Opinione scritta da Sara moncalieri
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Ciak…. Azione!
Esco molto soddisfatta dal mio primo incontro letterario con Ludlum.
Non amando i film di azione “da maschi” in cui ci fanno passare sempre ogni cosa per valida e plausibile (inseguimenti improbabili, eroi indistruttibili e onniscenti, situazioni che si avverano mentre al contrario il calcolo delle probabilità di realizzarsi sarebbe non solo basso, ma elevato al cubo al negativo), e dopo invece avere sorprendentemente apprezzato i film con Bourne come protagonista, ho deciso di passare a conoscerlo sotto forma di caratteri stampati.
Piaciuto!
La trama è carica di colpi di scena (e questo ce lo si aspetta…), avvincente.
Azione dovunque e sempre.
La cosa inaspettata è stata trovare una storia interessante e dei personaggi che non mi hanno dato libro-natural-durante la fastidiosa sensazione di avere solo a che fare con infrangibili super eroi.
Certo, ci sono le scene dove ti chiedi come abbiano fatto a sopravvivere Tizio o Caio, ci sono situazioni dove sai per certo che sarebbe impossibile l’avverarsi di determinate coincidenze, ammetto che mi sono molto strabiliata del fatto che Bourne, da docente universitario che pare non svolga alcuna attività fisica da anni, si ritrovi all’improvviso con l’agilità, la forza muscolare e la struttura fisica di un marine di diciotto anni (mentre lui è già di mezza età e senza allenamento).
Chiudendo un occhio su questi aspetti, ho trovato un protagonista frangibile e franto, che deve necessariamente recuperare, a livello di memoria, la sua vita precedente di cui non ricorda nulla. Per salvare se stesso e la sua famiglia.
Mi è piaciuto lo svolgersi degli eventi, l’aspetto e l’approfondimento psicologico di alcuni personaggi, l’intricarsi delle situazioni, la presenza di spie palesi e celate, le varie polizie internazionali.
Ho trovato invece meno congruo come i rimorsi di Bourne verso il passato, peraltro dimenticato e semi-rimosso, risultassero così potenti mentre nel contempo non avesse mai dedicato, in tutto il libro, un solo pensiero di preoccupazione o affetto verso la sua attuale famiglia.
Ma non si può avere proprio tutto, forse il mio è solo un pensiero femminile.
Romanzo consigliato per la sua fluidità, coinvolgimento e scrittura senza sbafi: pare proprio di vedere il film con la piacevole aggiunta di una parte di introspezione psicologica che lì non è presente.
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ABBI PAURA DEI VIVI, NON DEI MORTI!
Questo mi diceva, da bambina, mia zia, quando veniva fuori il discorso dei fantasmi. Diceva che sono i vivi a fare del male, e non i morti.
Da allora l’ho sempre ritenuto un suggerimento valido ed indiscutibile fino a quando ho conosciuto gli zombie. A quel punto mi sono detta che gli zombie, non essendo né vivi né morti, avrebbero dovuto fare PIU’ paura dei vivi. Sono rimasta di questa idea fino al termine del primo volume di Apocalisse Z. “Gli zombie sono peggio dei vivi”, mi sono convinta, e il teorema era sovvertito.
Poi ho letto la seconda parte di questa trilogia, e con “I giorni oscuri” sono tornata a validare il teorema della zia. Vince ancora, dunque, “Abbi paura dei vivi, non dei morti”.
Meno al cardiopalma del primo volume, meno intrigante, meno emotivamente risucchiante ed ammorbante, ma non per questo privo di messaggi intrinsechi, se vogliamo ben vedere.
I nostri quattro superstiti hanno finalmente raggiunto il Paradiso: sarà che lo hanno a lungo agognato, sarà che se lo sono sudato quasi fino alla morte, il fatto è che si aspettavano di raggiungere il sogno e la pace.
Non avevano messo in conto che gli esseri umani, nel momento in cui cadono le regole e sono costretti a costruirsene di nuove (o a ristabilire le vecchie) tendono a farsi governare dagli istinti più selvatici (e forse selvaggi). Si dimenticano del Super-Io, non si sa dove sia finito l’Io, e si fanno governare dall’Es, per riassumerla come direbbe Freud.
Per riassumerla come direi io, più prosaicamente: “E’ un gran casino”.
Ecco quindi che gli istinti primari vengono fuori prepotentemente e nel Paradiso regna in realtà una pseudo democrazia, la legge marziale e, ove possibile, la legge del più forte.
Ecco che si ricomincia a fare la guerra al vicino di casa, e al vicino di isola. Si torna tutti barbari.
Insomma, più che un libro sugli zombie (non manca, fortunatamente, qualche goloso momento di carne putrefatta, sangue coagulato e non-morti che vogliono azzannarci), è un libro sull’umanità quando questa si trova davanti a qualcosa di terribilmente pauroso e più grande di lei.
Non bello come il primo romanzo, ma senz’altro da leggere per aiutarci a ricordare cosa può fare l’uomo quando non si sente giudicato da nessuno.
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Ci vuole un Fisico Bestiale
… per rendere appetibile, interessante, e (udite udite!) comprensibile un trattato sull’energia atomica. Non parliamo di bruscolini, ma di qualcosa di molto più piccolo, onnipresente e per molti (mi metto in lista) misterioso: l’atomo, con la sua fusione, fissione, l’isotopo U-235, il plutonio (per i cinefili: sì, quello di Doc e McFly!) e annessi e connessi.
Il sopra citato Fisico Bestiale risponde al nome di Juan José Gòmez Cadenas, e, tra le varie cose, risulta essere (cito testuale): “professore in congedo di Fisica atomica e nucleare, direttore di ricerca del CSIC (l’omologo italiano del CNR) e direttore del gruppo di Fisica dei neutrini dell’Istituto di Fisica Corpuscolare di Valencia”. Quest’uomo, che a vederlo sembra più un botanico che un fisico, sta attualmente anche cercando la materia oscura dell’universo. Non chiedetemi cosa sia questa materia oscura, che nel libro non ne parlava!
Sarà che questo stesso uomo è anche uno scrittore di romanzi oltre che un divulgatore scientifico, sarà quel che sarà, ma è riuscito a scrivere un saggio che pur nella complessità degli argomenti trattati e nella precisione in cui li ha esposti, è risultato avvincente e piacevole - invece di risultare indigesto e, per dirla a modo mio, una “mappiolata”.
Bravo, non c’è che dire.
Nella prima parte esordisce fornendo una carrellata delle fonti di energia utilizzate dal passato ai giorni nostri, dal chi e perché utilizzava tali risorse, dei primi impatti ambientali che hanno prodotto. Racconta di una Londra di oltre un secolo fa, polverosa e caliginosa oltre ogni limite a causa dei residui rilasciati dalle numerosissime industrie a carbone. Mi immaginavo Jack lo Squartatore aggirarsi per quella Londra.
Passa poi alla scoperta della radioattività e delle reazioni atomiche, ci parla delle madri di questa scoperta, Marie Curie e Lise Meitner (quest’ultima per la fissione). Ho apprezzato che, oltre che come scienziate, ne parlasse anche come di persone.
Passa poi a trattare il tema dell’ energia nucleare come alternativa al cambiamento climatico e sotto l’aspetto della sicurezza, della continuità produttiva, dei costi e della sua assoluta competitività economica rispetto alle altre fonti di energia attualmente utilizzate - fonti rinnovabili incluse. In particolare punta il dito sulla sicurezza dell’energia nucleare, quando maneggiata con le dovute e basilari regole; tratta approfonditamente degli incidenti di Chernobyl (scelta umana, non errore umano) e Fukushima.
Parla dell’uso della radioattività in medicina (raggi X e terapie antitumorali) e anche del trattamento delle scorie radioattive, della possibilità di riciclarle, della sicurezza di vivere nei pressi di una centrale atomica, di quante ce ne siano sparse nel mondo (la Francia ne è costellata).
Per concludere, ottimo saggio e ottimo punto di vista fornito da un conoscitore dell’energia nucleare: appare chiaro che il Fisico Bestiale è un fisico che ama l’atomo in ogni sua espressione.
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Preso con leggerezza, letto con attenzione
Ho letto la trama, ho visto la copertina, mi sono sfregata ben bene le mani e mi sono detta: “Sarai mio! Tu sei un Harmonione formato gigante, per giunta storico, e ambientato nel Freddo Nord!”.
Insomma, non si fosse capito, volevo una lettura frivola, leggera, con protagonisti bellissimi, preferibilmente ricchi, ricoperti di abiti e gioielli costosi e che andassero, magari, a un sacco di feste con ampi e lussuosi abiti lunghi.
Dopo una lettura impegnativa, volevo qualcosa di leggero come una piuma e piacevole come una tazza di cioccolato caldo in inverno: logica richiesta per una donna, no?!
E invece no!
Il romanzo fa finta di essere frivolone e svolazzante, e invece nasconde la denuncia sociale.
Questo non me lo dovevano proprio fare, non in quel momento!
Una ha già le sue preoccupazioni, e mo´ si deve pure fare carico della triste condizione sociale delle donne di fine Ottocento? Di come dovessero sposarsi a chi gli pareva alle care famiglie loro? Di come nessuno si curasse di quello che accadeva all´interno delle mura domestiche? Di quanto fossero indifese davanti alla legge, salvo interventi eccezionali??
Eppure mi è piaciuto davvero.
Si tratta di un bel romazo rosa, a tinte fosche in alcuni punti, con un paio di picchi di dramma, un bel colpo di scena ad un certo punto, qualche momento leggermente scottante, varie sorprese qua e là, un salto in Francia, una scrittura fluida, accattivante e piacevole, e una bella caratterizzazione dei vari personaggi.
Insomma, la mia risposta è: “Sì al DrammHarmonione”!
Donne, leggetelo con fiducia!
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Avvincente per non pignoli
Romanzo ben congegnato e confezionato che mi ha dato la sensazione di essere il frutto di un buon lavoro di gruppo, tra autrice, editing, marketing, e tutti gli –ing letterari del caso.
Il libro mi è piaciuto, scorreva sempre via bene con le sue frasi e dialoghi veloci che si susseguivano uno via l´altro senza pause e senza inutili giri di parole, e con una storia che acchiappava di per se´: i protagonisti dei giochi sono giovani e vitali (e magari vorrebbero esserlo tutti fino alla fine!!), con caratteri mediamente ben delineati anche quando la scrittrice non ci si è dilungata più di tanto, e con personaggi secondari che avevano quasi tutti una loro anima visibile.
Il genere distopico calza a pennello negli hunger games, e le dinamiche intercorse tra i vari personaggi mi hanno dato diverse soddisfazioni.
Ho trovato poco credibili un paio di accadimenti nella parte finale, pur tenendo conto della tipologia di racconto, che lascerebbe comunque spazio a molta fantasia.
Una cosa che mi ha lasciata un poco insoddisfatta è stato invece il parlare svogliato e marginale del “prima”, ovvero la parte della narrazione (carente) riguardante le rivolte storiche che hanno portato al separatismo ed all´asservilismo, e che hanno generato la formulazione finale e la creazione degli hunger games.
Ma non volendo pignolare su questo ultimo punto, penso che sia un libro gustoso che richiederà, da parte mia, un secondo e un terzo assaggio, per terminare la trilogia.
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Investigatrice in erba (e per caso!)
Ecco qui un giallo piacevole, ben scritto, curioso come genere e fantasioso nella trama (non poggia su fatti nemmeno vagamente concreti), con “eccellenti” protagonisti del passato affiancati a diversi protagonisti dei giorni nostri.
Una storia intrigante, che si fa leggere con gusto e che vira verso il rosa senza fare perdere l´interesse indispensabile alla sopravvivenza di un giallo nella sua accezione tradizionale del termine.
Mi è piaciuta la rivisitazione, in chiave fantasiosa, della fine della scrittrice Virginia Woolf.
Mi è piaciuto il riferimento chiaro e preciso alle persone che erano vicine alla scrittrice, alla sua cerchia familiare, agli amici artisti: me la ha fatto conoscere meglio, anche contestualizzandola.
Mi sono piaciute la protagonista “moderna”, Jo Bellamy, come pure il personaggio della responsabile dei giardini di Sissinghurst, ed altri personaggi ancora, tutti ben delineati con le loro caratteristiche umane.
Ho potuto apprezzare una protagonista, Jo, che, improvvisamente costretta a stare fuori casa senza valigia né altro, si sia finalmente lamentata tra se e sé della mancanza di un cambio di biancheria: ecchediamine!: mi sono sempre chiesta come potesse fare Lara Croft, senza nemmeno un risicato zainetto, via per settimane, in mezzo al fango e al nulla!
Una lettura gradevole in cui ho trovato interessanti variazioni anche nello stile, in particolare la differenza in cui era presentata la parte ambientata ai giorni nostri rispetto ai salti indietro negli anni; alla psicologia dei personaggi passati, ai colori del tempo che fu.
Se volete passare qualche ora piacevole, leggera, e conoscere meglio anche qualche aspetto di Virginia Woolf, ecco il libro giusto.
