Opinione scritta da Marghe Cri

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    25 Giugno, 2013
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Un thriller duro

Un giallo che affronta un tema delicato in modo diretto e senza ipocrisie.
Bambini piccolissimi rapiti, violentati e uccisi nell'atmosfera buia e cupa di una cittadina scozzese nel pieno dell'inverno.
Stuart Mac Bride scrive un'opera prima di tutto rispetto, con prosa asciutta e soprattutto con la capacitá di gestire la trama fino all'ultima pagina, senza perdere ritmo nè tensione e conservando il mistero fino alla conclusione.
La soluzione alla fine arriva nei tempi giusti, senza accelerazioni o utili perdite di tempo.
Il personaggio principale, il sergente Logan McRae è l'eroe antieroe, uno qualsiasi, uno come noi, talvolta timido e confuso nei suoi rapporti con le donne ma analitico e freddo nella caccia al serial killer.
È un thriller duro, teso, violento. Ma bello nella sua crudezza.
Logan McRae ha la stoffa per diventare un personaggio con una lunga vita (letteraria).


[…]
Per lui le cose morte avevano sempre avuto qualcosa di speciale. La loro delicata freddezza. La loro pelle. L’odore pieno, dolciastro che emanavano nella putrefazione. Mentre tornavano a Dio.
La cosa che aveva in mano era morta da poco. Poche ore fa era stata piena di vita. Era stata felice. Era stata sporca e lurida e impura. Ma adesso era pura.
Delicatamente e con reverenza la sistemò sul mucchio delle altre cose. Cose che erano state tutte vive, che avevano gridato e giocato, sporche e luride e impure. Ma adesso stavano con Dio. Adesso avevano trovato la pace.
Chiuse gli occhi e respirò profondamente, immergendosi negli odori. Alcuni freschi, altri più robusti. Ma tutti piacevoli. Guardando benevolmente la sua collezione pensò: questo deve essere l’odore che ti circonda quando sei Dio. Questo deve essere l’odore che ti circonda quando sei in paradiso. Circondato dai morti.
[…]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    08 Giugno, 2013
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Disgustoso affascinante Black Pat

Da due anni Esther vive sola nella sua villetta. Da quando suo marito Michael non c’è più è come se il suo mondo si fosse ripiegato su se stesso, isolandola dagli amici e dalla gente.
Forse per necessità, forse solo per avere compagnia Esther decide di affittare l’ex studio di Michael e l’inquilino che si presenta alla porta ha l’aspetto di un grosso, enorme, cane nero.
Cammina su due zampe, parla e dichiara di chiamarsi Mr. Chartwell, per gli amici Black Pat..
È un animale puzzolente, invadente, maleducato e disgustoso, ma ha un suo fascino.
Esther, incuriosita dalla situazione impossibile ma reale, cede alla richiesta e per cinque giorni ospita in casa il cane nero, che in così poco tempo invade la sua casa e la sua vita, tentando di isolarla ancora di più dal mondo.
Il cane nero è la metafora che Winston Churchill utilizzava per indicare la depressione, malattia di cui ha sofferto per quasi tutta la vita e che gli ha portato via, nei suoi ultimi anni una figlia molto amata.
Mr. Chartwell vive con Esther, ma passa gran parte delle sue giornate a casa di Winston Churchill, perché questo è il suo impegno, la sua missione, il suo lavoro: mantenere e incrementare la depressione dei suoi “protetti”.
Così anche Winston Churchill diventa un personaggio importante della narrazione.
Esther in un primo momento non si rende conto del baratro che il cane le scava davanti ma, quando finalmente comincia a capire, si chiede se non sia più semplice lasciarsi andare nella palude immobile della depressione piuttosto che continuare a lottare per una vita che le sembra ormai priva di scopo.

La forza del romanzo sta proprio nel proporre l’orrore di una malattia così diffusa e difficile da combattere in una forma vivente orribile che invade spazi e pensieri, ma si presenta come il mare calmo cui abbandonarsi, l’amico che ti raccoglie fra le braccia e spiana il groviglio della solitudine che imprigiona l’anima, e nel suggerire che per perdersi sia necessaria la nostra complicità.

Lo stile è elegante, in corretto equilibrio fra descrizioni e dialoghi, anche se talvolta prende un tono eccentrico e inutilmente pomposo:
“Sul pianerottolo Howells le fece strada, i passi che ghermivano tratti di prezioso tappeto, verso lo studio.”
ma si tratta di pochi casi isolati.

Nel complesso un romanzo piacevole, a tratti surreale, che ben disegna i contorni dell’angoscia di chi rischia di precipitare nella depressione e di chi (Churchill) nella depressione ha vissuto per tutta la vita.


[…]
Black Pat stava parlando. “Credimi, è facile.” Glielo spiegò: era simile alla seduzione del sonno. Se avesse smesso di resistere, l’avrebbe fatta scivolare in un oblio oppiaceo, un abbraccio indolore. Lei si concentrò su di lui mentre le diceva: “Esther” la stava supplicando, “Esther, devi solo accettare”.
“Accettare la discesa.” Esher lo ripetè a entrambi in un sussurro atono.
[…]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    03 Giugno, 2013
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Ce la puoi fare, Josie!

Un racconto fremente di vita, ricco di personaggi credibilissimi.
La storia si dipana senza strappi né nodi, niente salti temporali o flash back, nessun bisogno di tornare indietro ogni tanto per riannodare fili persi. Prosa fluida, elegante, fresca.
Trama non originalissima ma ricca di eventi senza essere ingarbugliata e inoltre credibile e ricca di descrizioni di una New Orleans della metà del secolo scorso che appare proprio come ce la immaginiamo e come in effetti deve ancora essere: con il suo fiume misterioso e lento, le sue strade pericolose di notte, con il folklore creolo e i suoi riti voodoo.
Città attraente e torbida, New Orleans è il luogo in cui Josie lotta da sola per costruire la sua vita e per allontanarsi dal bordello in cui sua madre vive e lavora. Josie prova repulsione per quel mondo ma sa attraversarlo senza sporcarsi, forte e ricca solo delle sue capacità e del suo carattere positivo che le fa superare anche la sofferenza di non aver mai ricevuto un gesto d'amore da sua madre, donna bellissima ma gretta e anaffettiva.
Il sogno di affrancarsi da quell'ambiente passa attraverso il tentativo di iscriversi a una prestigiosa università, a migliaia di chilometri da là, dove nessuno sa chi è sua madre e lei potrebbe finalmente essere solo se stessa.
La vita è una corsa ad ostacoli per Josie che per forgiare il suo futuro ha a disposizione pochi mezzi ma può contare sull'affetto e sulla stima di molte persone e di due uomini che le sono accanto e che la amano in silenzio.
È un romanzo che parla di affetti, di amicizia, di amore, di speranza, in cui non mancano personaggi cinici e bari immersi in un'atmosfera cajun che aggiunge colore e profumo alla vicenda.
Josie è uno di quei personaggi capaci di uscire dalle pagine e diventare reali accanto al lettore, di quelli che dopo la parola "fine" continuano ad aleggianti intorno costringendoti a rimandare l'inizio di un nuovo libro per trattenerli ancora un po'.

[...]
Mia madre è una prostituta. non una di quelle volgari, che battono il marciapiede. in realtà lei è piuttosto carina, abbastanza raffinata e ha dei bei vestiti. ma va a letto con gli uomini in cambio di soldi o regali e, stando a quel che dice il vocabolario, ciò fa di lei una prostituta.
[...]

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Religione e spiritualità
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    28 Mag, 2013
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Esiste il Demonio?

Argomento spinoso: l’esistenza del Demonio.
C’è stato un tempo, secoli fa, in cui la presenza del Demonio era presa in seria considerazione, tanto da scatenare furibonde cacce alle streghe o costringere la Chiesa alla creazione del Santo Uffizio dell’Inquisizione, con lo scopo di arginare la messe di anime cui si dedica Satana e limitarne i danni sul mondo reale.
Il Demonio era ravvisato in oggetti particolari, in deformazioni fisiche, in attività ritenute peccaminose. Bisognava stare ben attenti per non rischiare un’accusa di familiarità con Lucifero.

Oggi può capitare di apparecchiare la tavola guardando al telegiornale un tizio con le mani che grondano sangue, che stringe nella sinistra un lungo coltello e una mannaia, mentre rilascia un’intervista in cui farnetica sui motivi legittimi per cui ha appena staccato la testa a un uomo disteso sulla strada alle sue spalle. Disgusto, orrore, riprovazione, sì, ma infondo non è un’immagine abbastanza forte da impedirci di servire la cena e proseguire la serata come sempre.

Oggi viviamo in un mondo che ha rotto ogni argine morale, che ci ha nutrito d’immagini violente e catastrofiche, di violenze, di assassini, di stupri, di sevizie sui più deboli.
Le sette sataniche non fanno più notizia, abbiamo assimilato anche l’orrore dei sacrifici umani che fanno parte del rito. La razionalità ci dice che si tratta solo di un altro modo di gestire la violenza tutta umana che ogni tanto vuole una vittima.
Non mettiamo in relazione questi e tanti altri eventi alla presenza del Demonio, nonostante da anni la Chiesa (a cominciare da Papa Wojtyla) abbia continuato a mettere in guardia contro il Male, affermando fortemente la reale esistenza del Diavolo.
Però poi capita che pochi minuti di filmato in cui Papa Francesco impone le mani su un povero invalido, siano riproposti per più giorni dalle televisioni affermando che si tratta di un esorcismo.
L’esorcismo fa notizia, il Demonio no!

Questo libro scritto da Padre Amorth, uno dei più famosi esorcisti italiani, riporta casi di indemoniati che, riconosciuti tali in base ad un rigido protocollo che evita di confonderli con chi è affetto da malattie mentali, vengono sottoposti ad esorcismo: parla di loro, dei loro problemi, del modo in cui si è cercato di liberarli, della fatica di un uomo che deve lottare giorno dopo giorno contro una forza sovrumana e violenta per riportare alla vita normale un suo simile.
Un caso dopo l’altro, leggendo, viene il sospetto di vivere contornati da forze sconosciute che ancora non ci hanno aggredito, ma…
Infondo, come per le disgrazie e le malattie gravi, ciascuno di noi allontana il terrore pensando che… tocca sempre agli altri!

Il libro è un po’ carente sotto il profilo dello stile, la prosa è semplice e non memorabile, ma questo è il difetto di un po’ tutte le autobiografie. Leggerlo, però, lascia dentro un piccolo punto interrogativo che anche a distanza di tempo, nel sentire certe notizie, salta fuori e fa pensare.



[…]
Ogni volta che faccio un esorcismo entro in battaglia. Prima di entrarvi indosso una corazza. Una stola viola i cui lembi sono più lunghi di quelli che solitamente indossano i preti quando dicono messa. La stola spesso la avvolgo attorno alle spalle del posseduto. È efficace, serve a tranquillizzare i posseduti quando, durante l’esorcismo, vanno in trance, sbavano, urlano, acquisiscono una forza sovrumana e attaccano. Quindi porto con me il libro in latino con le formule di esorcismo. Dell’acqua benedetta che a volte spruzzo sull’indemoniato. E un crocifisso con incastonata dentro la medaglia di san Benedetto. È una medaglia particolare, molto temuta da Satana.
La battaglia dura ore. E non si conclude quasi mai con la liberazione. Per liberare un posseduto ci vogliono anni. Tanti anni. Satana è difficile da sconfiggere. Spesso si nasconde. Si cela. Cerca di non farsi trovare. L’esorcista deve stanarlo. Deve obbligarlo a rivelargli il suo nome. E poi, nel nome di Cristo, deve obbligarlo a uscire.
[…]

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    27 Mag, 2013
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Un amore malato

Ashley è una ragazza come tante, studia arte ed ha un lavoro part time in un museo che la soddisfa e le consente di non dipendere dai genitori.
Boston è un buon posto per cercare la propria strada e nel frattempo vivere una vita piena di distrazioni e amicizie. Una vita come quella di tante altre, che diventa improvvisamente diversa quando, a conclusione di una serata con troppo alcool, finisce a letto con Michael O’Connell.
Perché Michael O’Connell non è come gli altri ragazzi che sono passati nella vita di Ashley e lei dovrà presto rendersene conto.
Comincia in questo modo un terribile caso di persecuzione amatoria, di sopraffazione e terrore, insomma di stalking.
Michael non accetta che si sia trattato di una volta e basta: ritiene che Ashley sia diventata una sua proprietà e che menta quando dice di non amarlo. Un amore (malsano) grande come il suo non può non essere ricambiato e lui sarà ben capace di imporle la sua presenza.
È un soggetto particolare Michael: non un gesto di violenza, non una esplicita minaccia… ma ha la capacità di terrorizzare Ashley e tutta la sua famiglia, con il sorriso sulle labbra.
Il libro è teso e ruvido, ben scritto e ben architettato. La presenza di Michael diventa reale anche per chi legge e quasi ci si sente direttamente minacciati tanto quanto la povera Ashley e tutti coloro che la amano e tentano di proteggerla.
Il fenomeno dello stalking, molto frequente di questi tempi, per chi non ci è passato sembra quasi un piccolo fastidio, facilmente eliminabile attraverso la denuncia alle autorità competenti. Ma è sempre vero? Ed è sempre possibile denunciare? O è necessario trovare strade alternative, come per esempio fare stalking sullo stalker?
Bel thriller, teso e adrenalinico. Da leggere.


[…]
Quando lesse per la prima volta la lettera trovata appallottolata e infilata in un vecchio paio di calze sportive bianche, nel primo cassetto del comò di sua figlia, circa due settimane dopo la sua ultima visita, Scott Freman seppe immediatamente che presto sarebbe morto qualcuno.
Non se ne rese conto subito, ma quella sensazione lo invase come un sentore di sventura imminente e gli si insediò in un angolo freddo giù in fondo al petto. Restò immobile, gli occhi intenti a scorrere più e più volte il foglio di carta: “Nessuno può amarti come ti amo io. Nessuno potrà mai. Siamo fatti l’uno per l’altra e niente può cambiare questo dato. Niente. Staremo insieme per sempre. In un modo o nell’altro.”
La lettera non era firmata.
[…]

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    25 Mag, 2013
Top 100 Opinionisti  -  

Un gradevole cocktail

Un medico patologo, una ricercatrice esperta di DNA, un celebre archeologo, l'arcivescovo di New York, una mamma coraggiosa, un neonato condannato alla morte per cancro, un ossario misterioso, rotoli di pergamena che potrebbero riscrivere la storia del cristianesimo.
Questi gli ingredienti: mescolare tutto con la nota capacità di intrattenere di Robin Cook, agitare appena un po' perché la trama non si ingarbugli troppo e la prosa resti limpida e scorrevole.
Ecco ottenuto, con elementi semplici e personaggi ben descritti un bel romanzo e una bella avventura.
Da leggere senza pretendere il capolavoro e godendo di una storia piacevole e basata su presupposti ben documentati.

[…]
Il passaggio di Jack Stapleton da un sonno irrequieto al completo risveglio fu istantaneo. Scendeva a precipizio per una ripida via cittadina su un’auto senza controllo e stava piombando su una fila di bambini che attraversavano la strada in coppie tenendosi per mano, ignari della calamità che stava per abbattersi su di loro. Jack schiacciava inutilmente a tavoletta il pedale del freno. Se mai, la velocità dell’auto aumentava. Urlò ai bambini di togliersi da lì, ma si trattenne quando finalmente si accorse di essere nella sua camera da letto nella casa in cui abitava nella Centoseiesima Strada di New York. Non c’erano bambini, non c’era automobile, non c’era pendio. Un altro dei suoi incubi.
[…]

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Romanzi
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    22 Mag, 2013
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Il peso della colpa

L'incipit è rocambolesco, fragoroso, allucinato, infartuale.
In poche righe accade tutto: si salvano due vite, se ne bruciano molte altre, si distrugge una coscienza, si pongono le basi per una vita di vergogna e rimpianto. In poche righe c'è così tanto che il libro potrebbe anche concludersi qui.

