Opinione scritta da Yami
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Non vedo... Non sento...
La storia comincia con un delirante scambio di battute tra due individui non identificati in preda a vaneggiamenti di cui si fatica a seguire il filo conduttore, conditi con allusioni e volgarità: si riesce a capire a fatica, dopo diverse pagine, che i due stanno parlando di una operazione andata a male e di bastonate prese da individui ai quali devono dei soldi. Non si capisce se i due parlano seguendo uno strampalato codice o se sono in preda a chissà quale sostanza che ne altera le facoltà mentali: in entrambi i casi le loro parole risultano incomprensibili e non tanto per l'utilizzo di alcuni termini ricercati inseriti qua e là, ma per l'uso di espressioni che non possono nemmeno essere definite colloquiali, le quali, unitamente a uno scarso utilizzo o a un uso improprio della punteggiatura e a qualche errore di battitura, rendono impossibile al lettore decodificarne il senso.
Riporterò un passaggio come esempio e tra parentesi inserirò le domande che mi sono sorte spontanee durante la lettura:
" Noi che la schina (presumibilmente "schiena") ce l'abbiamo bombata mica per schiatta (che significa?) ma perché destinati a riceverlo (ricevere cosa? nei passaggi precedenti non si fa riferimento a nulla che possa fare capire a cosa si riferisce), l'inventario a sto girolo facciamo in barba al groppone ("in barba al..." è un'espressione che si usa quando si intende fare un torto, un po' come dire "alla faccia di", ma qui, facendo riferimento "al groppone" sembra più un'esclamazione che però non ha molto senso, nemmeno a voler essere comica)... dritto somaro!... (si presume che all'improvviso il personaggio che stava parlando si riferisca all'altra persona che è con lui, ma non essendoci alcun tipo di descrizione che accompagna la scena, non si ha la più pallida idea di cosa stia succedendo) che adesso ci penso io a lavorartelo per bene. Dritto! Somaro dritto! che provvedo ad alloggiarlo (alloggiare cosa? forse stanno trasportando un oggetto?) e tu pronto a fare il servizietto (anche qui il buio totale) senza fare bau bau però. (battuta discutibile per far dire al personaggio che non vuole sentire lamentele dal compagno). Ci stai? Ecco! Bravo, così! ... Alè! Si riparte..."
Passaggi come questo non sono una tantum: le prime 19 pagine sono tutte così. Speravo che lo smarrimento iniziale si esaurisse dopo le prime 3 o massimo 5 pagine, che sarebbe la lunghezza massima accettabile in cui un lettore può sostenere questo genere di "nonsense", invece la situazione si è protratta.
Come accennato e come si può notare anche dal passaggio appena riportato, la storia è composta da dialoghi che non sono accompagnati da alcuna indicazione o descrizione su quello che sta succedendo, sul numero dei personaggi sulla scena, sugli spostamenti che questi effettuano mentre parlano e non ci sono nemmeno indicazioni che permettano di capire chi sta dicendo cosa.
Non c'è né un narratore interno né uno esterno: sono i personaggi stessi a parlare e lo fanno a raffica, senza sosta, man mano che si muovono, si spostano, interagiscono tra loro o con oggetti, peccato che non potendo "vedere" né la scena né loro, non si capisca nulla.
L'autrice, volendo dare un senso tutto particolare del suo scritto (e a questo accennerò più avanti, almeno basandomi su quello che credo di aver capito), non ha pensato di dare "la vista" al lettore,, che si trova così spaesato, non ha un volto da abbinare a una voce perché spesso non capisce a chi questa appartenga.
Si trova a chiedersi spesso: dove sono i personaggi? che stanno facendo? chi è che sta parlando adesso? in quanti sono?
A volte è possibile ricostruire, anche se solo in parte, luoghi e azioni perché uno dei personaggi ne fa qualche accesso: ma non si può leggere un intero libro aspettando di capire dopo quello che abbiamo letto prima, sempre quando questo ci viene concesso perché non sempre riusciamo a decodificare quello che abbiamo letto. Un testo concepito in questo modo diventa complicato e pesante da leggere.
Queste difficoltà sono manifeste già nelle prime 19 pagine, quando ancora sulla scena ci sono soltanto due attori: immaginatevi l'effetto che si ottiene quando, più avanti, entreranno in gioco nuovi personaggi.
Tra l'altro, non c'è alcuna suddivisione in capitoli che conceda una pausa, uno stacco netto tra una sequenza e la successiva: qualora si dovesse essere costretti a interrompere momentaneamente la lettura - e mi è successo diverse volte - al momento di riprenderla si è perso completamente il filo del discorso, che già di suo è difficile da individuare.
Si fa ampio uso di modi di dire usati fuori dal loro solito contesto, citazioni buttate lì in maniera discutibile (vedi pagina 15 "Ripeto, non riesco più a seguirti. La messa è finita, andate in pace fratelli! Amen), metafore e filosofia spicciola.
A pagina 20 avviene una svolta: cambia scenario, spunta una voce narrante, la prima che si esprime in modo coerente e sensato. Questa voce anonima dura pochissimo: lascia subito spazio alla vocedi Vicky, la vittima del crimine di cui si accenna in quarta di copertina, che esprime in prima persona i suoi pensieri. E non è l'unica: dopo di lei altri personaggi prendono la parola, sempre con la caratteristica del fiume in piena, parlando direttamente o esprimendo i loro pensieri in prima persona (sta al lettore barcamenarsi per capire, ancora una volta, chi sta dicendo cosa visto che spesso non viene specificato).
Non c'è uno scambio naturale di battute, i personaggi molto spesso rispondono a domande e obiezioni che il lettore "non sente" dire agli altri interlocutori: in pratica, deve intuire da se che se un personaggio, mentre sta parlando, si interrompe o cambia discorso lo fa perché un altro sulla scena gli ha chiesto o ha fatto qualcosa. Un personaggio cede spazio a un altro solo quando l'autrice lo ritiene strettamente necessario. Ne risulta che la maggior parte delle volte intervengono nel discorso persone, con i loro ragionamenti al limite della logica, che non si sa chi siano finché la voce narrante (che ogni tanto risorge) non si decide a fare almeno i loro nomi.
Ci sono personaggi, come Tess, introdotti per pochi istanti: potevano essere interessanti eppure vengono lasciati al margine e dimenticati dopo poche pagine.
Queste scelte di stile a mio parere hanno penalizzato parecchio il testo.
Inoltre, seppure si può sorvolare su qualche errore di battitura ( schina-schiena, mogliettina-magliettinae così via) dal momento che sono banalità che ormai si riscontrano in tutti i libri, non si può fare altrettanto con errori evidenti come l'uso improprio del "piuttosto che" con la funzione della disgiuntiva "o/oppure", che ho incontrato diverse volte nel testo.
Concludendo: si capisce che l'autrice voleva creare qualcosa di innovativo, che il suo intento era quello di rappresentare un mondo scombinato, insensato, confusionario e instabile, dominato da parole e discorsi senza senso, dove persino un delitto diventa teatro di stupidità e disordine, in cui ciascuno si abbandona a congetture e commenti senza fondamenti e chi invece sa tace.
L'idea poteva essere buona, ma secondo il mio punto di vista (che cerca di mantenersi il più obiettivo possibile ma probabilmente risente comunque di un minimo di giudizio personale) è stata resa male.
L'elemento nonsense andava ridimensionato notevolmente, soprattutto quello che domina le prime 19 pagine, perché il rischio che il lettore abbandoni il libro, anziché sentirsi spronato ad andare avanti per capire dove il tutto voglia andare a parare, è molto alto.
Il non voler svelare troppo, il trattenersi su molte cose, probabilmente sono da interpretare come un espediente per lasciare al finale l'unico compito di far luce sulla vicenda: l'effetto non è riuscito, rendere "cieco" e a volte anche "sordo" il lettore non è stata una buona scelta.
La mancanza di una narrazione coerente che accompagni dialoghi e pensieri di personaggi senza un volto è un handicap. La lettura risulta pesante, stancante e lenta nonostante le discussioni si susseguano con un ritmo frenetico.
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C'era una volta la Rivoluzione
Passato e presente si intrecciano, si rincorrono e infine si incastrano, dando esito all'inevitabile conclusione.
Un romanzo breve, ben scritto, dove dettagli, scene e azioni vengono descritti con poesia.
Nonostante il lessico ricco di metafore e i numerosi giri di parole, la lettura è abbastanza scorrevole: solo in un paio di punti sono stata costretta a tornare indietro e rileggere il passaggio per recuperare il filo della narrazione.
In poche pagine troviamo tutti gli elementi tipici del thriller poliziesco.
La padronanza del linguaggio è ottima: i pochi refusi trovati sono probabilmente riconducibili a errori di battitura o di distrazione, sfuggiti in fase di editing, che non pregiudicano la qualità e la piacevolezza dello scritto.
L'intreccio è riuscito.
I capitoli brevi si adattano perfettamente al ritmo della narrazione.
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Droghe, sesso e niente più
"La bestia non corre" rappresenta il ritratto di una società allo sbando, popolata da individui senza dignità che conducono vite disordinate, prive di uno scopo e di una direzione; una realtà di stampo maschilista, in cui ogni individuo vive per se stesso, nel proprio cieco e ottuso egoismo, in un mondo distorto e offuscato da svariati tipi di droghe e alcolici; un mondo popolato da persone il cui unico interesse è appagare il piacere dei sensi ricorrendo a sostanze che ne alterano la percezione e abbandonarsi al sesso senza sentimenti e senza inibizioni.
Le vicende narrate ripercorrono momenti vissuti dal protagonista in varie fasi della sua vita, partendo da una giovinezza spensierata, condotta tra vizi e abusi, fino alla scoperta di una malattia degenerativa (nel testo indicata con l’appellativo “Bestia”) che, come anticipato dalla trama riportata nella quarta di copertina, “condizionerà inevitabilmente la sua esistenza". In realtà di tale malattia che da persino il titolo al romanzo non si fanno che pochi, semplici accenni, come se si parlasse di un banale raffreddore. C’è, giusto per avvisare il lettore, ma non influisce più di tanto sullo stile di vita del protagonista: i condizionamenti di cui si parla nella scheda di presentazione del libro non esistono affatto dal momento che Riccio continua ad affogare negli eccessi come se nulla fosse, senza rallentare più di tanto i ritmi.
Per cui, se da un titolo e da una trama del genere vi aspettavate di leggere una storia in cui, dopo essersi abbandonato a ogni tipo di vizio, il protagonista è costretto a una battuta d’arresto a causa di una malattia che gli permette di maturare mentalmente e spiritualmente, sappiate che vi sbagliate di grosso: in Riccio non cambia nulla, il protagonista non impara nulla dai numerosi errori e la storia finisce così com’è cominciata, ovvero con una carrellata di incontri sessuali tra lui e le sue “amiche di sesso”.
Le ragazze, a volte molto giovani altre volte mature e procaci, vengono descritte come oggetti “scopabili”, sempre pronte e ben disposte ad aprire le gambe e la bocca per concedere se stesse e/o dare piacere a qualunque partner occasionale, senza rispetto per se stesse e per il proprio corpo. Sono solo organi riproduttivi ambulanti, strumenti di piacere pronte ad accogliere le richieste degli uomini e a servire le loro voglie anche senza trarne particolare godimento personale.
Nella sua storia, infatti, tutto ruota attorno alle droghe e al sesso: Riccio e i suoi amici non mangiano, non bevono e non respirano altro che fumo, pasticche, polveri e alcolici di vario genere. Come si legge nella scheda di presentazione " Il lettore impara involontariamente a preparare la droga per lo spaccio, comprende gli effetti delle sostanze assunte da Riccio e dagli altri personaggi che popolano il suo ambiente e assiste alle performance sessuali dei protagonisti."