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Strani esseri a Firenze
Mi sono imbattuta in un altro paranormal-fantasy: che sia dovuto al caso, alle convergenze astrali, al richiamo di antichi riti in lingue sconosciute, questo non lo so.
So solo che comincio a rendermi conto che, mediamente, non fanno per me.
Pochi ne ho letti, finora, e già li trovo quasi tutti uguali: protagonisti stereotipati e rigorosamente bellissimi, muscolosissimi, ricchissimi, fortissimi, potentissimi.
Insomma una marea di issimi…: fatevene venire in mente uno, di “issimo”, e loro saranno pure quello lì!
Anche le trame si ripetono abbastanza frequentemente senza troppa fantasia: il nostro “lui” è solitamente un essere speciale (in questo caso un kurann) e ricopre ruoli apicali nella sua stirpe, la nostra “lei” apparentemente sembra normale ma non lo è, il male impèra e loro lo combattono, spesso anche in casa.
Immancabile la storia d’amore più o meno ostacolata, immancabili gli enormi pericoli che incombono su tutti.
Il libro, pur tralasciando di raccontarci un po’ meglio la storia dei kurann, il loro background, la loro organizzazione sociale (che non avrebbe guastato), è comunque scritto in maniera gradevole, ben confezionato, corretto, e ho apprezzato l’ambientazione in Italia, a Firenze, invece che nelle solite New York o Londra.
Ovviamente non è autoconclusivo, come vuole l’editoria in questi ultimi anni, e ci ritroviamo a leggere qualche centinaio di pagine sapendo che ne seguiranno almeno il doppio ancora.
Per chi vuole cimentarsi….. la strada dei kurann vi aspetta!
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Dove la torta impazza!
Una storia tutta femminile in cui le protagoniste, donne diversissime per condizione sociale, economica e familiare, si incontrano e si confidano grazie al provvidenziale e “torrenziale” arrivo di un dolce da preparare in casa, che si diffonde a macchia d´olio (o meglio: di farina, lievito madre, latte!!) nella piccola cittadina americana in cui vivono.
Donne che mai avrebbero avuto l´occasione ed il coraggio di fermarsi a parlare e confidarsi, e che trovano grazie a questo elemento comune, la torta, la base per iniziare delle conoscenze profonde, per darsi una mano ed accettare meglio se stesse e gli altri, aprendosi ai propri difetti e a quelli altrui.
Una storia scorrevole, leggera, buonista, dove i sentimenti e le diverse situazioni familiari la fanno da padrona: da leggere sotto un ombrellone o in una giornata di pioggia, quando si ha voglia di staccare e di immergersi nella vita e nei sentimenti di altre donne, nella provincia americana.
Cosa interessante: alla fine del libro trovate tutte le indicazioni per preparare il lievito madre per fare la torta, e diverse ricette per cucinarla in moltissimi modi!
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Amore, guerra e storia a Napoli
L’ho letto proprio con gusto questo romanzo di Anna Bulgaris!
Ho puntato sulla lettura di questo libro quasi senza avere indicazioni, né suggerimenti; appositamente non ho cercato informazioni sulla sua scrittrice italiana e sulla sua produzione letteraria.
Così mi sono trovata per le mani un romanzo rosa-storico ambientato nel 1799 a Napoli, grazie al quale ho conosciuto un periodo ed eventi ben narrati che mi hanno affascinata.
Già dalle prime pagine mi ha ricordato moltissimo, come genere, gli “Harmony History”, in cui passione, amore, vicende storiche e nobiltà sono i protagonisti incontrastati - e da amante del genere questo non può che essere un complimento.
L’ ho trovato molto ben scritto e incalzante nella trama, in cui svariati flash-back mi hanno permesso di conoscere la storia pregressa e travagliata dei protagonisti.
La rappresentazione della Napoli del tempo era così realistica che riuscivo quasi a vedere i suoi vicoli mal frequentati, i suoi palazzi barocchi, le navi attraccate in porto; sentivo lo sbattere dei tacchi dei militari inglesi nelle strade e sui velieri, gli odori forti delle strade e sono quasi riuscita a toccare gli abiti sfarzosi della nobiltà corrotta come pure gli stracci indossati dai poveri.
Anche i personaggi mi sono piaciuti nella loro rappresentazione, erano diversi e diversificati, ben tratteggiati già con poche parole: villani, regine ed ammiragli.
La storia d’amore era come potevo aspettarmela in un romanzo di questo genere: assoluta, forte, contrastata e problematica, in cui gli eventi storici del tempo hanno remato contro i protagonisti dalla prima all’ultima, sorprendente, pagina.
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Chi siamo, dove andiamo?
Un romanzo sull´Apocalisse come spunto per parlare della morte, della religione, del senso dello scorrere del tempo, della vita di tutti i giorni e delle priorità, reali o fittizie che siano.
In questo romanzo, Douglas Coupland tocca continuamente questi temi tramite i pensieri dei suoi quattro protagonisti.
Ognuno con un passato doloroso alle spalle, ciascuno che fatalmente si ritrova nel fatiscente cocktail bar di un aeroporto per cercare di dare la svolta definitiva alla propria vita.
Nel non-luogo per eccellenza, in cui queste vite si ritrovano sospese nel tempo come in un fermo immagine.
Molto interessante la modalità in cui il romanzo viene portato avanti: per singoli micro-capitoli, a soggetto, in cui ciascuno dei protagonisti racconta al proprio io ed al mondo (per come lo sta percependo in quel momento) quello che sta accadendo “fuori”.
Non solo: lo stesso fatto viene prima vissuto e narrato da un protagonista, poi nuovamente e parzialmente da un altro, dalla sua personale prospettiva, come in certi gialli in cui i protagonisti si raccontano quello che loro stavano facendo in quel preciso istante.
Un taglio quasi da regia televisiva per porre una serie di domande esistenziali, per cercare di trovare una risposta.
Romanzo che ho apprezzato moltissimo per lo stile, per l´idea, per la struttura psicologica dei quattro protagonisti, ciascuno creato con molta coerenza e molto ben delineato.
Me li vedevo davanti, sentivo quello che pensavano, potevo intuire quello che avrebbero – forse – provato emotivamente. Non c´è stato un personaggio che sia riuscito meglio o peggio di un altro, tutti mi sono risultati vivi e perfettamente umani nelle loro emozioni.
L´ho letto tutto d´un fiato e spero ci sarà un seguito, poiché la storia finisce li, ma volendo se ne potrebbe aprire una nuova – non ho idea se già esiste (o se esiterà) ma me lo auguro di cuore.
Unica pecca nella traduzione (o nel testo originale?): in moltissimi capitoli, nell´ambito della narrazione dello stesso personaggio, si passava improvvisamente dall´uso del tempo presente al passato remoto. Inizialmente ho pensato fosse una scelta stilistica, ma poi la sensazione che ho avuto è stata di una strana svista del traduttore o dello scrittore stesso.
Per il resto, perfetto.
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… è vivo ma in coma…
Secondo step, dopo "Red", ecco il Blu.
Speravo tanto che la lettura sarebbe stata degna delle ultime pagine del libro precedente, ma purtroppo non è andata così.
Il “paziente” libroso che ho tentato di rianimare, continuando con la lettura, non è morto ma è rimasto quasi sempre in coma letterario.
Il romanzo si legge velocemente e non è scritto male, ma alcuni punti che erano rimasti inspiegati (ed inspiegabili) nella prima parte hanno continuato ad esserlo nella seconda.
Mi sono arrovellata per tutta questa parte chiedendomi perché mai la madre di Gwendolyn, che tanto si era data da fare per evitarle una vita difficile, avendole appositamente tenuta nascosta la sua probabile natura di viaggiatrice nel tempo, non si sia mai degnata di aprire bocca per dare aiuto, informazioni, o conforto, alla figlia. Ma che razza di madre è, che prima la fa vivere nell’ignoranza e poi la “abbandona” al suo destino, lasciandola, per le sue passeggiate nel tempo, nelle mani di persone di cui non si fidava e continua a non fidarsi? Che si limita a prepararle il pollo della festa una volta la settimana ed a cenare insieme, quando gli impegni della figlia lo permettono?
Forse mi sono focalizzata troppo su questo punto, ma tutta la parte dei salti spazio-temporali è stata per me compromessa da questo tarlo.
Insomma, carino che si sbalzi di qua e di là nel tempo con gli abiti della festa, rigorosamente d’epoca e fatti su misura;
carino che ci sia la parte sentimentale;
carino che ancora non si capisca chi siano i veri buoni e i veri cattivi, ma… a me tutto questo girare a vuoto non ha affascinata.
Meno male che anche in questa parte ritroviamo il personaggio di Leslie, l’amica del cuore, e incontriamo un nuovo personaggio, Xemerius, il doccione gotico che valeva da solo la lettura del libro: ironico, buffo, simpatico, sveglio, curioso, graffiante. Dovevano fare il libro su di lui, non sulla nostra Guendolina!
Peccato non abbiano mantenuto, per i titoli italiani, l’abbinamento alle pietre preziose: avrebbe aggiunto quel tocco in più alla saga.
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La Fata non mi ha presa
Non mi intendo di fate, né antiche, né moderne.
Però me le sono sempre immaginate eteree, volanti, leggiadre, forse dispettose ma non certo assetate di vita.
Co-protagonista di questo romanzo è una fata, da me immediatamente soprannominata “Fata-Assassina-Chupacabra”, in quanto mi ha ricordato la mitologica creatura, con la sola differenza che invece di cibarsi del sangue ovino si ciba dell´energia umana, fino a fare morire (suicidare, di solito) la sua preda.
Insomma una specie di vampira-modella (dimenticavo: è anche mooolto “UAO!”) che è in grado di dare in cambio l´immortalità artistica e che non prende la sua vittima di sorpresa, poiché è la vittima stessa che deve accettare il patto.
Troppo ovvio dire che le sue vittime sono uomini, solitamente giovani e prestanti?? La fatina gioca sugli ormoni e basta? Mah…
L´idea della Musa Assassina mi piaceva, ho preso il libro per quello.
Purtroppo ho trovato questo romanzo frammentato, con picchi di noia in cui pensavo di essere stata chupacabrata anche io e di non essermi accorta quando (nel senso della bestia, non della fata: quindi tranquilli, nessuna capacità artistica mi è arrivata, non passerò alla storia per la musica, la letteratura, o altro!!), e momenti (rari) in cui invece le cose hanno preso il volo.
Una penna discontinua, in cui se le idee e la trama, a libro terminato, mi farebbero dirne bene, lo stile e la frammentarietà mi fa dire: “ma anche no!”.
Insomma, non mi sento di consigliarlo, se non come una lettura in cui si accetta che manca quel qualcosa che ti tiene imbrigliato e ti fa entrare in contatto con i personaggi del libro: se ne sono salvati pochi, a mio parere, e sono stati quelli quasi marginali, spesso cattivissimi.
Ma tant´è, a volte serve anche inframmezzare a letture più corpose altre con meno pretese.
PS: questo libro rappresenta la seconda parte di “Whisper”, ma si riesce tranquillamente a leggere da solo: un po’ come certe serie tv, dove se ti perdi una puntata non hai la brutta sensazione di esserti perso qualcosa di fondamentale.
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Forse ne vale la pena
La domanda è: cosa cerchiamo da un libro?
E da una trilogia?
Se dovessi considerare questo romanzo come una lettura a se' stante ed indipendente dagli altri due tomi che lo seguono e lo completano (pare), e pertanto da potersi leggere anche senza dover procedere oltre, allora non mi sentirei per nulla di consigliarlo.
327 pagine in tutto, di cui le prime 290 mi sono sembrate assolutamente inutili, ripetitive nei contenuti, vuote dove serviva aggiungere quel qualcosina in più, scritte in maniera semplicistica e piene di dialoghi da adolescenti, anche quando a parlare non erano degli adolescenti.
Va bene che è ANCHE indirizzato ad un pubblico giovane, ma la banalità resta banalità ad ogni età.
La trama è sempre la stessa: la solita adolescente (una Gwendolyn, in questo caso) che scopre uno dei soliti poteri sovrannaturali e come al solito non sa come comportarsi e di chi fidarsi.
Lo stile è piatto, le descrizioni sono piatte, la trama è piatta: fosse un elettroencefalogramma direi che il paziente è morto.
I personaggi sono tutti solo abbozzati e non ci si entra proprio in contatto, fatta eccezione per la figura di Leslie, che tra l´altro non è nemmeno la protagonista.
Insomma uno sfinimento.
Poi però si arriva a pagina 290, e finalmente qualcosa inizia a muoversi: il paziente non era morto, ma forse solo in coma: Alleluja Alleluja!!
Le ultime 37 pagine, insomma, danno dei deboli cenni di ripresa, ma servirà sicuramente la riabilitazione, e vedremo se sarà lunga oppure no.
Bastano dunque sole 37 pagine per considerare buono un libro?
Forse…. sicuramente a me sono bastate, perché sono stata finalmente presa dal gorgo del racconto, la scrittrice mi ha fatto vedere da un piccolo buco della serratura delle immagini-spot, la trama ha iniziato a mostrarsi: insomma, io continuo con il Blue.
