Opinione scritta da vitolorenzodioguardi

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Poesia italiana
 
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    20 Dicembre, 2013
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Un genio che vale due secoli e i suoi contemporane

Un genio. Giacomo Leopardi è stato un genio incompreso. Genio perché molte delle poesie dei Canti sono note a tutti, anche a chi è a digiuno di poesia, è entrata nel modo di dire comune, è facile incontrare una persona che mastichi due, giusto due dei tanti famosissimi versi di questo Grande.
Che poi abbia rifatto la poesia, italiana ed europea, nei contenuti e nello stile è superfluo ricordarlo.

Se i contemporanei non lo hanno capito e gli hanno preferito talvolta poetastri mediocri, talvolta gente più manovriera che poeti, una rivincita Giacomo la sta avendo con il prossimo film di Martone (film sulla vita di Leopardi, finalmente!) e con la traduzione delle sue opere in America, dove stanno riscontrando un vastissimo successo.

La Poesia, dunque, è tutta un pre-Leopardi e un post-Leopardi.
L'ardore civile, prima anche religioso e poi laico, la passione per l'antichità, l'analisi acuta dei comportamenti umani (nella circoscritta Recanati come nella dispersiva Napol) fanno di Leopardi un genio che vale almeno due secoli, quello prima e quello dopo.

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I classici italiani.
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Politica e attualità
 
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    29 Luglio, 2013
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De principatibus

Niccolò Machiavelli è uno degli autori italiani più conosciuti all'estero e questo perché la sua attualitò, come hanno detto prima di me gli amici commentatori, è davvero sorprendente.
L'opera detta Il principe è un capolavoro di realismo politico e di visione rinascimentale insieme che hanno effetti anche oggi, nel mondo che ci circonda. Non solo in Italia, nella quale il frantumarsi, il fallire e lo scadere della politica italiana ha dato molto stimolo alla rilettura del principe, ma anche laddove i sistemi politici parrebbero meglio funzionare.

Questo perché?
Perché da sempre si discute se sia meglio un uomo solo al potere piuttosto che una rappresentanza di cittadini eletta dal popolo. Perché da sempre si cerca di capire le ragioni della politica.
Machiavelli è stato il primo a fare della politica una scienza! Questo fatto, pure lodevole, però, si scontra con la spregiudicatezza che tante volte gli è stata attribuita.
Leggendo quelle pagine, i cui capitoli hanno un titolo in latino (a sottolineare l'importanza dell'argomento) ma un testo in volgare (a dire che la politica è per tutti e tutti la devono seguire!), si ha la chiara impressione che se da un lato Machiavelli indica nell'uomo forte la soluzione (perché la divisione degli Stati italiani era anche l'arma di ingresso degli stranieri) ma dall'altro lato indica anche che l'Italia (se ha troppa storia come dirà poi Gramsci) ha buona tradizione politica.
In un capitolo, ad esempio, se analizza le colpe degli Italiani che nel 1494 hanno fatto venire in Italia il re di Francia Carlo VIII, attribuisce a questi la colpa di avere accresciuto il potere dello Stato pontificio in Italia (Stato pontificio responsabile, a detta di Machiavelli) dell'instabilità politica.
Viene così anche a smorzarsi l'entusiasmo troppo edulcorato attorno alla figura del duca di Valentino, Cesare Borgia. In fondo, analizzando la sua parabola (Machiavelli non ama i principati ereditari quanto quelli nuovi, perché quelli nuovi mostrano la grandezza del principe che li ha conquistati!) Cesare Borgia - che dovrebbe essere un esempio da seguire - in realtà è la figura di un vinto, che, tolto l'aiuto dall'alto, è crollato.

Così si viene a profilare un'opera politica complessa, entro la quale Machiavelli si discosta dalla solita trattazione politica dell'epoca in cui il principe ideale era bravo, bello e buono, cioè doveva porsi il fine di un governo morale, di essere giusto, di non contravvenire le regole etico-morali della religione cristiana.
Questa perdita della fede da parte del principe machiavelliano è la peggiore delle pagine del Rinascimento italiano, ma era più l'osservazione di ciò che stava avvenendo che un suggerimento dato dal fiorentino.

