Opinione scritta da EvaBlu

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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    28 Gennaio, 2014
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Non smettete di sognare

Delphine de Vigan l’avevo già assurdamente amata per via de Le ore sotterranee, ma ero convinta che tanto ardore fosse dovuto più all’argomento del romanzo - mobbing/lavoro/società alienante – che al talento dell’autrice stessa. Poi mi è capitato tra le mani Gli effetti secondari dei sogni, ed ho capito che io di questa meravigliosa autrice voglio leggere tutto, ogni cosa, pure quello che non ha mai pubblicato se c’è un modo per ottenerlo.

Perché la De Vigan a me fa lo stesso l’effetto di quei violinisti che suonano così appassionatamente che l’anima ti si scioglie e vorresti piangere.
Lei, la De Vigan, “vede”; guarda il mondo e riesce a “vedere oltre”: oltre le barriere dell’apparenza, oltre il pensare comune, oltre i pregiudizi, oltre tutti i muri che gli esseri umani sono così bravi a costruire tra di loro. “Vede” e, come per incanto, tramuta il tutto in parole, e in trama, e in storia: senza dimenticare mai di lasciare un insegnamento, una traccia, l’appiglio grazie al quale gli occhi dell’anima di chi legge si spalancano e rimangono pieni di quel senso che ti aiuta a vivere meglio, quello stesso senso che da senso ad una lettura che non si dimentica.

C’è un po’ di tutti noi nella piccola Lou Bertignac, nonostante quasi nessuno credo possa vantare un’infanzia da piccolo genio prodigio. Ma non c’è un solo uomo sulla faccia della terra che non viva per i propri sogni; e non importa di che genere di sogni si tratta: l’importante è non smettere mai di credere in essi, qualunque sia il sacrificio che questo comporti.

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A chi desidera una lettura che scava i sentimenti e non lascia indifferenti: una lettura profonda e dallo stile impeccabile ma piacevole.
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    28 Dicembre, 2013
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W L'EMAIL (PARTE SECONDA)

Degno seguito de "Le ho mai raccontato del vento del nord".

Certo, le carte dell'originalità, Glauttauer se l'è tutte giocate nel primo episodio; ma se di favola moderna volevamo parlare, allora un secondo e conclusivo capitolo ci stava tutto.

Stile sempre accattivante, via vai di sentimenti e pensieri che rimbalzano e si rincorrono nei labirinti virtuali dei server di posta elettronica, scintille che esplodono e l’amore che si fa sempre più amore; ed anche se io la corrispondenza tra i due piccioncini la preferivo quando era meno amorosa e più riflessiva, l’esperimento di questa sorta di romanzo epistolare dei nostri tempi mi pare assolutamente ben riuscito.

E giusto questo, visto che presa dall’entusiasmo ho tentato con le altre opere del Glattauerone che ho decisamente declassato persino dalle letture in bagno. La terza persona non fa assolutamente al caso suo; meglio annegare in un letto di email e morire contenti che uccidere tutto un pubblico di propri lettori con tentativi improbabili di indefinita narrativa.

All'attivo rimangono comunque Emmi e Leo, che consiglio vivamente a tutti.

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- Le ho mai raccontato del vento del nord -, dello stesso autore
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    26 Novembre, 2013
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W L'EMAIL

Meraviglioso esperimento di romanzo epistolare moderno che porta alla ribalta e fa salire di podio il tanto bistrattato messaggio di posta elettronica che su due piedi verrebbe da definire arido se paragonato alla vecchia e cara lettera inviata per posta.

Perché, Signori e Signore, le strade della tecnologia sono infinite. Ed anche se a me o a voi, con molta probabilità, nessuno si degnerebbe mai di rispondere ad un’email inviata all’indirizzo sbagliato, Emmi Rothner all’indirizzo sbagliato ci trova Leo Leike, colui che diventerà il suo assiduo amico “di penna”, l’uomo per il quale ogni donna spererebbe di possedere un indirizzo sbagliato al quale inviare non una bensì un milione di email.

Ma non è propriamente l’amore a fare da sfondo alla vicenda; in realtà, Glattauer si rivela un vero maestro nel costruire stati d’animo e svelare psicologie controverse, incastonando divinamente il tutto sul tempo (semi)reale e le modalità di scambio che una comunicazione tramite posta elettronica offre. È sorprendete il talento di questo autore nell’ amalgamare tutti gli elementi a sua disposizione, superando di gran lunga l’alone di banalità che potrebbe aleggiare soffermandosi inizialmente sulla trama del romanzo e rivelandosi per nulla scontato, fino all’ultima email.

Bello e consigliato, insomma. A chi desidera una lettura alternativa ed è pronto a fare un veloce e piacevole tuffo in una sorta di favola introspettiva dei nostri tempi.

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Avventura
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    08 Ottobre, 2013
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Centaine la Super Donna

Wilbur Smith volevo leggerlo da tempo. Erano anni che una copia de La Spiaggia Infuocata mi ammiccava dall'ultimo scaffale della libreria. Così, un giorno mi sono decisa e mi sono data all'avventura.

L’inizio non è stato male. Wilbur è bravo. Bravo bravo come di lui avevo letto. Meticoloso nella costruzione della storia, dettagliato nel presentare tempo storico e contesto, preciso nell'offrire tutte le informazioni sui personaggi. Tanto che, neppure avevo iniziato, e già mi pareva di volare nei cieli francesi della prima guerra mondiale accanto al giovane pilota sudafricano Michael Courtney che combatte contro i tedeschi.

E tutto andava bene tra me, Wilbur e Michael, quando, annunciata dalla quarta di copertina, è arrivata lei: Centaine de Thiry. La donna di cui l’aviatore è destinato ad innamorarsi perdutamente, la vera protagonista del romanzo, l’unico modello letterario femminile che non ho mai digerito: la Super Donna.
Lei che se ne va scorrazzando a cavallo sotto i bombardamenti, e con la chioma fluente al vento, solo per il vezzo di salutare i piloti, lei che ha lo stesso modo di innamorarsi di un’oca giuliva ma con un piglio mascolino, lei che, rimasta vedova di Michael (se ne vanno sempre i migliori!), incinta di lui e con la convinzione di dover raggiungere l’Africa, si lancia dall'alto di una nave che sta per naufragare (incinta!), cavalca uno squalo mastodontico (incinta!), viene presa a codate dallo stesso squalo di prima (incinta!), beve acqua putrida, mangia dall'intestino di una foca e subito dopo pesce marcio e se la cava con qualche problemino intestinale (incinta!), lei che affronta iene fameliche a sassate, chilometri sotto il sole cocente del deserto, insabbiature a temperature impensabili (incinta!) e che ne esce sempre fresca come una rosellina, neppure fosse la sorella di Catwoman.

Ma dimmi un po’ Wilbur, tutta quella sana ed incontestabile documentazione storica ed antropologica e non avevi una moglie, un’amica, un’amante a cui ispirarti per creare una femmina meno fantascientifica?

La vera delusione è stata scoprire che, già che c’eravamo, Centaine non abbia partorito a testa in giù, legata ad un albero mentre faceva le flessioni.

Forse l’avventura non fa per me. O forse le mie aspettative erano diverse (dovevo predispormi ad un fantasy?).

Lettura che comunque consiglio a chi cerca una storia avventurosa con un buon spessore antropologico sull'Africa. Non alle donne in gravidanza, ovviamente; solo per evitare di sentirsi delle povere limitate troppo deboli per mettere al mondo un figlio.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    01 Ottobre, 2013
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Giallo Pastello

C’erano almeno tre motivi per cui questo romanzo avrebbe potuto rappresentare un buco nell'acqua nel mare “piacioso” delle mie letture.

1- Io non amo i gialli. In particolare non sopporto di leggere descrizioni truculente di vittime scannate, trucidate, eviscerate o quant'altro.
2- Disconosco totalmente il nord d’Italia. Nessuna ambientazione letteraria, da Roma in su, potrebbe mai toccare corde profonde ed intime legate a luoghi che ho in qualche modo vissuto o visitato.
3- Non ho mai condiviso troppo le narrazioni con continui cambi di punto di vista; personalmente tendono a disorientarmi e mi mettono di cattivo umore.

Il Carnevale dei Delitti è riuscito ad abbattere il muro di tutte le mie reticenze.

Giallo quel tanto di giallo che basta; un giallo pastello insomma, sfumato e gradevole all'occhio, che, a parte una testa penzoloni ancora attaccata al collo per un lembo di muscoli e pelle (bbbrrr) e qualche sana ed assestata coltellata, non mi ha messo particolarmente a dura prova.