Lambert guida distratto la sua Citroen con una sola mano, la sinistra, chè la destra (e tutta la sua attenzione) è affaccendata fra le cosce di Edmonde, la sua segretaria-amante.
Nell’altro senso arriva un torpedone carico di bambini: l’autista, disperato, suona più volte il clacson per richiamare l’attenzione di quell’uomo che occupa il centro della strada. Edmonde vede tutto e reagisce stringendo le cosce e imprigionando la mano che la accarezza. Uno stridore di freni, una sbandata e l’autobus finisce contro un muro e prende fuoco.
Ma questo accade alle spalle dei due amanti, la Citroen è riuscita a passare indenne e la tragedia si svolge nello specchietto retrovisore, alle spalle, nel passato.
Lambert non pensa a chiamare i soccorsi, ma solo a costruirsi un alibi e fugge, in silenzio; nessun commento fra i due.
Con Edmonde non ne parleranno mai. Né una parola, né un’allusione, né un’occhiata fra loro, che evidenzi che condividono un segreto.
Da quel momento il racconto diventa intimista e assistiamo al disfacimento della vita di Lambert, che, assillato dal rimorso cui pure non vuole cedere, tentando ogni strada per sentirsi innocente, si scopre estraneo alla sua propria vita: l’incidente fa affiorare disagi antichi, rimossi ma non risolti.
E più si allontana dal suo mondo, più Edmonde diventa un polo di attrazione, l’unico pensiero, l’unico desiderio. Edmonde che tace, che in tutto il libro pronuncia forse quattro o cinque frasi, Edmonde che è complice, sì, ma forse non nel silenzio, non nel tacere quel che sa. Forse la sua complicità risiede in quel gesto (involontario?) di serrare le cosce, impedendo alla mano di liberarsi. Forse è in quel gesto che Lambert identifica la sua innocenza, scaricandosi di una colpa che non accetta di portare sulle sue spalle.

Bel libro, in cui, dopo il big bang iniziale, l’azione si smorza e il pensiero, il rimorso, il disagio permeano le pagine fino alla fine.
La bravura di Simenon sta nel tenere viva l’attenzione di chi legge, nonostante la mancanza di eventi, consentendo un viaggio nella profondità di un’anima che non trova più riferimenti.


[…]
Si chiedeva perché fosse scappato. Il panico si era impadronito di lui, soprattutto del suo corpo. Il suo primo pensiero, il più forte, quello a cui ogni altra cosa aveva obbedito, era stato di non vedere. Non ce l’avrebbe fatta. Proprio perché aveva ben chiara la percezione della propria colpevolezza.
Ma adesso, se voleva essere assolutamente sincero con se stesso, non era appunto la paura a farlo star male?
[…]

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Romanzi storici
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    19 Mag, 2013
Top 100 Opinionisti  -  

Di chi la colpa?

Verso la fine del 1800 accadde un fatto che colpì l’opinione pubblica: una madre, nel corso di una punizione “educativa”, provocò la morte della propria figlia di quattro anni.
Fu processata e condannata per omicidio.

Questo romanzo riscrive, romanzandolo, quel lontano evento ricreando, con prosa ricercata e suggestiva, gli eventi, i contorni, i pensieri e le sofferenze ad esso legati.
L’ambientazione è in un’Irlanda di fine secolo, come sempre in vivace contrapposizione fra nord e sud, fra cattolici e protestanti, fra proprietari terrieri e una nascente consapevolezza degli strati più poveri della popolazione. Un quadro storico in sé affascinante, che arricchisce il colore generale del romanzo pur restando sempre nello sfondo.

Herriet, madre severa e inflessibile ricrea sui propri figli l’educazione rigida cui a sua volta era stata sottoposta da bambina, soffocando le espressioni dell’amore che pure nutre nei confronti dei figli.
Le punizioni sono frequenti e talvolta violente ma Herriet non ne avverte l’eccesso, anzi ritiene un dovere non transigere per indirizzare nel modo giusto il carattere dei figli.
Senonché, come dicevo, ci scappa il morto, anzi la morta: la piccola di casa, unica femmina, finisce con lo strozzarsi con la lunga calza con cui le erano state legate le mani.
Questo evento sarà raccontato a due voci, a capitoli alterni: da una parte il diario che Herriet scrive durante la prigionia, dall’altro il resoconto delle conversazioni che Maddie, cameriera della nobildonna al tempo della tragedia, ha con la pronipote di Herriet durante i suoi ultimi giorni di vita.
I due racconti si alternano e si intrecciano, aggiungendo man mano tasselli di verità alla storia, che alla fine risulta assai più complessa di quanto appare inizialmente.
Il libro crea una profonda emozione per l’alternarsi di sentimenti positivi e negativi, di colpe intrecciate e di due storie di sofferenza che sono maturate l’una accanto all’altra senza mai riconoscersi.
Bella la prosa, più raffinata nella parte relativa al diario di Herriet, più libera e sciolta nel racconto della popolana Maddie.
Molte pagine di descrizioni accurate delle sensazioni, delle emozioni, dei ricordi, delle persone e dei luoghi, quasi esclusi i dialoghi, ma il libro scorre ugualmente bene e dopo ogni interruzione ci si torna volentieri.
In un certo senso, come forma narrativa e capacità di introspezione dei personaggi, mi ricorda Le Braci di Sandor Marai e mi ha lasciato lo stesso piacere di lettura e la stessa incapacità di definire a chi ascrivere la maggior responsabilità morale per la tragedia.


[…]
In che modo posso descrivere come mi sento quando sono con lui, quando siamo assieme noi due soli? Ha qualcosa a che fare col tatto, e qualcosa a che fare col dolore, e qualcosa a che fare con il vivere, e qualcosa a che fare con la libertà, e qualcosa a che fare con la perdita, e qualcosa a che fare con il tornare a se stessi, e qualcosa a che fare con la paura, e qualcosa a che fare con il sollievo, e coi colori, colori stupefacenti, e con l’armonia, e con il ritmo, e con l’abbandono. Come un rimbombo, uno sfarfallio, una danza. E, quand’è finito, spesso, arriva un figlio. È il prezzo da pagare.
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Le Braci di Sandor Màrai
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Poesia italiana
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    06 Mag, 2013
Top 100 Opinionisti  -  

Una donna, la poesia

Quella donna grassoccia, bruttina, trasandata, con uno sguardo diretto ma obliquo, brumoso. Quella donna molto qualsiasi, priva di gusto nel vestire, con una voce roca e troppe sigarette fra le dita. Quella donna una poetessa?
Quando per la prima volta vidi un’intervista televisiva ad Alda Merini rimasi interdetta.
Né il suo aspetto né i suoi modi né il suo modo di parlare si addicevano alla mia idea di poesia.
La sentii declamare alcuni suoi versi. Mi colpirono solo in parte, per la durezza e la disperazione che rivestiva con parole d’amore.
Come sempre capita, la poesia letta dall’autore è molto diversa da come ci arriva quando la leggiamo soli, nel silenzio della nostra stanza, circondati dalle nostre private emozioni.
Comprai il primo libro e fu amore immediato.
Non ci sono analogie fra la mia vita “normale” e la vita travagliata e sopra le righe che è toccata in sorte ad Alda.
Tutti sanno delle sue difficoltà dovute all’instabilità mentale di cui era dolorosamente consapevole, dei ricoveri in manicomio, della facilità con cui si lasciava manipolare dagli uomini, purchè le prestassero un po’ di attenzione e le offrissero un qualche surrogato di amore.
Ma lei era capace di vivere l’amore anche dove non c’era, perché l’amore era in lei, non l’abbandonava mai, ed era amore disperato, furioso, dirompente, totalizzante, amaro, terminale.
Se si è provato una volta l’amore, quello che non consente il sonno, quello che cancella il resto del mondo e del tempo, quello che fa desiderare di annullarsi nel corpo e nell’anima dell’altro, allora le poesie di Alda diventano magicamente semplici e immediate, trasformano noi che leggiamo come se le emozioni di Alda si aprissero a viva forza la strada verso il nostro punto vitale .
Non tutte le sue poesie sono veramente belle, questo a causa della facilità con cui le regalava a chiunque le chiedesse, per telefono, per strada, nelle interviste. Poesie composte senza controllo e senza rilettura che venivano poi raggruppate e pubblicate spesso a sua insaputa.
Ma dobbiamo perdonare qualche poesia non ben riuscita a questa donna che aveva un disperato bisogno di sentirsi amata e non sapeva dire di no: ha dato più che abbondante prova della sua capacità poetica.
Questo libro, come ogni altro che contenga le sue poesie deve essere letto col cuore e con la mente, perché Alda è stata donna di emozioni e d’intelligenza.
Riporto qui sotto qualcuna delle sue poesie: è stata dura scegliere, alla fine ho preferito quelle più semplici, brevi ed immediate.

[…]

Se dovessi inventarmi il sogno
del mio amore per te
penserei a un saluto
di baci focosi
alla veduta di un orizzonte spaccato
e a un cane
che si lecca le ferite
sotto il tavolo.
Non vedo niente però
nel nostro amore
che sia l'assoluto di un abbraccio gioioso.

[…]

I versi sono polvere chiusa
di un mio tormento d’amore,
ma fuori l’aria è corretta,
mutevole e dolce ed il sole
ti parla di care promesse,
così quando scrivo
chino il capo nella polvere
e anelo il vento, il sole,
e la mie pelle di donna
contro la pelle di un uomo.

[…]

Sono folle di te, amore
che vieni a rintracciare
nei miei trascorsi
questi giocattoli rotti delle mie parole.
Ti faccio dono di tutto
se vuoi,
tanto io sono solo una fanciulla
piena di poesia
e coperta di lacrime salate,
io voglio solo addormentarmi
sulla ripa del cielo stellato
e diventare un dolce vento
di canti d'amore per te.

[…]

Non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

[…]

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    04 Mag, 2013
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Una bella opera prima

Un rapimento.
Un anno intero da incubo, in balia di un aguzzìno psicopatico. Un incubo di soprusi e violenze, di regole folli e punizioni terribili. Questo libro mi ha ricordato un po' la storia terribilmente vera del rapimento della povera Natascha Kampusch, raccontata nel libro “3096 giorni”.
Ma questo , per fortuna, è un romanzo ed è solo fantasia. Ma fantasia ben costruita, magnetica, trascinante.
Quello che mi è particolarmente piaciuto, oltre la storia comunque ben elaborata ed articolata, è lo stile.
Il romanzo ha una sola voce, quello della protagonista, che racconta in soliloquio la sua drammatica avventura nel corso di ventisei sedute con la sua analista, intramezzando i fatti puri e semplici con i propri pensieri, paure, dubbi.
La bravura dell'autrice sta nell'aver saputo utilizzare il monologo, pur mantenendo intatta la tensione e la vivacità dell'azione.
Un'opera prima di tutto rispetto.


[…]
Sa, dottoressa, lei non è il primo strizzacervelli che vedo da quando sono tornata a casa. Quello che mi aveva indicato il medico di famiglia subito dopo la mia liberazione era un emerito idiota. In realtà, quel tizio fingeva di non sapere nemmeno chi fossi. Che cazzata: per non saperlo bisogna essere ciechi e sordi.
Accidenti, ogni volta che giro l’angolo salta fuori dal cespuglio l’ennesimo rompiscatole armato di macchina fotografica. Ma prima di tutto questo casino?
Prima, quasi nessuno aveva mai sentito parlare di Vancouver Island, e men che meno di Clayton Falls. Provi ora a nominare l’isola al primo che passa e scommetto che subito gli uscirà di bocca una frase del tipo: “Non è lì che è stata rapita quella donna, l’agente immobiliare?”
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    03 Mag, 2013
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Estasi

Come un leggero filo di seta le parole si uniscono e talora si dividono, lasciando spazi bianchi sul foglio, quasi a creare una trama impalpabile su cui galleggia la fiaba.
Fiaba per adulti bellissima che utilizzando ripetizioni di paragrafi nell’incipit dei capitoli, richiama le filastrocche infantili o le favole come Hansel e Gretel o Cappuccetto rosso, in cui i personaggi ripetono a volte le stesse parole più e più volte, a simboleggiare un’azione che tende a farsi pericolosa.
Ma il pericolo dov’è, per Hervè Joncour, in un’azione eccezionale come attraversare più volte, a metà dell’ottocento, quasi l’intero globo per recarsi dal paesino della Francia dove vive fino al lontanissimo e sconosciuto Giappone per approvvigionare le filande di uova di bachi da seta?
Quale pericolo, se, novello Marco Polo, percorre migliaia di chilometri da solo, arrivando ogni volta sano e salvo da una meta all’altra, carico d’oro all’andare e di preziosissime uova al ritorno, senza mai essere sfiorato da un predone, da un mare assassino, da una sollevazione armata.
Lui va e torna infallibilmente dalla donna che ama e che l’ama, la dolce Hélène dalla bellissima voce.
Il pericolo c’è e si nasconde negli occhi profondi, nei capelli di seta, nel silenzio colmo di significati di una donna. Una donna che anno dopo anno Hervè incontra per pochi istanti nel lontano Giappone, con la quale vive una storia di amore e attrazione priva di parole e di gesti.
Si crea in questo modo un rapporto che impregnerà la sua vita per gli anni a venire, senza drammi, senza sofferenze, senza speranze.
La trama impalpabile, sviluppata con stile poetico ma non roboante, (tutt’altra cosa da Oceano Mare) quasi un esercizio di Shodo - l’arte giapponese della calligrafia - che dipinge con poche parole e molti significati eventi e sensazioni, prende improvvisamente corpo e si addensa, fortemente vibrante e carnale, verso la fine, alla lettura della splendida lettera che Hervè riceve in modo misterioso. Da lì il racconto riprende la sua strada in punta di piedi, portandoci come è giusto verso la fine.
Nel chiudere il libro si ha la sensazione di quando sciogliendo una sciarpa di seta, questa ci lascia un’ultima tiepida carezza sul collo nudo: un nulla che non si avvertiva, ma di cui ora si sente la mancanza.


[…] La notte rimasero svegli fino a tardi, seduti nel prato davanti alla casa, uno accanto all’altra. Hélène raccontò di Lavilledieu, e di tutti quei mesi passati ad aspettare, e degli ultimi giorni, orribili.
- Tu eri morto.
Disse.
- E non c’era più niente di bello al mondo. […]

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Classici
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    02 Mag, 2013
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il mio Guy

É tutta colpa di Guy de Maupassant se ho preso gusto a certa letteratura.
Appena adolescente mi capitò di leggere una delle sue raccolte di racconti e ne rimasi folgorata. In poco più di un paio d'anni lessi ogni suo titolo disponibile, nella mitica edizione economica della BUR con la copertina grigia, di cui mio padre era un grande collezionista.
Fu un amore ricambiato, perché Guy mi insegnò a godere della buona scrittura, quella che ti costruisce intorno una scena quasi palpabile, ti consente di annusare l'odore del fieno e sentire il canto della campana di una chiesa lontana.
La casa Tellier è uno dei suoi racconti, non dirò uno dei più belli perché io li amo tutti.
Racconta alcuni giorni di vita delle prostitute e della tenutaria di una casa chiusa, istituzione quanto mai amata e frequentata anche in Italia fino ad una sessantina di anni orsono.
Quanto è diversa la prostituzione raccontata da Guy da quella squallida e sfrontata cui assistiamo ogni giorno su tutte le nostre vie: più una famiglia per donne sole e senza futuro che sfruttamento, più amabile salotto con ospiti ben conosciuti ed affezionati che veloce ed impersonale vendita di sesso. Forse nella realtà non è mai stato così, un bordello, ma nelle parole di Guy e nei racconti di tanti altri scrittori e uomini qualunque, che quei luoghi ebbero a frequentare, per qualche ragione l’immagine della casa di piacere assume contorni sfumati e romantici.
Nel racconto si assiste allo sconforto della popolazione maschile della piccola città nel momento in cui trovano incomprensibilmente chiuso l’uscio: le “signorine” si sono recate tutte insieme in una cittadina vicina per la comunione di un nipote della maitresse.
Notte d’incubo per coloro che attendevano con ansia il giorno libero per “rilassarsi”, giornata “purificatrice” per le ragazze che, nell’assistere alla funzione sentono la grazia aleggiare su di loro, commuovendosi come fanciulle innocenti, versando fiumi di lacrime su se stesse e la vita che avrebbero potuto vivere.
Ma finita la gita si torna al lavoro e dal giorno dopo tutto, col sorriso e l’allegria, ricomincia come sempre perché non si deve e non si può provare colpa per essere ciò che la vita ti ha costretto a diventare, meglio mostrare orgoglio per un lavoro ben fatto e un cliente soddisfatto.
Guy accarezza i suoi personaggi, li incasella in descrizioni cinematografiche di grande effetto e non stanca mai… è un grande!