In ultimo, analizzo che il Principe in realtà Machiavelli lo ha intitolato De Principatibus (Sui principati), cosa che dice quanto alcune letture poi diventate comuni abbiano stravolto intere opere (Bibbia, Divina Commedia, eccetera), tradendo anche lo spirito dello scrittore. Cosa, a mio giudizio, da non fare.

Vi lascio un verso petrarchesco dalla famosa chiusa del trattato machiavelliano.
Si noterà quanto attuale sia il lirismo dell'aretino e la speranza politica del fiorentino, ancora oggi attuali:

ché l'antico valor
negli italici cuor
non è ancor morto!

La democrazia di oggi è quell'essere tutti principi, partecipi del destino comune. Una grandezza che ci vorranno anni perché tutti, semmai si potrà, la capiscano.

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Autori rinascimentali, Dante, trattatistica politica.
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Poesia italiana
 
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    10 Giugno, 2013
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Il continuatore e l'iniziatore, le due anime di me

Messere Francesco Petrarca è uno dei vertici della poesia italiana. E sì che la poesia italiana è abituata ai vertici, anzi, forse a indicare nel nome X piuttosto che nel nome Y il vertice in assoluto forse più per convenienza che per contestualizzazione, per visione del mondo (poetico e non), per musicalità della poesia.
Petrarca è stato e rimarrà sempre uno dei più grandi poeti per molte ragioni, ad esempio la sua vita da poeta, letterato ramingo e inquieto, che usa l'arte non per campare ma per "agire" sul suo tempo e sui potenti; è uomo di lettere sopraffino e apprezzato anche oltr'Alpe e proprio a cucire un'ideale Repubblica europea delle Lettere che si spende in dialoghi epistolari serrati con imperatori, clericali e laici di altri Paesi ed è così la figura del primo intellettuale sovrannazionale di cui s'abbia memoria.
Però, per arrivare al punto, è soprattutto poeta di una sensibilità e di una portata incredibili.
Basti pensare che nonostante amasse il latino è in volgare che riesce a esprimere meglio la sua anima, e sebbene voglia immortalarsi con racconti epici di guerra e descrivendo il suo terreno e insieme etereo amore per madonna Laura che riesce a parlare alla gente comune, a instaurare un dialogo profondo con l'animo altrui.

Proprio con il Canzoniere, dunque, Petrarca riesce a toccare vette di poesia soave e con due strutture differenti in particolare: da un lato il sonetto e dall'altro la canzone.
Molti sono i sonetti a buona ragione famosi, come il proemiale Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono o Movesi il vecchierel canuto e bianco come anche le canzoni, Italia mia, benché 'l parlar sia indarno. E se il motore centrale della sua poesia è Laura, l'amore, anche l'amore per la patria, per una patria così bella e così bistrattata come l'Italia raggiunge corde di eccezionale amara dolcezza.

Dunque, intellettuale europeo, innovatore per metrica e suono, cantore di un amore non più solo etereo e non già esclusivamente terreno, Petrarca è combattuto sì dalle sue passioni ma tende a tenere la barra al centro. Già questi soli elementi ci porterebbero a lodare la grandezza poetica e morale di questo Poeta.
Tuttavia, se l'albero buono si vede dai buoni frutti, la maestosità del suono e della perfezione stilistica petrarchesca si nota meglio con il petrarchismo, ovvero con quella scuola di imitatori che dal Trecento si protrae sino al Seicento (con propaggini più o meno velate sino all'Ottocento). In parte alcuni autori novecenteschi a Petrarca devono comunque ispirazione di temi o rime.
Non si può, dunque, parlare di storia della letteratura italiana senza il petrarchismo (tra i grandi imitatori di Petrarca si possono citare Boiardo, Ariosto, Tasso sino a Leopardi, che lo reinventa).

Dunque, Petrarca è insieme continuatore (del volgare di Dante, del sonetto, della missione del Poeta) e iniziatore (dell'amore come turbamento psicologico e morale, della canzone appunto detta petrarchesca ecc...).

