Opinione scritta da Valerago

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Valerago Opinione inserita da Valerago    21 Marzo, 2012
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Le mille trappole della rete

Storia di moderni truffatori, in “Schegge di Celeste” il computer diviene il mezzo attraverso il quale si possono manipolare le persone, organizzare affari illeciti, spesso rovinare la vita di perfetti estranei, facendo ben attenzione a non rimanere gabbati a propria volta!
Celeste Ardemagni è un’abile hacker, vive in simbiosi con il suo computer, lascia la fortezza rappresentata dalla sua casa solo se costretta e, in queste occasioni, prova una profonda ansia se si trova in mezzo ad altre persone. La sua vita prende decisamente una piega diversa dopo aver letto l’annuncio di Bianca Del Prado, nota attrice in declino, che cerca un uomo perfetto per poter avere un bambino, in cambio un bel mucchio di soldi! Celeste ingaggia, allora, il bello e stupido Vitaliano Spatuzzo, figlio di un boss mafioso latitante, e con lui organizza una truffa nella quale lui mette l’avvenenza mentre lei il cervello e un perfetto uso del computer. Ma Vitaliano e poco intelligente e molto chiacchierone, ben presto la hacker si troverà coinvolta in affari più grandi di lei e, alla fine, chi di frode informatica ferisce…
Trama piuttosto intrigante, anche se soffre di qualche semplificazione un po’ eccessiva in alcuni punti; lettura piacevole, che scorre in maniera fluida e porta il lettore a voler conoscere il finale il prima possibile. Libro adatto ai fissati del computer, la storia può essere un monito ad usare questo mezzo straordinario con intelligenza e moderazione.

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Valerago Opinione inserita da Valerago    13 Marzo, 2012
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Donne sempre protagoniste

Sempre Isabel Allende ed ancora una volta uno splendido ritratto tutto al femminile. Storia di riscatto, di inferni personali e di persone che ti tendono la mano, “Il quaderno di Maya” si legge tutto d’un fiato, in un’alternanza tra un passato e un presente fortemente legati, fili intrecciati che portano alla nascita di una donna completa e consapevole di se stessa.
Maya Vidal è un’adolescente dall’infanzia felice ma comunque segnata dall’assenza del padre, pilota di aerei perennemente con la testa tra le nuvole, e l’abbandono della madre, descritta poeticamente come una principessa lappone. A farle da genitori sono i due esplosivi quanto originali nonni paterni: Nidia Vidal, Nini, e Paul Ditson II, Popo; saranno questi personaggi straordinari ad arricchire la mente e la fantasia di Maya, consentendole di crescere serenamente e senza sentire troppo il peso dell’assenza dei genitori. La casa dei Vidal a Berkeley è un trionfo di oggetti inutili e kitsch, un ammasso di roba ricca di storia e di significati, il tutto sormontato da una torretta con telescopio dalla quale Maya e il suo Popo cercano il “pianeta verde”, della cui esistenza il nonno non ha alcun dubbio. Alla morte del suo Popo, del suo punto di riferimento, Maya perde totalmente il controllo di sé, precipitando in un vortice infernale di alcool, droga e compagnie pericolose. Dopo un periodo a Las Vegas, durante il quale la ragazza tocca il punto più basso del degrado, inizia faticosamente a risalire, con l’aiuto di persone amorevoli e disinteressate che le faranno capire che è giovane e può ancora vivere la sua vita. Sarà proprio l’intrepida nonna a spedirla nel luogo in cui Maya ritroverà veramente la voglia di vivere: Chiloè, una sperduta isoletta del Cile, dove la tecnologia è arrivata solo in parte, ma in compenso le persone sono genuine e accoglienti. Proprio qui, in questo puntino minuscolo del mappamondo, popolato da personaggi quasi da favola ma, in realtà, concreti e solidi, e con l’aiuto di un quaderno nel quale riversare tutta se stessa, Maya metterà davvero una pietra sul passato e si aprirà con fiducia al futuro.
La Allende non sbaglia un colpo, le sue donne sono coraggiose e sanno imparare dai propri errori. La galleria di personaggi creati dall’autrice sudamericana si arricchisce di un nuovo, meraviglioso tassello.

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A chi ama l'universo della Allende
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Valerago Opinione inserita da Valerago    06 Febbraio, 2012
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L'eleganza del mistero