[…]
Improvvisamente il Kyrie Eleison zampillò verso il cielo, gridato da tutti i petti e da tutti i cuori. Granelli di polvere e briciole di legno tarlato piovvero dall’antica volta, scossa dall’esplosione di grida.
…….
In quel momento Rose, con la fronte tra le palme, si ricordò improvvisamente di sua madre, della chiesa del suo paese, della sua prima comunione. Le parve di essere tornata a quel giorno, quand’era tanto piccola, affogata nel vestitino bianco… e si mise a piangere. Dapprima pianse piano, lente lacrime sgorgavano dalle sue palpebre: poi, col sopravvenire dei ricordi, la commozione crebbe, e con il collo gonfio, il petto squassato, ella si mise a singhiozzare. Prese il fazzoletto, e si asciugò gli occhi, si tamponò naso e bocca per non gridare, ma fu inutile: una specie di rantolo le usciva dalla gola, e altri due sospiri profondi, strazianti, le risposero, poiché le sue due vicine, Louise e Flore, prostrate accanto a lei, prese anch’esse dalle medesime lontane ricordanze gemevano versando torrenti di lacrime.
[…]

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Romanzi autobiografici
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    01 Mag, 2013
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Un diario intimo

Iniziamo col dire che di proibito non c'è proprio niente, almeno per la nostra mentalità e cultura.
C'è invece il racconto di una vita eccezionale non solo per la cultura occidentale, ma anche per il ristrettissimo mondo in cui si svolge.
È la storia vera, il diario intimo, di una celebre gheisha dei nostri tempi.
Dai tre anni in poi la accompagnamo dall'apprendistato all'investitura immergendoci in un mondo così estraneo per noi, da necessitare di moltissime spiegazioni, che puntualmente arrivano, così numerose da farmi sospettare che il ristretto ed antichissimo, nonché settario, mondo delle gheishe sia in qualche modo un mistero anche per gli stessi giapponesi.
È la storia di una vita ricca di gioie e sofferenze, di speranze, trionfi e sconfitte, come la vita di chiunque, ma il fatto di svolgersi in quel mondo dall'atmosfera rarefatta ed esotica le dà un gusto del tutto particolare.
Alla fine rimane il piacere di aver compreso qualcosa di una cultura antica quanto la nostra e in gran parte sconosciuta dagli occidentali. Anche se la prosa, come in molte biografie, non è proprio il massimo.

[…]
Siamo, di fatto, diplomatici che devono riuscire a comunicare con tutti. Questo non vuol dire tuttavia che possiamo essere considerate degli zerbini. Ci si aspetta da noi acume e perspicacia. Nel tempo ho imparato a esprimere i miei pensieri e le mie opinioni senza offendere nessuno.
[…]

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Romanzi storici
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    18 Aprile, 2013
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Una donna formidabile


Leggere i romanzi di Camilleri è, per me, come entrare nel mondo delle favole.
Sarà il linguaggio, sará la grande fantasia, sará l'ironia che condisce il racconto, ma anziché leggere, ho l'impressione di tornare bambina ed ascoltare una voce che mi racconta di re, regine e cavalieri.
Mi è capitato con altri romanzi suoi, ricchi talvolta di pensiero filosofico, talaltra dolorosamente immersi nelle miserie umane. Tantopiù mi è capitato con questo delizioso romanzo impiantato su un evento reale, seppure poco noto, magistralmente sviluppato come un'ironica dolce-amara favola per adulti, non priva di quella morale che le grandi favole del passato sempre contenevano.
In brevissimo: nel ‘600 a Palermo imperversava il malgoverno, l’illegalità, l’arroganza del potere e del denaro (ho detto nel ‘600!!!). La Sicilia era retta da un Vicerè, vicario del Re di Spagna e il suo potere si estendeva sia alle cose dello Stato che a quelle della Chiesa. Il fatto vero è che, a causa della morte improvvisa del Vicerè Angel de Guzmàn, titolo e ruolo passarono a sua moglie, Eleonora di Mora, che ebbe la possibilità di governare per appena 28 giorni prima di essere richiamata in Spagna, nonostante i notevoli risultati di buon governo a causa di una richiesta inviata al Papa, da un vescovo indegno, di dichiarare l’incompatibilità del suo essere donna con la carica di Legato Pontificio.
Eleonora fece in tempo a sostituire tutti i membri corrotti del Consiglio, a creare soluzioni di supporto alla vita dei più deboli, a calmierare il prezzo del pane, a lasciare un impianto di buon governo, a farsi odiare dai corrotti, amare e rimpiangere da tutti gli altri.
Camilleri racconta a suo modo questi ventotto giorni condendoli, come solo lui sa fare, con ironia, tenerezza, fantasia e con una diafana storia d’amore.
Tanto appare viva la figura di Donna Eleonora che ho provato il desiderio di tirarla fuori dalle pagine del libro per affidarle la soluzione apparentemente impossibile dei problemi della nostra Italia di oggi, che non sono troppo diversi da quelli del suo tempo.
Il romanzo di Camilleri sotto quest’aspetto è estremamente attuale: le malversazioni e il malgoverno sono raccontati al passato nel romanzo, ma possono essere coniugati al presente cambiando solo qualche nome. Nel romanzo e nel passato la soluzione ha il nome, l'intelligenza politica e la fermezza di Donna Eleonora, sollevata all’improvviso subdolamente dal potere a difesa del malaffare: dove trovare una Donna Eleonora cui affidare la soluzione dei problemi del presente?
Una volta ancora voglio testimoniare la grande piacevolezza della scrittura di Camilleri quando si dedica a raccontare fantastiche avventure di uomini e di donne cui sa costruire caratteri ricchi di personalità e di sfumature, immergendoli in ambientazioni che prendono corpo anche in assenza di lunghe descrizioni.
Eleonora è una figura formidabile e resterà viva nella mia memoria insieme a Maruzza, a Minica, a Giurlà, personaggi amatissimi di altri racconti meravigliosi dovuti alla stessa fantasia.

[…]
E già all’ura di mangiari tutta la cità vinni a sapiri che donna Eleonora non era cchiù Vicirè per ordini di So Maistà e che sinni doviva ripartiri duminica sira per la Spagna.
A picca a picca, nello spiazzo davanti al Palazzo, accominzaro ad arrivari a taci maci mindicanti, genti coi vistiti pirtusa pirtusa che cadivano a pezzi, genti struppiata alla quali ammancava un vrazzo o ‘na gamma, ciechi, stroppi, malatizzi, sbinturati di nascita, curti di menti… ognuno aviva ‘n mano un pezzo di pani che s’era potuto accattari pirchì ora il pani costava picca e loro ci potivano arrivari.
E se l’erano vinuto a mangiari ‘n silenzio, per ringrazio, davanti a donna Eleonora.
[…]

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Racconti
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    10 Aprile, 2013
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Racconti affilati

Racconti brevi o anche brevissimi. Con una caratteristica particolare che mi è molto piaciuta: iniziano senza preamboli nel pieno dell'azione, la seguono per il tratto saliente che intendono catturare per poi lasciare i personaggi a se stessi per la conclusione degli eventi.
Il racconto breve a mio avviso è tanto più incisivo quanto meno si sforza di assomigliare ad un romanzo in miniatura e questi, nella loro brevità, sono veramente intensi.
Tra tutti mi ha particolarmente colpito "Colloquio", per il senso di distacco dalla realtà che investe la protagonista nel confrontarsi con il linguaggio e con il significato delle parole che sembra sfuggirle e divenire ostile.
Naturalmente bellissimo anche La lotteria, che inizia in uno scenario bucolico, rasserenante e solare e lascia interdetto il lettore quando pian piano comprende a cosa si va incontro.
Non dico di più, perché non voglio assolutamente guastare il piacere della lettura di questo piccolo libro davvero molto bello e modernissimo nonostante sia opera della prima metà del secolo scorso.

[…]
Presto cominciarono a radunarsi gli uomini; sorvegliavano i figlioli, e parlavano di semina e di pioggia, di trattori e di tasse. Stavano tutti insieme, lontano dal mucchio di sassi nell’angolo, e le loro facezie erano pacate, accompagnate più da sorrisi che da risa.
Le donne, vestite da casa, in abiti stinti e golfini, arrivarono poco dopo gli uomini. Si scambiavano saluti e pettegolezzi andando a raggiungere i mariti. Quasi subito, accanto ai mariti, cominciarono a chiamare i figlioli, e i bambini venivano controvoglia, dopo quatto o cinque richiami. Bobby Martin sfuggì alla presa della mano materna e tornò di corsa, ridendo, al mucchio di sassi. Suo padre alzò bruscamente la voce, e Bobby venne subito a prender posto tra il padre e il fratello maggiore.
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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    08 Aprile, 2013
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Deaver, una garanzia

Jeffery Deaver è uno scrittore “sicuro”: un libro scritto da lui non è banale, non tira via zoppicando verso il finale, non perde mai la carica di tensione emotiva e contiene sempre qualche pagina di vero terrore, quello che passa attraverso le pagine fino alla sensibilità di chi legge.
Mi è capitato di assistere alla lettura pubblica di alcuni brani dei suoi libri tenute presso università o convegni letterari, (in televisione e in inglese of course!) a dimostrazione che la sua prosa è un esempio di buona scrittura, anche se una volta tradotta in italiano questo aspetto non è più valutabile .
Questo libro non cambia il mio giudizio, ma neppure lo migliora. Nel senso che ho letto di meglio: il celeberrimo “Il collezionista di ossa” e tutti quelli che seguono con protagonisti il mitico investigatore Rhyme e la sua collaboratrice Amelia sono ricchi di pathos e di intelligenza, indimenticabili anche a distanza di molti anni.
Questo libro racconta invece una storia familiare: un avvocato ex procuratore, l’ex moglie bellissima, la figlia trascurata da entrambi che viene rapita dal suo analista. La polizia non crede al rapimento e ai genitori non resta che cercarla da soli. La parte più interessante del libro consiste nell’uso che l’avvocato e il rapitore sanno fare dell’oratoria. Entrambi campioni nell’utilizzo dell’eloquio per saggiare le emozioni e per modificare gli atteggiamenti e le sensazioni degli interlocutori si affronteranno in un duello di parole assai più interessante di qualche pistolettata tirata alla meno peggio.
Intendiamoci il libro è bello e mantiene costante l’attenzione, cosa che un giallo deve saper fare, solo che quando si è assaggiato il miele lo zucchero non sembra più così dolce.


[…]
“Dimmelo, Megan” insistette. “Parlami degli orsi”
“Non è importante”.
“Invece sì che è importante” la incalzò sporgendosi in avanti. “Ascolta. Tu sei con me, adesso. Megan. Dimenticati quello che ha fatto Hanson. Io non lavoro come fa lui, non brancolo nel buio. Io vado in profondità”.
Lei lo guardò negli occhi e si paralizzò come un cervo abbagliato dai fari di un’auto.
“Non preoccuparti” mormorò lui. “Fidati di me. E cambierò la tua vita per sempre”
[…]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    08 Aprile, 2013
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Lungo, lungo febbraio

Una favola triste, un po' magica, un po' visionaria, che racconta la tristezza infinita che invade gli uomini quando vengono privati della luce e del calore del sole.
Un febbraio senza fine soffoca, da quasi tre anni, la città fra le sue gelide braccia e si cercano i rimedi per porre fine al gelo e al buio, per riconquistare insieme al sole anche la vita.
In alcuni passaggi il libro è persino poetico, ma io non ne ho capito fino in fondo il significato ( posto che c'è ne sia uno) e non ho apprezzato lo stile che trovo inutilmente involuto e sconclusionato.
Nota positiva: le pagine sono poche e con una giornata di lettura passa il pensiero.
Seconda nota positiva: l’autore – giovane romanziere e poeta americano - sembra un gran bel ragazzo (ma non glie la passo lo stesso!).
Ecco l’incipit:

[…]
Indicavano buchi vuoti nel cielo e aspettavano. A volte i palloni si accendevano tutti insieme producendo l’effetto-ombrello della sera sulla città sottostante, i cui edifici si stavano riempiendo della tristezza di Febbraio.
Notti come questa moriranno presto, disse Bianca. Corse via dal bosco dove aveva visto tre bambini torcere la testa ai gufi.
Notti come questa moriranno presto, dissero i macellai, marciando giù per la collina.
Ci sedemmo per l’ultima volta a guardare i palloni, i colori al neon cuciti nella nostra mente.
Urla di maiali e finestre in frantumi in tutta la città. Un grugno, enorme e rosa, incrociò il fianco di un pallone lungo la sua traiettoria. Il tessuto si tese attorno alle narici scure e si fermò appena prima di strapparsi; il grugno rimase lì.
Eppure i bambini si misero in riga con le lanterne alzate a guardare la prima nevicata di Febbraio coprire i campi coltivati.
[…]

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Romanzi
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    06 Aprile, 2013
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Un inverno piacevolissimo

È la storia di un uomo, ultimo rappresentante di una antica famiglia che ha perso la propria fortuna a causa di eventi avversi, che, grazie alla sua capacità di gioire di ciò che ha - una bella vecchia casa, una moglie che ama, due ragazzi normalmente ribelli ma sereni, un modesto lavoro di commesso in un piccolo negozio – è felice di una vita che gli altri giudicano mediocre ma che lo appaga e gli consente di svegliarsi ogni mattina col sorriso, allegro e sereno.
Dovrà però fare i conti con le esigenze di due figli adolescenti e della moglie che vorrebbe dar loro di più, che lo spingono a sviluppare ambizioni economiche e sociali che fatica a far sue.
Ma l'uomo non è uno sprovveduto, si guarda intorno e vede che le scorciatoie verso il benessere si possono presentare anche per uno come lui anche se potere e denaro si accompagnano a vizio e corruzione: vorrebbe poter far suoi i primi, evitando i secondi.
Starà a lui cogliere le occasioni e scegliere il suo futuro, sapendo bene che ogni tessera mossa modificherà il mosaico della sua vita.
Steinbeck, senza alcun motivo logico, mi dava l'idea di un autore professorale e indigesto, dalla prosa lenta e faticosa e invece mi sono immersa in una storia condotta magistralmente, in una prosa brillante e fluida e ho incontrato immagini e personaggi indimenticabili che affollano un libro bellissimo e vitale. Attualissimo nonostante gli anni.
Il titolo richiama il celebre monologo dell'Enrico III di Shakespeare:
...
ora l'inverno del nostro scontento
è reso estate gloriosa da questo sole di York,
e tutte le nuvole che incombevano minacciose
sulla nostra casa sono sepolte nel petto profondo
dell'oceano
...
e giunti alla fine del libro se ne comprende a pieno il significato.


