Opinione scritta da OedipaDrake

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OedipaDrake Opinione inserita da OedipaDrake    19 Novembre, 2011
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Meraviglioso ed importante

“Meraviglioso ed importante”, come sostenne Neil Gaiman, sono due attributi che calzano perfettamente a questo romanzo.
Bellissima immersione in un possibile scenario futuro non troppo lontano né inammissibile, venato di distopia. Nessun classico scenario apocalittico o simil tale, bensì una società tecnologicamente poco più progredita della nostra, in cui proprio la scienza tecnologica si è camuffata da strumento per controllare le persone, dirigere le loro azioni in modo subdolo, non lasciare pericolosi spazi all’intraprendenza e libertà individuale. Il tutto mascherato da termini altisonanti quali “sicurezza” e “legalità”.
Grazie alla perspicacia e il coraggio del protagonista e del suo agire, il romanzo mette in luce il paradosso di questa subdola e talora insospettabile gabbia di falsa libertà e privacy che la tecnologia e il mondo odierno ci hanno architettato intorno.
Induce, inoltre, a riflettere su uno dei dilemmi morali che la storia dell’uomo si porta dietro (i più classici e stupefacenti esempi si trovano nella tragedia greca classica): qual è il confine tra rispetto della legge costituita e la propria legge morale? Tradotto nel mondo contemporaneo: qual è la differenza tra la legalità e terrorismo? Quando ed entro quali limiti un’azione si può definire di opposizione, rivoluzionaria, a difesa dei diritti più profondi dell’uomo e del pianeta, oppure è meramente illegittima, arbitraria, condannabile senza eccezione? Dove termina la libertà d’azione e la privacy dell’individuo ed inizia la sfera di controllo della sicurezza e del diritto?
Tutto questo nella trama del libro si gioca nel campo della tecnologia, dell’informatica, del mondo della rete, mettendone proprio in luce le falle e gli aspetti più subdoli di coercizione e controllo, ma anche le straordinarie possibilità di comunicazione, scambio, coesione e lotta per un ideale e bene comune.
Motto dei giovani che scelgono di resistere e opporsi ad un sistema che sta negando la libertà individuale diventa “non fidarti di nessuno sopra i 25”. Monito che per chi ha superato tale età può risultare un po’ amaro. Tuttavia, è innegabile che attorno a quegli anni avviene una svolta, dallo slancio appassionato ed ideale si rimane man mano imbrigliati in un sistema dominato da necessari compromessi che trascinano nella disillusione e rassegnazione. Forse l’autore ha voluto ricordare che è necessaria una dose di spregiudicato coraggio e di follia per (r)esistere, senza essere assorbiti dall’anonimato della massa cieca e coatta.

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OedipaDrake Opinione inserita da OedipaDrake    13 Novembre, 2011
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Magistrale e multiforme

Pynchon non è un autore affatto semplice e anche questo imponente romanzo (tradotto magistralmente) lo riprova.
Non certo per la mole fisica di 1127 pagine, ma poiché ogni pagina, paragrafo, parola racchiude tutta la complessità della vita, un prisma di metafore e rimandi (interni ed esterni al romanzo stesso). Da un fievole nucleo si dipartono storie di personaggi e nazioni, relazioni politiche internazionali e rapporti umani segnati da tutto lo spettro dei sentimenti, vicende labirintiche e aggrovigliate delle quali spesso non è subito comprensibile il senso comune. Solo procedendo nella lettura, le fila vengono un poco dipanate. Solo un poco, sì. Infatti, in questo universo multiforme, nel quale ? proprio come nel nostro ? è facile perdersi (o smarrire se stessi), nemmeno nel finale si ha una chiosa rassicurante, risolutiva, consolatoria (perché, per dirla con Pirandello “la vita non conclude”).
Intrecciando storia reale e fittizia, in una miriade di collegamenti intratestuali e richiami a fonti esterne, seguendo lo scorrere del tempo storico ma non dando mai per scontata la possibilità di sovvertire le leggi della scienza e del tempo stesso, lasciando intravedere possibili utopie, con la consueta ironia venata d’amarezza l’autore racconta sotto metafora del nostro mondo e dei rapporti umani, cercando di svelarne i vizi più corrotti, le debolezze, le contraddizioni che mai possono separare nettamente bene/male o giusto/sbagliato, ma anche quegli spiragli di autenticità che danno la speranza e il coraggio di mettersi in gioco, di credere, di esistere.
E i perni simbolici di tutto questo gioco sono rappresentati dalla Terra rispetto l’aeronave della “Compagnia del Caso”, dalle città reali rispetto all’utopica città di Shambala.
Su tutto, simbolo dell’intera opera, il mitico Spato d’Islanda, minerale che è varco verso la conoscenza in tutta la sua complessità e sfaccettature, via mistica e scientifica tanto dei piani reali che di dimensioni altre, lente che svela la duplicità di tutte le cose (lo stesso Spato ha valenza positiva e non), le quali in sé però mantengono sempre un cuore imperscrutabile, di fronte al quale si rimane smarriti, senza risposta conclusiva. Forse a questa verità ultima può dare senso soltanto ogni singolo uomo, conferendole la sua propria interpretazione personale (mutevole e forse errata), che corrisponde alla rotta e al senso che ciascuno decide di dare alla propria vita.

