Opinione scritta da Nothingman
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Ali della notte
La vedetta Wuellig, il ricordatore Tomis, il pellegrino Tomis, un solo uomo. Il nostro protagonista ci racconta un pezzo della sua vita, in un futuro molto lontano, in un immaginario “Terzo Ciclo” quando la Terra e i suoi abitanti saranno messi a dura prova. Assieme al protagonista in continuo pellegrinaggio ci sposteremo da Roum a Peris, dall’Augupt a Jorslem, città e territori che noi ben conosciamo e che facilmente riconosciamo al di là degli pseudonimi inventati da Silverberg (o in questo caso dovrei dire dal traduttore?). I Terrestri si son comportati in modo deplorevole in passato, ora è arrivato il momento della punizione.. e della redenzione.
Un esperimento ottimamente riuscito, quello di Robert Silverberg, che traccia i profili di un futuro non troppo diverso dal nostro presente, in modo che non ci è resa difficile la possibilità di immergerci nel racconto. Mai scontato, l’autore non trascura nessun particolare del suo mondo immaginario e non lascia alcun quesito in sospeso. È evidente un parallelo con la nostra vita, un tentativo di porre un insegnamento morale come fine del romanzo: gli abitanti della Terra sono divisi in corporazioni, tutti tranne i “diversi”, questi sono il frutto di errori genetici fatti dagli scienziati del passato nel tentativo di migliorare la razza umana (esperimento ben riuscito sono gli alati per esempio). I diversi sono dei reietti, disprezzati e allontanati. Fondamentale sarà tuttavia il loro aiuto nel redimere la razza umana, quando tutti dovranno fare fronte comune al di là delle differenze. Appare immediata la trasposizione di questo tema ad oggi, mentre siamo intenti a combatterci l’un l’altro, noi umani, divisi dalle nostre piccole differenze, non ci accorgiamo che ci stiamo a poco a poco autodistruggendo.
Inizialmente il racconto sembra superficiale, e un poco noioso. Superati i primi capitoli, di introduzione ad un “nuovo mondo” e forse quindi necessari, un colpo di scena accenderà i motori di “ali della notte” che si trasforma in una narrazione più corposa, ricca di affascinanti dettagli e avvincente al punto giusto. In effetti più che un romanzo par essere un racconto, con annessa morale come detto sopra. Il libro si fa leggere velocemente, i capitoli son ben scanditi e aiutano il lettore nel programmare la lettura. Se non siete amanti del genere fantascientifico, Silverberg vi stupirà ancora di più e vi farà appassionare.
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La tempesta del secolo
Little Tall è una piccola isola che sorge davanti alla costa del Maine. La piccola popolazione può essere considerata come una grande famiglia dove tutti conoscono tutti e tutti conoscono tutto di tutti. O almeno così credono. A sconvolgere la vita della popolazione isolana ci penserà un essere dalle forme umane che si presenta come Andre Linoge. Il “mostro” approfitterà della tempesta che si abbatte sull'isola, isolandola dal resto del mondo, per mostrare i suoi poteri sovrannaturali causando terribili e sanguinose morti che gli renderanno possibile sottomettere i cittadini a un terribile ricatto. La visita di Linoge cambierà per sempre la vita degli abitanti di Little Tall, e sopratutto quella di Mike Anderson, commerciante e sceriffo, che ci racconta l'accaduto.
Se in un primo momento la scelta di King di scrivere il romanzo appositamente sotto forma di sceneggiatura per un film può lasciare perplessi, con le pagine che si susseguono il lettore ha il tempo di abituarsi e ben integrarsi in questa schematica forma letteraria cogliendo le peculiarità Kinghiane. E' evidente come lo scrittore abbia voluto cimentarsi in una nuova esperienza, con curiosità e intraprendenza, riscuotendone un notevole successo.