Un giallo sapientemente amalgamato alla psicologia dei personaggi, in quella forma di narrazione che più apprezzo: poetica, profonda, ricca di spunti e di riflessioni sull'animo umano e sul mondo.

Vicenda poi costruita a dovere; inserendo un tassello dopo l’altro su un’impalcatura di punti di vista in continuo movimento ma eccellentemente concatenati. Ed anche se ad un certo punto l’assassino è di facile intuizione, poco importa. Il tutto fa parte del fascino introspettivo del racconto.

Lo stile è elegante, fin troppo oserei. Ma si sposa bene con la profondità del testo e con le meravigliose descrizioni che a tratti riportano luoghi magici e carichi di carisma della nostra bella Penisola; luoghi che mi è sembrato di scorgere con i miei propri occhi.

Forse avrei preferito un Giordàn meno d’un pezzo, con un senso dell’humor più spiccato e la battuta pronta; ecco, questo sì. Pure la nipote, povera figlia: sempre a fare discorsi così seri e pomposi di paroloni. Ma questo è un mio gusto personale, e poco conta se Elpis è riuscito a dare vita ad un lavoro così ben riuscito.

Da leggere, mentre attendiamo il seguito. Sempre che già non ci sia: se è così, chiedo perdono: la mia è stata una lunga assenza.

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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    06 Mag, 2013
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Intramontabile Cherì

Ho deciso di leggere questo romanzo, inizialmente catturata dal tema centrale: l'amore sbocciato tra una donna di trent'anni ed un ragazzo di sedici.
Sì, perché in un' epoca in cui la differenza d'età non fa più testo e la televisione ci racconta di donne famose ed attempate che sfoggiano con orgoglio i loro ragazzetti teneri e flessuosi come gambi di sedano appena raccolti, io mi chiedo ancora come i due mondi possano incontrarsi e continuo a reputare narrativamente credibile solo la grande Colette nelle vicende di Léa e Cherì - e se non avete letto Colette, non potete capire; ed io mo, su due piedi, non posso spiegarvelo -.

A lettura avviata, tuttavia, mi sono fatta coinvolgere dalle difficoltà che i due protagonisti affrontano per sopravvivere all'angusta vita dell'isola sperduta sulla quale sono naufragati, ed il mio interesse per la loro età anagrafica è quasi scemato. A maggior ragione che il povero T.J., sfigato ma sfigato veramente, i suoi sedici anni quasi non li dimostra: vuoi perché è appena uscito dal tunnel cancro, vuoi perché dopo il naufragio avrà pensato che non c'è due senza tre e che probabilmente alla prossima moriva, per cui gli conveniva accelerare i tempi e diventare uomo.

Com'è stato è stato, la storia risulta deliziosa. Interessante la costruzione dell’idea, piacevole l'andamento, romantica e mai vogare la vicenda nell'insieme. Promossi trama ed innamorati, insomma.

Non fosse che lo stile è pessimo: sembriamo quasi davanti alla trasposizione scritta del racconto che un tizio fa ad un altro nella sala d'attesa del medico, o in fila al supermercato, e vorrebbe dire tutto ma sa che il tempo è limitato e per tanto si ritrova a fare un lungo elenco degli avvenimenti con qualche dettaglio qua o la.
Un vero peccato; perché a svilupparlo bene, il romanzo ne sarebbe uscito interamente vittorioso e non avrebbe lasciato nel lettore quel senso di "solo-antipasto".

Lettura ugualmente consigliata a chi desidera perdersi per un paio d'ore in un breve ed irreale sogno e non ha pretese di ritrovarsi tra le mani il best seller dell'anno.

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Letteratura rosa
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    29 Aprile, 2013
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Una passeggiata in primavera

Quando ho finito di leggere Good References, il primo pensiero è stato: Ne voglio di più! Signora May, sfornami qualcosa di più sostanzioso e sarò ancora tua.

Perché questo è un inizio saporito: un racconto intinto nella tonalità più azzeccata di rosa; di quel rosa che tutte le lettrici di rosa vanno cercando. Né troppo shock, insomma, e neppure eccessivamente slavato; bensì una storia briosa e frizzantina dallo stile semplice e scanzonato che diventa romantica al momento giusto.

Forse il tema della verginità può sembrare out, il solito terreno battuto nel girone romance, ma Alice, la protagonista, riesce a porlo e ad incarnarlo in maniera talmente naturale ed ironica che si finisce per sorridere insieme a lei dei suoi face to face interiori e per empatizzare con la sua altalena di sentimenti nei confronti del tanto temuto ed agognato avvocato Fersen Rhein.

Quello che rimane è la bella sensazione di aver fatto una passeggiata in primavera, quando ci si sente soddisfatti e serenamente felici ed in bocca rimane quel gusto inconfondibile di romantica dolcezza.

L’unico appunto voglio farlo sul titolo, sui nomi dei personaggi e sull'ambientazione: perchè da un’autrice italiana desidererei infinitamente dei titoli, dei nomi e delle ambientazioni nostrani. La mia è forse una pretesa azzardata (chiedo scusa!), ma reputo la nostra lingua e cultura così belle (ed i nostri talenti letterari così forti), che non ce la faccio proprio ad assistere alla loro completa globalizzazione in ogni ambito.
Già lotto con la mia vicina di casa che ha chiamato il figlio Richard e poi gli chiede se “vole du’ spaghi cor sugo”; perché mai devo torcermi il fegato anche con la narrativa?

Ma non divaghiamo: Io ti aspetto Signora May! Stupiscimi e fammi sorridere e sognare ancora.
La tua penna vale; eccome se vale.

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Fantasy
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    26 Aprile, 2013
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Vishous, tra di noi è tutto finito!

Come quando smetti di amare una persona. Ti alzi un bel giorno e, senza un apparente motivo, ti accorgi che colui che ha incarnato la perfezione fino a ieri soffre in realtà di una tra le più terribili forme di alitosi, cammina come fosse Robocop ma con gravi problemi di sciatica, mastica la gomma con la bocca aperta e non fa affatto ridere quando racconta barzellette sconce.
È successo così: Vishous me lo portavo nel cuore dal quinto libro della saga, ho continuato ad amarlo per i successivi tre volumi dove, pur non essendo protagonista, acceso dal fuoco del mio amore continuava a spiccare tra i fratelli; e poi è arrivato il nono libro e sulla fiamma si sono abbattute le cascate del Niagara.

Brutto. Terribile, oserei dire.

Irriconoscibile il brillante ed impeccabile stile “wardiano” che aveva contraddistinto i precedenti romanzi de La Confraternita del pugnale nero, rendendoli unici nel vasto panorama dell’urban fantasy romantico.

Penosa la vicenda di Payne, la gemella di Vishous, ed il dottor Manello, implicati in uno scadente intreccio erotico dove il sesso viene portato alla stregua di cura medica per la guarigione da una paralisi. Perché siamo d’accordo che il sesso fa bene e che c’è di mezzo una buona dose di fantasia, ma una deciso senso di nausea mi ha fatto da padrone ad ogni singola descrizione del caso.

E poi Lui, il mio caro, amato e tanto decantato ex vampiro preferito: un psicolabile senza spina dorsale; uno che si fa appendere come un capretto e fracassare di bastonate perché altrimenti non reagisce ad un piffero.

Ma come hai potuto farmi questo, J.Ward? O dovrei chiamarti Jessica Bird? Lo sapevo che prima o poi avresti mostrato l’altro lato di te, speravo solo che ciò non precludesse la mia dedizione ai fratelli.

Vane speranze. Tra me e Vishous è tutto finito.

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Se avete amato la saga, questo potrebbe rivelarsi un'autentica delusione. Almeno per me è stato così...
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Narrativa per ragazzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    23 Gennaio, 2013
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Il valore dell'amicizia

Questo libro ha l’odore di neonato di mio figlio. Ha il suo odore perché il corriere me lo ha consegnato qualche giorno dopo che lui è nato e da quel momento “L’occhio del lupo” ha viaggiato tra culle, borotalchi e fasciatoi, pronto ad offrirsi in tutta la magia delle sue pagine ogni volta che sono riuscita a leggerne ad alta voce una pagina.
Ho letto per il mio bambino, e lo so che non ha molto senso leggere ad un bimbo così piccolo; tuttavia, al di là dell’esperienza comunque rasserenante per entrambi, ho voluto leggerglielo perché questo non è un libro qualsiasi, bensì un regalo; il dono di una persona sensibile e speciale, l’amica dei libri, colei che ne scava a fondo l’ardire, il sentimento e l’animo, un’autentica conoscitrice della lettura.

