Opinione scritta da serena...mente
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assaggio...
"....l’uomo curvo sulla sua motocicletta è tutto concentrato sull’attimo presente del suo volo; egli si aggrappa ad un frammento di tempo scisso dal passato come dal futuro.; si è sottratto alla continuità del tempo; è fuori del tempo; in altre parole, è in uno stato di estasi; in tale stato non sa niente della sua età, niente di sua moglie, niente dei suoi figli, niente dei suoi guai, e di conseguenza non ha paura, poiché l’origine della paura è nel futuro, e chi si è affrancato dal futuro non ha più nulla da temere.La velocità è la forma di estasi che la rivoluzione tecnologica ha regalato all’uomo. A differenza del motociclista, l’uomo che corre a piedi è sempre presente al proprio corpo, costretto com’è a pensare continuamente alle vesciche, all’affanno; quando corre avverte il proprio peso e la propria età, ed è più che mai consapevole di se stesso e del tempo della sua vita. Ma quando l’uomo delega il potere di produrre velocità a una macchina, allora tutto cambia: il suo corpo è fuori gioco, e la velocità a cui si abbandona è incorporea, immateriale – velocità pura in sé e per sé, velocità-estasi. Strano connubio: la fredda impersonalità della tecnica e il fuoco dell’estasi."
sublime !
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Già letto...
Ho letto tutti i romanzi di Dan Brown e questo è stato l'ultimo. Che dire? La trama è avvincente,il linguaggio appropriato e scorrevole, ma "lo stampo" è sempre lo stesso.
Inoltre, a tratti, ho avuto l'impressione di leggere una "brutta versione" della biografia di Phil Zimmermann e della sua strepitosa invenzione del "Pretty Good Privacy"... ma nulla di più.
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Un po' Forrest Gump e un po' piccolo principe..
Ho letto questo libro questa sera con mia figlia. Leggendo "con i suoi occhi" mi sono lasciata incuriosire e affascinare da questo misterioso sig. Sommer che trascorre tutte le sue giornate camminando freneticamente senza mai fermarsi e senza mai parlare con nessuno ed ho provato subito simpatia per il bizzarro ragazzino un po' imbranato, incapace di andare in bicicletta, che adora arrampicarsi sugli alberi e che sogna di volare. Ma la parte migliore, quella in cui io e mia figlia abbiamo riso come se avessimo entrambe 10 anni, è quella in cui Süskind descrive una lezione di pianoforte con tanto di muco sul fa diesis (soprattutto perché abbiamo pensato all'insegnante di pianoforte di mia figlia che è giapponese e, per questo popolo, almeno per gli anziani è ancora abbastanza "strana" la nostra usanza di "soffiare il naso" in un fazzoletto e conservare il muco in una tasca...)
«Così suonammo Diabelli a quattro mani, la signorina Funkel muggendo a sinistra nel registro basso, e io con entrambe le mani all'unisono a destra in discanto. Per un certo tempo il tutto funzionò a meraviglia, mi sentivo sempre più sicuro e ringraziavo il buon Dio per aver creato il musicista Diabelli, e alla fine nel mio sollievo dimenticai che la sonatina era in sol maggiore e che quindi all'inizio era indicato in chiave il fa diesis, il che significava che non si poteva continuare a usare comodamente i tasti bianchi, ma che in determinati punti, senza ulteriori indicazioni nel testo musicale, bisognava toccare un tasto nero, giustappunto quel fa diesis che si trovava immediatamente sotto il sol. E quando il fa diesis apparve per la prima volta nella mia parte non lo riconobbi subito, mi spostai prontamente poco più in là e suonai un fa, cosa che, come ogni amante della musica capirà subito, produsse una sgradevole stonatura. «Tipico!» sbuffò la signorina Funkel smettendo di suonare. «Tipico! Alla prima difficoltà il signorino sceglie subito la strada sbagliata. Non hai gli occhi per vedere? Fa diesis! È indicato qui, grosso e chiaro! Tienilo a mente! Un'altra volta, da capo! Uno-due-tre-quattro...» Ancora oggi non riesco a spiegarmi del tutto come mai ripetei lo stesso errore. Probabilmente ero così teso nel cercare di non farlo che in ogni nota sospettavo un fa diesis, fin dall'inizio avrei voluto suonare solo fa diesis, dovevo veramente sforzarmi per non suonare fa diesis, non ancora fa diesis, non ancora... finché... sì, finché, arrivato al punto ben noto, suonai ancora il fa anziché il fa diesis. Di colpo la signorina Funkel divenne paonazza in viso e strillò: «Ma non è possibile! Fa diesis, ho detto, accidenti! Fa diesis! Non sai che cos'è un fa diesis, zuccone? Senti!» - peng, peng - e con la punta del dito