Quello che colpisce subito, leggendo questi racconti, è l’uso del linguaggio: raffinato, elegante, descrizioni accurate e vagamente noir. Le storie sono criptiche, aleggia il mistero in ogni immagine e, alla fine, nulla è davvero come sembra.
Nel racconto principale lo zio di Giorgio muore in circostanze misteriose e lascia in eredità al nipote il suo vecchio casolare, il luogo dove viveva ed esercitava il suo ruolo di artista. Giorgio torna in quella casa dove non metteva piede da dieci anni e subito viene coinvolto nelle singolari circostanze che hanno accompagnato la vita e la morte dello zio. Rimane folgorato da Giulia, l’affascinante compagna dell’artista, donna sensuale ma sfuggente e misteriosa; agli occhi del protagonista appare subito chiaro che tutti i personaggi che incontra nascondono un segreto e lui non riesce a darsi una spiegazione. La verità verrà a galla ma solo in parte, alcuni misteri rimarranno tali e Giorgio ne pagherà le conseguenze.
Tutti i racconti sono davvero ben scritti, ma a volte riesce difficoltoso seguire quelli che sono i puri e semplici fatti, la storia tende spesso a sfuggire dalle mani perdendosi tra i ricami di una scrittura perfetta ma piena di ostacoli. “Spericolato atelier” è risultato essere una lettura davvero interessante, peccato che, alla fine, lasci il lettore con molti più interrogativi che risposte.

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Valerago Opinione inserita da Valerago    06 Febbraio, 2012
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Fredda bellezza

Definirei la nuova opera di Baricco un’occasione mancata, la storia è affascinante ma la resa non riesce ad annullare la distanza tra il lettore e i fatti narrati.
Jasper Gwyn è uno scrittore di fama mondiale, i suoi libri vendono milioni di copie e la sua vita professionale appare perfetta ma, appunto, è solo apparenza. Un bel giorno, di punto in bianco, Mr Gwyn decide di chiudere lì la sua carriera: non scriverà più, non pubblicherà più nulla, il mondo deve dimenticarsi di lui. In un articolo sul “The Guardian” il protagonista stila una lista di cinquantadue cose che non farà più e, oltre a dire che non continuerà a sforzarsi di essere cordiale con colleghi che in realtà lo disprezzano, inserisce alla fine il proposito di non scrivere più libri. E così succede. Jasper scompare per qualche tempo, non risponde al telefono e, quando fa il suo ritorno, respinge al mittente le insistenti preghiere del suo agente, ed unico vero amico, Tom. Ma non può vivere senza far nulla, deve inventarsi una nuova carriera. La visita ad una galleria d’arte fa scoccare nello scrittore la scintilla; improvvisamente, osservando il ritratto di un uomo con i baffi, Mr Gwyn capisce a cosa dedicare il resto della sua vita: l’idea è di scrivere ritratti di persone.
“ Non pensò a qualche trucco tecnico e nemmeno gli sembrò importante la bravura del pittore, solo gli venne in mente che un fare paziente si era posto una meta, e alla fine quel che gli era riuscito di ottenere era ricondurre a casa quell’uomo con i baffi. Gli sembrò un gesto bellissimo”.
Jasper inizia ad organizzare con meticolosa precisione ogni particolare del suo nuovo lavoro, senza assolutamente sapere con esattezza in cosa consisterà né dove lo porterà questo percorso. Mr Gwyn sa solo che quello è il suo destino, e si adopera in ogni modo per riuscire nel suo intento. Il talento di Jasper Gwyn, dopo qualche incertezza iniziale, si esprime anche in questa nuova avventura e i ritratti soddisfano in pieno le esigenze dei clienti. Lo scrittore ha trovato la sua strada, anche se non durerà molto.
La storia ha un grande fascino e la scrittura di Baricco non ha perso nulla del suo carattere poetico ed evocativo, ma il tutto risulta assolutamente distante e poco credibile. Leggendo Mr Gwyn ho pensato ad un orologio svizzero, un meccanismo perfetto in ogni sua parte, senza sbavature e, quindi, senz’anima. Il personaggio sembra quasi finto, ingessato e, alla fine di tutto, quello che più risalta è la freddezza della struttura narrativa, l’impossibilità, per chi legge, di lasciarsi coinvolgere davvero. Siamo lontani dall’autore di “Castelli di rabbia” o “Novecento”, e questo non può che dispiacere.

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A chi ama Baricco... nonostante tutto!
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Valerago Opinione inserita da Valerago    13 Novembre, 2011
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La realtà del paradosso