I 366 componimenti del Canzoniere sono la raccolta in rima di un percorso umano e spirituale straordinario, nella gioia e nel dolore, che coinvolge e parla agli uomini di ogni tempo e ogni spazio con la forza universale della Poesia, con il dono di una lingua limpida e piana, con la delicatezza di chi sa di trattare l'argomento fragile ma bellissimo dell'amore e nella riconquista della fede religiosa, mai persa ma turbata dal sentimento umano dell'amore della donna che gli eventi portano ad una sublimazione angelicante. E l'ultima composizione, la preghiera alla Vergine, è uno dei manifesti di devozione mariana e di amore per la figura femminile più riusciti di tutta la composizione di versi dell'Occidente di tutti i secoli.

Di Petrarca gli Italiani e i Poeti del mondo intero non smetteranno di credere bene, di sentire la sua voce suonare a molti millenni di distanza come un chiaro e divino invito ad amare davvero.

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Dante, Leopardi, tutta la poesia tra questi due autori, e l'epigono Luzi.
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Romanzi storici
 
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    10 Giugno, 2013
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Buon autore, buona storia ma come tutte le buone s

Simoni scrive bene, carica e scarica la tensione, alleggerisce al punto giusto, l'imbastitura è quella abbastanza classica della narrativa di genere, con un amore tutto da seguire, un giovane Vitale Federici che deve investigare sagacemente per scoprire autore e mandante di una serie di delitti e soprattutto come esse si collegano all'archeologia classica in terra di Urbino.
I sotterranei di questo romanzo mi hanno ricordato un ricovero di lebbrosi letto ne I delitti del mosaico di Leoni e in generale l'ambientazione è alla Eco. Forse questi prestiti un po' troppo evidenti mi hanno raffreddato l'entusiasmo, ma forse è un giudizio personale sbagliato (se la letteratura è anche prestito).
La curiosità prende il lettore che segue Vitale, affiancato da Bonaventura e Gaspare, nei suoi percorsi logici. La soluzione finale fa giustizia e ingiustizia insieme di quegli omicidi.
In definitiva è un libricino economico della Newton di cui consiglio la lettura.
Tuttavia ci sono alcune illogicità, soprattutto nella costruzione di alcuni personaggi che seppure apparentemente secondari diventano primari nel corso dell'azione. Questa irrealtà, a mio giudizio, toglie qualcosa al totale.

Lodo, infine, l'interesse suscitato da questi gialli intorno alla storia; interesse che se da un lato maneggia una materia molto delicata e scientifica dall'altro ne risalta il fascino e soprattutto l' "attualità".

In definitiva, un buon autore di una buona storia con suspence e invenzioni piacevoli, ma troppo retoricamente monocorde, quasi qualcosa di già sentito con nuovi nomi e un nuovo ambiente. Nihil sub sole novi.

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Leoni
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Romanzi storici
 
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    29 Mag, 2013
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REPETITA IUVANT, SEMPER?

Nel corso del romanzo si perde interesse. Il finale, come dicono molti altri commenti, è interessante, ma nulla di più e sono anche d'accordo nell'analisi dei personaggi, freddi e insulsi, (aggiungerei irreali). Soprattutto il protagonista mi è sembrato privo non tanto di intelligenza, il che ci può stare, succude dell'idea prepotente di essere liberato che lo condiziona fin troppo ma, inoltre, mi sono sembrate forzate molte vicende, che uno schiavo sia scelto subito come guardia del corpo, che il generale Mario lo salvi in battaglia e abbia il tempo di discorrere con lui e dopo mezza pagina viene a sua volta salvato dal suo bardieo, la guardia del corpo del vecchio generalissimo Gaio Mario sei volte console che assedia Roma per diventare console la settimana volta, con un salto al limite del credibile... Credibile, in fondo questo breve scritto non mi è piaciuto perché poco credibile. Chi ha letto Cervo o Manfredi potrà fare debiti confronti. Mi è sembrato un repetita non iuvant con esagerazioni che fanno del romanzo più un fantasy che un genere storico. Basterebbe citare l'episodio a pagg. 116 in cui la guardia del corpo chiama Mario "vecchio pazzo"... Troppo, anche per Mario, capo del partito dei populares. La storia risulta una cornice senza senso e se è senza senso perché scegliere la storia come cornice?

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Romanzi storici specie sull'Antica Roma, almeno per un confronto.
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Classici
 
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    27 Mag, 2013
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UN ATTIMO DI SOGNO "OVVIAMENTE" DA VIVERE!