Come già accennato, una volta preso il ritmo di lettura, abituatisi alla “nuova forma” letteraria, King si dimostra ancora una volta capace di incollarti alle pagine del libro, tenendoti col fiato sospeso finché non arrivi alla conclusione. Mai scontato “La tempesta del secolo” lascia stupiti dalla prima all'ultima pagina, per le vicende che si susseguono e per il finale assolutamente inaspettato.
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La donna che mi insegnò il respiro
È Hayat, ragazzo americano di origini pakistane, che ci racconta la sua storia, di quando, non ancora adolescente, viene iniziato dall'affascinante Mina alla dottrina islamica. Lei è un amica della madre di Hayat, giunta negli Stati Uniti con un figlio piccolo dopo una vita di rinunce e maltrattamenti in Pakistan, assoggettata da chi la costrinse nei panni di madre e moglie sottomessa, e non accettava che una donna coltivasse la propria cultura. Grazie alla famiglia di Hayat, la donna trova ospitalità in America, porta con sé una genuina e personale fede islamica, lontana dal fondamentalismo che le ha causato tante difficoltà in vita, ma forte a tal punto di iniziare allo studio del Corano il piccolo protagonista. Come se fosse perseguitata da una maledizione, la donna plasmerà un giovane fondamentalista islamico, Hayat sarà travolto dalla lettura coranica prendendo alla lettera ogni singolo verso. L'allievo in vita si rivolterà contro la maestra, rea di non seguire l'insegnamento delle sacre scritture instaurando rapporti personali con un ebreo. Insospettatamente sarà proprio il piccolo Hayat a distruggere la seconda vita americana di Mina.
Come il protagonista del suo romanzo, anche l'autore Ayad Akhtar è di origini pakistane ma ha sempre vissuto negli Stati Uniti e probabilmente nessuno meglio di lui potrebbe raccontarci la realtà delle comunità islamiche (pakistane nel caso specifico) negli States. Akhtar riesce a mostrarci le caratteristiche e le contraddizioni in seno a una delle tante sottoculture americane, di come la diffidenza per il diverso, il razzismo e la ceca fede fondamentalista possano portare a conseguenze drammatiche, se non in un contesto Nazionale come quello statunitense, certamente su un piano privato delle singole persone.
Nella prefazione sul risvolto di copertina è scritto tra le altre cose “Se guardando il telegiornale ti chiedi perché il medio oriente è in rivolta, leggi questo libro” firmato Danny Roszenweig. Non posso che dissentire almeno in parte da questa affermazione, il fondamentalismo islamico, nella maggioranza dei conflitti mediorientali, non è la causa scatenante ma il tragico effetto e degenerazione di disastrose politiche internazionali, nelle quali spiccano in primo piano i paesi anglosassoni d'occidente. Indubbiamente leggendo questo libro ci facciamo un idea di quanto sia allo stesso tempo insensata e pericolosa la ceca fede a una dottrina: prendendo alla lettera il corano Hayad rovina la vita di Mina, sua maestra di vita, prendendo alla lettera il corano molti leader arabi aizzano le folle contro il “progresso occidentale” e il nemico storico Israele. L'ebreo è proprio il primo destinatario dell'odio esposto nel romanzo, nonché tra le vittime della vicenda.
Penso che l'insegnamento che si può trarre dalla lettura di Akhtar sia molto importante, la battaglia da compiere contro chi si arrocca dietro dottrine che impongono comportamenti che difatti ledono i diritti umani e civili non deve essere in alcun modo militare, causerebbe soltanto un rafforzamento degli estremismi, ma culturale. Lo stesso Hayat del romanzo, ormai studente universitario, si apre all'analisi critica della dottrina musulmana. Come Mina, si può essere buoni musulmani senza eccedere nell'irrazionalismo, si può essere buoni cristiani, ebrei, induisti o quant'altro, senza eccedere nel fondamentalismo e senza calpestare il prossimo.