Sogno o realtà? Finzione o paradosso? I racconti di Claudio Gallon aprono numerose finestre sulla nostra percezione del mondo. Un viaggio allucinante attraverso luoghi che non esistono, dialoghi surreali e personaggi che seguono una logica del tutto fuori dagli schemi. Questa sospensione del concreto crea un tale straniamento nel lettore da portarlo, in fin dei conti, a ragionare più serenamente su quello che lo circonda nella vita di ogni giorno: niente paraocchi, il mondo è quel che è e va compreso senza retorica. Gli argomenti affrontati sono i più disparati, ma ogni racconto suscita precise sensazioni e, non di rado, estremo disagio: assolutamente geniale l’idea contenuta in “Vada per il poncho”, penso che tutti sognino l’esistenza di una tale Organizzazione; inquietanti le implicazioni che emergono in “Stelle alla rinfusa”, è davvero così semplice ingannare le masse ed ipotizzare un impero? Si potrebbero definire esilaranti le modalità con le quali, in “Questa volta ci è andata di culo”, si prendono le decisioni più gravi nelle stanze del potere: ci troviamo messi di fronte alla paura che i potenti decidano del nostro futuro tra barzellette e racconti di avventure erotiche. Davvero molti gli spunti su cui riflettere, numerosi richiami alle ideologie politiche “… l’ordine nasconde la paura, difende la proprietà privata, sottolinea le differenze”, originali teorizzazioni sulla guerra del Vietnam, passando attraverso il vero e proprio disgusto suscitato dalle situazioni descritte nel racconto “In medio veritas”. Tutte le declinazioni del paradosso, insomma, ed anche l’espediente di usare sempre gli stessi nomi ci suggerisce la sensazione di osservare le diverse maschere della stessa rappresentazione. Qualche conversazione risulta un po’ lenta e alcune immagini mi sono sembrate, francamente, eccessive ma, davvero, ho trovato molto interessante cercare, di volta in volta, la chiave di lettura personale che si nasconde dietro ogni visione onirica.

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Valerago Opinione inserita da Valerago    10 Novembre, 2011
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I libri come nutrimento

Detesta le descrizioni fisiche, a parte i capelli, non sa ben rapportarsi con la cattiva educazione e, soprattutto, non ha alcuna tolleranza per le coppiette che entrano nel suo negozio. Queste alcune delle caratteristiche del libraio, personaggio irreale ed affascinante. Trascorre le sue giornate nella libreria, non chiude mai, non mangia ma si nutre di libri e tisane: ogni cliente una diversa pozione naturale. Il libraio ha avuto tre donne nella sua vita e vive nel loro ricordo; non ha più amici, quelli che aveva non lo riconoscono nemmeno più, per loro si è trasformato in un semplice argomento di conversazione. Ogni tanto il libraio strappa una pagina da un libro e poi la spedisce ad uno dei suoi fratelli e sorelle dispersi per il mondo, sa che loro le leggono e ne capiscono il significato; quando lui morirà, quelle pagine riunite costituiranno il libro della sua vita. Confinato nella sua solitudine questo straordinario personaggio sostiene conversazioni impossibili: con il Dalai Lama, con una voce senza corpo, con la solitudine, quasi personificata, ed addirittura con Dio, con il quale, a volte, ha dei diverbi. In realtà i suoi unici compagni sono i libri: lui li nutre, li accudisce, li protegge, non li lascia mai soli, e i libri ricambiano allo stesso modo. Il libraio conosce a memoria tutti i testi della sua libreria e li rimpiazza solo quando uno di essi lascia il negozio: si limita, insomma, a riempire i vuoti.
Lettura molto piacevole, la magia che permea ogni pagina finisce col travolgere anche il lettore, ed allora ci si perde tra gli scaffali di questo stralunato negozio. Qualche esagerazione e forzatura qua e là e, a mio avviso, alcune immagini non brillano per originalità ma, in definitiva, vale la pena conoscere un personaggio fuori dagli schemi come il libraio, uomo che obbliga se stesso a condurre una non vita a favore dei suoi amati libri.
«Come poteva il libraio sapere che sarebbe stato il primo a morire?
Lo sapeva.
Aveva letto un’intera libreria di libri e lo sapeva.
Al punto che a volte si chiedeva se non fosse già morto».

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Per coloro che amano i personaggi straordinari
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Valerago Opinione inserita da Valerago    08 Novembre, 2011
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Una famiglia "straordinaria"

« Ha figli Malaussène?»
«Non so».
Questa la laconica risposta del protagonista ad una domanda diretta e precisa. Benjamin Malaussène, di professione “capro espiatorio” per i Grandi Magazzini, fratello maggiore e capofamiglia di una stralunata compagnia di fratellastri e sorellastre assolutamente irresistibile.
C’è Louna, in bilico nella decisione di dare la vita o negarla; c’è la meravigliosa Thérèse, veggente, legge gli astri con infallibile precisione… anche se pochi le credono; c’è Clara, che fotografa il male che c’è nel mondo per disinnescarlo e riuscire, in questo modo, a sopravvivere; Ben è innamorato di Clara ma, non essendo favorevole all’incesto, si lega a Julia, splendida giornalista che lui, significativamente, chiama “zia”; c’è Jérémy, i cui eperimenti scientifici porteranno il protagonista sull’orlo del baratro; e poi c’è il Piccolo, ma anche Théo ed il commissario Rabdomant, per non parlare del puzzolente, epilettico cane Julius, insopportabile ed insostituibile. Vi verrà voglia di essere adottati da questa famiglia del tutto fuori dal comune…
Intorno a loro una serie di esplosioni nei Grandi Magazzini, fotografie raccapriccianti e la necessità di trovare un colpevole, un capro espiatorio: chi meglio di un tizio che fa questo di mestiere?
Tra intuizioni, predizioni, incredibili rivelazioni ed un numero spropositato di personaggi che non si dimenticano (alcuni faranno capolino nei vostri peggiori incubi!), il lettore viene catapultato in una vicenda di cui vuole conoscere la conclusione il prima possibile ma che, una volta portata a termine, farà sentire la sua mancanza! Pur di non abbandonare i vostri compagni d’avventura, sentirete l’impellente necessità di leggere le paradossali avventure di Bas Basetta e Jib la Iena…