Per Riccio e la sua compagnia, una serata tranquilla è “solo sesso, cocaina e qualche birra”.
Se la presenza di certi passaggi ed elementi possono talvolta considerarsi funzionali a comprendere il livello di degrado dei valori dei personaggi che si muovono sulla scena, il continuo soffermarsi sulle descrizioni dettagliate dei vari rapporti sessuali fa sorgere il dubbio che per l’autore ogni scusa sia buona per soffermarsi proprio su di essi, utilizzando il gergo tipico di chi frequenta gli ambienti in cui circolano droghe e alcolici e un linguaggio crudo e spesso volgare, ricorrendo a descrizioni inutilmente minuziose e dettagliate degli apparati genitali e delle reazioni degli stessi agli stimoli tattili. Sembra di leggere un porno anziché un romanzo che ambisce a “ripercorrere momenti di una gioventù spensierata fino alla acquisizione di una nuova consapevolezza del senso della vita”: tale consapevolezza non viene acquisita, come già detto il protagonista non subisce alcuna evoluzione, resta fino alla fine un ragazzo immaturo che fugge da una vita che gli sta troppo stretta (la malattia in tutto ciò non rappresenta nemmeno un problema al raggiungimento dei suoi scopi) e prende tutto quello che può, continua a vivere per appagare i suoi sensi e il suo ego.
Come se non bastasse, in un passaggio si sfiora la blasfemia: si può essere credenti oppure no, si ha la libertà di far esprimere ai propri personaggi un’opinione o un pensiero contrario a figure o credi religiosi qualsiasi, ma nel fare ciò si dovrebbe sempre cercare di portare rispetto verso coloro che credono in tali figure: rivolgersi a queste con frasi volgari e dissacranti, anche se inserite in un contesto di “finzione”, denota mancanza di sensibilità e attenzioni verso il lettore.
La narrazione scorrevole ed elementare permette di leggere l’intero volume in un solo pomeriggio, tuttavia quest’unico pregio non solleva la qualità del contenuto. il romanzo non contiene un messaggio o una morale, anzi descrive la totale mancanza di morale e valori e nel farlo si limita a riferire vicende personali in cui squallore e dissolutezze rappresentano la normalità. Al contrario, fornisce informazioni accurate sui processi di taglio, consumo e spaccio delle droghe, che non sono propriamente utili, facendo apparire il consumo delle stesse quasi accettabile, normale, facile e senza conseguenze.
Di storie come questa, purtroppo, ce ne sono fin troppe nella vita reale e, a meno che non siano accompagnate realmente da un’evoluzione o un cambiamento che permetta al lettore di acquisire nuove consapevolezze e informazioni che possono arricchire la sua persona, queste restano fini a se stesse, non lasciano niente.
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Streghe e stregoni a Benevento
Botteghe che scompaiono e riappaiono dal nulla, streghe e stregoni, sibille e nenie enigmatiche, una profezia misteriosa e un prescelto all'oscuro di ogni cosa per un fantasy tutto italiano ambientato nell'Italia dei giorni nostri, più precisamente nella città di Benevento.
Remo è un ragazzino qualunque alle prese con genitori apprensivi e iperprotettivi che però non lo ascoltano come dovrebbero, che ogni giorno deve vedersela con bulli odiosi e professoresse arcigne e antipatiche che anziché vegliare sugli alunni in difficoltà sembrano patteggiare per i prepotenti della classe.
A complicargli ulteriormente l'esistenza ci pensano alcuni misteriosi figuri che tentano di rapirlo e una serie di eventi inspiegabili e stravaganti che gli faranno scoprire un'altra Benevento, in cui leggende e magia rappresentano la normalità.
Sin dalle prime battute il lettore viene completamente assorbito dalla storia.
Lo stile narrativo utilizza un linguaggio moderno, compatibile con quello dei ragazzi, vivace e divertente, semplice eppure vario.
Carini i numerosi giochi di parole utilizzati per dare il nome a luoghi e intrugli magici: la città magica sotterranea di Malevento, per esempio, si contrappone alla Benevento della superfice; per non parlare dei vari tè utilizzati da Bernardo, i cui nomi suggeriscono le proprietà stesse di queste bevande speciali, come il "tè-lefono" che permette di sentire meglio, il "tè-mpestivo" per rapidi balzi in avanti e in dietro in punti ben precisi o il "tè-nebra" che rende invisibili.
C'è un perfetto equilibrio tra le parti in cui l'azione predomina su tutto e quelle dedicate ai momenti di riflessione e chiarimento durante i quali i personaggi cercano di dare un senso alle proprie disavventure.
Le descrizioni puntigliose fanno sì che il lettore conosca l'esatta posizione di oggetti, muri e scalinate rispetto ai personaggi che si muovono sulla scena. Questa attenzione per i dettagli, diversamente a quanto ci si aspetterebbe, non costituisce una limitazione all'immaginazione del lettore né risulta noiosa o stancante.
I personaggi sono rappresentati con caratteristiche fisiche e comportamentali ben definite, sono stravaganti e simpatici.
Il romanzo è accompagnato da alcune illustrazioni in bianco e nero nello stile dei fumetti occidentali, che ne arricchiscono il contenuto.
La storia ha una conclusione, ma lascia aperta una possibilità per un eventuale seguito.
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Vita in prestito
Trama:
Milano. Clara Scardi ha perso la memoria a seguito della perdita del marito, un ricco finanziere scomparso da diverso tempo e il cui corpo non è mai stato ritrovato. A causa delle sue condizioni, Clara vive in uno stato di apatia e confusione perenne, vigilata dall'invadente e opprimente governante e scortata ovunque dal suo autista, mentre il suo patrimonio è gestito da un curatore, il dott. Varosi. Contemporaneamente, nella stessa città, l'avvocato Mario Valadier si trova ad affrontare l'inspiegabile scomparsa della moglie Emma. L'ispettore Bertoli, incaricato delle indagini, non riesce a far luce sul mistero della scomparsa di Emma.
Clara, intanto, comincia lentamente a recuperare il controllo di se e scopre con sconcerto di essere vittima del diabolico piano di una ramificata organizzazione criminale. Nel tentativo di sfuggire a un destino oscuro, finirà con intrecciare la sua vita con quelle di Mario e di Emma.
Commento:
Il ritmo della narrazione è dettato dalla brevità dei capitoli, tramite i quali seguiamo alternativamente le vicende di Clara e quelle della familia Valadier.
Se non avessi letto la Prefazione prima di passare al romanzo, i primi capitoli mi sarebbero sembrati molto confusionari: all'inizio, infatti, si perde di vista "chi è chi" e si ha l'impressione che il tempo venga dilatato in modo innaturale. In realtà, come capiremo subito dopo (anche aiutati dalla Prefazione che lascia intuire in anticipo alcuni dei meccanismi principali che determineranno lo svolgimento della storia), tale effetto viene creato di proposito dall'autrice, proprio per la natura della vicenda che ella si appresta a raccontare.
La narrazione in terza persona assume però un tono impersonale: la voce narrante da la sensazione di limitarsi a riferire ciò che sta osservando con i suoi occhi, senza alcun coinvolgimento emotivo, in modo formale e meccanico, descrivendo talvolta anche delle azioni assolutamente irrilevanti, insignificanti e superflue ai fini della storia.
Tutti personaggi si muovono all'interno di scenari patinati, ambienti eleganti e sofisticati, immersi in un'atmosfera di pigra irrealtà. In parte ciò è dovuto al desiderio di voler sottolineare maggiormente lo stato di generale e profondo stordimento in cui versano soprattutto i personaggi principali, tuttavia ha finito col diventare un difetto: i personaggi, infatti, assumono atteggiamenti assai poco naturali, a volte persino inopportuni e inspiegabili considerate le situazioni che si trovano ad affrontare; agiscono in modo frettoloso quando ancora non hanno nemmeno gli elementi per poter trarre determinate conclusioni e giustificare ansie e preoccupazioni, mentre, al contrario, appaiono fin troppo accondiscendenti, sprovveduti e rilassati quando invece è evidente che qualcosa non va.
Le loro vite rimangono in stallo per tutta la prima metà del romanzo: non accade nulla di significativo, nonostante si sia già capito con chiarezza quello che è successo, la natura dei segreti e delle verità nascoste e la piega che prenderanno gli eventi.
Nel capitolo 26 abbiamo un improvviso salto temporale di ben 4 anni, durante i quali evidentemente non è cambiato nulla: nel passaggio tra la scena descritta negli ultimi righi del capitolo 25 e quella che leggiamo nei primi passaggi del capitolo successivo, infatti, sembra siano trascorsi al massimo un paio di minuti,con Clara che versa nel medesimo stato d'animo in cui l'avevamo lasciata e i Valadier immersi in un clima di pseudo tranquillità nel quale però aleggia il fantasma di Emma. In poche parole, se la voce narrante non avesse specificato che era avvenuto un salto temporale di 4 anni non mi sarei accorta della differenza: forse scegliere di far trascorrere degli anni per dare un'accelerata alla storia è stato eccessivo, visto che non si avverte il fatto che sia trascorso così tanto tempo tra le due scene, forse sarebbe stato più logico e plausibile far passare 4 mesi visto come è stata presentata la situazione.
Dal capitolo 27 in poi, la storia finalmente comincia a movimentarsi un po', anche se non si fa altro che avere conferma di ciò che già era possibile prevedere dopo i primi capitoli.
Il finale è aperto e anch'esso prevedibile. Sinceramente speravo almeno qui in qualcosa di diverso. Dopo tanti patimenti, le cose si risolvono (anche se non del tutto) in modo fin troppo semplice e sbrigativo per un'operazione che era stata studiata e portata avanti per anni da un'organizzazione criminale tanto complessa come quella che ci è stata descritta per tutto il tempo.
La fascetta gialla con cui era circondato il libro al momento dell'arrivo in casa mia recita le seguenti promesse:
...SEDUCENTE come un film,
SORPRENDENTE come lavita.
... NON POTRAI SMETTERE...
Purtroppo devo dire che il romanzo non mi ha affascinata particolarmente, che non è riuscito a sorprendermi dal momento che si intuisce ogni cosa con largo anticipo; in quanto all'ultima affermazione, devo dire che ho fatto diverse interruzioni: solitamente, quando un libro della medesima lunghezza mi coinvolge, riesco a leggerlo in un pomeriggio o al massimo in due se ho anche altri impegni, mentre questo non è riuscito a tenermi ancorata alle sue pagine e me lo sono tranquillamente trascinata dietro per diversi giorni, senza nutrire particolare simpatia o attaccamento verso i personaggi, senza alcuna smania di curiosità da saziare.
Concludo dicendo che il libro non è sgradevole, l'idea di base era interessante: purtroppo, però, manca qualcosa di fondamentale, ovvero il coinvolgimento del lettore; lo stile narrativo è piatto, non riesce a trasmettere emozioni, non innesca la scintilla e non crea quel pathos laddove ci si aspetterebbe di trovare ansia, apprensione e paura.
Ho cercato di stilare una recensione abbastanza obiettiva. Tra l'altro, onde evitare dubbi, ci tengo a precisare che il mio giudizio non tanto positivo non è frutto di incompatibilità con il genere letterario cui il romanzo appartiene: anzi, al contrario, i gialli e i thriller (insieme al fantasy e all'horror) sono tra i miei generi letterari preferiti.
Indicazioni utili
- sì
- no
- sì, se non avete grandi pretese;
- no, se sperate in un intreccio dinamico, impegnativo e ricco di sorprese.
Dodici piccoli capolavori
La prefazione, redatta dell'autrice stessa, rappresenta un perfetto biglietto da visita dell'opera che, a mia volta, mi accingo a presentarvi: tramite essa, Tina Caramanico ci presenta il suo progetto, ci offre una prima analisi interpretativa dei racconti che la compongono, promettendo emozioni, riflessioni ed esperienze autentiche. E così è, infatti.