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Cronaca della fine
Franchini ricostruisce la vita letteraria di Dante Virgili, autore controverso dell’unica pubblicazione dichiaratamente nazista della letteratura italiana. L’autore, con grande attenzione ai particolari, non tralascia nulla nell’andare a capire il modo in cui un opera come “La Distruzione” abbia potuto conquistare la Mondadori, rivelandosi subito, però, un flop nelle vendite. Partendo dal punto che non poteva essere solo e soltanto una trovata commerciale, tanto più in un clima politicamente caldo come quello italiano degli anni ’70, Franchini riscopre le prime recensioni sull’opera, contatta i vecchi editor della casa editrice, elabora riflessioni personali lasciando poi al lettore la possibilità di dare un giudizio complessivo.
Cronaca della fine non sarebbe stata, molto probabilmente, un opera di Franchini se questi già dai primi anni ’90 non avesse ricoperto la carica di editor della letteratura italiana presso La Mondadori. E’ così che venne a contatto con Dante Virgili, tornato alla carica per la pubblicazione di una nuova opera, quanto meno altrettanto provocatoria. Franchini tuttavia rifiuterà di pubblicarlo nuovamente. A più di dieci anni da questa esperienza l'autore riflette sull’argomento forte dell'esperienza personale.
Nel suo complesso “cronaca della fine” è un’opera puntigliosa, che risulterebbe pesante se il lettore non avesse alcun interesse o per l’opera del Virgili, o per l’autore stesso o infine per il mondo dell’editoria. Ed è proprio di questo universo che infine ci vien offerta un interessantissima panoramica, andiamo a capire, sebbene forse solo in parte, i meccanismi che regolano l’iter di pubblicazione di un libro, sempre nel caso in cui questo arrivi alla sua tappa ultima. Franchini, facendo continuo riferimento alla propria vita lavorativa, ci rende noto qual destino aspetta il nostro libro, se mai decidessimo di scriverne uno.
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Razza Impura
Franco Cilli, il “Dottore”, è uno psichiatra che lavora nel paese di Penne, uno come tanti in Italia. La visita di una paziente molto particolare, in quanto moglie di un rappresentante del governo italiano, lo trasformerà in pedina di un pericoloso gioco internazionale. Il Dottore dovrà fare i conti col proprio passato, in forte contrasto con la serena e civile vita da psichiatra al servizio dei cittadini, sarà quindi coinvolto in un grande complotto mondiale che lui stesso tenterà di scongiurare con l’aiuto del suo vecchio amico Domenico D’Amico (mezzo macchina mezzo orco), di Marina, sua paziente estremamente autolesionista, una sua figlia spagnola, Estela, e infine con l’inaspettato sostegno del commissario Tano Pepe. I protagonisti della narrazione, per lo più tutti professionisti nelle arti marziali e imbattibili nello scontro corpo a corpo, visiteranno diversi paesi, dall’Italia a Cuba, dalla Svezia agli Stati Uniti, andando ad incontrare personaggi realmente noti in campo internazionale e scienziati pazzoidi appartenenti alla finzione. La minaccia che aleggia sulla Terra prevede anche la sostituzione dell’uomo con una nuova specie, per l’appunto una razza impura: riusciranno i nostri eroi a sventare anche questa minaccia?
Cilli e D’Amico, autori e protagonisti del romanzo, si son divertiti nel costruire un romanzo intorno alle proprie persone, realizzandone una forte caricatura e facendole vivere in uno scenario mondiale pre-apocalittico dove attentati terroristici e complotti segreti sono all’ordine del giorno, tutti manovrati da pochi potenti che congiurano dietro le quinte. I fini e le intenzioni dei politici italiani, riconoscibili nonostante gli pseudonimi usati, rientrano nel grande complotto, nel quale si inseriscono attraverso l’uso accorto degli autori di presunte accuse e taciute verità che da decenni gli si riferiscono: pensiamo al ruolo controverso del premier “Bengodi” e del suo amico-nemico “Dalmanera”.