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Valerago Opinione inserita da Valerago    02 Novembre, 2011
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Incontro di due solitudini

Un uomo mediocre, una vita banale, un lavoro ripetitivo, una famiglia del tutto normale… ma la guerra, si sa, riesce a stravolgere ogni cosa. Siamo nel 1940 e i tedeschi minacciano i confini francesi, ovunque orde di profughi cercano disperatamente di fuggire: i treni vengono presi d’assalto, chi ha un’auto si immerge in enormi ingorghi e gli altri vanno a piedi. Marcel Féron ha una moglie, Jeanne, incinta di quasi otto mesi, ed una bambina, Sophie; decidono, dopo mille tentennamenti, di scappare e, all’improvviso, si trovano su di un treno in scomparti separati. Inizia l’avventura di Marcel, stipato su un vagone merci che viene separato dal resto del treno, dividendo numerose famiglie. Il protagonista non sa più dove siano la moglie e la figlia ed inizia a vivere in una sorta di dimensione parallela, del tutto distinta dalla sua vita precedente e da quella futura. Il vagone è un microcosmo a sé stante, dove le persone si abituano le une alle altre e creano una quotidianità nata dall’arte di arrangiarsi e dalla comune paura per il proprio destino. Sul treno sale una donna, silenziosa, vestita di nero e senza bagagli; Marcel ne resta colpito da subito, sente che la solitudine di lei è simile alla sua e vuole cercare di capire il perché di tante cose. Una notte, Marcel e Anna fanno l’amore e tutto cambia, inizia un percorso a due fatto di silenzi, gesti e sguardi di comprensione. Anna legge nel pensiero dell’uomo, interpreta il suo mutismo e lo rapporta al suo, senza bisogno di inutili e vacue parole. I due vivono un amore passionale e totale, il primo nella vita di Marcel che non pensa nemmeno per un attimo di tradire Jeanne: quella è un’altra vita, una realtà distinta e separata dal presente. Gli innamorati non diranno niente del loro passato, si limiteranno a vivere il presente con intensità, sanno che per loro non c’è futuro e allora evitano semplicemente di pensarci. Intorno l’orrore della guerra è quasi ovattato, Marcel non ne sente il dramma, per lui è una cosa lontana, nel suo orizzonte c’è solo Anna, con la quale costruisce una quotidianità falsamente normale durante la quale trovano persino spazio la gioia e la meraviglia per la vista del mare, che Marcel non conosceva: « L’acqua aveva lo stesso colore del cielo e, poiché rifletteva la luce, e come il sole era nello stesso tempo sotto e sopra, non esistevano più confini, e mi venne alla mente la parola “infinito”». La vita reale, ovviamente, ritorna e chiede il conto, i due si separano ed il finale, in una certa misura prevedibile, ci lascia comunque ammutoliti.

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I romanzi di Simenon
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Valerago Opinione inserita da Valerago    29 Ottobre, 2011
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Memorie di un letterato

«Gli amici senza dubbio si muovono, seguono la loro via, si rendono ridicoli, sbagliano, perdono pezzi, spariscono per lunghi periodi; ma per me, ai miei occhi, la loro vera essenza è l’immutabilità, una sorta di persistenza naturale come di albero, di isola o di tempio greco, se vogliamo. Non è questione di lealtà, fedeltà, confidenza, affinità o altro. Stanno lì, ci sono comunque, li ritrovi anche al buio». Questa è una delle più belle definizioni dell’amicizia che io abbia letto. A scriverla Carlo Fruttero che, assieme a Franco Lucentini, ha costituito un famosissimo duo di giallisti. Ora, questa autobiografia si legge con enorme piacere e ci si rende conto del fatto che l’argomento chiave di molte di queste memorie è proprio l’amicizia. Fruttero ci parla della sua infanzia, le avventure giovanili in un castello piemontese, le scelte culturali e lavorative, tutto arricchito dalle sue personali considerazioni su ogni cosa; su tutto l’autore ha una sua precisa opinione e ce la suggerisce senza retorica. Ma la parte più importante del libro è, senza dubbio, rappresentata dai suoi rapporti con gli amici, quelli di una vita intera e quelli che lo hanno accompagnato solo per poco; amici famosi e non: letterati, editori, tutte le favolose persone che hanno lasciato un segno, Pietro Citati, Mario Soldati, il libraio Femore, Italo Calvino, ma anche tutti quelli che lo hanno aiutato nel lavoro, che lo hanno sostenuto e gli hanno suggerito spunti e riflessioni. E poi lui, Lucentini, il compagno di un viaggio letterario di grandissima classe. Fruttero ripercorre con nostalgia e freddezza insieme le tappe del loro rapporto lavorativo e di amicizia. «E’ un candido autentico, e perciò irresistibile». L’autore si rammarica di non poter descrivere l’amico in maniera esauriente, non gli basterebbe un libro intero per far capire, davvero, chi fosse Lucentini, figuriamoci un semplice capitolo all’interno delle sue memorie. Ma il messaggio arriva lo stesso e, assieme a quella di Lucentini, emerge la figura di Carlo Fruttero, letterato ed uomo di cultura che vuole condividere un po’ della sua vita con noi, in modo semplice ed immediato. «La notorietà non è la gloria e non merita atteggiamenti fieri».

