Opinione scritta da SaraDuranTini
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Riflessione acuta
Letto un anno fa, Il vangelo secondo Gesù Cristo, credo che contenga una riflessione acuta sulla figura di Gesù. Ho ripreso in mano da poco questo romanzo, trattando di alcuni suoi scritti e ho ripensato, al di là della trama, alla profondità di questo libro. Saramago esprime una laicità dirompente tanto nelle pagine quanto nelle sue parole, laicità sorretta, tuttavia, da idee chiare da una visione storica del nostro passato e del presente. Quando parla del figlio di Dio umanizzandolo, partecipe degli accadimenti della società dell'epoca, Saramago non sta accusando il figlio di Dio o la Chiesa, non fa affermazioni blasfeme, lui racconta quello in cui crede. Mi verrebbe da dire che la sua laicità è fedele, fedele al suo modo di pensare. Così come l'idea di colpa tramandata di padre in figlio senza "capire di che colpa concreta si tratti" - citando le parole dello scrittore qualche anno dopo durante alcune sue conferenze. Inoltre Saramago afferma di appellarsi a Freud e alla psicoanalisi come strumenti messi a disposizione dell'uomo per sviscerare la colpa ancestrale e liberarsene definitivamente.
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Profondo
Letto con molto ritardo, recensito con altrettanto ritardo, Emmaus di Baricco è un libro che mi ha fatto riflettere, come tutti i romanzi scritti da lui. Stroncato, anche troppo in maniera fuorviante e decisamente oltraggiosa, da Massimiliano Parente, che scrisse una dura recensione sul quotidiano Il Giornale, in parte apprezzato ma ugualmente colpevolizzato da Andrea Scanzi per lo stile impeccabile che sembrerebbe nascondere una mancanza di contenuti, in una recensione apparsa su La Stampa poco dopo l'uscita del libro.
Ovviamente non rientro nel gineceo (usando le parole di Scanzi) che esalta lo scrittore, applaude e si prostra a lui come fosse una divinità, tuttavia trovo questo libro tanto profondo quanto Castelli di Rabbia, Oceano mare e Novecento (lo so che affermando questo si accaniranno la maggior parte dei lettori che, invece, hanno asserito il contrario). La forza del romanzo è data proprio dal fatto evangelico dal quale prende spunto anche per il titolo stesso: l'incontro tra due uomini, sulla via per Emmaus, con un terzo uomo, il Messia, ma loro se ne accorgeranno quando sarà troppo tardi.
Quanto volte ci è capitato di essere ciechi? Non capiamo proprio perché non vediamo e questo ci disorienta, ci mette con le spalle al muro. Il risultato è che siamo persi e non sappiamo più cosa fare. E' quello che accade ai protagonisti di questo romanzo. Ognuno è cieco di fronte a un determinato episodio della sua vita, un episodio che cela il dolore più profondo, i segreti mai svelati, le cose taciute, l'incomprensibile, l'inafferrabile. Ma anche la gioia e l'amicizia.
Luca, Bobby, il Santo e il protagonista (colui che narra la vicenda). Quattro ragazzi che appartengono alla borghesia, cresciuti secondo regole di vita ferree e precetti religiosi che, data la loro giovane età, non comprendono fino in fondo, precetti che seguono come automi senza capirli. Ne parlano, ci ragionano, discutono, si infervorano, ma non risolvono i dubbi che agitano le loro anime. Dubbi che crescono insieme a loro, prendendo pieghe diverse così come differenti sono le situazione nelle quali vivono i ragazzi: famiglie dove il dialogo sembra, almeno apparentemente, inesistente, famiglie che nascondono segreti, che parlano dietro muri freddi e sconosciuti, che non si conoscono tra loro e che, forse, non sanno molto dei loro figli, se non quello che hanno voluto inculcargli a qualsiasi costo.
Lo sguardo dei quattro protagonisti è attirato da Andre, giovane, bella, dai capelli lunghi e scompigliati. Una ragazza che fa venire il capogiro, piace a tutti, padri e figli. Sembra sicura di sé, i suoi movimenti sono controllati, lo sguardo proiettato al futuro, eppure tanta sicurezza ostentata cela una un dramma familiare che coinvolgerà emotivamente i quattro ragazzi, tanto da spingerli a parlare con la madre per "salvarla".
Ma i ragazzi sono ciechi, non riescono a salvare se stessi e non riusciranno neppure a farlo con Andre che, al contrario, risulta essere quella forte anche di fronte a situazioni particolari che la vita le metterà di fronte.
Il destino di Luca, Bobby, il Santo e quello del protagonista, è segnato da incertezze, dubbi ma soprattutto profonde delusioni e una sfiducia tale da non riuscire a reggere il confronto con la vita.
Emmaus è un libro profondo, che prende spunto dalla vita di ognuno di noi, un romanzo nel quale ci si ritrova e forse, per questo, la storia potrebbe spaventare.
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Stupendo!
"Stamattina quando ho aperto gli occhi piangevo. Come al solito. Di tristezza, forse, non so. E' che i sentimenti non li ho più, li ho pianti insieme alle lacrime". L'incipit del romanzo di Kyoichi Katayama, Gridare amore dal centro del mondo, porta il lettore, fin dalle prime righe, nel viaggio esistenziale dei personaggi che animano il libro.
Questo romanzo è apparso nelle librerie giapponesi nel 2001 ed è subito diventato un bestseller. Tradotto in Italia e pubblicato da Salani nel 2006, Gridare amore dal centro del mondo, ha conosciuto una popolarità che non ha mai visto la parola fine tanto che, negli anni successivi, ne è stato tratto un manga edito da Kappa edizioni.
Kyoichi Katayama ha raccontato un'amore adolescenziale che supera la dimensione del tempo e dello spazio. La sua scrittura fa vibrare ogni pagina di quell'armonia e di quel simbolismo propri della letteratura giapponese. Qua e là si trovano tracce di quel realismo magico di cui sono pregne le opere italiane di Bontempelli, ma anche i classici di Borges e Marquéz.
Katayama racconta l'amore tra Sakutaro e Aki. Entrambi frequentano la stessa scuola media, si vedono ogni giorno, condividono le gioie quotidiane ma anche i dolori che un ragazzino di dodici anni può provare. Crescendo scoprono che il loro rapporto, diventato sempre più intimo nel corso degli anni, si sta trasformando in una tenera storia d'amore. Sakutaro ben presto ammetterà a se stesso che quello che sta provando è la "felicità più grande" e deve "conservarla con grande cura".
Sakutaro è un adolescente sopra le righe, romantico, dall'animo generoso, interessato alla Storia, la cui mente viene continuamente stimolata da un ambiente creativo ma anche da lunghe chiacchierate con il nonno paterno, un uomo che non è riuscito a realizzare il suo sogno d'amore: sposare la donna che amava. Con lui trascorrerà delle serate piacevoli, bevendo vino e mangiando sushi, parlando di amore illecito, dei sentimenti degli uomini, di filosofia e storia. Sakutaro condividerà le rivelazioni del nonno con Aki. La ragazza, che in un primo momenti appare timida e titubante, si rivelerà determinata, matura e piena di grinta.
L'amore e la morte sono temi che torneranno spesso nei discorsi dei due adolescenti. E sarà proprio con la morte che si dovranno scontrare. Aki inizierà a soffrire di forti malesseri. Anemia aplastica, sarà ciò che inizialmente i medici diranno ai due ragazzi. Ma poche settimane dopo la madre di Aki rivelerà a Sakutaro il vero nome della malattia che sta dilaniando la figlia: leucemia.
Per Aki inizia un lungo periodo di sofferenza. Debolezza, vomito, capelli che si fanno sempre più radi, mancanza di appetito. A questo si aggiungerà anche la stanchezza mentale. Sakutaro le starà vicino per tutto il decorso della malattia, consapevole che la sua sofferenza è "solo un modo di condividere" quella di Aki, ma "non ero Aki, così come il mio dolore non è il suo dolore".
