Opinione scritta da erlebnis
11 risultati - visualizzati 1 - 11 |
Un gioiellino letterario
In tempi di scritture piegate alle logiche del marketing, di fascette menzognere e di pubblicazioni sfornate in serie inseguendo la tendenza del momento, è confortante imbattersi in una casa editrice che cura non solo la qualità dei testi pubblicati ma anche quella dell'oggetto-libro. Nel caso dell'opera della Mangini, il merito della casa editrice sta anche nell'aver dato luce a pagine che prefigurano la Resistenza, che alternano la concretezza del dialetto al lirismo di valori, di ideali da riscoprire. Al termine della lettura del libro della Mangini, un autentico gioiellino letterario che dovrebbe essere letto nelle scuole, si resta sospesi tra lo stupore e la speranza: lo stupore di quanto fosse diversa l'Italia rurale di qualche decennio fa e la speranza di poter recuperare ideali di libertà e democrazia tuttora fragili ma imprescindibili.
Indicazioni utili
Toccante nei contenuti, confuso nello stile.
Simona è una ventenne molisana che si trasferisce a Rimini per lavoro. I suoi pensieri, i suoi sentimenti e la fragilità con cui affronta delusioni e avversità riempiono le pagine di un libro che ha la sua idea più originale nella divisione in capitoli recanti il titolo di una canzone. In effetti, la musica è l'altra grande protagonista del romanzo, che ho trovato intenso, toccante e sincero ma che, credo, si basi troppo sulle esperienze personali dell'autrice. Per carità, non c'è assolutamente nulla di male, anzi... però bisogna padroneggiare uno stile maturo e tecnicamente ineccepibile quando si scrive di se stessi, perché stare in bilico tra un romanzo introspettivo e il semplice "diario segreto" è molto difficile. Insomma, c'è un po' di confusione stilistica perché bisognava, a mio parere, "smorzare" l'esigenza di "sfogarsi" con il necessario distacco intellettuale per creare maggiore equilibrio. Comunque, penso che l'autrice ci riuscirà meglio nel prossimo romanzo, perché, doveroso dirlo, è il suo romanzo d'esordio. Magari, nel prossimo questi eccessi di ingenuità stilistica saranno limati.
Indicazioni utili
Un romanzo sull'anticonformismo
A colpirmi sin dalle prime pagine è stata l'incoerenza del protagonista, palese soprattutto quando dichiara la propria avversione nei confronti di chi lo giudica superficialmente per poi sparare a zero un po' su tutti, in una continua contrapposizione me/gli altri; questi ultimi, poi, raggruppati in categorie (le assistenti sociali sono in un certo modo; chi va in discoteca anche; chi sta su Facebook; etc). Ad esempio, Cristiano detesta chi lo giudica per il suo abbigliamento. Giustissimo. Peccato, però, che subito dopo definisca "ridicoli" gli uomini che indossano il pinocchietto. O ancora: rimprovera gli psicologi di ridurre tutto al binomio cibo/sesso per poi, in occasione dell'amplesso con Veronica, fare lo stesso. Tendenzialmente misantropo e propenso alle generalizzazioni, Cristiano si è guadagnato la mia iniziale antipatia. Iniziale, preciso, perché l'autore, devo dire, sa scrivere bene (un solo scivolone: "più infimo"). E salva il romanzo nel migliore dei modi. Colli, infatti, ha una dote alquanto rara nella narrativa italiana: cura con sapienza lo stile, affronta temi non banali, riesce a mantenere desta l'attenzione del lettore, calibra bene il ritmo della scrittura allo scorrere degli eventi e sa davvero far "vivere" la filosofia tra le pagine di un romanzo, a differenza di altri autori osannati che imbastiscono i loro lavori su nozioni "filosofiche" facilmente rintracciabili sui bigliettini dei Baci Perugina.
Altro merito dell'autore è quello di aver disegnato un personaggio davvero fuori dagli schemi con l'anticonformista Emma, emblema degli emarginati che cercano un riscatto in questo romanzo, una donna ribelle che affronta le avversità della vita con un mix di dignità, candore e orgoglio.
Insomma, una lettura insolita, che affronta temi su cui dovremmo riflettere tutti; in primis, quello della non laicità dello Stato italiano, una questione ben sviscerata da Colli attraverso un Cristiano particolarmente ispirato.
