Opinione scritta da Sancara
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Un bel libro
Selvaggi amori, della camerunese Calixthe Beyala, è stato pubblicato nel 2004 (il libro è del 1999) dalle Edizioni E/O nella collana i Leoni.
La storia si svolge a Parigi, dove Eve-Marie (chiamata da tutti Bella Sorpresa), immigrata camerunense, oramai sulla quarantina, fa la prostituta per il signor Trenta per Cento. Un giorno un bianco, poeta stravagante e suo cliente fisso, le offre di sposarla. Lei lascia il suo lavoro ed apre un ristorantino privato nel suo appartamento in un fatiscente condominio abitato da una variopinta comunità multietnica dove succederà di tutto.
La trama è semplice, ma è la straordinaria capacità di Calixthe Beyala di essere da una parte ironica e tragicomica e dall'altra di descrivere, in modo originale e piacevole, i personaggi a far diventare il suo libro un piccolo gioiellino. Una storia di immigrati, con tristezze e sofferenze, capace di raccontare la straordinaria capacità del genere umano, e degli africani in particolare, di adattarsi ogni situazione, anche le più degradate.
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Calixthe Beyala è nata a Douala in Camerun nel 1961, da una famiglia povera, sesta di dodici figli, è allevata dalla sorella. A 17 anni si trasferisce a Parigi per sposarsi con un diplomatico e dove ottiene la maturità in lettere. Seguirà il marito per un periodo in Spagna per poi tornare in Francia. Dopo essera stata modella e fiorista, nel 1987 fa il suo esordio letterario con il romanzo E' stato il sole a bruciarmi. Ha due figli ed è molto attiva nel campo della lotta alla violenza alle donne e ai bambini. Nonostante i premi e il riconoscimento di essere una delle più brillanti scrittrici africane della nuova generazione, la Beyala è una figura controversa poichè è stata accusata di plagio (condannata nel 1996) per aver copiato parti di un romanzo. Nonostante questo resta una delle più fresche e spumeggianti voci della letteratura africana moderna.
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Un libro da leggere con grande attenzione
Siddharta è uno di quei libri che deve essere contestualizzato (sia in termini temporali che culturali) per poter essere giudicato. Nonostante sia stato un testo icona della cultura della "beat generation", che a partire dagli anni '60, rivoluzionarono in modo sostanziale il rapporto con l'esistenza umana, Hesse lo scrisse molto prima, esattamente nel 1922, quando ha già 45 anni. Fu poi pubblicato, e diffuso, nel dopoguerra. Il rapporto con l'India (e la cultura orientale e in particolare quella buddhista e induista) deriva dal padre (che era stato missionario in India), da alcuni suoi viaggi nell'area (l'attuale Sri-Lanka e in Malaysia)e soprattutto da un'insaziabile bisogno di ricercare "una strada per la felicità". Credo che fu soprattutto questo moto interiore a farlo avvicinare all'Oriente - molto prima che lo facesse un'intera generazione negli anni '60 - alla ricerca di una pace interiore. Pace, che detto tra noi, non ottenne mai tra le sue depressioni e le sue malattie.
In questo contesto deve essere visto un libro come Siddartha che punta alla ricerca, mai doma, della conoscenza del Se' come elemento significativo che giustifica, oltre ogni esperienza, l'esistenza umana. Fu questa instancabile voglia di "ricercare" che fece diventare Siddharta un'icona di una generazione che seppe esplorare i confini più ampi (e discutibili, se volete) dell'esistenza umana.
Un libro da leggere con grande attenzione.
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Una storia da leggere
Firdaus, storia di una donna egiziana è un libro scritto dall'egiziana Nawal al Sadawi nel 1978 in arabo (pubblicato a Beirut) e tradotto in Italia, dalla versione inglese (Woman at Point Zero) nel 1986 da Giunti nella collana Astrea.
E' la storia di Firdaus, donna e prostituta rinchiusa nel carcere di Quanatin, condannata a morte per l'omicidio di un uomo, che attende l'esecuzione della sua condanna. E' rinchiusa nel suo silenzio e si rifiuta di chiedere la sospensione della pena. Non parla con nessuno, salvo aprirsi e raccontare la sua storia a Nawal, psichiatra e soprattutto donna.
Una storia di umiliazioni e di miserie, che sotto molti versi espone molte verità sulla comune condizione delle donne mussulmane, ma che può essere estesa, in modo più universale.