La situazione emotiva e fisica di Aki precipitano quando lei decide di accettare ciò che il destino le ha riservato. Dare una ragione a tutto, è questo ciò che tenta di fare Aki. Di fronte a questo comportamento che potrebbe sembrare arrendevole ma in realtà è molto coraggioso, se si pensa alla giovane età della ragazza, Sakutaro le promette di portarla via dall'ospedale, di andare in Australia, meta di una gita scolastica alla quale lei, a causa del ricovero, non ha potuto partecipare.
Nelle settimane a venire, Sakutaro predispone tutto ciò che è necessario per la partenza. Ma sarà proprio in aeroporto che avverrà l'irreparabile: Aki cade a terra, svenuta. La ricoverano d'urgenza in ospedale.
Il romanzo è un lungo flashback durante il quale Sakutaro rivive con la memoria la spensieratezza, la magia, la dolcezza ma anche il dolore della storia vissuta con Aki.
Il lettore è parte attiva di questo libro, percepisce in modo molto vivido i sentimenti di Sakutaro durante il suo lungo racconto. E sente il suo grido d'amore che se non proviene proprio dal centro del mondo, proviene sicuramente dal centro del suo cuore.
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Molto attuale e interessante!
La figura del giudice raccontata da Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli e Giancarlo De Cataldo nel romanzo edito da Einaudi, Giudici, è singolare all'interno della storia della letteratura italiana. Fino ad ora, come ha asserito Lucarelli in un'intervista, la giustizia vista e vissuta da un giudice non è mai stata narrata. Si parla dell'applicazione della legge, ma non si parla mai del giudice come di una persona che cerca di capire le ragioni umane di un certo comportamento sulla base delle quali emette un giudizio.
Questo, come sottolinea nella stessa intervista Camilleri, è quello che i tre scrittori hanno voluto narrare: il giudice come una persona che possiede vizi, virtù, abitudini, problemi personali... una persona come tante ma con il gravoso compito di indagare nell'animo umano di coloro che compiono azioni contro la legge.
La storia del Giudice Surra, scritta da Camilleri, apre il romanzo. Surra è un torinese di mezza età trasferitosi a Montelusa, una piccola località rurale della Sicilia. Qui conoscerà i piaceri della tavola (il giudice è ghiotto di cannoli siciliani e, approfittando dell'assenza della moglie rimasta a Torino, passa quasi ogni giorno alla pasticceria centrale del paese) ma anche i favori che, gentilmente, si scambiano prefetti, avvocati e magistrati con la malavita. Il suo compito è infatti quello di riaprire il tribunale per riprendere in mano i fascicoli della malavita montelusana ed aprire i processi. Il giudice Surra sarà un elemento di novità in questa società in cui, fino ad allora, a governare erano i prepotenti, coloro che facevano rispettare le leggi con comportamenti che si basavano su un codice d'onore che "agli occhi di un non siciliano potrebbe apparire come criminale" e invece "è mosso da un coraggio estremo, dove la morte può costituire il premio più ambito". Queste le parole del senatore Pasquale Midulla, nonché sottosegretario al Ministero della Giustizia che, il giorno prima di partire per Roma, cerca di far capire al Giudice Surra quanto siano importanti i fascicoli di questi "prepotenti" siciliani e quindi lo intima a trattarli con cura. Ma Surra non si farà intimare da Midulla e neppure dalla testa di capretto recapitata al suo ufficio o dal tentato omicidio in pieno centro a Montelusa. Il giudice Surra, con un comportamento algido e non privo di ironia, mette a tacere i prepotenti di quella sperduta località siciliana e dimostra al popolo qual è il vero significato della parola giustizia.
Il giudice Bambina raccontata da Lucarelli è una figura all'apparenza mite e dolce, descritta proprio come una ragazzina in jeans e scarpe da tennis, acconciatura sbarazzina e aria spavalda. Il racconto è ambientato nella Bologna degli anni Ottanta e Il giudice Bambina si ritrova vittima di fronte agli occhi increduli del brigadiere Ferrucci Ivano, detto Ferro. Dopo trentasette anni di servizio, Ferro viene defraudato dal suo compito originario e mandato "come tutela" a scortare quella che tutti conoscono come La Bambina. Tra loro poche parole, qualche sguardo dallo specchietto e la passione per la musica. Avviene tutto in un attimo: in macchina, quasi sotto casa, lei si volta per prendere la borsetta lasciata sul sedile posteriore e si sente uno sparo, poi un altro e ancora fino a quando il brigadiere non scende dall'auto e spara a vuoto, ma il furgone ormai si è dileguato. Ma la pallottola ha ferito La Bambina che viene subito ricoverata d'urgenza. Gli anni, la stanchezza, i reumatismi... lo pensano un po' tutti che è colpa del brigadiere se le cose sono andate in quel modo ma soprattutto lo pensa lui. Eppure il suo coraggio lo spinge all'ospedale proprio il giorno in cui quelle stesse persone si recheranno nella stanza della Bambina per ucciderla definitivamente. Il brigadiere riuscirà a portare in salvo la Bambina ma qualche giorno dopo in centro a Bologna verrà casualmente investito. Sarà la Bambina ad andare in fondo a questa storia, rendendo giustizia al brigadiere ma soprattutto mettendo "i bastoni fra le ruote" a quelli che hanno cercato di ucciderla e che ci sono riusciti con Ivano Ferrucci. "Se gli mettiamo i bastoni fra le ruote prima o poi la macchina si ferma".
Il triplo sogno del procuratore scritto da De Cataldo può apparire come la rappresentazione, in chiave metaforica, del dualismo tra il bene e il male evocati dapprima nei ricordi d'infanzia del procuratore Ottavio Mandati e successivamente nei suoi sogni. Mandati è vissuto in un periodo in cui i maestri erano giustificati, se non incoraggiati, a far rispettare le regole con bacchettate e altri metodi poco ortodossi che, purtroppo, premiavano i più maneschi, spioni e cattivi della classe primo fra tutti Pierfiliberto Berazzi-Perdicò. Grazie al nuovo maestro le bacchettate scomparirono e si parlò sempre di più del concetto di democrazia. Nonostante ciò Berazzi-Perdicò riuscì ad avere la meglio comprando i voti e facendosi eleggere capoclasse. I sogni di Mandati, parecchi anni dopo, rievocheranno le oppressioni subite durante gli anni della scuola dell'obbligo soprattutto da parte di Berazzi-Perdicò. Proprio con quest'ultimo si dovrà scontrare da grande, una guerra che sembra non avere fine in quanto entrambi sono convinti e sostengono a gran voce un modo di vedere e concepire la giustizia totalmente opposto. Una guerra che non vedrà vincitori o vinti in questo flusso onirico continuo che sembra coinvolgere anche la realtà dei fatti.
Giudici di Camilleri, Lucarelli e De Cataldo è un romanzo che ripercorre le pagine più scottanti della storia contemporanea italiana: dalle origini della Fratellanza, detta anche Maffia (negli anni perse una effe, come sottolinea nel libro Camilleri) alla strage di Bologna degli anni Ottanta, dalla visione simbolica della giustizia a quella antropologica del giudice. Tutto ciò è raccontato con una vena di ottimismo e speranza, quella stessa speranza insita in ognuno di noi.
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Seduzione e mistero
Raggelando e uccidendo la mia bella Annabel Lee non è solo un meraviglioso verso di una nota e struggente poesia di Edgar Allan Poe, ma anche il titolo del romanzo di Kenzabur? ?e tradotto in La vergine eterna, pubblicato nel 2007 in Giappone e uscito in Italia per Garzanti. L'autore, Premio Nobel per la Letteratura nel 1994, è solito mescolare nei suoi romanzi aneddoti autobiografici con l'intreccio narrativo sapientemente raccontati attraverso una scrittura inafferrabile e impegnata.
La vergine eterna è un romanzo che scava nel privato dell'autore mantenendo uno stile elevato, una forza e una personalità che rimangono intatti fin dai primi romanzi, quando Kenzabur? ?e contrapponeva la cultura sofisticata di Tokyo all'educazione ricevuta nell'isola di Shikoku.
Il protagonista è uno scrittore che viene scelto per scrivere la sceneggiatura di un film prodotto da un amico di vecchia data,Komori Tamotsu, ex compagno di studi e ora produttore cinematografico. La protagonista sarà un'altra vecchia conoscente dello scrittore, Sakura Ogi, sensuale attrice le cui movenze provocatorie non sono cambiate nel corso degli anni.
