Opinione scritta da Leoni

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Leoni Opinione inserita da Leoni    18 Settembre, 2011
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L'ultimo capodanno (10 anni dopo)

Ammaniti ritorna alle origini e rispolvera le atmosfere surreali di Fango e di Branchie, conducendo nuovamente i lettori in un mondo tragico ed allo stesso tempo divertente, popolato di uomini e di donne che, pur nella loro eccessività, rappresentano tutti i difetti degli Italiani di oggi.
Così come l'Ultimo Capodanno raccontava l'Italia degli Anni '90 e sempre attraverso la metafora di una festa, questo nuovo libro di Ammaniti parla dell'Italia del 2000, dei palazzinari arricchiti di dubbia provenienza che sposano modelle e/o attrici, della sub-cultura italiana che trova spazio solo nei talk show televisivi, degli scrittori che più che bravi sono belli,dell'ignoranza della c.d. Upper Class che osanna lo scrittore televisivo ed ignora un Premio Nobel, della frustrazione profonda della "gente comune".
Ammaniti torna ad essere, dopo la parentesi brillantemente tragica di "Come Dio Comanda", di nuovo lo scrittore comico, brillante, dissacrante, costruttore di trame tanto intricate quanto perfette che avevamo conosciuto.
Bentornato!

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Leoni Opinione inserita da Leoni    18 Settembre, 2011
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A love story

Nel momento stesso in cui ho chiuso la quarta di copertina, nella mia mente è balenata una considerazione: "Ma in questo libro non è successo niente!".
Non c'è una storia vera e propria, nessuna morale, nessun lieto fine ma neanche alcuna fine tragica, drammatica, ironica, nulla di nulla... Gli appassionati di Bandini sanno che alla fine Arturo quel treno lo prenderà,e lo prenderà per andare ad incontrare Camila. Gli altri, invece, avranno il ricordo di un personaggio alienato, fobico, presuntuoso, egocentrico eppure profondamente epico, un eroe da tragedia greca, impegnato in una lotta solitaria contro il mondo, soprattutto familiare, che lo circonda.
Arturo lotta, e lotta strenuamente contro i clichè imperanti sugli immigrati italiani, contro una madre ed una sorella che non desiderano altro dalla vita che rimanere immobili, ferme, nell'attesa che qualche uomo si occupi di loro. Arturo vuole crescere, vuole progredire, vuole andare avanti, vuole diventare un grande scrittore e nel suo odio per il mondo racchiude il profondo disprezzo per una società classista e castrante.
Potrebbe essere un romanzo di formazione, ma non lo è. In fondo è solamente la storia d'amore di un ragazzo con se stesso.

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Leoni Opinione inserita da Leoni    18 Settembre, 2011
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IL PASSATO, IL PRESENTE ED IL FUTURO

Sono profondamente convinta della necessità di "far decantare" un libro prima di scriverne la recensione.
Bisogna attendere, pazientare, osservare, aspettare che le parole si sedimentino, si acquietino, si plachino e poi, certosinamente, indagare su quello che hanno lasciato e su quello che, con il loro passaggio, hanno modificato.
Nulla che passi senza lasciare la minima traccia merita una recensione, nella letteratura e nella vita, nel bene e nel male.
Orbene...Ad oggi, ad oltre un anno di distanza da quando riposi il libro nello scaffale, cosa rimane di "Full of LIfe"?
Rimane, nonostante l'evidente pleonasmo, la pienezza, la turbinosità e l'irrefrenabilità della vita.
Fante descrive, con il solito humour e la solita, ineguagliabile, penna, il percorso psicologico e familiare che conduce alla paternità, attraverso il confronto di se stesso con l'ineluttabile padre Nick, unico riferimento possibile, "il più grande muratore della California".
Così come Nick distrugge e trasforma le cose, le case ed i caminetti, Fante distrugge e trasforma la propria vita lavorativa e sentimentale, in un inevitabile gioco degli specchi. Così come Fante odia ed ama Nick, odia ed ama anche la moglie Joyce, con la stessa passione e profonda incomprensione che nutre il suo sentimento per il padre ed ad entrambi rimarrà sempre, inesorabilmente, legato.
E' un romanzo sulla paternità nel suo complesso, sulla paternità subita e su quella compiuta, su di un figlio che diventa padre senza aver saputo, nel mentre, essere completamente uomo.
Ma non solo.
Fante piange, lotta, combatte, è vivo ed è pieno di vita "presente" così come Joyce è piena della vita "futura" e Nick lo è di quella "passata". Tutte queste diverse vite convivono, coesistono, non senza scontri, ma procedono ed avanzano. L'italianità di Nick si scontra con la modernità del figlio ma trova terreno fertile nella nuora Joyce, simbolo del sogno americano, alla ricerca di solide radici su cui costruire il futuro.
Nell'unico modo possibile per uno scrittore, incontestabilmente, italiano, Fante descrive la genesi non solo di una paternità "privata" ma anche di una paternità "collettiva", confermando che anche i sogni, siano essi condivisi o strettamente personali, hanno sempre bisogno di radici per poter crescere e trasformarsi in realtà, così da non degenerare in semplici illusioni.

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