“Tutto questo è ridicolo, siamo davvero un’armata Brancaleone” […] “Vabbè che stiamo vivendo in un thriller politico incoerente e sgangherato, pieno di coincidenze al limite del ridicolo..”. Queste battute auto-canzonatorie che troviamo all’interno del libro, ahimè, vanno a riflettere la stessa impressione che il romanzo ha suscitato in me. Penso che l’idea di fondo del grande complotto sia buona per sviluppare le trame di una storia, tuttavia si è rivelata una carta giocata male, malissimo. I protagonisti sembrano la trasmutazione su carta di uno Steven Seagal (questa volta non a stelle e strisce ma falce e martello) accompagnato dal grande amico Chuck Norris, entrambi imbattibili, fortissimi e resistenti anche alle pallottole, nel completare l’armata Brancaleone, ad essere cattivi, possiamo aggiungere Bruce Lee nelle vesti di un commissario e Xena nelle vesti di una figlia dimenticata. L’intero gruppo si ritrova, guidato dal Dottore alias F. Cilli alias Steven Seagal, sballottato a destra e a manca in un contesto internazionale, ritrovandosi in situazioni assolutamente improbabili, sconnesse tra di loro, per un progresso della vicenda del tutto innaturale. Tutti seguono il Dottore, vero Leader, la sua innata sete di giustizia, verità, e la sua fame di vendetta. Probabilmente, l’usare se stessi come protagonisti del proprio romanzo è stata una scelta quanto mai sbagliata poiché ha portato a un eccessiva esaltazione dei soggetti principali, troppo irreali tanto che l’immedesimazione è impossibile.
Altro punto a sfavore è l’organizzazione in seno al libro, ovvero l’organizzazione dei paragrafi. All’interno dei capitoli troviamo delle sezioni, finali o iniziali che siano, che sono come delle visioni di quello che verrà o potrà avvenire, o di quello che in parte sta già accadendo a causa del grande complotto e che, nella narrazione inerente al Dottor Cilli, fin ora è stata appena accennato. L’effetto percepito è quello di un eccesso di confusione: i vari paragrafi sono diversi l’uno dall’altro per tutto il libro, non seguono un proprio filo logico, sono dei grandi flash che soltanto una volta giunto alla fine riesci con difficoltà a collocare, ma che per il resto non fanno altro che appesantire la lettura.
L’ultimo piccolo appunto riguarda le analogie con i politici italiani, la loro individuazione dietro gli pseudonimi sarebbe potuta essere un artificio interessante, divertente, se però fosse stato utilizzato meglio. Invece vediamo concentrati nello spazio di cinque righe una valanga di riferimenti messi a forza l’uno dietro l’altro.. peccato.
Insomma nel complesso, a parer mio, questa “favola massimalista” non funziona.
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Il pendolo di Foucault
Casaubon è l’Io narrante, mette per iscritto la sua occulta avventura che segna l’ultimo decennio della sua vita trovando apice e fine nei primi anni ’80. Possiamo definire il racconto ‘ciclico’, si apre quando già il protagonista è al culmine della sua rocambolesca storia, innanzi al pendolo di Foucault si prepara per l’ultimo atto. A questo punto siamo portati indietro nel tempo, quando Casaubon era studente universitario, nell’Italia del ’68, le cui famose vicende le vive più che altro da spettatore. Ma è in questo momento che si gettano le basi dell’intera vicenda, nel preparare una tesi sui templari il protagonista inizia a interessarsi di misteri, di incongruenze storiche, di società segrete; è in questi anni che conosce Jacopo Belbo e Diotallevi, questi lavorano presso la Garamond, una casa editrice, ed avranno un ruolo fondamentale nel romanzo. Difatti, durante alterne vicende che si dilatano negli anni, dopo strani incontri e sparizioni, i tre finiranno per cooperare nel dar vita a un opera vagamente mistica che parla di un grande complotto templare internazionale, del grande segreto, frutto di una grande miscellanea dei tanti testi dei ‘diabolici’ di cui vengono in possesso: quello che nasce come un gioco si trasforma presto in folle realtà conducendoci verso un folgorante finale.