Letto nell'edizione economica della Newton Compton, questo romanzo breve (o racconto lungo, che dir piaccia) è avvincente e pieno di vita perché va a scavare il cuore del lettore, va a introiettare dentro il suo animo quelle domande esistenziali che sono tutto Dostoevskij, tutto Tolstoj e tutta la letteratura russa dell'Ottocento e che hanno ampi squarci di lirismo morale che fanno sembrare, di queste pagine, come se le avesse scritte Manzoni (per la dolcezza e la responsabilità coscienziosa dei principi) o Svevo per l'introspezione ordinata dei pensieri (anche se qui, mai sconfitti).

La vicenda è semplice e questa semplicità gioca a favore non solo della comprensione lineare ma anche nel fare emergere quelle domande che sono il nucleo del romanzo stesso.
Pietroburgo, una Pietroburgo in cui non c'è quasi nessuno e che comunque, anche nelle poche persone immaginabili, è deserta per un giovane sognatore che esce di casa e va a zonzo, a mane e a sera, non conoscendo nessuno. Questo giovane sognatore è un emarginato!!!
Tale condizione non è una sua volontà ma frutto del destino. Un giorno, però, incontra una ragazza piangente presso il lungofiume e in seguito a una vicenda la conosce.

Qui c'è la parte meno riuscita, a mio giudizio, del racconto, ovvero le battute iniziali tra il sognatore e la ragazza.
Questa ragazza è Nasten'ka e i dialoghi sorti con lei saranno, appunto, "le notti bianche", quelle insonni, dell'innamoramento.
La ragazza chiede al sognatore dapprima che egli non si innamori di lei, poi spera che lo faccia, poi ... (beh, non voglio svelare oltre...).
Il fatto è che la vicenda è ben strutturata e la soluzione dell'intreccio è quella attesa, ma questi lunghi dialoghi (d'altronde resi con due registri linguistici giustamente diversi) fanno risaltare la scrittura dostoevskiana, limpida e scavante. L'amore, l'autonomia, il rapporto sogno-realtà sono analizzati con piacevole autenticità.

Altri due punti voglio considerare.
All'inizio, sebbene la città sia deserta di uomini è piena di vita. Al sognatore i palazzi "parlano". Fino alla conclusione? Da scoprire!
Inoltre, altra traccia da tener presente, l'anonimato dei personaggi, tanto che il protagonista, a mio giudizio, è l'unico che ha un nome, anzi un soprannome: Nasten'ka.
Nasten'ka, dunque, è la protagonista de Le notti bianche e non il sognatore.
Il sognatore, il promesso, la nonna (della cui importanza dovremmo trattare a parte ma che è sicuramente un personaggio pienamente "russo", di quella saggezza spesso essenziale nei romanzi) sono personaggi secondari.
Le scelte le fa Nasten'ka, gli altri le assecondano, le subiscono, le condividono.

Nel racconto si parla di letteratura, si parla di fantasia (nell'immaginarsi in Italia essendo alla periferia di Pietroburgo), si parla del Barbiere di Siviglia. Lo sguardo è felicemente inzuccherato di europeismo.

Ordunque, è sicuramente una lettura che farà riflettere. Una lettura che sembrerà avere dei vincitori e degli sconfitti, forse, ma che, a mio parere, è la consapevolezza di avere vissuto un sogno. E non è questa, forse, la massima aspirazione di un sognatore?

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DostoevskiJ, Tolstoj, Manzoni.
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Romanzi storici
 
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    23 Marzo, 2013
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Buon romanzo storico con qualche cliché di troppo

Il romanzo si basa sulla nota disfatta, nella selva di Teutoburgo nel Settembre del 9 d.C., delle legioni al comando di Publio Quintilio Varo. (Mentre lo leggevo, ricordavo gli storici contemporanei raccontare che per quella sconfitta Augusto fu talmente inconsolabile che, sbattendo la testa al muro, gridava a Varo di restituirgli le "sue" legioni).

Stile 3: Lo stile mi è sembrato abbastanza coeso ma tuttavia privo di originalità. Essendo poi nel genere storico necessario rendere con qualche parola in latino o greco l'atmosfera del tempo, ed essendo questo aspetto poco curato da Cervo, lo stile è così consuetudinario e d'abitué che non aggiunge e non toglie nulla rispetto ad altri romanzi del genere e resta piuttosto piatto.