"Oltre l'incerto limite" contiene dodici racconti, suddivisi in sei coppie tematiche intitolate "Origini", "Identità", "Innocenza", "Conoscenza", "Sogni" e "Futuro" e tutti accomunati dal medesimo filo conduttore, che è per l'appunto il "limite".
Ogni racconto appartiene a un genere letterario diverso o per meglio dire, non essendo propriamente inquadrato in determinati confini di genere, ne richiama alcuni elementi caratteristici, ma in modo piuttosto relativo.
Questi i racconti:
- "S-confini", che con ironica ci fa riflettere sul fatto che "in quanto a pregiudizi razziali, tutto il mondo è paese";
- "Martedì Grasso",amaro, oscuro ma profondamente affascinante;
- "Io no", una battaglia contro se stessi per se stessi;
- "Due", con le inquietudini e i timori di chi si vede derubare del proprio io;
- "Erika e il mare", tragico e carico di malinconia;
- "Maria era una strega", crudo e terribile come la realtà;
- "La casa del padre", indefinito come l'ombra dell'inquietudine e del sospetto;
- "Al Girasole", impregnato del rimpianto per un sogno rincorso ma mai soddisfatto;
- "Adele", con il suo desiderio rincorso a tutti i costi;
- "Al bivio", con le sue indecisioni decisive;
- "La vita nuova", con le incertezze future.
Dodici storie rese affascinanti da tecnica narrativa semplice ma molto efficace.
Benché sia possibile intuire e prevedere la direzione che prenderanno le storie man mano che si avviano alla conclusione, queste non perdono il proprio fascino né la presa che suscitano sul lettore.
La lettura dell'intera raccolta scorre con piacevolezza in un paio d'ore, forse anche meno.
Concludo rivolgendo i miei complimenti all'autrice: ultimamente è sempre più difficile leggere qualcosa di così alto livello.
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Un barlume di speranza? Ma anche no...
L'equilibrio mondiale viene definitivamente sconvolto dallo scoppio improvviso di una devastante guerra nucleare esplosa tra Occidente e Medio Oriente, tra islamici e il resto del mondo.
In nome di Dio vengono spazzate migliaia di vite innocenti, gli accordi di pace tra le nazioni saltano e a farne maggiormente le spese sarà l'Italia e il suo popolo.
Menzogne, intrighi, segreti, cospirazioni, stupri, mutilazioni, squallore, violenze: nessuno sembra possa sfuggire dagli orrori che hanno cancellato dagli sguardi della gente ogni speranza per il futuro.
Non ci si può fidare di nessuno, nemmeno dei preti e di vecchiette apparentemente innocue che si prodigano per la salvezza dei piccoli orfanelli sopravvissuti ai bombardamenti e alle sevizie dei militari arabi che ormai hanno invaso il territorio.
Non si è al sicuro nemmeno tra le mura del Vaticano, che anziché presentarsi come un rifugio, è diventato un covo di spie, assassini e cospiratori che si servono di veleni e armi per liberarsi di personaggi scomodi e manovrare la realtà nel tentativo di ricostruire la grandezza della Roma di un tempo.
In mezzo a questo caos, seguiamo le vicende di alcuni personaggi, prima tra tutte quella di Anna Laura (che in teoria è la principale protagonista del romanzo, ma in realtà dividerà la scena equamente con altri comprimari), assisteremo alloro calvario presente e poco alla volta ricostruiamo anche il loro passato tormentato da accadimenti che hanno segnato per sempre le loro esistenze.
La trama non è originale, tuttavia all'inizio il testo scorre abbastanza bene e gli espedienti narrativi adottati dall'autore invogliano il lettore ad andare avanti con un certo ritmo, spinto dal desiderio di sapere come si evolveranno le vicende presentate nel primo capitolo.
Dopo qualche capitolo, però, si riscontrano alcune difficoltà: la storia è caratterizzata da numerosi flashback, che a volte vengono inseriti nel bel mezzo di un capitolo e per distinguerli dalle vicende che si svolgono al presente sono riportate in corsivo, altre volte interi capitoli informano il lettore di avvenimenti passati, senza che sia adottato alcun tipo di accorgimento, come per esempio l'inserimento di date e annotazioni oppure lo stesso sistema del corsivo che invece viene utilizzato per gli altri flashback. Questo continuo alternarsi tra passato e presente, senza che vi siano indicazioni temporali precise o con indicazioni di tipo visivo adottate in modo parziale a approssimativo generano un po' di confusione: se si è dotati di buon intuito si riesce comunque a destreggiarsi tra i vari passaggi, però in alcuni momenti ci vuole un po' prima di rendersi conto che il periodo che si sta leggendo si sta riferendo ad avvenimenti passati e questo proprio perché a scatenare i flashback dei personaggi sono situazioni analoghe che si ripresentano nella loro vita nel presente.
Ho riscontrato poche sbavature e imperfezioni sfuggite all'editing, per lo più concentrate nei capitoli centrali (18-19). In un passaggio, per esempio, Anna Laura Crespi diventa Maria Laura Crespi.
C'è stata una disattenzione anche nell'impaginazione: il numero identificativo del capitolo 25, per esempio, è finito in fondo all'ultima pagina del capitolo 24, segno che non è stato fatto un ultimo controllo attento prima di mandare il libro in stampa.
Dopo tante disavventure, violenze fisiche e psicologiche, omicidi e tradimenti, la storia sembra avviarsi a una conclusione definitiva e serena per la protagonista: c'è però un particolare poco chiaro, una scelta dell'autore che mi ha destato perplessità e mi ha delusa.
Indicazioni utili
sì, se vi piacciono particolarmente le storie che parlano di complotti, guerre tra religioni e agenti segreti;
no, se ne avete abbastanza di storie cruente in cui l'uomo da il peggio di se compiendo stermini, stupri ai danni di donne e bambini, mutilazioni e torture, dando sfogo alla propria meschinità e agli istinti più bassi nascondendosi dietro lo scudo di una guerra santa in nome di Dio.
Le anime del Baraonda
Trama:
Selmo Dettori ha scelto di anteporre la sua passione per la musica e il suo impegno sociale alla professione di medico. Si divide tra la sua banda musicale e il Baraonda, un centro sociale della periferia milanese, dove si incrociano diversi personaggi che ben rappresentano la realtà dei quartieri più difficili della periferia milanese. Durante un viaggio solitario verso le montagne, Selmo incrocia alcune figure che gli riportano alla memoria diversi episodi della sua vita, grazie alle quali ricostruisce pezzo per pezzo la sua drammatica vicenda personale e quella della comunità che gira intorno al Baraonda, svelando al lettore, poco alla volta, le ragioni che lo stanno guidando verso una scelta difficile.
Recensione:
Sebbene Selmo sia il protagonista del romanzo, la nostra attenzione viene sin da subito dirottata sugli altri personaggi che gli fanno da contorno con le loro vite disordinate, emarginate, sregolate e piene di problemi.
Quelle che frequentano il Baraonda sono anime costrette a combattere ogni giorno contro i pregiudizi, l'ignoranza e l'indifferenza, che scelgono di rivendicare il proprio diritto a esistere e prendersi ciò che viene loro negato dalla società e che spetterebbe di diritto a tutti, ovvero un "posto nel mondo", anche se scelgono di farlo in modo discutibile e con mezzi non propriamente legali.
Sono persone che cercano di difendere a modo loro quella poca dignità rimasta, che hanno conosciuto e conoscono ancora la miseria, l'umiliazione e la stupidità.
Hanno occupato abusivamente un edificio di proprietà del comune, che tuttavia era abbandonato e prima del loro arrivo versava in condizioni pietose: lo hanno rimesso in piedi, hanno apportato diverse migliorie e ne hanno fatto il loro rifugio. Il fatto che sia situato proprio accanto al cimitero maggiore (prima, infatti, era utilizzato come una sorta di magazzino per le bare) gli conferisce un significato ben preciso: il Baraonda, infatti, è come un limbo sospeso in cui il tempo ferma il suo corso, un porto in cui attraccano quelle anime travagliate che non trovano posto né tra i vivi né tra i morti e scelgono di annegare se stesse nell'alcool e abbandonarsi alla nebbia ipnotica del fumo d'erba prima di rituffarsi nel mondo esterno. In questo limbo, continuano a essere isolati dal resto dell'umanità che non li accetta, eppure ciascuno di loro non si sente più solo perché sa che lì ci sono altre anime come la sua, con storie altrettanto complicate e ingarbugliate come la sua.
Tuttavia, in seguito si accorgeranno che in fondo, con quel loro combattere restando isolati, non hanno fatto altro che contribuire ad alimentare il distacco tra loro e la società: nelle loro battaglie, in fondo, non sono riusciti a farsi capire e amare da quegli "altri" che li tengono a distanza, hanno ricambiato l'indifferenza con la ripicca e la violenza con altra violenza.
Selmo appare come il buon samaritano, sempre pronto a farsi avanti per difendere i deboli e i diversi dalle ingiustizie, ad aiutare i fratelli stranieri e a elargire carezze agli animali, eppure anche lui cade in errore svariate volte e si ritroverà a pagare un prezzo alto per le sregolatezze e i bagordi ai quali si è abbandonato.
Non scenderò ulteriormente nei dettagli, per lasciarvi il piacere di approfondire il resto con la lettura.
Il romanzo offre un'interessante visione di ciò che è diventata la società italiana (ma non solo), con le sue ipocrisie e contraddizioni, tuttavia per quel che mi riguarda non è uno di quei libri che rileggerei una seconda volta: personalmente ritengo che la prima lettura sia stata sufficiente per cogliere i messaggi nella loro interezza.
Il testo è scorrevole e ben scritto e l'editing è stato abbastanza accurato (sono sfuggiti all'occhio dell'Editor soltanto un paio di insignificanti errori di battitura, il che è un gran risultato vista la quantità di errori e sviste che si trovano ultimamente nei libri).
Indicazioni utili
Sì se vi piace il genere, se vi stanno a cuore le tematiche sociali e le storie personali.
No se preferite la lettura d'evasione proprio per dimenticare i tanti problemi stressanti della vita.
Le disavventure del Prect en Rahkoon
Come si apprende dalle brevi note biografiche che ritroviamo in quarta di copertina, "Prect en rahkoon - Spettro di ghiaccio" è l'opera d'esordio di Samuele Vinanzi, un romanzo fantasy di stampo classico che si sviluppa in 11 capitoli preceduti da un lungo prologo e da un epilogo molto breve, per un totale di 509 pagine (ringraziamenti inclusi).
La narrazione è prolissa, appesantita da descrizioni eccessive e molto spesso superflue che riferiscono ogni singola azione compiuta dai personaggi che si muovono sulla scena, come se l'autore volesse assicurarsi che il lettore immaginasse la scena esattamente come l'ha concepita lui, persino nei dettagli e nei piccoli gesti, senza considerare che, trattandosi di una storia di genere fantasy, sarebbe stato più opportuno concedere qualche libertà alla creatività e all'immaginazione del fruitore.
Se fosse stato sottoposto a revisione da un buon editor, sicuramente il testo sarebbe stato snellito parecchio e avrebbe guadagnato in qualità e scorrevolezza.
