Opinione scritta da Viola03

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    23 Luglio, 2024
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Gira la clessidra...ehm, no, il LIBRO

Un lettore, soprattutto appassionato di thriller, enigmi e misteri come me, non può che essere affascinato da un romanzo che contiene non una, bensì due storie collegate tra loro. Capovolgi il libro e ricomincia la magia, perlomeno questa è l’idea, se non fosse che la realtà si rivela molto meno intrigante.
The Turnglass ci presenta due racconti, uno che si svolge a fine Ottocento, l’altro nel 1939 (consiglio assolutamente di iniziare da fine Ottocento, parte BLU).
Nel primo, un medico si reca su un’isola desolata a soccorrere un parente malato e finisce invischiato in una torbida vicenda.
Nel secondo siamo in California, dove Ken Kourian diventa amico dello scrittore Oliver Tooke che muore, apparentemente suicida e anche per lui sarà l’inizio di eventi pericolosi e oscuri.

La trama in sé e il collegamento tra le due storie c’è e funziona, quello che manca a mio avviso è una scrittura che coinvolga, che ci faccia vivere le emozioni dei personaggi, che ci tenga con il fiato sospeso.

L’ambientazione della parte BLU (semplifichiamo chiamandola così) si presta a brividi di terrore, ma non ce n’è neanche uno. L’intera vicenda si svolge in modo lineare, senza suspence e senza clamore, con personaggi sviluppati in modo non approfondito.

Nella parte ROSSA, sebbene in qualche modo si tirino le fila dell’intero intrigo, si presenta il medesimo problema. Una trama che scorre ma solo in avanti, senza veri colpi di scena o emozioni.

Vale per tutte le mie recensioni, ciò che non piace a me può piacere ad altri, quindi, salvo casi disperati, consiglio sempre di leggere un romanzo perché qualcun altro può trovare ciò che invece a me è mancato. Sicuramente mi sento di consigliarlo perché il vincolo che lega le due storie è ben congeniato, sebbene il valore dell’intero romanzo perda moltissimo per una narrazione che non è all'altezza dell'intento.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    18 Aprile, 2024
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UNA LUNGA DELUSIONE

Avevo voglia di un romanzo pieno, corposo, coinvolgente e mi sono fatta attirare dai tanti elogi a “Una vita come tante”, che parlavano di una storia struggente, commovente e così via.
Neanche a dirlo, le mie aspettative sono state deluse.

Visto che le cose da dire sono tante, andrò per blocchi:

STILE: ho letto commenti entusiasti sullo stile dell’autrice e mi trovo fortemente in disaccordo. La scrittura non ha nulla di riconoscibile o di particolarmente interessante. Le descrizioni più accurate sembrano essere solo quelle incentrate sul dolore, a discapito degli altri momenti in cui sembra quasi che l’autrice inserisca tante più informazioni possibili in una sola frase, con il risultato che, anziché creare un’atmosfera in cui il lettore si possa immergere, si ha la sensazione che quelle parole servano solo a fare finta di darci una dimensione reale. I salti temporali (non tanto tra passato e presente, ma in avanti), che potrebbero anche avere un senso, vanno ad inserirsi sempre dopo un fatto specifico di grande portata, con la sensazione che ci vengano risparmiati, non tanto i momenti noiosi, quanto piuttosto i conflitti che ne susseguono con la conseguente vacuità di tutte le situazioni. I dialoghi sono fatui e surreali, infarciti di termini che, data l’incapacità dei personaggi di confrontarsi con le situazioni, suonano forzati e didascalici.

PERSONAGGI: i personaggi sono, a mio avviso uno degli aspetti peggiori del romanzo. Il primo elemento fastidioso è che il libro ci viene presentato parlandoci di quattro amici, ma il quartetto ha una rilevanza soltanto nelle primissime parti, per divenire poi più una sorta di espediente per risolvere determinate situazioni che non una reale intenzione di portare avanti quattro storie parallele. Nel corso del romanzo non assistiamo ad una vera evoluzione dei protagonisti, vediamo soltanto la loro ascesa sociale che non si accompagna ad una reale crescita personale, ad un aumento di consapevolezza. Ci vengono presentate figure sempre pronte ad aiutare Jude, nonostante non capiscano realmente cosa gli accada, non vadano mai a fondo dei problemi. La sensazione che mi è rimasta è quella di figure di carta, creature fittizie che simulano sentimenti come se non li conoscessero realmente, ma, sapendone l’esistenza, li imitino. L’essere adulti viene descritto soltanto attraverso i traguardi lavorativi, che, ovviamente, sono assolutamente enormi per tutti, come se fossero nel racconto di un bambino cui venga chiesto cosa fanno i grandi e risponda “Lavorano”. I rapporti non comunicano concretezza, gli screzi sono poco credibili e, sebbene la presenza di una costante propaganda sul buon cuore di chiunque sia accanto a Jude, nessuno sembra davvero mai prendere in mano la situazione, se non dopo lunghi anni ed episodi molto gravi. Jude, che diventa il fulcro della storia, avrebbe molto potenziale, poiché potrebbe essere il veicolo della comprensione del dolore di chi ha subito episodi gravissimi come accaduto a lui, ma anche qui mi è rimasto un sapore strano in bocca, come se le emozioni da lui vissute non vengano raccontate con una conoscenza reale di fondo (non tanto personale, quanto del tema), ma come l’imitazione di quello che “forse si proverebbe in quei casi”. L’unico momento in cui ho sentito che qualche emozione fosse verosimile è verso la fine, dopo uno specifico episodio che non andrò a spoilerare. Beh, dopo 900 pagine, un’emozione è arrivata.

IL DOLORE: segnalo qualche piccolo SPOILER in questa sezione. Ho letto molto riguardo alla sovrabbondanza di dolore, c’è chi ritiene sia esagerata, chi sostiene che sia necessaria per rendere empatici verso chi soffre (forse parole della stessa autrice?). Qui la mia opinione è puramente di natura personale. Il dolore ha molteplici forme e talvolta, depressione, odio verso di sé, vergogna e tutte le altre terribili espressioni, compaiono anche se non si è passati attraverso le tragedie di Jude. Come già scritto, la sensazione è che manchi qualcosa, la conoscenza reale di cosa significhi il dolore, quello che stringe lo stomaco, che ti fa guardare lo specchio e provare schifo per te stesso, che spinge così forte nel petto che l’unico modo è sentirlo sulla pelle per provare un po’ di sollievo. Ci viene descritto tutto nel minimo dettaglio, ma no, non sono mai riuscita a sentirmi partecipe. Il dolore più realistico è verso la fine del romanzo, il dolore di una perdita, lì sembra che l’autrice fosse più padrona delle emozioni ed è l’unico punto dove le lacrime sono scese. Riporto un ultimo parere. Se l’intento fosse stato quello di raccontarci il vissuto di una persona vittima di abusi, la trama ha un senso, questa full immersion nel trauma ha un senso, ma se l’obiettivo fosse stato invece quello di creare empatia verso il dolore altrui mi sento di dire che sia stato fatto in modo più adulatorio, per attrarre le lacrime facili. Chi può restare indifferente nei confronti di tanti patimenti?
Credo che la vera bravura stia nel farci empatizzare verso il dolore comune, quello che dilaga per episodi considerabili senza rilevanza, il dolore quotidiano di stare al mondo.
Conoscendo cosa significhi stare accanto a chi soffre di un disturbo grave, posso dire che manchi ancora una cosa: il senso di impotenza. Vedere chi ami stare male è qualcosa che devasta, non poter trovare una soluzione è corrosivo. I personaggi qui ogni tanto si dicono “ok, questo aspetto fa parte di lui”, ma a me non è mai arrivato il pungo allo stomaco di sapere che non potrai mai fare nulla, che l’altro proseguirà nella sua discesa verso gli inferi e tu sarai lì, sempre con la tua mano stesa per dargli aiuto e la vedrai sempre vuota.

VARIE: Ho letto anche io che l’etichetta data a questo romanzo è quella di “romanzo gay”, anche se onestamente non trovo che sia un elemento di alcuna rilevanza ai fini della trama o della ricchezza della storia. Questo romanzo tratta l’argomento dell’identità sessuale, ma senza mai veramente andare a fondo; come anche qualche discorso iniziale tra JB e Malcolm incentrato sull’essere neri, sparito poi tra le pagine. Questi elementi sembrano inseriti più per allinearsi con le tendenze del momento che non per una capacità di svolgerli a pieno, di costruire delle opinioni, di portare avanti un credo personale o di denunciare qualcosa. I personaggi sono inseriti in un ambiente che diventa asettico, dove non esiste neanche la complessità di avere un lavoro “normale”, le case sono belle, il successo è garantito, il tutto non fa che accrescere la sensazione di irrealtà, ma mai quando ci racconta di Jude, che sarebbe invece il momento in cui dovremmo sentirci più alienati, dovremmo poter entrare in contatto con quel dolore senza eguali, toccare con mano l’assoluta mancanza di punti fermi.
Ho anche letto di alcune persone che lamentavano la poca presenza di figure femminili, che restano ai margini della storia. Rispetto a questo mi sento di dire che non trovo necessario che ci siano donne per immedesimarmi in una storia e forse qui l’intento era quello di farci immergere nell’amicizia maschile, mostrandoci pregi e difetti, anche se quello a cui assistiamo sono spunti di assoluta bontà e disponibilità verso Jude, che suonano come la didascalia “GUARDA, QUESTI GESTI DI BONTA’ SONO PER DIRE CHE L’AMICIZIA E LA GENTILEZZA SONO IMPORTANTI”.

CONCLUSIONI (FINALMENTE!!!): il libro è didascalico nei messaggi di bontà, di gentilezza, ma resta vacuo. Tratta il dolore, gli abusi, ma mancando, secondo me, di basi solide di conoscenza di chi ha subito traumi tanto gravi. Ci accompagna in un percorso che non vede una crescita dei personaggi, ma una staticità che rende noiosa la lettura.
Sicuramente questa è soltanto un’opinione, un libro va letto perché ognuno di noi è diverso e può trovare spunti che magari a me sono mancati.
Lato positivo, 1000 e passa pagine e il peso specifico di un metallo alieno, saranno sicuramente utili a qualcosa.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    13 Settembre, 2023
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Un gioco un po' troppo veloce

ATTENZIONE qualche piccolo spoiler generico nella recensione.

Zappingando su Netflix tempo fa, mi sono imbattuta per caso in "La ragazza di neve", serie tratta dal primo romanzo dell'autore. Mi era mediamente piaciuta quindi, quando ho trovato "Il gioco dell'anima" in libreria, mi sono detta "perché no?".
Mi è piaciuto questo libro?
Dire un brutale NO forse è troppo, ma non tornerei a comprarlo.
Il pacchetto si presentava ricco di elementi interessanti: una trama allettante con dei presupposti ottimi per un thriller ovvero un omicidio inquietante, una protagonista con più demoni dei killer e una New York cupa e spaventosa, nonché acclamanti recensioni di grandi voci del genere.
Cosa è mancato per accendere la scintilla?
Andiamo per ordine.
La scrittura non brilla per originalità e compaiono qua e là frasi da guru che vuole insegnarti la vita, più fastidiose che illuminanti. Nel complesso piacevole, ma non memorabile.
La trama parte da ottimi spunti ma si dipana in modo che ho trovato troppo forzato. L'intreccio è coinvolgente e in fondo ben costruito, ma piccolo SPOILER, misteri rimasti insoluti per anni si chiariscono nel giro di pochissimi giorni. Questo espediente del tempo contato, chiaramente usato dall'autore per creare suspence, rende troppo semplicistiche le conclusioni, nonché svalorizza proprio "il gioco dell'anima" che dà il titolo al romanzo, nessuno spoiler qui.
Questo punto si ricollega ai personaggi. Vedere la serie non mi ha dato un background e mi sono approcciata ai protagonisti per la prima volta e in modo neutro. Miren Triggs, protagonista con un grande trauma del passato, si presenta come un fulcro di paure che le impediscono di godere a pieno della sua vita. Un’evoluzione dei personaggi all’interno di una storia è auspicabile e sicuramente spesso necessaria, purché sia anche commisurata al punto di partenza. Come gli eventi che si accalcano con paurosa velocità, anche l’evoluzione di Miren segue la stessa frenesia. Se non ne critico la possibilità in termini reali, mi risulta quasi assurdo che, come la soluzione di un mistero, anche i patemi che hanno riempito gran parte delle pagine facciano Puff come per magia.
Nel complesso una lettura che non sgradevole, ma lascia un segno molto molto labile.

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Consiglio quasi sempre e comunque di leggere un libro, perché quella che do è solo la mia opinione, dettata dal mio gusto e, visto che credo nella libertà di pensiero, sicuramente in molti la penseranno in modo diverso da me.
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Romanzi
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    12 Aprile, 2023
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L'ultimo capitolo della meravigliosa famiglia Mala

Lo premetto e lo sottoscrivo, amo immensamente la saga della famiglia Malaussène, del quale ho letto ogni singolo volume.
"Capolinea Malaussène" è quello conclusivo con mio immenso rammarico, ma tutto ha una fine ed è giusto così.
In questo ultimo capitolo di questa famiglia strampalata, protagonista indiscusso è Nonnino, impersonificazione del male stesso, le cui azioni si intrecciano inevitabilmente con i Malaussène. Non dico altro, nessun tipo di spoiler, neanche il più piccolo.
Riporto quindi alcune considerazioni personali. Lo stile è sempre piacevolmente riconoscibile, la penna di Pennac (sembra un gioco di parole), riesce sempre a coinvolgere il lettore, a farlo sorridere, sorprendere con dei wow improvvisi che convergono in un finale col botto.
Già dal libro precedente avevo però trovato meno forza nei personaggi, sempre curiosi e unici nelle loro peculiarità, ma meno impattanti, meno caratterizzati rispetto ai primi volumi della saga. Se ho ancora immensamente nel cuore Pastor e Van Thian, la nuova generazione mi lascia meno emozionata, meno coinvolta e, devo ammetterlo, mi è mancato immensamente Benjamin che rimane defilato, una sorta di figura mitica con più poco spazio di azione.
Se quindi questo ultimo libro non ha la potenza dei suoi precedessori, per chi è appassionato della famiglia, va sicuramente letto anche fosse solo per godersi lo strano, folle e stupendo finale.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    03 Novembre, 2020
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Ah i Francesi...