Contenuto 3: Grave pecca. Il titolo "Il centurione di Augusto", se non vorrebbe che Augusto fosse proprio lì in mezzo alla battaglia o nella selva germanica, almeno almeno ci si attenderebbe che figurasse. C'è un riferimento velato all'imperatore di Roma nei primi capitoli e si esplicita di Augusto solo per ricordare la sua morte nella lontana Roma. Dunque, il racconto non corrisponde al titolo, che giudico inadeguato. A titolo diverso avrebbe guadagnato un punto in più. Ma così è stato come domandare "Quanti anni hai?" "Sono le undici!".

Piacevolezza 5: L'autore è buon narratore. Intesse la trama in modo da renderla coinvolgente. Le situazioni e i personaggi sono credibili. Narrativamente c'è solo un intoppo quando, a un certo punto, si trovano a parlare più personaggi e non si capisce bene chi parla, chi risponde e perché. I grandi narratori, a queste prove, rispondono alla grande: il Nostro ha da migliorare qualcosa in questa difficile "coro a più voci".

La cartina, a inizio libro, è poco efficace. Prende anche l'Italia settentrionale , la Britannia e la Spagna (di cui non si parla minimamente, nella storia - l'Italia è solo un nome accennato), quindi sarebbe stato meglio un ingrandimento sui luoghi del conflitto per fare capire meglio dove si svolge l'azione).

La storia: L'intrepido Decio Murrio Calidio è un centuriore al seguito del legato Varo. (Varo, come spiega l'autore alla fine del libro, è un amministratore e non un generale). Questi viene convinto da un capo barbaro che ha combattuto per Roma ed è cittadino romano, Arminio, ad attraversa la selva di Teutoburgo per accorciare strada in vista di un trasferimento delle sue legioni. Questo consiglio è un inganno. Gli uomini che Arminio ha promesso come scorta ai Romani (che non conoscono la zona a loro ignota) saranno i loro assalitori. Tra temporali e assalti ad una parte e all'altra della colonna, in uno spazio stretto in cui i Romani sono intrappolati, la strage inevitabile si consuma amaramente. Come molti suoi amici, tra i quali Aufidio, Calidio si promette di morire per Roma. Il suo sogno è quello di rivedere sua figlia, in Italia, ma pensa che non vi riuscirà più. Intanto si era anche interessato ad una delle donne-commercianti che seguivano la spedizione, Flamilla. Il giorno della battaglia, vista la rotta dell'esercito e la fine di Varo, Calidio scorge Flamilla inseguita e cerca di aiutarla. Risultato. Flamilla e Calidio si nascondo al massacro in un boschetto. Da lì incontreranno amici e nemici, Catvaldo, Damazio, Demetrio, Fadia e altri e insieme faranno una lunga marcia per oltrepassare il confine del Reno, oltre il quale ci sono i Romani.

L'avventura rocambolesca, in pochi giorni, si conclude, in qualche modo, ma il vero epilogo è sei anni dopo. Un epilogo, a mio giudizio, frettoloso e forse troppo zuccherato, ciò che rende poco gustosa la rievocazione di una delle pagine più drammatiche della storia militare romana.

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Valerio Massimo Manfredi, Danila Comastri Montanari, romanzieri storici in genere e chi ami o sia semplicemente incuriositi dalla storia di Roma
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Gialli, Thriller, Horror
 
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3.8
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    17 Marzo, 2013
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Dante in cerca della giustizia

Di gialli, oramai, abbiamo riempito la Storia. Questa "moda letteraria" ha contagiato anche gli Italiani e la millenaria storia nostrana.

Dante è un personaggio abbastanza credibile, ha il suo caratteraccio burbero fiorentino, ha la sua innata logica che gli fa elucubrare attentamente ogni indizio, c'è la Firenze medievale in cui alti magnati, popolino, osti e beoni si mischiano e fanno parte della stessa "commedia umana". E poi ci sono i delitti e l'ingiustizia di non avere giustizia per i morti e soprattutto se questi hanno indicazioni più o meno politiche. E tutto è politico nella Firenze 1300.
Il tutto è fluido, scritto con stile scorrevole e apprezzabile; anche il tentativo di un percorso dentro la città (forse poco tarato su quella Firenze...).
Il contenuto è medio (proprio per lo sfruttamento eccessivo del genere, al cui indirizzo generale Leoni si conforma senza troppa innovazione.
La piacevolezza c'è, invece. Probabilmente l'autore si sarà divertito a scrivere, cosa che rende curiosamente fruibile la storia.