Il presente che vive lo scrittore si ricollegherà ad una storia passata, ad un lontano ricordo che risale a trent'anni prima: un incontro segreto (e probabilmente filmato) che coinvolge l'allora attrice esordiente Sakura con Komori Tamotsu. Finzione o realtà? Ricordo o fantasia? Il filmato, dopo trent'anni, ricomparirà alla vista dello scrittore, il quale ricorderà il turbamento che aveva provato nel vedere quella giovane ragazza avvinghiata a Komori. Turbamento che riguarderà la stessa Sakura, la quale ha cercato di dimenticare ciò che era accaduto ma inconsciamente la ferita non si è mai chiusa.
La vergine eterna appare come un romanzo che cela in sé un mondo nascosto, un'esplorazione antropologica dei personaggi e della loro identità. Interessante da sottolineare è l'ambientazione del film che il protagonista deve scrivere per l'amico produttore: l'isola natale di Kenzabur? ?e, Shikoku, che sottolinea il continuo intreccio tra elementi autobiografici e finzione narrativa.
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Sconfiggere il dolore
E' la campagna vicentina che fa da sfondo a questo romanzo intenso, il primo romanzo di Mariapia Veladiano, La vita accanto, edito da Einaudi, vincitore del Premio Calvino 2010 e finalista del Premio Strega. La vita accanto è un libro doloroso, quel dolore che potrebbe sfiorare ognuno di noi, in qualsiasi momento della nostra vita, quel dolore di fronte al quale ci si arrende oppure si combatte.
Rebecca ha capito, fin da quando era bambina, quale sarebbe stato il suo ruolo nel mondo: marginale, confinato in una zona d'ombra, alla larga dagli sguardi altrui. Per tutta la vita Rebecca è sempre stata attenta a calibrare le parole, controllare i movimenti del proprio corpo, a non essere indiscreta o inopportuna, a non arrecare disturbo: una vita trattenendo il respiro e tutto ciò a causa della sua bruttezza. Rebecca, nome ebraico il cui significato è "colei che piace agli uomini" è nata brutta. "Non sono storpia" racconta di sé la protagonista "per cui non faccio nemmeno pietà. Ho tutti i pezzi al loro posto, però appena più in là, o più corti, o più lunghi, o più grandi di quello che ci si aspetta. Non ha senso l'elenco: non rende".
La madre di Rebecca, dopo la sua nascita, viene travolta dal dolore, si arrende ad esso e a causa di ciò non prenderà mai in braccio la bambina, le negherà gli sguardi, le carezze, i baci, i gesti di affetto, non la abbraccerà neppure quel giorno che Rebecca cadrà battendo la testa sul marmo duro e freddo. La madre scivola in un mondo suo, dove le bugie del passato si mescolano al presente.
Anche il padre di Rebecca nutre delle reticenze nei suoi confronti: l'impossibilità di poter aiutare la moglie da un lato e i rimorsi per un passato poco chiaro dall'altro inaridiscono il suo cuore e non gli permettono di rapportarsi con la figlia. La presenza di Erminia, sorella del padre di Rebecca, è devastante tanto per i due coniugi (che sentiranno minacciata la loro intimità, o ciò che resta di essa, dall'aggressività verbale di questa donna) tanto per Rebecca la quale si illude di essere accettata e amata dalla zia che però l'abbandonerà non appena diventerà una ragazzina. A crescerla ci sarà Maddalena, che ha dovuto rinunciare alla sua famiglia, morta in un incidente stradale, e riverserà su Rebecca tutto il suo amore accompagnandola verso l'età adulta.
Le sofferenze che aleggiano in questa famiglia verranno alleviate dalla stessa Rebecca che si legherà sempre di più a Maddalena, stringerà amicizia con Lucilla e la signora De Lellis (una grande concertista che finge una vita che non le appartiene). Rebecca imparerà a reagire al dolore, scaverà nel suo passato e scioglierà la matassa che tormenta da anni la sua famiglia.
Con una scrittura limpida, poetica, descrizioni sublimi e ricercate, Mariapia Veladiano accompagna il lettore all'interno della storia, presentata non come un dramma familiare ma come una favola che infonde speranza. La passione e le doti di Rebecca dimostreranno che il dolore si può sconfiggere, così come le bugie e le maldicenze.
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Poesia!
"Per vivere, Hervé Joncour comprava e vendeva bachi da seta". Era il 1861, in una qualche regione della Francia meridionale, in un paese dal nome Lavilledieu, Hervé, un giovane di trentadue anni, comprava e vendeva bachi da seta "quando il loro essere bachi consisteva nell'essere minuscole uova". A causa delle epidemie che spesso colpivano gli allevamenti europei, Hervé comprava le uova in Siria o in Egitto. I suoi viaggi avventurosi duravano dagli inizi di gennaio fino alla prima domenica di aprile, quando, carico di uova color giallo o grigio, tornava a Lavilledieu dalla moglie Hélène in tempo per la messa.
Quando qualcuno gli chiedeva com'era l'Africa, lui rispondeva: "Stanca". E quel continente stanco si rivelò, qualche anno dopo, la causa di un cambiamento che avrebbe sconvolto la sua vita. L'epidamia raggiunse l'Africa e persino l'India. L'ultimo viaggio di Hervé fu fatale: le uova, al suo ritorno, erano completamente infette. Questo significò un arresto del sistema economico di quella piccola cittadina del sud della Francia che si reggeva, quasi interamente, sulla lavorazione di bachi da seta.
In seguito ad una riunione con Baldabiou, alcuni commercianti ed operai di Lavilledieu, Hervé decise di partire per il Giappone. Baldabiou, un uomo che aveva investito, vent'anni prima, nella costruzione di sette filande, in una notte d'agosto spiegò a Hervé dove si trovava il Giappone: "Sempre dritto di là" e alzò il bastone indicando i tetti di Saint-August.
Iniziarono in questo modo i viaggi in Giappone di Hervé Joncour, il trentaduenne che non si fermava di fronte a niente e a nessuno. Deciso a salvare il destino del suo paese e forse anche il suo, Hervé attraversò posti che non aveva mai visto e andò sempre dritto, proprio come gli aveva insegnato Baldabiou. Arrivò in Giappone, venne ricevuto alla corte di Hara Kei, un uomo potente e venerato da tutti che conservava le uova più pregiate del mondo. Hervé, nel corso degli anni, imparò a frugare negli occhi di quel potente signore, silenzioso e schivo, accompagnato da una ragazzina il cui volto era coperto da un velo, solo gli occhi erano visibili ed erano occhi occidentali, che sembrava volessero parlargli.
Un gioco di sguardi seducenti, una ricerca, una scoperta. Quella di Hervé divenne una voglia quasi ossessiva di tornare in Giappone, ancora una volta, un'ultima volta, per rivedere quegli occhi, lo sguardo di quella bambina. Mai una parola tra Hervé e la bambina, solo sguardi fugaci, rubati all'austerità della corte di Hara Kei, alle regole di una cultura fondata sull'onore e il rispetto, alla mancanza di coraggio che entrambi preservarono. Queste emozioni paralizzarono la vita di Hervé, il quale aspettava con ansia i viaggi futuri, fino a quando una guerra dolorosa spezzò l'incanto di quella magia.
Seta è un romanzo breve, dove la prosa diventa, come solitamente accade nei libri di Baricco, poesia, naturale immaginazione di un mondo altro, un mondo non accessibile a tutti. La prosa come un tempio dove la voce si trasforma in melodia e la percezione di se stessi è eterea e impalpabile. Un libro magnifico che racchiude in sé anni di letteratura. Un romanzo senza precedenti pubblicato per la prima volta nel 1996 da Rizzoli, successivamente ripubblicato da Feltrinelli e da cui è stato tratto l'omonimo film nel 2007 per la regia di Francois Girard.
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Delicato
Quando la notte, edito nel 2009 da Feltrinelli e da cui è stato tratto l'omonimo film presente alla mostra del cinema di Venezia (film che ha diviso critica e pubblico), racconta una storia delicata e dai tratti torbidi.
