Opinione scritta da miumiu
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Tre morti in culla per Publio Aurelio Stazio
Anche stavolta Danila Comasti Montanari non delude. La narrazione scorre vivace, con alcuni colpi di scena, ed è caratterizzata dall'ironia dell'autrice che riesce a rendere simpatici i suoi personaggi, a cui il lettore si affeziona romanzo dopo romanzo. La trama del giallo si snoda in uno scenario storico ben ricostruito ma senza mai cadere nella pedanteria: leggendo i romanzi della scittice si ha l'impressione di camminare per le strade di Roma osservandone la vita quotidiana.
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"Il Gattopardo dei poveri"
Il romanzo è ambientato nel Molise negli anni in cui si compie l’unità d’Italia. Scritto da un intellettuale di origine contadina, è un romanzo interessante perché offre il punto di vista delle plebi meridionali a proposito del processo di unificazione, è stato definito infatti “Il Gattopardo dei poveri” perché, rispetto al romanzo di Tomasi di Lampedusa, mostra l’altra faccia della medaglia.
Il protagonista è don Matteo Tridone, un prete di campagna che condivide la vita di stenti dei contadini. Egli lavora d’inverno nel convitto di don Giovannino de Risio, appartenente alla famiglia di possidenti più in vista di Guardialfiera. Il suo pupillo è Pietro Veleno, contadino e tuttofare dei de Risio, innamorato da sempre e ricambiato di Antonietta, la figlia dei padroni, senza che questo amore possa sbocciare apertamente per le differnze di classe sociale fra i due giovani.
La prima parte del romanzo ha un andamento narrativo molto lento, adatto a rappresentare la staticità di un mondo, quello del Molise antico, legato alle tradizioni e caratterizzato dall’immobilità sociale. Questo equilibrio viene improvvisamente spezzato dall’ingresso della storia: “un certo Gariobaldo”, come annota don Matteo sul suo taccuino, con la spedizione dei Mille mette in moto un processo che in breve muterà radicalmente questo mondo. Nella seconda parte della vicenda, i fatti si susseguono rapidamente: Pietro si troverà così, contro la sua volontà, a diventare un brigante. Del finale, non scontato, è meglio non parlare in questa sede per non rovinare il piacere della lettura.
Una curiosità: il titolo non è riferito ad un personaggio del libro, come si potrebbe pensare, ma deriva dai versi di un canto popolare molisano che l’autore pone come epigrafe al romanzo: «O tiempo da Gnora Ava / nu viecchio imperatore / a morte condannava / chi faceva a'mmore».
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La poesia della luce
La poesia del Paradiso è particolare, lo stile si eleva e diventa estremamente complesso perché l'autore seguiva il principio medievale secondo cui lo stile deve adeguarsi all'argomento... e quale argomento è più elevato del mondo dei beati?
Se, però, si riesce a superare la difficoltà recata dallo stile si è davvero "trasportati" in Paradiso... la luce, diafana nei primi cieli, diventa sempre più splendente, forma distese fiorite, fiumi, immagini. La terra è lontana ma, attraverso le vicende delle anime, appare sullo sfondo. Gli ultimi canti, poi, sono dedicati a descrivere l'inesprimibile... il poeta stesso ammette che le sue forze non sono sufficienti a compiere "il volo" richiesto ma proprio in questo sforzo letteralmente "sovrumano" sta la grandezza del poeta che si è cimentato con una materia tanto sublime.
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