Opinione scritta da gcavalca

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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    26 Settembre, 2012
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Mi ha tolto il fiato

In alcuni punti questo libro mi ha veramente tolto il fiato.
Varrebbe la pena leggerlo solo per le ultime pagine, se non fosse che tutto il racconto è coinvolgente, appassionato, sincero, a tratti riflessivo.
Mai usati tanti aggettivi per descrivere un libro.
L’idea di raccontare qualcosa che “è esistita dal momento che ha iniziato a farla” è già di per sé interessante ma la maniera di svolgerla che ha Baricco diventa entusiasmante.
Pensavo il protagonista fosse Mr. Gwyn, poi ho scoperto che quasi ogni personaggio lo diventava finché non è arrivata Rebecca, poi la ragazza cattiva, ed infine l’artigiano di Camden Town.
Senza dimenticare Tom, Lottie, David e la sua musica, Caterina de’ Medici, vari autori di libri e tutti gli altri che passando nella storia la compongono, non ne fanno parte.
La vera rivelazione l’ho però avuta a pagina 154, sulle 158 del libro, quando il vecchietto pone una semplice, sincera domanda: “Come faceva?”.
Sul cosa facesse Mr. Gwyn e soprattutto su come lo facesse e su cosa ha risposto Rebecca lascio ovviamente alla vostra curiosità di scoprirlo.

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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    31 Agosto, 2012
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Balharà (Patrizia Argento)

La signora Pina Barone è veramente un personaggio imperdibile. Il suo rientro a Palermo, al Ballarò, è tumultuoso: un incendio, i vicini in vacanza ed infine il ritrovamento di un bambino, pardon, di una bambina.
Tutto il romanzo ci parla di una realtà vissuta appieno, la descrizione non solo toponomastica del quartiere, dei suoi abitanti, anche quelli assenti, delle sue ricette, delle vicissitudini della protagonista che emergono chiaramente all’interno del racconto, le figure apparentemente secondarie che definiscono sempre meglio il tutto.
La storia è avvincente nella sua assoluta improbabilità… una bella signora che trova una bambina, la veste, la accudisce e cerca i genitori insieme ai suoi vicini e conoscenti senza mai far intervenire istituzioni, assistenti sociali, polizia… sembra di vivere negli anni ’70 ma tutto è perfettamente coerente e assolutamente realistico.
E più si va avanti a leggere più le cose si ingarbugliano, sia per la signora Pina che per Yo-yo, la piccola trovatella. E non solo perché non si trovano i genitori ma anche perché la protagonista non sa decidersi tra un amore ormai concluso con il marito morto vent’anni prima e il nuovo fuoco che sente dentro quando parla o pensa a Stefano.

E poi ci sono le elezioni, che sembrano più una scocciatura, un pensiero molesto ma che alla fine…
Meglio che leggiate voi il libro, per conoscere un po’ Palermo e per divertirsi un po’.

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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    27 Agosto, 2012
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Per caso.

Talvolta una serie di avvenimenti, di circostanze ti portano per caso in situazioni che mai avresti immaginato.
Così, per caso, sono stato consigliato nella lettura di questo romanzo di Roberto Costantini.
Che, sempre per caso, ho scoperto essere il primo di una trilogia ancora da pubblicare.
E tutto sembra accadere per caso in una trama avvincente, coinvolgente e complessa come un vero giallo dovrebbe essere.
Sembra, ancora per caso, che i campionati mondiali di calcio siano il fil-rouge della vita professionale e non del commissario Michele Balistreri.
Quel campionato del 1982 che noi ultraquarantenni conserviamo felicemente insieme ai ricordi della nostra adolescenza, quello del 2006 che abbiamo fresco nella memoria eppure già lontano nel tempo.
Un commissario anch’egli giovane e arrogante nel primo terribile caso di omicidio di una bellissima ragazza romana e molto maturo, disilluso nel secondo.
Peraltro nel 2006 il caso è, o sembra, più complesso, ricco di risvolti inquietanti e di trappole che possono anche costare caro.
Di sicuro è un libro che non ti porta a simpatizzare per il protagonista o per i suoi collaboratori, cinico e amareggiato il primo, poco empatici gli altri.
Comunque personaggi molto ben definiti che sembrano uscire da una realtà romana dura e difficile dei nostri giorni ma che hanno radici in un passato lontano.
E il passato sembra sempre presente al commissario, coi suoi oscuri ricordi degli anni ’70, con i suoi collegamenti a personaggi e apparati misteriosi, coi suoi brutti rimpianti e le sue non perdonate colpe.
E ancora il caso lo porta a conoscenze e situazioni imprevedibili che si trascineranno per ventiquattro anni.
Il tempo di vincere un altro mondiale. E di risolvere vecchi sensi di colpa.
Un libro avvincente, anche se a tratti un po’ lento e talvolta poco credibile, che si legge d’un fiato. Meglio due.

