Opinione scritta da Francescoroma73
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"Gente di Dublino" di James Joyce
Le storie narrate da Joyce sono di un innegabile realismo, ambientate nella Dublino di oltre cent’anni fa. Uno stile che coniuga perfettamente la fluidità a descrizioni molto dettagliate, ricche di particolari dai quali si evince chiaramente la straordinaria capacità verbale dello scrittore irlandese. Personaggi ingessati nella loro stretta realtà, in contesti immoti, provano a fuggire. In maniera forse goffa, poco convinta e questo li conduce al fallimento. Non c’è tempo per una spiccata empatia, i racconti sono concisi. Joyce vuole porre l’accento sul perbenismo imperante al quale contrappone figure che debolmente provano a uscire da questa logica, a volte anche con comportamenti smaccatamente sbagliati o viziosi (ricorrente il tema dell’alcool). Non è moralista o fustigatore l’autore, non commenta in prima persona, lascia al lettore l’interpretazione nell’alternanza tra discorso indiretto e diretto. Il racconto che chiude l’opera è un capolavoro d’intensità e il film ispirato ad esso ne prova il suo contenuto altamente emozionale
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“Pantaleón e le visitatrici”, M. Vargas Llosa
“Pantaleón e le visitatrici” è diventato inevitabilmente un film grazie alla sua storia intensa e colorata. Il tratto di Vargas Llosa è scorrevole. Particolare il suo descrivere azioni prolungate nel tempo proiettandole nel futuro (o, chissà, anche nel passato) spezzando contemporaneamente dialoghi. Gli stessi dialoghi che, senza alcuna chiosa, si sovrappongono quasi a voler già preconizzare scene cinematografiche sincopate.
Il racconto è datato 1973 e l’autore lo ambienta nell’Amazzonia dove sono stanziati i soldati peruviani. Il progetto di dotare l’esercito di un servizio di prostituzione (appunto, le visitatrici) per limitare gli stupri dei militari nei villaggi viene affidato al super ligio capitano Pantoja, il quale si trasferisce con la moglie e la madre ad Iquitos. Pantoja prende tutto estremamente sul serio come suo solito e da vero militare e, a testa bassa, organizza un servizio sempre più efficiente con strumenti e reclutamenti che crescono continuamente. Schedari, report, rapporti dettagliati, volontà di migliorare il servizio, preoccupazioni continue sono la prova del suo impegno costante e irreprensibile. Il capitano è un esempio di lavoratore, è costretto suo malgrado a nascondere la sua identità alla popolazione locale e lo scopo della missione alla disorientata moglie. Diventa in pochi mesi un esperto postribolare e si cala perfettamente nella realtà perdendosi nel vortice della carne per eccesso di zelo. Il suo duro lavoro, tra i ricatti della stampa locale e le pruderie di un popolo distratto peraltro da una setta pseudocristiana, viene ripagato con l’addio della moglie che si porta dietro la piccola creatura nata nel frattempo e dallo sganciamento di responsabilità da parte dei vertici militari, spaventati dall’efficienza del servizio delle visitatrici e dalla pressione delle popolazioni locali. La sola Brasiliana rimane a consolare fisicamente Pantoja, confortato a casa dall’amore materno, ma ormai abbandonato dal resto del mondo. Lui, così obbediente e lavoratore. Una missione che sfugge di mano e che attende soltanto il pretesto per essere cancellata
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"La leggenda di San Giuliano Ospitaliere" di Gusta
L’eccezionalità de “La leggenda di San Giuliano Ospitaliere” sta nello stile scorrevole ma dal lessico ricercato che conferisce una straordinaria eleganza al racconto che fa parte di una trilogia. Flaubert pensò molto a questa opera dove è racchiusa una leggenda, appunto, di un santo venerato ancor oggi soprattutto a Macerata. Un uomo spietato con tutte le armi, massacratore di animali e, nella foga, anche dei suoi genitori. Colpisce la sua voglia di avere in sé l’odore di belva, sopita dalla moglie, ma da essa involontariamente risvegliata con la ripresa di una tragica battuta di caccia che lo trascina negli inferi di una predizione terribile del cervo ferito. Quello che pagherà successivamente Giuliano verrà prima ingigantito e poi santificato da una figura dell’Eterno nel contesto di un congiungimento talmente fisico da sorprendere il lettore commuovendolo come non accade spesso. L’effetto è veramente dirompente come è assoluta la dicotomia del personaggio che però, oltre all’autorità del condottiero ha anche la forza interiore di un santo con la sua capacità di redenzione che lo porta a obbedire agli ordini del lebbroso divino. Basato su tre premonizioni il racconto contiene un vigore che lo fa vivere totalmente in apnea recando un immenso godimento