[…]
Quando il mattino biondo oro di aprile destò Mary Hawley, ella si volse al marito e lo vide, coi mignoli in bocca le faceva le smorfie.
“Scemo” disse. “Ethan, hai trovato l’estro comico.”
“Senta, Topolina, mi vuol sposare?”
“Ti sei svegliato scemo?”
“Il buon dì si vede al mattino.”
“Mi par proprio di sì. Ricordi che è venerdì santo?”
Con voce cupa egli disse: “Gli sporchi romani passano in rango per il Calvario”.
“Non essere sacrilego.”
[…]

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Romanzi storici
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    04 Aprile, 2013
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Niente di che

Moth ha dodici anni. Vive con sua madre in un quartiere degradato di New York, a ridosso delle vie eleganti e vitali su cui scorre la vita e il divertimento di quella che, in pectore, è già la Grande Mela.
Siamo nel 1871 e il grande sogno di fare fortuna in America ammassa carne e ambizioni in cubicoli male illuminati e privi di speranza.
Difficile sfamarsi quando l’unico lavoro possibile per la bella zingara madre di Moth è leggere la mano e la sfera di cristallo.
Un po’ per sopravvivere, un po’ per scommettere su un destino migliore per la piccola, la madre vende la figlia come cameriera a una ricca signora che si rivelerà crudele e dispotica.
La povera Moth non ha scampo, si adegua e soffre, si consola con il sogno di potere un giorno, a sua volta, vivere da padrona in una grande casa con un vasto giardino.
Ma intanto la vita è dura ed è con grandi rischi che riesce a sfuggire alla schiavitù un cui la madre l’ha confinata, ma una volta libera si lascia irretire, consapevolmente, in un altro traffico di carne umana: viene accolta in una casa in cui si insegna alle preadolescenti l’arte di parlare con eleganza, vestire con ricercatezza, camminare con stile e soprattutto irretire uomini facoltosi allo scopo di mettere all’asta la propria verginità.
Gli eventi sono narrati con garbo, raccontati dalla voce della protagonista, con il contrappunto di alcune note di mano della dottoressa che cura le piccole ospiti della casa e che prende Moth sotto la sua protezione, cercando di salvarne il corpo e l’anima.
Il libro è stato un best seller. Personalmente ho trovato piuttosto ingombranti le note di inizio capitolo che riportano notizie dell’epoca vicine alla vicenda raccontata. Nel complesso, anche se gradevole, il libro ha un andamento lento e talvolta prolisso e forse non sono riuscita ad immedesimarmi fino in fondo con la piccola protagonista che alterna personalità diverse: talvolta fin troppo infantile, talvolta incongruamente adulta.
Nel complesso non è un libro da ricordare.


[…]
Le donne, nei cortili dietro le case, andavano a strofinare le pietre sulle assi per lavare, sospirando per i mariti perduti. Gomito a gomito, stendevano la biancheria su fili tirati l’uno vicino all’altro in quello spazio stretto e buio.
Il cortile dietro il nostro caseggiato era particolarmente sfortunato perché aveva soltanto tre lati, anziché quattro. Le attrazioni principali erano una pompa che perdeva e dirimpetto, una fila di cinque latrine, appoggiate le une alle altre come puttane ubriache, barcollanti, piangenti e sporche.
[…]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    30 Marzo, 2013
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Un'occasione persa

Uno stupro. Violento e volgare come tutti.
Uno stupro. Un fatto talmente comune, frequente, "normale", da essere ormai notizia da ultima pagina, poco più se la malcapitata ci lascia anche la vita.
Capita a Jenny, in una bella serata romana, in una stradina nei pressi di piazza Navona (ricorda un reale fatto di cronaca di molti anni fa).
In tre la violentano, la brutalizzano, la umiliano, la lasciano tra la vita e la morte e si allontanano sghignazzando, fieri di loro stessi ... ma vengono colti sul fatto ed arrestati.
Jenny è una giovane attrice e sta girando in quei giorni un film sulla vita di Artemisia Gentileschi, che fu a suo tempo violentata da un amico del padre e, trovato il coraggio di denunciarlo, si trovò ad affrontare un terribile processo contro lo stupratore.
La vita di Jenny comincia da quel momento a sovrapporsi a quella di Artemisia, in una sorta di transfert che la aiuterà a sopravvivere, ma che la costringerà ad affrontare il processo due volte, in parallelo, al mattino nella vita reale e al pomeriggio in quella cinematografica.
Dovrà scoprire che nulla è cambiato in quattrocento anni per una giustizia che consente il tentativo di addossare alla donna la responsabilitá della violenza con la scusa della provocazione.
La trama mi aveva affascinata: Artemisia Gentileschi, un po’ per la sua vicenda umana e per il periodo buio in cui si svolse, un po’ per le sue eccezionali doti di pittrice mi ha sempre emozionato. Non potevo resistere e ho letto il libro.
Poi me ne sono dimenticata: il ricordo è tornato a galla oggi mentre assistevo in televisione ad uno di quegli spazi dedicati ai nuovi libri in uscita, in cui Maurizio Cohen presentava il suo lavoro. L’intervistatore accreditava il libro di credibilità e valore documentale, oltrechè di valore letterario.
A mio parere il libro avrebbe potuto davvero essere interessante, se si fosse approfondita la figura di Artemisia, evitando di trattarla come un personaggio qualunque, nato dalla fantasia dell’autore.
Artemisia fu di carne e sangue, soffrì ed ebbe coraggio da vendere nel denunciare la violenza subita, ben sapendo a cosa sarebbe stata sottoposta in fase processuale. Fu capace poi di ricostruirsi e prendere in mano le redini della sua vita, dimostrando autonomia e indipendenza, in anticipo di almeno 400 anni sul suo tempo, divenendo, negli ultimi decenni del secolo scorso un’icona del femminismo e non solo in Italia.
Purtroppo non ho trovato un reale approfondimento di questa grande figura di artista e neppure i personaggi del nostro tempo, Jenny e tutti gli altri, mi sono sembrati ben definiti.
La storia, anche se sostenuta da una prosa gradevole, non cattura e rimane in superficie.
Il finale, poi, mi è sembrato eccessivamente teatrale.
Peccato, un’occasione persa!

[…]
L’anello freddo e squadrato dell’uomo vestito di nero la graffiò riportandola alla realtà: non doveva pensare a nulla che potesse offrire a chi le stava davanti la sensazione del piacere, col tempo aveva acquisito la consapevolezza che non avrebbe mai più permesso a qualcuno di profanare la sua spiaggia. Il desiderio rimaneva protetto, dove quel dito che le rovistava fra le cosce, come un cane in una tana troppo profonda, non poteva arrivare.
[…]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    28 Marzo, 2013
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Complesso ma veramente bello

La Cina, una massa brulicante di individui per noi quasi indistinguibili.
Fino a noi arrivava poco della letteratura contemporanea cinese: era come se non ci fossero storie degne di essere raccontate perché nell'appiattimento voluto dal regime ogni vita assomigliava a tutte le altre vite.
Questo libro strapremiato (a ragione) introduce invece una serie di personaggi indimenticabili, vissuti a cavallo del periodo dell’invasione giapponese, indimenticabili ma comuni: calzolai, contadini, banditi, operai. Si muovono e agiscono all’interno di usi e costumi, credenze e abitudini che per noi sono quasi incomprensibili: passioni estreme, odi brucianti e fatali, violenza senza controllo. Ma nel leggere non ci si perde, si riesce ad immedesimarsi e gioire e soffrire con i personaggi nonostante l’enorme differenza di cultura e filosofia di vita.

La storia si svolge nell’arco di tre generazioni: la voce narrante è quella del più giovane, che racconta la storia del nonno, il famoso bandito Yu, della bellissima nonna Fenglian e del loro figlio, suo padre.
Lo svolgimento non è legato alla linearità del tempo e degli eventi che si susseguono: con estrema leggerezza e immensa bravura l’autore sa passare dalle azioni del presente ai ricordi del passato senza perdere nitidezza nelle immagini e senza confondere il lettore, che segue senza inciampi l'azione e i ricordi che si susseguono paragrafo dopo paragrafo, costruendo un presente motivato dal passato, così come in effetti è la vita.
Le parole si susseguono sulla carta così come fluttuano, si compongono, si annodano e si snodano i pensieri nella nostra mente.
Così l’invasione dei giapponesi con le loro stupefacenti macchine di morte, la lotta fra comunisti e nazionalisti che non riescono a trovare accordo fra loro neppure di fronte al nemico comune e la storia intima dei personaggi, talvolta romantica e delicata talaltra violenta fino alla brutalità, si avvicendano nei ricordi e nei racconti, creando un insieme inestricabile e affascinante.
In un crescendo parossistico di violenza, per il predominio sul territorio, gli uomini combattono con gli uomini, i cani con i cani e si assiste perfino a una stupefacente guerra dei cani contro gli uomini. Laddove i cani imparano dagli uomini le sottigliezze della tattica e della strategia, mettendo in forse la vita del villaggio. Un pezzo di bravura straordinario.
E il sorgo rosso? Beh, il sorgo rosso è tutto intorno, richiamato dall’autore quasi in ogni pagina perché fonte di sostentamento, di ricchezza, rifugio e nascondiglio, talamo nuziale, luogo di riposo eterno, arma di difesa, spettatore muto di vicende romantiche e tragiche.
Il sorgo rosso, rosso come il sangue versato che esso assorbe senza discriminare se cinese o giapponese, comunista o nazionalista.
Nella prefazione leggevo che questo bellissimo libro viene paragonato a “Cento anni di solitudine” di Marquez. Io non trovo affinità né nel linguaggio, né nel modo di affrontare e giudicare gli eventi e di vivere i sentimenti. Due grandi opere, ma totalmente diverse.
Non dico che sia una lettura facile, ma è senz’altro un libro che rimane vivo nel ricordo; lo consiglio a chi ha il tempo e la voglia di affrontare una lettura da assaporare a piccoli morsi.
Ah, dimenticavo: Nobel per la letteratura 2012.


[…]
A volte il mondo sputa fuori l’odore del sangue umano.
…….
In un certo senso, l’eroismo è qualcosa di innato, è un fluido latente che venendo a contatto con fattori esterni si trasforma in atti eroici.
………
Un uomo trasportò un secchio d’acqua e lo gettò sulle fiamme. Quel getto d’acqua sembrò un lucente rotolo di seta bianca, che bruciava arricciandosi. Gli uomini continuavano a versare acqua sul fuoco, i getti d’acqua apparivano ora simili ad archi, ora a linee che si intersecavano in un’immagine di estrema bellezza.
……..
A mio padre sembrava che la povere rossa del sorgo e l’odore del suo vino avessero colmato lo spazio tra cielo e terra. Si sdraiò sull’argine, in quell’attimo il cuore gli saltò in gola. In seguito capì che ogni attesa giunge prima o poi a termine e che i risultati sono spesso normali, casuali, naturali.
[…]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    27 Marzo, 2013
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Una scoperta (per me!)

Il mio primo Simenon!
Ho scelto di cominciare in assenza di Maigret, con un romanzo che ho trovato sorprendente per costruzione e svolgimento. L’azione è incalzante, nascosta in una prosa fluida e avvolgente.
La storia? Due amanti, entrambi sposati, soddisfatto lui di un rapporto appagante e non impegnativo, insoddisfatta lei di essere “l’altra”, vittima di una passione che le intorbida le idee.
Si tratta di un giallo sui generis in cui, attraverso l'indagine e continui flash back, si vengono a scoprire allo stesso tempo sia il colpevole che la vittima.
Simenon infonde anima ai personaggi, al punto che escono vivi dalla pagina insieme ai loro sentimenti e alle loro paure e al loro mondo di provincia che risulta ancora oggi assolutamente attuale e non datato.
È stata un’esperienza emozionante che ripeterò e che consiglio a tutti.

[…]
“Ti piacerebbe passare con me il resto della tua vita?”
Registrava automaticamente le parole di Andrèe senza prestarvi una particolare attenzione. Non più di quanto facesse con le immagini o gli odori. Come poteva sapere che avrebbe rivissuto quella scena decine e decine di volte? E sempre in uno stato d’animo diverso, da un punto di vista diverso…
Per mesi si sarebbe sforzato di ricordare ogni minimo dettaglio. Non tanto di sua spontanea volontà, ma perché altri l’avrebbero costretto a farlo.
[…]

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a chi non ha mai letto Simenon (come me fino a un libro fa), perchè è ora di cominciare!
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    25 Marzo, 2013
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Poco più di niente

Opera prima premiatissima (vedi prefazione), tradotto in molteplici lingue, questa volta il best seller giallo viene dal Belgio.
Una storia di strani delitti a danno di un maggiorente che ha interesse a che le indagini non approfondiscano gli eventi e non rintraccino il colpevole.
Ma il commissario Van In non abbandona l'indagine neppure quando dall'alto viene costretto alle ferie forzate.
Naturalmente arriverà alla soluzione dell'ingarbugliata vicenda ma senza la partecipazione attiva del lettore cui mancano troppi tasselli per avanzare da solo nelle indagini.
Un poliziesco di genere, con i personaggi principali ben caratterizzati ma un po' carente di suspance.
Leggo che il commissario Van In affronterà una serie di nuove indagini in romanzi successivi che, visto il successo del primo titolo, non si sono fatti attendere.
Per chi apprezzerà ci sarà quindi modo di perseverare… per me va bene così!

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    21 Marzo, 2013
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Ce la puoi fare, Joséphine!

Un romanzo brioso e gradevole la cui protagonista è Joséphine, il brutto anatroccolo che per amor delle figlie scopre di poter diventare un bel cigno, sfruttando le proprie capacità fino a quel momento ignorate.
Capace di distribuire amore a chi l'apprezza e a chi la disprezza per la sua bontà e il suo buon carattere, dopo l'abbandono del marito scoprirà in se stessa la forza di forgiare il proprio destino senza rinunciare alla sua personalità.
Intorno a lei si muove un nutrito gruppo di coprotagonisti: il marito fedifrago, la sorella ricca e insoddisfatta, le figlie così diverse fra loro ma entrambe bisognose di una presenza stabile accanto, la madre risposata e il suo secondo marito con la sua amante, la vicina di casa col giovane figlio (portatori di un segreto che si svelerà solo alla fine). Ciascuno con la propria storia che si intreccia e si svolge intorno a quella di Josephine.
Un romanzo rosa? No, non direi, piuttosto la storia di una donna come tante che nella sua vita mette al primo posto il marito e i figli e che scopre di essere un’unità autonoma e non un accessorio alla vita degli altri solo quando la vita glielo impone.
Lo consiglio a chi ha bisogno di una lettura disimpegnata ma non priva di intelligenza.


[…]
È una persona, la vita, una persona da prendere come partner. Entrare in pista, danzare nel suo vortice: a volte ti fa quasi annegare e tu credi di morire, poi ti acchiappa per i capelli e ti posa un po’ più in là. A volte ti pesta i piedi, altre ti fa volteggiare. Bisogna entrare nella vita come si entra in una danza. Non interrompere il movimento per piangersi addosso, accusare gli altri, bere, prendere delle pastiglie per attutire il colpo. Volteggiare, ondeggiare, ballare. Superare le prove che ti manda per renderti più forte, più determinata.
[…]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    19 Marzo, 2013
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Più rosa che giallo

Amo Scerbanenco. I suoi personaggi sono sempre così reali che nel chiudere il libro vien voglia di salutare, come fossero amici da incontrare nuovamente al più presto.
Non è un giallo, questo, o forse lo è ma solo a margine; forse è solo una storia d’amore che si svolge in un’Italia che sembra quella di un film in bianco e nero con Sordi o con il primo Manfredi.
È il racconto ricco di sentimenti e di sofferenze, un racconto in cui la capacità di immedesimazione di chi legge è parte integrante della storia.
In fondo una storia semplice, quella di una ragazzina sfortunata che, senza colpa, viene condannata a qualche anno di riformatorio e non riesce ad uniformarsi alle regole di violenza psicologica imposta ai “corrigendi”, fino al punto di cacciarsi in guai sempre più grossi.
Intanto disperatamente pensa al ragazzo che ama che, credendola colpevole, non muove un dito per aiutarla.
Insomma una storia d’amore, ma strana, obliqua, anche un po’ datata.
Come sempre con i classici (ormai Scerbanenco è un classico, o no?) bisogna calarsi in un altro tempo ed accettare che per andare da Milano a Roma ci vogliano otto ore di viaggio o che per telefonare a qualcuno in teleselezione (vi ricordate la teleselezione?) sia necessario recarsi presso strutture ad hoc costituite.
Insomma una piccola immersione negli usi e costumi della metà del secolo scorso, ma anche un viaggio su una prosa scorrevole e godibile che non stanca mai.