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OedipaDrake Opinione inserita da OedipaDrake    03 Novembre, 2011
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Tra vita e sogno, sensualità e inquietudine

Un’ordinaria serata estiva, l’aria che accenna appena a stemperare il caldo della giornata, dalla finestra ancora aperta voci ronzanti del televisore dei vicini.
Inizio distrattamente questo racconto di Kawabata. E l’atmosfera si colma del profumo di emozioni celate. Di peonie e di camelie.
Avevo già letto due libri di questo autore giapponese, di cui ho apprezzato soprattutto l’incredibile capacità descrittiva, di una delicatezza straordinaria, ma al contempo altrettanto vivida e avvolgente, sempre al limite tra percezione del reale attraverso il sentire dei personaggi e il loro stesso passato, i loro sogni. Egli sa trasformare ogni parvenza in poesia e acquerello.
Questa novella, tuttavia, va oltre, è così densa nella sua brevità, così soave ma dai tocchi morbosi e inquietanti, che ogni parola, ciascuna immagine, trasuda sensazioni e simbolismi.
Al limite tra il vissuto e il sogno, in una sorta di flusso di coscienza, la storia coinvolge l’anziano Eguchi, il quale visita – prima per curiosità, poi per un’irresistibile attrazione – una casa che offre il singolare servizio di trascorrere la notte accanto a una bellissima fanciulla dormiente. Tutte le giovani donne non sapranno mai chi ha dormito accanto a loro, sono, in un certo senso, “un giocattolo vivente”. In realtà rappresentano molto di più, sia per gli anziani frequentatori della casa che metaforicamente: il confronto sempre presente tra il vecchio che si sta avvicinando alla fine della sua vita e la giovinezza delle donne, il passato che può rivivere solo nel ricordo e lo stato di incoscienza imperturbabile delle giovani, l’anelito alla vita che sfugge per Eguchi e cerca di scuotere in quei corpi abbandonai al sonno che rappresentano la bellezza e la vitalità, la vita e la morte, la fantasia e la realtà, l’immaginazione e la memoria, il sesso e il desiderio.
Così, Eguchi trascorre le sue notti accanto a una “bella addormentata”, durante le quali osservando la ragazza accanto lui, percorrendone con lo sguardo o sfiorandone con le dita particolari del corpo, la sua mente rammenta le storie vissute con le sue vecchie amanti. Volta dopo volta, tuttavia, l’atmosfera nella stanza delle belle addormentate si tinge di sfumature più opprimenti, quasi morbose, fino a far perdere al protagonista il senso ultimo del bene e del male (“sedotto dalla consuetudine e dall'ordine, il senso stesso del male si è intorpidito”).
In questo climax di pensieri e sensazioni, il finale è prettamente simbolico e non apertamente spiegato, concludendosi con una sottile domanda capace di lasciare al lettore un gusto dolceamaro e non pochi brividi (per il bene o per il male?).

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OedipaDrake Opinione inserita da OedipaDrake    21 Ottobre, 2011
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Riflessione amara sulla vita

Molto, molto bello, di rara intensità e finezza letteraria. Lo scrittore è straordinario nell’eleganza dello stile e nella composizione dell’opera. Una sorta di riflessione amara sulla vita e sul sentire degli uomini, che come mai appaiono in tutta la loro nudità, schietta umanità così meschina, a volte, così triste, anche. E l’estenuante ricerca di una vita, domande che consumano e logorano, alla fine si stemperano in maniera mirabile nella solitudine interiore dalla quale nessuno può sfuggire. Di fronte a se stessi… Alla morte. Allora tutto sfuma e le domande stesse non hanno più senso.