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Chi ha amato Fruttero e Lucentini non può non leggerlo
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Romanzi
 
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Valerago Opinione inserita da Valerago    13 Ottobre, 2011
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Un amico pasticcione

Marley è il cane che tutti vorremmo, è un buontempone, un allegro combina guai, la disperazione di ogni famiglia. Quando l'autore e la moglie decidono di adottare un cane, pensano ad un animale che faccia loro compagnia, che stia di guardia al cancello di casa, in poche parole un collaboratore a tutti gli effetti che permetta alla coppia di capire se, in futuro, sarà in grado di mettere al mondo e di prendersi cura della eventuale prole. Tutti i piani verranno stravolti quando la scelta cadrà su questa piccola palla di pelo di nome Marley, occhioni dolci e carattere irrequieto: il disastro è dietro l'angolo! Il giovane labrador non riesce a star fermo un secondo, morde e distrugge qualunque cosa gli capiti a tiro e, come se ciò non bastasse, è semplicemente terrorizzato dai tuoni e, durante i temporali, mette letteralmente a repentaglio la solidità dell'abitazione dei Grogan. Marley non obbedisce ai comandi, manda in crisi un'inflessibile addestratrice di cani ed è completamente refrattario ai vari tranquillanti che, mano a mano, il veterinario prova a prescrivergli. Insomma non ne fa una buona. Allora la soluzione qual è? Farlo adottare? Metterlo in un canile? Nulla di tutto questo, perchè Marley è, ormai, un Grogan a tutti gli effetti e, assieme alla sua carica distruttiva, ha portato con sé tutti quei doni che solo gli amanti dei cani possono capire. Un cane non è solo un compagno fedele, è anche un amico, un familiare, qualcuno che davvero può insegnarti qualcosa, senza mai chiedere nulla in cambio. "...Nonostante tutte le delusioni e le aspettative disattese, Marley ci aveva fatto un dono, spontaneo e inestimabile. Ci aveva insegnato l'arte dell'amore incondizionato, come darlo, come accettarlo. Dove c'è quest'amore, gli altri pezzi vanno quasi sempre a posto".
Libro perfetto se amate i cani, ancora più significativo se, verso i nostri amici a quattro zampe, nutrite un pò di diffidenza. Marley entrerà nelle vostre vite e non lo dimenticherete più, e sarete pienamente d'accordo con John Grogan quando, all'orecchio del labrador pasticcione, dirà una verità assoluta, che nessuno gli aveva mai detto: "Marley, tu sei un grande cane". Tante risate ma, attenzione.... preparate i fazzoletti!

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A tutti gli amanti dei cani... e a chi vuole conoscerli
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Racconti
 
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3.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
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Valerago Opinione inserita da Valerago    07 Ottobre, 2011
Top 500 Opinionisti  -  

Delusione riscattata

Mi aspettavo un libro diverso, mi aspettavo di conoscere le impressioni di un grande scrittore tedesco su alcune città italiane... beh questo l'ho ottenuto solo alla fine. Ingo Schulze, romanziere di Dresda, ha soggiornato per un anno a Roma, e da lì ha poi visitato molti luoghi dello stivale. La caratteristica affascinante risiede, senza dubbio, nel fatto che l'autore, più che descrivere luoghi o sensazioni, ci racconta avvenimenti strambi, al limite dell'incredibile. Si tratta di incontri con personaggi emarginati, soli come immigrati o prostitute che raccontano la propria vita arricchendola con episodi di dubbia veridicità. Il merito dell'autore è sicuramente quello di allontanare l'Italia dall'immagine stereotipata che ha all'estero, come splendida è anche l'iniziativa di dare voce a persone che, normalmente, non ricevono ascolto. Resta l'impressione, però, che, dei luoghi di cui parla, Schulze non ci dica granché, mi sarebbe piaciuto leggere le sue impressioni anche sulla quotidiana "normalità" di Roma, ad esempio, o di Randazzo. Il riscatto arriva con Napoli e poi con la Sicilia in generale."... Uno sguardo sul golfo racchiude l'essenza di cui siamo fatti, da Virgilio a Nietzsche a Wagner, da Benjamin a Malaparte a Saviano, nomi che appaiono quasi arbitrari a fronte dello sterminato repertorio da cui sono tratti...". Scorci di vita napoletana, episodi divertenti ed illuminanti rendono il soggiorno campano dell'autore un'esperienza irripetibile. La Sicilia con le sue meraviglie segna una nuova, indimenticabile, tappa nel suo itinerario "... Quale altro posto è più vicino all'Olimpo del Tempio di Afrodite ad Erice?...". Qui facciamo anche la conoscenza di Idris, immigrato dal Darfur, paese teatro di una tragedia di cui si parla sempre troppo poco.
Piccola notazione sulle foto di Matthias Hoch: alcune sono davvero poetiche, ma altre, anche se questa è un'opinione squisitamente soggettiva, le ho trovate piuttosto banali.