Marina, una donna che cerca di nascondere la sua fragilità dietro una maldestra e impacciata sicurezza, si reca per un mese in montagna, sulle Dolomiti, con il figlio piccolo. L'aria di montagna dovrebbe far bene al bambino, tranquillizzare il suo animo irrequieto, stimolargli l'appetito, renderlo felice. Anche per Marina potrebbe essere l'occasione per distrarsi, trascorrere piacevoli giornate con il figlio, fare passeggiate e dimostrare a tutti, a Mario (il marito), a sua madre e alle sue sorelle che ce la può fare, che lei ha l'istinto materno di cui le hanno parlato fin da quando portava in grembo il suo bambino.
Marina ha preso in affitto un appartamento sopra quello di Manfred, un uomo burbero e scontroso, tradito e lasciato dalla moglie che gli ha portato via anche i figli. Circondato dal gelo delle Dolomiti, il cuore di Manfred è diventato una pietra. Un cuore già ferito, già schiacciato dal peso della madre che, molti anni prima, se n'era andata. Manfred si chiude nel suo mondo, scaricando sul prossimo l'odio che prova verso la vita. O forse verso se stesso.
Marina e Manfred si incontrano di rado e durante quei fugaci incontri si annusano, si guardano con sospettano, cercano di capire cosa passa nella mente l'una dell'altro. Per Marina, Manfred è uno zotico, maleducato e per giunta incapace di intrattenere rapporti. Venuta a sapere che la moglie lo ha lasciato, Marina non ci pensa su troppo a dare ragione a quella donna. Manfred invece giudica la ragazza, venuta dalla città, incapace di accudire il bambino, nota il suo nervosismo di fronte ai pianti eccessivi ed estenuanti del figlio, la sua goffaggine nel prendersi cura di lui e sospetta uno strano rapporto tra madre e figlio.
Una sera Marina perde il controllo e il bambino si fa male. Un incidente, un "banale incidente" che potrebbe trasformarsi in tragedia se Manfred non fosse stato in casa, se non avesse sentito le urla e i pianti provenire dall'appartamento di Marina. Soccorre entrambi, madre e figlio, li porta al Pronto Soccorso.
Sarà da quel momento che lui capirà il segreto di Marina, cosa si cela dietro quella maschera di sicurezza. Si cercheranno, i silenzi faranno spazio alle confidenze, ai pianti e si sveleranno. Anche Marina inizierà a capire qual è il motivo per cui Manfred è stato lasciato dalla moglie. Ma un mese è poco, l'estate volge al termine e Marina torna in città, da Mario e dai suoi problemi.
Marina non si dà per vinta, tornerà anni dopo, cercherà Manfred. Andrà fino in fondo alla loro storia, a quel desiderio misto alla paura che entrambi provarono tanti anni prima.
La scrittura della Comencini è fluida, simbolica, emozionante, ricca di flashback che ne esaltano l'intreccio narrativo, dando così un valore aggiunto al romanzo. Quando la notte affronta temi delicati, quali la maternità e il difficile rapporto tra madre e figlio specie se si ha un passato poco sereno e definito come quello di Marina, se i fantasmi ti girano attorno, se le pressioni psicologiche e morali della famiglia ti soffocano. E poi la paura e il desiderio, che contraddistinguono i rapporti tra uomo e donna, di amarsi, lasciarsi per poi ritrovarsi, i segreti che si celano nella vita di ognuno di noi, quei segreti con i quali prima o poi si devono fare i conti.
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Stupendo e tormentato
Quando ci si trova di fronte ai romanzi di Margaret Mazzantini ci scontriamo con personaggi tormentati, che usano un linguaggio altrettanto tormentato, che lottano, sperano, piangono, che guardano ora al passato ora al futuro, che intrecciano la loro vita con quella di altre persone, talvolta sbagliate, e le loro vicissitudini trasportano il lettore nell'immaginario della scrittrice.
Questo è quello che accade leggendo l'ultimo romanzo della Mazzantini, Nessuno si salva da solo, edito da Mondadori agli inizi del 2011 e che ha avuto un successo di critica e pubblico tanto da restare nelle classifiche dei libri più venduti anche mesi dopo la pubblicazione.
La forza che risiede nella scrittura della Mazzantini è la capacità di lavorare sui personaggi, far emergere la loro anima con una tale semplicità e una facilità di comunicazione che chiunque viene colpito e coinvolto da ciò che sta leggendo.
Nessuno si salva da solo è un romanzo puro, genuino, all'interno del quale non troviamo il conflitto umano e la struttura delineata che risiedono in Venuto al mondo. L'ultimo romanzo della Mazzantini sembra nascere da un'ispirazione fulminea che trova terreno proprio nella storia di due giovani raccontata attraverso una serie di flash.
Delia e Gaetano sono due trentenni, hanno ancora tutta la vita davanti, eppure una grossa ferita brucia la loro anima e a causa di questa ferita sembrano non riuscire ad emergere dalla sofferenza e dal dolore.
Si sono amati selvaggiamente, chiusi in una stanza respirando l'odore dei loro corpi, annusandosi "ben bene nell'arco di poche ore, convinti di poter riempire ogni buco con la sola forza dell'esaltazione". Eppure seduti a un tavola di una trattoria di tendenza, con cibi semplici e vini di qualità, mentre lui la guarda, Delia al loro passato, a partire dall'estate dopo la sua laurea, quando avrebbe dovuto andare a Londra con Micol, una sua cara amica. Si sarebbe trasferita in quella città, avrebbe potuto diventare nutrizionista e intanto lavorare come cameriera. Non è andata proprio così per Delia e il fatto che si trova seduta al tavolo di quella trattoria con Gaetano ne è la prova.
Quando si sono conosciuti, Delia e Gaetano, erano due anime rotte che speravano di colmare i loro vuoi esistenziali con l'amore malato che nutrivano l'una per l'altro. Lei aveva ancora i denti rosi dall'anoressia, lui scriveva sceneggiature. Vivevano in un piccolo appartamento a Roma. Di giorno sognavano di fare l'amore, la sera poi concretizzavano la cosa.
Un giorno, mentre sono a letto, nella più completa intimità, qualcuno chiama Gaetano, probabilmente un agente che gli propina un lavoro. Lui è nudo, passeggia per la stanza con la sigaretta accesa, si è calato nei panni dello sceneggiatore in pochi secondi, dimenticandosi di Delia. Lei non esiste. Ma Delia non lo lascia quella volta, aspetta di toccare il fondo, di farsi e fare del male. Resta incinta una volta, poi un'altra ancora. Ed è a quel punto che iniziano gli insulti. Piatti rotti, urla, grida nella notte. Ma non si lasciano, il fondo ancora non l'hanno toccato.
Il lettore viene proiettato nel passato di questa giovane coppia trentenne che rivive, nell'arco di una serata, durante una cena per parlare dei propri figli, la sofferenza che li ha portati a cadere nell'abisso e a chiedersi adesso chi ci salverà, possiamo farcela da soli?
L'amore e il non amore, le illusioni alle quali hanno ricorso, la loro infanzia precaria, vissuta nell'ombra di genitori assenti, che non si sono accorti, o peggio non volevano accorgersi, della loro presenza, la paura di guardare avanti, il futuro che spaventa proprio perché non vi è la certezza di riuscire a sopravvivere al dolore che si portano appresso, un dolore che si potrebbe definire infinito. queste sono le tematiche affrontate nel romanzo Nessuno si salva da solo.
Una storia intensa, la storia di una coppia qualsiasi, di quelle che si possono incontrare ogni giorno.
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Prezioso
Irène Némirovsky non solo è considerata una delle scrittrici novecentesche più controverse ma anche colei che meglio è riuscita a scavare nell’animo umano utilizzando una sensibilità rara per l’epoca in cui scrive, una creatività che non teme di addentrarsi nella profondità dei temi trattati attraverso l’accurata analisi psicologica dei personaggi che popolano il suo mondo.
Adelphi, che dal 2005 ripropone i suoi romanzi, ha dato alle stampe un altro capolavoro della scrittrice ebrea ucraina, Il vino della solitudine. Un titolo che conduce il lettore nel delicato mondo della protagonista, una bambina di otto anni di nome Hèlene, costretta a fuggire, insieme alla famiglia, da una cittadina della Russia a causa della rivoluzione bolscevica rifugiandosi a Parigi, come molti altri connazionali. La vita di questa bambina è scandita non solo dagli instabili movimenti politici e dalle rivoluzioni che dominano quel momento storico nell’Europa dell’Est ma anche dal fermento culturale parigino che influenza la vita di Bella, la madre di Hèlene.