Firdaus racconta emozioni e disperazione, frustazioni e sogni che le fanno affermare con orgoglio "Sono un'assassina, ma non ho commesso delitti. Anch'io come voi uccido solo criminali ..... Nessuna donna può essere criminale. Per essere criminale bisogna essere un uomo..... Dico che siete criminali, tutti voi: padri, zii, mariti, magnaccia, avvocati, dottori, giornalisti, e uomini di tutte le professioni."
Il libro fu censurato in molti paesi arabi. Un libro intenso, duro e a volte crudo. Ma allo stesso tempo emozionante e comunque ben scritto.
Quella di Firdaus è una storia vera, fu giustiziata nell'autunno del 1974.
Nawal al Sadawi è una scrittrice e psichiatra nata in Egitto nel 1931. E' un'attivista e militante femminista. Nata in un piccolo villaggio, in una famiglia di 8 figli, il padre era un funzionario governativo. Ha studiato e nel 1955 si è laureata in Medicina all'Università del Cairo. Lavorò presso il governo come Direttore Sanitario, ma ben presto fu allontanata per la sua attività politica soprattutto a favore della condizione femminile nell'islam. Fu allora ricercatrice all'Università (ricerche sulle nevrosi - durante queste ricerche incontrò Firdaus in carcere) e consulente delle Nazioni Unite per programmi a favore dell' emancipazione delle donne. Fu arrestata nel settembre 1981 (era tra gli oppositori del trattato tra egiziani e isralieni) siglato da Sadat), fu rilascita a fine anno dopo l'assassinio di Sadat. Nel 1991 fu costretta a trasferirsi negli Stati Uniti a seguito delle minacce ricevute dai fondamentalisti islamici (si recò in North Carolina dove insegnò). Fece ritorno in Egitto nel 1996, dove continua la sua attività politica (si era anche parlato di una sua candidatura alle presidenziali del 2005).
Ha scritto il suo primo romanzo nel 1957 e da allora ha pubblicato numerose novelle, opere teatrali e brevi romanzi. Inoltre notevole è la sua produzione di saggi attinenti soprattutto alla condizione della donna nell'islam e sulla mutilazione genitale femminile (che ella stessa subì da bambina).
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Un Opera
Commento questa Opera, sebbene vi siano già molte recensioni, perchè si tratta di una vera e propria opera d'arte. Un libro che tutti dovrebbero leggere, un insegnamento di stile e di scrittura. Scritto nel 1967 (credo di averlo letto la prima volta nel 1980)rappresenta una delle maggiori opere mai scritte in lingua spagnola. Si legge di un solo fiato sebbene sia tutt'altro che un romanzo breve! L'epopea di Macondo e le sue vicende vi accompagneranno per tutta la vita.
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Una bella storia
Gente in cammino, edito da Giunti (nella collana Astrea) nel 1994 e scritto dalla algerina Malika Mokeddem nel 1990, è una storia di un'intensa relazione tra una nonna, Zohra e sua nipote, Leyla.
Zohra è una nomade del deserto Tuareg, che il destino ha spinto a fermarsi e diventare sedentaria. Leyla, la nipote, sogna la libertà all'interno di un contesto di una cultura patriarcale in cui cresce e con cui battaglia per ottenere il permesso a studiare allontanandosi dal villaggio. Tutto questo mentre infuria la battaglia della resistenza algerina per la liberazione del paese dall'occupante Francia.
La libertà di una nazione che si interseca con quella libertà interiore e di scelte che Leyla cercherà di raggiungere in tutti modi pagando di persona, con l'esilio, la sua tenacia.
Una storia autobiografica dell'autrice, nata e vissuta nell'Algeria meridionale, la quale riesce a frequentare prima il liceo e poi la Facoltà di Medicina dell'Università di Orano, fino ad essere costretta, dall'avanzata dell'integralismo islamico, a migrare in Francia, a Montpellier, dove finirà gli studi, divenendo medico nefrologo.
Un libro decisamente bello, che si legge con grande piacere. Un viaggio - denso di dettagli e di magnifiche descrizioni - tra la gente del deserto, che attraverso le narrazioni di Zohra, condite di fiaba e magia, conserva quella memoria collettiva a cui Leyla sarà costretta a rinunciare.
I Tuareg, popolazione berbera conosciuta anche come "Uomini Blu" (per l'abitudine degli uomini nobili e ricchi a coprirsi il capo con un turbante blu indaco che spesso lascia il colore), sono nomadi del deserto del Sahara, in particolare nel Mali, nel Niger e in Algeria, ma anche in Libia e Burkina Faso. Un numero stimato intorno ai 5 milioni di individui. Soprattutto in Mali e Niger le loro rivendicazioni sono sfociate in aperte e violenti scontri con i governi.
