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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    24 Mag, 2012
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La vita!

"Ah,la vita! Tragedia dolceamara,splendida puttana che mi porti alla distruzione!"
Chi è Arturo Bandini? Un sognatore,uno squattrinato,uno sbruffone,un romantico,un attaccabrighe...e mille altre cose...
Nel terzo capitolo della serie di John Fante a lui ispirata,Arturo,vicino ai vent'anni,si trasferisce dalla casa materna a Los Angeles,dove,tra le mura della sua squallida camera d'albergo,sogna di diventare un celebre scrittore...La realtà,però,che gli si presenta è ben più dura,con l'affitto da pagare,un vicino di camera ubriacone e pazzoide,il caldo soffocante del deserto,la solitudine...fino a quando nella sua vita non entra Camilla Lopez,avvenente cameriera messicana,che gli sconvolge la vita...e il cuore...Mentre l'incontro con un'altra donna,Vera,disturbata e disperata,gli darà lo spunto per intraprendere la scrittura del suo primo vero romanzo...e del suo primo successo letterario...
"Chiedi Alla Polvere" rappresenta il mio primo approccio a John Fante e l'impressione che ne ho tratto è,davvero,stupefacente...la semplicità della trama è sostenuta da uno stile narrativo appassionato,carico di emozioni,nel quale emerge tutta l'emotività del protagonista,che nelle pagine del romanzo oscilla continuamente tra la gioa e la disperazione,come un moderno Jacopo Ortis...I personaggi di contorno sono,spesso,disperati,soli,dediti all'alcool e alle droghe,come avvolti da un invisibile ma ben presente alone di distruzione,ma comunque nei loro gesti,nelle loro parole,Fante ne coglie la vita,che sgorga incessantemente attraverso le pagine del libro...La Los Angeles che fa da sfondo alle vicende è ben lontana dagli stereotipi della città,tutta grattacieli,strade immense e onde marine....piuttosto,una metropoli dolorosa,che fa da culla e da rifugio per migliaia di anime abbandonate e solitarie....
Un romanzo meraviglioso,decisamente moderno,sebbene scritto negli anni '30 del secolo scorso,semplice nella trama,profondo nelle emozioni...consigliatissimo,magari da leggere seduti in spiaggia,al tramonto...

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    15 Mag, 2012
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TORMENTI DI UN ADOLESCENTE NEWYORKESE...

James Sveck è un adolescente newyorkese,figlio di genitori benestanti (e separati),che lavora nella galleria d'arte della madre a Manhattan.
I suoi sognano per lui una folgorante carriera universitaria,James,invece,che si sente lontano ed estraneo rispetto ai propri coetanei,sogna una vita solitaria,in una casa in campagna,come l'adorata nonna da cui spesso si rifugia,passando le giornate a leggere i suoi libri preferiti.
Preoccupati dall'indole del figlio,i genitori di James lo costringono alla psicanalisi,nella quale emergono eventi del passato e tormenti del presente...
Il romanzo di Cameron è l'ennesimo racconto che ha per tema l'adolescenza,le sue turbe,la paura di crescere,i contrasti familiari.Ciò che lo rende piacevole e,comunque,degno di attenzione,è la grazia,la sensibilità con cui questo viene raccontato.James,a tal proposito,è sì un ribelle,ma la sua è una ribellione "silenziosa",che lo induce ad allontanarsi,piuttosto che a distruggere...Malgrado sia cresciuto e viva in ambienti abbienti e chic,se ne tiene distante,sognando una vita più semplice,a contatto con la natura e,soprattutto,con se stesso...Ammette la propria omosessualità,ma si sente ancora incapace di approcciarsi all'altro e,quando prova a farlo,a modo suo,combina un disastro (l'episodio del finto profilo in una chat per gay...)
Humour leggero,di stampo tipicamente anglosassone,personaggi ben caratterizzati e decisamente attuali (basti pensare ai genitori di James,ricchi,relativamente giovani,eppure così tremendamente tristi...),storia non originalissima,ma comunque ben oleata e scorrevole,rendono il libro di Cameron assolutamente piacevole e consigliabile a tutti,adulti compresi...

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    26 Marzo, 2012
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CAPOLAVORO!