Indicazioni utili
Testo che può avvicinare alla saggistica
Non entrerò nel merito delle tesi sostenute dall’autrice perché voglio lasciare al lettore il piacere di scoprirle; piacere che, a mio avviso, è uno degli aspetti più affascinanti della lettura di un saggio, a prescindere dalla condivisione dei contenuti. Mi concentrerò, invece, sullo stile dell’autrice e sulle sue capacità argomentative. C’è da dire, innanzitutto, che in Italia essere un divulgatore è spesso considerata una "colpa", in virtù di uno snobismo pseudoculturale che non smetterà mai di sorprendermi, dato che il nostro è un Paese in cui si legge poco e male e che non investe in cultura ed istruzione. Premetto ciò perché penso che il più grande pregio di questo libro sia l'intento divulgativo perseguito dall’autrice, in modo, peraltro, efficace grazie ad una scrittura chiara che riesce ad avvicinare il lettore a tematiche tendenzialmente ostiche, quali le cause alla base dell'ascesa di U.S.A. e U.R.S.S. a superpotenze mondiali, partendo dal Trattato di Versailles, ossia uno dei trattati di pace che posero fine al primo conflitto mondiale. Chi cerca un saggio molto tecnico, dal taglio accademico, magari opterà per altri libri, anche meno recenti ma ormai "canonici"; tuttavia, penso che chi voglia avvicinarsi a questo tipo di lettura da "neofita" possa trovare nel saggio della Susic un testo che possiede un buon equilibrio tra volontà di approfondimento e capacità di catturare l'attenzione del lettore. Altro merito dell'autrice è quello di aver elaborato la sua ricostruzione storica e le sue tesi con l'appoggio di una bibliografia piuttosto aggiornata. Per quanto riguarda, invece, i limiti del testo, essi sono attribuibili, probabilmente, più alla redazione della casa editrice che alla Susic: occorreva svolgere con più attenzione il lavoro di editing per evitare refusi e ridondanze, soprattutto in alcuni periodi inutilmente ripetuti, e per curare un po’ di più la punteggiatura.
Indicazioni utili
Lettura gradevole per profonde riflessioni
Non sarà l'opera più rappresentativa di Steinbeck, ma sicuramente è un romanzo che adegua perfettamente le scelte stilistiche al contenuto. Il piccolo "miracolo" effettuato qui dal narratore è, secondo me, quello di aver affrontato il doloroso tema dell'occupazione di un piccolo paese norvegese da parte dei nazisti e della conseguente resistenza organizzata dagli occupati con una semplicità che non scade mai nella banalità, nella sciatteria o addirittura nella volgarità. Adottare un linguaggio semplice, agile, quando si affrontano temi come, appunto, la guerra, che magari ne richiederebbero uno crudo e violento, potrebbe essere insidioso. Ma la sapienza narrativa di Steinbeck non viene minimamente sfiorata dal rischio di confezionare un'opera poco problematica, se non addirittura approssimativa.
La semplicità, infatti, non solo esalta, anziché stemperarla, la tragedia degli oppressi ma si dimostra la scelta migliore per spiegare come il bisogno di libertà sia universale. Anche a costo del sacrificio personale.
Da insegnante, ne consiglierei la lettura a scuola.
Da lettrice, non ho dimenticato i pensieri, le bassezze, le paure e le speranze di personaggi delineati con umanità e realismo.
Da semplice essere umano, non posso considerare la libertà un privilegio godibile solo da parte dei più "forti" (che sono poi semplicemente più violenti e meglio armati) ma un diritto di tutti. Questo mi sembra il messaggio, per nulla banale e sempre attuale, che Steinbeck ci ha voluto regalare, ancor più significativo se si pensa che lo ha condiviso con il mondo mentre esso era insangnuinato dalla follia della Seconda Guerra Mondiale.
Indicazioni utili
Si legge velocemente
E' un romanzo "sui generis" all'interno della bibliografia di Coe, e, pur apprezzando i suoi romanzi più noti, sono rimasta favorevolmente colpita da questa sorta di saga tutta al femminile. Apparentemente lenta, la narrazione in realtà coinvolge il lettore senza quasi che se ne accorga ed ecco che, poco dopo, il libro è finito! Delicato e intenso al contempo, forse non sorprendente (ma, dopotutto, quando abbiamo voglia di "fuochi d'artificio" attingiamo a ben altri generi letterari, no?), sicuramente non banale, regala delle "istantanee" difficilmente dimenticabili. Insomma, una buona lettura per chi ama romanzi che offrono spunti di riflessione sulle convenzioni sociali.