Così, il primo libro nella vita di mio figlio rimarrà per sempre una favola meravigliosamente tenera che racconta del legame apparentemente insensato tra un lupo con un occhio solo ed un ragazzino venuto dal nulla; una storia che tifa per i sogni e la fantasia e che tiene soprattutto alto il valore dell’amicizia. Perché solo il coraggio di condividere i propri sogni e di non smettere mai di credere nell'amicizia può portare alla felicità, persino quando tutto sembra perduto.

Una lettura che consiglio vivamente a tutti, grandi e piccini.

Grazie Cub!, non potevi farci dono più bello; rimarrai la madrina del battesimo letterario del pupo: alcuni gesti, così come alcune letture, sono così belli che il tempo è destinato a conservarli indelebili.
Grazie!

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Racconti
 
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2.3
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    26 Ottobre, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Che il momento non fosse mai giunto

È doveroso che inizi col dire che io Niccolò Ammaniti lo amo. O meglio, lo amavo.
Avevo imparato ad amarlo di romanzo in romanzo, non seguendo propriamente una cronologia delle sue opere e rimanendo perplessa solo dopo la lettura di "Branchie"; probabilmente poco convincente, ma ampiamente perdonabile, perché opera prima.

Ora, per continuare ad amarlo, devo persuadermi che con la pubblicazione dell'ultimo libro lui c'entri e non c'entri: nel senso che voglio immaginarmi un rappresentante dell'Einaudi - (“Il momento è delicato” è edito da Einaudi) - che piomba a casa sua e gli dice: Uè Niccolò, dacci tutto quello che hai da pubblicare, tutte le fesserie che hai scritto quando ti allenavi a fare lo scrittore ma ancora non lo eri, tutti i racconti nel cassetto che nessuno ha mai voluto, tutto di tutto insomma, sennò ti bruciamo l'appartamento e dopo ti facciamo fuori.

Ed il povero Niccolò non ha potuto che cedere, ed inventarsi la storiella che i racconti non vanno troppo e che per tale motivo non li ha pubblicati prima.

In realtà, sarà pure vero che i racconti non sono il massimo del genere preferito dai lettori, ma questi di racconti sono veramente terribili: stralci di narrazioni truculente all'inverosimile senza capo né coda, fastidiosi nelle descrizioni e che tentano invano di voler rappresentare in maniera grottesca i lati peggiori del carattere e del vivere umano, ottenendo semplicemente l'effetto macabro di un noir o di un horror senza significato.

Un Ammaniti appena riconoscibile nello stile e del tutto acerbo nei contenuti e nella costruzione formidabile delle trame.

Più che attendere il momento giusto era meglio che il momento non fosse mai arrivato. Almeno per quanto riguarda la lettura da parte mia.

Con grande rammarico sconsiglio il libro ed attendo la prossima pubblicazione, augurandomi che pure Ammaniti non mi sia caduto nella diabolica rete della commercializzazione del nome imposta dalle costrizioni dei contratti editoriali e per una fettina di guadagno in più.

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Romanzi autobiografici
 
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4.3
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4.0
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    19 Ottobre, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Malanova!

Nel dialetto calabro della provincia di Reggio Calabria, il termine “malanova” viene utilizzato per indicare una cattiva notizia portatrice di sventura oppure per lanciare un augurio di disgrazia verso qualcuno o qualcosa. A San Martino di Taurianova, piccolo paese della piana di Gioia Tauro, la Malanova è Annamaria Scarfò, la ragazza che ha avuto il coraggio di denunciare i propri stupratori mettendosi contro l’omertà delle duemila anime del minuscolo centro in cui è nata e cresciuta.

Annamaria è stata stuprata per la prima volta all’età di tredici anni, bambina raggirata da uomini adulti, alcuni dei quali sposati e con figli, che hanno proseguito ad abusarne in branco per ben tre anni, “usandola” come “saldo” per i propri debiti nei confronti di altri uomini/animali e minacciando di ucciderla se solo avesse osato rivelare a qualcuno “il loro piccolo gioco”.

Annamaria subisce fino a quando le belve non le chiedono di portare con se la sorella più piccola: a quel punto trova il coraggio di parlare e da quel momento la legge è dalla sua parte e le rende giustizia nei processi che si susseguiranno.

La legge, tuttavia, non è in grado di cancellare la condanna del paese che la accusa di essere la causa di tutto il trambusto mediatico e delle vite rovinate di “quei poveri ragazzi”.
È così che, emarginata e perseguitata, Annamaria non si capacita della vergogna nella vergogna: della sua vita violata e deturpata per ben due volte; prima da un branco di animali e dopo dall'ignoranza della massa.

Ed anche chi si ritrova a leggere con sgomento questa testimonianza , arriva a tremare di sdegno e di indignazione e a chiedersi che razza di posto può mai essere quello in cui si giustifica la violenza ad una ragazzina e si sostiene a gran voce che era meglio non sollevare tutto quel polverone.

Una storia cruda che lascia il segno, raccontata in prima persona dalla protagonista e da leggere assolutamente perché simili realtà non possono rimanere sepolte e non possono in alcun modo ripetersi.

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Consigliato a chi ha letto...
...a chi non cerca propriamente un romanzo ma delle pagine/documento di una storia che provoca sdegno ed indignazione e che porta a chiedersi se veramente la civiltà è arrivata nei luoghi dove la vicenda si è svolta...
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Salute e Benessere
 
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4.2
Stile 
 
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5.0
Approfondimento 
 
4.0
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    09 Ottobre, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

A Tu per Tu con un Io che soffre

Chi, almeno una volta nella vita, non ha avvertito quel pungente e sconfortante senso di inadeguatezza nel fronteggiare gli avvenimenti della propria esistenza? Che si sia trattato di questioni lavorative, di nodi sentimentali, di problemi economici o semplicemente di inspiegabile malinconia, tutti, in misura più o meno grave, abbiamo sperimentato quello stato di insoddisfazione di noi stessi che ci ha portato a dubitare del nostro valore e delle nostre capacità e ci ha fatto sentire inadatti ad essere come pensavamo di dover essere.

Lucio Della Seta identifica questa sofferenza psichica come Senso di Colpa, dove per senso di colpa non si intende l’emozione di fare o aver fatto del male agli altri, bensì la convinzione, anche temporanea, di essere sbagliati e per propria colpa.
Il Senso di Colpa è soprattutto falsificazione della realtà, in quanto fa vedere il mondo non per quello che è ma deformato inesorabilmente da lenti a contatto infantili; proprio perché dall'infanzia e dall'educazione che riceviamo derivano tutte le nostre paure più recondite tra cui quella di essere aggrediti, insultati, sconfitti, rifiutati, giudicati male.

È ovvio che in nessun genitore – o in qualsiasi figura fondamentale che lo affianchi – vi è la volontà o la consapevolezza di tirare su un bambino mandandolo incontro a simili difficoltà emotive, ma è altrettanto vero che, nella maggior parte dei casi, ignorare l’effetto che provocano determinati atteggiamenti può significare innescare un circolo vizioso che si ripeterà all'infinito, di padre in figlio.

È così che il manuale di Della Seta rappresenta un utile strumento per comprendere se stessi - grazie all'approfondimento dei differenti e numerosi sintomi causati dal Senso di Colpa che vanno da forme più o meno accentuate di ipocondria, di superstizione, di pretesa irrealizzabile (il bisogno eccessivo di essere considerati e amati , con rovinose conseguenze nei rapporti di coppia ma anche nelle amicizie), di indecisione, della necessità assoluta di non avere nemici (da qui il desiderio impellente di piacere a tutti attuando atteggiamenti di chiusura e stizza nel caso ovvio e naturale che ciò non avvenga), di gelosia, di aggressività (verso se stessi o verso gli altri), di conflitti alimentari, di onnipotenza o di name dropping (usuale tra quegli individui che da bambini hanno avuto l’impressione di non contare troppo e da grandi non perdono occasione per esibire a mozzichi e bocconi titoli, indizi sulla loro posizione sociale, riferimenti al loro acume o alla loro attività lavorativa) -; ma anche per diventare consapevoli del proprio ruolo di educatori, avendo bene in mente a cosa si va incontro mettendo in atto comportamenti che possono apparire accettabili e consueti ma che sono in realtà molto nocivi nei confronti di un bambino o di un adolescente alle prese con la costruzione e la conferma del proprio Io.