In una città qualunque,un uomo qualunque,fermo con la macchina al semaforo,improvvisamente diventa cieco (stranamente,vede tutto bianco,non nero...).E' solo il primo caso di un'epidemia che finisce col colpire l'intera popolazione...tranne una persona...Il governo,nel disperato tentativo di arrestare il numero crescente di casi,decide di rinchiudere le prime persone affette da cecità all'interno di un ex-manicomio,dove ben presto la condizione patologica e lo stato di cattività faranno emergere il lato più selvaggio e brutale degli esseri umani...
Raccontare la realtà attraverso una situazione paradossale,"fantascientifica",non è nuova,mi vengono in mente "Fahrenheit 451" di Bradbury o "1984" di Orwell. In questo caso,Saramago compie un lavoro straordinario,riesce cioè a descrivere con una lucidità sconcertante e,allo stesso tempo meravigliosa,la bassezza umana,l'egoismo e il brutale istinto di sopravvivenza che sopravvengono quando vengono a mancare i bisogni primari all'interno di una comunità.E poi,il bisogno di dominare,attraverso la forza,la violenza e la sopraffazione del più debole,ottenendo ciò di cui si ha bisogno a scapito degli altri.
Certo,alcuni passi del romanzo sono difficili da digerire per il loro contenuto,su tutti il passaggio in cui le donne sono costrette a recarsi nella camerata dei "malvagi",ma è proprio attraverso tale crudezza nelle descrizioni,come un pugno allo stomaco,che Saramago ci invita a riflettere su noi stessi,sulla nostra condizione di esseri umani.La cecità del romanzo,è metaforicamente,quindi, l'incapacità dell'uomo moderno di guardare al di là del proprio ego,del proprio tornaconto personale.Il messaggio che trasmette è,naturalmente,negativo e pessimista,ma lascia lo spazio alla speranza,rappresentata in primis attraverso la figura della moglie del medico,che diviene sostegno per le povere anime rinchiuse all'interno della struttura.
Romanzo davvero incredibile,bellissimo per contenuti,per stile,per analisi psicologica dei protagonisti.Assolutamente consigliato...

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    26 Marzo, 2012
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Enciclopedia del dolore...

Alice e Mattia,anoressica e claudicante la prima,sociofobico e autolesionista il secondo,esseri soli,come i numeri primi di cui Mattia è uno studente appassionato,si incontrano ai tempi della scuola,si frequentano,o meglio,si fanno compagnia per diversi anni,prima che Mattia si trasferisca all'estero per lavorare.Dopo un decennio,su richiesta di Alice,che nel frattempo si è sposata,Mattia torna in Italia,ma ricostruire un rapporto tra loro si rivelerà praticamente impossibile...
"La solitudine dei numeri primi",ovvero il dolore e la solitudine in tutte le forme,due aspetti che coinvolgono i protagonisti come i personaggi secondari,nessuno escluso,dai genitori di entrambi,alla sorella di lui,al datore di lavoro di lei.Qual è il senso di questa descrizione del baratro della natura umana? Io non sono riuscito a trovarlo,sembra tutto fine a se stesso,i personaggi appaiono passivi e incapaci di reagire alla propria condizione,non c'è speranza,non c'è riscatto.
L'impressione che ne ho tratto è che il successo di questo romanzo sia figlio della spettacolarizzazione del dolore,tipica dei nostri giorni,e i particolare di questo Paese,in cui i i programmi TV,i talk-show,i giornali speculano e si nutrono delle lacrime della gente.
Assolutamente sconsigliato,per il senso di vuoto che trasmette...credo che nel momento sociale in cui ci troviamo,la cultura nazionale ha il dovere di indurci alla reazione,alla ricerca del "meglio",piuttosto che al piangerci addosso,che non porta da nessuna parte...se non a vendere libri...

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    13 Marzo, 2012
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Destino o libero arbitrio?

Il romanzo d'esordio di Glenn Cooper si svolge in tre momenti storici distinti :
-Nel primo Medioevo,all'interno dell'Abbazia di Vectis,dove alcuni scrivani sono dotati di un "dono" speciale...
-Alla fine della Seconda Guerra Mondiale,in cui alcuni archeologi sull'Isola di Wight fanno una scoperta eccezionale...
-Ai giorni nostri,dove un investigatore di New York,Will Piper,ormai prossimo alla pensione,è chiamato,insieme alla collega Nancy,ad investigare su una serie di morti in città,attribuite a un serial killer,ribattezzato Doomsday...
Naturalmente,le tre vicende,così apparentemente slegate tra loro,finiscono col sovrapporsi e mescolarsi attraverso lo scorrere delle pagine del romanzo...
Il punto a favore del libro risiede certamente proprio in questi salti temporali continui,che invogliano il lettore a scoprire cosa lega le tre vicende,e allo stesso tempo rendono l'opera estremamente dinamica e quasi mai noiosa.
Di contro,però',i personaggi appaiono eccessivamente stereotipati (uno su tutti,il detective "reietto",dedito all'alcool e donnaiolo,che si trasforma di nuovo in eroe...),il linguaggio narrativo piuttosto scolastico e,almeno per mia opinione personale,la trama mai eccessivamente avvincente,forse anche per la scelta dell'Autore,piuttosto atipica,di rivelare l'identità del killer precocemente,concentrandosi,nella parte seguente del libro,sulle motivazioni alla base dei presunti omicidi...
In definiva,una lettura scorrevole,poco impegnativa,che però,a mio parere,non "inchioda" alla lettura come altri romanzi del genere e per questo,non giustifica il titolo di "bestseller" di cui l'opera può fregiarsi...