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"Oblomov" di Ivan Aleksandrovi? Gon?arov
In un’era post ideologica gli –ismi vengono guardati con sospetto se non additati quali nemici della civiltà. L’-ismo creato per il protagonista di questo romanzo contiene una connotazione fortemente negativa: “oblomovismo”. Racchiude in sé la caratteristica che condurrà dritto alla rovina Oblomov, l’inazione, che da sola annullerà persino la sua riconosciuta bontà da colombella. Una trascuratezza abbinata a una solitudine e a un abbandono al destino che punisce inesorabilmente gli inattivi anche se dotati di una inusitata rettitudine. Oblomov si solleva con l’amicizia e con l’amore, ma vede il baratro non appena giunge una difficoltà o accusa periodi di malinconia, di insicurezza, pressato dalle incombenze che lo travolgono a causa della sua incapacità di gestione soprattutto materiale. Lo squisito Stolz e la bellissima Olga riusciranno solo parzialmente a destarlo dal suo torpore che tra servitù rozza ma fedelissima come quella di Zachar o amore cieco come quello di Agafja lo accompagnerà verso una fine tragica e ineluttabile. Ci vuole la maestria del miglior Gon?arov per trasformare un personaggio per un terzo del romanzo irritante come Oblomov nell’amabile quanto debole protagonista in un mondo che lo soverchia con le sue scadenze, lo illude con passioni insostenibili, lo abbindola con scaltri truffatori. E lui, immutabile, con una vivacità ostaggio dello stimolo esterno che tirerà fuori la sua sostanza sicuramente apprezzata dal lettore e gli consentirà anche sprazzi di felicità in un quadro generale decisamente fosco. La campana di vetro di Il'ja Il'i? viene scossa soltanto dalle persone amate, mai da opportunismo, profitto (e ne avrebbe di possibilità con la tenuta di Oblomovka, tristemente trascurata), situazione sociale. Troverà pace apparente nel rapporto con Agafja, ma pagherà il prezzo di una vita buttata
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I Savoia
Quanti direbbero che i Savoia durarono quasi mille anni come dinastia? Sicuramente pochi tra coloro che non abbiano approfondito la loro storia. Gianni Oliva con il suo “I Savoia. Novecento anni di una dinastia” ce ne offre un’ampia possibilità partendo dalle loro origini, forse un po’ romanzate con il capostipite Umberto Biancamano. Prima conti, poi duchi e infine Re con il Regno di Sardegna e poi quello d’Italia. “Dei Savoia si può scrivere tutto e il contrario di tutto” esordisce giustamente l’opera. Certamente l’introduzione non narra gli episodi più edificanti dei Savoia trattando il periodo che va dall’abdicazione di Vittorio Emanuele III alla fuga di Umberto II, pagine indecorose di una storia che ha saputo per forza regalare anche spunti di dignità nei secoli. Il controllo del Moncenisio e del San Bernardo regalarono le prime fette di potere nel territorio da parte dei Savoia. Per secoli riuscirono, tra espansioni e contrazioni, a governare territori che mutavano a seconda della potenza dominante,ora la Francia, ora la Spagna, ora l’Austria. Non si contano le alleanze stipulate e tradite, un vizio che poi tramandarono alla stessa Italia unita che contribuirono fortemente a formare malgrado questo non fosse l’interesse primario che rimase sempre la conservazione della monarchia compreso il drammatico ventennio fascista, digerito sacrificando il popolo italiano alla propria esistenza
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Commento