Indicazioni utili
Datato
Andrea Sperelli: un uomo che vuole fare della propria vita un'opera d'arte (sì, ma QUALE opera d'arte?); con l'arroganza di poter codificare qualsiasi cosa secondo i propri criteri (il "Bello": cos'è il "Bello"?). In una Roma depauperata delle sue innumerevoli sfaccettature perché piegata a far da cornice sontuosa e barocca della narrazione, si svolge la vita di un personaggio che, animato dalla costante tensione ad elevarsi dall'ordinarietà dell'uomo comune, alla fin fine, non fa nulla di straordinario. Più che di un'opera d'arte, la sua esistenza è la banale rappresentazione di un rapporto conflittuale con la società borghese. Sperelli ne disprezza i valori in nome di una propria presunta eccezionalità, per poi catalizzare, esasperare quegli stessi valori, come si evince dalla sua brama di possedere dei beni, dagli oggetti d'arte alle donne (ovviamente degradate ad oggetti da collezionare): cosa c'è di originale in questo? Cosa c'è di straordinario? Cosa c'è di antiborghese? Insomma, interessante nel romanzo è solo l'effetto paradossale di riaffermazione radicale dei dis-valori borghesi attraverso il tentativo di mostrarne (in senso etimologico) la "volgarità". Per comprendere appieno come il romanzo sia più banale e datato di quanto si strombazzato all'epoca, è sufficiente: 1) documentarsi sui romanzi a cui D'Annunzio ha attinto a piene mani sfiorando il plagio; 2) notare come l'autore non reinterpreti in modo personale e originale il dualismo che contrappone la donna pura, angelica, a quella sensuale, fatale; 3) leggere il ben più complesso, problematico e originale "Dorian Gray" di Wilde. In poche parole, Andrea Sperelli, pur racchiudendo la quintessenza della distorta idea di personalità eccezionale, straordinaria, che serpeggia tuttora nella quotidianità italiana, fa ormai quasi sorridere, perché non ha la "malattia" tipica dell'uomo moderno, di cui, tanto per fare un esempio, parlava nei suoi saggi Pirandello (autore che, invece, aveva compreso l'improponibile arroganza di chi, alle soglie del Novecento, era cieco di fronte all'agghiacciante ben più realistico avvento del relativismo culturale). Non per niente, D'Annunzio e Pirandello si contrapposero più volte. Datato e ormai muto lo Sperelli; Mattia Pascal (o Vitangelo Moscarda) e Dorian Gray continuano, invece, ad interrogarci e a farsi interrogare.
Indicazioni utili
Incantevole
Incantevole. E' il primo aggettivo che associo a questo romanzo breve del grande narratore russo Dostoevskij. Eppure non ne restituisce l'atmosfera sognante, il lirismo palpabile, il miracolo con cui il sogno riesce, a differenza delle continue ingerenze della veglia, a colmare l'intera esistenza di un uomo.
Gli incontri tra il timido protagonista e la bella Nasten'ka, tra il sognatore che vive un'esistenza ai margini della realtà e la giovane quasi sopraffatta da un amore che sembra finito, rendono il lettore partecipe dell'idillio notturno dei due personaggi, per poi condurlo al risveglio. Un risveglio magari non gradito; forse previsto dalla maggior parte dei lettori, ma che non lascia l'amaro in bocca. Probabilmente perché siamo sempre e comunque grati ad ogni attimo di beatitudine, anche a quelli regalati da un'ottima lettura.
Indicazioni utili
Interessante ma sopravvalutato
L'indubbio merito dell'autrice è quello di aver realizzato un intreccio con grande sapienza, senza sacrificare alla laboriosità di tale operazione il potente impatto emotivo che investe il lettore sin dalle prime pagine dell'opera.