indice, che dopo decenni di lezioni di pianoforte era diventata larga come una moneta da dieci pfenning, batté il tasto nero sotto il sol: «... Questo è un fa diesís!...» - peng, peng - «... Questo è...» E a questo punto dovette starnutire. Starnutì, si pulì rapidamente i baffi col succitato dito indice e batté il tasto ancora due o tre volte strillando: «Questo è un fa diesis, questo è un fa diesis...!» Quindi si tolse il fazzoletto dal polsino e si soffiò il naso. Ma io fissavo il fa diesis ed ero impallidito. Sull'estremità anteriore del tasto era appiccicato un grumo di muco fresco e vischioso della lunghezza di un'unghia e dello spessore quasi di una matita, vagamente vermiforme e di colore giallo-verdastro, che evidentemente proveniva dal naso della signorina, da dove per via dello starnuto era finito sui baffi, dai baffi, quando se li era puliti, era passato sull'indice, e dall'indice era approdato sul fa diesis. «Ancora una volta, da capo!» sentii ringhiare. «Uno-due-tre-quattro...» e ricominciammo a suonare. I trenta secondi seguenti si possono annoverare tra i più spaventosi della mia vita. Sentii che il sangue mi defluiva dalle guance e il sudore della paura mi saliva alla nuca. Mi si rizzarono i capelli in testa, le mie orecchie passarono dal caldo al freddo e infine si chiusero, come se fossero tappate. Non riuscivo neppure più a sentire la piacevole melodia di Anton Diabelli, che peraltro suonavo meccanicamente senza guardare le note; dopo la seconda ripetizione era come se le mie dita suonassero per conto proprio... Fissavo soltanto con gli occhi spalancati il sottile tasto nero sotto il sol, su cui era appiccicato il grumo di muco di Marie Luise Funkel... ancora sette battute, ancora sei... era impossibile premere il tasto senza finire in mezzo al grumo di muco... ancora cinque battute, ancora quattro... ma se non ci finivo dentro e suonavo il fa per la terza volta anziché il fa diesis, allora... ancora tre battute... o Dio misericordioso, compi un miracolo! Dì qualcosa! Fa' qualcosa! Squarcia la terra, fracassa il pianoforte! Fa' andare il tempo a ritroso, affinché non debba suonare questo fa diesis! ... ancora due battute e il buon Dio taceva e non faceva nulla. Ed ecco l'ultima terribile battuta, consisteva - lo ricordo ancora con precisione - di sei crome, che dal re scendono fino al fa diesis e con una semiminima terminavo sul sol al di sopra ... Come in un incubo infernale le mie dita barcollarono giù per questa scala cromatica, re-do-si-la-sol... "Adesso, fa diesis!" sentii gridare accanto a me... e io, in piena coscienza di quel che facevo, con totale disprezzo della morte suonai fa naturale. Ebbi appena il tempo di togliere le dita dal tasto che il coperchio della tastiera si richiuse con fragore e contemporaneamente la signorina Funkel balzò su accanto a me come un diavoletto a molla"
Eppure... Eppure questo è un libricino speciale, capace di far riflettere su come, col passare del tempo, riusciamo ad assuefarci a ogni stranezza, smettiamo di interrogarci, di domandarci il perché delle cose e ci disinteressiamo di tutte quelle persone che fanno parte, o hanno fatto parte della nostra vita, spesso condividendo con noi la nostra quotidianità. Semplicemente "smettiamo di vederle" pur continuando ad averle davanti...
Pensando ad un altro romanzo di Süskind, "profumo" non posso che ammire la grandezza di questo scrittore che riesce ad essere cinico, erotico, perverso e al tempo stesso così dolce, amabile e sensibile.
Colonna sonora gentilmente offerta da Lou Reed http://www.youtube.com/watch?v=WZ88oTITMoM
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pag 316: "non è mica detto che ....."
Veronesi aveva anche avvisato : "non è mica detto che si debba sempre capire tutto"
Certo, se l'avesse scritto a pag. 1 sarebbe stato meglio! Si perché, passino gli 11 inutili cadaveri (per i quali peraltro non si verrà mai a sapere né il nome dell'assassino né il movente degli omicidi) morti nello stesso giorno, alla stessa ora e in circostanze assurde come un soffocamento causato da una crosta di pane, l'esalazione di ossido di carbonio, una decapitazione da sciabola, un suicidio con arma da fuoco, un cancro, un'overdose di eroina, un bambino svuotato di tutti gli organi interni, una donna incinta sventrata, un uomo ferocemente violato e, cigliegina sulla torta, una donna che risulterà vittima delle zanne di uno squalo di una specie estinta da più di due secoli... dicevo, passi tutto questo, ma far interrogare addirittura un cavallo da un procuratore ... no, questo è troppo anche per me !!!!