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Per chi vuole avere un'immagine un pò diversa del nostro paese
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Scienze umane
 
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4.4
Stile 
 
4.0
Contenuti 
 
5.0
Approfondimento 
 
5.0
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Valerago Opinione inserita da Valerago    05 Ottobre, 2011
Top 500 Opinionisti  -  

La solitudine del somaro

Torna "Mr. Malaussène" e questa volta ci parla di se stesso, o meglio, del suo travagliato rapporto con la scuola. Pennac si definisce un vero e proprio somaro, un ragazzo che non riusciva assolutamente a star dietro ai programmi scolastici, ai compiti, alle spiegazioni... una vera tortura! Ma il romanzo è molto di più, è la definizione filosofica e psicologica del somaro, ed insieme il suo riscatto. L'autore ci parla della disperazione dei suoi familiari, del collegio (senza demonizzarlo), del desiderio di trovare il proprio posto nel mondo, un gruppo di cui sentirsi parte - "...Dove sta il fascino della banda? Nel potervisi dissolvere con la sensazione di affermarsi..." -, questo il più grande desiderio del giovane Daniel, affermare se stesso come persona. Secondo Pennac la scuola è fatta soprattutto dagli insegnanti, ed infatti saranno due o tre professori a salvarlo da se stesso e a riconciliarlo con la scuola; tanto che poi, quella dell'insegnante, sarà la sua professione prima di diventare romanziere. Ruolo della scuola, degli insegnanti, della famiglia, Pennac affronta tutti gli argomenti con grande lucidità, ed allarga il suo orizzonte fino a discutere della gioventù in generale e del mondo contemporaneo. Difesa dei ragazzi provenienti dai quartieri "difficili", su cui spesso si generalizza un pò troppo affermando verità assolute che hanno come risultato l'emarginazione; definizione delle doti fondamentali di un buon insegnante, con l'aggiunta di alcuni aneddoti provenienti dal curriculum del Pennac-professore; approfondimento della nozione di amore, tematica difficile da affrontare in una scuola ma fondamentale dal punto di vista pedagogico... tutto questo arricchito da innumerevoli episodi di vita e dai ricordi, a volte dolorosi a volte comici, della sua esperienza di somaro. Difficile pensare che Daniel Pennac possa aver avuto tutte queste difficoltà scolastiche, ma il fatto che poi sia divenuto l'autore di una delle saghe letterarie più famose al mondo, fa, inconsciamente, tirare un sospiro di sollievo a tutti.

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Gialli, Thriller, Horror
 
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
Valerago Opinione inserita da Valerago    27 Settembre, 2011
Top 500 Opinionisti  -  

Libero arbitrio... o no?

Una serie di cartoline bianche con, disegnata a penna, la sagoma inconfondibile di una bara, e il destinatario muore alla data indicata. Questo è l'incipit da cui parte una storia originale e non priva di colpi di scena. Scatta una delicata indagine affidata al poliziotto meno affidabile dell'FBI: Will Piper è un ubriacone sconfitto, in attesa del pensionamento. Ex famosissimo profiler, Will ha all'attivo matrimoni falliti, una figlia che non ha mai avuto una vera famiglia ed una serie infinita di relazioni usa e getta. Con la collega Nancy, il nostro protagonista s'immerge nell'indagine, recuperando l'antico entusiasmo: parte così una serie di scoperte sorprendenti e pericolose. Chi è Doomsday? Come fa a provocare tante morti in momenti e luoghi così diversi? Domande difficili, ma le risposte porteranno Will sull'orlo del baratro. Molta carne a cuocere, più storie si evolvono in parallelo e, come se questo non bastasse, innumerevoli i flashback per spiegare l'origine di tutto. Un'indagine serrata, un genio dell'informatica che vuole dare una svolta alla propria vita, una storia d'amore... forse troppi elementi che provocano un pò di confusione. Ci sono momenti di stanchezza nel corso del romanzo, certe descrizioni ed alcune spiegazioni tecniche appaiono davvero pesanti ma, in definitiva, è tale la curiosità di conoscere il come e il perchè di ogni cosa, che si superano facilmente anche i passaggi più lenti. Questo è, senza dubbio, il merito dell'autore, sa creare una grande aspettativa e, ad un certo punto, è tale la voglia di scoprire che la seconda parte del romanzo si legge tutta d'un fiato. La storia è piuttosto originale e richiama quello che è uno dei grandi quesiti della nostra esistenza: esiste il libero arbitrio o tutto è già scritto e, quindi, le nostre scelte hanno un valore limitato? Interrogativo affascinante, a cui però è impossibile dare una risposta, ma noi continueremo a domandarcelo, in attesa del 9 febbraio 2027...