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Leoni, Camilleri, i giallisti italiani e internazionali, Dante...
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Romanzi
 
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    17 Marzo, 2013
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Un libro interrotto...

La letteratura è letteratura, la religione religione. Tuttavia se la letteratura tratta di religione deve essere all'altezza di farlo, altrimenti meglio desista all'inizio. Si rischia una brutta figura.
Ed è quello che a mio giudizio è capitato a Saramago. Ho iniziato la lettura di questo libro spronato da un amico e curioso di sapere come un autore laico trattasse il tema.
La trama segue i Vangeli ma li tradisce condendo di particolari "miracolosi" (ricordo l'episodio di una scodella che in mano di Gesù si illumina) che non hanno nulla di miracoloso in sé e particolari che non aiutano la vicenda ma la rallentano.
Se l'obiettivo dello scrittore era quello di descrivere la sofferenza umana dell'uomo Gesù, non credo che ci sia riuscito.
Anche la solitudine provata da Gesù al momento della morte risponde quasi più ad un uomo che duole senza senso nemmeno rispondendo alla sua stessa esistenza che non ad una risposta reale (o almeno verosimile) rispetto al fatto che quest'uomo così solo è frutto di una invenzione di penna.
Figura non riuscita. Vangeli traditi. Gesù non abbastanza spiegato, anche se solo come uomo.
Libro non riuscito.
E torno a ribadire, la letteratura è letteratura, la religione religione.

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Racconti
 
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    14 Marzo, 2013
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Le radici del mito nell'animo di ogni uomo...

Libro eccezionale di un autore eccezionale. Cesare, in quest'opera, trova quello che ha sempre cercato. Il suo dialogo con le figure della classicità, ninfe, eroi antichi, miti e figure mitologiche, dimostra la grande conoscenza e il grande amore per la storia antica (greco-romana) ma anche l'intensità della riflessione filosofica del Novecento con un marcato bisogno di capire le radici dell'essere umano che proprio il dialogo con Leucò potrebbe svelare. Comunque è un libro che o semplifica certi passaggi mentali o li drammatizza. Indifferenti non lascerà nessuno, la loro portata è veramente stravolgente. Da leggere assolutamente!!!

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Tutti gli autori del Primo Novecento (se non altro per rilevare il "contrasto") e in particolare Pasolini (per rilevare l'affinità di laico affascinato dalla fede - come teologia e filosofia, come Vangelo, come messaggio) - e non dall'Istituzione).
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Poesia italiana
 
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    25 Febbraio, 2013
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La parola a chi non ha voce!

I Sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli sono un capolavoro poetico eccezionale. Il loro respiro, che parte dai rioni vecchi, dai vicoli scuri della città papalina di metà Ottocento, arieggia fino a disquisire di morale, leggi, teologia e bibbia e delle cose del mondo in genere.

Belli ci trasporta in una Roma in cui il Papa , i cardinali, i nobili, i paini, le mignotte, le serve, le padrone eccetera, sono sì diversi per carattere e per costumi, ma appartengono tutti all'unica commedia umana della vita sullo sfondo entusiasmante della Città Eterna.

Il personaggio narrante è un "io popolare", com'era Belli, nato in una umile casa alle spalle di Largo Argentina e nei pressi di Piazza Navona, da una famiglia fedele al Papa.
E sebbene egli dia voce ai popolani, al popolo di Roma, erede di una ricchezza linguistica databile a molto tempo prima, continuatore di atteggiamento da rugantino degni degli antichi romani, nonostante tutto è un popolo succube e rassegnato, cinico e utilitarista, anche se non domo e non piegato. Alla fine, l'ultima parola è la sua. La parola di Pasquino, il gusto della battuta.
Nei versi di Belli rivive quella Roma e sembrerà, al lettore, di trovarsi in mezzo alle battute salaci dei popolani che commentano come passa le giornate il Papa, quale sia il vizio di quella nobildonna o cosa rincresce a quel tale... Tutto nel teatro belliano di maschere che se allegre sono smargiasse e volgari ma sincere, se tristi sono pessimiste (come l'autore- si pensi a Er caffettiere filosofo o La fine der monno) ma dense anche di un'autentica fede religiosa che si poggia saldamente (e al di là delle vulgate superstiziose dei popolani e delle ribalderie incivili della Curia) al Cielo.