Ah i Francesi...si dice siano gran baciatori, ma di questo purtroppo non ho esperienza diretta...
Mi limiterò a tessere le lodi della loro scrittura!
Ho già avuto modo di apprezzare Michel Bussi in altri suoi romanzi, primo fra tutti il noto "Ninfee Nere" e con "Usciti di Senna" non mi delude.
La storia prende il via con l'evento della Armada, grande manifestazione durante la quale vascelli da tutte le nazioni sfilano sulla Senna portando con sé vita e colori per i paesini addormentati sulla riva.
Peccato che ci scappi anche un morto, un giovane e seducente marinaio con uno strano tatuaggio sul corpo.
Si apre l'indagine e anche l'arrivo degli strambi e affascinanti personaggi che caratterizzano il romanzo e che, per me, sono il punto di forza di tanti scrittori francesi.

Abbiamo il commissario Paturel che al posto di un'estate di riposo con i figli si trova a fare le nottate per cercare un assassino.
L'ispettore Stepanu, che non sorride per non mostrare i denti guasti e che ha una lieve propensione a prevedere il peggio, che dai più è percepita come grande predisposizione a portare sventura.
C'è Maline, sensuale e intraprendente giornalista.
E poi ancora e ancora tante figure, talvolta solo tratteggiate ma sempre caratterizzate in modo singolare e divertente.

Da sfondo al cast fa una storia di pirati e tesori, con simboli e valori d'altri tempi proprio come nei bei romanzi di avventura per ragazzi.

Vera protagonista è però la Senna, con il suo luccichio e le sue spiagge, i suoi borghi accoccolati tra le anse, territorio che lo scrittore conosce e ama, ma sopratutto sa farci amare.

La scrittura di Michel Bussi è sempre fresca e intrigante, capace di far sorridere e stare con il fiato sospeso.

Non ne uscirete con maggiori nozioni di baci francesi, ma sicuramente con un bel sorriso sulle labbra.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    30 Settembre, 2020
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Un libro da non perdere

È con grande malinconia e un forte desiderio di avere ancora un po’ di pagine da leggere che ho chiuso questo romanzo.
“Il cardellino” ci conduce nella vita di Theo Decker, poco più che bambino quando perde sua madre in un attentato al museo, dove solo pochi attimi prima ammiravano insieme i pittori fiamminghi e in particolare un piccolo dipinto chiamato, appunto, “Il cardellino”.
Di fronte quel quadro Theo intravede anche per la prima volta Pippa, una ragazzina che è lì con quello che sembra essere suo nonno.
Il rosso dei suoi capelli gli resterà intrappolato nello sguardo, pochi attimi prima che l’esplosione riduca tutto ad un ammasso grigio e informe.
Negli ultimi istanti di vita il “nonno” di Pippa gli affida un anello e “Il cardellino” - miracolosamente scampato al disastro – tessendo inconsapevolmente le fila del destino di Theo.
Tra ricche dimore newyorkesi, confortevoli laboratori pieni di mobili in riparazione, ville semidisabitate sotto i cieli sconfinati di Las Vegas, Theo vaga disancorato da quello che era il suo unico punto di riferimento, sua madre. Senso di colpa, paura, fragilità lo accompagnano fino all’età adulta, tenuti a bada con mix di droghe e alcol, scelte azzardate in un indiscusso percorso di autodistruzione.
Nel suo disorientato percorso di crescita, Pippa e il dipinto diventano le uniche costanti, il simbolo di tutto ciò che nell’esplosione è andato perduto e che resta fermo anche quando tutto si sgretola.
“Il cardellino” è un romanzo ricco di contenuto, pieno di simbologia, proprio a partire dal piccolo dipinto, dove l’uccellino incatenato diviene l’emblema della condizione umana, specchio su tela di Theo che non riesce a spingersi oltre la tragedia, a vivere veramente. La scrittura ricca è ricca di particolari che permettono un’immersione totale nel mondo ideato dall’autrice, una visione a 360° dei minuscoli dettagli che costruiscono un’esistenza.
L’ho amato tantissimo, perché per tutti c’è un momento di rottura, più o meno tragico e tutti conosciamo quei sentimenti bloccanti, quell’incapacità di vivere attanagliati da colpa, rimorso, paura.
Quello di Theo è il dolore di tutti, il dolore dell’esistenza umana così fragile e caduca. Se la centralità del dipinto sembri suggerire che la risposta alla fragilità della vita sia l’arte, è in realtà la figura di Boris che dà a mio avviso un senso a tutto. Boris, l’amore, l’amico, l’antitesi di Theo che affronta la vita senza pregiudizi, senza freni, senza preconcetti, mix di lingue e culture con la capacità di reinventarsi ogni volta e di saper discernere che spesso, per raggiungere il bene, possono essere compiute anche azioni moralmente discutibili.
“Il cardellino” ha una scrittura ipnotica ed evocativa, fatta di descrizioni che sono quasi di miniature dentro un disegno più grande, quello che narra di temi come la sofferenza, la rinascita, la morte, l’amore e la condizione umana in modo accessibile eppure non scontato, come la metafora di quell’uccellino incatenato il cui sguardo è rivolto all’infinito.

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Consigliato a chi ha letto...
Approfitto dello spazio "Lettura consigliata a chi ha letto..." per consigliare anche un altro romanzo di Donna Tartt "Dio di illusioni".
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Romanzi
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    10 Aprile, 2020
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Il tocco della neve sulla pelle

Tra i tanti romanzi letti che si posano per un po’ poi volano via, “Il grande inverno” si ferma, fa il suo nido e decide di restare.
Oltre ad uno stile ricco, pieno di descrizioni vivide, c’è una storia intensa, ricca e forte.
È quella di Ernt Allbright, reduce di guerra, che combatte ogni giorno la sua personale lotta contro i propri demoni finché intravede una possibilità di salvezza in un trasferimento in Alaska, terra remota e solitaria dove poter ricominciare da zero.
È quella di sua moglie Cora, che farebbe di tutto pur di ritrovare l’uomo che ama, in quella pallida ombra che vive ora al suo fianco.
Soprattutto però, è quella della loro figlia Leni, l’unica che sarà veramente capace di stringere un patto con l’asprezza della natura e della vita in Alaska.
Dopo un arrivo all’impronta dell’ottimismo e un’estate che sembra promettere buoni frutti, la famiglia deve affrontare l’inverno, il desolato, gelido e lunghissimo inverno dell’Alaska.
Oltre ai problemi pratici di un isolamento totale – il cibo, il riscaldamento – la vera battaglia è quella con il buio, oscurità esterna che è il riflesso dei demoni e delle paure di ognuno, che si trovano così stipate in quattro strette mura e costrette al confronto.
“Il grande inverno” regala intensità, permette quasi di vedere con i propri occhi i paesaggi, sentire l’odore del salmone fresco, provare il brivido gelido di una ventata sul viso e il tocco della neve sulla pelle.
Regala una storia, che è quella della famiglia Allbright, ma anche quella di un paesino, è la natura selvaggia, è morte ed è amore.
Se non fosse chiaro, quanto mi sia piaciuto questo romanzo, aggiungo soltanto che dopo averlo letto, ho deciso di fare un viaggio in Alaska.

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Racconti
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    07 Aprile, 2020
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Amore distorto

Il nazar, amuleto contro il malocchio a forma di pupilla spalancata, compare nel primo racconto e sembra introdurre il lettore in un cammino alla scoperta dei più sordidi risvolti dell’amore.
Stringendo forte il portafortuna, ci si avventura in quattro storie inquietanti, terrificanti nell’essere a loro modo così possibili e reali; così diverse eppure simili per come il senso dell’amore viene stravolto, travisato, violentato.
Figure femminili e maschili si intrecciano in un gioco disturbato di amore e dolore, ossessione e possessione, perdono e vendetta, che assomiglia ad una danza macabra a cui nessuno riesce a sottrarsi, vittima o carnefice vivono allo stesso modo il maleficio, senza riuscire veramente a staccarsi.
I quattro racconti, grazie ad uno stile scorrevole si leggono velocemente ma non con leggerezza, perché il tema trattato ricorda un peso appoggiato sul petto.
Un po’ troppa impersonalità nello stile, lascia a volte qualche dubbio sulle vere intenzioni dei personaggi, ma d'altronde,l’occhio osserva, senza partecipare e senza giudicare.

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Fantascienza
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    10 Agosto, 2018
Top 500 Opinionisti  -  

DI ROSSO VESTITE

Le alette della cuffia la tengono riparata da sguardi indiscreti mentre cammina per le strade ben avvolta nel suo abito rosso, colore scelto per lei dalla comunità, che la rende visibile, che la identifica, che la lega ben stretta al ruolo che svolge. Lei è una ancella.
Siamo nel futuro e veniamo pian piano portati dalla voce narrante della protagonista in un mondo che non è più quello che conosciamo, che lei conosceva.
Silenziosamente, mattone dopo mattone, mossa dopo mossa, un nuovo governo ha preso il potere, soppiantando non solo gli avversari politici, ma smantellando minuziosamente la vecchia società, cultura, abitudini, cancellando i diritti delle donne.
Se all’inizio sono piccole avvisaglie, come l’impossibilità di acquistare le sigarette perché come donna non si possono possedere soldi, poi la nuova realtà si palesa: si perde il lavoro, si viene relegate in casa.
Infine, senza quasi neanche rendersi conto del come e del perché, le donne diventano Ancelle, Mogli, Nondonne. Strumenti nelle mani degli uomini, private di un’identità.
Si perde il proprio nome.
Si diventa DIFRED, di proprietà di Fred.
A raccontarci questa storia è proprio la voce di DIFRED, che ci narra le lunghe giornate noiose prive di occupazioni, i pensieri che si rarefanno, le piccole evasioni per una commissione o un fugace sguardo al cielo azzurro.
DIFRED, che giorno dopo giorno, nonostante tutto si è abituata, che come tutte cerca solo di sopravvivere in un mondo in cui le regole sono state stravolte.
Ed è di pari passo con il fluire dei ricordi, che percepiamo che sotto quella maschera di apatia, c’è ancora vivo un fuoco di ribellione, di vita, di libertà.
Ed è proprio la libertà uno dei punti chiavi su cui siamo costretti a riflettere.
Essere liberi DI qualunque gesto, abbigliamento, atteggiamento, essere liberi DI vivere senza inibizioni, senza freni è inesorabilmente la strada verso un epilogo repressivo?
Essere libere DAlla paura di aggressioni, dai commenti indiscreti di uomo, da molestie pur vedendo sacrificata la propria identità, il proprio diritto all’espressione potrebbero essere mai veramente considerate libertà?
Perché quelle ali della cuffietta che proteggono così bene da sguardi indesiderati, che nascondono dai giudizi, allo stesso modo impediscono di osservare il mondo, di alzare gli occhi per ammirare l’azzurro del cielo.
“Il racconto dell’ancella” è un libro ricco di emozioni ma è soprattutto colmo di spunti che fanno fermare a riflettere, perché, seppur ambientato in un futuro immaginario e scritto a metà anni Ottanta, è assolutamente attuale.

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Romanzi
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    17 Ottobre, 2012
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"Chiedi alla polvere"

"Così l'ho intitolato Chiedi alla polvere, perché in quelle strade c'è la polvere dell'Est e del Middle West, ed è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia cieca di un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere. E c'è una ragazza ingannata dall'idea che felici fossero quelli che si affannavano, e voleva essere dei loro." J. Fante

E' in California che approdano i sogni americani. Là tutti i sognatori trascinano dietro la polvere dei loro paesi lasciati alle spalle, si svestono di abitudini ed abiti pesanti ed indossano la tenuta tipica del posto: camicia colorata ed occhiali da sole.
Arturo Bandini, vent'anni, li guarda e li riconosce, sa vedere i loro sguardi svuotati della speranza.
Quella che invece fa muovere il sangue a lui che è giovane e chesoprattutto saprà realizzare il suo sogno: fare lo scrittore.
Tra momenti di fiducia in sé che rasentano l'isteria e attimi di depressione abissale, Bandini sforna il suo primo racconto, Il cagnoline rise, pubblicato su una rivista che porta sempre con se e sbandiera appena può.
A questo ne segue un altro e il futuro sembra prospettarsi roseo, finché sulla sua strada incontra Camilla.
Camilla fa la cameriera ed è messicana. La pelle scura, i denti bianchi, i fianchi sensuali.
Camilla che fa innamorare Arturo, ma non lo riama. Un'asimmetria che solo un animo da scrittore può trasformare in poesia.

Uno stile semplice, lineare, sempre attraversato da sottili ombre di ironia, divertente e tragico insieme, con picchi poetici che si infilano qua e là.
Bandini è un personaggio in cui l'autore esplicitamente si identifica e che porta il lettore stesso ad un'empatia fin dalle prime pagine.
Contorto, esuberante e complicato, Arturo è un giovane che racchiude in sé il sogno americano, la difficoltà di un'origine italiana, la vittoria e la sconfitta.

Chiedi alla polvere è un romanzo che racconta un mondo, quello dove si arenano le speranze e i sogni degli americani, una sorta di terra neutra dove approdano i piccoli bagagli di ciascuno, ma che sarà sempre un luogo estraneo, senza radici. Un posto dove comunque vigono delle regole, quelle che impediscono ad un americano di stare con una messicana, quelle che impongono comunque di avere soldi per avere prestigio. Il tutto raccontato attraverso gli occhi e la voce di Bandini e del suo amore per la bella Camilla, il tutto velato della polvere che si insinua nelle stanze, che si accumula sui tappeti, che cancella le orme non appena lasciate.

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Ps: nell'edizione Einaudi, un'interessante commento introduttivo di Baricco e il prologo di Fante, che però è alla fine.....
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Letteratura rosa
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    27 Settembre, 2012
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"Ogni istante di te e di me"

E' bastato leggere la trama per innamorarmi di questo libro, per comprarlo in un impulso di follia e leggerlo poco dopo, con la certezza di aver fatto centro.