Stile semplice e percorso interessante; testo che consiglio vivamente a tutti: conoscere meglio se stessi, significa in fondo imparare a conoscere meglio gli altri.

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
...anche a chi non è appassionato di psicologia e desidera comunque approfondire la conoscenza della propria interiorità e farne buon uso. Consigliato in particolare a chi vive spesso con il timore di non valere agli occhi degli altri, di poter essere considerato in modo negativo o con ostilità e a tutti i genitori che hanno l'importante compito di educare i propri figli.
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Romanzi
 
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4.5
Stile 
 
4.0
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    01 Ottobre, 2012
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Grazie Gigio, amore mio!

Si sa, sull’onda dei successi o comunque della fama, la parte migliore che ne può seguire è sempre quella della parodia.

È accaduto anche con le Cinquanta Sfumature di Grigio, sapientemente tramutate dalla simpaticissima Rossella Calabrò nelle Cinquanta Sbavature di Gigio; dove per Gigio si intende la specie autentica di maschio a cui tutte siamo abituate ed affezionate, quella che il Mr. Grey pensa sia una marca di tè inglese e non di certo il prototipo di uomo perfetto così tanto decantato dalla neo-letteratura-Jamesiana.

Il Gigio è l’uomo medio di cui noi donzelle puntualmente ci innamoriamo, tutto sprint all’inizio e molto se stesso a seguire. Il medesimo esemplare di sesso maschile di cui impariamo ad accettare le varie “sbavature”: ad esempio, le differenti ed estreme passioni sportive che nella maggior parte dei casi riguardano il nostro divano, la calvizie precoce, la pancetta anticipata, il guardaroba casalingo lontano anni luce dal sex-jeans-greyano col primo bottone virilmente aperto, la fase letargosa al primo accenno di febbre, le cantate non sempre canore nel bagno, l’amore fatto magari in maniera un po’ goffa ma col massimo trasporto gigiesco che è tutto un dire.

Insomma, i confronti col bello, impossibile e tanto agognato Christian Grey si sprecano, ma le risate sono assicurate. Anzi, attenzione a portarvi il libro in luoghi pubblici: leggere del Gigio può causare lo scoppio improvviso di riso senza alcun contenimento o ritegno che sia.

In particolare, vorrei ringraziare il mio di Gigio, che, dopo aver appurato di essermi data alla lettura del primo volume delle trilogia Jemesiana, e forse per paura che fossi stata Grey-anamente contaminata, un bel giorno è tornato dall'ufficio con un pacchetto della libreria, gongolante e soddisfatto, quasi avesse deciso di regalarmi il suo ritratto infiocchettato e non vedesse l’ora di mostrarmelo.

Oh, Gigio, non sai che regalo stupendo mi hai fatto! Ma ti sarai accorto di quanto ho riso accovacciata accanto a te, rimirandoti di sottecchi tra una pagina e l’altra.

Perché solo tu riesci a farmi stare così bene e a rendermi così felice pur appartenendo appieno alla categoria Gigiesca, solo tu sai essere così ironico, leggero, intraprendente (specie quando ti improvvisi tecnico tutto fare!); e solo tu riesci a stupirmi con effetti speciali anche se non mi porti a cena fuori in elicottero (te lo dicevo io di prendere casa col terrazzo! Sia mai...).

Ed anche se ti ammazzerei un numero indefinito di volte al giorno, specie per la questione divano-tu-sai-cosa, non ti cambierei con nessun Christian al mondo; perché come dice Rossella: “non c’è miglior Gigio di quello che non tenteremo mai di far assomigliare a nessun Mr. Grey”.

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...a chi ha voglia di qualcosa di leggero; ed anche a chi NON ha letto la trilogia a cui Cinquanta sbavature di Gigio si ispira.
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Poesia italiana
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    20 Settembre, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Un lungo ed intimo applauso ad Antonella

La poesia è uno strumento formidabile, di questo sono sempre stata convinta.

La poesia può e deve essere alla portata di tutti, con l’unica condizione di lanciare l’animo a briglia sciolta nel galoppare la Parola.
Perché la Parola è forza, è energia, è libertà. La Parola rappresenta le autentiche fondamenta della consapevolezza di Vivere: saper ricorrere alla Parola per definire il proprio Esistere è il dono più grande.

Come tutte le arti, è ovvio che la Poesia è talento ma è anche studio. Per trasformare l’energia delle parole in opera, è necessario saper incanalare le parole stesse nella giusta metrica, nelle adeguate battute, nella corretta musicalità.
Da questo punto di vista, AliVive è oro grezzo appena raccolto; e se avessi omesso di leggere la prefazione tramite la quale viene presentata l’autrice, lasciando intendere che la stessa, in un momento di estremo dolore fisico ed emotivo, abbia trovato nella poesia la forza per reagire al proprio male, forse non sarei riuscita a calarmi del tutto nella semplicità dirompente dei suoi versi e a commuovermi a tratti di fronte alla veemenza di singole parole che non implorano altro che Vita.

“Ti odio
nemico bastardo
malvagio e silenzioso.
Perché m’hai invaso il corpo?
Ti credevi invincibile? Un tuo errore!
Mente e anima non sono tue,
m’appartengono!
[…]”.

Non aggiungo altro. Solo il mio lungo ed intimo applauso a questa Poetessa che insieme alla sua Vita, fatta sì di sofferenza ma anche di amore, di sogni, di speranze, di felicità, ha cantato lo stupendo miracolo che ogni singolo istante accompagna ciascuno di noi: la Vita stessa.

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A chi ama i versi semplici ma dall'alto contenuto. E a chi ha perso di vista l'importanza e la fortuna di svegliarsi al mattino e sapere che trascorrerà una giornata nella norma ma tutta da Vivere e non di certo da combattere sul filo di un male fisico che incombe...
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Romanzi erotici
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    11 Settembre, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

50mila-e-più Inutili Polemiche

Così l’ho fatto: ho letto le Cinquanta Sfumature. Mi piace sempre seguire la corrente e vedere dove porta, specie quando di una roba qualsiasi se ne fa un gran parlare e si rischia di non essere più in grado di avere una propria opinione.

Il romanzo in questione (e l’intera trilogia) ha venduto ad oggi più di venti milioni e di copie.
Perché?

- Il libro è scritto malissimo.
Se per malissimo intendiamo stile, trama e vocabolario quasi del tutto inesistenti. Un po’ come se ci trovassimo a leggiucchiare il diario di un’adolescente non troppo avvezza alla scrittura ma molto esperta di facebook. Un punto a favore di E. L. James, che non sarà questa gran cima ma che di sicuro gongolerà per aver così reso la sua “opera” alla portata di tutti: chissenefrega delle critiche, il suo libro è riuscito a leggerlo persino mia zia Adelina che l’unica cosa che leggeva, da almeno un decennio, era la lista della spesa.

- Il contenuto.
A parte che c’è una gran confusione sull’identità di genere delle Cinquanta.
Erotico, lo hanno etichettato. Ed ogni volta che qualcuno lo ripete, la povera Anaïs Nin ed il suo amico Henry Miller si rigirano di sicuro nella tomba.
Cinquanta sfumature di grigio Non è un romanzo erotico, sarebbe già un passo avanti se lo fosse e di certo non avrebbe ottenuto un simile successo di massa.
Cinquanta sfumature di grigio è uno di quei rosa di categoria scadente, eccessivamente smielato e discretamente spinto, che tira in ballo un argomento tabù come il sadomaso presentandolo quasi come una pratica romantica e che, soprattutto, rispolvera degli archetipi con i quali ci hanno già abbondantemente abbindolato da bambine: l’aspirante principessa sfigata con la sindrome della crocerossina ed il principe azzurro ingrigito quanto basta dalla modernità; dunque bello, ricco, prepotente, affascinante e maledetto al punto giusto.

Perché mai un pubblico di lettori (soprattutto lettrici) che non nutre grosse aspirazioni letterarie e desidera solo evadere dal quotidiano, dovrebbe rifiutare una mistura simile? Siamo tutte cresciute a storie assurde, tra Cenerentole schiavizzate, Raperonzole rinchiuse e le Candy degli anni ottanta schiaffeggiate di continuo dai Terence arroganti e tuttavia innamoratissimi.