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OedipaDrake Opinione inserita da OedipaDrake    21 Ottobre, 2011
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Come reagisce l’essere umano, dopo millenni di evo

Mi ha ipnotizzato, incollato alle pagine dalle prime righe fino alle ultime.
Ho seguito passo passo anch’io la strada, la protagonista principale del libro.
La strada è dove si compie il dramma di un padre e un figlio di cui si narra un brandello di vita, ma anche di tutti i superstiti ( “buoni” o “cattivi” che siano) di un mondo post-apocalittico dove non è sopravvissuto pressoché nulla, men che meno il senso dell’umano.
Mi viene in mente “Cecità” di Saramago e altri romanzi simili, ove si descrive l’uomo in balia nuovamente di se stesso e di un ambiente circostante ostile. Come reagisce l’essere umano, dopo millenni di evoluzione e civiltà? Regredisce a bestia, nel senso più dispregiativo possibile del termine, ritorna fiera affamata e sanguinaria che per sopravvivere e soddisfare i prorpi bisogni primari non si fa scrupolo alcuno.
Pagine devastanti, un cupore grave che scende sull’anima come quella stessa cenere che ha ricoperto il mondo dopo la catastrofe, soffocandolo e rendendolo un ammasso grigio di nulla.
Disperazione palpabile, unita all’affetto intenso e puro che sussiste tra il padre e proprio figlio, un’unione disperata e forte, l’unica luce e calore nella devastazione.
La vita diventa un viaggio il cui fine unico è sopravvivere almeno un altro giorno, ma senza uno scopo o una meta. Anzi, forse morire sarebbe preferibile. Solo dolore, del fisico e dell’anima, magmatico e palpabile.
Il finale, a mio gusto personale, si sarebbe fermato qualche pagina prima di quello effettivo, l’avrei trovato maggiormente in sintonia con il resto del romanzo.
In ogni caso, consigliatissimo e stupendo.

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OedipaDrake Opinione inserita da OedipaDrake    21 Ottobre, 2011
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Il vero significato del “carpe diem”

Anni fa regalai questo romanzo a mia mamma, ripromettendomi di leggerlo anch’io, poiché mi ispirava parecchio (nonostante la mia solida diffidenza verso i best seller).
Ho rimandato fino alla settimana scorsa, solleticata dalla visione del film (“Il Riccio”) tratto dal romanzo (che gli è nettamente superiore).
In un pomeriggio me lo sono gustato, parola per parola, sensazione per sensazione.
Non sarà l’opera letterario del secolo, ha limiti e difetti, ma pure tanti pregi e mi è piaciuto davvero tanto (… e commosso in ugual misura).
Ho apprezzato i richiami letterari e filosofici, mai pacchianamente ostentati, ma dosati e riconsiderati in chiave personale e calati nella vita vissuta di ogni giorno.
C’è una buona dose di ironia, così come un gusto (molto nipponico-zen per certi versi, oserei affermare) per l’indugio sull’istante, sull’attimo di riflessione, sulla bellezza, sull’eternità pur nel caotico fluire della quotidianità, sulla scoperta dell’essenza delle minuzie solo apparentemente insignificanti, sul gusto e la rivelazione dei particolari.
Un concetto mi ha toccato particolarmente, il fatto di quanto spesso siamo ciechi. Vediamo superficialmente, non ci soffermiamo ad osservare, a capire e cogliere ciò che ci sta intorno. Ciò capita persino (o soprattutto?) con le persone: le “inquadriamo” sbadatamente, senza soffermarci su sfumature che svelerebbero un universo interiore ricchissimo.
Perché?
Forse il mondo odierno non permette facilmente di soffermarsi a carpire l’essenza fugace di quello che ci circonda o anche di uno sguardo. Nella fretta, nel turbine, nell’alienazione che l’attuale modus vivendi ci impone, ci si dimentica della bellezza e di quanto può donare... E di quanto possiamo, con poco, donare noi agli altri.
Probabilmente è una questione pure di autodifesa: la necessità di proteggere lo scrigno più prezioso del nostro io, così vulnerabile e purtroppo incompreso, fa erigere mura così alte che persino noi stessi non riusciamo più a sbirciare oltre attraverso qualche breccia.
Questo romanzo schiude il vero significato del “carpe diem”: non la ricerca affannosa di sterili emozioni, di un vissuto che alla fin fine risulta vuoto, bensì “forse essere vivi è proprio questo: andare alla ricerca degli istanti che muoiono […]alla ricerca dei sempre nel mai. La bellezza, qui, in questo mondo” (citazione dal romanzo).