Siamo agli inizi del secolo, in Francia, dove il giovane Léon, poco amante dello studio, adora raccogliere quello che il mare trasporta sulla spiaggia. Il padre, annoiato professore di Liceo, non approva questo inutile passatempo e lo obbliga quindi, se non a studiare, almeno a cercarsi un lavoro.
E' così che Lèon parte per un altro paesino dove lo aspettano come aiuto capo stazione.
Proprio lungo la strada, lo supera una ragazza in sella alla sua bicicletta cigolante. Bella, con la sua camicetta a pois, Lèon non fa che pensare a lei da quel momento per tutte le sere successive finché non riesce ad incontrarla di nuovo.
Louise non ha passato, è una ragazza inusuale e affascinante e tra i due nasce un sentimento delicato e dolce che li unisce nella sua specialità.
Tutto sembra procedere verso un futuro felice, quando la guerra irrompe nelle loro vite e li separa.
Credendosi morti a vicenda, Léon e Louise finiscono su strade diverse, lontane.

Lèon si trasferisce a Parigi, si sposa con Yvonne ed ha due figli ormai, quando un giorno qualunque di una settimana qualunque, nella metro di Parigi, la donna che ha sempre avuto davanti agli occhi per tutti gli anni trascorsi, è lì, davanti a lui, diversa eppure sempre uguale.
Certo che non sia un'apparizione o una creazione dellla sua mente, Lèon parte alla ricerca di Louise, la sua Louise.
Quando finalmente si ritrovano, come sapranno riprendere le fila di una storia interrotta ma mai dimenticata?Come potrà questo amore incastrarsi nella nuova esistenza di entrambi?

Una storia d'amore intensa, ma mai esagerata né nello stile, né nella trama, raccontata in terza persona da un nipote di Lèon. Assistiamo all'evolversi di un sentimento inusuale nella sua forza, che ci porta a sognare senza però troppe cucchiaiate di miele.
Uno sfondo storico ben costruito e descritto, che si evolve insieme al procedere delle storie personali dei personaggi, che vi si concatena.
Il tutto con una partecipazione viva, ma non diretta: l'autore ricrea per noi il distacco, ma anche il piacere di un nipote che racconta la vita del proprio nonno. Il tutto perfettamente riuscito.
Lo consiglio vivamente!

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    27 Settembre, 2012
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"La lettera perduta"

In un piccolo paesino siciliano, nel caldo afoso di una giornata d'estate si consuma un delitto feroce: un'anziana baronessa, Isotta Dagnino, viene infatti barbaramente uccisa.
Chi poteva mai avercela con la vecchia signora?
La figlia Carlotta e la nipote Marta, intuiscono subito che chi ha ucciso Isotta cercava qualcosa, forse delle vecchie lettere. E sarà proprio una lettera il filo conduttore di questa storia, una lettera giunta nelle mani sbagliate e conservata poi nel tempo per essere usata al momento giusto.
Tornate a Roma, Carlotta e Marta, cercano di ricostruire il passato di Isotta per dare un senso alla sua morte, aiutate dal loro amico Paolo Lipari, politico dalle idee pericolosamente innovative, in corsa per la carica di Presidente del Consiglio.
E sarà a Roma, che i fantasmi dal passato di Isotta si intersecheranno in modo impensabile con la vita della figlia e della nipote, ma anche con quella di Paolo Lipari e del suo arduo percorso di svolta alla politica che in molti cercano di fermare.

Un giallo che si legge velocemente per il suo stile semplice e lineare. Piacevoli in particolare le descrizioni del piccolo paesino siciliano. Una trama senza astruse complessità, che si lascia capire senza sforzi immani ma anche apprezzare proprio per il suo scorrere rapido. I personaggi sono talvolta un po' troppo "wonder", troppo coraggiosi, troppo intraprendenti e quindi poco realistici, ma nell'insieme simpatici e capaci di generare sintonia nel lettore.
Lo consiglio perché piacevole e soprattutto perché è stato una sorpresa scoprire che l'autore è il libraio del mio paese...o che il libraio del mio paese è anche scrittore!

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    17 Settembre, 2012
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"La (inconsistente) trama del matrimonio"

Una copertina attraente, una presentazione invitante, un autore che già ti ha lasciato un’impressione più che positiva. Questo romanzo aveva tutto e dico tutto, per farmi credere di essere uno di quelli che mi avrebbe inchiodata sul divano a leggerlo per ore.
E per ore mi ha sì intrappolata, pure per un mese buono potrei dire, di noia però, perché dopo due pagine avevo già voglia di chiuderlo. La lettura si è trascinata così a lungo che stavo meditando di trasformarlo in un reggi porta, o in un simpatico soprammobile o, soluzione più drastica, farlo volare giù dal balcone.
Perché “La trama del matrimonio” non è assolutamente il libro che mi aspettavo, né uno che volessi leggere.

Le premesse sono molto buone.
Anni ’80, America. Ci sono tre ragazzi appena diplomati che si affacciano al futuro.
Madeleine è di buona famiglia, una ragazza moderna ma comunque legata alle formalità impartitele sin dall’infanzia. Controcorrente rispetto all’epoca, ama autrici dell’ ‘800 e la sua tesina, che tratta proprio quel periodo, si intitola “La trama del matrimonio”.
Leonard, che proviene da un contesto familiare turbolento, è dolce e brillante, alto e affascinante, ma soffre di un disturbo maniaco-depressivo che dopo parentesi di normalità, lo fiacca e lo abbatte.
C’è infine Mitchell, appassionato di religioni, timido e poco appariscente.
Cosa unisce i tre?
Ovviamente un triangolo amoroso. Madeleine si innamora e si fidanza con Leonard - Mitchell si convince che Madeleine sia la donna che sposerà – Madeleine e Mitchell sono “forse amici-forse possibili amanti-ma senza concludere”.

A questo punto ci si aspetta che lo svolgimento sia una moderna versione dei romanzi del ‘800, dove tutta la storia era incentrata sul matrimonio, dal corteggiamento, agli equivoci fino alla realizzazione.
Forse l’intento di Eugenides era proprio questo, ma credo che si sia perso per strada.
Innanzitutto troppa carne al fuoco, troppe citazioni, troppi spunti che non portano a niente.
Perché dedicare tante pagine alla semiotica, per poi abbandonarla all’improvviso senza che abbia portato contributi evidenti alla storia?
Perché decidere di scrivere di un triangolo amoroso, peccando assolutamente in passione e amore e mettendo come collante, giusto qualche scena di sesso qua e là?
Perché non approfondire meglio i personaggi, a cui si rimane indifferenti, che non coinvolgono mai fino in fondo nelle loro vicende, paure e sofferenze?
Perché non sviluppare una trama coerente all’intento e imbastire invece un polpettone sfilacciato che imbocca solo vicoli ciechi?

Unica nota positiva allo stile, che tranne nella prima parte dove Jeffrey si è dilungato in digressioni noiose, inutili e col solo risultato di rallentare la lettura, è piacevole, colto, intriso di riferimenti ad altri testi.
Stile nel complesso sprecato però, perché è la sostanza che manca, è lo sviluppo dei personaggi che pecca, il coinvolgimento emotivo è nullo, puramente cerebrale … e neanche tanto visto il forte desiderio di “uccidere” il libro defenestrandolo.

Non posso consigliarlo, se non per la sua piuttosto consistente mole che può risultare utile a tante altre occupazioni che non siano la lettura.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    05 Settembre, 2012
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"LA STELLA DEL DIAVOLO"

Vacanze al mare con Harry quest’anno. Jeans, maglietta e rigorosamente Doc Marten’s ai piedi, tanto per non far abbronzare qualche lembo di pelle nordica di troppo. Poche chiacchiere, ma come sempre una compagnia piacevole.

“La stella del diavolo” , terzo libro di Jo Nesbo dedicato al suo turbolento commissario Harry Hole, inizia con l’estate e il caldo. Gran parte della centrale di polizia è in ferie, il tempo passa lento ed apatico.
Fin quando arriva una chiamata. A causa di alcune gocce di sangue gocciolate nel sugo dal soffitto, una coppia si è accorta che al piano superiore, la loro vicina di casa è stata uccisa.
Harry Hole, sottratto ai fumi dell’alcol sempre più avidi, si ritrova sulla scena del crimine insieme all’odiato Tom Waaler, collega e suo antagonista. Hole non ha alcun desiderio di partecipare alle indagini, sapendo che sul tavolo del capo lo aspetta una lettera di licenziamento già redatta, a cui manca solo la sua firma.
Evidentemente il suo ultimo, intossicante periodo, in cui ha toccato il fondo, lasciato da Rachel e tormentato dall’ossessione per la morte di Ellen, non è passato inosservato ai piani alti e non basta più la mano di Moeller a salvarlo.
Nonostante questo, il segugio che è in lui non può fingere, le sue antenne stanno già captando tutto della scena del delitto: una donna, uccisa da un colpo di pistola, un dito mozzato, un diamante rosso a forma di stella sotto una palpebra.
A questo omicidio ne seguono poi altri, stesse modalità, stessi particolari.
Tutto fa pensare ad un serial killer e chi meglio di lui, può seguirne le tracce?
Quelli che sembrano i suoi ultimi passi da commissario, si trasformano in una danza vorticosa, che lo trascina in un turbinio di realtà che non sono quello che appaiono, un teatrino costruito ad arte per lui e per chiunque si soffermi a guardare.
Lui, fragile come mai prima si lascerà tentare da quello che combatte, o forse sarà anche questa un’abile messinscena mirata solo a liberarsi una volta per tutte dei fantasmi che lo assillano?

Brillante, coinvolgente, emozionante come sempre, Jo Nesbo non lascia mai insoddisfatti.
Uno stile che ti incolla gli occhi alle pagine e ti fa subito salire l’acquolina in bocca per averne un altro e un altro ancora. Un terzo episodio dal massimo dei voti, sia per l’indagine appassionante, sia per lo snodo fondamentale nella storia di Harry Hole.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    31 Agosto, 2012
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Se ti abbraccio non aver paura

Una fiaba, inusuale forse, ma pur sempre una fiaba è “Se ti abbraccio non aver paura”.
Protagonisti assoluti papà Franco e suo figlio Andrea, a cui un giorno lontano un dottore ha diagnosticato l’autismo. Da quel momento quel bimbo sorridente si è trasformato in un groviglio inestricabile, ogni tranquillità persa, ogni equilibrio saltato.

Ed oggi, come due eroi strampalati, Franco e Andrea affrontano un viaggio in moto, loro due e il vento nel viso.
Loro due e paesaggi meravigliosi che tolgono il fiato.
Loro due e una malattia che è una costante compagna di vita, che sembra poter essere spazzata via da un sorriso di Andrea, da una parola scritta, ma che in realtà è sempre lì aggrappata e mai molla la presa.
Dagli USA all’America del Sud, padre e figlio percorrono chilometri e si scoprono, si avvicinano lottando contro il muro eretto dall’incapacità di comunicare di Andrea.
E lungo la strada incontrano spezzoni di vite altrui, che li arricchiscono, li riempiono, li rendono forse meno fragili e più consapevoli.

Un scrittura che posa colori sul bianco dei fogli, che crea immagini dal vuoto della carta.
Una penna lieve, delicata che trasforma in fiaba il racconto di un uomo, che tramuta il suo dolore in gocce di pioggia.
Non c’è falsità tra le pagine, non c’è il lieto fine delle fiabe: al ritorno dal viaggio la vita di Franco e Andrea continuerà con i soliti rituali, le stesse paure, la identica sofferenza.
Non ci sono però picchi drammatici e non perché la malattia non ne riservi, ma perché l’intento è far emergere l’amore e la gioia per ogni piccola conquista, a discapito delle molto più numerose sconfitte.
Ervas riesce a trasportare sulle pagine tutto l’amore di questo padre per un figlio che non giocherà mai a calcio con lui, con cui non potrà mai commentare una bella ragazza, che sicuramente non gli darà mai un nipotino e che sarà sempre e costantemente aggrappato a lui.
E’ questo sentimento smisurato che traspira durante tutta la lettura.
E il titolo, “Se ti abbraccio non aver paura” riprende la scritta stampata sulle magliette di Andrea, abituato a toccare la pancia delle persone, ad abbracciarle per poterle conoscere, ma è anche la richiesta che Franco fa a suo figlio, lasciati abbracciare, lasciami entrare in questo tuo mondo alieno, estraneo, colorato con altri colori, lasciami un piccolo spiraglio di luce.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    23 Agosto, 2012
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MACEDONIA PER TUTTI

A chi non piace la macedonia d’estate?
Tanti bei pezzi di frutta fresca, succo di limone e zucchero sul fondo da gustare come prelibatezza finale. Una meraviglia.
Un po’ meno se la macedonia è in un libro, un thriller poi, che si presenta decisamente bene ma che poi alla fine lascia un po’ a bocca asciutta.
Senza le cucchiaiate di zucchero e limone insomma.

Quale miglior sfondo nostrano per un serial killer se non Roma?
Tutti hanno provato a prendersi la mitica città e questo omicida sembra tenerla stretta in una morsa di paura.
Le vittime sono bambini, uccisi barbaramente e poi vestiti con maschere di Carnevale.
Sulle tracce del colpevole finiscono tre personaggi che non hanno alcun legame ma che convergeranno verso lo stesso punto, lo stesso abisso di terrore dove li attira l’assassino.
C’è Jasmine D’Amato, bella, dalla pelle color cioccolato al latte, stagista presso un giornale di pettegolezzi e in fuga dalle pretese del proprio fidanzato di avere un figlio. Quando le viene proposta un’intervista alla madre di una delle vittime, sente che la sua vita può cambiare.
C’è Nathan Treves, ex commissario, che si è dimesso in seguito a un episodio sconvolgente, ma che sembra continuare la sua caccia agli assassini nascosto nelle ombre.
E c’è infine Andrea Turindano, tanto famoso giornalista di cronaca, quanto scalcagnato nella vita privata, indebitato fino al collo, che decide di scovare il temibile serial killer e dare una svolta alla sua esistenza.
Tutti e tre, si troveranno a fare i conti con la mente diabolica dell’omicida ma soprattutto con i propri fantasmi e le proprie paure.

La trama non è male, lo stile scorrevole, si legge in un battibaleno e con semplicità.
La pecca però è proprio nella macedonia, tanti pezzi presi di qua e di là che non danno al romanzo uno stile inconfondibile, lo fanno dimenticare tra le tante storie lette.
Una bella idea quella di ambientare la vicenda a Roma, ma non c’è caratterizzazione, potrebbe esserci qualsiasi altra città o paese e non cambierebbe una virgola.
Troppi cliché da telefilm americano.
Lo consiglio perché non è una lettura sgradevole, ma manca di uno stile personale, forse ancora da affinare.
Per cui Max, basta macedonia, la prossima volta un solo frutto e bello saporito!