Ma lo spirito femminista si è destato allo scalpore di Cinquanta Sfumature di Grigio. Con tutto quello che succede nel mondo, le angherie, le disuguaglianze, lo sfruttamento a cui la donna continua ad essere sottoposta e non solo li dove la sua condizione di inferiorità è ancora evidente e legale ma anche qui, nella società civile, sotto agli occhi di ciascuno di noi ed in un migliaio di grandi o piccoli e subdoli atteggiamenti, le donne rialzano la bandiera dell’indignazione perché in un romanzetto di quarto ordine viene narrato che una tipa decide di fare sesso un po’ più spinto col tipo di cui si è innamorata, e dunque si è messa in una situazione di subordinazione

Ora, se proprio vogliamo perderci tempo, consentitemi di dire che:

1- Nel romanzo viene puntualizzato che il caro giovane Mr. Gray è stato iniziato alla pratica sadomaso quando aveva appena quindici anni e niente popò di meno che da una donna molto più grande di lui “che lo dominava”. Stupore! Dunque? Perché nessuno tira mai fuori questo trascurabile particolare? Non è forse vergognoso che possano esistere donne simili?

2- Sempre il megalomane e demonizzato Mr. Gray, non sta mica li tutto il giorno a darle di santa ragione alla sua neo-conquista. La porta pure a cena fuori e la passa a prendere in elicottero (sono riuscita a ridere per mezz’ora di seguito!), le fa un mucchio di regali, la stupisce con sorprese impareggiabili ed è iper-iper-protettivo. Insomma, non è che sia tutto sto mostro: è solo inesistente: più inesistente di qualsiasi vampiro.

3- La “principessina” Anastasia, da parte sua, scoprirà pure questo sesso un po’ più hot col suo bello ed inclonabile fidanzato, ma non mi pare che stia li a bramarlo come un’infoiata: da brava crocerossina nutre anzi la massima aspirazione di salvare il suo amato dalle tenebre e riportarlo alla luce della sua santità mentale (N.B. la fine del romanzo!).

Per concludere, non vedo dove risieda l’importanza di tutte le polemiche e le analisi sociali che sono state fatte in relazione a questo librucolo. Sarà pure stato letto in massa ed avrà anche stuzzicato la fantasia di centinaia e centinaia di donne che di sadomaso, bondage, e roba varia non si saranno mai interessate; ma è anche vero che se non sei deviato psicologicamente, non ti dai ad una pratica sessuale che impone il dolore solo perché lo hai letto in un libro e per altro in una forma del tutto edulcorata. Né tantomeno se sei una donna con una ferma personalità e conscia del tuo essere, finisci per incamerare un messaggio di inferiorità solo perché uno dei tanti banali meccanismi ammaliatori della nostra società ti ha appena rifilato l’ennesima favoletta.

Il problema, ed anche grave, è il solito incrocio tra un marketing spietato ed il continuo processo di DISTRAZIONE MEDIATICA a cui siamo sottoposti e che non cesserà mai di deviare la nostra attenzione da quelli che sono gli autentici e disastrosi malanni di tutto un Sistema agli effetti che un po’ di sesso inventato e scritto male può causare sulla popolazione.

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Letteratura rosa
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    05 Settembre, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

W IL ROSA (ALL’ITALIANA)!

(E W GLI AUTORI TALENTUOSI DI CASA NOSTRA!)

Se c’è qualcosa che proprio non digerisco sono i pregiudizi. Di qualsiasi genere ed in qualsiasi ambito essi si manifestino.

In letteratura il pregiudizio più comune è quello che relega il romanzo rosa alla stregua di robetta di secondo grado, come se l’aver scritto o, peggio, l’essere amanti della narrativa romantica significhi essere meno colti, meno acuti e meno profondi rispetto agli altri lettori.

La cosa peggiore è imbattersi in colui che ti fissa dall’alto del suo piedistallo “letterariamente” inoppugnabile e che con fare quasi sprezzante ti dice: “Io? Io mai leggerò una roba simile. Io leggo ben altro…”.

E peggio per te, caro mio. Non sai cosa ti perdi. Senza contare che è pura superbia affermare che le patate fritte fanno schifo senza averle prima assaggiate.

O no?

Io assaggio la qualunque, e leggo pure di tutto. Così ho sempre bene in mente cosa mi piace e cosa no, e soprattutto perché.

Ed in questo esplorare, ecco a chi va il primo posto del mio personale podio “in-rosa” a cui ho dedicato l’intera estate 2012: “Roma 40 dC. Destino d'amore” di Adele Vieri Castellano. Una rivelazione, un’autentica e preziosa perla del genere, un piccolo capolavoro nostrano in grado di fare la scarpe (perché non accade?) ai centinaia di rosa e rosati provenienti da oltre oceano.

Vicenda ambientata per l’appunto nella Roma dell’Imperatore Caligola, il romanzo è un’adeguata ricostruzione storica del periodo, con tanto di terminologia del tempo e riferimenti a personaggi realmente esistiti. Stile impeccabile ed intrecci che scorrono come il velluto a coste, il guerriero Quinto Rufo e l’affascinante Livia sanno avvincere il lettore con la loro storia romantica ma senza mai abbandonare i vari punti di vista sugli scenari che li circondano.

Brava la Vieri Castellano. Brava, brava e ancora brava. Vale la pena di leggere un romanzo così, specie se è talmente ben scritto da poter interessare anche chi alla letteratura rosa non si è mai avvicinato.

Perché non tentare?

Io nel frattempo attendo l’uscita del secondo volume. Se qualcuno ha notizie certe, sono qui che pendo dalle vostre labbra.

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a chi desidera una lettura romantica su uno sfondo storico.
Un grazie di cuore ad Anna Manca per avermelo consigliato!
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Letteratura rosa
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    30 Agosto, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

J. Ward vs J. Bird

(Dalla mia estate interamente “in rosa”)

Ci sono individui che in famiglia amano farsi chiamare in un modo e fuori tra la gente in un altro, ci sono quelli che vanno matti per il loro pseudonimo e se ne vestono in maniera irreversibile e poi ci sono gli scrittori che un paio di libri li scrivono avvalendosi del loro vero nome mentre per il resto se ne sbucano fuori con un “alias”.

Il motivo di una simile manovra non l’ho ancora capito, ma una cosa è certa: se avessi conosciuto J. Bird prima di imbattermi per caso nelle fatiche letterarie di J. Ward ed avessi saputo in tempo che della stessa scrittrice si trattava, non sarei mai diventata una fan accanita della Confraternita del Pugnale Nero.

Ora, non avertene a male, cara J. Bird detta anche J. Ward, ho capito che la scrittrice sei sempre tu, ma sul serio non c’è paragone.
Fossi stata al posto tuo non avrei mai permesso che pubblicassero una roba come Una Donna Indimenticabile ricorrendo addirittura allo slogan pubblicitario che quello è il romanzo che porta nel DNA l’idea in bozza dei tuoi fantastici fratelloni vampiri.

Ma quando mai! È come dire che l’ingrediente base del profitterol è il dado Star.

Una Donna Indimenticabile è un romanzetto banale, patetico, scontato, dallo stile fiacco e con dei colpi di scena prevedibili da una cinquantina di pagine prima. Un misto tra un overdose di glucosio, il tentativo di abbozzare un giallo e la solita minestra di lei ricca, bella, buona e giusta e lui maltrattato da bambino e venuto sù superdotato, muscoloso, figo e ovviamente pure guardia del corpo.

Nulla a che vedere, insomma, con la ricchezza dei personaggi, le trame originali ed il ritmo serrato della Confraternita.

Mi sa che il nome te l’hanno fatto cambiare apposta, mia cara; e a ragion veduta.

“Nomen Omen”, dicevano i latini: “Il nome è destino”: c’è bisogno che ti indichi quale sia realmente il tuo?

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a chi si vuole rendere conto come scrive la Ward quando è presa da raptus "Bird-iani"...
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Romanzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    25 Luglio, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Fiore all'occhiello per ogni libreria

Quando ho finito di leggere “Le braci”, la prima cosa che ho fatto è stata quella di andare a trovare una foto di Marai su internet. Non so perché, ma l’esigenza è stata quella di stabilire un contatto, per quanto più possibile reale e visivo, con colui che è stato il produttore di quel piccolo fiume di intensa passione letteraria che ho attraversato in circa due giorni.

Ed anche se devo ammettere che Sandor non è proprio il mio tipo, con quel suo occhietto cascante e quell’aria persa stile professorone smarrito nel cosmo, ciò non toglie che “conoscerlo” è stata una vera fortuna: in un periodo di continue e disilluse scelte di letture sbagliate, ecco un gioiellino da portare all’occhiello di ogni libreria che si rispetti.