Centro nevralgico per molte famiglie benestanti dell’Europa orientale, oltre che per molti artisti, Parigi rappresenterà un momento di svolta nella vita di Helène, che si ritroverà ancora più sola di quanto già non fosse prima. Il cuore della narrazione riguarda il rapporto tra la bambina e Bella, la madre, una donna accecata dalla superbia e dall’egoismo, avida dei soldi del marito, nei confronti del quale non nutre alcun tipo di sentimento, se non un legame morboso con la sua ricchezza. Le energie della madre di Hèlene vengono spese per conquistare le attenzioni degli uomini, mentre è totalmente incurante del bisogno di attenzioni che richiede silenziosamente la figlia, la quale cresce nutrendo un odio profondo per questa donna così concentrata su se stessa.
Quella di Hèlene è una vita di solitudine e incomprensioni, di silenzi e cose taciute. E tutto ciò sfocia in un bisogno di vendetta, in una sete di giustizia domestica che si espliciterà quando Hèlene diventerà grande. Ma la sua sensibilità e la maturità che ha raggiunto la porta ad essere una donna diversa da sua madre, una donna che non può godere del male e della solitudine altrui. Così Hèlene cerca di riprendere le redini della sua vita, nonostante le insanabili ferite e i vuoti lasciati dalla madre.
Considerato uno dei suoi romanzi più autobiografici, il tema del difficile, se non inesistente, rapporto tra madre e figlia ritorna ed è più ricco di particolari, scava nel profondo forse più di Jezabel (Adelphi, 2007), e a questo tema si intreccia l’instabilità del periodo storico che Hèlene, allo stesso modo di Irène, sta vivendo con conseguente sconvolgimento della sua vita. Anche in questo caso l’analisi è più curata e racconta maggiormente la vita di questa famiglia di quanto la scrittrice non abbia fatto nel romanzo I cani e i lupi (Adelphi, 2008).
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Tua di Claudia Piñeiro
E’ stato definito una tragedia romantica (Deutsche Welle), un thriller tragicomico (Rosa Montero), si potrebbe aggiungere un noir satirico che dipinge, con estrema delicatezza e maestria, una famiglia borghese che, apparentemente, sembra non celare alcun disagio sociale. Si tratta del romanzo di Claudia Piñeiro, Tua, pubblicato dalla casa editrice Feltrinelli.
Ambientato a Buenos Aires, il libro narra la storia di Inés, casalinga e moglie devota dell’imprenditore Ernesto, che decide di seguirlo una sera uggiosa, dopo aver trovato nella borsa del marito un biglietto scritto con il rossetto e firmato Tua. L’auto di Ernesto si arresta davanti al Parco Bosques de Palermo. Inés si apposta nei paraggi. Scende e lo segue. Piove a dirotto e, se non fosse stato per una giusta causa, non sarebbe mai uscita in piena notte soprattutto per pedinare il marito. Ma la scoperta, per un momento, la lascia senza parole: Ernesto la tradisce con Alicia, la segretaria. Eppure tra i due l’incontro non sembra dei più felici, Ernesto la respinge, alza la voce e infine la allontana con una spinta. Alicia cade, batte la testa e muore. Inés ha visto tutto. E’ la sola testimone. Raggiunge la macchina e decide di tornare a casa, trovare tutte le prove della relazione extraconiugale di Ernesto nascoste nella ventiquattrore e in altri impensabili angoli della casa e nasconderle.
Inés ha preso la sua decisione: fornirà, qualora ce ne sarà bisogno, un alibi al marito. Ma la situazione non è così semplice come potrebbe sembrare. Il litigio tra Alicia ed Ernesto celava delle ragioni precise che Inés, nella sua semplicità, non ha saputo cogliere. Si scoprirà che, mentre la moglie cerca di architettare l’alibi perfetto (come perfetta avrebbe dovuto essere la sua vita), Ernesto se la spassa con una ragazza, ben più giovane di Inés e dell’ormai defunta Alicia: si chiama Charo, la nipote di Alicia. E il cerchio non si chiude.
Le indagini serrate della polizia, dopo mesi di ricerca del corpo di Alicia, coincidono con la presa di coscienza, da parte di Inés, di essere stata sfruttata come donna e come moglie.
Una serie di colpi di scena sorprenderanno il lettore, accompagnandolo verso un finale inaspettato per chiunque.
Claudia Piñeiro (drammaturga e sceneggiatrice argentina oltre che scrittrice) dimostra di possedere una scrittura intensa, pulita, che nella sua semplicità, rovescia la prospettiva e tratta, con forza, tenacia, passione e anche con un pizzico di sano umorismo, l’adulterio, le dinamiche familiari della borghesia, il sacro vincolo del matrimonio. L’ingenuità di Inés è l’ingenuità di tutte le donne che pensano che “dopo vent’anni, il matrimonio smette di essere quello che è per diventare quello che uno crede che sia” non accorgendosi di cozzare con l’identità di un marito che, negli anni, è mutata: la sacralità del matrimonio si trasforma in sacralità da esibire. Ma nel privato c’è tutt’altro.
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Controverso
Si possono dire tante cose del romanzo di Alessandro D'Avenia, Bianca come il latte rossa come il sangue, edito da Mondadori, per esempio che è giudicato da molti un libro rivolto agli adolescenti, ma nel quale possono ritrovarsi anche gli adulti. Oppure si può sottolineare il fatto che ci troviamo di fonte a delle tematiche, il primo amore e la morte, la sofferenza causata da una malattia, trattate e forse, talvolta, bistrattate.
In questo caso siamo di fronte ad un romanzo controverso nel senso che, se da un lato è visibile la volontà dell'autore di affrontare temi delicati, dall'altro ci sono parecchie fratture che inducono a pensare una modalità di raccontare che volge alla sintesi, all'immediatezza, alle sensazioni veloci e facili da afferrare soprattutto per un cuore giovane, non avvezzo alla potenzialità della letteratura.
Il romanzo racconta la storia di Leo, un ragazzo come tanti che ama la musica, non si stacca dal suo ipod, esce con gli amici, studia anche se non volentieri e critica i professori. Una delle sue ossessioni è il bianco, il bianco come colore, anzi come non-colore, che gli ricorda il vuoto, il nulla, qualcosa di sospeso, immateriale. Ed ecco che nella sua vita si fanno spazio tre personaggi che, in modo differente, avranno una qualche rilevanza per il suo futuro: Silvia, l'amica del cuore, segretamente innamorata di lui, con la quale però Leo cercherà, ignaro dei sentimenti della ragazza, di tenere un comportamento amichevole; il suo cuore infatti è per Beatrice, la ragazza dai capelli lunghi e rossi, che sprigiona quella freschezza e quell'ingenuità propria di una sedicenne, tuttavia Leo non riuscirà a svelarsi a Beatrice, cercherà di attirare la sua attenzione senza mai dichiararsi; e poi un professore, un giovane supplente di storia e filosofia che insegna ai ragazzi, attraverso le letture e le discussioni in classe, ad inseguire i propri sogni, ad avere dei progetti e quindi a credere nel futuro.
Questo professore (nel quale probabilmente possiamo ravvisare l'autore) fa breccia nel cuore di Leo. Il ragazzo infatti inizia a seguire i suoi consigli: realizzare i propri sogni, che per Leo si traduce nel conquistare il cuore di Beatrice, la ragazza dai capelli rossi.
Ritornano i giochi di colori, il bianco, il non-colore freddo, vuoto, rappresentante del nulla e dell'immateriale, e il rosso che invece evoca l'amore, la passione, il calore. E' anche un gioco di diapositive che scorrono di fronte al lettore per lasciare il posto al altre immagini.