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    09 Agosto, 2012
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“USARE CON MODERAZIONE. CREA DIPENDENZA”

“Harry, no ascoltami. Io e te dobbiamo parlare. Così non può andare avanti. Harry mi segui ovunque!In cucina, in camera da letto, persino in bagno!Prima o poi il mio ragazzo mi domanderà ‘Ma chi è questo Harry?’ e io cosa gli rispondo ‘Ma no tranquillo, è solo un commissario alto, biondo e affascinante.’?
Come minimo sviene …”

Oslo. Una rapina in banca finisce in tragedia.
Harry Hole visiona decine di volte il video tratto dalle riprese delle telecamere di sorveglianza.
Ogni volta che la videocassetta si riavvolge, lo stesso uomo vestito di nero e con un passamontagna a coprire il volto prende in ostaggio la stessa donna e alla fine le spara.
Qualcosa di anomalo sembra turbare Harry, un’eccessiva e insolita vicinanza tra il rapinatore e la donna, parole incomprensibili sussurrate dai due.
Nelle indagini viene affiancato da Beate Lonn, giovane e timida, ma con una dote che ha del miracoloso: il suo cervello infatti riesce a riconoscere qualunque viso, anche quello di uno sconosciuto appena intravisto per strada anni prima.
Forse con il suo aiuto riusciranno a scoprire chi si nasconde sotto il passamontagna?
A complicare la vita di Harry arriva anche Anna, una sua ex fiamma che lo invita a cena.
Il giorno seguente Harry non ricorda nulla della serata trascorsa, il vuoto assoluto, non sa neanche come sia riuscito a tornare a casa.
E Anna viene trovata morta nel suo letto.
Il caso viene chiuso velocemente come suicidio, ma lui sa cogliere delle piccole incongruenze che dimostrano il contrario, che Anna è stata uccisa. Questo lo getta in uno stato di confusione e paura, soprattutto quando sul suo computer cominciano ad arrivare strane e-mail che sembrano accusarlo proprio dell’omicidio.
Due storie che corrono parallele in questo secondo romanzo dedicato a Harry Hole, due storie che convergono nella parola vendetta, quella fredda e calcolata, quella che fa ribollire il sangue come fosse olio caldo. Ma l’apparente giustizia della vendetta porta la pace per chi la compie? E anche tu Harry, una volta che avrai trovato il vero assassino di Ellen cosa farai?Lo consegnerai alla giustizia o ti vendicherai?

Cosa posso dire se non che questo è l’ennesimo bellissimo romanzo scritto da Jo Nesbo? Suspense, brividi e una penna scorrevole che toglie l’attenzione da tutto il resto. Personaggi che riescono a far affezionare il lettore, storie che lasciano spazio a mille ipotesi e che poi fanno restare sempre a bocca aperta.
In tutto questo un filo conduttore, Harry, che è più resistente che mai, cui ci si può aggrappare con l’assoluta sicurezza di non sbagliare e di non rimanere delusi.

“…..insomma Harry credo che dovremmo prenderci una pausa, sai, dovrei anche conoscere altra gente..Mi capisci vero?Si..Lo sapevo che avresti capito..No, Harry …… Che vuol dire che torni domani con un’altra storia?Harry!?Harry!Dannazione HARRY!!!”

.. Solo un consiglio, siate ben coscienti che una volta conosciuto, non ve lo toglierete dai piedi tanto facilmente.

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Romanzi
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    01 Agosto, 2012
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Il nostro fuoco è l'unica luce

“La notte è troppo silenziosa, l'amore è un'altra cosa.“


Isola della Maddalena.
Ettore ha tredici anni ed una rara malattia che gli impedisce qualunque esposizione al sole.
La sua pelle è pallida come un raggio di luna e le rare volte in cui è costretto ad uscire di giorno, deve indossare un maschera che lo fa sembrare un astronauta sperduto.
I coetanei lo tengono a distanza o lo deridono, i suoi genitori non lo sgridano mai, lo trattano anzi con la ansiosa sollecitudine che si ha con un cucciolo ferito.
Ettore ha una grande camera all’ultimo piano dell’albergo di famiglia senza finestre ma con un’ unica porta aperta sul balcone e sul mondo esterno.
Da lì, alla sera, lui si affaccia per cogliere il momento esatto in cui si accendono i lampioni, il punto che segna l’inizio della sua vera vita. Uno, due, tre…Luce!
Nella notte Ettore può muoversi senza paura, i suoi occhi sanno distinguere le forme nel buio.
Prende lezioni di vela e non ha bisogno di vedere, perché ha imparato a navigare semplicemente conoscendo il vento.
In questa oscurità ovattata Ettore si sente protetto, finché non conosce Ada.
I suoi capelli biondi, i suoi denti irregolari.
Ada che è una campionessa di tennis, ma che odia quello sport che le viene imposto dal padre.
Ada che la notte fugge, dalla sua vita, dai suoi obblighi, da se stessa.
Ettore sente nascere verso di lei un sentimento nuovo, sconosciuto e si accorge di quanto, quella notte che lo proteggeva, fosse troppo silenziosa, troppo vuota. Capisce allora che deve osare, deve riuscire ad illuminare la sua vita, anche rischiando di bruciare la sua pelle, a costo di scottarsi il cuore.

Una storia d’amore e di crescita raccontata da una voce giovane e leggera. Un messaggio noto, ma non banale: ricordarsi di fare quelle scelte che rendono veramente felici, senza paura di deludere, di fare figuracce, di sentire dolore.
Perché se anche fuori è sempre notte, se si ha un fuoco acceso c’è sempre luce.

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Classici
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    31 Luglio, 2012
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Doppio sogno

Vienna, fine Ottocento.
Fridolin e Albertine, marito e moglie, tornano eccitati da un ballo in maschera.
L’incontro con delle figure misteriose ha risvegliato in loro una strana emozione, un senso di libertà e attrazione verso il proibito.
Quella notte si amano con ritrovata passione.
Il giorno seguente tentano di ricreare quell’atmosfera di vibrante aspettativa raccontandosi delle piccole avventure vissute durante la vacanza in Danimarca dell’anno precedente.
Lo sguardo di uno sconosciuto per cui Albertine avrebbe abbandonato tutto, casa, marito e figlia; il turbamento provocato da una giovane creatura per Fridolin.
Queste rivelazioni però si insinuano come cattivi serpentelli, scie di gelosia e rancore colano e si incollano alle loro menti.

La sera Fridolin, che è un medico, si deve assentare per far visita ad un paziente deceduto. Una volta lasciata l’abitazione del defunto, anziché dirigersi verso casa, che in quel momento gli appare come il posto meno accogliente del mondo, perché lì c’è Albertine, si inoltra nella notte e inizia a vagare per le strade di Vienna.
E la tentazione sembra incrociare i suoi passi lungo tutto il cammino.
E’dapprima il volto fanciullesco di una prostituta.
Poi il sussurro ammaliante di un suo vecchio conoscente su una segretissima festa dove domina il piacere.
E’ il corpo acerbo e profumato della figlia del mascheraio.
E’ infine nelle forme voluttuose della donna nuda e mascherata che cerca di allontanarlo dal misterioso ricevimento, perché se venisse scoperto, rischierebbe la vita.
Tentazioni continue, il tradimento offerto come una mela lucente da cogliere su un ramo basso, ma Fridolin non riesce ad afferrarla e, cacciato dalla festa e giunto alla fine di quella notte insensata, cerca conforto nel calore di Albertine appena destata dal sonno. La moglie però gli narra il terribile sogno appena fatto: lei era divenuta l’amante dell’uomo della Danimarca e assisteva all’uccisione di Fridolin indifferente, ridendo.
Le loro esperienze reali o sognate li lasciano confusi e incerti verso l’altro, rispecchiano il disagio del loro intimo e modificano per sempre l’ordine precostituito della loro coppia.

Un piccolo, meraviglioso racconto scritto con stile fluido e moderno.
Una prima parte pervasa di una sensualità delicata, intrisa di carnalità ma al contempo spogliata di ogni fisicità come accade nei sogni, che non lasciano brividi sulla pelle, ma nell’anima.
Una seconda parte dove il dubbio domina, le luci sono fredde e spietate. Si assiste alla crisi della coppia come al raffreddamento di un corpo al risveglio da un sonno o verso la morte.
Un’opera incantevole dove realtà e sogno si confondono, la dimensione onirica è veicolo di desideri nascosti e volontà celate, riscatto dalla realtà e depurazione.

Da questa novella è tratto il celebre film di Kubrik “Eyes wide shut” e come suggerisce il titolo, durante il sogno gli occhi sono esternamente serrati ma spalancati verso il proprio mondo interiore.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    26 Luglio, 2012
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IL PETTIROSSO

Questa settimana ho fatto tardi tutte le sere, ho disertato gli incontri sociali durante la pausa pranzo, ignorato gli amici pur di leggere qualche pagina di “Il pettirosso”.

Questo è il primo libro** della serie dedicata al commissario Harry Hole, che qui non è ancora commissario ma è già alto e biondo, già alza un po’ troppo il gomito, è già poco socievole e molto turbolento.
A causa di uno spiacevole episodio che lo vede protagonista durante la visita del presidente degli U.S.A. in Norvegia, Hole riceve una promozione ad un altro reparto, promozione che puzza tanto di “trasferimento deciso ai piani alti per evitare scandali”.
Relegato in un ufficio in fondo ad un corridoio, si trova tra le mani un sacco di scartoffie che non lo interessano minimamente e che spedisce di qua e di là senza averle effettivamente neanche lette .
Tranne una.
Dove è scritto che in un bosco sono stati trovati i bossoli di un fucile. Non uno qualsiasi, bensì un modello molto raro e pericoloso.
A dispetto degli ordini del suo superiore che gli chiede invece di monitorare i gruppi neonazisti e la minaccia che creino scompiglio durante il giorno della festa nazionale, Hole indaga sul fucile.
La testimonianza di un trafficante di armi rivela che l’acquirente è un uomo anziano. Cosa può mai farci un ultrasettantenne con un fucile del genere?

Tra le indagini del presente e il racconto nel lontano 1944 di alcuni volontari norvegesi arruolatisi nelle Waffen SS e spediti sul gelido fronte orientale, si snoda una storia ricca sotto ogni punto di vista.
Un intreccio più intricato che mai, personaggi sia principali che secondari ben caratterizzati, uno stile scorrevole e coinvolgente, un ritmo serrato e che fa dimenticare persino di mangiare.
Il tutto tinto di rosso, come il petto del Pettirosso.



** Il primo in Italia.

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Consigliato a chi ha letto...
A tutti, considerato che persino mia madre è una fan sfegatata.
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Romanzi
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    20 Luglio, 2012
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La Prosivendola

Povero Benjamin!E’ proprio stufo di fare il capro della Regina Zabo alle Edizioni del Taglione, a beccarsi urla, pianti e insulti da tutti quelli a cui è stato respinto un manoscritto. Un giorno dice basta e si barrica in casa, protetto dalla sua caotica famiglia.
Solo che poi, le maggiori preoccupazioni gli arrivano proprio da lì.
La sua bella, cara, dolce e amata (a volte davvero in maniera poco fraterna!ahi ahi) sorella Clara si sposa!
Ah, quale dolore vedersela portar via dal nido, soprattutto se a ghermirla è un angelo dagli occhi azzurri e la zazzera candida. Angioletto a dir la verità un po’ ambiguo, visto che ha una quarantina d’anni più della sposa suppergiù ed è direttore di un carcere alternativo, dove viene curato il lato sensibile ed artistico dei detenuti e dove lo Zio Stojil sembra essersi accomodato proprio da dio.
Tra dubbi e patema d’animo di Benjamin, arriva il fatidico giorno del matrimonio. Location? Ma il carcere ovviamente. Pompa magna della tribù Malaussène e del loro ramo arabo, abiti eleganti e macchine tirate a lucido, si conduce la sposa verso il suo radioso futuro.
Peccato che al suo arrivo il promesso sposo sia stato trucidato, il carcere incendiato e la splendente vita insieme ormai solo un ricordo.
Dietrofront della tribù che si chiude a bozzolo sulla povera vedova, che svela però una buona notizia: nella sua pancia è accoccolato un discendente del prematuramente morto probabile marito.
Benjamin fa di nuovo di-don alla porta della Regina Zabo che, subdolamente magnanima lo riaccoglie e anzi, gli affibbia subito il suo nuovo ruolo: non più Capro, bensì “impersonatore” del più letto e misterioso scrittore del momento, JLB.
Questo sfornatore di best-sellers ha un certo rifiuto nel mostrarsi al pubblico, così al suo posto, impomatato e acconciato, si prepara Benjamin. Interviste imparate alla virgola, voce impostata, abiti su misura, tutto bene studiato per l’incontro con il grande pubblico.
Che avviene in un palazzetto dello sport e che puntualmente porta sventura: Benjamin è là, solo al centro, con i riflettori puntati contro quando un proiettile lo becca proprio in mezzo alla fronte.
ZAC, buio. Benjamin si accomiata.
Per un uomo normale si aprirebbe un’indagine di polizia, per Benjamin si scatenano le mille peripezie di Julie, di Van Thian, di tutto il ramo arabo della famiglia, in una carambola verso la scoperta dell’identità dell’attentatore, indietro verso il passato, di Julie ma ancor più della Regina Zabo, la piccola Prosivendola che annusava e amava il profumo della carta.
Uno stile fantasioso, unico per me che sono spudoratamente di parte nei confronti di questo autore, che ho letto e riletto decine di volte. Una saga quella di Malaussène, esilarante ma non solo, piena di ironia seria sui più svariati temi.
Consigliato sempre e comunque, a tutti, a chi più ne ha più ne metta!

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    18 Luglio, 2012
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"Tenera è la notte"

In un periodo in cui mi ronzava in testa l’idea di leggere questo romanzo, eccomi un giorno scendere in cantina alla ricerca di vecchi appunti dell’università. Aprendo gli sportelli dei mobiletti trovo un tesoro: colonne e colonne di libri dimenticati. Rovistando in mezzo alla pile spunta fuori proprio “Tenera è la notte”, in una edizione degli Oscar Mondadori del 1967, prezzo 500 lire. Pagine ingiallite e sul punto di scollarsi, un odore dolciastro di carta e polvere.