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Valerago Opinione inserita da Valerago    27 Settembre, 2011
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Ritratto dell'infelicità

Da molti questo libro è considerato uno dei capolavori di Simenon, personalmente sono d'accordo per la parte stilistica. La trama non è certo originale ed il finale è abbastanza scontato; certo utilizzare l'interrogatorio come mezzo per spiegare i fatti, pur non brillando per innovazione, è molto funzionale all'evoluzione della storia e rende il tutto ancora più serrato ed asfissiante. Sullo stile, invece, sono pienamente in sintonia con le altre opinioni, è forse il miglior Simenon che io abbia mai letto. Il modo in cui ci descrive, parallelamente, l'ossessione amorosa di Andrée e la borghese normalità di Gisèle è davvero folgorante. Tony vive una vita banale, ripetitiva e priva di sorprese, sua moglie Gisèle è una perfetta donna di casa, abitudinaria e tranquilla; Tony tra le mura della sua abitazione, con la moglie e la figlia Marianne, si sente al sicuro, protetto, ma qualcosa manca. Il protagonista ama la moglie e porta avanti il suo lavoro con bravura, ma, ad un certo punto, cerca quel qualcosa in più, o semplicemente di diverso, tra le braccia di Andrée. Tony inizia, così, a mentire, ad organizzare incontri segreti, sempre con l'ansia di essere scoperto. Ha bisogno di quegli incontri clandestini, ma la sua vita ora è così complicata da non rendersi nemmeno conto del fatto che l'amante sta diventando ossessiva e vede promesse di un futuro insieme dove non ce ne sono. Tony vuole troncare la relazione, ma Andrèe ha decisamente altri progetti... La narrazione è serrata, angosciante; tutto si svolge in interni descritti minuziosamente, così da far quasi mancare il respiro. Simenon utilizza ogni dettaglio, ogni espediente per consentirci di capire a pieno lo stato d'animo tormentato del protagonista, la sua consapevolezza di non avere vie d'uscita; ed è talmente bravo che , alla fine, anche noi ci sentiamo braccati e ci sembra quasi di respirare l'aria opprimente della camera azzurra.

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Valerago Opinione inserita da Valerago    24 Settembre, 2011
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Solitudine

Ancora il racconto di un'ossessione, questa volta davvero sottile e crudele. Simenon supera se stesso nella descrizione dei pensieri torbidi e malati della sua protagonista. In Faubourg Saint-Honorè una quarantenne vive la sua solitaria esistenza chiusa tra le quattro mura del suo appartamento. Dominique non ha mai avuto un uomo, non ha amicizie e la sua famiglia non c'è più, a parte qualche parente lontano. Il suo mondo è racchiuso nella sua casa della quale, per poter avere una fonte di guadagno, ha affittato una stanza ad una coppia di giovani sposi. Parte della sua giornata la donna la trascorre spiando la vita dei suoi affittuari, immaginando, in maniera molto realistica, i loro corpi che si uniscono e, forse, inconsciamente, invidiandoli. Il punto d'attrazione forte, però, è rappresentato dalla finestra dalla quale la protagonista osserva, con ossessiva insistenza, le vicende che si svolgono nelle case dei suoi dirimpettai: gli anziani del piano superiore, suoceri della giovane coppia che vive nell'appartamento al piano inferiore, Hubert ed Antoinette. L'irrequieta e libertina moglie diviene il soggetto prediletto di Dominique e, quando quest'ultima pensa di assistere, unica testimone, ad un possibile omicidio, la situazione precipita: da uno spiare con insistenza nasce un'ossessione vera e propria. Dominique annulla totalmente se stessa e vive la vita di Antoinette, trascorrendo intere giornate ad osservare le finestre della famiglia Rouet, analizzando quello che può vedere con i suoi occhi ed immaginando il resto. Inizia una serie di pedinamenti, di azioni avventate dettate dall'esigenza di avere una vita, anche se rubata, ed allontanare un pò la solitudine di Dominique. Ma i nodi vengono sempre al pettine, non si può fingere per sempre, non si può in eterno rubare identità altrui per riempire il vuoto che ci circonda. E' solo nel finale che comprendiamo davvero, fino in fondo la disperazione e l'isolamento autoimposto in cui vive la nostra protagonista.