Malika Mokeddem, nata nel 1949 in Algeria (nel villaggio di Kenadsa), vive in Francia ed è stata più volte in Italia a presentare i suoi lavori.
La guerra di liberazione algerina ebbe inizio, militarmente, nell novembre del 1954 per concludersi nel marzo 1962 con l'indipendenza dell'Algeria dichiarata il 5 luglio 1962.
Quando Maria Pia e Loris, mi regalarono questo libro nel maggio del 1997, mi scrissero questo passo del libro: " l'indipendenza è prima di tutto un cammino, con gli occhi all'orizzonte e i piedi fuori dalla catene..."
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Un'esperienza straordinaria
Il libro di Pasolini, frutto di un esperienza di viaggio in India nel 1961, deve essere letto assieme a quello del suo compagno di viaggio, Alberto Moravia (Un'idea dell'India). I due testi sono complementari perchè racchiudono un diverso approccio alle contraddizioni e alla ricchezza culturale indiana. Già dai titoli che i due viaggiatori (assieme a loro c'era anche la moglie di Moravia, Elsa Morante) hanno dato ai propri racconti è possibile delineare la grande diversità del loro pensare all'India. Moravia si interroga sul futuro di quel grande paese (al tempo del viaggio non erano passati 15 anni dall'indipendenza), ricco di magnifiche testimonianze del passato, dal presente incerto, complesso e talvolta penoso, ma da un futuro sicuro. Pasolini invece, proprio per sua natura, si immerge nelle strade dove la gente vive, ne assapora i ritmi del pulsare di un'umanità vivace, ne percepisce l'intimo odore, senza porsi molti interrogativi se non di natura estetica ed emotiva.
Da questi due diversi approcci, la necessità di di leggere entrambi i testi, in un raffronto che guida il lettore verso un'immagine di un paese, in cui pensieri ed emozioni si fondono in una magnifica amalgama.
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Un'esperienza straordinaria
Il libro di Moravia, frutto di un esperienza di viaggio in India nel 1961, deve essere letto assieme a quello del suo compagno di viaggio, Pier Paolo Pasolini (L'odore dell'India). I due testi sono complementari perchè racchiudono un diverso approccio alle contraddizioni e alla ricchezza culturale indiana. Già dai titoli che i due viaggiatori (assieme a loro c'era anche la moglie di Moravia, Elsa Morante) hanno dato ai propri racconti è possibile delineare la grande diversità del loro pensare all'India. Moravia si interroga sul futuro di quel grande paese (al tempo del viaggio non erano passati 15 anni dall'indipendenza), ricco di magnifiche testimonianze del passato, dal presente incerto, complesso e talvolta penoso, ma da un futuro sicuro. Pasolini invece, proprio per sua natura, si immerge nelle strade dove la gente vive, ne assapora i ritmi del pulsare di un'umanità vivace, ne percepisce l'intimo odore, senza porsi molti interrogativi se non di natura estetica ed emotiva.
Da questi due diversi approcci, la necessità di di leggere entrambi i testi, in un raffronto che guida il lettore verso un'immagine di un paese, in cui pensieri ed emozioni si fondono in una magnifica amalgama.
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Un libro iniziatico, un capolavoro
Probabilmente è la maggior opera letteraria di Herman Hesse (assieme, a mio modestissimo avviso, a Narciso e Boccadoro). Scritta in un linguaggio non sempre semplice, può essere definitito un romanzo iniziatico dove emerge tutto il misticismo del miglior Hesse. Un percorso letterario che si sviluppa assieme alla strada persorsa da Josef Knecht: la via per la conoscenza e dell'insegnamento. Un libro da leggere con grande attenzione e con la consapevolezza che oltre alla storia, oltre ai personaggi e oltre al romanzo vi è un piano, quello del Gioco, che appartiene a tutti noi. In due parole: un capolavoro.
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Una piacevole escursione nella cultura indiana
Decisamente un ben libro. Scritto bene, piacevole nelle sue dinamiche, scorrevole nel narrato e intrigante al punto giusto. Uno spaccato della vita e delle cultura indiana attraverso il rapporto, complice e intimo, di due amiche - sorelle appunto di cuore. Per chi conosce l'India e' un bel viaggio tra colori, profumi e sapori. Vi e' anche un continuo di questa storia ( il fiore del desiderio) che non riesce a trasmettere le stesse emozioni e le stesse sensazioni.