Così è iniziata la mia lettura di questo particolare e difficile romanzo di Francis Scott Fitzgerald.
La storia è divisa in due sezioni. La prima ha inizio negli anni ‘20 sotto il sole della riviera francese in una spiaggia esclusiva. La giovane attrice Rosemary Hoyt, agli albori di una promettente celebrità, viene affascinata da un gruppetto di americani nel quale spiccano due figure, moglie e marito, Dick e Nicole, i Diver.
Dick, medico, è un uomo estremamente attraente e sembra possedere una innata capacità nel divertire e nel tirare fuori da ciascun individuo il suo meglio. Sua moglie Nicole forma con lui una coppia ammirata, sempre circondata da gente in cerca della loro approvazione. A Rosemary, sembra che il mondo stesso giri intorno a loro. Tanta lucentezza esteriore si offusca in seguito a degli episodi particolari e che rimangono perlopiù inspiegati, in accordo con la narrazione poco lineare di questa prima parte, dove si rimane un po’ confusi, ancora un po’ distratti e lontani dal centro della storia.
E’ nella seconda parte, che scopriamo le ombre celate dietro la facciata splendente della vita dei Diver.
Nicole infatti è malata di schizofrenia a seguito di un terribile trauma infantile. Dick che è psichiatra, entra in contatto con lei dapprima per interesse medico, che si trasforma lentamente e inevitabilmente in un sentimento profondo che li condurrà al matrimonio. Gli agi e gli innumerevoli viaggi concessi dalla notevole disponibilità economica di Nicole, non riusciranno ad evitare che il loro amore sia contagiato dalla sua malattia, presente non tanto come un uragano, quanto come una goccia insistente e logorante, che giorno per giorno minerà le basi del loro rapporto e lo stesso Dick, sempre più fragile ed impotente.

Il lettore assiste a tutto ciò non in prima linea, non gli è consentito di vivere i colpi devastanti della malattia di Nicole. Quello che vede, attraverso episodi esteriori come l’infatuazione di Dick per Rosemary, è un decadimento sottile, che pian piano arriva ad incrinare anche la vita sociale di quest’uomo così brillante, riducendolo ad una fiamma sempre più languida.
Questo romanzo che contiene molto della vita privata dello stesso autore, la cui moglie Zelda soffriva della stessa malattia di Nicole, è anche uno specchio della società del primo dopoguerra. Come il matrimonio dei Diver ,esteriormente brillante, nasconde in realtà matasse di dolore, così la spensieratezza, la ripresa economica del dopo conflitto erano solo luci artificiali che coprivano quel buio dove covavano paure, fragilità ed insicurezze.

La lettura è lenta, nella prima parte volutamente confusa, nella seconda più lineare. L’immedesimazione non è immediata e si rimane comunque sempre un po’ discosti dalle vicende narrate. Un senso di malinconia pervade tutte le pagine, un’amarezza sottile trasuda tra le righe. E’ un romanzo che va letto nel giusto stato d’animo, non quando si è troppo felici o emozionati, ma quando è notte, quando il buio attenua le emozioni, le nasconde alla vista, le circonda teneramente, in un alito di protezione e di sottile tristezza.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    10 Luglio, 2012
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"Follia"

La nostra mente è un balcone aperto sul mondo, o uno sgabuzzino fatiscente. Può diventare uno strumento verso l’ampliamento di noi stessi o una gabbia nella quale possiamo chiuderci fino a morire.
Questo è quello che ho pensato chiudendo questo romanzo.
La sensazione che questa storia mi ha lasciato rimasta è ambigua, cupa, nerastra.

Stella Raphael è la moglie del vicedirettore di un manicomio criminale inglese.
Le calde giornate estive trascorrono lente, come la sua vita, un po’ vuota un po’ spenta.
Lì, nel giardino della sua casa, a ristrutturare la serra c’è Edgar Stark, un detenuto in semi-libertà, scultore ed uxoricida.
Lei lo vede, lo sente, gli si avvicina attratta come una falena dal fuoco.
Diventano amanti, complici.
Quando Edgar fugge dal manicomio, lei abbandona tutto, figlio, marito e casa, per raggiungerlo in un decadente magazzino londinese.
Qui, nella miseria delle pareti che la circondano, Stella si accorge per la prima volta della malattia di Edgar, delle sue fissazioni, le sue paranoie. Lui la maltratta, la picchia, lei scappa da lui, ma mai, neanche un momento, lo rinnega.
In un susseguirsi di vicende nefaste, Stella vortica sempre più tenacemente e sempre più silenziosamente nel vortice della follia, sino ad un finale che è l’apice dell’espressione della malattia che la sta mangiando.

Se questa a grandi linee è la storia, ciò che mi ha suscitato questo romanzo richiederebbe pagine e pagine per essere spiegato. Sin dal principio, quando capisco che a narrare le vicende è Peter, lo psichiatra che poi avrà in cura Stella, mi sento estranea, sensazione che permane allo scorrere delle pagine.
Stella non mi ispira compassione, né comprensione. Stella mi irrita.
Edgar Stark non ha alcun fascino, i loro incontri sessuali non hanno acceso il minimo barlume di eccitazione nella mia testa, non mi hanno fatto pensare neanche per un secondo ad una coppia di amanti disperati.
I personaggi che li contornano sono anch’essi privi di caratteristiche positive: il marito è debole, la suocera meschina; anche le altre figure che compaiono nel corso della narrazione mancano di una struttura forte, sono fantasmi, fragili.
La totale assenza di aspetti positivi è, a mio avviso una scelta dell’autore per impedirci di avere punti fermi, di appigliarci. Lui ci vuole trascinare lentamente ed inesorabilmente nello stesso burrone che inghiotte Stella, vuole farci vedere come il buio della mente possa essere capace di rendere buio tutto ciò che lo circonda.

Perché questa non è una storia d’amore, né impossibile né folle. Questo è un caso clinico, quello della follia di Stella Raphael.
Peter racconta un pensiero di Stella: “Ma quello che aveva davanti non era lui. Era un altro. A meno che l’uomo del giardino non se lo fosse inventato lei a misura dei propri bisogni.”
La mente folle di Stella per qualche motivo si costruisce una gabbia, che ha la faccia, il corpo, le labbra di Edgar Stark; ci si chiude dentro e ci si lascia prosciugare.

Un libro consigliato per la capacità di fagocitare in una storia difficile, buia, che lascia storditi, affaticati, forse infastiditi, ma che, ponendoci da un punto di vista razionale, va in realtà a stuzzicare proprio quegli angoli della nostra mente dove la razionalità si perde.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    14 Giugno, 2012
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TRA MOGLIE E MARITO NON METTERE IL DITO..

Lars Kepler è in realtà lo pseudonimo di due scrittori (Alexander e Alexandra, così non ci si sbaglia) marito e moglie, che invece di discutere come tutte le coppie normali per l’arredamento del salotto, si beccano su cosa far dire e fare al personaggio di loro invenzione, Joona Linna.

Quando hanno scritto il loro primo romanzo “L’ipnotista”, doveva essere un periodo di forte intesa, poi probabilmente il ménage domestico ha subito qualche scossone, visto il ritmo altalenante di “L’esecutore”.

Il libro inizia con da-dan! un uomo che sembra sospeso nell’aria in mezzo ad una stanza, musica di sottofondo. Allora tu pensi che ci sarà una buona dose di mistero, magari qualche magia, qualche trucco, qualche setta da stanare. Sbagliato!L’uomo penzola attaccato ad un filo da bucato, che semplicemente, controluce non si vede. In barba al mistero e alle teorie assurde che nascono da questo inizio, la storia si snoda in tutt’altra direzione.

C’è una ragazza, Penelope, che è a capo di una associazione pacifista, che se ne va tranquilla in barca col ragazzo Bjorn e la sorella Viola. Dopo aver approdato su un’isoletta in parte deserta, Penelope e il fidanzato scendono per una passeggiata “romantica”. Al ritorno trovano la povera Viola morta e si accorgono quasi istantaneamente che c’è un uomo che li insegue e che non ha buone intenzioni.
Mentre i due tentano la fuga nei meandri dell’isola, la barca viene rinvenuta e con essa il cadavere, che presenta però un’anomalia: la morte è per annegamento, ma i vestiti sono completamente asciutti.
Joona Linna capisce che la ragazza è stata uccisa, affogata in una tinozza e che la barca è stata manomessa per far si che, una volta eliminati tutti e tre i passeggeri, potesse saltare in aria e non lasciare traccia.
Chi ha architettato un piano così preciso? Soprattutto perché?

Trafficanti d’armi, leggi internazionali sull’esportazione di materiale bellico, il Darfur, la musica, Paganini e i suoi violini. C’è di tutto in questo thriller. Tanti personaggi, tante storie intrecciate che finiscono per intontire anziché interessare. Tanti spunti promettenti che non vengono approfonditi o risultano deludenti dopo tanto disperare.
Joona Linna è sonnacchioso. Me lo immagino lì, seduto tra Alexander e Alexandra, con il mento tra le mani che sospira nell’attesa che i due si decidano su cosa scrivere.
Le due mani si sentono, ma sembra che vogliano prendersi un po’ a pugni.

Visto che questo è il secondo di una serie di otto, confido nel ritorno della quiete familiare e leggerò prima o poi il terzo, “La testimone del fuoco”.
Da sconsigliare totalmente no, ma da leggere senza aspettarsi faville.

PS: sento la mancanza di Henning Mankell!

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    08 Giugno, 2012
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"TORNO INDIETRO PER UN BACIO"

Come si fa a non innamorarsi della copertina di questo libro, con quella bella balena sospesa nel cielo?

E come si fa a non essere incantati da Penelope, detta Pepe?
Dalla sua mania per Lost, dalla sua passione per i cappellini di lana rosa con i coniglietti o, sciccheria assoluta, coi maialini?
Dalla sua goffaggine, l’assoluta mancanza di tatto, dalla sua allergia per le frasi sdolcinate?
O ancora, dal suo carattere istintivo, talvolta un po’ isterico?
No, davvero, è impossibile non affezionarsi alla protagonista di questo breve romanzo.

Tutto comincia con una bella caduta sul ghiaccio. Di Pepe, ovviamente.
Con il pronto aiuto di un affascinante soccorritore: Jean. Che Penelope trova subito davvero attraente, anzi no, troppo, esageratamente attraente.
Tanto che alla fine ci scappa una bella cioccolata calda al bar, insieme.
Solo che poi, perché la cioccolata si trasforma in una cena al ristorante?
E perché mai il dopocena si prolunga al cinema dove Twilight è democraticamente trasmesso in tutte le sale?
E dal cinema come si finisce a passare una notte insieme?
Ohmioohmiodioohmio esclamerebbe Pepe!!! Lei è fidanzata!No!Di più!Mancano solo due mesi al suo matrimonio!Cosa ci fa questo sconosciuto nel suo letto?Nella sua vita?Nei suoi pensieri?
Altaltalt dovrebbe dirsi, se non fosse che tra lei e Jean sembra esserci qualcosa di così intenso, così magico, così perfetto. Allora eccoli lì, trascorso un anno, amanti clandestini, che approfittano per stare insieme di quei rari momenti in cui Francesco, l’OrmaiMarito di Pepe, si allontana da casa.

Una situazione così precaria non può durare a lungo e infatti, qualcosa si incrina, si rovina e in un baleno Jean non è più accanto a Pepe. Lei è disperata, sconvolta. Piange addirittura, lei che ha le valvole lacrimatorie più tappate di un tubo arrugginito.
Cosa fare adesso?Riuscirà Penelope a capire qual è la strada che deve realmente percorrere?A fare quelle scelte che la porteranno verso la felicità, quella autentica?
La risposta sarà molto più complicata del previsto, con dei risvolti assolutamente imprevedibili!

Un libro dolce, ironico, attuale, divertente e coinvolgente, con una scrittura giovane, a tratti magari un po’ ingenua, ma nel complesso piacevolissima. Avvolgente come i cappellini di lana di Pepe. Coniglietti o maialini inclusi.

Sulseriosulseriosulserio, lo dovete proprio leggere!

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    07 Giugno, 2012
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"ALEX"

Chiudo il libro, soddisfatta.
Ah, i francesi … Chissà perché riescono sempre a convincermi.
Poi “Alex” mi ha fatto tornare in mente la stupenda Jeanne Moreau nei panni di Julie Kohler ne “La sposa in nero” di Truffaut. Un altro francese, un’altra storia.

Questa, di storia, inizia con delle parrucche, quelle che Alex si sta provando poco prima di essere rapita, poi brutalmente picchiata e infine rinchiusa in una gabbia dove non riesce neanche a stare seduta.
Dove ogni movimento, ogni posizione causa dolore. Agonia.
Il cibo è pochissimo, l’acqua razionata. I muscoli gridano e la paura le offusca gli occhi e la mente.
Alex dapprima oscilla nel buio, poi capisce. Ogni cosa. Chi sia quell’uomo, perché l’ha rapita. Sa anche che la vuole morta. Ma niente serve, perché poi arrivano i topi. Ratti enormi che aspettano solo di gettarsi su di lei.

Nel frattempo, la fortuita testimonianza di un passante ha messo la polizia sulle tracce di questa donna che nessuno sembra conoscere né tantomeno reclamare.
Le indagini su questa sparizione senza capo né coda sono affidate al piccolo comandante Camille Verhoeven, un metro e quarantacinque di caratteraccio. Questo caso per lui è una vera tortura, sia perché non sa come muoversi, sia perché gli ricorda dolorosamente un altro rapimento, quello della moglie, che non ha più visto viva.
Verhoeven, nonostante il rifiuto iniziale, lotta per trovare la ragazza sconosciuta, perché salvando lei potrebbe forse perdonarsi di aver fallito con sua moglie.
E la pista, quella giusta, velocemente si delinea.
Cosa fare però, una volta che, trovato il rapitore e il luogo della prigionia, la vittima è misteriosamente scomparsa?

