Opinione scritta da taxan
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Calvino o dell'acume
Leggere Calvino, e rileggerlo, è come tuffarsi in un gran mare d'intelligenza, per la quale ti puoi illudere che venga da te, che sia dentro di te, tanto bene l'autore la sa innesacare con la sua intelligenza, anche con la sua ironia, non sempre bonaria. Rara è questa sua mescolanza di fantasia e di realismo, tenuti insieme dall'intelligenza, appunto, dall'acume e dall'erudizione usata con sapienza e non esibendola. Grande Italo.
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Cose profonde
Letto d’un fiato, come a 15 anni. E’ un libro significativo, non solo per me che fino a 12 anni di età ho vissuto in quel mondo, anche quando non si tratti di un buon lettore. Di grande maestria è la costruzione del racconto e la dimensione dotta del narratore, che trama la narrazione di un altissimo intertesto letterario, dalla rivisitazione del mito di Prometeo alla struttura profonda di tragedia - proprio alla maniera greca - che assume la vicenda di Luisu, che non può sottrarsi al destino di morte, anzi va incontro a questo destino come un eroe tragico. Grande si rivela questo scrittore nella dimensione simpatetica con i suoi personaggi e ancor nella straordinaria capacità di scandagliarne gli animi. Molto bello anche l’uso della lingua che va di pari passo alla maturazione della coscienza del protagonista e che passa dal irismo della prima parte - quando il narratore si fonde col suo personaggio e il suo monologo interiore - alla prosa referenziale della parte finale. E quella delicata dimensione di pudore con cui è avvolta la gioia del dono di sé, espressa solo con le parole: “Poi, nell’erba alta degli incolti de Is Loccis, quel pomeriggio Luisu ha capito molto meglio che cosa vuol dire avere un corpo nuovo”. Particolarmente mi ha toccato il rapporto d’amore con un animale ...Baieddu che ti sveglia all’alba con i suoi labbroni sul viso e sulla testa, ... finché si è fatto mandare in superficie a preparare e accompagnare Baieddu nello sprofondare, per tenerlo buono, consolarlo, che non gli muoia di crepacuore ...e se l’è tenuto abbracciato, così, sacchetta al collo e panno sugli occhi, finché ha cominciato a prendere e tenere una carruba con le labbra, soffiando a lungo quei suoi grandi soffi di paura, come singhiozzi di un bambino che ha già pianto troppo. Sensibilità e modo di esprimerla da grande scrittore.
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Capolavoro calviniano
Questo romanzo è tanto storico (Settecento rivoluzionario-napoleonico) quanto fantastico (un aristocratico rampollo che decide per occasionale ripicca adolescenziale di vivere tutta intera la sua vita rigorosamente sugli alberi di un'Arborea peraltro molto ligure). Per me è il capolavoro di Italo Calvino, che di ottimi libri ha fatto in tempo a scriverne molti. Ciò che viene raccontato e il modo di raccontarlo sono speculari: una realistica e inverosimile vita arborea ma sociale resa con uno stile funambolico che riunisce mirabilmente verosimile e inverosimile in modi del tutto nuovi, tra l'altro estranei ai modi precedenti e successivi del realismo magico. Cìè persino una concezione, settecentesca-novecentesca, di possibile riforma sociale intravista guardando la vita umana da sugli alberi.
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La poetica calviniana
Noticina pignola ma utile, perché il titolo di questo libro è: "Se una notte d'inverno un viaggiatore", che è un perfetto endecasillabo, verso principe della tradizione letteraria italiana, che non si può rovinare in "Se in una notte d'inverno un viaggiatore".
Comunque, il libro è un'intelligentissima, ironica e straordinaria scrittura sull'intertestualità letteraria, oltre che libro nel libro, o come già notato anche qui, un metalibro, a colloquio tra l'autore e il suo lettore. In questo Calvino è maestro insuperabile.