Il romanzo, che risulta già abbastanza lungo così com'è, in realtà si sarebbe potuto estendere benissimo su oltre 850/900 pagine: l'editore, infatti, per concentrare il più possibile il testo e fare economia sulle pagine, ha scelto di utilizzare un carattere molto piccolo che fa stancare facilmente gli occhi. La mancanza di un servizio di editing accorto è rivelata dallo stile narrativo che per l'appunto risulta acerbo: l'autore si lascia andare a diverse ripetizioni; utilizza spesso espressioni arcaiche come "essi ricambiarono lo sguardo" che dovrebbero essere in linea con il genere e con il contesto temporale in cui ci si immagina che si stiano svolgendo gli eventi, ma che per qualche ragione sembrano stridere con il resto del testo; pecca di ingenuità con frasi come "L'aria fresca odorava di pioggia bagnata" (pag. 87), come se la pioggia potesse essere in altro modo; ricorre a costruzioni ed espressioni infelici che non sortiscono l'effetto "poetico" sperato, come per esempio la frase "Avanzarono rapidamente e gli alberi si richiusero alle loro spalle" (pag. 136), cosa assurda dato che, a meno che i personaggi non stiano ricorrendo a un incantesimo che faccia districare un groviglio di rami intrecciati per aprire un varco nella vegetazione (cosa della quale non si fa alcun cenno), non si può dire che gli alberi si “chiudono alle spalle” visto che non si tratta né di tendaggi né dei battenti di un portone (se si voleva esprimere l’idea di un gruppo che si inoltra nel fitto della boscaglia, tra tronchi talmente vicini da sembrare un muro solido e invalicabile avrebbe potuto utilizzare espressioni più adatte alla situazione e all’oggetto stesso che costituisce l’ostacolo), o come la frase “Cadde all’indietro, rotolando sui gradini” (pag. 155), dove sarebbe stato più corretto dire “rotolando giù per i gradini” per non creare un controsenso.
Come già detto, l’intreccio è di stampo classico: un gruppo di amici – una coppia di elfi (lui un druido, lei non si capisce che ruolo abbia dal momento che negli scontri è più un peso che un aiuto), due esseri alati (un cavaliere che venera la dea Ethni e un cacciatore di taglie che venera il dio Arrai) e un mezz’elfo si uniti da un destino avverso si mettono in viaggio per cercare un modo per liberarsi da una maledizione che è stata lanciata contro di loro dai nemici dell’impero, i quali stanno cercando di invadere le terre di nessuno e attaccano i villaggi per seminare il caos e conquistare maggiore potere allo scopo di impadronirsi di ogni cosa e dominare sul mondo. Alla comitiva si aggiunge un viandante che si rivelerà un ottimo combattente in grado di provvedere a se stesso e ai nuovi compagni di viaggio. Durante il viaggio si incontreranno amici e alleati ma saranno anche costretti a scontrarsi con numerosi avversari (vampiri, non morti, briganti e così via), dovranno affrontare diverse prove e missioni secondarie che li rallenteranno e devieranno (anche se di poco) il loro percorso. In parole povere, avremo a che fare con ambientazioni e situazioni che ricordano tanto “Il signore degli anelli” quanto i famosi giochi di ruolo nello stile “Dungeons & Dragons”.
Nonostante le imperfezioni sopra citate, volendo dare un giudizio puramente obiettivo direi che la storia non è poi così male.
Personalmente, invece, non mi ha coinvolta, anzi ho faticato a ingranare e a farmi piacere sia la storia che i personaggi: non sono riuscita ad affezionarmi a nessuno di loro, la mia lettura è andata avanti con molta lentezza, numerose pause e scarso interesse, ma in questo caso va specificato che il mio giudizio personale viene inevitabilmente influenzato dal fatto che non amo particolarmente il fantasy tradizionale e anche dal fatto che ho già letto molte storie con le stesse caratteristiche, lo stesso tipo di svolgimento e gli stessi espedienti narrativi che ho trovato nel romanzo in questione, per cui per me è stato come leggere qualcosa che avevo già visto.
Indicazioni utili
- sì, se tutto sommato avete voglia di leggere un fantasy di stampo tradizionale, senza troppe pretese per quel che riguarda lo stile della narrazione e l'originalità della trama, se non vi spaventano le lunghe letture e se non avete difficoltà con caratteri di stampa molto piccoli.
- no, se vi annoiano i fantasy classici fatti di lunghi viaggi, ricerche e combattimenti a ogni tappa, se cercate uno stile articolato e una trama che vi sorprenda con intrecci non ancora sperimentati, no se non siete fatti per le narrazioni prolisse e soprattutto se i vostri occhi si affaticano facilmente con caratteri minuscoli.
Alla ricerca dell'Eldorado
Kathleen McGregor ci trascina in una lunga avventura che coinvolge le vite di personaggi molto diversi tra loro, appartenenti a mondi distanti eppure accomunati da un unico destino che li porta ad affrontare la furia del mare aperto alla ricerca di se stessi, di risposte e di un tesoro leggendario sepolto chissà dove.
Con uno stile impeccabile, affascinante e coinvolgente e un'accurata ricostruzione storica, arricchita da termini marinareschi e pirateschi che contribuiscono a rendere le vicende ancora più credibili e a collocarle in tempi e luoghi ben definiti, la McGregor cattura la curiosità del lettore con estrema facilità, l'alimenta dosando con oculatezza dettagli e rivelazioni e lo ammalia con descrizioni approfondite e prolisse senza tuttavia appesantire il testo che di per se è già abbastanza lungo.
L'intreccio è ben costruito ma abbastanza prevedibile durante lo svolgimento.
L'unica pecca la si riscontra nel finale, che non soddisfa le aspettative del lettore e lascia aperta una possibilità per un eventuale seguito.
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Otto racconti al Cafè de l'Univers
Gli sguardi indolenti dei giovani protagonisti si soffermano su oggetti e figure di passaggio che rievocano in loro ricordi, riflessioni e frammenti di vite in cui passato e moderno, tradizione ed evoluzione, fanatismo religioso e politica si contrappongono, scontrandosi spesso persino con la logica.
I racconti dei giovani marocchini - a volte surreali, altre volte ironici - suscitano perplessità e fanno riflettere su quanto, in fin dei conti, la cultura islamica e quella occidentale non siano poi tanto diverse: differiscono gli usci, i costumi, i precetti, ma il modo di porsi l'uno neiconfronti dell'altro è il medesimo.
Infatti un occidentale messo dinnanzi alla possibilità di liberarsi da pregiudizi, luoghi comuni e convinzioni errate che nel tempo il suo popolo ha eretto, generalizzando, nei confronti di una cultura diversa dalla propria incontrerà le stesse difficoltà che ha un islamico ad accettare cambiamenti e stili di vita che considera più permissivi, liberali e lontani dalle prescrizioni religiose.
Dal punto di vista tecnico va segnalato che l'autore utilizza un espediente singolare: i racconti cominciano tutti all'imperfetto, quindi collocati in un tempo passato rispetto al momento in cui la voce narrante riferisce i fatti; tuttavia, dopo una breve introduzione di poche righe, che solitamente serve a presentare la situazione o i personaggi, la narrazione si sposta al presente, direttamente sulla scena, come se l'autore compizze uno "zoom temporale in avanti" dentro la storia, lasciando il testimone ai protagonisti.
Pare però che questi passaggi dal passato al presente non siano facili da gestire, visto che l'autore talvolta passa erroneamente da un tempo all'altro anche nel bel mezzo della narrazione: trattandosi però di un testo straniero, forse tale difetto è da attribuire a chi ne ha curato la traduzione (non conoscendo il testo originale non posso attribuire consapevolmente la mancanza all'uno o all'altro dei due).
Concludendo è una lettura singolare e interessante, supportata da uno stile semplice e scorrevole.
Consigliata a chi vuole impiegare un pomeriggio con qualcosa di diverso.
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Le due Vie
Tomo corposo che potrebbe scoraggiare un pò per la sua mole all'inizio della lettura.
La copertina è piuttosto anonima: cartoncino morbido, sfondo unicatinta lavanda (o di una gradazione di viola simile), un'unica fotografia in bianco e nero che ritrae un sentiero che si inoltra in un bosco, una citazione scritta a caratteri piuttosto grandi in quarta di copertina e un titolo enigmatico.
Devo essere sincera: a primo impatto il libro non mi attirerebbe minimamente.
Sfogliandolo la prima cosa che ho notato è che è privo di indice e di una biografia dell'autore. Tuttavia sono presenti diversi link e indicazioni per raggiungere i vari siti dove certamente saranno presenti maggiori informazioni.
Ahimè, solo dopo averlo ricevuto mi sono resa conto che era un Volume I e che quindi prevede un seguito o magari una trilogia o una saga, caratteristiche che solitamente non amo. Prediligo infatti i volumi autoconclusivi.
Questo primo volume è composto di cinque parti: Prologo, Parte I "Tramonto rosso sangue", Parte II "Mezzanotte lungo sentieri antichi", Parte III "Alba rosso sangue" ed Epilogo.
Il prologo mi aveva lasciata un pò perplessa, ma dal primo Capitolo in poi invece la storia mi ha subito coinvolta (forse merito anche di una narrazione in prima persona che crea una sorta di "effetto empatia" verso il protagonista) e interessata. La trama si fa via via sempre più complessa e stuzzica costantemente la curiosità del lettore.
Si tratta di un misto di esoterismo e mitologia greca che affonda le sue radici in un lontanissimo passato e sconvolge i giorni nostri. La trama anche se mediamente prevedibile appassiona molto.
Il testo è generalmente ben scritto, peccato per le piccole sviste disseminate qua e là (parole maschili al femminile, singolari al posto dei plurali e viceversa) che comunque non sono nemmeno troppe considerata la frequenza con la quale vengono trovate e la lunghezza del romanzo.
L'ho assaporato poco a poco, anche se diverse volte devo ammettere che è stato difficile allontanare gli occhi dalle pagine e chiudere il libro. E' stata una lettura piacevole contrariamente alle mie aspettative iniziali.
Anche lo stile dell'autore è gradevole e abbastanza sicuro e maturo.
La lettura è sicuramente consigliata, soprattutto agli appassionati di esoterismo, occultismo, avventura e mistero..
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Attenzione agli spoiler (comunque sono segnalati)
"Quella Notte" appartiene al filone del Giallo, più esplicitamente al thriller e al noir.
Pur tenendo a mente le dovute differenze tra i tre generi e sottogeneri, reputo necessario iniziare la mia recensione citando le prime due delle "Venti regole per chi scrive romanzi polizieschi" stilate dallo scrittore S.S. Van Dine nel 1928 ma ancora valide fino a oggi:
1. Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero. Tutti gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencati e descritti.
2. Non devono essere esercitati sul lettore altri sotterfugi e inganni oltre quelli che legittimamente il criminale mette in opera contro lo stesso investigatore.
Capirete il perché di tale premessa più avanti.
Dopo un prologo in cui viene descritto un tremendo incidente in cui la vittima è un bambino di 2 anni che è stato travolto da un camion sotto gli occhi delle madre e del fratello poco più grande di lui, il romanzo di Luisa Bolleri si sposta avanti nel tempo per narrare il terribile dramma di Eleonora, una donna che ha visto sconvolgere la propria esistenza da un uomo che l'ha assalita e violentata.
Dalla notte della violenza, Eleonora non è più le stessa, rifugge il contatto del marito Alberto e il loro matrimonio, già minato dalle solite liti che avvengono in una coppia, entra in crisi.
La poveretta non sa che colui che l'ha aggredita è qualcuno che ha già conosciuto in passato, un sociopatico con manie ossessive che la spia da oltre tre anni.
L'uomo, che si chiama Mauro, viene descritto come un soggetto dalla psiche profondamente disturbata, un reietto che vive nel disordine e nella sporcizia come un mentecatto che non è in grado di badare a se stesso ma che in realtà ha scelto volutamente e coscientemente di far terra bruciata attorno a se per diventare invisibile agli occhi degli altri. Anche se le informazioni ci vengono rivelate poco alla volta, appare chiaro sin da subito che si tratta di una persona cresciuta e vissuta in un ambiente privo di affetto, un "perdente" sempre succube, vittima di derisioni e schiacciato da qualunque altra personalità dominante, incapace di avere rapporti con una donna se non con le sconosciute che accettano di andare con lui dietro pagamento di denaro.