Il tarlo del sospetto scava nella testa di Verhoeven. La sconosciuta rapita sembra non esistere su nessun registro, per nessun familiare. Non esiste se non su delle foto scattate dal rapitore e in nomi falsi che ha lasciato dietro di sé. Uno scenario imprevedibile si profila davanti ai suoi occhi. E se fosse tutt’altro che la vittima che loro credono sia?

Un thriller particolare, insolito, con una trama dove i ruoli sono continuamente invertiti, lo stato d’animo muta continuamente, come cambiano le parrucche di Alex.
Leggiamo di lei e del piccolo Verhoeven, in questa storia che è in realtà un cammino verso la giustizia.
Una giustizia tutta umana che può trasformare le vittime in carnefici, e viceversa, all’infinito.
E lei, Alex, che crediamo di conoscere, perché la vediamo nuda ed imprigionata, perché sentiamo i suoi pensieri, i suoi dolori, perché ne scorgiamo le colpe, all’ultima pagina sa ancora stupire. Soprattutto restando impressa a lungo nei pensieri, anche una volta che si è chiuso il libro e lei è rimasta intrappolata tra le pagine.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    04 Giugno, 2012
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Cosa c'entra Facebook con la pioggia?

Adesso ditemi, cosa c’entra Facebook con la pioggia?
E che ci fa quello strano marchingegno costruito davanti alla casa della vedova Martella?

E’ con questi quesiti che si inizia questo piacevolissimo romanzo.

Siamo un paesino del centro Italia, di quelli un po’ dimenticati da Dio, ma a quanto pare non da Internet.
Qui vive Evandra Martella che è rimasta vedova, appunto.
Lei e il marito erano come due uccellini, sempre lì a cinguettarsi teneramente chissà cosa, sempre al bar insieme, al cinema insieme. Innamorati come non mai.

Poi un bel giorno lui era morto. Accasciato così su una sedia. L’ha lasciata sola, che più sola non si può.
Cosa fa ora Evandra?
Poco. O niente. Casalinga per far piacere al marito, le sue giornate sono lunghe come una quarantena.
Prima il suo Aurelio alle 5 lasciava il lavoro per tornare da lei, ma adesso? I pomeriggi non finiscono più.
Perciò su, ci si deve organizzare.
Suo marito non può più venire da lei? Allora è lei che si trasferisce da lui.
Evandra comincia così a passare le giornate al cimitero.
Seduta davanti alla tomba di Aurelio, gli parla, gli sistema i fiori, stringe amicizia con le altre signore venute a visitare i loro cari; si imbastiscono veri e propri tornei di scopa e si festeggia il Natale con panettone e spumante.

Va avanti così per qualche anno, finché non arriva la pioggia.
O meglio, Evandra comincia a chiedersi cosa fare quando piove. Al cimitero non può andare ed è stufa di rigirarsi le dita seduta in casa.
Chiede perciò consiglio alla sua amica Rosalena, che è una donna in carriera, lei sì che sa come occupare il tempo. E Rosalena le dice “Beh, vai su Facebook”.

Evandra neanche sa accendere il computer figuriamoci se sa cosa sia Facebook, perciò dai con le lezioni accelerate di informatica gentilmente offerte dal sig. Gesualdo detto Baldo, uomo solitario dall’animo gentile.
Poco dopo, ormai padrona della rete e di Facebook, Evandra si affaccia su un mondo tutto nuovo, dove la pioggia, la noia e la solitudine non fanno più paura.
O forse è solo un’illusione?

Una scrittura lieve e delicata, per una storia dolce, moderna e con una nota d’altri tempi, che racchiude tanti temi: la solitudine, la nostalgia, il ricordo, l’amore, internet e le sue trappole.
Un romanzo breve, che si legge velocemente ma che sa lasciare tante note positive, tanti spunti per riflettere.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    04 Giugno, 2012
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"Io uccido"

Prestandomi questo libro, mio fratello mi fa: “Tanto non lo capirai mai chi è l’assassino!”, non so se per ammirazione nei confronti di Faletti o per una scarsa fiducia nelle mie capacità intuitive.
Per dargli un bello smacco, mi sono trasformata in un investigatore, ripromettendomi di sospettare di tutti, dal giornalaio al barista, dal fruttivendolo al più ignaro dei passanti.

Ed eccomi qua, catapultata a Montecarlo, città di mare, soldi, divertimento.
E’ una serata tranquilla. Alla radio c’è “Voices” il programma di successo condotto da Jean- Loup Verdier.
All’improvviso uno telefonata irrompe nello studio radiofonico. La voce calda e morbida del dee-jay se ne trova un’altra, dall’altro capo del filo, così gelida e feroce che sembra arrivare dal profondo della terra.
O dall’inferno.
In una conversazione che è puro delirio questa voce dichiara: “Io uccido”.

La mattina dopo, mentre lungo il molo il sole mi scalda la testa, una barca col timone bloccato va a schiantarsi contro un’altra ormeggiata.
All’interno due cadaveri. Un famoso pilota e un’altrettanto celebre campionessa di scacchi.
I loro volti sono orrendamente mutilati e su un tavolino è stata tracciata una macabra scritta: “Io uccido”.

Incaricato delle indagine (il mio personale contributo è tutto dietro le quinte!!), è il commissario Hulot, uomo profondamente segnato dal dolore della perdita del figlio. Vista la situazione complessa che si prospetta, Hulot tenta di coinvolgere il suo amico e agente del FBI Frank Ottobre, che si trova a Montecarlo per affrontare la sua personale sofferenza, per risanare le sue cicatrici. Dopo vari tentennamenti, i due finiscono per formare una squadra.

La frustrazione fa da padrona, vista l’assoluta mancanza di indizi, fino quando si riesce a risalire alla telefonata alla radio, l’unica piccola e labile traccia che l’assassino sembra avere lasciato.
La polizia si apposta quindi negli studio radiofonici, tutti pronti a registrare nonché localizzare un’eventuale ulteriore telefonata. Che puntualmente ci sarà.
Ci sarà però anche un nuovo omicidio. E un clamoroso buco nell’acqua per i poliziotti.

Nell’assoluto sconcerto e sconforto generale, sarà Frank Ottobre ad aprire un piccolo foro di luce nel buio profondo in cui si nasconde l’assassino, una pista da seguire verso tutta un’altra storia, tutta un’altra vita.

Ed è a questo punto che ZAC!Una scintilla ha illuminato anche il mio di buio!L’assassino era lì, nella mia testa mi sono urlata “Lo so!Lo so!”, giusto qualche capitolo prima che Faletti confermasse i miei sospetti.
Ovviamente è seguita una telefonata a mio fratello con dovuto vanto delle mie qualità investigative.

Ora, per rendere un pochino utile questa recensione …”Io uccido” è un bel thriller. Dietro la caccia ad un assassino che sembra posseduto dal male stesso, si nasconde e si parla della lotta di ognuno con i propri demoni, di quella battaglia che si combatte per cacciare quelle ombre che rischiano di prendere il sopravvento. Siamo tutti su un filo in equilibrio, a metà fra la possibilità di salvarci o di cadere nella follia.
Scrittura scorrevole, una trama piacevole, né troppo complessa né banale, personaggi credibili. Consigliato, quindi.

Da bravo investigatore, sebbene immaginario, adesso me ne vado a riposarmi con una lettura d’amore.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    25 Mag, 2012
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"IL RUMORE DEI BACI A VUOTO"

Un bacio a vuoto è uno schiocco nel silenzio.
Un messaggio che viene lanciato davanti a sé. Che si può cogliere, o lasciar cadere.
Un bacio a vuoto può arrivare comunque a sfiorarti una guancia. O può precipitare senza successo.

Sono così i racconti racchiusi nel libro di Ligabue.
Spezzoni di vite gettate tra le braccia del lettore, che può coglierne il significato nascosto, o passare oltre indifferente.

Sono storie brevi.
Episodi particolari o di assoluta quotidianità, in cui si possono cogliere quei temi che ne sono il filo conduttore: l’amore e il rispetto.

L’amore per un cane, una moglie, la vita, un genitore.
Il rispetto per gli altri, per una malattia, per un sentimento, per il passato.

Una penna semplice ma efficace.
Ogni racconto non ha passato, è solo quell’istante di presente che ci è dato conoscere, ma allo stesso tempo, con pochi tratti è come se avessimo un quadro completo della vita di ogni personaggio.

I finali sotto tutti aperti, tutti lasciano dubbi, sorpresa, solo talvolta un senso di incompiutezza.

Un libro che mi è piaciuto leggere, con alcuni racconti che mi sono rimasti particolarmente impressi e solo alcuni che non mi hanno convinto, quelli in cui si perde un po’ il filo che lega gli altri.

Comunque consigliato.
E a chi lo ha letto vorrei chiedere: ma quel coniglio che si vuole cucinare alla fine del racconto “Il rumore dei baci a vuoto”… è veramente un coniglio??

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    21 Mag, 2012
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"INSEPARABILI"

Ci si avvicina ad un libro sempre con un’ aspettativa o, al contrario spesso ci si allontana con un pregiudizio. Quando mi sono trovata tra le mani “Inseparabili” non sapevo davvero cosa aspettarmi. Mi allettava la copertina, o forse il titolo, nessun altro appiglio. Ho iniziato a leggerlo con una coscienza neutra che di solito è difficile mantenere, di fronte ad un romanzo che si attende da tempo o che si è desiderato con tutte le proprie forze.
Dopo un inizio tiepido, la storia racchiusa tra le pagine ha iniziato ad interessarmi, a rapirmi.
A raccontare di Filippo e Samuel è una voce terza, esterna, che sembra però sapere tutto di questi ragazzi, della loro famiglia, delle loro vicende attuali e passate.

Filippo e Samuel Pontecorvo sono fratelli. Hanno entrambi vissuto da piccoli la terribile vicenda che si è riversata sulla loro famiglia: il padre, Leo, famoso medico, accusato di molestie sessuali dalla fidanzatina dodicenne di Samuel, si era rinchiuso nello scantinato per mesi e mesi, scantinato da cui non era più uscito vivo.
La colonna sonora di quegli eventi è stato un silenzio raggelante.
Un silenzio che si è sottilmente instaurato nella casa, nei rapporti con il padre, tra la madre e i due figli ed infine nei confronti di quella stessa vicenda che senza rumore ha rotto ogni equilibrio.
La tragedia di casa Pontecorvo è rimasta poi come una malattia latente nelle menti dei superstiti, se ne sta lì in agguato, muta, pronta a trovare però uno spiraglio da cui irrompere come un animale feroce.
Gli anni poi sono passati, la vita è andata comunque avanti ed ecco qua i due fratelli ormai alle soglie dei quaranta.

Il maggiore Pontecorvo,Filippo, ipocondriaco di esperienza, sfaccendato che ha fatto dell’arte del non far nulla, e del non saper far nulla, uno stile di vita e che ha sposato un’attricetta, ex di Non è la Rai, figlia di papà ricca e viziata, che lo mantiene e lo assilla con i suoi mille tormenti e le sue mille paranoie, si ritrova impensabilmente al successo grazie a qualcosa che lui ha prodotto.
Si, perché la sua passione per i fumetti, per quei disegni che fa sin da bambino, si trasformerà in un film proiettato addirittura a Cannes e idolatrato dai critici e poi dalle folle. Un po’ meno da quegli estremisti islamici che invece lo vogliono accoppare. E Filippo inizia pure ad avere un po’ di paura.

Samuel, il secondogenito, quello che invece fa sempre tutto bene, brillante a scuola e nei rapporti sociali, è intrappolato peggio di un pesce nella rete. Praticamente cosa c’è che va nel verso giusto nella sua vita?Niente. Gli affari vanno male, anzi peggio, peggio di come siano mai andati. Si sta per sposare con una donna, con cui non ha rapporti intimi da anni e quelli che ha avuto erano uno strazio. Ha pure un’amante, ma anche qui non fila affatto liscia. E Samuel inizia pure un po’ a preoccuparsi.

E’ in questo frangente che i due fratelli si cercano, l’uno prova a chiedere conforto all’altro, scovando però un solco profondo che li ha divisi, che ha trasformato quei due esseri così amalgamati in due entità distinte e un po’ ostili. Sarà solo affrontando le beffe del presente e spolverando la cappa opprimente dei silenzi del passato, che i due potranno ritrovare quell’unicità che li distingueva nell’infanzia, la magia di quel disegno fatto da Filippo, che ritraeva due uccellini Inseparabili travestiti da supereroi, l’uno accanto all’altro, uno grande uno piccolo, uno Filippo e uno Samuel.

Ironica e beffarda, lucida e paranoica, è la voce che narra questa storia così particolare, che mescola presente, passato, futuro e pure qualche disegno qua e là tra le pagine.
Essere completamente neutra mi ha aiutato, mi ha fatto apprezzare questa storia che non saprei definire con le mie elementari caselle di genere, ma che posso tranquillamente consigliare come una lettura assolutamente piacevole.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Viola03 Opinione inserita da Viola03    21 Mag, 2012
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"Niente di vero tranne gli occhi"

I romanzi di Faletti mi sono sempre piaciuti con qualche riserva, forse per lo stile, forse per la trama o per il modo di caratterizzare i personaggi, ma nonostante questo “Niente di vero tranne gli occhi” mi ha convinta.
Siamo a New York, la città dove tutto è possibile, anche l’omicidio del famoso quanto discusso pittore Gerard Marsalis, meglio conosciuto come Jerry Kho. A complicare l’indagine sulla morte di un personaggio così in vista e con una vita così piena di eccessi, intervengono due particolari: primo, il padre della vittima è il sindaco di New York, secondo il cadavere è stato posizionato in modo tale da ricordare Linus, uno dei personaggi dei Peanuts.
Questo dettaglio, taciuto ai media, è quello che più sgomenta gli investigatori presenti sulla scena del crimine, tra i quali figura anche Jordan Marsalis, fratello del sindaco. Jordan non fa più parte della polizia a causa di una torbida faccenda che ne ha causato l’estromissione. Viene però pregato da suo fratello di collaborare in via ufficiosa per tentare di trovare un filo in una matassa intricata come quella comparsa sotto i loro sguardi attoniti. Tanto più che l’assassino sembra abbia voluto lasciare loro un piccolo indizio: dopo Linus ci sarà Lucy.
Nello stesso momento, dall’altra parte del mondo, a Roma, troviamo Maureen Martini, commissario di polizia, che sta vivendo un momento molto particolare della sua vita: da una parte c’è l’amore, quello vero finalmente, con un famoso cantante americano, dall’altra il peso e la paura del processo che dovrà sostenere per l’accusa di aver ucciso un uomo. Questo limbo in cui sembra sospesa viene però spazzato via da un tragico evento che devia brutalmente il corso della sua vita e la condurrà proprio a New York, dove per uno strano gioco del destino, si troverà a collaborare con Jordan Marsalis alla corsa per trovare e fermare l’assassino dei Peanuts.
Un libro ben scritto, l’attenzione del lettore è sempre tenuta viva. L’azione si mescola alla suspense o a momenti di riflessione dei personaggi, tutti piuttosto ben delineati. Un bel thriller insomma, che soprattutto ha un finale di quelli da non credere ai proprio occhi. Anche se Faletti ce lo dice…è proprio a loro che dobbiamo affidarci!