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Nel suo genere decisamente un capolavoro
Credo che lo stile di Ammaniti non sia minimamente in discussione. Questo libro contiene nel racconto "L'ultimo capodanno dell'umanità" (che occupa l'80% del libro) decisamente un capolavoro del genere, inventato, "pulp-demenziale". Una tipologia di lettura che non lascia spazio alle mezze misure: o piace, e allora leggere Fango rappresenta una deliziosa esperienza, oppure non piace e questo libro può perfino inorridire. La costruzione del racconto, fatta di episodi separati che lentamente si compenetrano è, in se, una piccola chicca.
Del libro è stato fatto un film, diretto se non ricordo male da Rosi, che è ricordato solo per il nudo integrale della Monica Bellucci.
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Una strordinaria inchiesta
Il libro di Stefano Liberti, pubblicato nel giugno 2011 da Minimum Fax, casa editrice romana, Land Grabbing. Come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo è, come viene sottolineato in quarta di copertina "il primo reportage al mondo sull'allarmante e dilagante fenomeno del land grabbing". Il Land Grabbing, letteralmente "accaparramento di terra", è un fenomeno iniziato in modo massiccio dopo la crisi alimentare del 2007-2008, in cui paesi che dispongono di denaro (o multinazionali dell'agrobusines), affittano o comprano terre fertili in altri paesi (generalmente poveri) dove coltivano generali alimentari per i propri bisogni o prodotti per i biocarburanti.
Il lavoro di Liberti è quello della vera e propria inchiesta giornalistica, quella che non parte da un pensiero pre-costruito, ma raccoglie, attraverso l'indagine sul campo, le interviste con gli interessati e lo studio dei documenti, tutte le informazioni necessarie per permettere al lettore di comprendere i meccanismi che sottostanno al fenomeno e di conseguenza conoscerne pregi e vantaggi, difetti e pericoli. Un lavoro appassionato e rigoroso, come oramai è sempre meno frequente vedere, che ci guida nell'intrigato mondo della politica internazionale e del mercato globale che con la corsa all'acquisizione delle terre stanno cambiando il volto del Sud del mondo
Il libro si apre con il caso Etiopia, forse quello più importante e massiccio, per poi trasfreirsi in Arabia Saudita, Brasile, Tanzania e gli Stati Uniti, oltre che la FAO e le sedi degli incontri finanziari. L'Etiopia, come ci documenta Liberti, rappresenta per le sue caratteristiche il luogo ideale per gli investitori della Penisola araba: e' molto vicino geograficamente, ha una terra fertile e ricca d'acqua (nell'area degli altopiani), tutta la terra per Costituzione è di proprietà dello Stato e da oltre vent'anni è guidato in pratica da un partito unico senza opposizione. Quando a seguito della crisi alimentare del 2007-2008 è iniziata da parte dei Paesi Arabi (ma non solo) la corsa per accaparrarsi le terre fertili, la scelta dell'Etiopia è stata naturale.
Il viaggio si chiude in Tanzania, la nuova frontiera dei biocarburanti.
Ma la cosa forse più sorprendente è che nel libro Liberti smonta il falso mito per cui a guidare i paesi che si stanno "accaparrando" le terre in Africa sia la Cina. Con documenti e dati egli dimostra come la politica cinese nel continente abbia, per ora, altri obiettivi.
Un libro senz'altro da leggere, per capire le complessità africane.
Stefano Liberti è un giornalista, nato nel 1974, che pubblica i suoi reportage, soprattutto sull'Africa, su Il manifesto e altri periodici italiani ed esteri. Si è occupato anche di immigrazione in Italia, pubblicando nel 2008, sempre per Minimum Fax, un'inchiesta intitolata A sud di Lampedusa. Collabora anche con Silvestro Montanaro al programma televisivo C'era una volta.
Ecco una sua breve intervista sul libro.
Sancara aveva già pubblicato lo scorso ottobre un post titolato Land Grabbing: l'Africa in vendita. Vi invito anche a diffondere l'appello riportato qui sotto, perchè da quello che accadrà nei prossimi mesi o anni dipenderà non solo il destino di alcune popolazioni degli altopiani etiopici (e non solo) ma anche del mondo in cui tutti noi viviamo.