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    28 Febbraio, 2012
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Riflessioni sulla vita...

Barney Panofsky,canadese di Montreal,ricco,alcolizzato e fondamentalmente solo,giunto alla soglia dei settant'anni,ripercorre gli eventi della sua caotica e affascinante vita,dagli anni parigini,passati a coltivare il sogno di diventare uno scrittore,insieme ai suoi amici letterati,al ritorno nella sua città in Canada,dove si arricchisce diventando produttore televisivo di programmi di dubbia qualità (vi ricorda qualcosa?).Un passato condito da tre mogli,tre figli,amici,nemici...e un'accusa di omicidio...E insieme al passato,così ingombrante e opprimente,Barney ci racconta il suo presente,fatto di whisky,sigari Montecristo,una prostata che non va,la memoria sempre più deficitaria,ma soprattutto tanti rimpianti e una grossa dose di malinconia...
La prima cosa da dire del romanzo di Richler è che non si tratta di una lettura facile : il modo di raccontare di Barney è assolutamente confuso,senza alcun criterio logico e cronologico,un po' come confusa e caotica è stata (ed è) la sua,di vita.Passato e presente si mischiano spesso,gli episodi fondamentali si alternano con quelli futili,spesso ci si perde nelle divagazioni mentali del protagonista,nella selva di ricordi che lo spingono a buttar giù le proprie memorie.
Tutto questo ,però,rende estremamente umano il suo racconto,che è certamente pervaso da ironia,ma un'ironia amara,amarissima,quella di un uomo che al crepuscolo della propria vita si trova a rimpiangere ciò che poteva essere,e non è stato.Soprattutto,la separazione dalla sua ultima moglie,Miriam,la cui storia d'amore è ripercorsa attraverso passaggi bellissimi,estremamente reali e ugualmente dolorosi.
Non mancano,poi,le riflessioni sul concetto di amicizia,in particolare legate al rapporto con Boogie,amico decisamente particolare e controverso...
Un libro molto intenso,quindi,nello stile e nei contenuti,non comico a mio parere,decisamente malinconico invece,ed estremamente realistico per il modo in cui rappresenta i sentimenti di un uomo così complesso,ma,alla fine,così comune...

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    14 Febbraio, 2012
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Esiste una criminalità "onesta"?

Nicolai Lilin,classe'80,che ora vive in Italia,racconta in prima persona in questo suo primo libro la propria infanzia e adolescenza in Transnistria,terra al confine tra Moldavia e Ucraina,all'interno della comunità degli Urka siberiani,popolo deportato in questo lembo del pianeta dal regime comunista sovietico e dedito alla criminalità e ai traffici illeciti.
L'educazione che riceve,principalmente dai vecchi,lo spinge,fin dai primi anni di vita,a seguire un percorso criminale,fatto di risse,rapine,omicidi,ma secondo un codice di comportamento etico molto rigido,che il suo popolo segue in maniera religiosa...
Il libro,a mio parere,risulta interessante e coinvolgente nel momento in cui si sofferma sulle regole,i precetti del popolo siberiano,perchè ci catapulta in una realtà a noi completamente estranea e difficile da comprendere e accettare.Il suo limite però è quello di perdersi in una serie di micro-storie e in una moltitudine di personaggi che finiscono col frammentare in maniera eccessiva lo svolgimento del racconto,che sostanzialmente non evolve mai...E i personaggi stessi,cresciuti all'interno di una comunità chiusa,finiscono col seguire sempre le stesse dinamiche,senza mostrare una propria crescita personale...
Alla fine ci si chiede se tanta violenza,tanta spietatezza,possa trovare una seppur parziale giustificazione in un'educazione che sembra non lasciare alternative...
In definitiva,libro interessante da un punto di vista sociologico,ma imperfetto,e forse un po' acerbo, a livello narrativo

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    31 Gennaio, 2012
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La vendetta è un piatto che va servito freddo...