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    07 Mag, 2012
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"L'armadio dei ............"

Nelle pareti del naso permane ancora l’odore della marmellata, di una torta che sta cuocendo, mentre il freddo pungente del Nord fa diventare rosse le mani. E ho le dita ancora macchiate del succo delle fragole che spuntano come rubini sull’affacciarsi dell’estate.
Nella testa risuonano ancora le voci di queste donne, le protagoniste del romanzo “L’armadio dei vestiti dimenticati”, il loro racconto di mogli, amanti, madri e figlie.
Sono queste le sensazioni che mi restano, sensazioni delicate, dolci, malinconiche, coperte da un velo per non far fuggire il calore.
La storia parte dalla malattia di Elsa, psicologa di successo, che si scopre malata gravemente. Nella consapevolezza della fine imminente, si trova circondata dalle amorevoli e ansiose cure della figlia Eleoonora, e delle sue nipoti Maria ed Anna. Sarà proprio quest’ultima, malata di un dolore di cui non riesce a parlare e con il quale non riesce a confrontarsi, che curiosando nell’armadio della nonna scoverà un abito dimenticato, appartenuto ad una donna di cui nessuno ha più parlato, il cui ricordo è ancora una ferita aperta. L’occasione verrà colta da Elsa, che sa che è forse l’ultima opportunità per raccontare e farà della nipote la sua ascoltatrice della storia di Eeva.
Quando Elsa era ancora una giovane psicologa e viaggiava spesso per lavoro, sua figlia Eleoonora, aveva bisogno di una persona che si prendesse cura di lei nei periodi in cui sua madre era fuori.
Un bel giorno era spuntata lei, Eeva, con addosso l’odore dei prati, degli animali, della campagna, le sue lunghe gambe e la sua pelle bianca, eterea.
Eeva era piaciuta a Elsa, alla bambina, ma per uno strano disegno del destino era piaciuta, troppo e in maniera forse sbagliata, anche a al marito di Elsa, il famoso pittore Marrti.
Con un misto di tenerezza, senso di colpa, bisogno di normalità la relazione tra i due nasce e si dipana negli anni, sotto gli occhi innocenti ma attenti della piccola Eleoonora.

In una narrazione che unisce presente e passato, l’autrice ci conduce in punta di piedi nelle vite di queste donne, nei loro amori, nel loro essere madri e figlie, nelle loro ansie, paure, nel loro confrontarsi con la morte. E le voci di queste figure femminili si fondono e confondono nel racconto, le loro storie sono intrecciate come le maglie di una tela, le loro vite cercano risposte con affanno, risposte che possono venire solo mettendo sul piatto la verità e la propria anima scoperta.
Con dolcezza, ci ritroviamo immersi nei profumi del nord, sentiamo sulla pelle l’umido della sauna e il gelo dell’acqua del lago, stringiamo la mano alla piccola Eleoonora, e mangiamo una torta con Eeva. Vorremmo abbracciare Elsa che se ne va e poi consolare Anna per i suoi dispiaceri.
Questo è quello che resta di “L’armadio dei vestiti dimenticati”, un calore dentro difficile da raffreddare.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    03 Mag, 2012
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"La ragazza senza...."

A me i commissari tormentati piacciono. Ed Harry Hole lo è, senza dubbio; lo dimostrano gli incontri ravvicinati dal finale burrascoso che ha ogni tanto con il suo fedele amico Jim Beam.

Ma Harry Hole è tosto. E soprattutto sveglio.

In "La ragazza senza volto" si ritrova a cercare l'assassino di un giovane membro dell'Esercito della Salvezza, ucciso nel bel mezzo di un concerto di Natale. Foto e video registrati dai giornali e dalle telecamere di sicurezza mostrano un uomo il cui viso sembra mutare ogni istante, rendendolo praticamente irriconoscibile e quindi impossibile da fermare.
Unico particolare, una sciarpa rossa.

Quando l’assassino compare di nuovo per colpire un altro obiettivo, le piccole tracce lasciate dal suo passaggio cominciano a delineare i segni di una pista, che sembra condurre fino a Zagabria, fino ad una figura quasi leggendaria della guerra, un bambino che faceva saltare carri armati.

Il commissario Hole sa però, che quando la terra è smossa, non è improbabile che l’osso sia lì nei paraggi. Il suo occhio perciò si insinua ad osservare il mondo della vittima, scosta le tende e spia tutte le trame di rapporti che si nascondono dietro a silenzi colpevoli o alla rigida organizzazione dell’Esercito della Salvezza.
E la pista che sembrava delineata si rivela invece intricata come una ragnatela.

Un thriller vivace, ben scritto, con la giusta dose di suspense, azione, ragionamenti, freddo nordico e quel pizzico di vita privata del protagonista che tiene l’attenzione sempre viva.

Poi l’ho detto, i commissari tormentati mi piacciono. L’ho detto, Harry Hole mi piace.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    05 Aprile, 2012
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"Le dò 6" - "Che pa**e Prof!"

Allora, le cose sono due: o sono io che invecchio e quindi le storie d’amore degli adolescenti mi sembrano abbastanza imberbi, o è l’autrice di “Il mio inverno a Zerolandia” che ce la mette tutta, ma proprio tutta per farcelo apparire così. Che poi qui, questi due, i protagonisti, si mollano, si riprendono, si avvicinano, si allontanano, non si capiscono, proprio come piace a me insomma. Solo che niente, quella scintilla per me non è scattata.
La storia in sé non è male. C’è Alessandra, adolescente, che perde la mamma per una grave malattia. Il suo mondo crolla, si inabissa. Tornata a scuola dopo il lutto, decide di cambiare banco e va a sedersi nell’ultima fila, accanto al reietto assoluto della classe, Gabriele detto Zero, quello che non fa mai bene un’interrogazione, viene a scuola un po’ si e un po’ no, che porta vestiti da quattro soldi.
Il gesto di Alessandra è osservato dagli occhi increduli dei compagni, che si domandano cosa possa spingere qualcuno a sedersi lì nella terra desolata.
Lei lo ha fatto in un attimo di poca lucidità, per rompere con quel passato che ora sembra non appartenerle più, per dare un senso al dolore che riempie ogni momento, gesto, sguardo.
Laggiù, nella zona di confine, Zerolandia appunto, i due inevitabilmente finiscono per unire le loro solitudini, i loro silenzi, il loro senso di vuoto, in una strana, complicata, tortuosa storia di amore.
Il romanzo si divide in due diversi tipi di narrazione, da una parte scorrono i giorni, con le lezioni, la vita quotidiana, il progredire dei rapporti tra Zero e Alessandra. Dall’altra ci sono dei momenti di riflessione della protagonista, che ricorda, pensa e parla a sua madre.
Mentre i secondi riescono a far percepire l’intenzione, a trasmettere il dolore che si può provare nel perdere un genitore, la solitudine che ne consegue, i primi tendono a essere un po’ superficiali, vuoti, pieni di considerazioni un po’ banali, un po’ confusionarie.
Nella sempre mia buona predisposizione, credo che questo sia in parte volontà dell’autrice, che ci mostra la trasformazione, la maturazione di una ragazza, nei confronti di un avvenimento sconvolgente, il suo essere adulta nell’affrontare i ricordi, la sofferenza, la mancanza; dall’altra dato che sempre di un’adolescente stiamo parlando, ci viene mostrato l’altro suo mondo, quello dove ancora non sa muoversi bene, fa cose un po’ sciocche, commette errori (sempre forse come antidoto al dolore).
Un po’ per esperienza personale, direi che ci sta: si cresce o si invecchia di colpo per certe cose, si rimane totali immaturi per altre (anche mooolto dopo i 18 anni!!!).
Nel complesso mi è piaciuto via, ma non mi ha totalmente convinta. Spero di leggere presto qualcos’altro.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    04 Aprile, 2012
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"Un uso qualunque di te"

Ci sono persone che cercano la felicità, ma non la trovano. Viola è una di queste.
Lei vive sfiorando la vita coi soli polpastrelli. Non affonda mai le dita intere.
Lei vive in superficie. E ferisce. Tanto.
A farne le spese è suo marito Carlo, che la ama come una bambola delicata, come una bambina di cui bisogna coprire le marachelle, la ama profondamente, perché lui le dita le immerge sempre tutte.
E ne fa le spese Luce, la loro figlia, che di Viola prende dei ritagli, degli attimi, mai pezzi interi.

Viola oscilla. Carlo tiene fermo il suo mondo e quello di Luce.
Viola tradisce. Carlo resta fedele alle mura racchiuse dietro al portone della loro casa.
Viola si perde. Carlo la ritrova, perché sa dove cercarla.
Carlo risolve tutto. Per Viola e per Luce.
Ma una sera Carlo ha bisogno di Viola, Luce sta male. La cerca, accanto a lui nel letto non c’è.
Stavolta come le altre, riesce però a farle arrivare la sua voce.
Viola è in un altro letto, tra altre lenzuola. Si veste in fretta, sconvolta.
Insieme a lei verso l’ospedale corrono i sensi di colpa, neri, cupi come nuvole in tempesta.
Lì, tra l’odore dei disinfettanti, trova suo marito sconvolto, disperato, arrabbiato come mai lo ha visto nella sua vita. La loro Luce, sta male, malissimo. Rischia di morire. E lei non c’era. Era tra le braccia di un altro qualsiasi.

Lei, Viola di fronte alla tragedia, si trova a dover fare finalmente i conti con se stessa.
Con le sue bugie. I suoi tradimenti. Le sue fughe. I suoi sogni infranti. La felicità mai trovata.
Nell’arco di una nottata, Viola ripercorre la sua vita. Dal primo incontro con Carlo, il loro innamorarsi. Lui così perfetto, così premuroso. Lei già così sbagliata, fuori posto.
Rincorre il tempo sfuggitole tra le dita, il suo amore segreto, i suoi dolori, i suoi sogni persi per strada.
La sua amicizia con Angela, la nascita di Luce. Tutto vissuto però, sempre come trattenendo il respiro, sempre con il fiato mozzato da sensi di colpa taglienti, sempre rimanendo un palmo distaccata da se stessa e da coloro che la amavano.

Ma anche una donna come lei, che sa amare solo a modo suo, non nel modo giusto, è capace ad amare più della sua vita. Lei ama Luce così. E in questo percorso disperato che è “Un uso qualunque di te”, Viola riesce a in un’unica volta, a dare a sua figlia un gesto di amore estremo, profondo e lacerante.

Colpita dalla copertina, ho acquistato in fretta e furia questo piccolo romanzo. L’ho letto d’un fiato, avidamente, sentendolo arrivare sino a punti nascosti. Ho provato amarezza, disagio, stupore, malinconia, rabbia, delusione, tutti però istigati dalla scrittura decisa, diretta da cui emerge questa donna, labile, impalpabile, immatura, fragile, disattenta, egoista ed incostante, ma assolutamente indimenticabile.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    02 Aprile, 2012
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"La Forza Del Destino"

Se sia il destino ad indicarci una via già tracciata, o se sia l’uomo a decidere per le proprie sorti, è quello che si domanda Franco Bordelli, ormai ex-commissario in pre-pensionamento, ritiratosi in campagna, dopo la lunga e difficile indagine sull’omicidio del piccolo Giacomo Pellissari. Pur conoscendo infatti gli assassini, non può incastrarli, per mancanza di prove e per un duro avvertimento da parte del più potente tra loro: la sua innamorata Eleonora viene infatti brutalmente violentata nel suo appartamento. “Lascia perdere” è il messaggio chiaro ed inequivocabile.
Bordelli quindi fa scivolare via il distintivo e si rifugia in un vecchio casolare, in solitudine, i suoi malinconici fantasmi a fargli compagnia.
L’esilio diviene presto piacevole, con il rituale del fuoco, buoni libri a riempire le serate, un orto che spunta pian piano dal nulla, con pomodori, peperoncini ed erbe aromatiche.
Chi lo circonda, Piras soprattutto, non crede fino in fondo alla sua conversione in tranquillo uomo di campagna, forse a ragione, perché Bordelli sta conducendo in gran segreto una vendetta senza scampo: uno ad uno, gli assassini di Giacomo devono pagare. Nessuno però, deve sapere del suo piano, nessuno deve di nuovo rimanerne coinvolto, come è stato per Eleonora.
A dargli l’impulso per proseguire nel suo intento, è l’intricata faccenda che gli si presenta alla porta sotto forma di una donna anziana, arroccata nel castello che intravede dalla sua finestra. La poveretta infatti, molti anni prima, ha perso suo figlio, morto suicida in quello stesso castello, chiavistelli chiusi e finestre sprangate dall’interno, nessuno che fosse entrato, nessuno che potesse uscirne. Ma la donna è convinta, per uno strano istinto o una assurda follia, che si tratti di omicidio.
Bordelli allora indaga, stuzzicato suo malgrado dall’enigma apparentemente irrisolvibile e quando la verità appare sotto i suoi occhi, l’ingranaggio della vendetta subisce uno scossone, perché lui ora sa come fare per sferrare un nuovo attacco.
Come in una ricetta perfetta dal vangelo culinario del suo amico Botta, Bordelli esegue in perfetta successione tutti i passi per rendere giustizia al piccolo Giacomo, cogliendo i segni che il destino sembra gettare di volta in volta sulla sua strada, senza accorgersi di essere lui stesso il solo ed unico artefice di quel disegno tanto ben tratteggiato. Lui, è la forza del destino.