Le organizzazioni non governative, i movimenti dei piccoli agricoltori e le comunità locali a seguito del World Social Forum che ha avuto luogo a Dakar nel febbraio 2011, hanno lanciato un appello (Appello di Dakar), contro il Land Grabbing. E' un appello rivolto agli Stati e alle Organizzazioni Internazionali che è possibile firmare fino al 7 ottobre 2011 e che ha lo scopo di sensibilizzare sul tema e impedire scelte che rischiano di compromettere per sempre la situazione. Infatti dal 10 al 14 ottobre si terrà a Roma - presso la FAO - un vertice per discutere le Linee Guida per una Governance Responsabile dell'Agricoltura voluti dalla Banca Mondiale. Le organizzazioni contestano il fatto che "l'affitto o l'acquisto delle terre" possa essere responsabile. Il Land Grabbing deve essere bloccato.
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Piacevole lettura
Il desiderio di Kianda è un libro dell'angolano bianco Pepetela (pseudonimo di Artur Carlos Mauricio Pastana dos Santos) scritto nel 1995 e pubblicato in Italia da Edizioni lavoro nel 2010.
Il racconto di Pepetela ci porta in una Luanda dei primi anni '90 (quando sembrava imminente l'accordo di Pace, poi naufragato, per porre fine alla guerra civile angolana) dove avvengono degli strani fenomeni: i palazzi del centro della città cominciano, uno dopo l'altro a collassare senza una ragione e senza provocare danni alle persone.
Solo alla fine si scoprirà la volontà di Kianda, lo spirito dell'acqua che abitava l'antico lago scomparso per far posto ai nuovi edifici. Il realtà attraverso un racconto a tratti ironico e fantastico, Pepetela mette in nudo una classe di politici angolani (la protagonista, Carmina è un deputato, che avvertendo la caduta del regime, trova tutti i sistemi per arricchirsi sfruttando la sua posizione) che banchetta sulle miserie di un paese portato allo sfascio dalla guerra civile e che ha perso nel modo più assoluto quelle speranze di giustizia e di equità che avevano accompagnato la guerra d'indipendenza e i primi anni della guerra civile.
E' la fotografia, aspra e amara, che Pepetela (intellettuale e guerrigliero dell' MPLA) scatta con grande conoscenza, cogliendo le sfumature più nascoste e sottili. Un'immagine che scopre la miseria e l'arroganza di una classe politica (forse comune in molte parti del mondo) che ha perso qualsiasi contatto con la realtà e che pensa esclusivamente ai propri vantaggi e ai propri privilegi. Solo attraverso Kianda, lo spirito del lago, che ridisegna non solo l'architettura della città, ma le speranze e la dignità di tutto il popolo angolano, il libro offre una ottimistica visione per il futuro.
Un libro breve, inteso e piacevole. Al tempo stesso una triste visione della degenerazione dell'uomo a fronte dei propri interessi.
Artur Carlos Mauricio Pastana dos Santos, conosciuto come Pepetela, è nato a Benguela nel 1941 da una famiglia bianca portoghese della classe media. Studia a Lubango e negli anni '60 migra a Parigi e poi ad Algeri dove si laurea in Sociologia. Proprio in Algeria entra in contatto con altri membri del MPLA (Movimento per la Liberazione dell'Angola di ispirazione socialista). Nel 1969 è a Brezzaville dove, oltre ad iniziare a scrivere (pubblica il primo libro nel 1972), è sempre maggiormente coinvolto nella guerra di liberazione. Raggiunta l'indipendenza nel 1975 è stato membro del primo governo angolano (Vice Ministro dell'Educazione fino al 1982, quando decide di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura). Dagli anni '90 è professore di Sociologia presso l'Università Agostinho Neto di Luanda.
E' considerato unanimamente la migliore espressione letteraria angolana.
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Un buon libro
L'Africano, di Mario Cavatore è stato pubblicato da Einaudi nel 2007. E' un libro che si legge tutto d'un fiato (data anche la sua brevità) perchè è una storia che una volta cominciata si vuol assolutamente conoscerne la fine e seguirne, senza interruzioni, le emozioni che essa ci trasmette.
Una storia drammatica, ma non semplicisticamente pessimistica, che si svolge in parte in Ruanda e in parte a Bruxelles, sempre con uno sfondo che appartiene alla "Svizzera d'Africa".