Henrik e Konrad,amici fin da piccoli,dopo aver intrapreso insieme la carriera militare,si separano attorno ai trent'anni di vita,quando il secondo decide improvvisamente di partire,senza dire nulla all'amico di sempre.41 anni dopo,quando i due ormai sono giunti alla fine della loro vita,tornano ad incontrarsi:Konrad,che ha vissuto per anni ai Tropici,fa visita a Henrik nella sua lussuosa residenza tra i Carpazi,dove si è ritirato da tempo a vita privata.L'evento sarà l'occasione per fare i conti col passato e mettere alla luce i motivi della brusca separazione...
La prima parte del romanzo ha un ritmo piuttosto lento,di carattere descrittivo,necessaria a descrivere i due protagonisti,la loro natura,l'amicizia nata da bambini e le loro rispettive esperienze,e prepara il lettore all'incontro-scontro tra i due (ex)amici di vecchia data,che occupa la seconda parte del libro.E' qui,in questa seconda parte,che Marai costruisce il suo capolavoro,un capolavoro fatto di parole,e non di fatti,parole attraverso le quali Henrik consuma la propria vendetta o,almeno,questo risulta essere il proprio intento...
Si parla di amicizia,di orgoglio,di rispetto,di vecchiaia,del senso della vita,in un lungo dialogo-monologo che turba e allo stesso tempo costringe a riflettere su noi stessi,sulla nostra stessa natura di uomini...
Libro meraviglioso,doloroso,ma allo stesso tempo rivelatore,anti-cinematografico,per la staticità che lo caratterizza,ma intriso delle più profonde passioni dell'uomo...Assolutamente imperdibile...

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    27 Gennaio, 2012
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62 pagine di poesia e leggenda...

La storia di Novecento,abbandonato in fasce su una nave,la Virginian,adibita a fare la spola tra Europa e America a cavallo tra le due Guerre Mondiali,dove cresce sotto le cure di uno dei marinai,che gli fa da padre adottivo,senza mai metter piede sulla terraferma.
Il suo talento,quello di pianista,che lo renderà celebre al punto da arrivare a "duellare" a bordo col più grande pianista jazz dell'epoca.
La sua paura di vivere,di affrontare il mondo al di fuori della Virginian...
Tutto attraverso gli occhi e le parole del suo più caro amico a bordo,il suonatore di tromba,compagno di band...
Un lungo monologo,in cui la storia si confonde con la leggenda,la prosa con la poesia,nel quale Baricco,delineando la figura straordinaria di Novecento,descrive un po'tutti noi,spesso così incapaci di aprirci al mondo e di affrontare la vita...
Un racconto armonico,fluido,carico di significato,quasi una parabola,ma estremamente moderna,o meglio,attuale...Assolutamente da leggere...Italia,terra di santi (forse non più) e di poeti...

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    25 Gennaio, 2012
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Non fatevi prendere dal panico!

Spinto dalla notorietà dell'opera e dai commenti spesso entusiastici,mi sono convinto a leggere questo romanzo di fantascienza,pur non essendo un fan del genere.Lo spunto di partenza è piuttosto semplice:Arthur,umano,viene salvato dalla distruzione della Terra dal suo amico Ford,extraterrestre rimasto sul nostro pianeta contro la sua volontà per 15 anni e di cui Arthur non conosce la vera natura,ed insieme iniziano un viaggio emozionante e bizzarro attraverso la galassia.Cos'è la Guida Galattica invece? E' un libro elettronico,di cui Ford è uno dei redattori,che contiene spunti e consigli su come affrontare un viaggio in autostop attraverso lo spazio.
Il romanzo è davvero un piccolo gioiello: pieno di invenzioni,ironia sottile e pungente,personaggi alieni che spesso sembrano più umani degli umani stessi,persino idee su oggetti del futuro che poi sono stati realmente inventati e commercializzati (gli e-book e i display touchscreen!)...A tal proposito,va ricordato che il romanzo è datato 1979,quando il mondo dei computer era appena agli albori...Unica pecca,forse,la non completa caratterizzazione dei personaggi,ma forse in così poche pagine era difficile fare di meglio...
Insomma,consigliatissimo,si legge d'un fiato,diverte e ci trascina in mondi lontani...e sempre senza farsi prendere dal panico! (cit.da Guida Galattica...)

