Opinione scritta da Nur
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Bella lettura
La pelle intera di Giulio Angioni è un libro importante e coinvolgente. Non ha il piglio di chi ha una tesi da sostenere o un nuovo filone narrativo da inaugurare o da raddrizzare. Questo scrittore però nei suoi romanzi e racconti ha spesso assunti forti ed evidenti, anche tematizzabili in una tesi. In questo suo romanzo si può trovare almeno un tema portante e importante, e cioè lo smarrimento in cui ci si poteva trovare in una tragedia collettiva come quella della secnda guerra mondiale durante l'occupazione tedesca, specialmente da parte dei più giovani, anch'essi sollecitati e obbligati a prendere partito con le armi in pugno. Efis Brau, il protagonista, è infatti soprattutto un adolescente costretto a fare i conti con una tale tragedia. Ma La pelle intera è prima di tutto un libro che nasce da una forte esigenza di racconto e quindi di senso, che prende a tema la catastrofe di una delle più tremende guerre in cui siamo stati implicati negli ultimi secoli.
Secondo me lo fa in modo nuovo, per me, e molto efficace, spesso commovente, sempre più che interessante. Angioni, dopo il bellissimo Le fiamme di Toledo, continua a carburare bene, specie con Doppio cielo, racconto di miniera, ma ancora una volta in tempo di guerra.
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Il cielo di sotto
Un bel romanzo italiano di formazione.
Un racconto antropologicamente e storicamente vero, e insieme commovemte. Gran bei personaggi. Ma il migliore è il puledro Baieddu, cavallino di miniera.
Certo la formazione di Luisu come minatore non è allettante come quella di Cenerentola che sposa il principe. Ma Doppio cielo è un racconto perfetto di una vita vissuta col salario della paura vivificata dal coraggio e dalla solidarietà e illuminata da pensieri di uguaglianza e di pace in un mondo in guerra mondiale. Tre indimenticabili personaggi, a parte i tanti "minori": il giovane Luisu che da bifolco si fa minatore, l'anarchico toscano Ferriero che con Lisu la fa da simpatico maestro in tutto, Marialuisa che ama Luisu. E c'è da aggiungere, infine ma non ultimo, il cavallino Baieddu, la cui fine commuove.
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La ferita
Ho amato intensamente questo libro, oltre le cinque stelle. Per me questo è il più denso, serio, dolente e intelligente libro sulla fine del mondo contadino in Europa. Che questa fine sia vista in Sardegna, dove troppi vanno ancora a ricercarla, lo rende ancora più interessante. Ne porto dentro la commozione, insieme con la vertigine da mutamento epocale. Forse chi non coglie questo e altro quanto me, è perché è troppo cittadino. Ma qui c'è anche la città, tutta la città, che senza la campagna non c'è mai stata. L'ambiguità dei ricordi intorno al personaggio principale (il giovane che muore) è giocata con amorevole acume, mai visto prima, almeno non io. E certi momenti di poesia, come il bue che muore, sono struggenti, evocativi di millenni di civiltà contadina mediterranea, indimentucabili. E ha ragione Goffredo Fofi. Questo è sale, dale vero, che fa male sulla ferita, per chi ce l'ha. E io, modestamente, ce l'ho.
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Allucinatorio (ma non troppo)
Il riferimento alla Coscienza di Zeno sembra scontata. Ma in questo romanzo di Todde (medico oculista) la psicanalisi non c'entra. E Todde è meno realista di Svevo, che è anche sociologo nel suo capolavoro psicanalitico. Qui Todde, sebbene meno che in altri suoi romanzi, è irrealistico, ironicamente allucinatorio. Ed è questa la sua cifra: l'estremo delle cose, come recita un altro suo tirolo recente. E questo suo Mario, più realista e persino meno allucinato, è più umano, più condividibile.
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