Si mescolano la storia di un ex-mercenario che si ritira a produrre vino tra le terre ruandesi, a poca distanza dal vulcano Karisimbi (dove lavorò e venne uccisa Diane Fossey) proprio nel periodo a cavallo di quel drammatico aprile 1994 quandò iniziò il genocidio in Ruanda. L'altro pezzo della storia, in Belgio, tra un'assistente sociale e un etologo anch'esso con un legame forte con il Ruanda.
Una storia tra l'invenzione e la realtà, sempre documentata e precisa. Una storia sui mali dell'uomo e su chi li contrasta, attraverso personaggi come Bebert e Mariya , Leon e Huba, Elsa e Isimbi, che lasciano un segno profondo nel ricordo di una delle moderne tragedie dell'umanità. Una tragedia che pochi conoscono e che come ha dichiarato lo stesso Cavatore "per numero di morti è come se avessero abbattuto le torri gemelle ogni giorno per tre mesi consecutivi"
Mario Cavatore, operaio, tecnico del suono e artigiano, nato a Cuneo nel 1946, ha esordito nel 2004 , a 58 anni, con il romanzo Il seminatore.
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Un grande libro scritto da una donna straordinaria
Mentre il mondo stava a guardare, è uno straordinario libro scritto da Silvana Arbia e pubblicato da Mondadori Strade Blu nel novembre 2011.
E' il racconto di un magistrato italiano che dal 1999 si è occupata in prima linea, come procuratore per conto della Corte Penale Internazionale, del genocidio del Ruanda.
Silvana Arbia ci accompagna in un viaggio competente e preciso nell'inferno di quello che accadde nei pochi mesi che seguirono quel 6 aprile 1994, quando si scatenò la follia omicida che portò alla morte, a mezzo di colpi di machete e bastoni, quasi un milione di persone. Un viaggio parallelo a quello personale che la Arbia compie, quello di una donna magistrato che sceglie di andare in Africa (per oltre 100 mesi, come lei scrive) e ne coglie le genuine emozioni che la magnifica terra del Ruanda prima e della Tanzania dopo sono in grado di regalare. Mentre il mondo stava a guardare è un libro che si legge senza respirare, trascinati in un vortice di orrore per i fatti avvenuti, di stupende immagini che l'autrice riesce a trasmettere e di competente accusa verso chi poteva intervenire ed è stato a guardare.
Vorrei sottolineare alcuni passaggi di questo libro. Il primo è forse la motivazione più pura che ha spinto Silvana (spero mi conceda questa informalità) a lasciare tutto ed ad andare in Ruanda. Lei scrive: "appurare i fatti, capire come siano potuti accadere, approfondire le motivazioni dei colpevoli, ascoltare i racconti dei testimoni, ovvero ristabilire la verità, significa restituire giustizia e dignità non solo alle vittime, ma a tutti gli uomini, nessuno escluso". Un omaggio alla verità e alla giustizia, un modo per affermare il principio che nulla può passare senza una ferma condanna.
La Arbia, usa per quel che è accaduto in Ruanda, un terminologia tecnica che ben fotografa la complessa situazione, scrive infatti "una cosa è certa: tra aprile e luglio 1994 in quel paese si verificò il più grande blackout delle tutele civili e giuridiche mai avvenuto nella recente storia dell'umanità". I racconti dei testimoni, e i successivi processi, confermano come nessuno abbia tutelato le vittime. Lo stato, le istituzioni religiose, l'esercito e i presidi sanitari sono stati complici, quando non diretti pianificatori, dell'orrore.
Il libro della Arbia è anche un percorso umano, denso di emozioni di fronte a racconti raccapriccianti della mattanza che avvenne in quei giorni, delle violenze, degli stupri e degli inganni. Un sentire che mai ha messo in crisi l'aspetto professionale e l'impegno straordinario che ella ha dato alla ricerca della verità. Confessa con molta onestà: "avevo avuto un momento di grande sconforto, e altri ancora sarebbero arrivati, ma ora sapevo che cosa dovevo fare: continuare come è più di prima, senza mai stancarmi". A fronte di racconti dall'orrore inaudito, Silvana scrive: "a volte, mi accadeva di sperare che tutto ciò non fosse vero. Tale era l'immagine di inumanità che emergeva puntualmente da ogni singolo evento, circostanza e racconto, che per qualche istante cercavo di dimenticarmi chi ero e cosa stavo facendo. Nel segreto di me stessa desideravo con tutte le mie forze che fosse tutta un'enorme, assurda, crudele montatura. E invece, ogni volta dovevo subito ricredermi", forse nel tentativo di trovare una soluzione ad un conflitto interiore che faceva perdere qualsiasi contatto tra la realtà di quei fatti e la bellezza dei paesaggi del Ruanda.