E nel momento in cui Leo crede di essersi liberato dalla sua ossessione, il bianco appunto, ecco che il non-colore ritorna proprio in Beatrice, colpita da una tremenda malattia: la leucemia. Leo viene messo con le spalle al muro dalla vita stessa, una sola domanda sembrerebbe farsi strada in un questo viaggio che dovrebbe portare alla maturità, alla riflessione: Leo verrà risucchiato dal bianco, dal pallore che coincide con la malattia di Beatrice oppure il rosso, alla fine, trionferà?
Veloci fotografie che raccontano la malattia di Beatrice così come, forse, veloce può sembrare l'approfondimento e lo spazio che viene dato ai sentimenti di Leo nei confronti di questa tragedia. Il ragazzo infatti sembra essere più concentrato sulla rielaborazione del suo sogno mancato che non sul rapporto nei confronti della malattia di Beatrice.
Come si diceva all'inizio, il tutto potrebbe rimandare ad un modo di raccontare che rivela delle mancanze in alcuni punti dell'intreccio narrativo, anche se non ci si può sottrarre dall'evidenziare le qualità dei temi trattati.
Emerge quindi un romanzo controverso che lascia perplesso il lettore che punta l'attenzione sull'espressione contenutistica nonostante il coinvolgimento dato dalle tematiche.
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Un libro che fa riflettere le donne (e non solo)
La forza delle donne, il loro valore aggiunto, la dolcezza che scaturisce dai loro discorsi e un sogno, quello di Marcela Serrano, sperare che si possa arrivare "a un'uguaglianza tra uomo e donna, dentro la diversità". La voce della scrittrice cilena è una melodia che, nel romanzo Dieci donne edito per Feltrinelli, canta la donna, la dipinge mentre cucina, mentre aspetta una telefonata, mentre sogna o cerca dimenticare le sofferenza, mentre combatte con la vita, la scaccia, l'abbraccia e a volte la riscopre. La Serrano descrive la donna nella sua quotidianità, non elevandola ad angelo del focolare, ma accompagnandola verso la luce, facendola uscire da quel cono d'ombra nel quale ha vissuto per decenni.
Dieci donne è un elogio allo sguardo femminile che sa scavare nel profondo. Eppure la penna della Serrano non è intrisa di rabbia, tra le pagine di questo romanzo non c'è la voce roca che grida all'uomo le sue mancanze, i suoi errori, ciò che ha perso trattando la donna come una schiava, una reclusa, una peccatrice. Le pagine si susseguono dettate da una mente lucida e sorrette da una scrittura fluida, pulita, tenera, molto poetica, che ricorda la Maraini nel romanzo Colomba, la Mazzantini degli esordi, con Il catino di Zinco, la Tamaro di Va' dove ti porta il cuore ma anche Per voce sola. E se i personaggi di questi ultimi romanzi citati nascono da un'esigenza innata, a cui nessuno può sfuggire, ovvero quella di confrontarsi con la generazione femminile precedente ricercando la nuova dimensione, o almeno quella che la donna si è costruita a partire dal dopoguerra fino ad arrivare agli anni novanta, Marcela Serrano nel romanzo Dieci donne compie un passo avanti delineando la posizione attuale della donna nella nostra società e descrivendo il risultato delle tante lotte che sono state fatte nei decenni scorsi.
E' in questa dimensione che si inseriscono le vite delle nove protagoniste del romanzo di Marcela Serrano. Nove donne che, per svariati motivi, si recano da Natasha, una psicoterapeuta. Le protagonoste raccontate dalla Seranno serbano paure, preoccupazioni, dolori, rimorsi. La vita le ha messe di fronte a delle scelte, lavorative o personali, che le hanno portate a riflettere su loro stesse, su quello che stavano facendo, su come si sarebbe svolto il loro futuro. Alcune non hanno retto a tanto stress emotivo e se ne sono andate lontano abbandonando tutto e tutti, altre hanno voluto risolverlo da sole, ma in realtà non hanno fatto altro che ingarbugliare ancor di più il groviglio di sentimenti, strozzando la loro anima.
La stanza di Natasha diventa il luogo nel quale vengono raccolte le loro confidenze, anche le più intime e segrete. La psicoterapeuta ascolta, senza dare giudizi o interferire. Il suo accogliente silenzio rappresenterà una valvola di sfogo per le pazienti, che rovesceranno la loro vita e riusciranno ad avere una visione più chiara di quello che è accaduto. Tuttavia anche la psicoterapeuta si farà coinvolgere da queste storie, in quanto donna, e quindi capace di sentire le loro emozioni, ma anche in quanto femmina che accoglie un altro animo femminile. E quindi anche Natasha finisce per porsi delle domande, per chiedersi da dove nasce questa sofferenza, questo fardello che portano con sé le donne.
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Una speranza
Cosa tiene accese le stelle, romanzo di Mario Calabresi edito da Mondadori, rappresenta una perla nel panorama letterario italiano. Non mi riferisco solo allo stile, raffinato, elegante ma anche sapientemente nutrito da anni di esperienza (si parla di Calabresi, uomo colto oltre che direttore de La Stampa), ma anche all'alto contenuto narrativo risultato di un'attenta osservazione, di una ricerca continua nei confronti della situazione politica, sociale ed economica del nostro Paese.
Mario Calabresi, stimolato dalla continue lettere di italiani rassegnati, delusi, indignati, la cui voce è un grido silente che raccoglie solo taciti consensi, persone quindi che non credono nel futuro e che hanno perso la speranza, Calabresi è partito dai sentimenti degli italiani per far capire loro, attraverso le interviste e i racconti di artisti ma anche di gente comune, che l'Italia è ancora un Paese in cui si può sperare, il futuro è racchiuso nelle mani di coloro che non si perdono d'animo e conquistano la loro libertà grazie alla cultura, alla perseveranza degli obiettivi prefissati, alla tenacia.
Si passa dal racconto della nonna dell'autore, della libertà che è riuscita a conquistarsi nel 1955 acquistando la lavatrice e ritrovando un po' di tempo per se stessa, dedicandosi alla lettura (non importava quale libro avesse in mano, la cosa che le premeva era aprire un libro, dimostrare che poteva ancora dedicare del tempo alla sua persona) all'incontro con Franca Valeri, attrice e sceneggiatrice italiana, che, grazie alla sua ironia e acuta intelligenza, ha raccontato il passato attraverso gli oggetti della sua casa senza però rimpiangerlo, al contrario lei dice di amare i giovani di oggi solo che mancano di una guida che sia in grado di aiutarli a trovare la loro strada, la loro vocazione.
Ma nel libro c'è spazio anche per artisti come Lorenzo Jovanotti che ricorda una delle scene del film The Social Network per sottolineare quanto sia importante non solo il talento ma anche la volontà e la passione con le quali una persona deve portare avanti i propri sogni. Investire sui propri sogni sembrerebbe anche l'opinione di Umberto Veronesi e Massimo Moratti.
Durante gli incontri-intervista, Calabresi si spoglia degli abiti da giornalista e gioca con il suo interlocutore, trattandolo come un amico di vecchia data, cercando di far uscire ciò che davvero porta dentro di sé.
Mario Calabresi, nel suo romanzo Cosa tiene accese le stelle, mette nero su bianco la verità di quella parte di italiani, famosi e non, che hanno conquistato la libertà grazie alla maturità, alla costanza e alla dedizione nei confronti dei loro sogni. Perché sperare è ancora possibile.
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Poco convincente
Il tema narrato da Nataša Dragni? nel suo romanzo d'esordio, Ogni giorno, ogni ora, edito per Feltrinelli, rappresenta ciò che di meraviglioso e suggestivo possiede la letteratura ovvero la sua trasversalità nelle tematiche trattate, mi riferisco al tema del primo amore, che è in grado di superare i vincoli imposti dal tempo e dallo spazio, unendo le anime e i destini di due persone.
La storia tra Luka e Dora ha inizio nell'asilo di Makarska, piccola cittadina della Croazia che si affaccia sul mare. Lui sembra abbagliato dalle movenze di questa bambina di due anni, osserva il suo volto, incorniciato da lunghi capelli neri come la pece, guarda i suoi occhi, il suo esile corpo. Lei lo nota subito, decide di assumere atteggiamenti da bambina grande, non vuole che la mamma l'aiuti a sfilarsi la cartella, non vuole che le stia accanto, vuole essere sola, mentre quel bambino, più grande di lei, la osserva. Ma sarà in quel momento che lui perde i sensi, lei accorre, è la prima a precipitarsi su di lui, e gli sussurra dolci parole che sembrano disegnare il prologo di una bellissima storia d'amore. Da quel momento Luka e Dora diventeranno inseparabili e trascorreranno sempre più tempo insieme.