Questo romanzo si trova nelle librerie alla sezione gialli/thriller/& co., ma penso racchiuda molto di più, perché si c’è un commissario, si ci sono dei delitti, ma c’è soprattutto la storia di un uomo, dei suoi amori nuovi e di quelli perduti, c’è un cagnolone tutto bianco che compare all’improvviso nella sua vita, piatti di pasta profumati e bottiglie di vino sorseggiate di fronte al fuoco, storie raccontate mentre sfrigola la legna, una malinconia sottile che scivola sull’evolversi di una coscienza.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    26 Marzo, 2012
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"Il meglio di me"

Bisognerebbe imporsela come regola personale: non comprare libri sull’onda della ricerca di risposte per la propria situazione sentimentale altamente complicata. Motivo?Si finisce per acquistare romanzi strappalacrime, sentimentali e zuccherosi, che altrimenti non farebbero mai parte della propria libreria. Beh, questo potrebbe essere un vantaggio per carità, aprirsi a nuovi filoni letterari, ampliare i propri orizzonti, ma nel mio caso comporta anche un allontanamento dalla mia natura sarcastica e cinica che trovo vagamente preoccupante.
Ma basta divagare, parliamo del libro in questione. Come spero si capisca dalla piccola introduzione, Nicholas Sparks non è un autore che leggerei abitualmente, infatti questo è il mio primo approccio con lui.
Le sensazione immediata che ho avuto è stata quella di leggere un film. Proprio così, nella mia testa vedevo scorrere le parole che erano allo stesso tempo le immagini di una pellicola firmata immancabilmente Hollywood. Mi vedevo perfettamente l’ambientazione tipicamente americana, gli attori tipicamente americani, gli accadimenti tipicamente americani, il finale … tipicamente americano.
La storia stessa ha la targa USA sin dalle prime pagine.
C’è Dawson Cole, che proviene da una famiglia di delinquenti, uno peggio dell’altro, ma lui è la pecora nera, o bianca in questo caso, perché è bravo, buono, intelligente e studioso. Per tutte queste buone qualità viene maltrattato e picchiato dai suoi parenti, suo padre in primis, che lo vorrebbero più in linea con il profilo dei Cole ma viene invece apprezzato da Amanda, la bellissima della scuola, capelli-biondograno/occhi-azzurrocielo.
Amanda è ovviamente figlia di una famiglia benestante e con la puzza sotto il naso (di quelle che se non fosse stata abolita la schiavitù avrebbero avuto squadre di servitù ai loro comodi, per intenderci), che non vede di buon occhio l’amicizia e l’amore che ben presto si instaurano tra i due ragazzi.
Come per tutti i primi amori, tra loro c’è qualcosa di magico, di speciale, di unico, che far credere loro all’inizio di poter sfidare qualunque sorte. I due si incontrano nel garage di Tuck, un meccanico vedovo, ancora e per sempre innamorato della sua perduta Clara, che fa da padre al giovane Dawson e si elegge silenziosamente custode di quell’amore che vede crescere sotto i suoi occhi.
E’ chiaro però, che ben presto i due innamorati finiscano per cedere alle pressioni esterne, che si lascino e si allontanino. Se fosse filato tutto liscio, perché mai avrei dovuto comprare il libro sennò??
Anni dopo Dawson lavora sulle piattaforme petrolifere, conduce una vita solitaria e silenziosa, ma soprattutto ama ed ha amato sempre e solo Amanda.
Lei, Amanda, invece ha tre figli ed ha una bella famiglia, ma Frank suo marito, dopo una terribile disgrazia familiare, ha iniziato a bere sempre più frequentemente.
E’ questo più o meno il quadretto complicato che ci troviamo di fronte quando Tuck muore . Il triste evento porta Amanda e Dawson al loro paese di origine e su specifica richiesta del loro comune amico, sono chiamati a fare qualcosa per lui, una sorta di ultimo desiderio. In realtà è Tuck che ha voluto regalare loro la possibilità di ritrovarsi, di essere di nuovo vicini e di tentare quindi di costruire quel futuro perso tanti anni prima.
A questo punto si potrebbe immaginare un andamento più o meno prevedibile della storia (Amanda e Dawson fuggono insieme in barba a tutti e tutto), e invece no!
Perché? Primo ci sono i due cugini di Dawson che per vecchi rancori gli vogliono fare la pelle, secondo c’è una questione del suo passato ancora da risolvere, terzo ne succedono di svariate, nonché rocambolesche, che scombinano le sorti per un finale che a mio dire è “typically american”.

Forse ho ironizzato un po’ troppo ma bisogna capirmi, sto tentando di tornare in me e non ho trovato le riposte che cercavo (forse dovrei proprio piantarla di cercare risposte nei libri…) ma la sensazione che ho avuto tutto il tempo è stata quella di guardare un film drammatico da pomeriggio di Canale 5.
Il libro non è male, per carità, si legge scorrevolmente, ma semplicemente non è il mio genere. L’amore che si racconta è troppo puro, troppo perfetto, non è tormentato, non è ironico né complicato e questo me lo ha reso forse un po’ artefatto.
Alla fine però mi è uscita una lacrimuccia, e per quella piccola goccia salata vale la pena consigliarlo, perché in fondo vuol dire che mi smosso qualcosa e può smuoverla a tante altre persone.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    19 Marzo, 2012
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"Giorni d'amore e inganno"

Cosa fanno le brave mogli quando i loro mariti sono chiamati a lavorare all’altro capo del mondo?
Lasciano tutto e vanno con loro. La costruzione di una diga, porta in un paesino del Messico numerose famiglie europee in cerca di fortuna.
Per loro è stato costruito appositamente un piccolo villaggio recintato, fatto di case bianche e giardinetti, una dimensione completamente avulsa dalla vita circostante, dalla natura rigogliosa del paese, dalla povertà, dal pericolo dei rapimenti.
Ed è all’interno di questo mondo separato che si sfiorano le esistenze di quattro donne, mogli benestanti di altrettanti ingegneri, occupati nel cantiere e lontani per gran parte della settimana.
C’è Manuela, sposata con il capo da trent’anni, moglie irreprensibile, figli adulti cresciuti come soldatini, un marito coccolato come un re ed una vita da riempire organizzando festicciole ed eventi per le famiglie del villaggio.
C’è Victoria, timida, dolce e riservata, ritratto, insieme a Ramon, di una vita familiare esemplare: educazione, rispetto, mai un litigio.
C’è Susy, giovane americana, moglie immatura e fragile, con un perenne senso di inferiorità nei confronti del mondo e un odio patologico verso la madre.
E c’è Paula, che offusca la lucida visione del suo fallimento come scrittrice, con litri di alcol e un atteggiamento cinico e sprezzante.
In questa realtà ovattata, lontano dalle proprie abitudini, dai posti conosciuti, dalle vie percorse quotidianamente, nelle solitudine della mente si insinua un sottile senso di insoddisfazione, si aprono delle crepe, quei gesti ripetuti da anni sembrano di colpo privi di senso.
Ma è quando tra una delle mogli e il marito di un’altra nasce un amore forte quanto immediato, che il quadro si sconvolge definitivamente. Tutti coloro che vengono anche semplicemente sfiorati dalla vicenda sembrano subire gli effetti della scossa, perché “forse l’irruzione di una passione così intensa in un ambiente pacifico genera una sorta di campo magnetico a cui nessuno riesce a sottrarsi”.
E allora tutti dovranno confrontarsi con la falsità della propria vita, con l’incapacità di vivere davvero a fondo, con il mancato coraggio di fare scelte, realtà tenuta sempre ben nascosta dietro una apparente felicità, dietro ai gesti educati ripetuti da anni, dietro alle foto di famiglia incorniciate in ordine sugli scaffali.
E’ quell’amore profondo, insensato, fuori luogo in quell’ambiente così minuto, ristretto, che con la sua temerarietà riesce a mettere in moto meccanismi inceppati da troppo tempo.
E alla fine è come se la natura selvaggia e smisurata del Messico, la povertà dilagante, tutto il mondo fuori si riversassero violentemente nel villaggio, invadendo le vie, sporcando le case, distruggendo i giardini.
Come in un'immagine suggerita da Paula, le vite dei protagonisti, come piccole barchette malandate, sono gettate nel mare impetuoso, sbattute dalle onde dopo tanti anni di andatura tranquilla, e ne escono completamente diverse.

Avevo conosciuto la Gimenèz- Bartlett con l’ispettrice Delicado, mi piace il suo stile e mi è piaciuto questo suo romanzo. Ho apprezzato la lentezza delle pagine, a riproduzione della lentezza della vita all’interno del villaggio, rotta qui e là da festicciole che non sono eventi memorabili né per noi lettori, né per i personaggi.
L’aspetto che però mi ha più colpito, e non so se sono riuscito a renderlo, è l’utilizzo del villaggio come metafora della vita familiare sia della mente, che come succede per i muri del paese, creano delle barriere verso l’esterno, verso la vita, verso il rischio, verso l’abbondanza di colori, rumori, tentazioni, ma frenano anche l’entrata a emozioni, passioni, creatività.
Consigliato, sì.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    08 Marzo, 2012
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"LE PRIME LUCI DEL MATTINO"

C’è un calice pieno di latte che spicca su uno sfondo di rosso compatto. Forse quest’immagine racchiude il senso del romanzo, la ricerca attraverso la passione, il sesso, la rabbia, il dolore, le emozioni forti, della parte più intima e più vera di sé, bianca e pura come può esserlo il latte o la luce ovattata del mattino.

La storia è piuttosto comune, una donna si accorge che il suo matrimonio non le dà più nulla, che si era forse più innamorata dell’idea di vita in due, fatta di tazzine colorate e posate fantasiose, piuttosto che dell’uomo al suo fianco. E un bel giorno lo sguardo di un altro, la trasporta in un’altra dimensione, quella dove è la passione che comanda ogni gesto. Quest’uomo le farà scoprire sensazioni mai provate, le farà vivere situazioni intime nuove e trasgressive. Lei, satura di questa vitalità si innamorerà di lui, si attaccherà morbosamente a lui, che è invece solo un veicolo verso quella ricerca di sé che le dovrà insegnare a vivere un rapporto che non sia noioso come quello con il marito, né solo sessualmente appagante ma superficiale come quello con l’amante, amando prima di tutto se stessa.

La storia è raccontata in prima persona, con un io narrante per il presente e pagine di diario per il passato, il prima e il dopo. Lo stile è semplice, quello di Fabio Volo per chi già lo conosce.
I personaggi maschili mancano un po’ di spessore, il marito fin troppo noioso, banale e asessuato (ma esistono davvero uomini che respingono le donne!??!mah) che si ha voglia di lasciarlo noi stessi, anche in malo modo. L’amante troppo sessuale, troppo attento alle esigenze di lei per essere vero e le fantasie proposte troppo palesemente scaturite dalla mente dell’autore, non certo da quella di una donna.
Forse però gli uomini sono solamente un contorno al percorso intimo della protagonista, che come tanti personaggi di Volo, si sforza di trovare il suo posto nel mondo.

Di Volo se ne dicono tante, e certo, non è lo scrittore del secolo, né la sua prosa degna di chissà quali citazioni. Ma col suo linguaggio ingenuo, a volte un po’ didattico, ci porta spezzoni di vita che potrebbero essere quelli di ognuno. Lo potrebbe scrivere chiunque?Forse si, forse no. Lui lo fa, non vincerà il Nobel, ma ci fa passare qualche giorno in compagnia dei suoi personaggi.
Una volta, una professoressa dell’università, durante una lezione ci chiese chi fosse, secondo noi, lo scrittore più letto nei primi del Novecento. Noi da bravi studenti secchioncelli e saputelli, cominciammo a sparare grossi nomi, sfoggiando la nostra cultura. Ma lei, a sorpresa, tirò fuori un nome assolutamente sconosciuto, un tizio mai visto né sentito. Eppure era lui che faceva grandi numeri.
Questo per concludere, che Fabio Volo non sarà sicuramente nei tomi di letteratura, non farà sudare gli studenti dei prossimi secoli, ma ad oggi piace a tanti lettori perché sa raccontare loro stessi.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    06 Marzo, 2012
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Storia di coraggio

I romanzi della Mazzantini mi danno sempre una strana sensazione, come di una colla vischiosa, che ti si appiccica addosso e per quanto provi a muoverti non se ne va proprio. O come quando mangi i bruscolini, e arrivi al punto in cui hai la bocca secca come il deserto, ma continui a mandarne giù senza poterti fermare.
Questo perché i suoi libri non sono una passeggiata, le sue parole ti feriscono, non si fermano in superficie, ma scavano e arrivano a smuovere qualcosa nel di dentro. E si vorrebbe talvolta fermarle, chiudere il libro, riporlo in un angolo e dimenticarsene... ma non si può, semplicemente.

“Mare al mattino” è un libriccino, che racchiude due piccole storie.
Da una parte quella di Jamila e il suo piccolo Farid, due figli del deserto, la cui vita viene sconvolta dalla guerra in Libia, e si ritrovano in fuga verso il mare, quel mare infinito che Farid non ha mai visto, armati solo della speranza di poter trovare salvezza in Italia.
Dall’altra parte, c’è Vito, che invece il mare lo conosce bene e lo ama, e c’è Angelina, la sua mamma, che è tornata in Italia tanti anni prima, scacciata dal giovane Gheddafi, che stava prendendo potere in Libia e che non voleva più invasori nella sua terra; Angelina che non è più guarita dalla nostalgia per il suo paese, il suo deserto.

Due storie apparentemente slegate, che hanno invece una trama simile e che sembrano congiungersi proprio in quel mare che separa la Sicilia dalla Libia, quel mare in cui si perde lo sguardo di Angelina e in cui si trovano disperati Farid e Jamila.
E’ una storia di coraggio, di malinconia, di speranze, ricordi, ma anche e soprattutto di dolore, quel dolore di chi è costretto a lasciare il proprio paese, scacciato da una guerra a cui non ha preso parte, ma della quale subisce le peggiori conseguenze.
E il mare, protagonista inconsapevole, raccoglie queste storie, le trasporta con sé nella tempesta e nella bonaccia, e poi le rilascia, stropicciate sulla spiaggia al mattino.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
Ovviamente a chi ama la Mazzantini, e a chi ancora non la ama, ma lo farà presto. E che poi dovrà leggere anche "Venuto al mondo".
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