La rabbia repressa (dovuta alla sua stessa incapacità di relazionarsi con gli altri) covata per anni hanno fatto maturare in lui un profondo desiderio di vendetta e di rivalsa sul mondo: in tal modo sviluppa un istinto animalesco, diventa violento e incline alla depravazione; inoltre, dimostra di saper essere metodico e organizzato quando decide di passare all'azione.
Alberto, il classico maschio Alfa, bello, sicuro di se e vincente, con un lavoro, una casa dignitosa e una bellissima moglie è colui che è e che ha tutto ciò che Mauro ha sempre desiderato.
Così Mauro decide che è arrivato il momento di prendersi la rivincita: i due sposini, con la loro felicità e la bella casa, gli hanno dimostrato quanto lui sia inetto, incapace e insignificante, "umiliandolo", per tanto devono pagare ed Eleonora è la prima della lista, perché ha scelto Alberto anziché lui.
Dopo aver aggredito la donna, però, Mauro realizza che anziché sentirsi finalmente appagato e soddisfatto ne vuole di più: vuole possederla ancora, sottometterla, sentire che la vita di lei è in suo potere, umiliarla e sfogare tutti i suoi più bassi istinti su di lei tutte le volte che desidera. Progetta un piano astuto e non appena la sua vittima sacrificale rimane nuovamente da sola l'aggredisce in casa, la picchia e dopo averla costretta a scrivere una lettera in cui comunica al marito che preferisce lasciarlo per un altro uomo la rapisce. Da questo momento in poi per la povera Eleonora comincia l'inferno.
Non ho ricontrato sviste o errori significativi, a parte quella a pagina 33 in cui il marito di Lena, che fino a quel momento chiamato Luciano, in un rigo diventa Giovanni (ciò fa supporre che l'autrice abbia cambiato il nome del personaggio in un secondo momento e che abbia dimenticato di sistemare quel rigo, può capitare) e l'incomprensibile "dal più leale al più equilibrista" (non è chiaro, infatti, se si tratta di un errore – forse doveva essere "equilibrato" – o se il termine"equilibrista" è stato usato apposta nella sua valenza di "opportunista", che di solito è un termine figurato usato in ambito politico).
La narrazione è prolissa. Ogni azione, reazione o pensiero dei personaggi sulla scena viene descritto nei minimi dettagli. Se tale caratteristica può ritenersi necessaria nei primi capitoli perché l'autore ha bisogno di presentare al meglio la situazione e la psicologia dei vari personaggi così che il lettore possa afferrare i meccanismi della storia e sentirsi parte integrante delle vicende, l'eccessivo protrarsi di una narrazione particolareggiata (o, come in questo caso, la persistenza di tale metodo per tutta la durata del romanzo) dopo un po’ diventa stancante, appesantisce lo stile e rallenta il ritmo della lettura, rischiando così di far scemare l'interesse del pubblico.
È possibile prevedere con un certo anticipo lo svolgimento della trama, colpi di scena compresi: per fare un esempio che non sia troppo "spoileroso", già dal prologo è possibile intuire il ruolo e il peso che avranno i personaggi che lì appaiono in forma anonima.
L'argomento trattato è spinoso e diventa ancor più "pesante" proprio per l'eccessiva attenzione per i particolari, in questo caso ci si riferisce a quelli relativi alle torture e alle reiterate violenze fisiche, psicologiche, verbali e sessuali patite da Eleonora durante la sua prigionia, per cui se ne sconsiglia la lettura se siete sensibili all'argomento.
Passando all'analisti estetica, posso dire che l'immagine di copertina e il titolo sono incisivi, semplici ma efficaci nel comunicare le atmosfere cupe del testo. Forse avrei messo il titolo un po’ più in evidenza, magari in posizione centrale, con una tonalità di rosso leggermente più accesa, perché il rosso scuro su sfondo nero (specie se su carta opaca) con determinate luci e a una certa distanza non spicca molto.
!!!ATTENZIONE, DA QUESTO MOMENTO IN POI CI SONO SPOILER CONSISTENTI!!!
In due punti esatti, l'evoluzione della storia prende delle direzioni improbabili e forzate.
Il primo di questi punti è proprio verso l'inizio, subito dopo il rapimento di Eleonora.
Il marito, rientrato a casa dal lavoro, trova la falsa lettera in cui la moglie gli fa sapere che lo lascia per un altro. Le telefona, ma dato che risulta irraggiungibile va a casa di Lena, la migliore amica di sua moglie, e le mostra il foglio per sapere se lei era a conoscenza di un altro uomo. Entrambi, però, risultano all'oscuro di tutto e concordano che la fuga improvvisa della donna è strana. Alberto decide, in piena notte e sotto una pioggia scrosciante, di andare a casa della suocera, sicuro di trovare Eleonora lì, senza avvisare l'anziana per telefono per non allarmarla. A causa delle cattive condizioni atmosferiche, però, si scontra con un furgone e finisce in ospedale per due settimane.
Qui prosegue in modo illogico:
1) Alberto ha avuto l'incidente subito dopo aver lasciato la casa di Lena, scosso e in stato semi-confusionale. La voce narrante ci fa sapere che sia i quotidiani che il telegiornale parlano del suo incidente per diversi giorni. Eppure per tutto il tempo del coma farmacologico e della degenza, l'uomo non riceve visite né da parenti né da amici.
Possibile che Lena non abbia mai appreso la notizia e non abbia pensato che poteva trattarsi dell'amico? Date le premesse, se fossi stata nei panni della tizia a me il dubbio sarebbe venuto e avrei cercato di rintracciare Alberto per verificare se mi ero sbagliata oppure no.
2) L'uomo, svegliandosi dal coma, anziché trovare la moglie al suo capezzale trova Veronica, la ragazza che guidava il furgone col quale si è scontrato e subito nota quanto sia carina e solare.
Ora, il marito di una donna scomparsa nel nulla, appena svegliato dal coma, si aspetterebbe di vedere la moglie al suo capezzale: per quanto in una coppia possano sorgere dei problemi, se la moglie (in questo caso) lascia il marito e quello per cercarla ha un incidente, la cosa più naturale del mondo sarebbe vedere la moglie correre al suo capezzale, perché anche se un amore finisce quando si viene a sapere che qualcuno che abbiamo amato e con il quale abbiamo vissuto per un certo periodo sta male, nascono preoccupazioni e sensi di colpa. Non trovandola vicino a se nemmeno in una circostanza come quella, Alberto avrebbe dovuto mettersi in allarme, invece si distrae già con un'altra donna.
3) Per 2 settimane sia Alberto che Eleonora risultano irrintracciabili e nessun amico o parente li cerca. Ci viene detto che i colleghi dell'uomo non lo cercano perché proprio quel giorno si era preso delle ferie. Ci può stare, ma gli altri? A parte Lena, che ho già citato, possibile che genitori e/o i suoceri dei due sposini non abbiano telefonato a quei due nemmeno una volta in due settimane? Domanda leggittima visto che siamo a conoscenza almeno dell'esistenza di una suocera, cioè la madre di Eleonora, una vecchietta descritta dal genero come apprensiva: una così, che tra l'altro vive in un'altra città, distante dalla figlia, non le telefona nemmeno una volta in 2 settimane (che diventano 3 conteggiando anche la convalescenza che Alberto passa in casa della nuova amica Veronica) per sentire come sta?
La vicenda si impantana un po’ nella nascita dell'amore e della passione tormentata tra Alberto e Veronica.
Da pagina 160, quando viene trovato il cadavere di una donna nel bosco, assistiamo a una svolta significativa e al ritorno a una trama più coerente. Interessante e veritiero il modo in cui l'autrice si riferisce all'impatto che hanno sul pubblico le notizie che riguardano crimini violenti e anche l'esasperante e maniacale interesse dei media, paragonati a squali famelici che riferiscono ogni brutale e macabro dettaglio del delitto sena nutrire alcun rispetto né per la vittima né per i suoi familiari e amici.
È reso bene anche il modo in cui i parenti affrontano ed elaborano il lutto, come dei sopravvissuti.
Come già annunciato, la storia torna a prendere pieghe improbabili.
Mauro inizia a perseguitare Alberto e la nuova amica Veronica.
1) Alberto riceve dei pacchetti dal maniaco e la polizia giustamente mette delle telecamere davanti alle cassette della posta. Poi, però, non viene intrapresa alcuna azione contro le telefonate minatorie.
2) Veronica nota un'auto nera con un fumatore a bordo abbostata sotto casa sua da alcune sere. Sia il colore che il tipo di auto, così come il fatto che il conducente sia un fumatore, sono dettagli che corrispondono con il repitore di Eleonora descritto dai tg in base alla ricostruzione dei pochi testimoni. Le viene un leggero sospetto, ma dato che il delitto è avvenuto a Empoli mentre lei si trova a Firenze le fa pensare che sia difficile che si tratti della stessa persona; inoltre la stampa non ha mai fatto il suo nome, per cui non dovrebbe esserci motivo per cui qualcuno debba prendersela con lei. Quindi non avvisa nessuno.
Fin qui va bene. Ma quando sente di essere pedinata ovunque, quando uno sconosciuto va a raspare dietro la sua porta chiamandola per nome e chiedendole di entrare e dicendole che sa anche che i vicini non sono in casa, quando quello orina contro la porta e sullo zerbino e la mattina dopo addirittura le telefona, allora diventa inverosimile il fatto che una persona non avverta la polizia, a maggior ragione dopo che c'è stato un delitto efferato in una città vicina e dopo che lei ha avuto contatti col marito della vittima.
All'improvviso ci si accorge che l'autrice si sta preparando a far subire un repentino cambio di rotta alla storia, nel tentativo di rendere il finale sconvolgente. L'effetto sorpresa, però, non riesce perché i segnali insistenti vengono recepiti prima e innescano un sospetto duraturo che persiste fino alla rivelazione finale.
Ecco che a questo punto entrano in gioco le due leggi di Van Dine, che mi sono subito venute in mente dopo aver finito di leggere il romanzo, e che a mio parere non sono state rispettate.
Nel romanzo in questione, gli "indizi e le tracce" sono rappresentate dal comportamento, dalle azioni e dai pensieri dei personaggi che agiscono sulla scena, di cui, come detto, l'autrice ci fa una descrizione dettagliatissima.
Nonostante le stranezze cui ho accennato riguardo il comportamento di Alberto – e cioè il fatto che si distragga con un'altra donna perché comunque all'inizio sappiamo fosse convinto che la moglie lo aveva lasciato per un altro -, l'uomo viene descritto come un innocente. Persino i pensieri che formula e le azioni che compie quando è solo, e quindi quando non è necessario che interpreti la parte del vedovo addolorato in presenza di qualcuno, sono quelli di una persona innocente, devastato dalla perdita di sua moglie.
Invece, all'improvviso viene trasformato in un freddo calcolatore, che non solo odiava la moglie ma ha escogitato lui il suo rapimento e la sua morte, manipolando le azioni dell'assassino sin dall'incontro fortuito con Mauro.
Lo stesso Mauro, descritto come un sociopatico che si è creato con cura il modo per passare inosservato, che ha pianificato con crudeltà, rancore e rabbia la sua vendetta viene trasformato in burattino di Alberto, che si riscatta però lasciando una sorta di testamento col quale incastra il suo mandante.
Il lettore viene quindi ingannato, ma non con l'astuzia e quindi rispettando le regole: non viene battuto dall'autore perché non è stato in grado di sfruttare gli elementi che gli sono stati messi in mano durante la storia e che dorvebbero essere gli stessi elementi che ha la polizia e che ha lo stesso narratore, viene raggirato con l'introduzione di strane insinuazioni a pochi capitoli dalla fine che non avevano motivo di esserci visti gli elementi che il lettore aveva in mano (e ho riletto i primi capitoli del libro per assicurarmene) finchè nell'epigolo saltano letteralmente fuori dal nulla rivelazioni che capovolgono ogni cosa, di punto in bianco, col risultato, per l'appunto, di un finale che vuole essere forzatamente sorprendente e lascia il lettore interdetto e un po’ deluso.