Anche se poi non si sa mai: il paziente, alla fine, potrebbe morire lo stesso, ed io averlo rianimato inutilmente.
Ma si sa anche che la pazienza, a volte, paga.
Tento di rianimare questo paziente.
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La Vita è una perla
Se l’adolescenza è quel periodo che molti ricorderanno per sempre come bruttissimo e bellissimo insieme, per Margherita, la protagonista del romanzo, può valere la stessa cosa.
Una vita fatta di serenità e gioia che improvvisamente viene spazzata via a causa di due forti e differenti punti di rottura: l’inizio delle superiori e la scomparsa del padre; evento ordinario il primo, imprevedibile e lacerante il secondo.
Fatti che, accadendo contemporaneamente, apriranno il cuore della ragazzina alla porta del dolore e della scoperta, orientandola verso una serie di domande laceranti sulla vera essenza della vita adulta e sulla scoperta dell’autoconsapevolezza.
Romanzo che ho apprezzato moltissimo per lo stile narrativo, che fluttua come le onde del mare e come quelle porta con se’ il sapore deciso e salato delle lacrime, insieme alle quali presenta gli imprevedibili cambi di maree, passando dalla quiete, alla tempesta, e nuovamente alla quiete con improvvisa fluidità.
Complimenti a questa bellissima penna, che si fa leggere con grazia e desiderio crescente: scrittura decisa, sensibile, violenta e delicata, in grado di farci scorrere davanti le paure, le emozioni e lo stupore che una giovane donna inizia a elaborare nei confronti della vita, che alla vita si affaccia improvvisamente, e che nella vita trova, inaspettatamente, grandi brutture e altrettante grandi bellezze.
Un romanzo che varrebbe la pena di leggere già solo per lo stile impeccabile, e che invece si fa leggere tutto d’un fiato anche per la trama, bella e realistica, e per gli altrettanti realistici ed esaustivi protagonisti. Complimenti allo scrittore.
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Fidarsi...
Christine non è una macchina infernale. O perlomeno non per quanto riguarda la memoria. Non ricorda nulla di se’, della sua vita, di parte del mondo. Non ricorda nemmeno la sua faccia allo specchio: non è la sua, quella donna è più vecchia di lei.
La sua memoria ha un bonus di una sola giornata, poi scompare.
Ogni mattina si sveglia e si ritrova accanto un uomo, suo marito, che ricorda di non ricordare.
Ricorda di non ricordare un sacco di cose.
Capisce che di qualcuno deve fidarsi, per riprendersi in mano la vita.
Di suo marito. E del dottor Nash.
Fidarsi. Tutto racchiuso in una semplice parola.
Ogni giorno è una scoperta nuova, una vita nuova; ogni risveglio è un trauma, un ritorno da un mondo buio verso un altro mondo buio. Oggi Christine pensa di avere un figlio, domani sa di non averne. Oggi trova intollerabile suo marito, domani si rende conto che è un angelo.
Questo significa perdere la memoria.
Rinascere ogni mattina e morire ogni sera.
Ogni giorno una fatica immane, alla costante ricerca di un punto fermo.
Libro che genera ansia quando ci si immerge nel non-mondo di Christine, perché ci si rende conto che la vita è memoria ed apparenze, che è fondamentale sapere chi si è e da dove si viene, e soprattutto di chi fidarsi - il dove si vuole andare è meno importante.
Noi siamo memoria, il mondo è memoria, la storia è memoria: senza di quella anche la sopravvivenza diventa complicata se non addirittura impossibile.
Romanzo veloce e ben scritto, tutto incentrato su sensazioni e sprazzi di immagini, su un taccuino e sul valore della segretezza, sulla forza di volontà e sul desiderio di fidarsi e di ricordare, sul dolore costante e quotidiano del ricordo.
Pur con una trama completamente diversa, volendolo contrapporre a film che trattano lo stesso argomento potrei definirlo imprevedibile e ansiolitico come “Memento” ma incentrato sulla parte dei sentimenti come “50 volte il primo bacio”.
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I boxer, questi sconosciuti!
Si impara sempre, leggendo.
Ad esempio: i boxer non sono solo, nell’ ordine, una razza di cani e delle mutande, ma anche una società segreta cinese, dedita alle arti marziali e particolarmente sanguinaria nelle sue azioni.
Un romanzo ben scritto, ambientato nella Cina di fine Ottocento, che raccontava la breve e truculenta rivolta dei boxer (uomini dunque: no cani, no mutande!!) contro l’ordine precostituito e contro i numerosi stranieri presenti in quel vasto territorio.
Mai mi sarei immaginata che gli occidentali (che, ad onore di cronaca, “odorano di carne di maiale”) fossero tanto presenti e desiderosi di insidiarsi nella società cinese del tempo: numerosissimi i rappresentanti delle varie religioni che cercavano di accaparrarsi le anime locali, accanto agli altrettanti numerosi commercianti che, più prosaicamente, puntavano alle tasche dei cinesi.
E così ho assistito alla nascita della ferrovia, il “serpente di ferro”, che, inconsapevolmente, osava mettere in dubbio le millenarie credenze popolari e che per questo suo tentativo ne avrebbe pagato le conseguenze con un violento assalto stile far west.
In questo teatro della vita, come attori e figuranti, si muovevano uomini e donne, cinesi e occidentali, rivoluzionari e fedeli al mandarino: chi in fuga e chi all’attacco, chi alla ricerca di qualcosa e chi nel tentativo di nasconderla.
La storia narrata era molto interessante (e completamente nuova per me), e alcuni personaggi minori hanno attirato in modo particolare e positivo la mia attenzione.
Potrei definirlo un bel romanzo storico corale, atipico sia per il periodo sia per l’ambientazione, in cui però, ancora una volta, mi sono imbattuta in una protagonista che mi ha lasciata perplessa e non ha suscitato la mia empatia: alcuni dei protagonisti principali mi sono sembrati dei cliché, quasi da romanzo rosa, che fortunatamente l’autore ha posto accanto a numerosi altri personaggi secondari particolarmente vivi e riusciti che hanno riequilibrato lo stato delle cose.
Interessante la prospettiva dello scrittore, che a ragion veduta ha ben riportato la sua ottima conoscenza del territorio e delle due diverse mentalità: nulla a che spartire con altri romanzi, anche di successo, in cui l’analisi psico-sociale e del territorio mi hanno invece dato la netta sensazione di essere solo il frutto di una documentazione indiretta, più o meno accurata.
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Bar Sottomarina: “BLUB… BLUB… BLUB..”
Benni è sempre Benni, e questi suoi 23 racconti non lo smentiscono ma anzi lo riconfermano.
È uno scrittore che sa il suo mestiere e usa la penna per raccontare i fatti di tutti i giorni con ironia, illuminando la pagina con il suo sguardo divertito e bizzarro, incollando sentimenti e fatti quotidiani a circostanze atipiche e situazioni improponibili.
Il nostro Pennac, per come la vedo io.
E così ho preso questo libro già con un´immagine negli occhi: il bar sotto il mare esiste, ci sono anche gli avventori, e ciascuno a turno racconta la sua storia, e... beh, l´idea di un ritrovo sottomarino mi ha immediatamente riportato agli occhi la scena della scazzottata nel bar sotto il fiume del film “Top Secret!”. Ecco, le intenzioni sono le stesse: in un mondo che sappiamo inesistente succedono cose anche reali, ci si intrattiene, e si fanno le stesse cose che si fanno in superficie: ci si incontra, ci si parla, ci si racconta.
Il surreale che ingloba la realtà, la realtà che invade il surreale.
Ci sono racconti gustosissimi e molto ben riusciti, dove la satira graffia e fa dei veri e propri solchi ( “Il dittatore e il Bianco Visitatore”, e anche “Quando si ama davvero”);
altri racconti che sono divertissement puro (“il verme disicio”);
altri ancora che fanno riflettere sulle regole della società, si, ma non subito: quando si giunge quasi alla fine della storia (“Matu Maloa”).
Il racconto breve, piacevolissimo, della Pulce del Cane Nero: “Racconto breve”.
Un racconto gotico, “Oleron”, che sembra tratto in tutto e per tutto dal periodo d´oro dei romanzi gotici doc.
Un giallo: “Priscilla Mapple”;
e altri racconti ancora, che parlano della vita di paese, di quei paesi che non esistono ormai più e hanno perso quella genuinità che li contraddistingueva fino a qualche decennio fa: “Il porno sabato dello Splendor”, e anche “Achille ed Ettore” – quest´ultimo più surreale.
Insomma, per chi ama le storie campate in aria, per chi ama distrarsi con storie brevi, per chi ama leggere uno scrittore che sa scrivere ma non si prende troppo sul serio, per chi ama trovare un significato più profondo anche in storie che di significato sembra ne abbiamo poco.
*** un grazie a Robbie per il suggerimento sulla parte del titolo "Bar Sottomarina" con riferimento alla mia passione per quell´amato posto di mare!***
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La cavia gaudente e il lettore annoiato
Cara AB, protagonista dai mille orgasmi, non potevi ammettere subito, in tutta sincerità, che ti eri stancata della tua inesistente vita sessuale e volevi provare letteralmente a occhi chiusi qualsiasi cosa chiunque ti propinasse?
Sarebbe stato poi così difficile?: ci avresti almeno risparmiato la balla galattica che stavi imbastendo tutto questo ambaradan solo per amore della scienza… seeeeee… e gli asini volano.
Libro senza trama, senza capo né coda, scritto in modo monocorde (ma almeno grammaticalmente corretto), dove la nostra eroina, bramosa di nuove esperienze (ma anche di vecchie, a ben vedere…) mette TUTTA se stessa a disposizione della ricerca scientifica e si fa fare di tutto, a partire da una cecità indotta da medicinali. Ora mi chiedo: non ti bastava, cara AB, la meravigliosa benda fatta fare SU MISURA appositamente per te (ma che pensiero carino, ma che onore!), dal tuo ex-amico, ex-amante, ex-compagno universitario, nonché luminare nella ricerca?? Potevi anche tenerla su per tutto il tempo. Noo? A quanto pare no: tu parti già col botto, facendoti spalmare sugli occhi e in tutta fiducia un bell’unguentino accecante da colui che ti fa “sentire le farfalle allo stomaco”, per il quale e con il quale faresti qualsiasi cosa. Non è che ti sei confusa, per caso, con la farfallina di Belen? Pare ci sia una piccola differenza. Chiedilo pure a ogni uomo, te lo confermerà.
E non hai mai temuto, nemmeno per un istante, che se avessero sbagliato le dosi avresti fatto la Cieca di Sorrento a vita? A questo ci avevi pensato? Pare nuovamente di no.
Passi la voglia di forti emozioni, passi tutto, ma rischiare la vista per qualche coito mi pare personalmente eccessivo.
E poi dovevi avere una vita orrenda, senza speranze, senza soddisfazioni; dovevi proprio odiare tutto il tuo mondo, la tua famiglia, i tuoi stessi figli, la tua (pare) promettente carriera universitaria e di ricercatrice per farti girare come un calzino, farti studiare, infilare, catalogare, provettare, flebare (passatemi il termine) e visionare “live” da nemmeno sapevi chi e quanti.
Insomma, trovo che un personaggio così, che mette a repentaglio la propria vita e la propria reputazione lavorativa per poter finalmente godere di qualche orgasmo, non stia né in cielo né in terra. Esistono anche gli accompagnatori per signore, e che diamine!! Sono riservati e pare siano dei veri professionisti!
Un personaggio così poteva stare solo nella testa della scrittrice (ma è poi davvero una donna?).
Lascio volutamente da parte la questione dell’annichilimento della figura femminile e personale, e, anche volendo guardare a questa storia come a quella di una donna che vuole liberarsi sessualmente, continuo a non trovarci nulla di nulla. Pagine di noia e di avvenimenti assurdi (tesoro mio, AB cara, se ti imbragano e fanno salire su un mezzo, e questo inizia a decollare, e senti le vibrazioni del motore in quota, possibile che non capisci di essere su un aereo se non quando ti stanno per buttare di sotto???).
La mia conclusione, su questa mirabile protagonista, la nostra AB, il genio della farfalla-allo-stomaco-e-non-solo, è che è scema e basta.
Avrei dato zero stelline a questo romanzo, ma purtroppo non è tecnicamente possibile.
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Buio narrativo
Quando un libro è frammezzato in due parti ben distinte, di cui una ti è piaciuta e l'altra meno, alla fine il libro ti è piaciuto?
Ancora non ho la risposta.
Questo è un romanzo che dalla sua metà in poi subisce una metamorfosi e si trasforma in altro.
La prima parte, pur narrando due storie parallele, scorre fluida, piacevole e interessante, nonostante il tema sia fondamentalmente la mancanza della felicità: attraverso i molti, bei racconti fatti ad una ragazzina, il suo "tutore per caso" le dipinge il mondo con poesia e senza abbellimenti, riuscendo a farle venire il desiderio di conoscerlo ed affrontarlo senza timore, facendo diminuire pian piano le sue stesse paure e dandole una sicurezza crescente.