Il punto debole del romanzo è, per chiunque, come me, ami l'armonia tra le scelte stilistiche, il contenuto e le finalità dell'autore/autrice, la mancanza di equilibrio tra una narrazione che vuole denunciare la spietata drammaticità della guerra ed una sperimentazione stilistica esasperata. Certo, molti esaltano proprio la crudezza dello stile della Kristof. Eppure, a ben guardare, ci sono due considerazioni da fare a tal proposito. La prima concerne l'abuso dell'aggettivo "innovativo". Uno stile secco, crudo, estremamente realistico, violento, non è stato inventato dalla Kristof che, quindi, a voler essere precisi, non ha "innovato" la letteratura contemporanea. La seconda è conseguente la prima. Al di là del gradimento del romanzo (questione soggettiva), bisogna comprendere se lo stile è adeguato al contenuto e alle finalità dell'autrice. Contrariamente a quanto sostenuto da più parti, ritengo che la ricerca affannosa di una scrittura "sperimentale-a-tutti-i-costi" rischi non solo di creare delle aspettative sproporzionate nel lettore (il finale è molto meno sorprendente di quanto si creda), ma, soprattutto, di depotenziare con affettazione e artificiosità una denuncia che conserva la propria forza e la propria sincerità, più per merito della sensibilità del lettore che per la forma in cui è incanalata.
Comunque, è un romanzo che, al di là di questo "squilibrio" tra contenuto e forma, indubbiamente coinvolge il lettore.
Indicazioni utili
Narrazione di una "noia" attualissima
Pochi autori possono fregiarsi dell'appellativo di "narratore" come Moravia. La sua capacità di raccontare è cristallina, limpida, avvolgente. Si possono preferire altri scrittori, che magari orientano la loro ricerca stilistica su più o meno riuscite sperimentazioni, ma, per i lettori che pretendono una STORIA che li catturi, Moravia è sicuramente uno degli autori ideali.
La trama non è infatti basata su un intreccio chissà quanto originale, eppure, in virtù delle capacità "affabulatrici" dell'autore, FUNZIONA: Dino, un pittore "annoiato" dai clichés borghesi, e la giovane, sfuggente, Cecilia allacciano una relazione, che alimenta l'ossessione di lui quanto più scopre le bugie e e tradimenti della ragazza, spesso da lei stessa candidamente confessati. La frustrazione di Dino sarà esacerbata dalla refrattarietà inaspettata di Cecilia ad un legame "convenzionale", al quale lui cerca (invano) di piegarla, ricorrendo a quei valori borghesi basati sul possesso materiale anche delle persone, che lui aveva sempre disprezzato nella propria famiglia. Per sconfiggere la noia che lo attanaglia, Dino dovrà sfiorare la tragedia, che gli rivelerà un alternativo contatto con la realtà.
Pubblicato nel 1960, "La noia" è un romanzo che ha ancora molto da dire, basato com'è su problematiche quanto mai attuali in un'epoca di crisi economica e sociale come la nostra, che impone una rivalutazione dei valori su cui si fondano i rapporti interpersonali, al di là del binomio sesso-denaro presentato da Moravia come cardine su cui ruota la società contemporanea.
Indicazioni utili
Un Memoriale... memorabile!
Giovanni V re di Portogallo; Padre Bartolomeu Lourenço, che progetta una macchina per volare; il soldato monco Baltasar Mateus Sette-Soli; la veggente Blimunda ed il musicista Scarlatti intrecciano le loro vite nell'ironico e tagliente affresco di un Paese stretto dalla morsa dell'Inquisizione. L'edificazione dell'imponente convento di Mafra, voluta per dai sovrani per ringraziare Dio della nascita di un'erede (colei che sarà la principessa Maria Barbara), diventa, grazie allo sguardo critico e dissacrante di Saramago, il pretesto storico per una narrazione che travalica la Storia stessa. La lucidità con cui l'autore scandaglia la cecità umana, materiata di superstizione, avidità, opportunismo, egoismo, menzogna, ipocrisia ed intolleranza, offre infatti al lettore un'impietosa e potente analisi delle bassezze umane, riscattate solo dall'amore (incarnato dalla splendida figura di Blimunda). "Laico". Come sempre in Saramago. Ma forse, proprio perché svincolato da fedi dalla dubbia sincerità, il solo autentico ed incondizionato.
Indicazioni utili
11 risultati - visualizzati 1 - 11 |