Indicazioni utili
No se siete sensibili all'argomento "violenza sulle donne" e se siete esigenti.
Si se non siete molto esigenti e vi piace particolarmente il genere.
Piccoli preziosi gioielli
La copertina bicromatica, con un'illustrazione surreale che riprende gli stessi colori (un verde acquoso e un bianco panna), appare un pò anonima e di scarsa attrattiva: confesso che se fossi appartenuta a quella fascia di pubblico che nella scelta di un libro si lascia influenzare prima di tutto dalla copertina, di sicuro non avrei scelto "L'ultima consegna" dal catalogo dei libri da recensire messi a disposizione per noi della Redazione di QLibri nè lo avrei acquistato qualora lo avessi intravisto sugli scaffali di una libreria.
Lo stesso titolo del libro è scritto in piccolo e sotto il nome dell'autore, scritti entrambi con lo stesso carattere e la stessa grandezza, per cui nessuno dei due salta all'occhio se non li si guarda da una distanza di almeno 1 o 2 metri.
Tuttavia è stato proprio il titolo (messo molto più in evidenza sulla scheda del catalogo di QLibri, per l'appunto, che sul volume stesso) ad attirare la mia attenzione e a convincermi a dargli una chance e la mia scelta è stata ampiamente ripagata, perchè questa breve raccolta di racconti merita davvero.
Nonostante la sua giovane età, l'autore toscano è in grado di sorprendere il lettore con uno stile già maturo, pulito, elegante e scorrevole.
Ogni racconto ci spinge a scendere nella profondità dell'animo umano, con le sue angosce, ossessioni, passioni, sentimenti contrastanti e tormenti che possono essere vissuti, sentiti e re-interpretati seguendo molteplici chiavi di lettura.
Dall'ossessione generata da un elemento anomalo che perfora il centro di quella che era l'originaria, lineare, monotona quotidianità all'abbandono delle ostilità e l'accettazione della bellezza del diverso; dall'inquietudine provocata dal mistero alla contemplazione della maestopsità e fragilità della natura che segue lo stesso ciclo di nascita e morte dell'uomo, che si aggrappa alla vita con forza e passione finchè non sopraggiunge il momento di spegnersi come una foglia che cade dall'albero; dalle storie con un finale in sospeso da interpretare ciascuno con la propria sensibilità alla storia di un cuore mortale che insegna la morte a un essere immortale; dalle esistenze vissute tra file, attese, smarrimenti e atteggiamenti apatici e compulsivi alla resa dell'uomo che è costretto ad ammettere la sua impotenza di fronte alla natura che spazza via tutto senza riguardo per i sacrifici, i ricordi, gli affetti e il duro lavoro dell'uomo... ogni storia è intrisa di metafore attraverso le quali Filippo Bernardeschi sussurra i suoi messaggi, in attesa che il lettore li colga, li elabori e li conservi dentro di se.
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Piccole storie, profonde emozioni
Piccole storie indaco è una raccolta di pensieri e riflessioni che personalmente, per alcune sue caratteristiche, preferisco collocare a metà tra poesia e racconto.
Il giovane autore da voce al suo io più intimo, interrogandosi sul significato della sua esistenza passando attraverso ricordi, tormenti, emozioni, affetti, fede, alla ricerca di una felicità e di un equilibrio interiore che possano fargli ritrovare la pace e la spesierata serenità proprie dell'adolescenza.
Si tratta di scritti molto profondi che vanno a toccare le delicate corde dell'animo umano e nei quali è possibile ritrovare gli stessi percorsi e le stesse domande che tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo affrontato lungo il tormentato cammino tracciato dalle nostre esistenze.
La perdita della purezza, dell'innocenza e della capacità di vivere e di godere della semplicità delle cose, come facevamo negli anni dell'infanzia, che coincide con l'ingresso, a volte forzato, nel mondo degli uomini adulti; la paura di crescere e tramutarci in qualcosa di diverso e tristemente vuoto; l'afflizione nel percepire consapevolmente la perdita graduale dei sentimenti e dei valori più nobili come l'amore, l'amicizia e la verità e la nascita di un desiderio "proibito", quello di chiudere gli occhi e spegnersi prima che l'anima innocente venga contaminata e corrotta dal male che affligge il nostro mondo malato e volare tra le braccia dell'eterno; la ricerca della salvezza nella fede in Dio, luce di speranza e unica ancora alla quale aggrapparsi, benché invisibile all'occhio umano; la riscoperta degli affetti, degli amori passati, presenti e futuri... Queste sono le tappe compiute da Paolo Amoruso durante questo viaggio interiore.
La nuova generazione che gli "adulti", con molta leggerezza, tendono a condannare ed etichettare come marcia e priva di valori, a quanto pare invece conserva ancora una luce, che splende nei cuori dei più sensibili che soffrono, si confrontano e si scontrano con la parte oscura che risiede nei loro cuori, dove la rabbia repressa generata da un mondo cattivo che spegne sogni e speranze per il futuro cerca di divorare la loro anima e si battono affinchè quest'ultima non venga consumata dall'oscurità e continui a brillare piena di speranza.
La figura più ricorrente, non a caso, è quella dell'angelo, essere etereo e puro, simbolo di innocenza assoluta.
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Attenzione: segnalati spoiler a metà recensione
Il romanzo si apre con un omicidio, nel cuore della notte. Lo sparo riecheggia, accompagnatoi da un lampo violento. Non vediamo chi preme il grilletto né il volto della vittima.
Dopo di che veniamo trasportati indietro nel tempo, a tre settimane prima che si compia il delitto e ripercorriamo tutti i fatti che hanno preceduto il delitto, fino a tornare a quel momento cruciale.
I personaggi menzionati sin dal principio sono poco meno di una decina, ma nel corso della storia ci verranno presentati soltanto 4 di loro, quelli fondamentali all'avvio e allo sviluppo della vicendaa: apprenderemo la loro vita e i loro punti di vista si alterneranno e intrecceranno inevitabilmente.
Ciò che salta subito all'occhio è lo strano uso di "quel" e "un", usati spesso in modo improprio al posto di "quello" e "uno/a", come per esempio:
- "quel individuo" al posto di "quell'individuo"
- "un ombra" al posto di "un'ombra".
Strane anche alcune espressioni come "borsa a tracollo" anziché "borsa a tracolla", ripetuta più volte, che non si capisce se sia un errore causato dalla "correzione automatica" di word (non sarebbe una novità, ci sono passata anch'io, purtroppo) o se l'autore sia davvero convinto che si scriva così.
In alcuni momenti il tempo della narrazione passa da passato a presente, qua e la risultano mancanti le vocali finali dei termini o intere parole; oppure, un vocabolo viene espresso al singolare anziché al plurale e viceversa.
In ogni caso sembra che le sviste (o sarebbe più corretto dire "l'assenza") di editing siano ormai una realtà irrinunciabile per i libri: che sia una casa editrice grossa, media o piccola, sembra che nessuno riesca ormai a salvarsi da questa piaga, che non è di certo da imputare all'autore ma che purtroppo ne penalizza inevitabilmente il lavoro.
Soprattutto quando è accompagnata da errori di impaginazione:
ci sono periodi o parti di dialoghi la cui posizione all'interno della pagina risulta slittata rispletto alla posizione "giustificata" del resto delle pagine.
Non fosse per queste piccole, ma ahimé numerose, macchie, la storia viene presentata in modo interessante, scorrevole e abbastanza piacevole (se così non fosse stata non l'avrei letta in un solo pomeriggio).
La storia parte lenta, ritmo necessario per fornire al lettore tutti i dettagli, presentargli la situazione e dargli tempo di assimilare e memorizzare le informazioni.
Le cose cominciano a farsi interessanti quando uno dei personaggi chiave, stanco di essere sfruttato come una marionetta da entrambe le parti coinvolte nell'intrigo (personalità sospettatte di essere coinvolte in affari loschi e polizia) decide di prendere in mano la situazione, armandosi di astuzia e determinazione.
Peccato che intervenga un personaggio a rovinare tutto dopo un pò...
**ATTENZIONE: APERTURA SPOILER (SE NON VOLETE ANTICIPAZIONI SULLA TRAMA, SALTATE QUESTO PEZZO)**
...Linda! Un personaggio che agisce in maniera illogica e irrazionale. Pur essendo stata messa al corrente delle truffe e degli intrighi, infatti, finisce col farsi ammaliare, manipolare e suggestionare, tradendo il suo amico e passando dalla parte sbagliata, causando stupidamente (e senza nemmeno rendersi conto della sua responsabilità facendo un semplice "2+2" dopo aver appreso le notizie) la morte di ben due persone.
Il paradosso sta nel fatto che l'unico momento di lucidità che ha nel corso di tutta la storia le viene provocato da un incubo ricorrente: in quell'unica occasione i suoi neuroni si incrociano nel modo giusto, arrivando a una conclusione che, seppure non corretta al 100%, si rivela essere la più vicina alla verità.
Poi però si perde, ricadendo nel cliché della segretaria dalle belle gambe, ma ingenua, stupida e facilmente influenzabile, che si lascia sedurre dal maturo ma affascinante superiore.
**FINE SPOILER**
Il finale è un pò frettoloso, ma quantomeno non rimane in sospeso.
In conclusione, nonostante il mancato editing, è una lettura piacevole.
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L'Atlante di smeraldo
*ATTENZIONE PROBABILI SPOILER*
Non c'entra un fico secco con Harry Potter, Narnia o altro: Perchè non la finiamo di fare paragoni (tra l'altro errati) tra opere diverse?
Comunque a me non è piaciuto.
E' uno di quei fantasy scritti (o sarebbe più adatto dire costruiti) seguendo una linea guida evolutiva precisa, persino l'interazione tra i personaggi e le loro reazioni appartengono a uno schema.
Ciò rende la storia stra-prevedibile, l'eroismo banale e patetico, i personaggi senza un vero e proprio carattere visto che si comportano come tanti altri personaggi di libri fantasy per bambini. I ritorni trionfali di personaggi creduti morti sono così scontati che l'intera storia risulta forzata per ottenere un "lieto fine" assoluto, dove tutti i buoni devono essere vincenti e uscirne illesi e i cattivi fare la fine che meritano: anche se si tratta di un fantasy ed è leggittimo, per un autore, farlo evolvere come gli pare e piace, è anche vero che i lettori che hanno già letto parecchi romanzi di questo genere vorrebbero leggere qualcosa di nuovo, di meno "edulcorato" per evitare di "traumatizzare i bambini". A volte è preferibile far morire un personaggio piuttosto che banalizzare le sue gesta facendolo tornare in vita con un'entrata a effetto.
Nessuno dei personaggi, poi, mi è entrato nel cuore, anzi.
Il dottor Pym (già il fatto di anteporre quel "dottor" davanti al nome è indice di una storia scritta per bambini, perchè si è convinti che ai ragazzini piacciano i personaggi con titoli altisonanti, un vizio che ho incontrato più volte, soprattutto nei film), descritto come un potentissimo stregone, in realtà non fa nulla di che, anzi sul più bello perde i sensi, rivelandosi assolutamente inutile e rischiando di lasciar morire tutti quanti.
Il personaggio di Emma, invece, è stato uno dei più odiosi che abbia mai incontrato in un libro: attaccabrighe (anche senza motivo), capricciosa, impulsiva, petulante, invidiosa del fratello, sbruffona. Immagino che vivere sballottata da un orfanotrofio all'altro sia traumatizzante, che possa portare a sviluppare aggressività per difendersi dal dolore, dalla solitudine, ma Emma è esagerata in tutto e si comporta spesso in modo ingiusto anche verso il proprio fratello. Ha un comportamento contraddittorio.