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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    10 Ottobre, 2011
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Parma è in Liguria?

Anche questa volta le ambientazioni di Varesi sono fredde e nebbiose come solo la “bassa” può esserlo. Il Commissario Soneri sembra voglia insegnarci lo stradario di Parma tanto sono dettagliate le descrizioni dei suoi spostamenti in città e quelle dei suoi molteplici viaggi verso il mare. C’è una continua alternanza di atmosfere nebbiose della valle e di larghi spazi sul mare ligure. L’intreccio è, come sempre, originale e complesso ma lascia da subito intuire come il passato di questo “ribelle” degli anni ’70 si ripresenterà alla fine per chiedere il conto. Altro è il continuo rimuginio del protagonista su tempi andati, tradizioni scomparse, pessima edilizia e via discorrendo. Soneri è sempre più chiuso in un passato che talvolta non ha neanche vissuto ma sfrutta tutte le possibilità che il denigrato presente offre. Sempre intelligente e profondo nelle indagini per un omicidio che finisce per collegarsi ad un suicidio, diventa uno stereotipo quando cerca “i bei tempi andati” nella cucina, nelle case di Parma, persino sull’autostrada. Come stereotipati sembrano alcuni personaggi, il vecchio poliziotto fascista degli anni di piombo, il questore che vuole fare carriera tramite i media, i vecchi sessantottini che vivono ancorati al loro passato credendolo presente. Ovviamente è un libro da leggere, anche solo per smentire le mie impressioni.

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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    07 Ottobre, 2011
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Fredda Scandinavia

Ogni volta che leggo un autore scandinavo mi convinco sempre più che il mito delle società del nord Europa efficienti e “perfette” sia effettivamente solo un mito.
Non ha fatto eccezione questo bel romanzo di Anne Holt che nel raccontare dell’omicidio di una signora, il suicidio di un suo collaboratore, truffe e furti, ci racconta anche di come la società norvegese sia del tutto priva dei concetti di famiglia e radici così “naturali” per noi mediterranei.
Ogni personaggio sembra vivere in un mondo a sé dove le relazioni sono quasi esclusivamente di lavoro o di sesso, mai familiari.
L’unico figlio cresce con una madre “inadatta” e il sistema lo fagocita in un vortice di assistenza sociale, probabilmente le due parole più usate nel libro, case famiglia, insegnanti di sostegno e quant’altro.
Nessuno sembra avere una radice che lo mantenga in vita, ma è come una pianta che venga continuamente tagliata ed invasata altrove, continua a vivere e riprodursi ma non conosce le sue origini più vere e non ricorda da dove arrivi, presupposti per scegliere dove andare.
L’ispettore capo Hanne Wilhelmsen indaga su un omicidio apparentemente senza senso che rivela come ogni singolo personaggio coinvolto non sia quello che appare agli altri ma rivela ambiguità e vite segrete. A partire da lei stessa che nasconde agli altri la sua vita privata, alla sua compagna i suoi dubbi e a sé stessa la voglia di normalità, per passare alla vittima apparentemente irreprensibile, ai collaboratori ricchi di solitudine più dei ragazzi difficili che sono loro affidati, ai poliziotti con quattro figli ma mai realmente cresciuti, ai ragazzi stessi che nelle loro difficoltà sembrano i più normali frutti di una società che non è in grado di prevenire le loro insicurezze e tenta in tutti i modi di curarle.
Rivela anche un sistema giudiziario ricco di burocrazia e con uno scarso senso dell’autorità, in cui i cittadini sono rimborsati del taxi se convocati in una centrale di polizia ma vengono negate alle forze dell’ordine anche gli strumenti più normali, quali la macchina di servizio, per svolgere le indagini. In questo la Norvegia sembra più italiana di quanto si sospetti.

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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    27 Settembre, 2011
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Tra montagne e Parigi...