Il libro ruota intorno alla figura di una carnefice ("la prima è unica donna al mondo a essersi macchiata del reato di stupro di massa quale crimine contro l'umanità"), Pauline Nyiramasuhuko, al tempo del genocidio Ministro della Famiglia e della Promozione femminile, condannata all'ergastolo in primo grado il 24 giugno del 2011, e di cui la Arbia è stata principale accusatrice.
Silvana, come già fatto da altri, giunge alla fine all'amara conclusione che "dopo anni di discussioni e ricerche, oggi è assodato che le stragi del 1994 in Ruanda potevano essere evitate ...... Mentre noi siamo rimasti a guardare".
In questo libro Silvana Arbia ha messo in gioco tutta la sua competenza giuridica, tutto il suo coraggio, tutta la sua caparbietà e la grande passione per l'Africa che come lei scrive l'ha accompagnata fin dall'adolescenza. Vi è anche un capitolo del libro (il XIV) che Silvana dedica a Dian Fossey, la primatologa assassinata in Ruanda nel 1985. Un omaggio al coraggio di un'altra donna straordinaria, ma anche una lettura diversa della sua scomparsa e forse in continuità con quanto avvenuto, solo 9 anni dopo, nel paese e su cui per ora, nessuno ha indagato a sufficienza.
Sono convinto che Silvana Arbia sia una di quelle donne che dobbiamo tutti ringraziare per l'enorme contributo alla conoscenza (oltre che alla giustizia) su di un episodio che l'intera umanità porterà a vita sulla propria coscienza.
Silvana Arbia è nata a Senise, piccolo paese in provincia di Potenza,è cresciuta a Venezia (si è laureata a Padova). ha fatto il magistrato a Milano presso la corte d' appello. Dal 1999 è magistrato internazionale presso il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (TPIR).
Vi posto anche questa sua intervista su Diritto.net
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Un amore intenso per l'Africa
La mia Africa (Out of Africa) è un romanzo autobiografico pubblicato la prima volta nel 1937 dalla scrittrice e pittrice danese Karen Blixen, pseudonimo di Karen Christentze Dinesen, baronessa von-Blixen-Finecke (1885-1962).
In Italia è stato pubblicato nel 1959 da Feltrinelli.
La storia è quella della permanenza in Kenya dell'autrice, dal 1914 al 1931. Karen parte per l'Africa assieme al cugino di secondo grado, lo svedese Bror vonBlixen-Finecke, che sposerà a Mombasa nel 1914 , il 2 dicembre 1913. Assieme acquistano una fattoria con una piantagione di caffè vicino Nairobi. Nel 1921 i due divorzieranno e Karen resterà da sola a dirigere la piantagione fino al 1931, quando una crisi del mercato del caffè e la morte del suo compagno , il cacciatore Danys Finch Hatton, avvenuta il 14 maggio 1931, per un incidente aereo, la costringerà a lasciare per sempre l'Africa, ritornando il 31 agosto 1931 in Danimarca.
La storia di quell'esperienza in Africa, che pubblicherà nel 1937, resterà il suo capolavoro letterario.
La Blixen descrive con un linguaggio piacevole e denso di particolari un'epoca, quella coloniale, che lei vede con occhi curiosi e privi di quei preconcetti e di quelle certezze di "superiore civiltà", rispetto all'Africa, tipica dei bianchi di quel tempo. Ella si immerge nella strepitosa natura dell'Africa, guidata dai suoi abitanti , i Kikuyu (l'etnia di quello che sarà il primo presidente del Kenya, Yomo Kenyatta, di gran parte dei ribelli Mau-Mau e del premio Nobel 2004 Wangari Maathai) che con lei instaurano un rapporto di fiducia e di reciproco rispetto, grazie anche ad un giovane aiutante della Blixen nella fattoria, Kamante.
Questo stretto rapporto con la natura, con i suoi pregi e difetti, e con i popoli indigeni (nel racconto si parla anche dei Masai e dei Somali) porteranno la Blixen a sostenere una superiorità dell'Africa, rispetto all'Europa, in quanto "più pura e più vicina a quanto Dio aveva preparato per gli uomini".
Nel 1985 vi fu un adattamento cinematografico del libro, diretto da Sydney Pollack e interpretato da una strepitosa Maryl Streep e da Robert Redford (che interpreta Danys Hatton), vincitore di 7 premi Oscar nel 1986.