[…]
“Ma lei ha dimenticato una cosa molto importante: che tutti soffriamo, non solo lei. E poi ne ha dimenticata un’altra: che la natura ha provveduto un potente rimedio quando si soffre: il pianto. Pianga, pianga tutte le volte che può, in qualunque luogo si trovi, di fronte a chiunque.. il pianto è la più grande medicina che conosciamo, contro il dolore. Se lei si irrigidisce, se lei si chiude nel mutismo, il dolore si gonfia dentro di lei, s’indurisce come pietra, diventa disperazione.”
[…]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    14 Marzo, 2013
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Una storia dura

Rimane un senso di disagio, quasi di colpa.
Attraverso le emozioni di Heriet sono stata trascinata in una vicenda che pone una serie di interrogativi e obbliga a decisioni che fortunatamente la vita mi ha risparmiato.
Il sogno di Herriet e David di creare una famiglia numerosa, controcorrente rispetto alle abitudini moderne, pare concretizzarsi nella prima parte del libro con l'acquisto di una vecchia grande casa e con la nascita ravvicinata di quattro splendidi figli.
La famiglia felice, in cui regna l'allegria, l'amore, in breve la felicità, diviene il polo di attrazione di parenti e amici che corrono a occupare le numerosissime stanze non appena possono.
Il baricentro felice riesce in pochi anni a riunire persone che da tempo si evitavano e a ricreare fra tutti l'armonia.
Poi arriva Ben, il quinto figlio. Diverso dagli altri. Diverso e basta.
Di una diversità tale che la nascita quasi contemporanea della cuginetta affetta dalla sindrome di Down sembrerà quasi una benedizione.
La diversità di Ben cambierà la vita di tutto l'estero nucleo famigliare e cambia anche la forma del romanzo, che fino a qui sembrava un racconto leggero e disimpegnato, trasformandolo in un testo teso, duro, angosciante per le decisioni sofferte e contrastate che l'esistenza di Ben imporrà. Un testo che pone il lettore nudo di fronte alla propria coscienza perchè è impossibile non porsi la domanda: cosa avrei fatto io?
Bravissima l'autrice (Nobel nel 2007) capace di una prosa fluida e scorrevole, in grado di catturare ogni particolare di una scena o di un'emozione per restituirla con poche indovinatissime parole e di legare a sé l’ignaro lettore che ancora non sa che in labirinto di buio e di dolore sta andando a infilarsi.
Consigliatissimo per tutti, tranne che per chi attende un bambino... meglio rimandare a dopo!


[…]
Si infilò nel lettone, come sempre allungò il braccio, perché lei potesse appoggiarvi la testa e rannicchiarsi contro di lui.
Ma lei disse: “Senti.” Poi gli prese la mano e se la appoggiò sul ventre.
Era incinta di quasi tre mesi.
Il feto non aveva ancora dato segni di vita indipendente, ma in quel momento David sentì un colpo sotto la mano, quasi un movimento brusco.
“Non sarai per caso più avanti?” Sentì un altro colpo e rimase incredulo.
Harriet aveva ripreso a piangere e David ebbe la sensazione – ingiusta, lo sapeva – che stesse infrangendo le regole di un loro tacito patto: le lacrime e l’infelicità non rientravano nei loro programmi.
[…]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    07 Marzo, 2013
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Un caso per Montalbano

Un giallo di Camilleri con Montalbano.
Non mi so spiegare il motivo per cui, nonostante la simpatia del personaggio e la bravura dell'autore, questi gialli mi lasciano sempre molto tiepida.
Eppure di Camilleri ho adorato i tre libri delle Metamorfosi e apprezzato anche altri titoli, ma privi di Montalbano.
Non sono indifferente alla bravura con cui Camilleri dipinge i personaggi, ognuno portatore di una scintilla vitale che li fa emergere vivi e sanguigni dalla pagina.
Forse è proprio questo tipo di giallo, dai tempi rilassati, che non corrisponde alla mia idea di poliziesco e di certo non è colpa dell’autore.
Comunque una storia ben intrecciata, personaggi credibili, soluzione impossibile da indovinare in anticipo, insomma, tutto quello che ci deve essere c'è.
Per i fan, naturalmente, imperdibile…

[…]
Montalbano, quando non aveva gana d’aria di mare, sostituiva la passiata lungo il braccio del molo di levante con la visita all’arbolo d’ulivo. Assittato a cavasè sopra uno dei rami bassi, s’addrumava una sigaretta e principiava a ragionare sulle facenne da risolvere.
Aveva scoperto che, in qualche misterioso modo, l’intricarsi, l’avvilupparsi, il contorcersi, il sovrapporsi, il labirinto insomma della ramatura, rispecchiava quasi mimeticamente quello che succedeva dintra alla sua testa, l’intreccio delle ipotesi, l’accavallarsi dei ragionamenti. E se qualche supposizione poteva a prima botta sembrargli troppo avventata, troppo azzardosa, la vista di un ramo che disegnava un percorso ancora più avventuroso del suo pinsèro lo rassicurava, lo faceva andare avanti.
[…]

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a tutti i fan di Montalbano, naturalmente!
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    03 Marzo, 2013
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Affondare nella palude


Angosciante e claustrofobico.
Il racconto romanzato e volutamente modificato rispetto alla realtà di quello che ancora oggi, dopo la scomparsa di entrambi i protagonisti, la storia ricorda come l'incidente di Chappaquiddick .
Impossibile, nonostante la non corrispondenza di nomi e date, non riconoscere i protagonisti: il senatore Ted Kennedy e la giovane Mary Jo Kopechne morta affogata all'interno dell'autovettura che il senatore guidava, rovesciatasi in una palude di poco più di un metro di profondità.
Lui riesce a forzare la portiera e a salvarsi, lei rimane incastrata e sopravvive, grazie a una bolla d'aria, ancora per un'angosciante mezz'ora.
Avrebbe potuto salvarsi, ma i soccorsi non furono chiamati e lei morì.
L’incidente costò a Ted, ultimo rampollo di una famiglia potente, ricca e sfortunata, la possibilità di correre per la Casa Bianca, chiudendo di fatto l’epopea dei Kennedy.
Non mi preoccupo di svelare la trama, perché in effetti i fatti sono noti e il libro è incentrato piuttosto sulle sensazioni, sui ricordi, sulle speranze, sulle paure di una giovane donna che non si rassegna a un destino che non sente come suo e, mentre il suo cervello perde progressivamente il contatto con la realtà a causa della mancanza di ossigeno, dipinge intorno a sè una realtà alternativa composta di schegge di immagini e sentimenti provenienti dal passato e dal futuro, senza d'altronde riuscire a cancellare l’angoscia e il terrore legati alla consapevolezza della morte imminente.
L’autrice, penna di primo piano della letteratura americana contemporanea, è davvero brava nel trattenere il suo lettore all’interno di quell’autovettura, costringendolo a un rapporto empatico con la povera ragazza fino all’ultimo momento.
Lo consiglio, a me è molto piaciuto.

[…]
La Toyota a noleggio, guidata con impaziente esuberanza dal Senatore, filava lungo la strada sterrata senza nome, imboccando le curve con vertiginose sbandate strisciando sul terreno, poi, all’improvviso, uscì chissà come di strada per finire nell’impetuosa acqua nera dove, inclinata sul lato destro, affondò rapidamente.
Devo morire?... così?
[…]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    25 Febbraio, 2013
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R e Julie: Giulietta e Romeo?

L’umanità è ormai ridotta a poche migliaia di unità: uomini e donne rinchiusi in fortilizi di resistenza, protetti da milizie armate con l’occhio fisso verso l’esterno, verso le città ormai abbandonate e invase dall’altra parte dell’umanità, quella colpita dal morbo terribile della non-morte. Un po’ “Deserto dei Tartari”, un po’ “Io sono leggenda”.
Fuori dai fortini i Non-morti sono sempre a caccia di Vivi, unico sostentamento e rimedio alla fame atroce che li divora. La carne calda e pulsante, il sangue denso e dolce sono il carburante per proseguire la non-vita ed evitare la Morte, quella definitiva.
Chi viene morso e mangiato diventa a sua volta un Non-morto ma quando anche il cervello viene divorato, allora è morte certa e definitiva.
E il cervello è davvero un bel bocconcino, perché contiene la scintilla di una vita che, sulla lingua del Non-morto diviene sapido ricordo e fuggevole palpito di ciò che ha perso: un susseguirsi veloce ed eccitante di immagini ed emozioni dimenticate.
R, un Non-morto, nel corso di un attacco a un avamposto dei Vivi, uccide e divora Perry, un ragazzo più o meno della sua età che tenta di difendere la sua ragazza, Julie.
Un piccolo morso al cervello di Perry e R sente scorrere dentro di sé una scossa e insieme il bisogno imperioso di salvare Julie, non solo da se stesso ma anche dai suoi simili, e di portarla con sé, di tenersela accanto, di aspirarne l’odore di buono, di vita.
Così comincia il breve romanzo da cui hanno da poco tratto un film.
Direte: Nightmare? Zombi e scene truculente? Roba vecchia e neppure troppo divertente.
E invece no.
C’è il profondo desiderio di tornare alla vita, a quella vera, quella che fa scorrere il sangue nelle vene e l’aria nei polmoni. La vita di profumi e sentimenti. La vita che si sta spegnendo a causa di quella epidemia di non-morte che sta spopolando la terra: perché quando l’ultimo Vivo sarà divorato da un Non-morto, tutti quanti saranno destinati a scomparire e il mondo diventerà un silenzioso deserto inabitato.
I sentimenti sono ormai zavorra inutile da una parte e dall’altra della barricata, difficile coltivarne quando il domani è così fragile e insondabile, quando la morte è divenuta costante di vita. Ma sono proprio i sentimenti quelli che possono cambiare il corso della storia e dare un senso alla vita di tutti.
Non ho letto nessuno dei moltissimi libri (o visto film) così di moda su vampiri e zombies, non posso quindi fare paragoni, ma posso dire che il libro è molto gradevole e scorrevole, raccontato con prosa vivace semplice e immediata.
Solo a tratti e raramente si avverte come una sospensione, un rallentamento, che forse è causato dalla riscrittura che l’autore ne ha fatto quando è stato sollecitato a trasformare un suo racconto breve in romanzo. Ma per quasi tutto il tempo l’azione risulta scorrevole e non forzata.
Non so come le immagini di questo futuro apocalittico siano state rese sul grande schermo, ma mi auguro che il regista abbia rispettato l’anima del romanzo che non si basa su scene truculente ed effetti speciali terrificanti – pur presenti - ma piuttosto sulla psicologia, le sensazioni e i sentimenti dei personaggi che fanno assomigliare il racconto più a una fiaba per adulti (la bella e la bestia?) che non a un horror.


[…] Forse siamo immortali, non lo so. Il futuro per me è confuso tanto quanto il passato. Non posso fare finta che me ne importi di qualsiasi cosa stia a destra o a sinistra del presente, e il presente non è esattamente una priorità. Si potrebbe dire che la morte mi abbia rilassato.[…]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    17 Febbraio, 2013
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Che scoperta!

Il romanzo descrive in forma romanzata, sotto lo pseudonimo di Gregor, la vita di Nikola Tesla, un inventore coevo di Edison, che con lui lavorò nei primi anni per poi affrancarsene quando il celebra inventore non comprese la grandezza delle idee del suo assistente, cui si deve ad esempio lo sfruttamento della corrente alternata come la conosciamo e la utilizziamo oggi per tutti gli usi industriali e domestici.
Ma molti altri sono i brevetti depositati da Tesla e poi sfruttati da altri che legarono il proprio nome all’invenzione: la radio, i raggi X, i missili, il radar, il neon, l’aereo a decollo verticale.
Uomo vulcanico e solitario, affascinante ma refrattario alla compagnia persino degli amici più affezionati, è una delle figure più misteriose della scienza del primo Novecento (fa buona compagnia a Majorana, di qualche decennio successivo).
Ora non si pensi a un libro basato su concetti scientifici e per questo poco comprensibile ai profani, anzi.
Si tratta di biografia romanzata, dicevo, e scritta con verve raffinata, elegante e divertita.
Una prosa trainante e lieve che sembra trasportare il lettore come su un tapis roulant, senza sforzo e senza inciampi, attraverso la vita, i pensieri, le grandezze e le idiosincrasie di un uomo di grande ingegno ma incapace di difendere il suo lavoro e di organizzare la sua vita e le sue finanze.
Così assistiamo all’intero arco della sua vita: da quando entra in questo mondo accompagnato da un temporale epocale e sconvolgente, fino ai suoi ultimi giorni, sempre solo, tristemente ed orgogliosamente solo.
Andando poi a curiosare su questa stupefacente e sconosciuta (almeno per me) figura di scienziato, scopro che i testi che ha lasciato alla sua morte pare siano stati secretati dai servizi segreti degli Stati Uniti d’America e che il segreto andrebbe a decadere proprio quest’anno.
Che cosa tirerà fuori dal cilindro Nikola Tesla a un secolo dalla sua morte?
Questa volta il brano che riporto non proviene dal libro, ma è una dichiarazione dello stesso Tesla:

[…] Mi chiamarono pazzo nel 1896 quando annunciai la scoperta dei raggi cosmici.
Ripetutamente si presero gioco di me e poi, anni dopo, hanno visto che avevo ragione.
Ora presumo che la storia si ripeterà quando affermo che ho scoperto una fonte di energia finora sconosciuta, un’energia senza limiti, che può essere incanalata” […]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    06 Settembre, 2012
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Chi è "dIverso"?

Cica ha visto la morte in faccia ed aveva gli occhi di sua madre.
Quegli occhi le urlavano l'amore mentre, in mezzo alle acque gelide e tumultuose di un fiume, le braccia la cingevano in un disperato abbraccio mortale.
Questo è il ricordo della madre che l'accompagna nell'infanzia e nell'adolescenza vissute accanto ad un padre che lei non riesce ad amare e a cui forse rimprovera di non aver saputo fermare in tempo l'insano e disperato gesto materno, che per un miracolo non ha portato lei stessa alla morte. Cica vive di ribellioni e di solitudini, attutite dalla presenza del suo cane Tomba e dall'affetto della sua anziana vicina Carmelina.

Ranger è un ragazzino cui il destino ha riservato un cromosoma danneggiato, due genitori intelligenti e amorevoli, un nonno da adorare e un fratello minore indispettito dalle attenzioni che l'intera famiglia riserva a colui che lui vive con insofferenza come un impedimento alla propria libertà.
Ranger invece vive con serenità la sindrome di Down, quasi ignorando la differenza fra sé e i cosiddetti normali, grazie al proprio carattere dolce ed accomodante e alla propria forza di volontà.

Due ragazzini veramente speciali, il cui destino e di incontrarsi in un momento decisivo e drammatico.
Il romanzo, gradevolissima opera prima, racconta con stile semplice e godibile una vicenda di vite difficili, approfondendo con sensibilità e acume psicologico la diversità di Ranger e le difficoltà relazionali e le ribellioni di Cica.
Un libro bello e delicato, a momenti brutale e disperato, ricco di sentimenti ed emozioni. Complimenti alla giovane autrice.


[…]
“Ma cosa c'è di così bello dentro un libro?” Cica è perplessa.
“C'è tutto, bambina. C'è tutto” dice Carmelina. “Ciascuno di noi ha una vita soltanto. Tu sei piccola, ma passa veloce. Te lo posso giurare io, che mi sembra ieri che avevo vent'anni e mi dovevo sposare. Invece le persone che leggono i libri hanno tante vite, una per ogni libro. E tutte diverse. Puoi andare nella giungla, alla corte del re, in Cina. Puoi essere una ballerina, un capitano, un indiano. Quando leggi ti puoi pigliare la vita delle persone del libro, i loro amori, le loro feste, i loro vestiti, i loro cuori. Chi legge ha cento vite.”
[...]

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Fantascienza
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    05 Settembre, 2012
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Fantascienza d'antan

Fra le rovine di una villa pericolante sull'orlo di un baratro, due amici ritrovano un antico diario, molto malmesso, in cui è annotata una storia di disperazione e terrore.
La villa, nel passato, è stata teatro di incredibili avvenimenti, in bilico fra l'horror, la fantascienza e la metafisica. Il proprietario ha vissuto, all'interno ed al di sotto di questa casa esperienze disallineate con la realtà, che lo hanno portato al di fuori della galassia e al di fuori di se stesso. Il racconto non ha momenti di pausa fra un'esperienza terrificante e la successiva, in un crescendo di angoscia, claustrofobia ed orrore.
“La casa sull'abisso” risale ai primi anni del 1900 e fa parte di quella innovazione letteraria che porterà il nome di fantascienza. Dopo Hodgson molti altri nomi illustri daranno a questo genere dignità letteraria. Anche un grandissimo della fantascienza, Lovecraft, fu un grande ammiratore di Hodgson da cui trasse ispirazione per alcuni dei suoi lavori più noti.
È un libro particolare ma il mio giudizio un po' tiepido risente forse dello sviluppo del genere horror e fantastico, che oggi ci ha abituato ad uno stile più leggero e veloce; ciò non toglie comunque il valore di apri pista di questo breve romanzo: per esempio le case “animate” di tanti autori a seguire, fra cui il grande Stephen King, sono chiaramente discendenti da questa casa pericolante su un abisso di orrore.