Poi, per me, il crollo.
A seguito di un colpo di trama, tutto deve cambiare e ogni riferimento fisso per la protagonista sparisce, proprio come quando la luce di un faro viene a mancare nella notte: la costa diventa invisibile, il mare diventa cieco, le stelle non ci sono, e per le imbarcazioni diventa difficilissimo navigare senza infrangersi contro la terraferma.
L'improvviso smorzarsi di questa luce di continuità, del faro, ha sgretolato in me il gusto di procedere nella lettura.
Forse un espediente della scrittrice per portare il lettore nella stessa situazione della protagonista? chissà...
Il risultato, per me, è stato un calo di interesse non legato ai nuovi temi trattati, bensì alla modalità di narrarli: un continuo salto temporale che ha reso difficoltoso capire dove si era e quando si era, cosa stava succedendo e perché. A volte addirittura chi stesse parlando.
Mi è parso come se la prima metà del romanzo fosse stata scritta da una persona e la seconda da un'altra, senza che le due si fossero quasi consultate. Oppure come se la stessa autrice avesse preso una gran botta in testa (oppure si fosse innamorata, cosa che a volte può dare gli stessi risultati!) e avesse poi continuato la stesura prendendo tutt'altra strada.
C' era, sì, un unico filo conduttore che teneva fragilmente insieme le due parti, ma era così insufficiente che non è riuscito a darmi il senso della continuità, pur tenuto conto dell'evoluzione della storia e degli anni che passavano.
Insomma ho vissuto questo romanzo come un buio narrativo.
Fortunatamente la scrittrice, con o senza botta in testa, innamorata o meno, ha uno stile molto piacevole e ricercato nella sua semplicità, ha affrontato temi impegnativi come l'abbandono senza appesantirli ulteriormente, ha una voce delicata ed appassionata nel raccontare i sentimenti, e qua e là ha dato delle vigorose pennellate quasi surreali (specialmente all'inizio) che me ne hanno fatto apprezzare la forma.
Purtroppo però non mi è bastato per rendermi speciale questo romanzo.
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Strano romanzo, oggi
Uno strano romanzo, non c'è che dire.
Strano il protagonista, strana la storia, strane le "coincidenze".
Insomma, un bel po' strano il tutto.
Abbiamo Danio, il protagonista, che non fa nulla per rendersi sopportabile: uno psicologo da studiare lui stesso, un uomo freddo, capace di scaldarsi solo alla presenza, o all'idea, di una donna. O magari quando si tratta di perdere le staffe come se fosse un ragazzino senza esperienza e senza cervello. Si arrabbia e vede rosso, non connette, e fa delle cose.
Non che quanto fa sia sempre sbagliato, anzi, a volte agisce da angelo vendicatore involontario, solo che lo fa come un animale impazzito.
I drammi della sua vita, in definitiva, sono sempre il prodotto dalla sua testa calda, dalla sua totale mancanza di autocontrollo, proprio lui che è (sarebbe) uno psicologo, uno che l' animo umano lo scandaglia e dovrebbe conoscerlo come un panettiere conosce le varie tipologie di farina, e dovrebbe sapere come usarle. Mah…
Ho trovato la trama un po' assurda, anche se a ben guardare ho letto libri più campati in aria che però mi sembravano più concreti.
Non so… ho come la sensazione che qualcosa sia sfuggito, che non mi sia arrivato pienamente, qualcosa rimasto impigliato da qualche parte. Nella testa dello scrittore? O forse nel tratto di strada che va dalle pagine del libro alla mia testa?
Il romanzo è comunque ben scritto, rapido, i flashback sono ben armonizzati con il presente, i personaggi sono chiari e caratterizzati bene. Tutto formalmente a posto insomma. Ma a me i romanzi piacciono anche nella loro parte meno formale.
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Lumbricus terrestris
Avrei una gran voglia di fare un super-spoiler di questo libro, perché è solo alla fine, nelle ultimissime pagine, che viene fuori il vero carattere del protagonista, Marcel.
Quest'uomo che per quasi per tutto il tempo è riuscito a suscitarmi perlopiù indifferenza e disinteresse personale - nonché una certa gran voglia di scansarlo, come quando ci si imbatte in un lombrico della terra dopo che ha piovuto. Ecco: non vorresti fargli male, pestarlo, poverino, ma d´altra parte ti suscita quel certo ribrezzo e non sai perché. In fondo non ti ha fatto niente, se ne sta lì, e non dà fastidio a nessuno. Eppure…
Grande Simenon che ha ritratto così originalmente le prime settimane dell'invasione nazista in Francia e ha girato e rigirato intorno alla figura di questo personaggio, ce lo ha descritto attraverso le sue non-emozioni nei confronti del mondo, della sua famiglia (moglie, più una figlia e 8/9), del lavoro e della sua vita “di prima”; e ce lo descrive abilmente anche tramite le emozioni, forti, che Marcel prova durante quelle settimane, emozioni che forse non si ripeteranno mai più.
Una specie di uomo in prestito, che incontra (finalmente!) la grande occasione della sua vita: una situazione drammatica per tutti gli altri, per i milioni di persone che perdono casa, famiglia, ogni certezza, la vita magari, e per l´Europa stessa che viene sconquassata dall´invasione nazista all'inizio della seconda guerra mondiale.
Saranno due i personaggi ad avere un approccio utilitaristico in tutto questo: lui e la donna della bettola (la quale troverà anche il tempo di fare shopping…).
Un momento di caos totale che invece per Marcel rappresenta il tanto agognato attimo da cogliere, che gli permette di sganciarsi temporaneamente dal mondo che si è costruito attorno con tanta fatica e cura in tanti anni, e dalle convenzioni sociali che, si sa, in simili circostanze crollano miseramente.
Fa bene, fa male? Non giudichiamo, giudicare è impossibile in certi frangenti: in fondo sono giorni in cui il futuro risulta un´incognita, nessuno sa se domani si sopravviverà o meno, se lo stesso mondo “normale” sopravviverà, se la propria famiglia esisterà ancora, dopo.
E lui, in quel momento, sceglie e viene scelto da una donna e vive con lei quei giorni di tempesta bellica, si bea di questa momentanea libertà, sensualità e felicità, si libera di tutto, diventa, forse, il vero se stesso. E´ chiaro fin dall'inizio a tutti, al lettore, a lui, come pure ad Anna, che la loro storia durerà il tempo di una falena, ma il bello è, forse, anche questo, per loro.
Dunque tutto “bene”. Ma…. sorpresa: il romanzo si chiude in maniera inaspettata e sorprendente, e quest'uomo dimostrerà finalmente a tutti quello che veramente è, senza nemmeno rendersene conto.
Un romanzo che scorre liscio e senza fronzoli, veloce come un treno, che non tralascia nulla, con un Simenon che dice quanto c'era da dire, sulla storia e sull'animo umano.
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PAURA DI SPAVENTO !
Questo non è un libro sugli zombie.
No no NO: non ridurrò questo libro a così poco.
Questo è un libro sui sentimenti umani, sulla solitudine, sulla paura di affrontare il mondo, sull'implacabile necessità di farlo.
Ecco cosa è questo libro.
Ho visto un uomo, in tutte queste pagine, che è passato da una vita normale, alla curiosità accennata, all'indifferenza, alla solitudine, alla paura, al terrore. Quando parlo di terrore intendo di qualsiasi cosa: di uscire di casa, di guardare fuori da una finestra, di spostarsi da un ambiente a un altro, di incontrare qualsiasi cosa si muova.
Una paura di tutto, in definitiva.
Mi ha fatto venire in mente, in ogni scena, a chi soffre di attacchi di panico.
Mi è venuta in mente di quella volta a una cena in cui un'amica ha lasciato il tavolo improvvisamente perché colpita da uno di questi attacchi. Improvvisamente e, per tutti i presenti, immotivatamente.
Non so se lo scrittore abbia mai sofferto di questo disturbo, ma descrive così bene la paura del mondo e degli altri che ho pensato conoscesse alla perfezione questo sentimento, che soffrisse di questa patologia.
E' un romanzo scritto in maniera perfetta: non una sbavatura, non una crepa; ti avvinghia e non ti molla, anzi affonda le sue unghie sempre più in profondità. Ho dovuto più volte interrompere la lettura perché Loureiro era riuscito a creare un legame così forte che sentivo tutti i rumori possibili e immaginabili dentro casa, e ne avevo paura; ho guardato con sospetto il mio gatto spostarsi nella stanza; sono andata a controllare che la porta di casa fosse ben chiusa; ho sbirciato fuori dalle finestre quando sentivo un rumore sospetto.
Questo è quello che ho ricevuto.
Colpita e affondata.
Ricominciavo poi a leggere, mi dicevo che era solo un romanzo, e dopo poche righe ci ero nuovamente dentro, ci entravo senza accorgermene, venivo avvolta da quell'atmosfera di terrore che mi costringeva, dopo un po', a chiudere nuovamente il libro per riprenderlo subito dopo, perché volevo sapere cosa sarebbe successo.
Il protagonista è perfetto, e pieno di umanità come quasi nessun altro personaggio incontrato nei libri; sarebbe bello ci fossero più persone così nel mondo reale.
Volendo leggerlo come libro apocalittico, o sugli zombie, ci si va a nozze: è scritto benissimo e qua e là risulta gustosamente splatter - mi ha ricordato moltissimo il film di Romero, e, per la suspance, i film di Hitchcock.
Volendo leggerlo come metafora sulle paure e sull'implacabilità della vita, ci si va a nozze lo stesso. E' profondo senza darlo a vedere.
Insomma, lo consiglio caldamente.
Aspetto ora di leggere il seguito. Ma ASPETTO: voglio prima fare svanire un po' della paura che ancora ho dentro.
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Povero Diavolo!
Un libro sorprendente.
L'ho iniziato che non ci capivo quasi niente, tra un complotto che si stava svolgendo in tutta segretezza e dei dialoghi in flashback che non si capiva dove volessero andare a parare. Chi erano questi due che parlavano, e cosa c'entravano nella storia? Perché una cosa era chiara: che non fossero stati messi li a caso.
E infatti.
Dopo un'iniziale confusione da parte mia, dovuta più all'ignoranza sui "personaggi" riportati che a una mancanza dello scrittore, dopo i primi, brevi capitoli, dunque, sono stata trascinata nella storia, ho iniziato a riconoscere i protagonisti, a capire cosa volessero, perché lo volessero.
C'era dunque una congiura in atto. Qualcuno, sotto il vessillo della Libertà (come sempre, del resto), cercava di cambiare le cose e invertire l'ordine costituito. Quel qualcuno era Lucifero.
Sappiamo tutti che fine abbia fatto.
Ecco, questo libro fornisce una diversa visione dei fatti, che vengono reinventati e reinterpretati. Non più un Angelo, divenuto oscuro, che egoisticamente ed immotivatamente si ribella a Dio, ma un Angelo che si fa delle domande, vede l'ingiustizia che aleggia anche su Eden, vuole riportare l'uguaglianza, vuole spodestare il dittatore. Un dittatore che agisce per mano di un esercito, i Cherubini, e che sopprime chiunque gli si opponga. Come qualsiasi dittatore del resto.
Per prendere in prestito le parole di Luca Carboni "un Dio cattivo e noioso / preso andando a dottrina / come un arbitro severo fischiava / tutti i perché". Lucifero insomma vuole rimediare a tutto questo.
Sappiamo che non ce la farà, ma il libro inventa delle situazioni, dei perché, mette in evidenza come in ogni congiura ci sia sempre la paura di essere smascherati sia da qualcuno di fiducia, sia da chi sta al potere, come il potere costituito sia solitamente forte, come le invidie e le gelosie possano essere motivo di riuscita o fallimento di tutte le azioni.
Se siete particolarmente religiosi, probabilmente una simile interpretazione potrà offendervi o infastidirvi.
Per me non è stato così. L'ho letto per quello che è: un romanzo.
Ho trovato il personaggio di Lucifero, come quello del Grande Padre, di Eva, di Michele, particolarmente riusciti.
La trama risulta intrigante, in un crescendo di avvenimenti.
E lo stile… strano: un pò antiquato, un pò no; strano nel senso di decisamente piacevole del termine.
Alla fine, ho pensato: "Povero Diavolo!".
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Ho conosciuto meglio IL RE
Il modo migliore per capire cosa pensa una persona di se stessa, è ascoltarla mentre parla di se stessa, da sola, oppure mentre parla del proprio lavoro a qualcun altro.
Avevo voglia di sentire cosa potesse raccontare Il Re della sua produzione letteraria, di come gli venga un´idea, di come proceda con la stesura dei suoi ipervenduti racconti e romanzi, di come si faccia a scrivere storie vincenti – e volevo sapere qualcosa di più della sua vita.
Ho preso quindi questo manuale di scrittura realizzato da Stephen King, in cui il “mio” scrittore si è messo a parlare di tutto ciò, e ho scoperto un sacco di cose.
In primis ho avuto la conferma che è un genio pazzo: questo nel remotissimo caso in cui avessi avuto qualche fugace dubbio sull´argomento.