Momenti magici saranno i pomeriggi trascorsi sulla barca di Luka a guardare le nuvole mentre il mare li culla, a tuffarsi nel mare blu della Croazia, e ancora a scoprire sentieri nascosti tra le sterpaglie. La loro infanzia cresce con la consapevolezza che le loro vite non si separeranno mai. Purtroppo il lavoro del padre di Dora, la porterà in Francia. Questa separazione sarà la prima che dovrà subire Luka.
Mentre Dora cerca di superare il distacco da Luka, dimenticando il suo volto, i momenti trascorsi e persino il suo nome, come se lui non fosse mai esistito, Luka continuerà a ricordarla come la persona più importante della sua vita, la persona che diventerà sua moglie. Ma il destino gioca un brutto scherzo ai due bambini che, nel frattempo, diventano grandi: mentre Dora inizia la carriera da attrice, frequentando corsi di recitazione e dizione, portando in scena classiche pièces teatrali, e riscuotendo successo non solo tra le amiche che la seguono ma anche tra i ragazzi (catturando l'attenzione di André, colui che riuscirà a fare breccia nel suo cuore), Luka si perfeziona nella pittura rappresentando un mondo onirico dove il mare sembra essere il protagonista assoluto. Anche lui conoscerà una ragazza, che presto diventerà la sua compagna fissa. Tuttavia il suo cuore appartiene a Dora, lui non riesce a dimenticarla ma sarà una notizia del tutto inaspettata a turbarlo: la sua fidanzata aspetta un figlio.
La pittura porterà Luka a Parigi, la città in cui vive Dora e, questa volta, il destino li farà ricongiungere: all'ingresso di una mostra lui la noterà, come accadde anni prima all'asilo di Makarska, osserverà le sue movenze, la linea del suo corpo, morbido e sensuale come quello di una giovane donna e perderà i sensi. Sarà lei ad accorrere e a sussurrargli le stesse parole dolci di un tempo. Luka trascorrerà tre mesi a Parigi, durante i quali si frequenterà con Dora, si ameranno, trascorreranno momenti magici, come quando erano bambini. Ma Luka non può ancora ricongiungersi con lei, deve risolvere un problema: il rapporto con la sua compagna.
Il tema del primo amore, come detto sopra, è universale e trasversale, anche tra culture antropologicamente differenti tra loro. Ma se ci addentriamo e guardiamo l'esposizione contenutistica, non possiamo non notare una fuggevole quanto retorica messa in scena di momenti banalmente accozzati tra loro che esasperano e sviliscono la dolcezza del tema, trasformato così in un pleonastico quanto chiassoso argomento che si propaga fino all'ultima pagina del romanzo. L'incontro tra i due bambini all'asilo può apparire un chiaro esempio di quanto l'equilibrio che lo compone, le evocazioni suggestive e surreali siano, in realtà, una mera rappresentazione imbarazzante tanto per l'autore quanto per il lettore. Quest'ultimo rimane turbato di fronte alla superficialità con la quale viene trattato l'argomento, quale appunto il primo amore.
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Il Giappone raccontato senza stereotipi
L'amore tra una donna occidentale e un paese impenetrabile, intricato ma eternamente affascinante quale è appunto il Giappone. Questo è quello che apparentemente sembra essere il contenuto del romanzo di Antonietta Pastore, Leggero il passo sui tatami, pubblicato da Einaudi all'inizio del 2010. In realtà questo libro racconta molto di più di una semplice storia autobiografica. L'autrice conduce il lettore attraverso il suo personale viaggio, fisico e spirituale, nella "dimensione pittorica" nipponica, all'interno della sua cultura, contraddittoria ma al tempo stesso ragionata ed equilibrata, elegante ma kitsch, avanzata ma arretrata.
Siamo nel 1977 e Antonietta Pastore vive già da due mesi in Giappone. Ha conosciuto in Europa colui che è diventato il marito, giapponese di origine, con il quale ha vissuto prima a Parigi "un'esistenza precaria ma spensierata" durata ben sette anni. Quando l'insoddisfazione ha iniziato a farsi sentire, i due coniugi hanno maturato l'idea di trasferirsi nel paese natale del marito, più precisamente a Itami, a nord-ovest di Osaka. I primi mesi rappresentano per Antonietta Pastore un momento di conoscenza nei confronti del luogo che la circonda. Consultando cartine e orientandosi grazie ai pochi ideogrammi imparati, prende treni e autobus, spingendosi così a Kobe.
Antonietta è inizialmente affascinata dalla grazia delle donne, l'eleganza che caratterizza ogni loro movimento, ogni piccolo gesto anche il più banale come scartare una caramella o riempire un bicchiere d'acqua. Al contrario lei si sente goffa, ridicola per la spontaneità che dipinge i suoi movimenti, conseguenza di un'educazione avvenuta in Europa.
E la fascinazione continua, anche se si alterna a momenti di scetticismo dovuti all'incomprensione della cultura giapponese ad esempio, quando, con alcuni colleghi di lavoro, trascorre un fine settimana in montagna: altoparlanti che scandiscono i vari momenti della giornata, stanze dove uomini e donne dormono insieme sui futon disponendo i materassi in cerchio, con le teste al centro, saké e birra a volontà.
Vivendo sempre di più la quotidianità, Antonietta ha come la sensazione che la troppa compostezza delle persone e la rigidità delle regole di vita mettano un freno alla spontaneità e quindi all'onestà dei rapporti interpersonali. L'autrice racconta infatti della difficoltà nel creare rapporti sinceri, nel capire che cosa davvero passa per la mente del suo interlocutore. La chiusura è ciò che non riesce più a sopportare. Di conseguenza anche il modo di guardare la terra nella quali vive inizia a mutare: la bellezza e la raffinatezza lasciano il posto a tutto ciò che di kitsch si trova in Giappone, alle imitazioni delle metropoli occidentali, all'eccessivo frastuono, al disordine. E su questo sfondo, si fanno sentire l'arretratezza di certi aspetti culturali: l'episodio del matrimonio combinato tra due giovani ragazzi, sotto l'occhio incredulo di Antonietta, ne è l'esempio. Per questo l'autrice arriva a chiedersi dove si nascondano quei sentimenti folli, quel turbine di passioni, quelle emozioni che agitano gli animi dei personaggi della letteratura giapponese decantati nei libri di Soseki, Tanizaki e Kawabata.
Dovranno trascorrere ancora parecchi anni, Antonietta dovrà attendere gli inizi del 1980 per pulire la sua anima dai preconcetti e dagli stereotipi con i quali si è soliti guardare un paese che non è il proprio. Questo processo di liberalizzazione della mente e dello spirito dai pregiudizi è lungo ma, grazie all'apertura mentale dell'autrice e ad una certa disposizione della sua anima, Antonietta riuscirà a capire fino in fondo il paese in cui vive, adattandosi ma senza per questo subire la cultura nipponica, vivendo con serenità, consapevole del fatto che il Giappone non è l'occidente. L'integrazione avverrà anche grazie ad alcune conoscenze femminili che l'aiuteranno meglio in questo percorso.
Come dicevo all'inizio, Leggero il passo sui tatami, non è solo l'autobiografia di una donna occidentale che ha vissuto per anni in Giappone, ma è soprattutto un percorso esistenziale, un viaggio di integrazione che vede protagonista l'anima e la mente di questa donna prima ancora della sua persona fisica. La scrittrice scoprirà che ciò che reputiamo universale in realtà è molto relativo e circostanziato alla cultura all'interno la quale siamo cresciuti. Capire questo concetto e fare un balzo in avanti nel momento in cui ci si trova in una terra lontana dalla nostra è un pregio non comune. E di questo Antonietta Pastore ne ha dato testimonianza.