[…]
Quando fummo vicini alla forma che avevo intravisto, ebbi conferma della mia supposizione. Era senza dubbio un frammento di rudere di un edificio; ma ora vidi che non sorgeva, come avevo creduto, sul ciglio del baratro, ma all'estremità di un enorme sperone di roccia che sporgeva sull'abisso per una cinquantina di metri. In effetti, il rudere era praticamente sospeso nel vuoto.
Ci avventurammo su quello sperone di roccia, e confesso che guardando da quella posizione vertiginosa le ignote profondità spalancate sotto di noi, l'abisso da cui si alzava l'incessante rombo della cascata, e la nuvola di vapore, provai un senso di indicibile terrore.
[...]


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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    17 Agosto, 2012
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Bella e dannata

Chi era Jezabel?
L'antico testamento ce la racconta moglie di Achab, uno dei re più crudeli di Israele, dedita al culto di Baal, dio dei popoli semitici in opposizione al dio di Israele, Yahuveh o Yehowah.
In qualità di sacerdotessa e profetessa del dio Baal spinse il marito a perseguitare i sacerdoti di Yahuveh e visse una vita dissoluta guadagnandosi il titolo di prostituta.
Contro di lei, nell'Apocalisse fu scagliato l'anatema: “ … io le ho dato tempo per ravvedersi, ed ella non vuol ravvedersi della sua fornicazione. Ecco, io getto lei sopra un letto di dolore, e quelli che commettono adulterio con lei in una gran tribolazione, se non si ravvedono delle opere d’essa. E metterò a morte i suoi figliuoli ... “
Irene Némirovsky attaglia la maledizione che cadde su Jezabel alla sua protagonista, Gladys Eysenach, che nelle prime pagine troviamo seduta alla sbarra degli imputati nel processo per omicidio di quello che viene considerato il suo ultimo amante.
Si dichiara colpevole e chiede solo che tutto finisca in fretta: vuole evitare imbarazzanti interrogatori e testimonianze sulla sua vita.
Da qui la storia si riavvolge su se stessa e inizia il racconto di quello che lei vorrebbe dimenticare e far dimenticare.
Assistiamo alla sua giovinezza, alla sua fulgida maturità, quando bellissima e desiderata scopre e impara ad usare con maestria il fascino di cui è dotata.
Ama leggere nello sguardo degli uomini ammirazione ed amore, ama leggere in quegli occhi il trionfo della propria femminilità.
Non di amore, ma solo di questo si nutre Gladys e quando il passare del tempo metterà a rischio la giovinezza e la freschezza, rinuncerà a tutto, egoisticamente sacrificherà qualunque affetto, anche quello per la figlia, per preservare agli occhi del mondo il proprio aspetto e la propria capacità di attrarre gli uomini.
Gladys è una donna avviata alla vecchiaia e incapace di accettare il passare del tempo, che vorrebbe concludere un patto faustiano per vivere ancora un anno, qualche mese, qualche settimana di felice giovinezza e spia nelle donne più giovani la freschezza di pelle, l'ovale perfetto del viso, la fluidità di movimenti che lei va perdendo. E ne soffre, di dolore autentico.
A raccontare la trama si può pensare al classico feuilleton ottocentesco, ma la penna di Irene, la sua attenzione alle tensioni psicologiche, la finezza delle descrizioni, la profonda analisi delle motivazioni e delle debolezze delle sue eroine, i finali sempre sorprendenti, fanno dei suoi racconti piccoli capolavori inattesi.
Stupisce di trovare nella Nèmirovsky, morta prima dei quarant'anni (altro crimine da ascrivere al nazismo) una così profonda comprensione dei sentimenti che accompagnano alla vecchiaia una donna che fu bella. Mi chiedo che meraviglie avrebbe potuto scrivere in seguito se la sua vita non fosse stata brutalmente troncata.


[…]
Che delizia vedere un uomo ai propri piedi...
Che cosa c'era di più bello al mondo di quel nascente potere femminile...? Era proprio questo che stava aspettando, che presagiva da tanti giorni. Il piacere, il ballo, il successo... non erano niente, impallidivano davanti a quella sensazione intensa, a quella sorta di fitta interiore che provava.
“L'amore?” pensò “Oh, no, il piacere di essere amata... quasi sacrilego...”.
[...]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    16 Agosto, 2012
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No!

No! No! E poi no!
Desideravo solo un libro leggero, estivo, di quelli che ti consentono di farti quattro risate intelligenti. Se poi queste risate nascono da una garbata presa in giro dei mariti o fidanzati in generale, insomma degli insopportabili ma adorabili uomini, tanto meglio.
Questo prometteva questo libretto e, in piena letizia, sotto il sole cocente mi sono predisposta a leggerlo e divertirmi.
Divertirmi?
Pagine e pagine di insulsaggini, frasi fatte, luoghi comuni.
Suddiviso in capitoli, tratta monograficamente le varie tipologie di mariti (così come li immagina l'autrice): il marito pignolo, il marito raffinato, gourmet, ovvio, ansioso, cinefilo, infantile, geloso, sportivo, fedifrago, trendy... ecc ecc., inanellando per ogni categoria le più assolute ovvietà, già viste e sentite nei monologhi di tanti comici passati per zelig o programmi similari. Con la differenza che lì la risata viene strappata dalla vis comica dell'artista, mentre qui anche l'umorismo risulta forzato e stiracchiato.
Sono arrivata quasi a metà, sperando di trovare qualcosa di buono che mi ripagasse della cifra spesa per l'acquisto... poi mi sono arresa.
L'ho sfogliato velocemente andando verso la fine e … Sorpresa Sorpresa! ... per completare l'apoteosi di banalità, scopro che il libro si conclude con un bel test, di quelli di cui abbondano certe riviste femminili nel periodo estivo: “Questionario per l'individuazione e classificazione del marito”!
Rispondete ad una quindicina di domande e saprete se il marito che avete già scelto o quello per cui siete attualmente in trattativa rientra in una categoria o nell'altra! Utile vero???
Propongo un piccolo assaggio di frasi che – se pronunciate da lui - dovrebbero consentirci di riconoscere la tipologia di marito definito “Ovvio” (l'elenco occupa tre o quattro pagine!):


[…]
Mina rimane la più bella voce italiana.
I film in lingua originale sono tutta un'altra cosa
Monica Bellucci è sempre la più bella.
Tanto le foto sono tutte ritoccate, anche la Bellucci.
I neri hanno il ritmo nel sangue.
Al Tg, mamma mia, danno solo brutte notizie.
Si sa, la palla è rotonda.
Il nuoto è lo sport più completo.
Gli sciatori italiani hanno tutti nomi tedeschi.
Se prendi un semaforo rosso, li prendi tutti rossi.
La montagna è triste.
Venezia è bella ma non ci vivrei.
Certo che l'aereo è una bella comodità.
Non esistono più le mezze stagioni.
Quando hai sete, niente di meglio di un bel bicchiere d'acqua.
[…]


Se ne volete ancora non avete che da comprare il libro.


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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    15 Agosto, 2012
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Poesia e olocausto?

Quando leggo Erri De Luca la trama passa spesso in secondo piano: mi si impongono con forza il ritmo, la scelta lessicale, l'unione inconsueta di un termine con un altro, che porta la sua prosa a sconfinare con la poesia.
La lettura si fa lenta, attenta a cogliere i sapori, gli odori e le luci nascosti fra le parole.
Il piacere deriva dall'attraversare le righe come fossero un bosco di salici piangenti, sentendosi sfiorare da immagini e sensazioni lievi eppure persistenti. Le sue parole si sciolgono sulla lingua come un boccone di gelato, lasciando un gusto buono, anche quando raccontano di atrocità, di olocausto, di disperazione.
Di questo parla questo piccolo libro, un argomento non originale che però non scade nel banale grazie alla doppia scelta di inserire se stesso, l'autore, come personaggio che, nella prima parte del libro, getta le basi per introdurre l'argomento principale - gli ultimi anni di vita di un gerarca nazista in fuga dalla vendetta dei cacciatori di nazisti - da un punto di vista inedito, quello della figlia, che sembra gli rimanga accanto solo in attesa dell'epilogo che verrà e che lo osserva spesso con occhio distaccato e freddo, incapace di provare per lui pietà amore o perdono.
Del resto non c'è pentimento in quest'uomo, che non si è lasciato trascinare dal nazismo, ma l'ha vissuto e fatto suo, e che disprezza i gerarchi che a Norimberga si sono fatti scudo dell'aver “obbedito agli ordini” come ogni soldato deve fare. No, lui gli ordini li ha fatti suoi e lo afferma con orgoglio. Non rinnega il passato e rimpiange solo che l'esito finale l'abbia posto fra i vinti.
Un testo, questo, che tratta argomenti sempre angosciosi nonostante il tempo che passa, ma che lo fa con la delicatezza e con la capacità di immedesimazione che è propria di questo narratore-poeta.


[...] “Un ordine non va solo eseguito, va creato dal niente. Spesso è sommario e spetta al soldato inventare i mezzi per eseguirlo.”
“Non mi discolpo dicendo di essermi trovato costretto a eseguire degli ordini. Li ho sentiti, i miei superiori in Tribunale, dichiararsi sotto befehlotstand, in stato di costrizione, in seguito a un ordine. Noi quegli ordini li abbiamo smontati e rimontati come si fa con le armi. Li abbiamo oliati e lubrificati perché non si inceppassero. Li abbiamo eseguiti con l'efficienza dell'entusiasmo. La nostra colpa è più imperdonabile: è la sconfitta” [...]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    08 Agosto, 2012
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Adorabile Pendergast

Accidenti quanto mi piace l'agente Aloysius Pendergast!
Diafano, elegante, algido, enigmatico, impeccabile ragionatore, capace di amicizie tenaci e di affetti duraturi.
Trasformista, indomito, onesto ma privo di pietà per i feroci assassini in cui si imbatte nel corso delle indagini.
La serie di titoli di Preston & Child che ha per protagonista l'agente dell'FBI più straordinario che si possa immaginare è tutta da leggere.
Naturalmente non sono tutti riusciti allo stesso modo: alcuni sono più ricchi di suspance, altri sono più elaborati e “gotici”, ma questa coppia di autori è una garanzia di buona e avvincente lettura. Impossibile lasciare il libro a metà, o anche solo abbandonarlo per qualche giorno. La loro capacità di terminare un capitolo lanciando l'amo per quello successivo è paragonabile solo alla maestria del Re, e come lui (quasi) non sbagliano un colpo.
Questo libro in particolare è molto ben costruito anche se privo dei grandi colpi di teatro presenti in altri titoli. L'indagine è serrata, le intuizioni logiche e i personaggi sempre coerenti. Non sempre si può dire questo di un racconto poliziesco.
Per chi non abbia mai letto questa serie di romanzi di Preston & Child suggerisco di non cominciare da questo titolo perché anche se, in genere, i romanzi non sono interconnessi, i personaggi sono più o meno sempre gli stessi ed è opportuno cominciare a conoscerli dalle prime avventure, perché alcuni comportamenti o deduzioni non risultino un po' oscuri e non ci si trovi a chiedersi: “Ma questa tizia o questo tizio, chi cavolo sono?”
“L'isola della follia” è il primo di una trilogia, mentre il primo della serie con il super agente è il famosissimo Relic: da leggere assolutamente!


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Consigliato a chi ha letto...
I libri precedenti della coppia di autori
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Romanzi storici
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    05 Agosto, 2012
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... e infine fu unita!


Sono passati 150 anni. Li abbiamo festeggiati, seppure con qualche polemica.
L'Italia, che in realtà è più un concetto geografico che culturale, è infondo terribilmente giovane: non sono trascorse che poche generazioni. A ben pensare, il nonno di mio nonno avrà a suo tempo dovuto prendere la decisione di schierarsi dalla parte del governo costituito o da quella dei cospiratori che volevano sovvertire l'ordine e, per un ideale romantico (o per una spinta utilitaristica?), conquistare ogni lembo di terra necessario a comporre il puzzle a forma di stivale.
Per lui Mazzini e Garibaldi, Cavour e Ricasoli, Pio IX e Vittorio Emanuele II erano come per noi la Merkel e Monti: contemporanei di cui giudicare le azioni e non figure storiche coperte da un alone di gloria o discredito.
Ecco, questo libro contiene una realtà vista con gli occhi del nonno del nonno di ciascuno di noi.
Sono presentate le motivazioni di coloro che si mossero pro e contro, il loro terreno di appartenenza, i loro valori, i loro obiettivi. E poi ci sono coloro che tradirono patria e ideali e che cambiarono bandiera più volte, costretti dagli eventi o da motivi utilitaristici.
C'è un Mazzini assai diverso da come lo abbiamo studiato a scuola, un personaggio un po' ambiguo: da una parte tollerante e capace di lasciar lavorare il tempo, dall'altra in grado di ordinare stragi ed insurrezioni incurante del numero di vite innocenti che sarebbero state annientate. Sicuramente un'intelligenza politica, forse non altrettanto brillante sul lato dell'economia.
C'è un Garibaldi con qualche dubbio e qualche stanchezza, anche se sempre grande stratega e combattente (Peppino non si discute!).
E poi ci sono figure di fantasia che alleggeriscono il racconto, ne rammendano i lembi storici e ci aiutano a tirare un respiro fra tante immagini crude e tragiche, come cruda e tragica è la guerra.
Un libro bellissimo. Non è un libro da spiaggia, soprattutto a causa delle sue quasi 600 pagine, ma la prosa elegante e scorrevole, la piacevolezza della costruzione, l'interesse del contenuto impediscono che lo si abbandoni e quasi con dispiacere si arriva alle ultime pagine, dando l'addio ai personaggi reali (che hanno costruito l'Italia) e a quelli di fantasia che sembran veri.
Al termine della lettura mi sono ritrovata con la curiosità di indagare oltre su un periodo che è stato assai più complesso di quel che ci raccontano sui banchi di scuola ed ho iniziato un altro libro sull'argomento, seppure sviluppato in modo totalmente diverso: non un romanzo, ma un'indagine giornalistica a ritroso nel tempo per comprendere i motivi che spinsero all'unificazione e le conseguenze economiche e sociali che ne sono scaturite. Il titolo del libro è “Terroni”... ma questa è un'altra storia!


[…] Lorenzo allarga le braccia e si sforza di dominare la rabbia. Sono sbarcati da due giorni, e dovunque la stessa canzone. Dovunque al loro passaggio piazze deserte, case abbandonate, masserie svuotate d'ogni vettovaglia. E quel grido ossessivo: i briganti. I briganti. Dove sono i millecinquecento insorti di cui avevano letto sul “Mediterraneo” di Malta? Dove i Figli della Giovane Italia che avrebbero dovuto attenderli sul costone di Santa Roccella? [...]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    05 Agosto, 2012
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Una realtà che non ti aspetti

Terroni, o “sudici”. Sì, insomma, quelli nati e vissuti a sud di Roma.
In alternativa ai nordici, quelli nati e vissuti al di sopra della linea gotica, insomma i “padani” o “mangiapolenta”.
Sono già riuscita a fare innervosire tutti?
Beh, se leggerete questo libro non avete idea di che cosa vi aspetta!
Mi fu suggerito, tempo fa, da un caro amico (modenese) e lo comprai subito. Poi ho sentito l'urgenza di leggerlo dopo aver terminato la lettura di “I Traditori” di Giancarlo De Cataldo, che narra dell'unificazione d'Italia.
Mi erano rimaste tante domande, sulla nostra storia, sulla liberazione (o conquista?) del sud d'Italia. Sul regno delle Due Sicilie, sui Savoia...
Questo libro dà risposte, serie, documentate, terribilmente vere. Ma talvolta si fa fatica a crederci perché presenta persone ed eventi sotto una luce talmente diversa da quella accettata e tramandata dai libri di storia che sembra tutta fantasia.
Ma si sa, la storia la scrivono i vincitori: ai vinti tocca il silenzio.
Almeno fino a quando qualcuno non si mette a scavare negli archivi storici, nella memoria dei sopravvissuti, nell'evidenza tracciata nella storia di altri popoli, che si intersecò con la nostra.
Alcune pagine di questo libro sono talmente atroci che costringono ad una pausa; bisogna interrompere la lettura per assimilare concetti nuovi, per accettarli.
Ma il libro è là che ti chiama, che ti impedisce di abbandonare, perché vuoi sapere, fino in fondo.
L'Autore non espone congetture, ma fatti supportati da ricerche già pubblicate ed affidabili.
Ne esce un quadro che fa pensare. È inevitabile chiedersi: se le cose fossero andate diversamente, se fossero state le armate di Francesco II a conquistare il centro ed il nord d'Italia, oggi come starebbero le cose per noi italiani?
In tutto questo lo stile di Pino Aprile è ironico, pungente, accattivante e persino divertente.
Usa l'ironia per diluire gli orrori che va raccontando e strappa più di un sorriso, anche se a volte triste e un po' tirato.
Terroni mi è piaciuto molto, è un libro da leggere e rileggere, un libro da consigliare agli amici, come il mio amico modenese ha fatto con me.
Questa volta ho grosse difficoltà nello scegliere un brano da riportare in chiusura di recensione perché non c'è pagina che non porti qualche annotazione: allora scelgo a caso!