Quasi immediatamente, poi, ho capito anche il motivo: non è che lui me lo abbia detto a chiare lettere, ma insomma… mi ci ha fatta arrivare senza menare troppo il can per l´aia.
Ho capito quindi perché le donne raccontate da Stephen King risultino sempre così fragili eppure fortissime, perché vincano quando nemmeno loro stesse se lo aspettino, o perché magari questo accada, forse, proprio solo in quel momento.
Ho trovato molto interessante, e talvolta curioso, il modo in cui siano nati certi suoi famosissimi personaggi, che ho amato nel corso di questi anni, e certe sue storie.
Ho avuto la conferma del fatto che il solo scrivere bene, ma senza un´anima, senza una storia vincente, senza che i personaggi risultino credibili, non serve a un beato niente.
Magari risulta utile solo a riempire pagine di parole, parole, parole (tanto per citare Mina): ma questo non rende scrittore il Signor Compilatore dell´Elenco Telefonico!
Insomma, ho conosciuto meglio Il Re - questa era in realtà una parte che speravo venisse fuori bene e della quale sono stata molto soddisfatta, in quanto questo saggio-romanzo è una forma di suo Zibaldone personale, oltre ad avere imparato qualcosa sullo scrivere, perché è stato PROPRIO LUI ad avermelo detto a chiare lettere. Come si faccia a scrivere storie vincenti, intendo.
Ecco…. magari quest´ultima parte proprio non l´ho ancora imparata benissimo… sono ancora ben salda nella folta schiera delle Signore Compilatrici dell´Elenco Telefonico, ma che dire: mi sono divertita molto a leggere questo saggio-zibaldone!
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Acuta analisi (fanta)sociologica
Mi sono avvicinata a "Dune" convinta di trovarmi di fronte ad un classico della fantascienza, indubbiamente ben fatto ma scorrevole, con i soliti cliché presenti in questi romanzi: ambientazione in un futuro indefinito, mondi alternativi, astronavi, popoli alieni che si incontrano e si scontrano… tutto il corredo delle storie fantascientifiche insomma.
Niente di più errato. O meglio, niente di più incompleto.
Dune contiene tutti questi elementi, ma il libro parla di tutt'altro. Parla, ad esempio:
* di quanto il potere sia disposto a fare per raggiungere e mantenere il proprio status… in qualsiasi maniera possibile;
* di quanto la politica/potere siano strettamente avvinghiati al proprio tornaconto economico (la spezia, nella fattispecie), in funzione del quale vengano fatte, o meno, determinate scelte interventiste: non ci ricorda il motore di tutte le guerre, passate e presenti? non ci ricorda certi comportamenti politici?;
* della forza trascinante e talvolta violenta che assume una religione o un ideale spirituale, nel momento in cui un popolo viene oppresso e schiacciato: come non definirlo fanatismo religioso?;
* delle figure, o organizzazioni, che agiscono nell'ombra e che muovono i fili di milioni di vite facendo leva su chi il potere, ufficialmente, lo detiene, agendo secondo fini propri e sconosciuti alla quasi totalità: come non definirlo intelligence?;
* di quanto gli esseri (umani e non) siano spinti ad agire anche dalle proprie pulsioni, visioni, antipatie, amori e odi;
* di quanto una condivisa coscienza sociale possa rappresentare un punto di forza e di aggregazione difficilmente attaccabile dall'esterno;
* di ecologia, di rispetto delle risorse e del pianeta: e teniamo conto che il libro è stato scritto quando tutto questo era davvero fantascienza!
Mi aspettavo dunque un libro facile e veloce, e mi sono ritrovata tra le mani una perla di acutezza, arguzia, ragionamento, critica, e anche spionaggio.
Mi sono ritrovata in un mondo che sembrava reale, tanto bene era raccontato; e con una terminologia tutta sua. Ho conosciuto personaggi incredibili sotto ogni aspetto, nel bene e nel male, tutti così ben definiti che mi sembrava di vederli muovere e parlare. Pareva tutto così realistico che Herbert ha dato addirittura per scontate una serie di informazioni, come se noi, lettori, sapessimo già tutto di questo mondo: di Arrakis.
Ho dovuto insomma leggere questo romanzo con tutta l'attenzione di cui disponevo, perché ogni singola parola aveva il suo significato ed era collocata con uno scopo ben preciso nel contesto.
Un suggerimento: prima di iniziare il romanzo vero e proprio, converrebbe leggere prima, a mio parere, le appendici e la terminologia di Arrakis: aiutano a rendere più fluido il racconto, di per sé interessantissimo e che non dà tregua fino alla fine di questo primo capitolo.
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La Musa senz'anima
Difficile per me terminare un libro quando la protagonista mi sta terribilmente antipatica. Ad ogni pagina, ad ogni frase, mi chiedo: "Perché continuo a frequentarti? Se tu fossi una persona in carne ed ossa ti avrei già salutata da un pezzo. Avremmo risparmiato entrambe tempo prezioso da dedicare ad altro".
Per tutto questo romanzo ho continuato a frequentare Alice. A fatica. Mi avesse telefonato, le avrei risposto velocemente e avrei chiuso la conversazione a tempo di record. Più velocemente che con chi mi telefona solo per lamentarsi della sua vita senza avere la voglia di capirsi.
Questo fa Alice quasi per tutto il libro.
Racconta e si lamenta, in fondo.
La sua Alice Diversa, quello che lei è, che era. Che continua ad essere quasi fino all''ultima pagina.
Le sue difficoltà personali, familiari, i suoi problemi adolescenziali e di giovane donna, i suoi poteri incontrollati e sconosciuti non me la hanno resa più interessante, e nemmeno più vicina; non mi hanno indirizzata verso di lei, non mi hanno fatto venire voglia di capirla meglio, di scrutarne l'animo. Avevo sempre la sensazione di stare in presenza di un animale rabbioso. E sottolineo animale.
Come avere sempre di fronte un essere tutto istinto e niente anima.
Lo stile narrativo era abbastanza scarno, con dialoghi quasi onnipresenti e pochissima introspezione dei personaggi, alcuni dei quali meglio riusciti, altri invece quasi caricaturali (ad esempio la Musa-Warhol).
Fortunatamente la trama ha retto e non era carente in fatti, eventi, colpi di scena, anche se alcune situazioni mi sono sembrate forzate ed ai limiti della plausibilità - e non sto parlando della parte fantasy bensì di quella dovuta al semplice vivere quotidiano ed al comune "caso".
Ho trovato l'idea delle muse moderne molto accattivante, ma abbandonata a se stessa: le muse c'erano, sì, si stavano cercando, avevano un obiettivo, ma… alla fine sono solo risultate persone "normali" con dei poteri speciali, e non delle persone speciali con dei poteri speciali.
Un vero peccato però: questa idea poteva essere davvero avvincente e magica.
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Esercizio di pazienza
Se, in qualche momento della vostra vita, avete voglia di fare un esercizio di pazienza e attesa, prendete questo libro e leggetelo con fiducia.
Ne vale la pena.
Partendo dal presupposto che a volte il bello delle cose sta anche nell'ottenerle con fatica, con pazienza, tessendo una tela come fanno i ragni, stando ad aspettare il momento giusto, la preda giusta.
Questa la sensazione che mi ha dato il romanzo.
Una lunga attesa. Trecento lunghe, intere, e a volte interminabili, pagine di attesa. Il primo terzo del libro, più o meno.
Un involontario blocco dello scrittore per Cronin, che ci ha impiegato tanto ad arrivare al dunque, oppure una scelta molto ben ponderata, e rischiosa, da parte sua?
Ancora non ho capito le sue motivazioni, ma devo dire che mi è piaciuto "aspettare", e vedere dove lui voleva portarmi.
Mi ha fatto gustare molto di più tutto quello che ne è seguito.
Dopo la lunga, faticosa, parte di tessitura della tela, dopo tutto quel tempo a stare lì a guardare, di nascosto, se e cosa si potesse muovere là dentro, tra quelle pagine, ecco che all' improvviso, in maniera quasi brusca, il libro prende vita.
L'azione parte. Caotica, con tanti personaggi, magari troppi in certi momenti.
Ci si ritrova in una nuova situazione, completamente diversa rispetto a prima.
... partito tutto come a seguito di una rasoiata… ZAC!
Cronin passa così a farci vivere un terrore palpabile ad ogni pagina, nella lugubre consapevolezza che luce uguale vita, e buio uguale morte, che serve il gruppo per sopravvivere, che da soli si è pari a zero.
Concordo con chi ha paragonato questo romanzo a L'Ombra dello Scorpione di King: me lo ha ricordato molto, anche nello stile, ma esclusivamente dal momento in cui il ragno ha iniziato a muoversi nel buio. Non prima.
Una nota dolente, a mio parere, la fine frettolosa, totalmente incompleta - pur tenendo conto che si tratta di una trilogia: sembrava quasi che l'editore o lo scrittore stesso avesse deciso di stroncare un'opera unica, optando per una pubblicazione in due o più tomi, in momenti diversi, per guadagnarci di più.
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Perplessa e delusa
Raramente mi è capitato di restare così perplessa dopo avere letto un romanzo.
Di sicuro qualcosa di fondamentale mi è sfuggito, qualcosa che mi ha impedito di entrare nella storia con la solita partecipazione. O perlomeno spero di cuore si tratti di questo.
Mi piace leggere romanzi di autori emergenti, apprezzo chi sa scrivere bene e riesce a pubblicare un proprio scritto. A volte però si ha la sensazione che un romanzo non sia arrivato al giusto punto di maturazione.
La trama avrebbe potuto avere i suoi lati interessanti: una serie di strane coincidenze e misteri da svelare, conditi da improvvise apparizioni di impalpabili personaggi che poi nel nulla si ritiravano, alla velocità di un battito di ciglia.
Purtroppo però la narrazione non ha retto fino in fondo: il libro si è chiuso in maniera frettolosa, alcuni punti sono stati lasciati aperti, irrisolti, se non addirittura troncati là senza spiegazioni, nonostante tutto lasciasse presagire un finale in grado di dare soddisfazione.
Ho trovato i personaggi, protagonista compreso, scarni in termini di introspezione, solidità, caratterizzazione, mentre alcuni altri mi sono sembrati poco utili al contesto.
La scelta di descriverli tramite le loro stesse parole non mi ha convinta, anzi: queste parole, se per certi aspetti non sono bastate, per altri mi sono parse eccessive.
Le parolacce non mancavano di certo, mai, in nessuna pagina: tanto per fare un esempio, mi sarebbe piaciuto vedere scritto un po' più spesso il termine "niente" al posto di "un cazzo" (parte narrativa compresa) in quanto la parolaccia, sì, può dare colore e forza al dialogo, ma quando inserita a ragion veduta, e senza esagerazioni di sorta.
Altro tema lo stile narrativo, uno dei punti-cardine che mi fa apprezzare un libro anche quando presenta qualche carenza nella trama: l'ho trovato semplicistico, forse perché appoggiato principalmente ai dialoghi di cui sopra, talvolta eccessivamente lunghi, talvolta dispersivi.
Mi hanno invece maggiormente convinta le parti descrittive in cui si faceva riferimento al parco e alle piante.
Dispiace infine trovare, in una pubblicazione, numerosi refusi, errori di battitura, grammaticali, di sintassi: magari una seconda lettura da parte del correttore di bozze avrebbe potuto eliminare queste sviste: quando la stessa parola viene scritta in tre maniere differenti, qualcosa può essere mancato da qualche parte.
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Scordatevi Bollywood
Quei bei film indiani, con donne bellissime, dai lunghissimi, scintillanti, capelli neri; occhi sorridenti e labbra ancora di più, se possibile; quelle donne padrone della loro vita, soddisfatte di essere quello che sono, di fare quello che fanno; quelle padrone di casa, madri, figlie, nonne, tutte ottimiste e decisioniste.
Questo quello che ci propone Bollywood. Bene.
Ora scordatevi tutto questo e prendete in mano questo libro, se volete vedere dell'altro.
Se volete vedere, ancora ai giorni nostri, che la norma sono i matrimoni combinati.
Se volete vedere una Moglie terrorizzata perché ha osato accorciare i suoi lucenti, infiniti, capelli corvini senza prima chiedere il permesso al Marito e alla Famiglia del Marito.
Se volete vedere donne, mogli, madri, incastrate in questi ruoli senza che abbiano la possibilità di sceglierli realmente, e nonostante questo continuare a sorridere; sorridere fuori, intendo.
Se volete vedere che ancora oggi partorire figlie femmine è una sventura, e per questo è diventato reato conoscere il sesso del nascituro;
se volete vedere che volendo, comunque, lo si viene a sapere lo stesso e sulla base della risposta si può decidere se portare a termine una gravidanza oppure rischiare la vita in aborti clandestini.
Se volete vedere che chi si oppone e fa scelte socialmente diverse diventa un maltollerato outsider.
Se volete vedere anche questo, allora leggete questo libro.
Tranquilli però: la trama non tratta esclusivamente di questi temi, li racconta attraverso due storie di abbandono e di dolore. Parla con grazia e senza strepiti del conseguente senso di impotenza, della voglia e della necessità di prendere in mano la propria vita, per se' stessi o per chi si ama, volenti o nolenti.