Karen Blixen morirà a Copenaghen il 7 dicembre 1962 a causa delle complicanze della sifilide che aveva contratto dal marito alla fine del primo anno di matrimonio.
Vale la pena ricordare che Karen Blixen è autrice anche di una raccolta di racconti, Capricci del destino, al cui interno vi è un racconto Il pranzo di Babette, che nel 1987 ha ispirato un'altro straordinario film interpretato da Stephane Audran.
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Una finestra sul mondo arabo
Creatura di sabbia, scritto dallo scrittore marocchino in lingua francese Tahar Ben Jelloun nel 1985 e pubblicato in Italia da Einaudi nel 1987, è un libro che apre una finestra nel mondo arabo, sulle sue tradizioni, in modo originale e intenso.
La storia dicevamo è originale. In un paese magrebino - che l'autore non ci rivela - nasce , dopo sette sorelle, Mohamed Ahmed. Nasce femmina, ma per volere del padre crescerà maschio.
Il libro narra della vita di Ahmed, in un gioco di inganni e rifrazioni, dove il protagonista, crescendo, assume consapevolezza del suo stato e dell'impossibilità di interrompere il ciclo di apparenze che prima per volere del padre, poi per propria "costretta" volontà, lo accompagna fin dalla nascita.
La sabbia del titolo evoca in modo perfetto l'immagine della mutazione, del cambiamento e dell'adattarsi, nelle forme e nel pensiero, che il romanzo - attraverso una narrazione talora piacevolissima e comunque sempre elegante - vuole trasmettere al lettore. Quella sabbia che proprio come Ahmed, sfugge consapevolmente di mano, di disintegra e riappare in altra forma.
Il libro ha una sorta di seguito, ovvero un romanzo che riprende la storia di Ahmed, il quale si racconta (nel primo romanzo la storia è raccontata da altri), scritto da Ben Jelloun nel 1987 e intitolato Notte Fatale.
Tahar Ben Jelloun, nasce a Fes in Marocco nel 1944. Studia filosofia a Rabat e nel 1971 si trasferisce a Parigi dove ottiene un dottorato in psichiatria sociale. Nel 1998 ha pubblicato Il razzismo spiegato a mia figlia, che per il suo profondo messaggio è stato premiato dalle Nazioni Unite. Creatura di sabbia è il romanzo che l'ha fatto conoscere in Italia.
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Ottimo libro
Metà di un sole giallo (scritto nel 2006, edito in Italia da Einaudi nel 2008) della nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie.
Con grande capacità narrativa, l'autrice colloca la sua storia, di amori, conquiste, rinuncie e cadute di ideali, tra l'elite nera nigeriana di etnia igbo, colta ed emancipata, - in quel 1967 quando scoppia la guerra del Biafra (il mezzo sole giallo era il simbolo della bandiera indipendentista del Biafra).
Un romanzo che è stato un bestseller negli USA scritto con grande maestria da una giovane nigeriana (nata, credo nel 1977).
Il 15 gennaio 1966 un colpo di stato in Nigeria, porta al potere militari di etnia ibo (regione sudorientale del paese). Il 29 luglio del 1966, un contro golpe, riporta il potere ai militari del nord (etnie Yoruba e Hausa) e all'esclusione degli ibo del sud. Nel nord (mussulmano) vengono massacrate le minoranze cristiane. Il 30 maggio 1967, la regione sud-orientale del Biafra dichiara unilateralmente l'indipendenza (letteralmente la secessione). Pochi saranno gli stati a riconoscerla (Gabon, Haiti, Costa Avorio, Tanzania, Israele e Zambia), mentre altri presteranno solo aiuti ( Francia, Rhodesia, Sudafrica e Portogallo). Il 6 luglio 1967 lo stato centrale della Nigeria dichiara guerra al Biafra e inzia la riconquista del territorio che avverrà, con la fine dell'esperienza del Biafra, tre anni dopo, il 7 gennaio 1970. La guerra del Biafra lascerà sul campo circa un milione di morti e secondo alcune stime quasi altri due milioni di morti di fame e miseria. Ancora oggi forti sono le tensioni , dovute al fondamentalismo di entrambe le parti, tra il nord mussulmano e il sud cristiano. Neanche a dirlo nel sud-est della Nigeria (quindi nel Biafra) sono concentrati i maggiori giacimenti di petrolio del Paese.
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