Non mi piace parlare negativamente del lavoro di qualcun altro, ma purtroppo "l'Atlante di smeraldo" non mi è piaciuto: come detto segue uno schema evolutivo che ho visto sviluppato e sfruttato largamente in tanti film fantasy girati per la tv e indirizzati a famiglie e bambini.
Una cosa, comunque, mi è piaciuta: la copertina.
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Paranormalmente
Lettura leggera, stile semplice e vivace.
Trama a volte prevedibile, a volte ripetitiva e in altri punti, invece, confusionaria.
Classico romanzo per un pubblico composto da ragazze adolescenti.
Intrattiene, ma non lascia niente.
Mi aspettavo che la posizione dell'elfo Reth si fosse chiarita nel finale: sembra non sappia ancora se è buono che agisce in modo da sembrare cattivo o se è cattivo e basta (forse l'autrice deve ancora decidere in proposito "^^).
Essendo il primo libro di una trilogia mi aspettavo un finale apeto, ma non pensavo finisse in modo così "semplice" e "veloce".
Da qualche parte avevo letto il commento di qualcuno che lo paragonava a una brutta copia di Harry Potter : non c'azzecca niente con HP, quindi perchè fare il paragone (soprattutto se noi fan siamo i primi a non sopportare quando gli altri accomunano due libri che rientrano sotto lo stesso genere ma poii non hanno nulla a che spartire tra loro ?__?).
Evie a volte è un pò irritante perchè troppo frivola e leggera: più che una ragazzina di 16 anni sembra ne abbia 12, anche se magari è comprensibile che si comporti in modo tanto immaturo visto che non ha potuto confrontarsi con coetanbei "normali" ... Tuttavia a maggior ragione, da una ragazzina abituata ad affrontare creature pericolose mi sarei aspettata che fosse "cresciuta più in fretta", non il contrario ... Vabbè "^^.
Non è malaccio come romanzo, considerato la fascia d'età verso la quale è indirizzato, ma non lo consiglierei appositamente se dovesse capitarmi "^^.
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Il mercante di Toledo
Personalmente non amo i paragoni tra opere diverse, che siano letterarie, musicali o di altro tipo, quindi anch'io disapprovo la scritta che campeggia sia sulla fascetta promozionale che sulla quinta di copertina, vale a dire:
Enigmatico come "Il nome della rosa" e avvincente come "I pilastri della terra".
Posso capire quindi lo sdegno suscitato nei lettori per questo genere di propagande che anzichè attirare acquirenti indispettiscono per il loro "sapore" arrogante (ma queste scelte discutibili e infelici sono operate dall'editore, non all'autore).
Tuttavia definire la prosa da "bambino di terza media", come ha scritto qualcuno, mi è sembrato esagerato.
La trama non spiccherà di originalità, ma il testo è ben scritto (si sta parlando di forma e grammatica, non della storia in sé). I "segreti" di cui si parla per tutto il tempo sono in realtà prevedibili, tuttavia la lettura è piacevole e scorrevole, proprio perchè suddivisa in capitoli brevi, trucchetto che ultimamente ho visto sfruttare da molti autore, che consiste nell'invogliare il lettore a proseguire la lettura in maniera più spedita proprio attirandolo con capitoli brevi: si finisce col pensare "leggo anche questo che è lungo solo due pagine" e senza accorgercene siamo già a pagina 100.
Il finale devo riconoscere che lascia interdetti: tanti viaggi, fatiche e tribolazioni per poi arrivare a qualcosa che lascerà tutti "a bocca asciutta".
Per quello che mi riguarda tre stelline e mezzo le merita comunque per la sua capacità, nonostante la prevedibilità della trama di cui ho già parlato, di intrattenere fino all'epilogo, per lo stile che non ho trovato scadente (saranno gusti o forse noi italiani ci lamentiamo così tanto del fatto che non si valorizzano le nostre produzioni e si punta sempre a importare autori stranieri e poi, quando ne abbiamo uno in patria che riscuote successo, lo massacriamo, diventando più critici del solito ... chissà)e, perchè no, anche per la bellezza della copertina.
Lettura consigliata a chi vuole intrattenersi senza troppe pretese.
Avrei preferito dare 3.5 stelle allo stile, non 4 ma non potendo far ricorso ai mezzi punti ho optato per questa soluzione, quindi fate conto che il voto totale del libro sia 3.5 ...
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Storia di emigranti italiani nella terra promessa
Storia di emigranti italiani nella terra promessa tra fine '800 e inizi del '900, che ci fa pensare alla situazione degli attuali immigrati, approdati sulle nostre coste o altrove, ma trattati ovunque e quasi da tutti come reietti e delinquenti, senza distinzioni di merito.
La storia ci dimostra che tutto si ripete ciclicamente, gli edsseri umani non imparano e ricadono negli stessi atteggiamenti e negli stessi errori.
L'America, "terra promessa" che si rivela un inferno di povertà, miseria e morte per i nostri antenati emigrati in quelle terre piene di sfarzo colori, ma anche ipocrisia, menzogne, false speranze.
L'incanto di quel mondo "nuovo" descritto come unparadiso si spezza non appena il protagonista, accompagnato dai genitori e da amici che ha conosciuto durante il viaggio, approda sulle coste.
Vengono trattati con disprezzo, con odio, come "gli ultimi degli ultimi" e in quanto tali devono darsi da fare come possono per sopravvivere.
Presto dovranno imparare a difendersi dai loro stessi connazionali, truffatori e malavitosi giunti lì qualche anno prima di loro, che li derubano di quella miseria che possedevano.
Si ritroveranno a digiunare, vivere all'interno di freddi e arrugginiti vagoni abbandonati, al limite della legalità, compiendo piccoli furti.
Gli americani, per nulla ospitali e ben lontani dall'essere dei salvatori, spremono quelle masse di disperati e disgraziati, arruolandoli nei cantieri. Gli immigrati, gran parte italiani ma anche irlandesi, lavorano come formiche operose per una miseria e senza alcuna sicurezza: saranno parecchie le "morti bianche", una delle quali colpirà in modo particolare il protagonista.
Ma gli italiani, come dice lo stesso autore, sono persone in grado di sapersi adattare a qualunque condizione e risollevarsi, col duro lavoro, costruendosi un futuro.
L'autore dimostra di possedere un'ottima conoscenza della cronaca e del periodo storico in cui si svolge la storia di Carlo e della sua famiglia.
I personaggi crescono, maturano, cambiano e noi assistiamo alla loro evoluzione, percepiamo i loro sentimenti come se vivessimo con loro, fino alla fine.
La lettura è rallentata da un modo di esprimersi un pò "arcaico", forse voluto in accordo con il periodo storico in cui si svolgono le vicende dei personaggi, e da moltissime frasi costruite in modo "disordinato" rispetto alla formula "Soggetto-Verbo-Complemento", come potete leggere in questo esempio:
"A questi discorsi Carlo evitò di dare risonanza"
che sarebbe risultata più scorrevole se fosse stata
"Carlo evitò di dare risonanza a questi discorsi" (Soggetto-Verbo-Complemento)
Il registro linguistico subisce un lieve cambiamento nel momento in cui Carlo incontra Rosa, facendosi più vivace e più simile al parlato, per poi tornare come prima.
La narrazione è caratterizzata da frequenti ripetizioni volte a ribadire concetti, sottolineare o puntualizzare riflessioni e situazioni.
A poco più di un terzo del romanzo cominciano a verificarsi delle incongruenze che inizialmente disorientano il lettore.
Il narratore, per esempio, ci fa sapere che i genitori hanno lasciato altri tre figli in Italia e successivamente fa anche i loro nomi "Francesco, Raffaele ed Antonio" (nonostante, se non ricordo male, in un passaggio facesse capire che dovevano essere tre femmine); in seguito, il terzogenito diventa una lei e viene chiamato "Antonietta".
In rari casi si verifica un breve passaggio dal tempo passato al presente per poi tornare al passato:
"Un'idea gliela veva data il diletto sposo [...]. Così partono ed arrivano nella frenetica città del golfo. Attraversarono i vicoli [...]"
A pagina 170 la data risulta sbagliata: il 1900 dovrebbe essere il 1901, vista la sequenza degli eventi.
Altra "svista" si ha parlando dell'età di Carlo e Rosa: quando conosce la ragazza, il giovane ha 25 anni e lei ne ha appena 16. Tra i due ci sono quindi ben 9 anni di differenza. Eppure, quando si trovano a Chicago, il narratore commentando dice che Carlo ha 33 anni e Rosa quasi 30: quest'ultima in realtà dovrebbe essere poco meno che 25enne. E sempre parlando di età e date, quando Michael incontra il primo amore ci viene detto che ha 12 anni, ma poi, nella pagina successiva, il ragazzo ne ha 15, senza che ci sia stato alcun salto temporale tra le due scene.
Il penultimo capitolo non è molto riuscito: ci troviamo ad assistere a una svolta cruciale nelle vite dei personaggi. in quel momento Carlo si troverà in Italia, mentre il figlio, Michael, sarà a Boston, in America. L'autore/narratore, nel narrare quello che accade ai due nello stesso momento, alterna le scene, volgendo l'attenzione del lettore ora all'uno ora all'altro. Ma in quest'alternanza, a tratti si perde il filo e non si capisce chi stia facendo cosa e a chi.
Per farvi capire cosa intendo dovrei riportare un paragrafo chiave che vi rovinerebbe il finale, per cui non mi dilungo oltre.
Nel complesso è un libro che consiglio, ricco di messaggi e di riflessioni importanti che riguardano la società, la politica, la religione, i contrasti tra popoli diversi che sfociano nel razzismo e in comportamenti violenti.
Un buon libro, tutto sommato, che consiglio a chiunque sia interessato a letture più impegnative.
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The Dark Side
"Promessi vampiri - The dark side" è diviso in due parti, intitolate "Il matrimonio" e "The dark side", entrambe composte da capitoli brevi che si susseguono secondo una sequenza numerica, privi di titoli.
"Il matrimonio" si apre in maniera originale, con il biglietto d'invito alle nozze di Antanasia Jessica Packwood e Lucius Valeriu Vladescu, ed è interamente dedicato ai preparativi per la cerimonia, alla celebrazione del rito e si conclude con la fine dei festeggiamenti e il ritiro dei due neo sposi nella loro camera nuziale.
Ogni scena è descritta con un'attenzione particolare per ogni piccolo dettaglio, che va dall'alternarsi degli stati d'animo contrastanti della protagonista ai significativi scambi di sguardi tra lei e il suo futuro sposo: seguiamo Antanasia passo passo, conosciamo le insicurezze e le incertezze che la sorprendono e la tormentano adesso che per lei è giunto il momento di compiere il suo destino e legarsi definitivamente non solo al suo amato Lucius ma anche alla misteriosa e pericolosa famiglia Vladescu.
Le digressioni sapientemente accurate permettono a chi (come me) non ha letto il primo libro di ricostruire i fatti antecedenti più importanti e a farsi un'idea abbastanza chiara dei rapporti che intercorrono tra i vari personaggi, compresi il modo e le circostanze in cui si sono conosciuti e il loro passato.
Da pagina 141 "The Dark Side" inizia come se fosse un libro a parte, con tanto di prologo e capitoli che ripartono da 1.
La narrazione, che nella prima parte seguiva il punto di vista di Antanasia, questa volta cambia: i personaggi alterneranno la propria ricostruzione dei fatti, con tanto di cambiamento di stile e personalità (cosa che non tutti riescono a rendere così bene).