[...] Il Piemonte era pieno di debiti; il Regno delle Due Sicilie pieno di soldi. Quante volte abbiamo letto che i titoli di stato del primo, alla Borsa di Parigi, quotavano il 30 per cento in meno del valore nominale; quelli del secondo, il 20 per cento in più; e che al Sud, con un terzo della popolazione totale, c'era in giro il doppio dei quattrini che nel resto d'Italia messo insieme?
L'impoverimento del Meridione per arricchire il Nord non fu la conseguenza, ma la ragione dell'Unità d'Italia. La ragione dei pratici; quella dei romantici era un'ideale. Vinsero entrambi. […]

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I Traditori di Giancarlo De Cataldo o qualsiasi libro sull'unità d'Italia, o a chi ha voglia di sapere come è andata veramente....
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    19 Luglio, 2012
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La mano che cambia la vita

Patrick è un uomo pubblico, cronista per una rete televisiva americana, è bello e affascinante: le donne lo corteggiano, lo rincorrono e di questo lui pare inconsapevole.
Le cose non cambiano neppure quando, a causa di uno spettacolare incidente trasmesso in diretta televisiva, un leone gli divora la mano e e il polso: il suo fascino e la sua fama, anziché sfumare a causa della menomazione, aumentano fino a portarlo alla sedia di anchorman nel telegiornale dell'ora di punta.
Improvvisamente si rende disponibile per il trapianto una mano offerta gentilmente dalla giovane vedova di un camionista che, lei dichiara, sarebbe stato ben felice di lasciargliela in eredità. Il nostro accetta, non immaginando a quali ingarbugliate e paradossali esperienze lo porterà questa decisione. La nuova mano diventerà in qualche modo un nuovo personaggio con una vita propria e deciderà del futuro di Patrick.
Lo stile di John Irving è come sempre fluido e frizzante, gli eventi ed i personaggi sono imprevedibili e assai ben descritti, e rendono piacevole la lettura.
Non siamo ai livelli di “Il mondo secondo Garp”, né di “Le regole della casa del sidro”, il tema è assai più frivolo e meno corale, ma rimane la capacità dell'autore di accompagnare il lettore fino alle ultime pagine con il sorriso sulle labbra.
Una lettura leggera ottima se accompagnata dallo sciabordio delle onde o dal fruscio delle foglie degli alberi.

[…]
Quando i leoni cominciarono a ruggire, il cameraman li inquadrò in primo piano, e Patrick Wallingford – cogliendo l'attimo di genuina spontaneità – protese il microfono verso la gabbia, ottenendo in tal modo una “chiusura” molto migliore di quel che si aspettava.
Una zampa guizzò tra le sbarre della gabbia e artigliò il polso sinistro di Wallingford, il quale lasciò cadere il microfono. Meno di due secondi più tardi il suo braccio sinistro si trovava fino al gomito all'interno della gabbia. La spalla sinistra sbattè con violenza contro le sbarre; la mano sinistra di Patrick, con tre o quattro centimetri di polso, era tra le fauci del leone.
[...]

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Storia e biografie
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    17 Luglio, 2012
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Drammaticamente reale

Rapimento, isolamento, sevizie, violenza psicologica. Da affrontare da sola, a nove anni. Per un tempo infinito: otto anni e mezzo.
Sopravvivere contando solo sulle proprie forze e riuscire a conquistare la libertà da sola, dopo aver inutilmente atteso l'intervento della polizia ed aver perso ogni speranza di aiuto dall'esterno.
È successo davvero a Natascha Kampusch e la vicenda ha avuto molta visibilità su tutti i media per l'eccezionalità della storia conclusasi nel 2006 con la fuga della ragazza in un momento (il primo) di distrazione del suo carceriere.
Un rapimento anomalo, non a scopo di uso sessuale o di riscatto, ma indirizzato a creare soggezione psicologica fino al plagio totale: praticamente un tentativo di riduzione in schiavitù.
Per tutti quegli anni Natascha ha avuto la forza di mantenere lucidamente la propria identità, anche sotto minaccia di sevizie inaudite, trovando in sé la forza di “perdonare” al proprio rapitore ogni attimo di sofferenza, per non farsi divorare viva dall'odio.
Il racconto lucidissimo di quegli anni di formazione - la fine dell'infanzia, l'adolescenza e l'ingresso nell'età adulta, con il suo aguzzino come unica compagnia, unico essere umano con cui condividere tempo pensieri e addirittura abbracci – è il contenuto di questo libro, che Natascha ha voluto scrivere per mettere fine alle tante illazioni più o meno fantasiose inventate dai cronisti per sfruttare una storia quasi incredibile finita bene al di là di ogni aspettativa.
Il libro è scritto in modo semplice e forse talvolta un po' ripetitivo nei concetti, ma credo si tratti soprattutto di un voler sottolineare, da parte dell'autrice, la propria verità contro le speculazioni della stampa che metteva in dubbio le modalità della prigionia e della liberazione, tirando in causa la “Sindrome di Stoccolma” per giustificare alcune dichiarazioni di Natascha.
Sorprende il distacco con il quale racconta le sevizie subite, quasi si tratti della lista della spesa al supermercato: forse l'unico modo per mettere fra sé e l'orrore il distacco necessario per sopravvivere.
Nel chiudere definitivamente il libro resta la meraviglia per l'incredibile forza d'animo e per il coraggio di questa bimba cresciuta attingendo energia solo da se stessa e grande rispetto, privo di compassione, che è proprio quello di cui Natascha sente il bisogno.
Le righe che seguono sono inserite nel libro, copiate da un diario che Natascha ha tenuto durante la prigionia.


[...]
“Mi ha presa a calci e picchiata più volte, anche sulla testa. Mi ha colpito sulle labbra a sangue, e una volta sul labbro inferiore si è formato un gonfiore grande come un pisello (leggermente bluastro). Un'altra volta mi ha picchiata fino a quando si è formata una tumefazione raggrinzita a destra, sotto la bocca. Inoltre ho anche un taglio (non ricordo più causato da cosa) sulla guancia destra. Una volta mi ha gettato una valigetta degli attrezzi sui piedi, la conseguenza sono stati degli ematomi estesi, verde pastello. Mi ha colpito più volte sul dorso delle mani con la chiave a forchetta o simili. Ho due ematomi simmetrici e nerastri sotto entrambe le scapole e lungo la spina dorsale.
Oggi mi ha dato un pugno sull'occhio destro, così che ho visto i lampi, e uno sull'orecchio destro, allora ho avvertito un dolore penetrante, un suono e uno scricchiolio. Poi ha continuato a colpirmi sulla testa.”
[...]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    14 Luglio, 2012
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Una fiaba per adulti

Può nascere amore fra una sirena, impastata di acqua di mare, ed un contadino che ama solo la terra e il mare lo aborre?
Camilleri pensa di sì e ci racconta questa favola per adulti delicata e poetica in cui gli opposti si attraggono e si completano.
Maruzza Musumeci è il primo titolo della serie dedicata alle Metamorfosi, che si completa con “Il Casellante” e “Il Sonaglio” di cui ho già avuto occasione di parlare.
La trilogia presenta tre caratteri di donne forti, amorevoli, ammaliatrici – la donna sirena, la donna albero, la donna capra – provenienti da una lontana tradizione classica (Omero, Ovidio), ma calate nella realtà siciliana dell'inizio del secolo scorso, con tutte le componenti di attualità legate al periodo storico: la mafia, il fascismo, la misera condizione di vita della popolazione in un territorio arretrato e ricco di tradizioni.
La favola di Maruzza è, fra le tre, quella che conserva maggiormente l'impianto della fiaba: c'è tutta la malìa del racconto nato per i bambini, ma con argomentazioni da adulti.
È una lettura che cattura e si esaurisce in un paio di pomeriggi e lascia in bocca il buon sapore della merenda che preparava la nonna e la leggerezza di cuore che nasce dal racconto di una bella storia d'amore.
Meno drammatico di “Il Casellante”, meno spiazzante di “Il Sonaglio”, “Maruzza Musumeci” è il titolo giusto con il quale iniziare la lettura (consigliatissima) della Trilogia di Camilleri.


[…]
“Ecco, vi devo diri che lei si credi d'essiri 'na cosa che non è. Ma io ne canoscio a tante di persone che si cridino d'essiri 'n'autra cosa di quello che sunno.” […] Pirchì Maruzza pinsava che come fimmina fagliava di una parti 'mportanti e perciò non era capace d'aviri a chiffare con un omo”.
“Nenti ci capii. Voliti spiegarvi meglio?”
“Diciva che lei non teneva la natura, che era nasciuta diversa, che aviva sì le minne, ma che non teneva lo sticchio.”
“Avà! Ma che mi vinite a contare!”
“Ve lo giuro”.
“E pirchì diciva accussì?”
“Pirchì si cridiva d'essiri un pisci”.
“Un pisci?”:
“Pisci pisci, no. 'Na sirena”.
Gnazio si sintì pigliato dai turchi.
“'Na sirena di papore? Quelle che friscano 'n partenza e in arrivo?”
“Ma che minchiate dicite! Ca quali papore e papore! Non lo sapiti che è 'na sirena?”
[...]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    12 Luglio, 2012
Top 100 Opinionisti  -  

Grazie Hank!

Un piacere liquido, dissetante, rinvigorente: la scrittura di Hank (il nome che si scelse da solo) Bukowsky.
Da un po' di tempo non avevo più voglia di leggere: strano, stranissimo per chi, come me, ha bisogno di respirare parole.
Diverse decine di libri nuovi, acquistati con piacere e desiderio, mi guardavano dalle ante della libreria. Vi posavo uno sguardo distratto e passavo ad altre occupazioni. Ma la lettura, quando è un'abitudine di vita, è difficile da dimenticare: un piacere sottile, un'evasione ricca di stimoli anche quando il libro non è proprio dei migliori.
E così il disagio cresceva. Alla fine ho rimediato riprendendo fra le mani uno degli autori che amo di più: il vecchio, disilluso, ironico, dissacrante Charles Bukowski.
Hank è così vitale, così emozionante nella sua profonda incapacità di sottostare alle regole della civile convivenza, è così incredibilmente “vivo” anche se costantemente avvolto dai fumi dell'alcool, incapace di mantenersi un lavoro dignitoso, sempre in bilico fra l'estasi alcoolica ed il pensiero filosofico, ruvido e tenero allo stesso tempo, provocatoriamente derisorio nei confronti del proprio (enorme) talento.
Hank dà voce ai derelitti fra i quali si nasconde, facendosi portavoce di un profondo disagio sociale, dona loro la dignità del pensiero anche quando dipinge gli altri e se stesso fra fiotti di vomito in ambienti moralmente putrefatti.
Hank è un poeta (le sue poesie sono splendide, a mio avviso superiori ai testi in prosa) ed ogni racconto che compone quest’opera lo dimostra.
A chi non ha ancora assaggiato i manicaretti che Bukowski sa preparare con la sua vecchia macchina per scrivere, suggerisco di cominciare da questo titolo. A chi invece l'ha già gustato, forse queste poche righe potrebbero far tornare l'appetito...


[…]
L'anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci: soprattutto perché provi un senso di benessere, quando gli sei vicino.
[...]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    09 Mag, 2012
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Un paziente terribile

“La medicina è la più diffusa fra le malattie ereditarie” e il dottor Galvan, discendente di una stirpe di medici, non sfugge alla sua sorte: opera in ospedale, nel pronto soccorso, perché il suo sogno è diventare specialista di medicina interna.
Si prodiga, il dottor Galvan, veloce e preciso, attento a dar risposte rapide e rasserenanti, fiero di sé e delle proprie capacità, fino a che...
Fino a che una notte al pronto soccorso si presenta un paziente che metterà in imbarazzo non solo il povero Galvan, ma anche tutti quanti gli specialisti che verranno via via interpellati per risolvere l'emergenza sempre variabile e imprevedibile che l'incredibile malato incarnerà per ciascuno di loro, fino a coinvolgere il grande e venerabile Barone, che tutto sa, che viene chiamato al suo capezzale quando si cominciano a perdere le speranze.
Il finale è imprevedibile e tutto il racconto è tenuto in sospensione fra il desiderio di scoprire di quale malattia soffre il paziente e la risata che gorgoglia in gola al lettore e si libera finalmente nelle ultime pagine.
Il dottor Galvan è un eroe, sì, un eroe che vendica la classe medica ed alla fine anche noi lettori.
Si tratta di un racconto breve, appena un paio d'ore di lettura leggera e divertente.


[…]
“Non mi sento tanto bene.”
Aveva la carnagione pallida e la voce neutra, il tono stanco e l'aria mesta.
Non si sentiva tanto bene. Ma non stava neanche troppo male. Il classico tipo che Eliane detestava. Sapeva fin troppo bene che l'avremmo rivisto. “Ma santo dio, Galvan, questo è un pronto soccorso, mica uno Sportello Aiuto di Vattelappesca!”.
Mentre mi interessavo al signore, ho sussurrato “Il soccorso di cui ha bisogno è la tua dolcezza, Eliane, ha bisogno della mamma”.
[...]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    07 Mag, 2012
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Candido e L'Ingenuo

Temo che parlare di Voltaire faccia venire in mente ai più qualche noiosissima ora di letteratura e lingua straniera o magari di filosofia, soprattutto se aggiungo anche il nome di Leibniz con le sue monadi e l'universo ad armonia prestabilita e se insisto tirando in ballo anche Jean-Jacques Rousseau con il suo Emile.
Ok, avete già smesso di leggere? C'è ancora qualcuno? Uno?
Bene, allora lasciami dire, tu che mi leggi, che con Voltaire si ride, si sogghigna, ci si diverte, insomma.
Il libro in mio possesso contiene due romanzi brevi: Candido e L'Ingenuo.
Nel primo si assiste ad un susseguirsi caleidoscopico di situazioni paradossali che capitano al buon Candido, cresciuto alla scuola del maestro Pangloss, seguace della filosofia di Leibniz che afferma, in soldoni, che il mondo in cui viviamo è il migliore dei mondi possibili e la vita che ci tocca in sorte è la migliore delle vite possibili per noi.
Pertanto, se questo assunto è vero, perché impegnarsi a costruire o modificare la propria vita e la società? Lasciamoci trasportare dalla zattera del destino e accontentiamoci di quel che la vita ci offre (il racconto nasconde un fine morale ed educativo? Va bene, ok, ma non fa mica male, no?).
Ciò che tocca in sorte al povero Candido è un continuo peregrinare in giro per il mondo alla ricerca della sua donna e della felicità.
Il ritmo è incalzante e serrato: una girandola di situazioni tragiche, comiche, fantastiche - aderenti alla realtà sociale dell'epoca ma non tanto lontane dall'attuale - battaglie, fughe, incontri, separazioni, amore, odio, amicizia, fedeltà, tradimenti.
In ogni capitolo la situazione viene ribaltata e conduce Candido a verificare che l'insegnamento del suo maestro filosofo non è aderente alla realtà della vita, la quale purtroppo non si aggiusta da sola, non consente di lasciarsi semplicemente trasportare, ma richiede l'impegno anche minimo di coltivare le persone e le occasioni che ci capiteranno in sorte.
Finalmente troverà la sua pace quando si accosterà ad una donna dalla filosofia di vita solida e semplice che gli farà comprendere che molto possiamo fare per influenzare il nostro destino e costruire la nostra felicità.