È uno strano Perissinotto questo, per chi come me conosceva il suo lato da giallista e per chi non lo ha mai neanche letto.
A partire dal tipo di narrazione che l’autore utilizza.
Giacomo Musso, maestro elementare, ci racconta, anzi si racconta, in un memoriale difensivo scritto dal braccio 6 di un carcere di massima sicurezza.
Sua moglie è morta e lui è in galera, così il suo avvocato gli chiede di scrivere una memoria difensiva che diventa la storia della sua vita con Shirin.
Shirin è sua moglie, iraniana di origine ma francese in tutto e per tutto, che diventa la vera protagonista di tutto il romanzo.
C’è l’amore, la difficoltà nel lavoro dei giovani italiani che li costringe ad andare all’estero, la multiculturalità di Parigi, il passato della Persia, gli estremisti di casa nostra che non sono solo gli islamici, la vita di un paesino di montagna e altro ancora nel racconto di chi sembra colpevole ma forse non lo è.
Molto intenso e “di pancia” prende il lettore fin dall’inizio e non lo molla fino alla fine inaspettata e forse crudele.
Introduce nella mente e nel cuore dei pensieri e delle emozioni che cerchiamo sempre di evitare. Forse per non soffrire troppo o forse per non pensare al futuro che lasceremo ai nostri figli.
È quindi la storia di un amore multietnico che stigmatizza la “tradizione” quando questa diventa solo banalità e paura dell’altro, anche se giunge talvolta a conclusioni che non condivido, come l’ateismo come forma di immunizzazione alla follia umana.

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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    20 Settembre, 2011
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Tenebre più che luci...

Tenebroso, nonostante il titolo, l’ultimo uscito di questo autore che in realtà è stato scritto tempo fa da Zafón.
Questo autore ha effettivamente iniziato a scrivere romanzi per ragazzi e ritengo che questo sia uno di quelli.
Cupo, buio, pieno di descrizioni ottocentesche sicuramente può affascinare e coinvolgere nell’intreccio, alla fine semplice e già letto, ma mi aspettavo di più dopo aver letto Marina.
Questo è il guaio con gli autori che diventano famosi, gli editori ripescano tutto quanto hanno scritto e lo presentano in maniera scoordinata e sicuramente non cronologica rispetto all’evoluzione dello scrittore.
Notoriamente invito sempre a leggere tutti di tutto e anche questa volta non farò eccezioni: leggete. Magari le sensazioni che può lasciarvi questo romanzo, ambientato nel 1937 in una Normandia calda e ricca di suggestioni, saranno intense e durature.
La famiglia Sauvelle e le loro storie di fantastici giocattoli, Doppelgänger, amori adolescenziali sbocciati e mai maturati, antiche storie e accenni alla futura terribile tragedia europea non mi hanno entusiasmato, ma tant’è…

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Marina
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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    14 Settembre, 2011
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Italia, Italia, dove sei?

Personalmente solo leggendo questo avvincente romanzo ho potuto approfondire questo pezzo di storia del novecento e comprendere perché la I Guerra Mondiale viene chiamata “La Grande Guerra”.
Attraverso le vicende umane e storiche di cinque famiglie l’autore riesce a raccontarci la Storia e soprattutto a trasmetterci quelle atmosfere e quelle sensazioni difficili da comprendere per noi: gente del XXI secolo.
L’appassionante trama intrecciata dei vari protagonisti, tedeschi, austriaci, inglesi, gallesi, americani e russi coinvolge il lettore e stupisce quanto l’Europa fosse più “internazionale” cento anni fa rispetto ad oggi.
I nazionalismi sono ancora di là da venire e si parla di Imperi trans-nazionali che comprendono diversi popoli e diverse culture. Territori che spaziano dalla Siberia alla Francia, passando per gli Ottomani e le colonie dell’Impero Britannico.
Non è il racconto storico ma quello di due generazioni: quella della fine del XIX secolo che trascinò il mondo in guerra e quella dei giovani del XX secolo che la guerra dovette combatterla in mezzo alle trincee ed ai gas tossici.
Significativa la frase con cui il conte Fitzherbert, aristocratico inglese, afferma che non torneranno più i tempi edoardiani in cui nei ricevimenti dei nobili venivano sprecati chili di cibarie e i valletti si appiattivano al muro al passaggio del conte.
La guerra non ha solo distrutto fisicamente un’intera generazione (16 milioni i morti tra militari e civili) ma ha distrutto un’epoca.
Il libro ce lo narra in maniera romanzata ma ricca di spunti storici come la rivendicazione delle “suffraggette” inglesi per il diritto di voto alle donne, la rivoluzione russa, la politica americana e la nascita della Società delle Nazioni, la condizione dei lavoratori gallesi e del popolo russo.
Unico neo è la completa assenza dell’Italia dal panorama europeo e mondiale, eppure c’eravamo già…

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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    08 Settembre, 2011
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Soneri va al freddo