Dopo il matrimonio, Antanasia non ha esitato un solo istante a riferirsi a Lucius come "mio marito", eppure all'inizio di questa seconda parte della storia, manifesta ancora parecchia difficoltà a chiamare la loro dimora "casa nostra", sentendosi distante e inadatta a rivestire il ruolo di futura regina dei due clan di vampiri, Dragomir e Vladescu, che sono stati uniti proprio grazie al loro matrimonio.
I Vladescu in particolare non la riconoscono come principessa e non perdono occasione di farla sentire un'incapace, di umiliarla e trattarla con disprezzo.
Come se non bastasse, un avvenimento terribile sconvolge la sua serenità coniugale: Lucius viene accusato di aver "distrutto" un altro vampiro della sua stessa casata e tutte le prove sono contro di lui. Nonostante sia il principe, non può sottrarsi alla legge che lui per primo sta cercando di far rispettare e la stessa Antanasia, in qualità di principessa, è costretta a farlo rinchiudere in isolamento nelle prigioni sotterranee del castello, in attesa di un processo che potrebbe vederlo condannare alla "distruzione"
La neo principessa sarà quindi costretta a crescere in fretta e prendere decisioni importanti senza poter consultare colui che finora l'ha protetta e guidata. Dovrà guardarsi dai nemici ma anche dagli amici. Questa sarà anche l'occasione per capire se ha davvero la stoffa per diventare una regina.
Nonostante il titolo sembra faccia il verso ai "Promessi sposi", la situazione tra le due famiglie, le lotte interne e gli intrighi mi hanno fatto pensare più alla storia d'amore di "Romeo e Giulietta".
La lettura è piacevolmente scorrevole, tanto che per la prima volta in vita mia mi sono trovata a leggere un libro di 618 pagine in circa 13-14 ore (contando pure le pause pranzo, cena e quelle per sistemare un paio di cose nella mia stanza).
Altra cosa che mi ha sorpreso è il fatto che sia stato il primo Urban Fantasy sui Vampiri che ho letto a non contenere nemmeno una scena di sesso, cosa che ho apprezzato particolarmente visto la frequenza con la quale queste scene "piccati" e a volte molto esplicite sono state usate (e abusate), rendendo ripetitivi, uguali e banali i romanzi di questo genere.
L'unica pecca che non mi consente di dare a questo libro 5 stelle piene sta però nella trama: fin dalla loro primissima comparsa, prima ancora che commettano alcunché, è possibile individuare quelli che saranno i "nemici" dei due sposi e sarà possibile prevedere, quindi, con larghissimo anticipo, tutto l'evolversi della vicenda, compreso l'epilogo che giungerà senza alcun intervento che possa costituire un minimo di "effetto sorpresa".
Ne consegue che la storia risulta un po’ troppo "dilatata" e "dilungata" vista la facilità con la quale è possibile prevedere tutto quello che avverrà già a un terzo del libro.
Concludendo, anche se la trama non mi è rimasta particolarmente nel cuore come è accaduto con altri romanzi o racconti, Per fortuna, Beth Fantaskey sopperisce a questa grave mancanza sapendo intrattenere il lettore col suo stile meravigliosamente piacevole, scorrevole e abbastanza originale.
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Racconti bizzarri e oscuri
Quattro stelline scarse per questo libro, che sarebbero state piene se ci fosse stato quel tocco di "nero" in più che mi sarei aspettata di trovare.
Undici racconti, per l'esattezza, a metà tra il fantastico e il visionario, bizzarri e affascinanti.
Il primo racconto, "Il cimitero senza lapidi",che oltre ad aprire la raccolta le dà anche il titolo, è il primo capitolo di un nuovo romanzo al quale Gaiman stava lavorando e che, per tanto, ha una conclusione che non è definitiva.
"Il Ponte dei Troll", come qualcun altro ha fatto rilevare, non è affatto una storia per ragazzini e lascia il lettore con un senso di malinconia e desolazione.
Segue "Non ditelo a Jack", un mini racconto su un presunto spirito misterioso rinchiuso in una scatola, che non ho trovato così inquietante come mi sarei aspettata.
"Come vendere il ponte dei ponti" è forse tra i più difficili da apprezzare, perchè si distacca dalle atmosfere gotiche e a volte malinconiche in cui sono immerse le altre storie, ma tuttavia brillante e stravagante.
"Ottobre sulla sedia" è geniale: i dodici mesi dell'anno periodicamente si riuniscono in cerchio per raccontarsi delle storie e volta per volta uno di loro diventa il "presidente" della serata, cui spetta il compito di prendere le decisioni e raccontare la storia finale. E' la volta di Ottobre, che ci lascia con mille interrogativi sul destino del povero Torsolo.
"Cavalleria" è un racconto che fa sorridere e in cui la cura per i dettagli raggiunge un livello elevato, rivolgendo un sorriso sbilenco verso gli umani, con i loro capricci e debolezze.
"Il prezzo" è forse quello più oscuro, mentre "Come parlare con le ragazze alle feste" lascia capire sin dall'inizio che c'è qualcosa di profondamente sbagliato nei personaggi
"Avis Soleus" sfrutta un'idea molto originale, ma lo svolgimento e il finale risultano parecchio prevedibili.
"Il caso dei ventiquattro merli" trasforma la famosa filastrocca di Humpty Dumpty in un giallo dalle sfumature noir.
In conclusione, "Istruzioni", una guida fantasiosa per addentrarsi nel mondo del fantastico.
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Al mercato dei Morti. Storie di Spettri Giapponesi
Non era questa la versione che avevo chiesto di inserire, ma pazienza, i contenuti dovrebbero essere gli stessi dell'edizione con la copertina rossa.
Passiamo all'analisi del volume.
La raccolta ci offre un'interessante e piacevole visione di ciò che appartiene alle leggende e al culto dei morti del Paese del Sol Levante.
La cultura Nipponica è affascinante , impregnata di quella sacralità e quell'incanto che sembrano trasparire anche dalle piccole cose.
Le storie degli spiriti di Hearn sono malinconiche, talvolta persino inquietanti e trascinano il lettore in uno stato di sospensione tra il mondo dei vivi e quello dei morti, spingendolo quasi a percepire l'essenza stessa di quegli spettri, le cui vicende vendono narrate con semplicità e ammirazione.
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Il fascino del terrore
I riferimenti a Edgar Allan Poe sono tanti, a cominciare dal nome del protagonista, un chiaro omaggio all'autore di racconti horror per eccellenza. Tuttavia lo stile di Priestley è ben lontano da quello del maestro, al quale è stato superficialmente paragonato, come avviene spesso.
I racconti sono belli, un pò prevedibili per una mente già allenata e matura, ma intrisi di quella malinconia e quell'oscurità che spaventano ma al contempo affascinano i ragazzini.
Non è chiaro, invece, se Edgar sia davvero così ingenuo come sembra o se si rifiuti di riconoscere quello che al lettore appare chiaro ed evidente sin dalle prime pagine sul conto dello zio e della sua strana e rumorosa casa.
"Le terrificanti storie di zio Montague" è un libro da gustare nelle sere autunnali o, ancora meglio, nei pomeriggi invernali, magari seduti accanto al camino (o a una stufa, per chi non possiede il fascino del primo).
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Gli intrighi della Villette
Le prime 80 pagine di questo romanzo sono state sofferte.
Ho dovuto ingranare un bel pò prima di cominciare a provare un minimo di interesse.
Sin dal principio si fa fatica a seguire il filo della narrazione a causa di salti improvvisi da una scena all'altra, in cui i personaggi cambiano senza preavviso (difetto che persevera per tutto il libro, peggiorato ulteriormente dal continuo divagare dei protagonisti che, durante gli appostamenti e le attese, si perdono in fantasticherie, arrivando persino a confondere il lettore).
Le descrizioni abbondano fin troppo, distogliendo a volte l'attenzione dall'azione principale.
Il dialogo fortemente razzista di alcuni personaggi secondari nei confronti degli orientali, poi, mi ha fatto rischiare di scaraventare il libro contro un muro e squinternarlo.
Per fortuna, come ho già accennato, da pagina 80 in poi la situazione comincia a farsi interessante.
Victor inizia le sue indagini e presto a lui si affiancherà il cognato.
Non avendo letto i primi libri della serie, non mi è ben chiaro l'esatto rapporto tra i due, le rispettive mogli e il signor Kenji: quest'ultimo a volte viene descritto come un padre adottivo per Victor e la sua sorellastra(?) Iris, a volte la sua figura viene ridotta a quella di semplice datore di lavoro.
Alcuni siparietti superflui sulla vita privata dei personaggi secondari potevano essere omessi, data la loro ininfluenza sul resto della storia.
Messi da parte questi "difetti", "Il talismano della villette" è un romanzo discretamente apprezzabile.
Conigliato agli amanti del genere senza troppe pretese.
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Lettura d'evasione
Quando ho acquistato "Bianco, celibe e vapiro" immaginavo che mi sarei ritrovata a leggere una storia d'amore condita con parecchie scene piccanti (anche se non pensavo fossero descritte in modo così dettagliato).
Non mi ero mai avvicinata a questo genere di letture prima d'ora e forse è questo il motivo per cui mi aspettavo più scene d'azione: anche se si possiede una mentalità aperta a nuove interpretazioni, lasciandosi alle spalle tutto ciò che ci è stato inculcato da miti e leggende, la storia si basa pur sempre su un vampiro!
Invece l'aria che si respira è intrisa unicamente da erotismo e comicità.
L'unica scena "movimentata" ha origine da un pretesto talmente ridicolo che non vale nemmeno la pena di essere annoverata come "scena d'azione": sembra quasi sia stata inserita apposta, come se l'autrice si fosse ricordata all'impovviso che il suo vampito fino a quel momento non aveva fatto altro che sesso sfrenato e mancava l'elemento caratteristico che contraddistingue le storie sulla sua razza, ovvero una bella scazzottata con tanto di paletto conficcato in petto.
Sorvolando su queste riflessioni personali, il libro è ben scritto e abbonda di situazioni "allucinanti" e divertenti.
Se devo trovare un "difetto oggettivo", direi che quello più evidente è l'atteggiamento inverosimile della protagonista.
Kate sembra un pò troppo "stupidina" e ingenua per essere una donna in carriera appartenente all'ambiente dell'editoria: lasciamo perdere i discorsi sul comportamento che si dovrebbe tenere dopo una certa età (perchè si può essere sanamente ingenui e infantili anche a 40 anni senza che questo rappresenti un problema nell'acquistare lucidità e serietà nei momenti che lo richiedano), il vero problema è che nella realtà una donna con queste caratteristiche non sarebbe arrivata a ottenere lo stesso posto della nostra co-protagonista, ma sarebbe stata schiacciata senza pietà dall'intraprendenza e la furbizia dei suoi colleghi.
Tutto sommato è un libro divertente, leggero, 419 pagine che scivolano via in poco meno di 24 ore.
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Il sussurro dei fantasmi
Bel libro, carino, stuzzicante. Mi aspettavo un pò di azione in più, soprattutto nel finale.
In alcuni passaggi ricorda "Ghost Whisperer" e non mi riferisco ovviamente al modo in cui vengono descritti gli spiriti perchè sarebbe un'ovvia coincidenza dal momento che i fantasmi sono l'elemento principale di entrambe le storie ... Mi riferisco più alla vita della protagonista: per esempio, sostituire negozio di antiquariato con negozio vintage, il dottor Jim con il dottor Joe e vi renderete conto che le storie hanno delle analogie non indifferenti, senza contare tanti altri piccoli particolari simili disseminati qua e là.
Nel complesso è un bel libro che intrattiene e diverte, lasciando qualche spunto di riflessione importante sul tempo e le occasioni che sprechiamo quando siamo in vita e sulle convinzioni che ci portiamo dietro persino quando "passiamo oltre".
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