Due amici giunti al capolinea della vita, una notte in cui tirare le somme delle loro azioni, il ricordo di una donna che è l’incastro perfetto delle loro rispettive esistenze: un romanzo introspettivo ed in grado di toccare la sensibilità di chiunque ci si avvicini; un piccolo capolavoro che racchiude i quesiti fondamentali del Vivere e che lascia libera l’interpretazione, affinchè ciascuno possa ritrovarvi se stesso.

A fare da cornice delle atmosfere sublimi ed uno stile eccellente, di quegli stili che rendono una lettura valida persino nel caso in cui si è inteso fare un elogio al brodo di pollo. Non è il caso di Marai, ovviamente: delle sue “Braci” è impossibile perdere un solo accenno, che sia di forma o di contenuto.

Non rimane che leggerlo. Non farlo sarebbe un vero peccato.

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A tutti. Da leggere almeno una volta nella vita...
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Romanzi
 
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2.3
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3.0
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    16 Luglio, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

SEMIFREDDO PARIGINO...

CON SALSA TIEPIDA D’AMORE

Non so a voi, ma a me il semifreddo non mi ha mai sconfinferato più di tanto.

Il semifreddo è quel dolce che sta a metà tra il gelato e la torta; quello che non si capisce mai se lo devi tenere in freezer o in frigo, se va servito subito o tirato fuori un po’ prima di mangiarlo.

Sì, insomma, il semifreddo è quella cosa indefinita che non scatena passioni o dipendenze, e che se ce l’hai bene sennò pace e ci si vede alla prossima.

Ci sono libri che fanno lo stesso identico effetto del semifreddo; e nella mia personale top list dei semifreddi letterari è appena entrato questo romanzo che fa capo al giovane francese Nicolas Barreau.

Ma ecco gli ingredienti per un perfetto Semifreddo Parigino:

- 1 Giovane ed affascinante cuoca proprietaria di un grazioso ristorante che è stata appena abbandonata dal fidanzato;

- 1 Romanzo che finisce nella maniera più improbabile tra le mani della suddetta cuoca e che parla, putacaso, della cuoca stessa e del suo ristorante;

- 1 Editor un po’ sciroccato che nasconde un segreto di quelli che ti chiedi: Embè, c’era bisogno di inventarsi tutta sta manfrina?

- 1 Serie neppure troppo lunga di banalissimi avvenimenti favoleggianti, assolutamente privi di pathos e decisamente fini a se stessi;

Mescolare il tutto dentro ad una Parigi moderna e neppure troppo accennata e servire con una salsa tiepida d’amore, rigorosamente a temperatura ambiente, in modo che il semifreddo non provochi nel suo insieme né caldo- né freddo, né stupore-né tormento, né infamia-né lode.

Perché ancora mi chiedo chi li legge i libri primi di mandarli in commercio e con quale criterio si seleziona o si scarta una pubblicazione.

Ma sono quesiti personali, da semplice lettrice, mai mi sognerei di eguagliare il lume degli esponenti di imponenti case editrici quale è di sicuro la Feltrinelli.

Se poi nella quarta di copertina mi viene anche puntualizzato che “Gli ingredienti segreti dell’amore è un vero e proprio caso editoriale e che in Germania ha già avuto 5 ristampe a soli 6 mesi dalla pubblicazione”, dopo averlo letto mi sono sinceramente chiesta quante copie alla volta stampino in Germania: Due? Tre? Massimo cinque, dai!

Che dirvi? Io il mio semifreddo mensile me lo sono sciroppato e neppure ad un prezzo modico; a voi la scelta se poterne fare a meno oppure no.

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Racconti di viaggio
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    09 Luglio, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

La rivincita del libro Kamikaze

Chi non ricorda Tom Hanks nei panni di un tenero e determinato Viktor Navorski che a causa di questioni burocratiche rimane bloccato per più mesi nell’aeroporto di New York, adattandosi a vivere in un luogo-non-luogo? Il film era The Terminal, l’anno il 2004 ed è indubbio che, ad una prima occhiata, “Una settimana all’aeroporto” ci riporti con la mente proprio a quel successo cinematografico.

Niente di più sbagliato. Il diario-documento di Alain de Botton è tutt’altro che la trasposizione di un’avventura del tutto insperata e casuale.

Nel 2009, l’azienda gestore di uno degli scali aeroportuali più trafficati di Londra commissiona allo scrittore l’importante compito di trasferirsi per una settimana in uno dei terminal e di trascrivere, in maniera autentica e dettagliata, le sue impressioni. Alain, al contrario del povero Viktor, viene fatto soggiornare in un lussuoso hotel interno al terminal, gli viene assegnata una scrivania “aperta al pubblico” con la chiara dicitura di “scrittore aeroportuale” e viene dotato di ogni genere di pass che gli consente di curiosare negli angoli più remoti del suo nuovo mondo.

Ne viene fuori un’analisi acuta, affascinante e spesso irriverente di quello che sembra essere il limbo delle moderne società, spazio di mezzo che rispecchia in miniatura la realtà ma che è anche in grado di attuare una sospensione del tempo, rendendo possibile all’individuo la momentanea spinta verso il cambiamento.

È incredibile l’insieme di riflessioni che de Botton riesce a tirare fuori, e quasi tutte documentate da magnifiche foto a colori : dall’uomo ritardatario che sfoga al check in la sua rabbia, e dunque urla la sua innata natura ottimistica negli eventi e di fiducia nel prossimo che non hanno tuttavia impedito che perdesse l’aereo; all’esame attento del perché in una società come la nostra, che tanto si vanta di aver abbattuto le classi, esistono ancora le sale d’attesa per la prima classe nella quali persone dotate di talento, abilità e spirito di sacrificio non hanno comunque possibilità di accesso; alle decine di storie che denotano lo spirito di aspettativa o di rinuncia dei passeggeri che partono o arrivano, e dei dipendenti che hanno fatto dell’aeroporto la loro casa o che sperano in un futuro lavorativo diverso perché la natura umana non sempre predilige la dilatazione temporale di un luogo dove in fondo il tempo è relativo.

Un saggio dinamico, breve ma intenso, dallo stile eccellente e dai contenuti formidabili; da leggere sicuramente e specie poco prima di affrontare una visita all’aeroporto, qualunque ne sia la motivazione.

Io intanto mi sono ripresa dalla mia carrellata di libri kamikaze esplosi nel nulla: Alain de Botton e la sua Settimana all’aeroporto saranno anche semi-sconosciuti ma sono rispettivamente un magnifico scrittore ed un’ottima ed intrigante opera.

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A chi desidera un saggio-diario su quell'affascinante mondo che è l'aeroporto: emblema e possibile chiave di lettura della nostra modernità.
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Romanzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    02 Luglio, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

La maledizione del libro Kamikaze

Perché ho di questi periodi, io proprio non lo so.

Di norma li chiamo i periodi del libro kamikaze: ovvero quei periodi in cui decido di lanciarmi in letture sconosciute di titoli mai sentiti prima e di cui non ho mai letto - perché nove su dieci nessuno si è mai disturbato a scriverla - alcuna opinione.

Il libro kamikaze può rivelarsi una piacevole sorpresa e rendermi orgogliosa della mia stoffa di lettrice; oppure, come mi ha suggerito qualcuno, può rappresentare un autentico e deludente buco nell'acqua.

Stringimi, di Cinzia Tani, rientra per l’appunto in questa seconda categoria: suicidio dei miei ideali e delle mie aspettative della buona scoperta in nome di una risma di carta stampata e messa in commercio.

La storia è quella di Sada Abe, la donna che sconvolse il Giappone degli anni trenta con l'omicidio consapevole e premeditato dell'uomo che amava. L’autrice ripercorre l'intera sua esistenza, dall'infanzia nella borghese e benestante famiglia, allo stupro subito intorno ai quindici anni, alla decisione di non cedere alle ipocrisie che la vorrebbero mentitrice sul suo stato di vergine violata e che la condurrà ad una vita di prostituzione nelle case da tè ed in balia di decine di amanti.

In linea teorica, materiale avvincente ed in grado di incollare il lettore alle pagine: non fosse che la nostra Cinzia decide di Narrare con lo stesso stile e la medesima grazia a cui probabilmente ricorrerebbe per stilare la lista della spesa. Una roba del tipo: Sada andò a fare una passeggiata, tornò a casa, disse che non voleva cenare, riuscì con i suoi amici.