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Ricciardi, la sorpresa del solito
Bisogna rallegrarsi della ripresa, enaudiana, delle inchieste del commissario Ricciardi, finita la serie delle quattro stagioni. Dopo "Il giorno dei morti", ora questo natalizio "Per mano mia". E ci risono tutti. La sorpresa del solito, nel grande insolito partenopeo. De Giovanni è scrittore accorto, generoso e puntuale.
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Risvolti
Un bel risvolto di copertina di Goffredo Fofi per questo romanzo che racconta con ironia e commozione certi risvolti della storia recente che ha visto la fine in Italia, e altrove, del cosiddetto mondo contadino o civiltà contadina, quella "cantata" da Verga e da Levi, che però andava raccontata anche così, dal di dentro, e da un dentro vero e vissuto.
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Su tutti i Carsi nevica
Il professor Giulio Angioni in questo giallo insolito stavolta ha messo in scena un professore, che deve capire che cos'è succeso a un suo studente finito in coma all'ospedale. Solo che lo studente è anche un ufficiale dell'esercito italiano. In più siamo a Trieste, sul Carso, sulla Soglia di Gorizia, ai confini orientali d'Italia subito dopo la caduta del Muro di Berlino, con tutto quello che cade insieme al Muro. Per esempio la Jugoslavia, a due passi, che diventa subito un grande mattatoio. E non è che la nostra Italia lassù sui confini di nuovo in subbuglio non ne risenta. Ne risentono tutti, e tutti devono fare i conti con molte novità del tutto inaspettate. Intanto, che cos'è successo allo studente militare del professor Lampis? E a lui stesso, e alla sua assistente Florianic, e ai buoni e ai cattivi che spesso si scambiano le parti? Il ritmo è incalzante dall'inizio a una fine che al lettore lascia il cerino in mano.
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Per salvar la pelle intera
La guerra civile italiana, o europea, nella seconda guerra mondiale: un diciassettenne costretto a scegliere da che parte stare, senza i mezzi e i modi per poter prenderla lui da sè, la decisione, che ti mette le armi in pugno. Su questo si gioca la posta di riuscire a sopravvivere. Anche se il punto di vista prevalente è che la guerra è la più grande e stuida scifezza umana, ma che una volta scoppiata e essendoci implicati, è meglio viverla da eroi, o almeno avendo scelto bene il campo.
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Un rogo di giustizia
Il protagonista di questo romanzo, Sigislondo Arquer, è un uomo del Cinquecento deciso a mantenere la dignità delle sue scelte di vita e di credenze nel clima di violenza teologica tra riforma e controriforma e più in grande tra cristianesimo e islam ottomano (siamo alla vigilia della battaglia di Lepanto). In attesa del rogo Sigismondo rivisita la sua vita per ridarle un senso diverso da quello che le danno i suoi giudici e fra poco i suoi carnefici. E' un esame di coscienza in articulo mortis che però ricostruisce una vita movimentata e vissuta pericolosamente tra la Sardegna, la Toscana, la Svizzera, la Spagna, e con contatti con i grandi dell'epoca, da Filipopo II ai riformatori. Sigismondo è stato un uomo politico, avvocato generale del Regno di sardegna allora appartenente alla corona di Spagna. Il racconto è fatto in prima persona, nella cella dell'inquisizione di Toledo, nei tre giorni precedenti il rogo. I fatti narrati sono in sostanza fatti realmente accaduti a persone realmente esistite, che in queste pagine hanno i loro veri nomi e accadono nei luoghi del loro reale accadere. Questa caratteristica si scopre a poco a poco, finché si arriva a fidarsi anche dei piccoli e fin minimi particolari come veri o altamente verosimili. Vivissimi i personaggi. Una Sardegna veramente inedita. Come non ci si poteva aspettare, le dispute teologiche sono di un vivezza e di un'attualità coinvolgente. Ne risulta un libro tremendo, ma senza effettacci orrorifici, bensì di grande e coinvolgente umanità, entrando in sintonia con un uomo che decide di non voler vivere una vita diminuita dal tradimento delle proprie convinzioni, del resto condivise con tanti altri europei della sua epoca.
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