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Una testimonianza
Il tessuto connettivo costituito dalle piccole e medie imprese italiane che hanno, da sempre, costituito il nerbo dell'economia (caratterizzata dalla vitalità, dalla passione, dall'efficienza e dall'efficacia), questo tessuto oggi è in crisi, alla mercé di una politica economico-finanziaria altalenante, destabilizzante e assai nociva per coloro che fanno parte della filiera industriale, a partire dagli operai. Una classe operaia soggetta a pressioni morali, oltre che psicologiche, colpita dalla crisi economica, che non ha possibilità di guardare al futuro in quanto non vengono delineati i parametri del futuro, una classe operaia in queste condizioni affonda soprattutto se a sorreggerla non c'è una forte dirigenza imprenditoriale.
Questa situazione è il punto di partenza del romanzo scritto da Edoardo Nesi, Storia della mia gente, edito da Bompiani e vincitore del Premio Strega. Nesi concentra la sua attenzione sulle vicende economico-politiche che hanno colpito la città di Prato. Figlio dei proprietari della T. O. Nesi & Figli, uno dei tanti lanifici, dove la lavorazione artigiana si è sposata con le innovazioni in campo meccanico, ha studiato negli Stati Uniti ed ha avuto la possibilità di apprezzare la cultura e la letteratura d'oltreoceano, in particolare quella di Fitzgerald, più volte citato nelle pagine del romanzo. Tornato in Italia, Nesi si è inserito sempre più nell'attività di famiglia carpendo i meccanismi che fanno ruotare le industrie tessili.
L'autore, raccontando la storia dell'azienda di famiglia, racconta la storia di tanti piccoli e medi imprenditori pratesi (e non) che, negli anni, hanno dovuto fare i conti con un flusso produttivo cinese a basso costo, con un fiscalismo opprimente, per passare poi a indigeste manovre da parte di una politica che sembra essere digiuna di una coscienza etica economica e che, di conseguenza, non tutela la propria economia interna, ma ne blocca la crescita favorendone la stagnazione. Questa situazione, nel 2004, ha costretto l'autore a vendere l'azienda della sua famiglia. E' la sua storia ma, ripeto, è la storia di tanti altri industriali o artigiani, comunque lavoratori, che hanno visto sfuggire dalle mani il frutto del loro lavoro e di quello dei loro padri.
Storia della mai gente. Un romanzo, un saggio, un'autobiografia, una testimonianza. Sicuramente una traccia (condivisibile o moeno) che scava negli ultimi decenni della storia economica e personale italiana, dando delle risposte al presente, a ciò che, ognuno di noi, vive quotidianamente.
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High & Dry Primo amore
Sensazioni intense, atmosfere magiche ai confini della realtà, attimi in bilico fra tradizioni giapponesi e piccoli miracoli comuni. Questo è il tessuto narrativo dell'ultimo romanzo di Banana Yoshimoto, High & Dry Primo Amore, uscito per Feltrinelli a giugno e che ha riscosso da subito successo di critica e pubblico.
Yuko ha quattordici anni e vive in un mondo incantato, animato da piccoli esseri che solo lei riesce a vedere, da persone che potrebbero esistere solo nella sua fantasia, da sensazioni così vivide che sembrano vere o almeno per Yuko lo sono. Lei non ha molti contatti con i suoi compagni, al contrario fin da piccola è stata circondata da adulti con i quali è sempre riuscita a rapportarsi in modo del tutto naturale. Una naturalezza che spiazza Kyu, il suo insegnante di disegno. Tuttavia, se all'inizio Kyu la guarda con occhio critico e forse un poco incuriosito, conoscendola meglio capisce che loro sono più simili di quel che credeva. Complice un fatto che li accompagnerà per tutta la durata del romanzo: durante una lezione di disegno Yuko e Kyu assistono ad un miracolo naturale ovvero vedono dei piccoli esseri uscire da una pianta. E' bastato uno sguardo per capire che i loro cuori erano simili.
Inizia una conoscenza che li porterà ad una intima unione, senza alcun rapporto fisico, nel rispetto quindi dell'età di Yuko. Grazie a Yuko, Kyu riuscirà a superare un trauma infantile e ad affrontarlo parlandone con sua madre. Yuko invece conoscerà la felicità e le prime sensazioni alle quali può condurre l'amore, avanzando, giorno dopo giorno, verso l'età adulta. Un percorso lungo ma che ha inizio proprio con il suo maestro di disegno di cui lei è innamorata. Da ammirare è il comportamento della madre di Yuko, che non ha mai ostacolato la figlia nella conoscenza di Kyu, nonostante fosse al corrente della differenza anagrafica. Questa madre è riuscita, pur essendo sola (il marito è impegnato in America per lavoro), a stare vicino alla figlia cercando di capire il momento che sta attraversando, conoscendo Kyu, uscendo insieme a loro e parlando apertamente del rispetto che lui deve portare alla figlia.
La suggestione dell'autunno, stagione in cui Yuko conosce il maestro di disegno, le luci e le ombre, gli odori, i sapori dei cibi, il paesaggio che cambia mentre si avvicina l'inverno, tutti questi elementi fanno del romanzo una piccola perla nel mondo della letteratura giapponese e non solo. La delicatezza e il misticismo dialettico sono tratti caratteristici di Banana Yoshimoto che non stancano mai.
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Il libraio di Régis de Sà Moreira
"Quando ridiscese nella libreria, il libraio notò con una rapida occhiata che qualcuno aveva rubato dei libri. -Finalmente qualcuno che non ruba cose di merda- pensò sbrigativo".
Non è l'incipit del romanzo di Régis de Sà Moreira, Il libraio, edito a giugno da Aìsara, ma una delle frasi centrali del libro che dicono molto dello spirito del protagonista.
Régis de Sà Moreira racconta la storia di un libraio che gestisce una piccola quanto particolare libreria "in un luogo a migliaia di chilometri" rispetto a dove ci troviamo. Potrebbe essere qualsiasi paese o città dove abbiamo vissuto, che conosciamo, oppure che abbiamo solo immaginato. Eppure lì, proprio in quel singolare posto dimenticato da tutti c'è il librario. E non uno qualunque, ma un individuo piuttosto robusto, che porta sempre un cappello e che si nutre di libri e tisane. Proprio così, si nutre di libri e tisane. Il suo motto è "ogni cliente una tisana" (anche se in origine era "ogni cliente un caffè").
Un alternarsi, quasi ritmato, di clienti bizzarri (il tizio che voleva tre libri da portare su un'isola deserta, la gran dama nera, le ragazze con la sindrome dell'ultima pagina, la fioraia, l'avventuriero che voleva una guida di viaggi, i testimoni di Geova) entrano nella sua libreria, si affacciano su questo mondo incantato fatto di libri che circondano il banco del librario quasi nascondendolo, romanzi e saggi che abbracciano il libraio quando è in preda alla tristezza oppure mentre legge. I clienti rimangono esterrefatti dall'oceano di romanzi che li accoglie e difatti questo è proprio l'obiettivo del librario, a lui "piaceva l'idea che i clienti si trovassero da soli davanti a un oceano di libri, una marea, per la precisione, senza che nessuno li osservasse".
Le richieste dei clienti sono stravaganti ma ad ognuna di queste il protagonista sembra dare risposte sincere e oneste, prendendo sul serio qualsiasi cosa gli venga chiesta.
Il libraio non ha amici, o meglio ha smesso di averne quando ha scoperto che era diventato per loro un argomento di conversazione. Sarà proprio l'incontro con un suo ex amico a svelare un altro lato del suo carattere.
E così il protagonista trascorre le sue giornate a leggere, a bere tisane e ad accogliere i clienti. Ogni volta che legge una pagina ben scritta, che contiene un particolare insegnamento, il librario strappa la pagina e la spedisce ad uno dei suoi cinque fratelli o ad una delle sue cinque sorelle sparse per il mondo, sperando che, alla sua morte, possano unire questi fogli formando il libro del librario.
Un romanzo dai contorni sfumati, dove la realtà e la fantasia si intrecciano sapientemente. Un libro che dona emozioni ma anche sorrisi, grazie a quelle venature ironiche che si possono incontrare sparse qua e là nelle pagine.
In un periodo dove sembra esserci spazio solo per gli ebook, è bello leggere in questi termini le emozioni che possono scaturire dalla carta stampata.
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