Ci troviamo in definitiva davanti ad una delle donne più passionali dello scorso secolo la cui personalità viene tratteggiata a mò di broccolo: sciapo e senza stimoli.

Ma si può compiere uno scempio simile? Se esiste un inferno dovrebbero aggiungere un girone: quello degli scrittori assassini dei potenziali buoni romanzi.

Pazienza, io non demordo e proseguo la mia ricerca: chissà che dietro l’angolo non sosti il mio libro kamikaze del cuore; quello che mi farà sospirare di gioia e che mi renderà fiera di averlo acquistato.

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Romanzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    27 Giugno, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Quel tuo deserto desertissimo...

Ci sono libri che scovi negli angoli remoti delle librerie, accucciati nello scaffale dietro la colonna che quasi sembra vogliano nascondersi per pudore di farsi vedere e magari comprare.

Perché chissà, forse i libri un’anima ce l’hanno, e al contrario degli autori convinti e delle case editrici che di scrupoli non se ne fanno, i libri amano i lettori e ne hanno a cuore le spese inutili di cui non vorrebbero essere causa.

E invece ogni tanto ci caschi!
Perché se sulla copertina mi viene puntualizzato che l’autore è lo stesso che ha vinto il Premio Grinzane Cavour 2006, io suppongo che si tratti di un grande autore e che questo suo secondo romanzo valga anche se non ha vinto nulla.

Poi la trama così toccante ed avvincente: il ricordo di un viaggio nel Sahara affrontato da un giornalista e dalla sua giovane assistente alle prese con un reportage; un forte sentimento che nasce in un clima di avventurose difficoltà ma anche in un’atmosfera di trasparenza e di infinita e determinata dolcezza dovuta alla donna.

Insomma, una storia romantica e dalle promesse sfavillanti.

Non fosse che lo stile è pessimo; vorrebbe essere intimo e profondo di una narrazione in prima persona che intende toccare le corde più nascoste dell’animo umano, ma non ci arriva. È come se un maratoneta iniziasse una gara già spompato e continuasse ad arrancare un metro dopo l’altro.

Il racconto in se stesso è invece inconsistente: molto cronaca e poca emozione.
L’autore a quanto pare è nella vita un bravo giornalista, ma tra un articolo di giornale ed un romanzo passa una bella differenza.

Che dirti, Miguel Sousa Tavares? A questo punto mi sa che andrò alla ricerca della tua precedente opera dove avrai probabilmente riversato ed esaurito completamente la tua stoffa da vincente; per il resto, del tuo deserto desertissimo di qualsiasi piacere letterario giuro che ne avrei volentieri fatto a meno.

Se solo esistesse un modo per farsi rimborsare…

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Romanzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    24 Giugno, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Come Michela gliele cantò al Kirby

Ricordo che fino a qualche anno fa, se eri alla ricerca di lavoro prima o poi finivi per imbattertici.

Nell’arido deserto di richieste, era quasi impossibile non cascare nell’annuncio-esca che recitava più o meno: “cercasi ambosessi, volenterosi ed ambiziosi, pronti a valorizzarsi all’interno di un gruppo motivato, giovane e dinamico, in continua evoluzione che punta sulla crescita delle risorse umane.”

Accadde anche a me, fresca fresca di laurea e con tutte le buone intenzioni di mettere a frutto il pezzo di carta e soprattutto gli anni di sacrifici. Chimere ovviamente, ma ai tempi dei primi due colloqui di gruppo alla Kirby ( senza sapere che di Kirby si trattasse), ero ancora una speranzosa assertrice della giustizia dei maccanismi sociali.

Che l’azienda in pompa magna fosse alla ricerca di telefoniste pronte a far scoccare appuntamenti indirizzate alla vendita di un elettrodomestico, lo sapevi pressappoco al terzo colloquio di gruppo. Un simile ritardo credo fosse dovuto al tentativo di intortare noi poveri ingenui con meccanismi di annichilimento collettivo e vane promesse di un futuro lavorativo prospero ed ambizioso; futuro che partiva, tuttavia, con un contratto di collaborazione ed un fisso mensile di neppure 150 Euro lordi.

La mia buona sorte fu quella di andare alla ricerca di una toilette proprio mentre, in una sala non troppo distante da quella dei colloqui, si teneva una riunione motivazionale indirizzata a coloro che già dell’organico erano entrati a far parte: una roba da far accapponare la pelle; con tanto di urla da ritornello Ka Mate dei guerrieri Maori.

La mia reazione fu solo una: la fuga!

Michela Murgia, invece, non ebbe probabilmente la mia fortuna di farsi scappare la pipì al momento giusto, e fu così che, sin dal primo giorno di vera a propria attività lavorativa, iniziò a raccontare in un blog la sua avventura di telefonista alla Kirby.

Diario portato avanti con stile ironico e con un eccellente spirito di osservazione e di analisi delle dinamiche di mercificazioni che un’azienda è in grado di adottare sia nei confronti dei propri dipendenti, precari emotivamente deboli ed insicuri che vengono irretiti in subdoli meccanismi psicologici in grado di farli crollare emotivamente fino ad una completa disintegrazione, sia rispetto al resto del mondo, rappresentato principalmente da casalinghe “turlupinate” fin dentro le sicure mura domestiche per l’acquisto di uno strumento per la pulizia della casa scadente e vergognosamente sovra-prezzato, il blog di Michela è successivamente diventato un romanzo-documento ed un film.

Perché “il mondo deve sapere”: e se poi si riesce ad essere informati tramite la penna di una scrittrice all’epoca in erba ma già talentuosa ed arguta, allora la lettura, per quanto comicamente amara ed inesorabilmente del nostro tempo, riesce anche a diventare piacevole e di sicuro successo.

È incredibile come Michela sia riuscita a cantargliele al Kirby! Che poi io mi chiedo: ma il Kirby, esiste ancora?

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A chi cerca una sorta di documento sociale di alcune delle facce più temibili dei nostri tempi - il precariato, la necessità di lavorare, le aziende anti-etica - camuffato da diario-romanzo
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    20 Giugno, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Adesso come farò?!

Già, come farò adesso che ho terminato l’ottavo volume della mia saga del cuore e, almeno per quanto riguarda le pubblicazioni in Italia, del nono libro non se ne sa ancora nulla?

Potrei scrivere e/o chiamare tutte le case editrici italiane che si sono prodigate fino adesso nel magnifico dono di tradurre e pubblicare la Ward; ed anche se ho già scritto un paio di volte e nessuno mi ha mai risposto, potrei sempre Insistere, Insistere ed Insistere fino ad una degna replica riguardo al tempo d’attesa.

Oppure potrei scovare via etere il libro in lingua originale, farmelo pervenire a casa, non importa da quale parte del mondo e a quale costo, e tradurmelo da me; chissenefrega se io ed il mio inglese essenziale ci metteremmo un paio d’anni; intanto mi porto avanti!

Come ultima spiaggia potrei sempre rileggermi da capo tutti e gli otto romanzi aspettando di avere per la mani quello nuovo; ma non sarebbe la stessa cosa, non ci proverei lo stesso gusto.

Onde evitare, dunque, eventuali denunce per stalking, il crollo probabile del mio sistema nervoso o il pieno svilimento da replica, non mi rimane che Pazientare.

Pazientare e crogiolarmi nel ricordo appassionato degli ultimi due protagonisti eletti, nella mia classifica personale, come la coppia più bella ed avvincente di tutta la saga della Confraternita del Pugnale Nero: John e Xhex!

Solo chi è arrivato fino a questo punto della storia può veramente comprendere l’essenza del mio entusiasmo, tutto racchiuso, per altro, nella citazione che l’autrice fa all’inizio del testo:

“Non riesco a credere che tu e io abbiamo fatto tanta strada insieme…”

Invece così è stato. John e Xhex sono cresciuti con il procedere degli eventi, abbiamo imparato a conoscerli e ad apprezzarli piano piano, fino ad assistere all’ineluttabile destino che li avrebbe inesorabilmente condotti l’uno sulla strada dell’altra. Entrambi valorosi guerrieri, entrambi provati da un passato difficile e doloroso che cela molto di più che uno scontato e casuale incontro.

E a prescindere dal genere letterario, che può piacere o meno, a questo punto posso ben ribadire che J.R. Ward, o Jessica Bird (per citare il suo vero nome), è veramente una grande scrittrice: fosse solo per i gran personaggi e per la maestosa trama ad ingranaggio perfetto che è riuscita a mettere su.