Un libro in cui il dolore non viene mai gridato, ma, se e quando viene esposto, avviene con delicatezza e timore, perché in fondo, il dolore, è quel sentimento che riduce in solitudine le persone che lo provano.
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Siamo davvero chi siamo?
Il fu Mattia Pascal versione Nothomb: voto cento volte la versione Nothomb, senza dubbio.
Chissà a quanti è capitato, magari solo per un momento, di sentire il desiderio di sparire, prendere una nuova identità, una nuova vita, abbandonare la carcassa di quella precedente e buonanotte ai suonatori.
Bene, la Nothomb con questo romanzo concede una possibilità unica a Baptiste, che la accoglie al volo, impulsivamente, senza frapporre tanti se e tanti ma. Con il suo sì a un brutto scherzo del destino, Baptiste si trasforma in Olaf, il suo morto personale in casa.
Il morto resta morto, lui diventa il morto, il morto diventa lui.
E caso vuole che Baptiste, ora Olaf, abbia tutto da guadagnarci. Almeno parrebbe.
Con una disinvoltura e una faccia di bronzo da Oscar Della Fonderia, il protagonista svolta.
La trama procede in un modo stranamente assurdo: non succede quasi nulla, ma succede in modo così intrigante, curioso, misterioso, coinvolgente, naturale, che sembra sempre stia accadendo qualcosa di unico ed importante.
Si può considerare trama lo stare in accappatoio a bere champagne per tutto il giorno?
Si può, eccome.
Magia della Nothomb, che tiene sempre ben teso quel filo chiamato attenzione.
Non si riesce a staccarsi dalle pagine, si vuole sapere cosa e perché, si vuole capire. Capire. Capire.
Si capirà qualcosa alla fine di tutto questo bere, rilassarsi e conversare?
Dove è veramente finito il nuovo Olaf, con chi, perché e per quanto tempo?
Difficile restare con più domande aperte rispetto alla prima pagina del libro; difficile ma non impossibile.
Possibilissimo, anzi, e con un senso di appagamento che ha dell'incredibile.
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Bella è idiota, edward sbrilluccica!
Se sui muri della vostra città, tracciata con dei gessetti colorati, trovate la sagoma stilizzata di una tizia con il capello caduco e il portamento incerto, e una bella, grossa, CUBITALE didascalia "BELLA E' IDIOTA" ...beh... sappiate che sono stata io!
E che ho pure pagato il copyright per la suddetta frase, visto che non è mia ma la condivido in pieno!
La suddetta Bella, protagonista del romanzo, ha i suoi perché, dopotutto, e la Meyer già col nome ha voluto enfatizzare da subito la faccenda: ce la chiama "Bella Cigna", come dire: "Tiè, questa qua porta nel nome già il suo destino: a casetta sua, PRIMA, era la brutta anatroccoletta della scuola, la sfigata... ma mo' vi faccio vedere io che questa diventa un elegantissimo cigno, una stella di prima grandezza!".
E detto fatto, questo fa. La ragazza timida, imbranata, insicura, cambia aria e va a stare a Forks.
Dove piove sempre. E probabilmente, causa la forte umidità nell'aria, la ragazza cambia odore.
La donzelletta deve per forza avere subìto un mutamento meteo-genetico tale da sprigionare fascino e attrattività a tonnellate: tutti i maschi si innamorano, la desiderano, provano addirittura a concupirla.
Ma lei niente, no! A lei piace Edward, il vampiro sbrilluccicoso, e a lui piace lei.
E' amore. No. AMORE.
Un puro, tenero, quasi infantile, amore. Infantile perché, signore e signori, abbiamo un problema di ordine pratico: il di lei odore, irresistibile, che tanto attira Lo Sbrilluccicoso, altrettanto lo costringe a desistere dall'avvicinarlesi troppo: gli piacerebbe assai darle una bella azzannata, magari sul collo, per iniziare, ma sa che questa attività sarebbe eccessiva e devastante per lei.
E di qui la di lei idiozia: la nostra eroina fatica non poco a capire la questione, nonostante il pazientissimo Edward cerchi di spiegargliela in tutti i modi, e gli si struscia addosso ogni tre per due, rischiando ovviamente di continuo la vampirazione.
Se può sembrare che il libro non mi sia piaciuto, affermo invece esattamente il contrario.
Mi è piaciuto: perché l'ho letto con gusto, leggerezza, divertimento, molta ironia (mi serviva, lo ammetto...), e ho colto il romanticismo di questo amore ideale, che per il momento (ma siamo solo alla prima parte) non porta a nulla di scottante.
L´idea del vampiro sbrilluccicoso, firmato, trendy, colto e per giunta "innamorato di quella là" mi è piaciuta, anche se personalmente non mi verrebbe mai il desiderio di baciare uno sempre gelido come un morto. Ma i gusti sono gusti, si sa.
Per completezza, devo anche aggiungere che per me si è trattato di uno dei rari casi in cui ho trovato il film superiore al libro: ho amato con maggiore facilità ed empatia i personaggi proposti in pellicola piuttosto che quelli del libro, salvo qualche eccezione: il padre di Jakob, per esempio, e il padre di Bella, che erano ben delineati, anche se poco presenti, e forti come personaggi.
Cosa che mi ha fatto venire una grande curiosità di saperne di più sulle figure paterne della Meyer....
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Poppy dopante
Cosa dire di questo libro se non che l'ho amato per la sua leggerezza e la sua pazzia?
Mi ci sono avvicinata con speranza e anche con qualche pregiudizio, dovuto al fatto di non essere riuscita a leggere più di qualche decina di pagine di "I love shopping".
Alla fine ha vinto la curiosità e mi sono detta: "Ok, mi butto, ci provo". Ho preso fiato, e ho aggiunto, stavolta a dita incrociate: "Fà che non sia una loveshoppingata, ti prego. Fà che non lo sia". E NON LO ERA!
Questo romanzo è tutto friccicarello, sprizza allegria, impulsività, gioia da tutti i pori (ok, da tutte le lettere). Ha anche i suoi momenti cupi, imbarazzanti, tristi, dove vedi la protagonista prendere delle decisioni. Le diresti: "Fai così!" oppure "No, non fare così!". Ma tanto lei non è una che ascolta nessuno e va avanti per la sua strada.
Dicevo: la protagonista, Poppy, che ho adorato: questa squinternata, impulsiva, dolce, ottimista, cellulare-dipendente, che si ritrova in una situazione che non riesce a gestire ma che fa di tutto per risolvere, a modo suo. Il problema?: ha perso quasi in un sol colpo il costosissimo anello di fidanzamento e il cellulare, il suo contatto con il mondo. E con una facilità che è tipicamente sua, decide di "usufruire" di un telefonino trovato abbandonato in un bidone. E da lì inizia una serie di situazioni paradossali, comiche e imbarazzanti.
Ben delineati anche gli altri personaggi; avrei preso a calci il suo fidanzato al solo leggerne il nome la prima volta (Magnus? Magnum?), ricordo di avere pensato: "E un suicidio fidanzarsi con uno con un nome così!!".
Ho provato simpatia per le amiche di Poppy, avversione per i futuri suoceri, quasi pena per Sam, per la sua vita.
Un libro brioso, che più va avanti e più colpi di scena presenta. Ti sembra che stia per concludersi, ti aspetti che prenda una certa piega, e invece no. Una sorpresa dopo l'altra.
Un libro da leggere per prendere fiato e ottimismo.
Che mi ha fatto riflettere sulla funzione dei cellulari, su quanto parlino di noi, del nostro carattere, della professione che facciamo, delle amicizie, degli amori. Non avevo mai visto il mio cellulare sotto quella prospettiva: pensavo servisse solo a telefonare e mandare sms!
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prego, signore e signori, da questa parte…
... ecco, si, da questa parte.
State entrando in una galleria di quadri.
I primi, i più antichi, sono datati 1500 circa (ai critici non è stato possibile stabilire un anno preciso, ce ne scusiamo con i graditi visitatori). L'ultimo è datato giovedì, 11 ottobre 1928.
Potete ammirare la splendida campagna inglese; I verdi alberi rigogliosi, i parchi immensi, e le piante, dai colori vividi grazie alle continue piogge: si, la campagna inglese è un argomento caro ai nostri pittori, sì;
La Quercia, il simbolo della Poesia e della Letteratura, per noi; poi capirete il perché;
Londra: la grigia Londra, la fredda Londra, la gelida Londra, la Londra di quando gli uccelli morivano assiderati in volo, e giù cadevano, straniti della loro stessa morte, sul Tamigi trasformato in un unico lastrone di durissimo ghiaccio; Lo stesso ghiaccio su cui Orlando pattinava con Sasha, la splendida, traditrice, principessa russa (traditrice? parrebbe proprio di si, e lui la pensa così, per cui sarà senz'altro così); Una dimora da 365 stanze, una per ogni giorno dell'anno… e un intero borgo attorno ad essa, con annesso parco, come si conviene alla nobiltà del tempo.
Ma.. cosa vediamo nella sala in fondo? Altri paesaggi: oh, si! Siamo a Costantinopoli, dove Orlando si trova in qualità di ambasciatore; ecco la zona degli altipiani della Grecia, terra di nomadi, che nulla possiedono ma del mondo dispongono.
Vediamo anche un veliero in rotta verso l'Inghilterra; e sul ponte una donna che fa considerazioni sulle proprie gambe… strana donna… e che considerazioni ardite!
E un'altra nave che doppia Capo Horn in tempesta. Una tempesta da fare paura ai marinai più esperti.
Ed ecco la sala dei ritratti. Quasi tutti a figura intera.
Di un uomo, Orlando: oh, ma che bel giovane, il preferito della Regina, Elisabetta I. Vediamo anche lei, eccola, in quella specie di grande cammeo vicino alla finestra.
Altro ritratto, altra donna: Orlando. …Orlando? Ma si, sembra proprio lui… ma no, è una Lei… Ah (ringraziamo la nostra guida): è sempre Orlando, che dopo un lungo sonno si risveglia donna, ha cambiato sesso. Ora è tutto chiaro. Normale.
Passano i secoli, oltre tre in tutto. Ci si accorge del tempo che scorre dal paesaggio che cambia, dagli abiti che si fanno più cupi e tristi, dall'introduzione dei lampioni sulle strade, dalle primissime automobili.
E Orlando, l'uomo che diventa donna, continua a vivere. Sempre giovane, sempre circondata (circondato?) dai suoi amati levrieri, dal suo struggimento per la Poesia e la Letteratura, sempre intento nella stesura del suo poema "La Quercia", sempre immerso nei suoi pensieri. Orlando che pensa da uomo e pensa da donna contemporaneamente: un caos impensabile per quei tempi! E che si perde anche in lunghi pensieri oziosi (tipico dei nobili: si sa, non hanno altro da fare, devono pur occupare il loro tempo…). E sogna l'amore. E lo trova. Anzi, è l'Amore a trovare lei.
Un libro che assomiglia più a un album segreto; di fatto una dichiarazione d'amore scritta da una donna, la Woolf, per una donna (la nobile Vita Sackville-West, con la quale ebbe una relazione).
Un libro non facile da leggere, sia per la trama che scorre nel tempo senza preoccuparsi troppo di avvisare il lettore, sia per lo stile che ai giorni nostri risulta un po' superato: a meno che non vi si approcci con uno spirito "passato": visionario, ardimentoso, eroico, trasognato, a volte melanconico, e cercando di immedesimarsi in un umorismo leggermente diverso dal nostro.
Oppure leggendolo quasi esclusivamente per immagini.
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Un tempo per ogni cosa
Un morto, un treno in movimento.
Due persone, anzi tre, nello scompartimento.
Strano… di solito gli occupanti sono sempre e solo due, e giocano immancabilmente a scacchi. Sempre. L'uno contro l'altro. Due vite che giocano, per ammazzare il tempo fino alla fermata giusta. Da anni.
Il gioco degli scacchi come il gioco della vita? Se si, allora, potremmo essere tutti pedine sulla stessa scacchiera: chi re, regina, alfiere, cavallo, torre, pedone.
E, sempre accettando questa teoria, rileveremmo immediatamente che questi sei pezzi sono del tutto insufficienti per rappresentare l'intero genere umano: la natura dimostra una fantasia illimitata nel continuare a creare i suoi "pezzi", i suoi uomini, le sue donne.
Ad esempio, sulla scacchiera, mancano i Mostri. Mancano gli Eroi. Mancano i Deboli, i Perseguitati. Mancano anche i sentimenti, come la Giustizia, come la Vendetta.
Ne mancano, di pezzi, sulla scacchiera bianca e nera…
E… cosa succederebbe se, nella vita reale, si volesse portare a termine, a tutti i costi, un "gioco" iniziato anni prima: cosa mettere come posta in gioco?
E anche: dove sta la sottile linea di demarcazione tra giustizia e vendetta?
Un libro avvincente, veloce, con una trama che non perde un colpo e uno stile pulito e impeccabile, per una storia che fa riflettere sul lato oscuro delle persone, sull'esito delle decisioni prese.