"In particolare il procuratore capo Errera ha dato alla sua squadra il grottesco incarico di sottoporre all'attenzione dell'animale le foto segnaletiche dei più noti terroristi islamici del mondo, per verificare le sue reazioni alla vista di ognuno di essi." Insomma, per dirla sempre con parole dell'autore "A volte illudersi [e illudere il potenziale acquirente lettore]" ha la sua strategica importanza [per vendere e far soldi].... "
(Ma guarda ?!!! http://www.x-y.it/home.html )
p.s. E se tutto va bene scommetto che ci verrà propinato anche il film! La regia curata da Giovanni Veronesi, il fratellino e il candidato a migliore attore... il cavallo :)
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La matematica è un'arte creativa soggetta a regole
"L'ipotesi di Riemann è un enunciato matematico secondo cui è possibile decomporre i numeri primi in musica. Affermare che i numeri primi abbiano della musica in sé è un modo poetico di descrivere questo teorema matematico. Tuttavia, quella è una musica decisamente postmoderna"
E qui ci sta giusto giusto Stockhausen.... http://www.youtube.com/watch?v=3XfeWp2y1Lk
P.s non so se sia più difficile finire di leggere questo libro fino in fondo o ascoltare l'intero brano di Stockhausen...
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Avrebbe potuto essere un vero mattone, e invece...
Con questo romanzo Márai, attraverso la storia di un uomo ormai vecchio, che ha aspettato per più di quarant'anni il ritorno del suo più grande amico (e delle le sue risposte), ci parla di amicizia, di amore, di tradimento, di istinti ma soprattutto si rivela abile maestro nello svelare l'essenza dell'attesa in tutte le sue sfumature. Lo fa raccontando il dubbio che si insinua piano nelle anime e nei cuori come fa l'acqua sulla roccia fino a scavarla, descrivendo il rancore, che non si placa mai come la brace che continua ad ardere anche quando le fiamme si sono spente da tempo, rivelando il desiderio di verità, che non si esaurisce mai e la sete di vendetta che col tempo si attenua fino a placarsi. Il tempo. Il tempo che ci da modo di riflettere, ponderare, di dare il giusto peso e il giusto senso alle cose, alle parole dette, ai gesti compiuti,il tempo che da modo di cambiare opinioni, di lasciar sfumare sentimenti come il dolore e la rabbia che offuscano la mente e ci portano a prendere decisioni affrettate e spesso sbagliate, il tempo che ci da modo di ascoltarci dentro e di pensare ma non di dimenticare! Márai ci parla di quel tempo a cui noi non sappiamo più dare il giusto valore e dell'attesa, che questo mondo frenetico sa più nemmeno cosa sia.
Oggi tutto è immediato, a portata di mano, basta premere un tasto di un cellulare o di un computer e in un lampo puoi ordinare una maglietta dall'altra parte del mondo, fare una ricerca su internet sugli argomenti più improbabili senza dover passare ore a sfogliare libri, puoi volare in poche ore in un altro continente, o venderti la casa. Tutto questo senza perdere troppo tempo a pensare, e soprattutto senza nemmeno chiederci se è davvero questo ciò che vogliamo veramente. Márai mi ha fatto ripensare alle attese della mia infanzia, quella della notte di Natale, la più gioiosa che cominciavo mesi prima a pregustare, oppure quella di una lettera di risposta di qualche amico lontano o ancora l'attesa di quell'unico giorno al mese in cui si andava al cinema tutti insieme. Devo ammettere che anche questo insegnarmi l'attesa è l'ennesimo merito che devo riconoscere ai miei genitori. Si perché oggi, invece, siamo impazienti anche come genitori. Vogliamo far felici i nostri figli e lo vogliamo fare subito senza farli aspettare e così gli diamo tutto subito e gli togliamo il gusto dell'attesa o forse, ancora peggio, non proviamo e non sappiamo più nemmeno insegnargliela l'attesa. E questo è un vero peccato perché nell'attesa, tutto diventa " più grande", i desideri diventano più importanti e consapevoli, le percezioni si amplificano, le conoscenze si arricchiscono, nell'attesa non si soffoca, nell'attesa si vive.
Davvero un gran bel libro, da non far aspettare :)
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Sopravvalutato.
Come promesso ad un amico, mi sono riletta il piccolo principe, per la quinta volta. Perché ?!!!
Bella domanda... Una canzone di Jannacci diceva "per vedere di nascosto l'effetto che fa..."
Forse perché tutti lo additano come un capolavoro e io, io non ci riesco!
Però l'ho dovuto leggere cinque volte per capire il vero effetto che mi fa!
La prima volta lo lessi obbligata dalla professoressa di italiano delle scuole medie. Lo trovai "strano" e non lo compresi per niente.
La seconda volta alle superiori (stessa "fissa" della prof. di lettere), e mi sembrò così così..
La terza volta è stata "tutta colpa mia" e , dato che non mi aveva obbligato nessuno e mi dovevo pur giustificare, pensai che fosse un gran bel libro e che Saint- Exupèry fosse un genio.
La quarta volta cominciai a chiedermi cosa avesse fumato l'autore per riuscire a disegnare un elefante inghiottito da un boa...
E la quinta? Direi che finalmente ora posso dire "buona la quinta"
Adesso basta, è ufficiale: a me il piccolo principe sta sulle palle !!! E come fa a starti simpatico uno sgorbietto di pochi anni che pensa di sapere tutto lui e pretende di spiegare "ai grandi" come funziona la vita? E poi è troppo buono, troppo puro, troppo noioso.
Oh, l'ho detto, adesso mi sento meglio !
http://www.youtube.com/watch?v=C0TlHcQAbLg&feature=related
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