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OedipaDrake Opinione inserita da OedipaDrake    21 Ottobre, 2011
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Fantasy simbolico

Era dalla sua uscita che avevo intenzione di leggere questo romanzo e finalmente (complice sia l’uscita dell’edizione economica, sia gli sconti sui libri offerti questo mese) l’ho avuto tra le mani.
L’inizio sicuramente incuriosisce, ma al contempo getta in mezzo alla storia senza alcuna spiegazione, pertanto si seguono le prima pagine cercando di carpire più dati possibili per farsi un’idea del mondo in cui si è catapultati.
Pagina dopo pagina, il rapimento della storia coinvolge visceralmente: si diventa parte della mitica 34° Orda alla ricerca dell’Estrema Vetta, si palpita delle stesse preoccupazioni, fatiche e dolori. Si diventa tutt’uno con l’anima dei ventitré personaggi, con quel mondo che attraversano, tanto spietato quanto ammaliante.
Una struttura narrativa corale, che si basa sull’alternarsi dei punti di vista dei membri dell’orda (alcuni dei quali hanno, per forza di cose, un ruolo e uno spazio preponderante rispetto ad altri), complessa e articolata, che svela un romanzo non semplice, anzi.
Questo libro non è affatto il classico fantasy come (purtroppo) si intende oggi; è una sorta di piccola epica fantastica, a suo modo, ricco di simbolismi e richiami filosofici, dai solidi valori che vuole trasmettere simbolicamente attraverso la storia.
Questo sicuramente è da sottolineare: non si può leggere la storia soltanto in sé per sé, è necessario scandagliare i vari piani di lettura, cogliere i simboli e raccoglierne il senso man mano, seguire il filo più nascosto di quanto l’autore ha voluto comunicare.
Un’opera complessa e affatto originale (basti pensare, ad esempio, a due accortezze meravigliose, quali la caratterizzazione dei membri dell’orda con un proprio glifo – non casuale – e la numerazione delle pagine al contrario), dunque, di quelle che lasciano qualcosa dentro di profondo, fosse anche solo un pensiero. E dopo la parola fine, non sì è più gli stessi di prima.

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OedipaDrake Opinione inserita da OedipaDrake    21 Ottobre, 2011
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Un amaro sguardo e ironico sulla guerra

Un romanzo, attraverso uno sguardo ironico e di finta impassibilità, lascia un gusto amaro per quello che sembra il destino costante dell'umanità: la guerra.
Mai banale, a tratti struggente, talora divertente, viene mescolata fantascienza "spicciola", ironia e realtà storica per mostrare al lettore tutta l'atrocità della guerra e della natura umana, pur senza scontato moralismo o aperte denunce.

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OedipaDrake Opinione inserita da OedipaDrake    21 Ottobre, 2011
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Il meta-libro per eccellenza

Un libro che in realtà è un meta-libro, perché parla di libri, romanzi, lettura, lettori (e lettrici), scrittori, giocando sottilmente con tutti questi attori, miscelando stili, situazioni, istantanee scattate da diverse prospettive. Un mosaico all’apparenza caotico, i cui pezzi man mano si intrecciano abilmente per sottendere il significato di cosa sia davvero tanto la scrittura che la lettura: ovvero, la risposta non c’è, non può essere univoca, ma sfaccettata quante sono le emozioni legate ad un libro, sia dalla parte di chi scrive che di chi legge.
Il tutto condito dall’immancabile e intelligente ironia del miglior Calvino, che ama sgretolare le certezze con fantasiosi paradossi, perché ognuno vada alla ricerca della propria verità interiore.

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OedipaDrake Opinione inserita da OedipaDrake    21 Ottobre, 2011
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Opera cardinale di Dick

Opera cardinale di Dick, è ricca dei temi classici di questo autore: i paradossi dell’esistenza, l’analisi “surrealista” della società umana, il labile e spesso inesistente confine tra realtà e illusione, la mancanza di un principio unificatore del significato delle cose (e degli stessi concetti di vita e morte).
L’irruzione del soprannaturale, gli interrogativi incalzanti e colpi di scena mettono a dura prova il lettore, che, come i personaggi del romanzo, si ritrova in una mondo né del tutto reale né completamente fantastico, in un vortice che fa perdere ogni senso dell’orientamento, lasciando aleggiare solo l’angoscia di non comprendere più cosa esista davvero o no, se siamo vivi o morti, se questo “Ubik” sia la salvezza (ma da che cosa?) oppure la fine di tutto.

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