L'Ingenuo invece, si aggancia alla teoria filosofica di Rousseau, che afferma nell'Emile che la migliore educazione possibile per un bambino e un adolescente consiste nel crescere inserito nella natura e lontano dalla società organizzata.
L'Ingenuo arriva dalle lontane Americhe: è praticamente un selvaggio, ma molto intelligente e capace di adeguarsi in fretta ai modi e ai costumi della società “civile”.
Arriva in Francia a bordo di un bastimento Inglese e vi si ferma, incontrando incredibilmente alcuni lontani parenti.
Il suo animo puro e non corrotto mal si concilia con l'ipocrisia imperante e la lettura della Bibbia, alla quale lo costringono per convertirlo, fa risaltare ai suoi occhi come la parola di Dio venga volutamente fraintesa ed aggirata in una società che si dichiara civile, mentre si trova in perfetta aderenza con i modi di vivere “selvaggi”.
Anche per l'Ingenuo si profilano battaglie, fughe e prigionie ed anche per lui il fine ultimo è raggiungere la felicità attraverso l'amore.

Entrambi i testi sono di semplice e veloce lettura e non soffrono del passare del tempo (oltre due secoli e mezzo) perché affrontano con leggerezza temi universali.

[…]
- Ma a qual fine questo mondo è stato dunque formato? - ripiglia Candido.
- Per farci arrabbiare, risponde Martino.
- Credete voi, dice Candido, che gli uomini si siano sempre vicendevolmente straziati, come lo fanno al presente? ch'essi siano sempre stati bugiardi, furbi, perfidi, ingrati, assassini, pieni di debolezze, ladri, vili, invidiosi, ingordi, ubriaconi, avari, ambiziosi, sanguinari, calunniatori, discoli, fanatici, ipocriti e pazzi?
- Credete voi, dice Martino, che gli sparvieri abbian sempre mangiato degli uccelli quando ne han trovati?
- Sì, senza dubbio, dice Candido.
- Ebbene, soggiunge Martino, se gli sparvieri han sempre avuto il medesimo carattere, perché volete voi che gli uomini abbian cambiato il loro?
[...]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    06 Mag, 2012
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Grande Oriana!

Famosissimo, questo è forse è uno dei libri più belli di Oriana Fallaci, una donna che ha vissuto tutte le sue passioni e i suoi sentimenti senza risparmiarsi nè tirarsi indietro, mai.
Nelle pagine di questo libro c'è un'Oriana ancora giovane, ancora non aspra come negli ultimi suoi: affronta con sentimenti alterni la presenza dentro di sè di una nuova vita e si interroga sul significato di nascere e di vivere.
Il libro si presenta come un colloquio intimo in cui la donna si rivolge alla nuova vita e si sviluppa su un doppio piano emotivo e razionale: si rivolge alla goccia di vita che sente attecchire nel suo ventre, considerandola già da subito come altro da sé, come una persona nuova non, come spesso accade a noi donne, come una parte di se stessa.
Lo fa con tenerezza e con razionalità, lo fa con la consapevolezza di non sentire affatto il desiderio/bisogno di essere madre, ma anche con la convinzione di non potersi arrogare il diritto di negare l'accesso alla vita a qualcuno che già c'è.
Questo libro, che ebbe subito un enorme successo, fu incoerentemente utilizzato come bandiera da chi allora (metà anni '70) lottava per l'introduzione dell'aborto legale in Italia: non ne capisco il motivo, dato che, anche se il bimbo alla fine non nascerà, non sarà per volontà della donna che invece trova in sé mille ragioni per accettare questa nuova vita.
Lo lessi quando ancora non ero madre. L'ho riletto ora a distanza di moltissimi anni e lo trovo ancora più bello, profondo e stimolante.
Lo consiglio a tutte le donne, di tutte le età, e anche a tutti gli uomini che, per mia esperienza, in genere lo apprezzano moltissimo.


[…]
Stanotte ho saputo che c'eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d'un tratto, in quel buio, s'è acceso un lampo di certezza: sì, c'eri. Esistevi. È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata. Mi si è fermato il cuore. E quando ha ripreso a battere con tonfi sordi, cannonate di sbalordimento, mi sono accorta di precipitare in un pozzo dove tutto ere incerto e terrorizzante.
[...]
Vorrei che tu fossi una donna. Non sono affatto d'accordo con la mia mamma la quale pensa che nascere donna sia una disgrazia.
Se nascerai uomo io sarò contenta lo stesso. E forse di più perché ti saranno risparmiate tante umiliazioni, tante servitù, tanti abusi.
[…]

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    01 Mag, 2012
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Marianna, forte e moderna

Una bimba silenziosa, riservata, sembra persino ritardata, la piccola Marianna.
Fino ai quattro anni era stata una bimba normale, parlava ed udiva, e nelle sue orecchie risuona ancora il ricordo della voce un po' spezzata del signor Padre, uomo amatissimo, e di quella leggermente roca della signora Madre, col suo profumo di tabacco da fiuto.
Diviene sorda all'improvviso e si chiude in un suo vivacissimo mondo muto, sviluppando un carattere deciso e volitivo.
Imparerà a comunicare scrivendo e facendosi scrivere le parole che non può più sentire e, caparbia e volitiva, costringerà chi gli sta intorno ad accettare questo complesso modo di comunicare.
Quale futuro per una ragazza nobile e graziosa, ma invadila, in una Sicilia della prima metà del Settecento? Neppure il convento la potrà accogliere e così il signor Padre la dà in sposa, appena adolescente, ad un vecchio zio.
Anni di amplessi subiti nella notte, senza tenerezza né desiderio. Figli nati uno dopo l'altro senza aver mai provato amore né piacere. Poi, improvvisa, la passione per il giovane Saro, che le fa scoprire che al mondo c'è di più del dovere e dell'accettazione: c'è il desiderio, il piacere, l'amore.
Marianna è un personaggio che esce dalle pagine e diviene reale, tangibile: la prosa della Maraini è essenziale e vibrante nel disegnare l'immagine di questa sua antenata con amore e rispetto.
Un libro veramente bello: l'ho letto tre volte, negli anni, ed ogni volta ho trovato sfumature che mi erano sfuggite, o forse è la mia maturità che cambia e mi fa cogliere aspetti diversi di questo personaggio affascinante.


[...]
Lo sguardo alle volte può farsi carne, unire due persone più di un abbraccio. Così Marianna e Saro, all'interno di quella vetturetta strettissima sospesa fra due muli e ciondolante sul vuoto, si lasciano cullare dal movimento, fermi incollati ai loro sedili, mentre gli sguardi corrono dall'uno all'altra commossi e inteneriti. Né le mosche né il caldo né le scosse riescono a distrarli da quel fitto scambio di aspre delizie
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Il Gattopardo
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    29 Aprile, 2012
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Indagine su Caravaggio

In questo libro Camilleri si fa personaggio - sostituendosi temporaneamente a Montalbano - per far luce sui movimenti di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, nel corso dell'estate del 1607, mentre era in fuga per cercare di salvarsi dal mandato d'arresto per l'omicidio di Ranuccio Tommassoni, per il quale era stato condannato a morte.
I luoghi dell'azione sono Malta e la Sicilia, in cui i movimenti dell'artista non sono stati storicamente ben tracciati, ma in cui sappiamo che produsse alcune delle sue opere migliori come la decollazione di S.Giovanni Battista, custodito nella Cattedrale di La Valletta.
La vita del Caravaggio è di per sé stessa un romanzo: omicidi, fughe, truffe hanno costellato la vita di un uomo geniale ma instabile e dal carattere violento.
Camilleri immagina di ritrovare, in modo fortuito, una parte del diario manoscritto del pittore e ne riporta alcuni brani per una ricostruzione dei fatti che viene effettuata, con questo artificio, attraverso la viva voce di Caravaggio.
La ricostruzione degli eventi che segnarono quell'estate è storicamente lacunosa pertanto quella che viene raccontata da Camilleri potrebbe verosimilmente essere la realtà.
Anche in questo caso, come di sua abitudine, Camilleri elabora un linguaggio adeguato al personaggio: una forma di italiano seicentesco lontano dall'elaborata eleganza della lingua letteraria, ma gustoso e sanguigno; ne risulta un racconto godibile, anche se forse non trascinante.
Consiglio la lettura di questo libro soprattutto a chi nutre specifiche curiosità riguardo al pittore e alle sue opere.


[…]
Qualche jorno appresso il miserabile Cavaliero di Giustizia disse a fra Raffaele di aver saputo da Aloysio che per dipingere lo teschio de lo san Gerolamo scrivente io averia mescolato a li colori anche un poco de lo mio seme naturale, dopo aver evocato lo dimonio. Tale ridicol accusa bastò a farmi rinchiudere ne lo Forte di Sant'Angelo. In vano supplicai d'esser ascoltato da lo Gran Maestro per difendermi ispiegando la verità...
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L'enigma Caravaggio di Peter Robb o Camilleri in tutte le sue forme
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    25 Aprile, 2012
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Intrigante


Uno strano libro, in cui si mescola la fantasia - non la fantascienza - e la scienza, quella vera, spiegata in modo tanto semplice ed immediato che persino chi, come me, durante le ore di fisica sperimentava vie che portassero all'invisibilità, riesce a comprendere di cosa si parla.
In effetti la teoria filosofica e le spiegazioni scientifiche, intrecciate fra loro rendono il racconto estremamente intrigante e curioso.
Immaginate di essere seduti accanto al Dio Creatore mentre prende le sue decisioni nel momento topico in cui tutto ha inizio: lo spazio, la luce, i suoni, i colori: il momento prima non c'è niente, solo un pensiero che vaga nel buio infinito, poi d'improvviso ...
Immaginate di assistere alla nascita dei suoi primi “figli” (i colori), che dovranno imparare da lui a creare e gestire l'universo; immaginate di scoprire insieme a loro le leggi fisiche che regolano tutto il creato, assistendo alle loro prime intuizioni, alla ricerca della comprensione del come e del perché tutto ciò che c'è intorno è stato creato.
Immaginate che fra i fratelli si crei competizione per arrivare ad essere il preferito dal Padre, quello che insieme a lui gestirà la nuova macchina infinita del cosmo e le sue leggi e che questa competizione porti a divisioni, contrasti, coalizioni.
Immaginate che già in questo momento “ante-storia” ci si possa porre dei dubbi circa l'esistenza del libero arbitrio.
A parte qualche occasionale lungaggine nel corso del racconto il libro è facile da leggere, appassionante, ironico, divertente e, se letto con un minimo di attenzione (che merita pienamente), anche istruttivo.

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a chi ha curiosità per la scienza soprattutto se spiegata col sorriso ed in modo intuitivo (diciamo tipo Quark)
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Storia e biografie
 
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    21 Aprile, 2012
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Incontrare la storia in città

Vi intriga l'idea di incontrare, passeggiando per uno dei vicoletti di Roma, Beatrice Cenci con la sua testa in mano ed avere gli argomenti per chiacchierare con lei del suo tempo e della sua breve vita? O di fare quattro passi al Foro Romano e fermarvi con la consapevolezza di posare i piedi proprio nel punto in cui Antonio annunciò la morte di Cesare? O scoprire come e perché sono nati e cresciuti alcuni dei quartieri più famosi nel medioevo e nei tempi più recenti?
Questo libro non è una guida turistica e non è un romanzo: è il modo colto e divertente con cui Corrado Augias, con il suo stile chiaro e amichevole, vi prende per mano e vi accompagna a visitare Roma aiutandovi a calarvi nella storia viva di questa città.
Anche per me, che a Roma ci vivo da tantissimi anni e che ho la pretesa di conoscerla bene, ci sono state sorprese e scoperte.
Lo consiglio a chi vive a Roma e a chi ha intenzione di visitarla anche solo per un giorno: vi darà una mano ad organizzare una visita “intelligente” e vi farà sentire protagonisti dei secoli.
Si dice che a Roma ogni pietra abbia una storia: Augias lo dimostra con la solita classe.

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a chiunque, romano o no, voglia divertirsi a conoscere un po' meglio la storia della Città eterna
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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    19 Aprile, 2012
Top 100 Opinionisti  -  

Ma dove va 'sto naso?

Come presentarsi in società senza naso? Come conservare il proprio ruolo sociale e il proprio fascino con le donne, se il naso ci ha lasciati soli?
E questo naso, poi, come osa andarsene in giro da solo e fingere di non riconoscere colui al quale fino al giorno precedente apparteneva?
Racconto surreale e divertente, appartiene al genere fantastico da cui, negli stessi anni furono attratti scrittori come Poe o Hoffmann, che volevano sottolineare come nella realtà potessero inserirsi elementi non prevedibili e comprensibili, a differenza di quanto asseriva l'Illuminismo imperante (la ragione che domina la realtà).
In questo racconto Gogol' mette alla berlina l'apparato statale, la burocrazia russa, l'uso di emergere dalla mediocrità scalando la scala sociale per mezzo delle amicizie e dei matrimoni di interesse, piuttosto che grazie alle proprie qualità.
Lo fa con un racconto elegante, surreale e fantastico, con una prosa brillante e moderna.
Anche la costruzione del racconto è particolarmente intrigante: suddiviso in tre parti, incomincia con l'incredibile ritrovamente di un naso, all'interno di un panino caldo di forno, da parte del barbiere Ivàn Jakovlèvic che lo getterà via.
Nella seconda parte il proprietario del naso, il maggiore Kovalèv (un piccolo burocrate e arrampicatore sociale), si sveglia un mattino e si accorge che il naso non c'è più. Scomparso, volatilizzato: ha lasciato un piccolo spazio roseo e liscio al centro del viso.
Il naso, intanto, scorazza per le strade a bordo di una carrozza, sfoggiando l'abbigliamento ed il grado di Consigliere di Stato. Fermato da Kovalèv, rifiuta di riconoscerlo e fugge facendo perdere le sue tracce.
Molto divertente il racconto del tentativo del povero Kovalèk di denunciare la scomparsa e la fuga del naso alle autorità competenti ed alla stampa.
Come sia come non sia, alla fine il naso torna al proprietario, ma non c'è modo di riattaccarlo, mentre la notizia dell'accaduto diventa di pubblico dominio e la gente si raduna in città nei luoghi dove si dice che il naso sia apparso.
Nella terza parte Kovalèk si risveglia una mattina con il naso al suo posto e, dopo un primo moto di sorpresa, riprende le sue attività abituali come se l'irruzione dell'inverosimile nella sua vita non avesse apportato alcun cambiamento, e prende atto che al mondo, semplicemente, certe cose accadono e che la realtà, a volte, ama prendersi gioco della ragione.
Contrariamente alle mie abitudini ho raccontato la trama, ma l'invenzione è infondo la caratteristica meno importante del racconto: il valore sta nella prosa, nella prospettiva in cui gli eventi vengono raccontati e nell'esilarante e geniale descrizione del comportamento di tutti i personaggi.


[…]
In effetti, trascorsi due minuti, il naso uscì in strada. Aveva una uniforme trapunta d'oro, con un enorme colletto rigido; indossava calzoni di camoscio, portava al fianco la spada.
Dal cappello piumato si doveva arguire che appartenesse al rango dei consiglieri di Stato. Tutto lasciava addivedere che egli era in procinto di fare una visita. Volse un'occhiata a destra, una a sinistra, e gridò al cocchiere: - Accosta!- Montò sopra, e partì.
Al povero Kovalèv mancò poco che il cervello non desse di volta. Non riusciva neanche a capacitarsi di un fatto tanto bizzarro. E come era possibile, in effetti, che un naso, il quale ancor ieri gli stava sulla faccia e non poteva andarsene né in carrozza né a piedi, si trovasse vestito di un'uniforme!
[…]

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