Fino a che punto porta la stupidità delle persone? Fino ai limiti più estremi dell’agire umano. Nel romanzo non solo la storia narrataci, ma anche i più grandi eventi storici come lo sterminio degli ebrei nei lager nazisti, son presentati come l’esito di una folle ricerca, la ricerca dell’unico e grande segreto, ma in cosa consiste questo segreto e vale tanto da buttare al vento energie fisiche e mentali, anni di vita, esseri umani? La risposta la troviamo tra le pagine del libro che ci portano a leggerla dentro di noi.
Insomma, un libro da non leggere a letto prima di dormire, molto impegnativo, complesso ma tutto sommato piacevole. A tratti la prosa di Eco si può trovare pesante, tuttavia sia la divisione in piccoli capitoli sia l’avventura via via più intrigante, agevolano la lettura e proiettano il lettore nel mondo creato dall’autore. Un libro che merita le vostre attenzioni ma, per quando avrete il tempo da dedicargli.
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Andrea e il mondo dei Chapas
Andrea è un bambino semplice come tanti, bravo a scuola, legato alla famiglia e alla sua amica del cuore, Arriette. Evon invece è un chapas, piccolo essere simile ad un folletto dalle mani a tre dita, è un bambino tanto quanto Andrea, come lui è curioso, vivace, ed è legato ad un amica del cuore, Tory. La differenza è che i due vivono in mondi diversi, paralleli. Il mondo dei chapas è magico, e la magia è correntemente usata dai suoi piccoli abitanti. In questo modo Evon si vedrà catapultato in camera di Andrea, inaspettatamente i due vivranno una fantastica avventura in un mondo incontaminato, dovranno difenderlo con l’aiuto de L’Eremita dalla perfidia di Persifer, nemico di tutti i popoli.
Greta Marras è un amante della letteratura per bambini, a sua detta è un modo per riavvicinare gli adulti al mondo dei più piccoli. Il breve racconto da lei creato, è ricco di piccoli concetti semplici e veritieri: il Vecchio Saggio chapas chiese incredulo all’umano “Stai dicendo che voi umani combattete tra di voi? A che scopo? […] Che razza di gente è la tua, che si guasta col tempo?”. Per un certo senso l’intento di quest’opera è didascalico, infatti è per intero scritta in un italiano molto semplice, arricchito qua e la da termini ‘colti’ che probabilmente il piccolo lettore, a cui è palesemente indirizzata la storia, non ha mai sentito e che in questo modo andrà ad apprendere.
Stiamo parlando di una lettura molto semplice, estremamente scorrevole. L’essere un prodotto della letteratura per l’infanzia esula, probabilmente, l’autrice d’accuse come: l’essere impaziente ed arrivare troppo velocemente ad esiti e risultati, finali scontati, personaggi non approfonditi. Lo ritengo consigliabile per il novello lettore, a chi ancora piccoletto, si avvicina al mondo della lettura per la prima volta: ne resterà affascinato.
Piccola nota personale, credo che la Marras abbia fatto un pochino di confusione parlando della stanza di privazione temporale. In ogni caso, se non lei io, chi leggerà vedrà.
NB: i voti sullo Stile e sul Contenuto sono dati tenendo conto che si tratta di letteratura per l’infanzia. Il voto sulla piacevolezza deriva invece dalla mia pura esperienza.