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Storia Infinita, non mi lasciare
Che bello toccare questo libro, con le sue pagine bianchissime, lisce come la seta.
Che bello vedere questo libro, con il testo scritto in due colori, il rosso e il verde.
Che bello leggere questo libro.
Una vera soddisfazione.
Una soddisfazione per chi, come me, ama le parti descrittive dove ti sembra di essere proprio là in mezzo, in mezzo alla Storia.
Non nel mezzo di una storia qualsiasi: qui siamo NELLA Storia Infinita, dalla prima all'ultima riga.
Senza respiro.
Catapultati continuamente a destra e a sinistra; non importa nemmeno se a catapultarti qua e là sia un Drago Bianco della Fortuna, o una mula, o un Leone che salta di duna in duna, ognuna di colore diverso, e che se, cambiando il colore della duna, cambia anche il colore del Leone che ti trasporta, che non ti riduce in brandelli solo perché tu indossi AURYN, l'amuleto dell'Infanta di Fantàsia.
O dobbiamo chiamarla con il suo nuovo nome, ora? Noooo, il nome nuovo non lo diciamo, per chi volesse scoprirlo da sè.
Questo libro è stato per me una vera sorpresa: mi aspettavo una bella storia fantasy, mi aspettavo di trovare, in meglio, il già bellissimo film. Mi aspettavo un bel prodotto.
Ma mi sbagliavo: le mie aspettative erano riduttive: Non mi aspettavo di trovare tanta fantasia, tanto sentimento, tanta azione, tanti personaggi strani e normali e matti e... e… e…
Non mi aspettavo nemmeno di scoprire che il film finisce solo a metà libro. Già. Esiste tutta una parte nuovissima da scoprire.
E non mi aspettavo di trovare tanta profondità umana in ogni pagina. E di divertirmi così.
Più andavo avanti, e più non riuscivo a finirlo. E non capivo perché. Poi ho capito: non volevo separarmene.
Questo è uno di quei libri che, se letti da adulti, ti dicono quelle mille cose in più che altrimenti vedresti in maniera più indistinta, coglieresti con mano più acerba.
E che belli i dialoghi con Donna Aiuola.
E che sorpresa l'evolvere della personalità di Bastiano!
E che...
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Maschio, caucasico, che si lava la coscienza
Sono ancora arrabbiata!
Di questo libro avrei apprezzato il tentativo, e sottolineo tentativo, di parlare dell'aspetto sessuale della vita in un'epoca in cui i tabù erano molti e non c'era la libertà di espressione di oggi.
Era il 1890 e Tolstoj "si era dedicato allo studio dei problemi dell'amore sessuale".
In realtà il tentativo non ci fu nemmeno poiché l'autore non volle pubblicare la novella e, cito testualmente, "preferì nasconderla ai suoi familiari per non ridestare una non sopita gelosia della moglie": E CI CREDO !!!
Infatti, cosa poteva fare uno scrittore per alleggerirsi la coscienza, tenuto conto che:
1 - era stato allevato da alcune zie molto religiose;
2 - aveva sostenuto che "Il Vangelo ha avuto un grande e benefico influsso sulla mia vita";
3 - qualche anno prima di sposarsi aveva avuto una relazione con una contadina / dalla quale aveva avuto un figlio / che lui non aveva voluto riconoscere / che in seguito avrebbe assunto come cocchiere???
E dunque, con questo scheletro nell'armadio, decide di esorcizzare il proprio senso di colpa scrivendo un racconto parzialmente autobiografico in cui scaricare tutte le colpe sulla contadina di cui sopra. Facile, no?!?
Siccome, guarda caso, a scrivere era lui, ed era sempre lui ad avere la penna dalla parte dell'impugnatura, già nelle prime pagine della novella si premunisce auto-assolvendosi e chiarendo che sì, il protagonista (lui) aveva cercato il sesso fine a se stesso, ma per pura motivazione scientifica: lo faceva per la salute. E cosa non si farebbe per la salute, dopotutto!
Per eliminare ogni ragionevole dubbio nei propri lettori, inoltre, spiega che: "Basta soltanto regolarsi in modo che nessuno lo sappia; d'altronde non è per vizio, ma soltanto per la salute". Ecco, lui è a posto. Che poi debba pagare Stepanida, la contadina, dopo ogni prestazione, poco importa: la salute viene sempre e comunque prima di tutto, come si diceva, le medicine hanno il loro prezzo, e il servizio sanitario, purtroppo, non gli fornisce certi medicinali in esenzione.
Il romanzo procede con il matrimonio di lui e l'interruzione degli incontri a pagamento - tanto ha trovato un'altra "medicina"... la moglie...
Ma gli resta un tarlo nascosto, che diventa un chiodo fisso nel momento in cui rivede Stepanida. Inizia così ad avere forti sensi di colpa perché è ancora attratto dalla bella contadina con il "fazzoletto rosso" (manco fosse un toro a una corrida…).
Per questo Evgenij, il nostro protagonista, dopo varie elucubrazioni e momenti di depressione anche acuti, decide che la colpa risieda esclusivamente in lei, l'unica colpevole e tentatrice. Il Diavolo.
Ed esiste solo un modo - no, in verità due, come le varianti del finale - per risolvere la questione e ripulire per bene, una volta per tutte, una coscienza scurita dall'uso.
A voi la scelta dunque del finale preferito. Io, per me, non ho dubbi...
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- no
Gelosia, un mostro dagli occhi verdi..
Un romanzo che racconta il Rinascimento usando gli occhi della gelosia e dell'invidia.
Due sorelle, Beatrice e Isabella d'Este, con il loro rapporto e il loro mondo: un mondo affascinante, dove arte, amore e guerra rappresentavano i tre lati di un triangolo.
Un mondo in cui era fondamentale avere il marito giusto per avere tutte le porte spalancate e poter soddisfare qualsiasi desiderio materiale.
Ma si sa che con i sentimenti non sempre funziona così.
Due sorelle, dunque.
La prima, Beatrice: carina ma non bella, intelligente seppur non brillante, colta, ma soprattutto con il marito giusto: Ludovico Sforza, Duca di Milano, l'uomo più potente di quei tempi - dopo il Papa, ovviamente.
La seconda, Isabella: già bellissima anche nel nome, coltissima, intelligente, abile nella diplomazia, mecenate per vocazione, ammirata dalla nobiltà di mezza Europa, nonché moglie di Francesco II di Gonzaga, Marchese di Mantova. Ma con un marito meno "importante".
E la vita in quell'epoca d'oro, il Rinascimento, in cui le due donne si muovono e respirano, attaccano e subiscono, influenzano e si fanno influenzare.
Tra di loro sempre presenti, fortissimi, quei sentimenti tipici fatti di amore fraterno misto a invidia e gelosia, che le seguiranno fin da piccole e fino alla morte. Sentimenti che nascono con il primo respiro di ognuno di noi, con la differenza che c'è chi ha la fortuna di dimenticarsene (o quasi), e chi ci farà i conti per tutti i giorni della propria vita, senza mai riuscire a liberarsene. Sentimenti che distruggono per primo chi li prova.
Un bellissimo affresco di un'epoca narrata dalle labbra e con gli occhi di due donne eccezionali per carattere, cultura, stirpe.
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Ti fidanzeresti con un amico del nonno?
Se esiste il termine fantagenetica, questo romanzo ne parla; parla anche di etica e morale senza darlo a vedere, per cui se cercate un "normale" romanzo di fantascienza non lo troverete certo qui.
Gli alieni? Non si trovano. Non ci sono. E non li troverete con facilità: li stanno cercando affannosamente anche i nostri eroi, che vogliono a tutti i costi rispondere ad un loro messaggio proveniente dallo spazio.
Peccato però che l'unica persona che potrebbe stabilire il famoso contatto sia ormai così vecchia che rischia di morire da un giorno all'altro.
Puf, finita, morta, stecchita, senza preavviso, magari.
Rischio troppo grosso per l'umanità e la scienza. E allora come risolvere?
Ci pensa un multimiliardario che pur di sapere cos'hanno da dirci "loro" propone alla nostra Sarah, scienziata ottantenne ormai in pensione, di ringiovanire.
Noooo, non come tutte le attrici di oggi: niente botox, niente interventi chirurgici, niente tiratine qua e là: una cosa definitiva, che agisce sul DNA e ti riporta indietro di 60 anni in un botto, o quasi. E da lì puoi riprendere a vivere altri 60 anni o più, fortuna permettendo. Le propone, gratuitamente, un intervento nuovo e costosissimo, riservato ai pochi multimiliardari della Terra.
La cara signora, però, non ci sta a tornare giovane da sola: ha un marito, ottantenne pure lui, lo ama, sono una coppia felice, hanno avuto una vita insieme, con figli e nipoti ora quasi ventenni. E in più non ci si vede a tornare giovane solo lei, avendo accanto un vecchio che vedrà morire prestissimo e per la cui morte soffrirà molto. Lo ama!
Così pone una condizione: o tutti e due giovani, o nessuno, dice, e se io muoio sono solo affari vostri.
E la cara signora viene accontentata: peccato che l'intervento funzioni solo sul vecchietto e non sulla nostra scienziata, la vera destinataria, che per qualche motivo risulta immune al proprio ringiovanimento.
E da lì parte tutto: lui che progressivamente torna giovane, in salute, pieno di desiderio (anche sessuale, si!) e lei che resta ferma alla sua età anagrafica. Tra i due si inizia a creare un baratro: la nostra Sarah si ritrova con un marito giovane ed energico, cui non era più abituata, e lui con una donna vecchia che ha bisogno di assistenza anche per salire le scale. Le cose cominciano a vacillare.
Un romanzo che ci fa riflettere sui risvolti che la genetica potrebbe avere sulla vita e sulle emozioni delle persone, sul sistema sociale, sul fatto che magari, in un futuro, proprio tu potresti frequentare una persona (un "vecchio" dell'età di tuo nonno!) che si nasconde nel corpo di un giovane attraente. E allora cosa decideresti di fare? Ti ci fidanzeresti lo stesso?
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Misteri regency per Mrs. Darcy
Premettendo che non amo né i prequel né i sequel di libri partoriti da scrittori che sfruttano l'onda di fatiche letterarie altrui, devo dire di avere trovato questo libro molto gradevole.
I protagonisti sono in neo-coniugi Darcy che si trovano ad indagare su fatti misteriosi che coinvolgono la snobbissima e odiosa Caroline Bingley, ora Mrs. Parrish.
Lo stile è very regency, le atmosfere sono rese bene e i dialoghi, sebbene lontani da avere il brio e l'intelligenza di quelli della Austen, sono perfettamente in tema con l'ambiente ed il periodo storico in questione. E' evidente che la scrittrice ben conosce la Austen e tutti i suoi personaggi, che in questo romanzo sono meglio caratterizzati rispetto a tentativi simili avviati da altri scrittori.
La partenza arranca leggermente, nonostante ci venga servito da subito su un piatto d'argento un bel mistero da svelare, salvo riprendersi quasi immediatamente, rilanciando con una trama in crescendo che ti fa venire la voglia di procedere con la lettura.
Se da una parte ho trovato un peccato la presenza di certe anticipazioni ed indizi forniti dalla scrittrice, che forniscono abbastanza chiaramente motivazioni e fonti del mistero, dall'altra ho apprezzato molto, per usare un termine teatrale, le scenografie e la luce.
Un libro piacevole che si può leggere tutto d'un fiato, magari:
in una notte buia e tempestosa,
con lampi accecanti fuori dalle finestre,
rigorosamente a lume di candela.
Un giallo che mi è piaciuto e che forse per un estimatore della famiglia Bennet & Co. vale la pena di leggere a priori.
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Nelle terre del Mercatino di Natale, 150 anni fa
Un romanzo epistolare atipico rispetto a quelli letti finora, che si caratterizzavano per la corrispondenza del tipo ti scrivo-mi rispondi.
Qui le lettere sono suddivise in blocchi di invii da parte di una stessa persona verso un'altra, e viceversa, senza avere "risposte" immediate tra i due. Si intuiscono le risposte mancanti tra le righe delle nuove lettere di chi scrive.
Il romanzo è suddiviso in due parti: prima della guerra e durante la stessa. Cambiano quindi i toni e i caratteri dei protagonisti, che vengono molto segnati da questo evento.
Nella prima parte abbiamo la protagonista, Leopoldina, che principalmente narra alla madre una serie di fatti quotidiani, nella seconda abbiamo il distacco del marito Fedrigo dalla moglie Leopoldina, e la corrispondenza tra i due.
Tutti i protagonisti, anche quelli marginali, sono ben delineati, la scrittura è molto semplice e chiara, le lettere (direi "missive", visto il periodo) sono cariche di vita di tutti i giorni come anche di eventi eccezionali.
Lo stile è "antico" quanto basta per non risultare difficile da leggere oggi, ma attendibile per quei tempi.