L’impressione che proviene dalle descrizioni dettagliate di Zola del mercato parigino è quella di trovarcisi completamente immersi. Un viaggio tra colori, odori, sapori, un percorso vivo, traboccante, grasso e tremendamente vero. Un cuore pulsante che lo scrittore chiama “ventre”, termine che si fonde con la rotondità delle donne, autentiche protagoniste di una storia che passa spesso in secondo piano rispetto alle minuziosissime informazioni sui cibi in grado di stendere per sfinimento gli animi più bulimici. In fondo è una donna a raccattare per strada il redivivo Florent conducendolo al mercato, una donna a rimetterlo in sesto e una serie di donne in combutta e disposte addirittura a rappacificare vecchi conflitti e rancori a restituirgli il suo destino. Nel frattempo sgangherati tentativi rivoluzionari si agitano contro i mulini a vento di un mondo egoista, geloso, pettegolo, conservatore e ipocrita. “Che canaglia, la gente onesta!” chiude il magnifico romanzo in maniera gloriosa e in un contesto che definire di sazietà significa utilizzare un eufemismo piuttosto azzardato. La contrapposizione tra l’allampanato Florent e l’adipe della bella Lisa e della bella Normanna è una metafora semplice quanto calzante del trionfo dell’individualismo sulle idee. Il grasso dei cibi, associato con le fattezze di chi ne fa incetta, è il vero vincitore, visto in un contesto che lo esalta senza pensare alle sue conseguenze a lungo termine, ma soltanto alla bellezza della carne abbondante. E’ proprio tra sanguinacci e insaccati che M. Quenu troverà la forza di sopportare l’addio definitivo del fratello idealista
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La disobbedienza civile
Una delle pietre miliari del pensiero politico quella di Henry David Thoreau il quale senza mezzi termini invita alla disobbedienza civile. Nella realtà americana ancora immersa nello schiavismo e nelle guerre di conquista lo scritto spiega perché lo Stato debba limitare al minimo il suo intervento sulla società. Senza arrivare sulle posizioni degli anarchici o degli utopisti Thoreau immagina uno Stato ultraleggero, quasi invisibile, senza mai parlare di sua futura estinzione, ma con la sola grande prospettiva di diventare migliore. Ma da subito e non aspettando che arrivi il momento come fanno i riformisti i quali nel frattempo si adeguano al sistema. Al governo della maggioranza propone quello della coscienza con forme di lotta che contemplano anche lo sciopero fiscale a costo di andare in prigione. Perché con uno Stato simile è meglio stare in prigione. Posizioni senz’altro radicali e critiche nei confronti di una democrazia incompiuta. Tra citazioni evangeliche e cattivi esempi di politici conservatori Thoreau afferma di non ritenersi migliore degli altri e di trovarsi in una minoranza che però se lotta compatta può diventare irresistibile. E’ una chiamata alla lotta, alla resistenza attiva contro chi crede che si possa cambiare con il solo esercizio del voto o esaltando la virtù guardandosi bene dal diventare virtuoso. Lo Stato dovrà arrivare a trattare i cittadini nello stesso modo in cui si tratta un vicino. Un pensiero che ha ispirato e che mantiene intatta la forza del suo messaggio
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Opinione sull'opera
Il breve romanzo che anticipa i suoi capolavori trae spunto dal tardo spegnersi del giorno a Pietroburgo dove è ambientato. E’ in queste quattro notti che il protagonista sogna, s’illude e poi torna nel suo torpore dove tutto gli appare più vecchio compresa la sua stessa immagine. Alcuni tratti dell’impiegato – altro classico del romanzo russo – ricordano l’ingenuità de “L’idiota”. La sua emozione è simile a quella “innocente” di un bimbo che scopre la passione nella tristezza e la dolcezza di una donna, la sostiene nei suoi affari di cuore pur essendone innamorato. Il suo puro cuore – onnipresente e inevitabile ridondanza in un racconto d’amore - colpisce quello confuso della bella Nasten’ka (del protagonista il nome resterà un mistero), affascinata dalla timidezza (“vi dirò che alle donne piace una timidezza così; e se volete saperne di più, vi dirò che anche a me piace”) e le premure del suo cavaliere. Ma Nasten’ka è in attesa del ritorno del suo vero cavaliere che la fa attendere. Nel momento in cui la corda pare spezzarsi il suo uomo ricompare improvvisamente e l’immagine della sua mano che si divincola dal nostro eroe è quasi lirica come l’ulteriore passaggio con il bacio “forte, con passione”. In fondo il protagonista trova anche sostegno da questa avventura unica nella sua vita lodando il suo minuto di beatitudine, di certo più romantico del famoso “quarto d’ora di notorietà”
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