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L’allegra apocalisse
Agli inizi dell’ultimo decennio del Novecento, Asser Toropainen ‘vecchio comunista e grande bruciachiese’ lascia in eredità al nipote, Emeli Toropainen, la volontà di costituire un’associazione funeraria con l’intento di dar vita ad un nuovo tempio. A partire da questa grande contraddizione si svilupperà l’intera narrazione, nella quale assisteremo alla nascita e allo sviluppo nei decenni di una comunità silvestre totalmente fuori dal mondo, estranea alla tecnologia e allo sviluppo industriale, lontana dalla sua corruzione. Nei boschi della Finlandia crescerà l’ameno paesino che non sentirà gli effetti della crisi economica, delle politiche internazionali e sarà appena sfiorata dagli effetti della nucleare terza guerra mondiale.
Con grande ironia e spiccato senso dell’umorismo, Arto Paasilinna ci propone una possibile e prossima apocalisse; per quanto la sua narrazione possa suscitare ilarità, nei vari episodi simpatici che caratterizzano la vita ad Ukonjarvi, questa ci spinge inevitabilmente alla riflessione. I motivi, che nella storia scandinava fan scatenare l’ira di Dio, son tragicamente attuali e a noi ben noti: dalle guerre ai disastri nucleari, dalla crisi economica alla crisi della ‘monnezza’. Già nel ’92 l’ex poeta e guardaboschi scandinavo prevedeva il collasso del mondo finanziario e ci porta a pensare, a quasi 20 anni dalla pubblicazione dell’opera, se davvero non sia il caso di rivoluzionare il nostro stile di vita, “tornare alla natura”, fare a meno delle macchine, saper vivere senza la necessità del petrolio, un passo indietro che ci possa permettere di compiere un grande salto in avanti.
Con la sua prosa Paasilinna è un vero e proprio fiume in piena, poche pagine per adattarsi alla sua scrittura (ripete sempre e costantemente nome-cognome-titolo dei suoi personaggi, è inevitabile che alla fine restino ben stampati nella mente) e poi, si è travolti dalla sua storia. Chissà che non abbia voluto veramente lanciare un monito alle nostre generazioni nel tentare di dimostrare che la nostra vita è indissolubilmente legata alla terra che calpestiamo, e solo col rispetto nei suoi confronti, e verso il prossimo, possiamo assicurarci un futuro.
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Lo Hobbit (o la Riconquista del Tesoro)
Un fantastico viaggio di “andata e ritorno”, è quello che compiamo nella Terra di Mezzo grazie all’estro creativo dello scrittore inglese. In compagnia di uno hobbit di mezz’età, il signor Bilbo Baggins, e un corposo gruppo di buffi e barbuti nani, nonché col prezioso aiuto dello stregone Gandalf, ci inoltriamo in un mondo ameno fatto di verdi boschi e foreste rigogliose, ampie pianure, valli e terribili montagne, vasti laghi e fiumi, città incantate e draghi parlanti, immensi tesori e un’immensa dose di pura avventura. Una storia sull’amicizia e sulla lealtà, sull’orgoglio e sul coraggio, da apprezzare sia per la sua semplicità che per l’insegnamento morale.
In quella che Tolkien realizzò come una fiaba per bambini ritroviamo il mondo noto per la più famosa opera de ‘Il signore degli anelli’. Il romanzo, o meglio il piccolo racconto, non è affatto cruento ma tutt’altro, molto leggero e scorrevole tanto da poter essere apprezzato dai più piccoli come dai più grandi per la piacevolezza con cui si viene proiettati in un mondo incantato.
Nel complesso si tratta di una lettura molto fluida. Non bisogna compiere però l’errore di andare a cercare nelle sue pagine un nuovo signore degli anelli o un suo effettivo incipit; è pur vero che molti dei personaggi saranno protagonisti del più impegnativo romanzo ambientato nella medesima Terra di Mezzo, tuttavia stiamo trattando ora di una favola, nasce e culmina come tale e in quest’ottica va analizzata o meglio, semplicemente goduta.