Interessante il personaggio di Fedrigo, che va in guerra senza fare mai la guerra, volendo farla ma sperando vivamente di non farla. Un approccio del tipo: vorrei-non vorrei. D'altra parte lui non è un combattente di professione e quindi vive questa esperienza con gli occhi di chi, nella vita di tutti i giorni, fa il nobile senza soldi e si occupa della famiglia come impegno principale.
Una frase su tutte che indica il suo carattere: "Non ho avuto il coraggio di sparargli. Come si fa ad ammazzare uno che ha prurito sotto il collo?".
Stupendo!! :))
Nel libro sono anche presenti parti non epistolari che spiegano i fatti storici che avvengono, senza quindi che questi subiscano il filtro dei protagonisti. Queste parti sono ben inserite, utili al contesto, ma mai pesanti. Forniscono una quantità di informazioni che comunque a ben leggere possono soddisfare un lettore molto più attento alla parte storica che non a quella romanzata.
Mi ha fatto stranissimo leggere di posti che conosco molto bene, vicino casa, che vedo regolarmente, e immaginarmeli immersi nella vita di quel tempo.
Alcune note: gli Schutzen, in tutto l'Alto Adige, esistono ancora, e.... a quei tempi la posta funzionava meglio di oggi!!!
Per chi volesse vedere il Bloshof (ora abbazia), la foto al link:
http://eppan.travel/en/highlights/sights/churches/abbey-church-mariengarten/
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Libro da ombrellone in inverno
Un romanzo che si fa leggere senza problemi, in velocità, ma senza avere la sensazione di sprecare tempo.
Attenzione però: non bisogna aspettarsi nulla di particolare, ma partire già con l'idea di trascorrere delle ore in leggerezza, in compagnia di una famiglia allargata e molto alternativa, tenuto conto che tutto si svolge nella seconda metà dell'Ottocento.
I personaggi sono quasi tutti ben delineati, la trama offre molteplici sviluppi, i riferimenti storici sono precisi e inseriti con regolarità, senza risultare eccessivi o didascalici, e forniscono al romanzo quella corposità utile per dargli una marcia in più rispetto ai romanzi d'amore tradizionali.
Due appunti sui protagonisti (relativamente numerosi): sono QUASI tutti caratterizzati bene, tranne quello di Elisabeth, che nelle intenzioni dell'autrice deve essere sfuggevole, misteriosa e chiusa in se stessa.
Invece va a finire che risulta non-descritta e, nel suo insieme, trascurato come personaggio: non è sufficiente dire che una donna è misteriosa, per renderne il mistero.
E allora ho pensato che la soluzione potesse stare nel fatto la scrittrice la trovasse così antipatica da decidere di lasciarla nel suo brodo e non andare troppo a fondo con lei!
Altra considerazione: il personaggio di Alexander, del quale per 500 pagine ci fornisce un preciso carattere, e poi gli fa prendere una decisione completamente in contrasto con il suo modo di essere. Mah....
Ovviamente non dirò di quale decisione si tratti, nel caso in cui qualcuno decidesse di leggere un libro da ombrellone durante il peggiore degli inverni degli ultimi 50 anni!
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Come un pugno nello stomaco
Un libro che ti prende come pochi.
Ogni pagina trasuda sventura, dolore, fame, povertà, così tanta povertà che non penseresti possibile potesse esistere nell'Irlanda di solo qualche decennio fa, in una terra arida non in grado di offrire alcunché ai suoi abitanti.
E poi, accanto a questo, una quantità incredibile di ironia, ironia a tonnellate, che riesce a rendere ogni dramma sopportabile, e a volte addirittura ridicolo.
Ecco, questo è un pregio davvero incredibile, un dono che lo scrittore mette a disposizione del suo racconto (il racconto della sua vita), un dono che rende disponibile a chiunque legga le sue pagine.
E grazie a questa ironia, magicamente, il lettore riesce a sopportare il dolore, la sfortuna, le ingiustizie, le tragedie che qui vengono raccontate, e si vuole procedere con il racconto, si vuole sapere cosa succederà, cosa potrà mai succedere ancora.
Uno spaccato di vita messo a nudo con una forza e un ironico disincanto che lascia senza parole e che ti colpisce come un pugno nello stomaco.
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Nessuna sintonia, nessuna sorpresa
E' stata una fatica finirlo, ma alla fine ce l'ho fatta.
Stilisticamente ridotto all'osso, tanto che sembrava scritto da un bambino delle elementari; con personaggi senza spessore che non hanno mai regalato sorprese, e con la splendida Barcellona che è riuscita a trasmettere di se' solo un centesimo di quello che è, nonostante fosse uno dei protagonisti della storia. Ne è uscita solo una Barcellona opaca, non dark.
La trama, quella sì, che poteva essere intrigante: ma è stata brutalmente schiacciata da questi deficit.
Ho vissuto questo libro come un romanzo gotico venuto male. Alla fine del Settecento facevano molto meglio, e pensare che stavano solo inaugurando il genere!
Una sola cosa mi ha spinta a raggiungere faticosamente l'ultima pagina: la speranza.
La speranza che tutto non fosse così prevedibile;
che Zafon, prima o poi, si riprendesse e cominciasse a scrivere un po' meglio di Rosamunde Pilcher (con tutto il rispetto per la Pilcher, che nel suo genere è un classico, e che non disdegno a priori);
che i personaggi diventassero finalmente vivi e non degli attori (scarsi) da cui si sapeva esattamente cosa aspettarsi;
che la noia, terribile, che mi ha colpita come la spada di Skywalker, lasciasse libero il romanzo di esprimere tutto quello che avrebbe potuto.
Ho trovato questo romanzo potenzialmente forte ma costruito su un castello di carte.
Forse non ho capito il gioco.
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Una Banana triste
Cinque racconti di Banana Yoshimoto, con il suo stile inconfondibile.
Sempre molto introspettiva pur senza darlo a vedere, con quel suo stile leggiadro che le permette di trattare argomenti complessi senza risultare pesante e quel suo modo di presentare la vita senza farti dimenticare mai che anche nei momenti di massima felicità esiste una percentuale di tristezza.
Ecco, questa è lei.
In occasione della nascita di questo libro, però, doveva trovarsi in una fase di dolore privato, tanto che questa sua opera mi è sembrata meno bilanciata rispetto al solito: la sua tristezza appare in ogni pagina: se intravedi la speranza, è anche molto lontana, forse un abbaglio.
In tutti e cinque i racconti la vera protagonista è la Morte: fisica, metafisica, dei sentimenti, delle emozioni.
Dei cinque brani, quello che ho trovato più emozionante e riuscito è "La luce che c'è dentro le persone", mentre gli altri mi sono sembrati mediamente trascurabili.
Nel suo insieme un libro riuscito a metà, anzi, a 1/5.
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- sì
- no
Molti spunti per chi vuole approfondire
Un libro per bambini che fa tornare bambini. Ma anche per grandi.
Lo stile è quello tipico della narrativa scandinava, che non si contraddistingue per la ricchezza del linguaggio ma che si fa apprezzare per la sua semplicità, immediatezza e freschezza.
E' una sorta di giallo filosofico che utilizza come espediente il calendario dell'Avvento che tutti i bambini del nord Europa hanno nelle loro case per fare il conto alla rovescia fino al giorno di Natale: da questo calendario, ogni giorno, si apre una finestrella.
Ma questo è un calendario magico, dal quale ogni giorno cade un bigliettino con degli indizi.
Si intrecciano così due vicende: una, fantastica, che si snoda da tempi recenti a ritroso fino al giorno della nascita di Gesù, l'altra, più reale ma misteriosa, svoltasi circa a metà XX secolo e sulla quale non è mai stata fatta luce.
La protagonista è Elisabet, bambina curiosa e attenta che viene scortata da personaggi storici, animali, Angeli e Cherubini, tutti ricchi di umanità e difetti, che con lei fanno un viaggio nel tempo e nello spazio fino alla Terra Santa.
E' un piacevole modo per scorrere in leggerezza la storia e la filosofia senza accorgersi di farlo.
Non è un libro che approfondisce nulla, ma che dà mille spunti per farlo in autonomia.
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Vacuo
Il libro meno riuscito di Colleen McCullough tra quelli letti finora.
Solitamente i suoi romanzi sono gossip e storia insieme, un bel modo di conoscere quest'ultima, o ricordarla, senza annoiarsi.
In questo caso, invece, la scrittrice, forse perché troppo libera di inventarsi una trama da zero e vincolata unicamente ai caratteri delle protagoniste (e dei protagonisti) originali, ha scritto un libro dispersivo e poco interessante, nonostante le numerose "avventure" che fa vivere a Mary, cui attribuisce ex novo una notevole voglia di riscatto, molta ingenuità ed incoscienza (il viaggio in carrozza) e un approccio alla vita nuovo di zecca, da suffragetta.
Lo stile narrativo, nel suo insieme, lascia a desiderare, e alcune parti del libro si potrebbero tranquillamente saltare a piè pari.
Lo consiglio solo a chi non avesse voglia di immergersi in una lettura avvincente, ma desiderasse allontanarsi momentaneamente dalla vita di tutti i giorni in modo poco impegnativo, veloce ed indolore.
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Come le piume di un pulcino
Un libro delicato e morbido "come le piume di un pulcino" ma con la forza della Vita narrata dalla Morte.
I temi sono quelli del nazismo e del razzismo, nella cornice della seconda guerra mondiale. Ma non lasciatevi ingannare.
La trama ti avvolge come una coperta di lana, calda ma ruvida, la voce narrante ti fa vivere il sentimento della pietà, i protagonisti sono così ben delineati che ti sembra di averli accanto e di conoscerli.
La prospettiva è un punto di forza: da una parte la Morte, impersonificata in un modo completamente diverso rispetto a come ci viene insegnata ora: una Morte intesa come Angelo, l'angelo della morte, un ruolo che "è uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve pur fare".
Altra prospettiva, quella della protagonista principale, la bambina che vive la durezza della guerra con i suoi occhi, incantati e disincantati insieme. E che in mezzo al dramma, alla fame, al freddo, alla povertà, alla morte dei suoi cari, al pericolo (anche consapevole), continua ad essere una bambina forte, che non si lascia rubare la sua infanzia. Ma che anzi dona.
Unico neo: la traduzione italiana del titolo del libro: Liesel i libri li RUBAVA, li aveva SEMPRE RUBATI, li RUBAVA PER SE', anche quando le erano stati offerti. Non li salvava. Perché un personaggio così non poteva rinunciare alle proprie passioni e alle proprie idee, anche a costo di rischiare in prima persona.
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"IL" libro
Stile impeccabile, storicità fedelmente riportata, bello come nessun altro libro.
E' avvincente in ogni sua pagina, in ogni sua riga.
Non lo molleresti un istante.
Un romanzo in cui la società dell'antica Roma non viene narrata solo per riportare sterili date, avvenimenti storici, guerre; la scrittrice utilizza in aggiunta un ingrediente nuovo per quei tempi: la vita personale.
Espressa in una maniera così perfetta, approfondita, ricercata, che fa pensare a una profonda e saggia introspezione del personaggio; ma se un lettore contemporaneo di Adriano avesse letto quest'opera, vi avrebbe anche colto tutti i rumors del tempo.
Non a caso gli avvenimenti storici e personali del protagonista sono fusi alla perfezione: solo una scrittrice donna può essere stata in grado di capire che le gesta dei grandi uomini della storia sono anche il frutto e il risultato della loro vita privata. I tempi moderni lo confermano ogni giorno.
Le vicende personali, le simpatie, i rancori, sono inscindibili dai risultati delle loro azioni.
E in questo libro, questa fusione, è perfetta: non esiste l'imperatore Adriano senza l'uomo che lui è stato.
E non è poco.
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Fuori da ogni schema
O lo odi, o lo ami. Non ci sono vie di mezzo. Io lo amo ancora.
La grammatica e la sintassi non esistono: iniziano ad esistere solo nel momento in cui TU, lettore, entri nella testa di Pigmeo, il protagonista, e pensi come lui, e tenti di parlare come lui, come se volessi esprimerti in una lingua che non conosci e che non è la tua lingua madre.
Per capire cosa scrive devi pensare anche con una forma mentis che non è la tua. Entrare in lui.
Lo stile narrativo è orrendo e al tempo stesso divertentissimo. Una lode al traduttore italiano.
Passato, o non passato, questo scoglio linguistico indigesto e al tempo stesso comicissimo, inizi ad amare il libro.
E' una critica durissima al sistema americano (dove Pigmeo viene inserito), ai sistemi totalitari (da cui proviene e in cui viene formato), alle imposizioni occulte della società americana, alle imposizioni dure e reali dei regimi; ma anche della famiglia e degli amici.
Gli occhi sono quelli di "Pigmeo", di cui non si saprà mai il vero nome: un ragazzino-kamikaze più che adulto e pure bambino addestrato e mandato negli Stati Uniti per "fare il suo lavoro".
Da lì racconta il sistema capitalistico americano con la forma mentale che gli hanno forgiato nella scuola di stampo militare di provenienza.
Il protagonista viene rappresentato benissimo, pur senza quasi mai capire quali siano i suoi veri sentimenti. Che quindi si intuiscono solo e poi esplodono prepotentemente.
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