Le scarpette di Sant’Ilario sono un dolce tipico di Parma.
Tipico come la nebbia, gli appennini gelidi e le atmosfere di Valerio Varesi e del suo commissario Soneri.
Lo spedisce al freddo di un paesino appenninico risalendo i torrenti e cercando cellulari nel bosco il commissario.
Leggendo sembra quasi di respirare il freddo di queste montagne e di assaporare le splendide immagine che ci regalano.
Il romanzo è un misto sensuale di odori, sapori, visioni, sensazioni e qualche punta di erotismo elegante e discreto.
Varesi è bravissimo nel suscitare sensazioni fisiche per avvilupparti in una trama intelligente e complessa.
Dimenticavo, in mezzo c’è un morto nel torrente Parma, della droga nei boschi, dei cinghiali che la sniffano, dei Fauni cristiani, carabinieri medici legali e scientifica quanto basta.
Buona lettura.

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La casa del Comandante
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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    18 Agosto, 2011
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"Cristo non è cultura" Carlo Bo

Sin dalla premessa Torno riporta la nota scommessa di Blaise Pascal (Pensée) non già al singolo individuo ma all’intera civiltà occidentale.
Perché scommettere su Cristo?
Questa domanda ci pone l’autore proprio all’inizio e non promette risposte né ricette facili ma dure riflessioni sulla Chiesa, sul mondo occidentale, sui filosofi e anche su noi stessi.
È un libro che lascia il segno, credenti o no che siamo, che ti induce a riflettere sui grandi temi e sulle domande fondamentali della vita.
È un invito a risvegliarsi, a prendere coscienza che la nostra civiltà è decadente nonostante la tecnologia.
Alcune frasi di questo volume ti restano addosso, non riesci a liquidarle, ti fanno riflettere e talvolta ti inducono a cercare di approfondire.
“C’è qualcuno che pensa alle riforme dello spirito e c’è chi vive, ma tra le due categorie manca un dialogo che possa rendere credibili certe trovate”.
“Il mondo antico scommise su Cristo e convertì i barbari, ovvero l’Occidente sopravvisse attraverso la forza della nuova fede quando le legioni romane furono distrutte”.
“Gesù annuncio il regno di Dio, poi venne la Chiesa” (Alfred Loisy).
“Lontano da noi ritenere che la fede ci impedisca di trovare o cercare la spiegazione razionale di quanto crediamo, dal momento che non potremmo neppure credere, se non avessimo un’anima razionale” (Sant’Agostino).
“Non stiamo credendo più a sufficienza nel Suo messaggio per ancorare di nuovo i nostri valori alla Sua rivelazione”.
“Lo stacco è la croce di Cristo, perché è una sfida alla ragione”.

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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    08 Agosto, 2011
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Uno strano Simenon

La signora Monde entra in commissariato “insieme a uno spiffero di aria gelida”.
Con questo grande incipit Georges Simenon ti porta immediatamente nelle sue atmosfere da grande romanzo.
M.me Monde non ci mette più di qualche minuto per descrivere l’accaduto, lo stesso che M. Monde ci regala per pagine e pagine di una Parigi bellissima ed eterna: “tutto veniva da un tempo remoto, da sempre”.
Eppure questo non è il Simenon che ti aspetti, niente omicidi, niente indagini, solo una grande fuga che è ricerca, che come tutte le ricerche tende a trovare anzi ritrovare qualcosa.
Rimanendo sospesi nella vita qualunque in un’oscillazione “che durava ore, un va e vieni dolce o brusco tra il vuoto verdastro del fondo e una superfice invisibile oltre la quale il mondo continuava a vivere”.

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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    05 Agosto, 2011
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Ma quanto è antipatica Imma Tataranni?