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Il Gioco dell'Angelo
Nella narrazione in prima persona, lo scrittore David Martìn ci racconta le vicende che hanno plasmato la sua vita, una storia maledetta quali egli stesso andava a scrivere. Una Barcellona oscura, misteriosa e intrigante della prima metà del ‘900 fa da grande scenario a un’esistenza difficile, un destino maledetto che porta la scrittura ad essere l’unica ragione di vita e l’unica speranza di vita, un gioco pericoloso con un oscuro editore parigino, intrighi e assassini, colpi di scena fino all’ultima pagina, questo è il romanzo di Zafòn.
Lo scrittore spagnolo riesce a farci calare nelle strade della Barcellona dell’epoca, assieme al protagonista le attraversiamo, le percorriamo, le conosciamo. Entriamo in profonda empatia con la voce narrante, ne viviamo i dubbi e le paure, così come le forti emozioni e le delusioni.
Il romanzo trascina il lettore pagina per pagina, capitolo per capitolo. Alla fine di ogni paragrafo la suspense è tale che è impossibile fermarsi, il bisogno di leggere, di andare avanti e scoprire “come va a finire” è troppo grande. Una storia elettrizzante che si presta a leggersi tutta d’un fiato, una lettura facile e leggera resa tale dallo stile scintillante di Carlos Ruiz Zafòn.
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La Caduta dei Giganti
Attraverso gli occhi dei protagonisti viviamo dall’interno le vicende che portano al primo conflitto mondiale, dai duri anni della guerra di trincea alla stesura del trattato di pace ‘guidato’ dai 14 punti di Wilson e al giungere dello spettro del nazifascismo; e intanto infuria la lotta delle suffragette, i drammatici eventi della rivoluzione russa con le sue speranze, illusioni e delusioni. I protagonisti sono numerosi, appartengono alle più varie classi sociali, a cinque famiglie emblema dei diversi paesi protagonisti dei grandi stravolgimenti mondiali del ‘900. Diventiamo testimoni dei drammi personali portati dalla guerra, dagli amori messi a dura prova, alle speranze di un futuro migliore, le vicende personali si intrecciano agli avvenimenti storici, e a questi danno consistenza e vita. La storia ci è presentata dai più vari punti di vista, da quelli di un conservatore aristocratico a quelli di un proletario rivoluzionario, sta poi al lettore immedesimarsi in uno o nell’altro, o assumere il ruolo di imparziale spettatore.
La storia non è più qualcosa di distante, freddo, che non ci appartiene, grazie a Ken Follett diventa qualcosa di vivo, si percepiscono gli odori e i sapori, possiamo sentire le voci, ascoltare le parole dei discorsi fatti allora così che arrivati a pagina 995 gli eventi sono noti non perché studiati ma perché vissuti (quasi) in prima persona. A conti fatti a cadere non sono solo i milioni di morti portati via dalla Grande Guerra, ma in modo più simbolico (e non) le grandi aristocrazie che agl’inizi del secolo scorso avevano ancora un certo potere e prestigio, nonché importanza politica: pensiamo agli aristocratici inglesi che a capo del partito conservatore vengono sconfitti alle elezioni politiche del ‘24 dagli avversari laburisti, i lavoratori delle fabbriche e delle miniere, o viaggiamo fino in Russia dove la fine del dominio zarista è assai più cruento e come assoluta protagonista ha la Morte.
Personalmente ritengo che il romanzo presenti troppi punti pesanti, non tanto quelli inerenti gli eventi storici quanto le numerose divagazioni da “romanzo rosa”, amori troppo sospirati, troppa attenzione per tradimenti prolungati nel tempo che rallentano il corso della narrazione. La firma d’autore Follettiana non manca, le scene di sesso sono numerose per tutta la lunghezza della narrazione, forse anche troppe, sebbene sia notevole la sensibilità dell’autore nel mettere in risalto i sentimenti (o la mancanza di essi) che vi sono a monte. La storia vi porterà a sostenere per i personaggi a voi più vicini e ad odiare gli altri, l’andamento della lettura sarà altalenante per questo stesso motivo.
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