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Per tutti gli amanti di Simenon
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Valerago Opinione inserita da Valerago    20 Settembre, 2011
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La schiava libera

Torna Isabel Allende e di nuovo ci coinvolge nel suo mondo fantastico. Ancora una volta l'autrice de La casa degli spiriti ci restituisce l'immagine di una donna forte, coraggiosa, libera nella sua condizione di schiava. Siamo nel 1770 quando Zaritè Sedella, detta Tetè, viene venduta come schiava al giovane Tolouse Valmorain; da questo momento la vita della ragazza è strettamente legata a quella del suo padrone e, anche se non conosce la libertà, sa che quello sarà l'obiettivo di tutta la sua vita. Tetè affronta soprusi, violenze e umiliazioni ma nulla riesce a piegare il suo spirito battagliero. In una girandola di vicende paradossali, personaggi dai contorni leggendari, misteriosi riti vudu, amori passionali, Zaritè cresce, diventa una donna senza mai dimenticare le sue radici. Sullo sfondo la sanguinosa lotta per l'abolizione della schiavitù, dalla quale Tetè, pur appoggiandola in pieno, si tiene lontana perchè sente il dovere e la responsabilità di difendere sua figlia Rosette ed il figlioccio Maurice. Personaggio indimenticabile, Tetè trova, dopo una lunga vita di schiavitù, la forza di ritenersi fortunata perchè la sua vecchiaia sarà lunga e piena di gioia. Assolutamente da non perdere.

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Valerago Opinione inserita da Valerago    20 Settembre, 2011
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Napoli in tutta la sua umanità

"...verso sera, quando Napoli sa essere di una tristezza angosciosa, perchè tutto è così chiassoso e disperato", questa è una delle tante, illuminanti, definizioni che Sandor Màrai da di Napoli. Lo scrittore ungherese ha vissuto nel capoluogo campano dal 1948 al 1952 ed in questo splendido romanzo ci restituisce l'immagine caotica e ricca di suggestioni di questa città. In un caleidoscopio di personaggi assolutamente singolari, si svolge la vicenda centrale che vede l'arrivo in città di due stranieri, circostanza che suscita gli immediati commenti di chi osserva da lontano i nuovi abitanti di una casa di Posillipo. Il popolo napoletano emerge da queste righe in tutte le sue irrisolvibili contraddizioni, eternamente diviso tra la necessità di risolvere i problemi della vita quotidiana e la fiducia smisurata nei santi e nei miracoli. Le discussioni urlate, la generosità spontanea, la praticità nell'affrontare la morte dei propri cari, il valore dato al silenzio, tutto questo viene tratteggiato attraverso personaggi estremamente realistici ma, al contempo, dai caratteri assolutamente straordinari. Davvero efficace ed affascinante la parte conclusiva, la discussione arguta e profonda sulla necessità di redenzione per il mondo, idea dalla quale lo straniero sembrava essere ossessionato, prima di morire misteriosamente in una notte di tempesta. Era un santo? Un guaritore? Un folle? Non c'è una risposta univoca e definitiva, ma i ragionamenti che, a mano a mano, si sviluppano alle domande del vicequestore, inducono inevitabilmente a profonde riflessioni.

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Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese
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Valerago Opinione inserita da Valerago    20 Settembre, 2011
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Un simpatico illusionista

Andrew Whittaker è un moderno sognatore, un illuso direbbero alcuni, un idealista estremo secondo altri. Indebitato fino al collo, Andy vive in una casa ormai decrepita ed invasa da animali. Abbandonato dalla moglie, non riesce a rassegnarsi alla sua triste condizione ed inventa realtà parallele e vie d'uscita inesistenti. E' uno scrittore forsennato, scrive a tutti e parla di qualunque argomento, ed è proprio dalla raccolta di questi improbabili testi che nasce questo romanzo. Lettere alla ex moglie in cui spesso si scusa dei pochi soldi che le invia e la rassicura sulle sue condizioni economiche. Missive a vecchi amici scrittori nelle quali vagheggia di un simposio letterario che ha tutte le intenzioni di organizzare, glissando, ovviamente, sul fatto che la sua rivista letteraria "Bolle" è praticamente fallita e che quindi, è per lui impossibile realizzare un tale progetto. Ingiunzioni di pagamento ai suoi affittuari, lettere alla mamma in cui affiora il suo passato, risposte argute e brutalmente oneste a scrittori in erba... insomma tutto il suo mondo racchiuso in questi scritti. Andy è un simpatico illusionista, un vulcanico nullafacente, un uomo che non riesce a rassegnarsi ad una vita che appare vuota e priva di scopo. Dopo Firmino, Sam Savge firma un altro romanzo accattivante e ci offre un personaggio che difficilmente dimenticheremo. La voglia di vivere trasmessa da Andy è davvero impareggiabile, anche se non riesce ad offuscare del tutto l'amarezza finale, quando si ha la netta sensazione che il vuoto che ci circonda abbia, in qualche modo, avuto la meglio.

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Firmino, il libro di esordio di Sam Savage
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