Protagonista di Come piante tra i sassi, bel romanzo di Mariolina Venezia che ha assorbito la mia attenzione nelle ultime due settimane.
Sempre dietro a pensare, con la sua memoria, attributo elefantiaco a detta dell’autrice, che sopperisce a una intelligenza non eccelsa, a una bellezza vista solo dal marito a letto, a una propensione alle relazioni sociali pari a quella dell’aglio, insomma proprio una che non ti piacerebbe conoscere.
Considerando poi che fa il sostituto procuratore della Repubblica direi che non è il caso di incontrarla.
Eppure ti coinvolge nella sua persecuzione di Maria Moliterni, moglie del prefetto e impiegata nella stessa procura, nel suo amore platonico (?) con l’appuntato Calogiuri, nella sua indifferenza alle convenzioni di una Matera bene che sua suocera rappresenta in pieno.
Le sue indagini personali su Malinterni sono fantasiose, costanti, fino al parossismo, fino al processo che probabilmente non avrà mai luogo.
E che dire del suo rapporto con la figlia pre-adolescente? Sempre in conflitto, sempre pronta allo scontro frontale, salvo poi pentirsi al primo accenno di un pericolo reale e relativa amnesia del pentimento un minuto dopo.
Non si tira mai indietro Immacolata, anche il nome è tipico in questo romanzo.
Del resto la stessa autrice aveva scritto verso la fine del suo primo libro Mille anni che sto qui, che solo uno della valle del Basento poteva pienamente comprendere il libro.
Vediamo quindi una Basilicata ricca di malaffare e colline paradisiache, di povertà e turismo nei Sassi, tutto molto reale.
Dell’indagine vera, dell’omicidio del ragazzo, dei rifiuti tossici, della ragazzina incinta, degli insabbiamenti non vi parlerò, per non farvi perdere il motivo principale della lettura. La curiosità.

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Mille anni che sto qui
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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    05 Agosto, 2011
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Maladéti i Zorzi-Vila!

E chi lo sapeva che esiste il Canale Mussolini?
Dei 150 anni della nostra storia quei venti sono conosciuti approssimativamente, anzi ideologicamente.
Conoscevo l’esistenza della bonifica delle Paludi Pontine e dell’esodo “cispadano” che vi era avvenuto ma Pennacchi ci regala una lezione di conoscenza storica impareggiabile.
Anche lui premette che se la famiglia Peruzzi avesse realmente vissuto quanto descritto nel libro sarebbe un clan degno delle migliori soap-opera anni “80.
In realtà il narratore, che dialoga tranquillamente col lettore, ci dispiega quasi un secolo di storia comune che poi fa la Storia.
Dalla Grande Guerra agli anni del boom economico i Peruzzi vivono la loro storia che diventa Storia d’Italia nei momenti più cruciali del nostro Paese.
Culture contadine che si tramandano, si tramutano e si adattano ai tempi, alle situazioni e alla geografia.
Dal “libertinismo” cispadano al “cattolicesimo” pontino passando per varie guerre e migrazioni, raccontando anche le figure maschili e femminili in una società che fino a qualche decennio fa era contadina e legata ai ritmi naturali.
Davvero impareggiabili anche le espressioni ed i commenti con cui il narratore infarcisce il suo filò, quasi sentisse le rimostranze che nascono dal lettore a volte sbalordito, a volte anche contrariato dal racconto stesso.
Bel libro, Maladéti i Zorzi-Vila, da leggere per conoscere un po’ come siamo stati prima del “benessere” e forse per capire perché “ciascuno xa ghé i so’ razon”.

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gcavalca Opinione inserita da gcavalca    05 Agosto, 2011
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Infanzia siciliana

Mi parsi di turnari picciriddu e vidiri ma matri e ma zia.
Scusate, la mia sicilianità è rimasta molto colpita sin dalle primissime pagine di questo splendido libro che racconta dell’infanzia dell’autrice a Mosé, nei pressi di Agrigento.
Per un agrigentino come me, Mosé è una campagna conosciuta ma temo che per il resto del mondo sia solo il biblico estensore delle Tavole.
La stessa autrice ci racconta subito che il libro doveva essere la trascrizione delle ricette di nonna Maria in collaborazione con la sorella Chiara ma che poi è divenuto un tuffo nella sua infanzia ad Agrigento e soprattutto delle sue vacanze in campagna a Mosé, appunto.
E attraverso questi ricordi ci porta in un mondo, la Sicilia profonda del secondo dopoguerra, che ho trovato molto simile a quello della Sicilia profonda degli anni ’70 del secolo scorso che io ho vissuto.
Forse con qualche macchina in più, ma con gli stessi viddani e gli stessi paesaggi arsi degli uliveti saraceni e dei campi bruciati, degli odori forti della cucina e dei sapori di dolci e pietanze quasi dimenticate.
Infine vengono effettivamente descritte, da Chiara, le ricette della famiglia Agnello e anche questa parte ti trascina in atmosfere lontane, quasi esotiche nella loro normalità.
Del resto chi mangia più la salsa di pomodoro in almeno cinque modi diversi?
Ancora una volta vi consiglio di leggere, magari siete lombardi, pugliesi, trentini o molisani ma tutti ricorderete il cibo della vostra infanzia che in fondo resta più piacevole nel ricordo che nella realtà di allora.
Salutammu.

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