre lo leggevo non sono riuscito ad assimilare tutti i risvolti caratteriali dei personaggi e la loro personalità in evoluzione durante un'età critica. Ma ancora oggi, a distanza di molti giorni dalla lettura, mi ritrovo a scoprire dei dettagli nuovi che mi erano sfuggiti. E mi ritrovo ancora immerso nella straordinaria atmosfera surreale creata da Haruki. La storia è molto semplice, ma il modo di narrare, benché possa sembrare poco ricercato, attrae il lettore in maniera tale che, scena accorgersene, si ritrova a sviluppare la storia come se lui stesso ne facesse parte.
Sono rimasto affascinato dal personaggio di Midori, una personalità talmente complessa e particolare da da coinvolgermi e turbarmi quasi come se fosse reale.
Il mio personale metro di giudizio sulla qualità di un libro assegna sempre il voto massimo a quei libri, e sono veramente pochi, che non riesco più a togliermi dalla testa e continuamente mi danno modo di ritornare a riflettere sulla narrazione.
Leggetelo...
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non male
Il mio primo libro di Patricia Cornwell. Tra l'altro anche il primo giallo dopo sei mesi di letture di ogni altro genere. Mi ha appassionato.....anche se rimpiango di non aver cominciato a leggere prima quello da cui nasce questa storia. Anche se qualche difetto nella narrazione c'è, non posso negare che la lettura mi abbia coinvolto con il desiderio di arrivare fino in fondo. Anche se, come ho detto sopra, il finale non mi ha pienamente soddisfatto sotto il punto di vista della linea narrativa. Infatti il ritmo del libro è abbastanza lento fino quasi alla fine, dove poi accelera i tempi all'improvviso. Troppo all'improvviso.
Comunque resta il fatto che ho voglia di leggere altri libri di questa scrittrice molto tecnica e preparata e con buone idee da sviluppare.
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