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    20 Gennaio, 2012
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Gli orchi siamo noi?

Si può ridere di un serial killer? Si',se il protagonista (involontario) della vicenda è Ben Malaussene,a capo di una sgangherata famiglia senza genitori,e impiegato (come "capro espiatorio")presso un Grande Magazzino,nel quale,a partire dalle feste di Natale,iniziano a verificarsi esplosioni di bombe rudimentali che mietono vittime tra i frequentatori del Centro...ma gli omicidi sono davvero casuali? E cosa c'entra lui con tutto questo? Pennac descrive la vicenda con un'ironia sottile e brillante che attraversa tutto il racconto,nel quale i personaggi sembrano usciti da un cartoon o un film di Tim Burton...su tutti la famiglia di Ben,fatta di sorelle new age e fratelli piromani...e un cane epilettico...E poi Ben stesso,prototipo dell'uomo moderno,pagato profumatamente per addossarsi le colpe di tutti i reclami del Grande Magazzino...In tutto questo,l'interesse per la componente "dark" del romanzo è subordinato all'attenzione che il lettore finisce col rivolgere a questa giostra di protagonisti bizzarri.E quello che il romanzo ci lascia in dote è che,in questo mondo di pazzi,e di "orchi",è pur sempre la famiglia,seppur stramba e fonte di preoccupazioni,la nostra salvezza,il nostro rifugio...

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    17 Gennaio, 2012
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Cosa significa "reale"?

Due storie parallele,due personaggi apparentemente estranei tra loro(Aomame e Tengo),una realtà che sembra essere quella attuale (o quasi...siamo nel 1984),ma che col tempo si manifesta in maniera del tutto inaspettata e "distorta" (le due lune,i Little People),una serie di personaggi di contorno straordinari e meravigliosamente caratterizzati,su tutti l'inquietante e allo stesso tempo affascinante Fukaeri.L'azione si alterna con i momenti introspettivi,la tensione con le riflessioni e le inquietudini dei protagonisti,che poi sono le stesse provate dal lettore che si trova immerso,pagina dopo pagina,in questa "realtà-non realtà".Il tutto attraverso lo stile elegante e mai sopra le righe di Murakami,che riesce a stupire non tanto attraverso facili colpi di scena (alla Dan Brown per intenderci),quanto attraverso l'accurata descrizione di un mondo così simile al nostro,eppure così diverso...Rimane soltanto l'amarezza per la necessità di dover attendere il terzo libro,in uscita in Italia soltanto ad Ottobre 2012,necessario a chiarire tutti i dubbi e i misteri irrisolti di questa prima parte del romanzo...Lunga vita a Murakami :)

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    02 Gennaio, 2012
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Il dolore e i ricordi...

Cos'e' Norwegian Wood? Un romanzo che affronta i temi della morte,del dolore,della loro accettazione o del loro rifiuto,ma che parla anche dei ricordi,dell'amore,quello fisico e quello cerebrale,del Giappone,così orientale eppure ormai così occidentalizzato,ma soprattutto della paura di vivere,dell'inquietudine sul proprio destino,della ricerca di una propria posizione,di uno spazio nel mondo. Murakami tesse tutto questo con una grazia e un'eleganza davvero rare,seguendo i ricordi del protagonista Watanabe attraverso gli anni universitari,impregnati di Beatles e Coca-Cola,birra e chitarra,ma soprattutto segnati dall'amore per due figure femminili straordinarie eppure così diverse tra loro,Naoko e Midori. Una finestra sul Giappone attuale e su quello che non c'è più...e su ognuno di noi,così influenzati dal passato e così timorosi del futuro...

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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    23 Dicembre, 2011
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Romanzo riuscito...a metà...

Cos'è la diversità? Una condizione oggettiva dell'essere o piuttosto uno stato dettato dai condizionamenti ambientali,in questo caso familiari,e dalle convenzioni sociali? Wesley Stace,scrittore nonchè musicista,affronta questa tematica nella sua opera prima,ambientata nell'Inghilterra nobile del primo'800,il cui protagonista si scopre maschio,dopo essere stato cresciuto fino all'adolescenza come una femmina da suo padre,ricco e importante signore dell'epoca.Il romanzo cattura nella prima parte,per gli eventi che si susseguono in maniera imprevista e per la scrittura elegante e tipicamente "british" dell'Autore,ma cede il passo nella seconda parte,dove la storia si fa più macchinosa e l'intreccio assume un contorno troppo "buonista",stile fiction TV...

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