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Straconsigliato a chi ami la letteratura dialettale e la romanità, Trilussa, Porta...
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Classici
 
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    17 Febbraio, 2013
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Perché abbiamo bisogno di Giacomo (e dei classici)


Uno dei più grandi poeti della letteratura mondiale, nato e vissuto in una Italia in pieno fermento rivoluzionario-primorisorgimentale, non è stato capito dai contemporanei ed è stato "usato" da parte dei posteri.

Leggere le "Operette morali" ci impegnerà forse un poco per la sintassi a volte obsoleta (ma per i tempi elegantissima) per i riferimenti colti e per la sottile ironia (che diverte!) ma questa lettura ci lascia il sentimento di un uomo che cerca di calcolare una realtà sempre più complessa.
Leopardi, nelle Operette cerca appunto quella "morale" di cui ritiene che il mondo sia privo. O meglio, la "morale" c'era ma era falsa e falsificata da alcuni potere forti (i vari signori, il Papato, chi deteneva le redini della letteratura a livello sovrastatale - l'Italia era ancora divisa in tanti Stati!).

Vi consiglio di leggerle, queste Operette davvero simpatiche. Scherniscono un certo perbenismo. Ne ha per tutti, Giacomo. Per tutti coloro che fingono!
Ne uscirà un ritratto senza tempo dell'ipocrita frastornata e del vero sapiente (colui che ha la morale) che riesce a capire l'incomprensibile mondo di allora e di oggi.

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Tutta la poesia a lui precedente, specie Dante e Petrarca, e alcuni della successiva che a lui si ispirano come Ungaretti, Pavese, Pasolini (ma verrebbe chiedere, chi non si ispira ancora oggi a Leopardi?).
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    13 Febbraio, 2013
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Il capolavoro che spiega la "conversione"

La Vita Nova è la straordinaria opera in cui Dante racconta la storia dell'amore della sua vita (di un amore cortese, platonico., fatto di sguardi e di desiderio di un semplice saluto). Beatrice, poi una delle donne più belle di Firenze, è solo una bambina quando Dante se ne innamora. Sente che qualcosa in lui cambia. Il mondo non è lo stesso da quando sa di lei, della sua esistenza. Certo, egli coniuga la crescita anche con fatti personali (a cui accenna lievemente) e si impegna per essere riconosciuto un buon poeta, ma rincontrare Beatrice accende in lui il dolce desiderio di amore. I fatti che seguono, l'intrecciarsi delle vicende, il complicamento delle relazioni, provocano in Dante uno sconcertant e drastico smarrimento. Sino al finale, di portata universale per lo stile e per la dolcezza con cui il poeta delinea lo scandire degli eventi. Un libro imperdibile, di un fiorentino intelligibile e sicuramente una pietra miliare tra tutti i libri sull'amore!

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Tolstoj, Pavese, Levi...
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Religione e spiritualità
 
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vitolorenzodioguardi Opinione inserita da vitolorenzodioguardi    27 Gennaio, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

LA CREATURA E IL CREATORE

Libro splendido splendido. Un'anima scopre Dio e lo scrive. Il linguaggio è fluido e naturale, la successione delle immagini è un viaggio nel mare dei ricordi. Lo spannung si tocca quando Agostino ricorda i suoi errori che gli facevano vivere una vita di morte.
La bellezza della scoperta di essere una creatura, una creatura amata dal Creatore è una delle poche letture universali, senza tempo e spazio, che vi prenderà lo stomaco, vi farà pulsare il cuore e vi farà combattere una strenua battaglia con le lacrime.

Una delle letture da non perdere. Non solo e non tanto per i credenti in Dio, ma per coloro che dicono di credere e in cuor loro non lo fanno e per chi non crede. Potrebbe essere interessante scoprire tante risposte vere alle tante domande che nelle "vulgate" "vox populi" affollano i nostri frettolosi e sbrigativi discorsi moderni.

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Cerca un rapporto con Dio, cerca un rapporto con sé stesso e per chi legge molta filosofia.
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