E poi che male c’è a lasciarsi andare ogni tanto ad una buona dose di sano romanticismo e di assoluta passione?
L’animo umano è una miscela di ingredienti impareggiabili; e sognare è come imbandire una sontuosa tavola ed apprestarsi ad assaggiarli tutti.

Beato chi lo fa ed attraverso qualsiasi genere di romanzo o forma d’arte.

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Come già hanno detto: a chi è Confraternita-dipendente...
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Fantasy
 
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4.3
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    11 Giugno, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Il divoratore di peccati

Settimo appuntamento con la saga che ha ormai conquistato non solo il mio ma il cuore di milioni di lettrici: La Confraternita del Pugnale Nero.

Questa è stata la volta di Riscatto (per quanto concerne le pubblicazioni Rizzoli); e devo ammettere, per amore di verità, che all’inizio ci ho messo un po’ a carburare nella lettura.

Sarà che è giunto finalmente il turno di Rehvenge, il famigerato divoratore di peccati, così detto perché appartenente per metà alla razza dei Sympath e quindi in grado di insinuarsi nella mente delle persone e di controllarle, e a me non è che lui sia mai stato così simpatico.
Certo, pure la Ward un po’ pretenziosa; per sei volumi a Rehvenge gli mettiamo in mano la gestione dello Zerosum , covo di prostitute, spacciatori e giri strani ; lo facciamo apparire inflessibile, duro e crudo come solo i malavitosi sanno essere, e poi all’improvviso, POF!, dobbiamo imparare nuovamente a conoscerlo.

Perché lui, il Rehvengeione con la cresta da moicano e la mania di doparsi per tenere a bada la sua natura di Sympath, si innamora perdutamente della bella, innocente e pur coraggiosa Elhena e quasi quasi sarebbe tentato di mettere la testa a posto.

Ma non tutto è così semplice e fattibile per i nostri eroi della Confraternita, ormai lo abbiamo appurato; c’è sempre da fare i conti con la Lessening Society; con gli impicci della Glymera, l’aristocrazia vampiresca; con le ossessioni sociopatiche dell’intera colonia dei Sympath a cui Rehvenge effettivamente appartiene.

Insomma, nonostante abbia trovato la storia d’amore tra Rev ed Elhena un tantino buttata lì e poco articolata, alla fine, nel complesso, il romanzo mi ha come ogni volta catturato. Grandioso il consueto talento dell’autrice nel regalare descrizioni, colpi di scena e nel far procedere gli eventi senza lasciare indietro nessuno dei personaggi.

Un applausone, in particolare, per la maniera eccellente con cui sono state gettate le basi della narrazione che riguarderà John Mathew e l’affascinante e temuta Xhex.

Pensavi tu, cara la mia J.R., di lasciarmi a bocca aperta per l’amo lanciato nell’attesa spasmodica della prossima uscita Rizzoli: e invece, no! Mi sono già procurata l’ottavo volume in edizione Mondolibri e, tiè!, me lo sto già divorando a caldo.

John e Xhex for ever: sono loro i miei preferiti!

p.s. Un appello in coda rispetto alla inventiva della Ward: ma come le verranno in mente certe shikkerie? In un modo o nell’altro, un uncino lo vorrei tanto pure io!

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A chi segue la saga de La Confraternita del Pugnale Nero
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Poesia italiana
 
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4.5
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    10 Mag, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Quando la Poesia diventa Stupore

Tra i miei sogni più grandi ce n'è sempre stato uno forse non troppo comune: quello di rinvenire per puro caso il taccuino di uno sconosciuto; uno di quegli affari con la copertina indifferente ma pieno zeppo di pensieri e di vita riversata su pagine e pagine di inchiostro da scoprire e da bere come fosse linfa.

Di taccuini non ne ho mai trovati, ma la scorsa settimana mi è arrivato per posta questo libro, catalogato tra il genere poetico, che io stessa ho richiesto e che non smetto di rigirarmi tra le mani rileggendone ogni tanto qualche stralcio. Estasiata.

Perché mai quarta di copertina fu più veritiera, ed Acrilirico è sul serio " un libro inclassificabile. Scomponibile e ricomponibile a piacimento".

Acrilirico è soprattutto un libro oltre le attese, oltre la prospettiva comunque limitata o limitabile dei versi, oltre la rassicurante e ordinaria tranquillità della pagina stampata ed editata ed oltre l'ordine contenutistico degli argomenti.

Acrilirico è Stupore, che si fa vivere solo se disposti a scivolare su uno stile-non-stile, libero come solo liberi possono essere i pensieri e stimolante come solo un linguaggio nutrito e ricco può rendere uno stile accompagnandolo in una danza sostenuta.

È così che luoghi e tempi differenti si accavallano o si danno il cambio in un andirivieni di poesia dell’anima e della mente che indossa a tratti un costume poetico del tutto originale ma assolutamente lirico e profondo; poesia che avvolge il lettore chi vi si immerge conducendolo al cospetto della vera essenza dell’autore.

“Accadde quando accadde e il quando proprio non me lo ricordo. […]
Vinsi una volta, so. Vinsi una volta, spermatozoo capace di saltelli
e di slanci, […]
ma adesso perdo il passo.
il tempo che non ho mi preme e quello che non ho mai avuto
i ricordi, punte rotte dentro di me […]”

Eccolo qui il mio taccuino, zeppo di pensieri e di vita; non ci sarò inciampata per caso per strada ma me lo tengo come fosse quello che ho sempre desiderato ritrovare. E soprattutto non avrò mai il cruccio di doverlo restituire; anzi, avendo preso nota dell’esistenza dell’autore Gian Maria Turi sarò felice di sperimentare altre sue eventuali opere.

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A chi ama la poesia in genere e sopratutto a chi desidera sperimentare forme nuove di lettura.
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Romanzi storici
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    04 Mag, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Pane, Amore e…Venezia!

Facciamo un esperimento.

Immaginate una bella pagnotta dorata appena uscita dal forno. Provate a ricrearne mentalmente il profumo languido che vi accarezza le narici e la consistenza della crosta che racchiude l’anima di morbida mollica fumante. Fantasticate ancora sul primo morso scrocchiarello e sul pane caldo che vi avvolge la lingua e vi solletica il palato facendovi avvertire piacevoli ed ancestrali sensazioni di passato e di vita vera.

Adesso, volete riprovare questo sublime istante moltiplicandolo per la durata di una lettura di trecentottanta pagine circa? Leggetevi L’Apprendista di Venezia!

Che bontà questo romanzo, che miscela gustosa! Con quella crosta di storia all’esterno fatta della dura realtà della Venezia del 1498, venata dalle calle misteriose popolate dai personaggi più disparati e da quel subbuglio generale causato dalla ricerca di un libro dai contenuti proibiti e pericolosi che ossessionano potenti, chiesa e popolo;
e con quel cuore più morbido di sentimenti che parlano del destino di Luciano, povero orfano raccattato per strada dallo chef del doge che lo prende come suo apprendista e che diventerà per il ragazzo non solo l’insegnante di un’arte ma un vero e proprio maestro di vita e di pensiero.

Nei meandri della cucina di palazzo, dove ancora i piatti sapientemente elaborati risultano un’arma di dissuasione e dunque un vero e proprio strumento di potere, amori, storia, destini e rivelazioni si susseguiranno in un crescendo di attese e di languorini da prelibatezze decantate.

Forse per chi cerca un romanzo storico, nel senso più tecnico del termine, non è proprio il libro ideale; ma per chi si accontenta di una buona impalcatura reale, di un discreto intreccio, di uno stile scorrevole e di una storia tutto sommato originale, non c’è nulla di meglio che dare un’opportunità a questa autrice che, seppur straniera, ha saputo ricreare le atmosfere di una delle città più belle della nostra Penisola.

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A chi ama il romanzo storico condito dalla giusta dose di fantasia.
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Fantasy
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    07 Aprile, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Fatemi conoscere la Ward!

Sì, ve ne prego: fatemela conoscere! Voglio toccarla con mano, voglio parlare con lei, voglio che mi spieghi come diamine ha fatto a metter su questa super-fantasmagorica saga in grado di provocare dipendenza uscita dopo uscita, voglio apprendere come ha inventato un mondo intero, e, soprattutto, voglio essere messa al corrente di dove ha preso ispirazione per dare vita agli unici ed insostituibili confratelli del pugnale nero: dalle sue parti si aggirano forse esseri di sesso maschile incarnanti anche solo un paio delle qualità dei vampirotti presenti nei suoi libri? Donne, trasferiamoci!

Questa è la volta di Phury, il gemello buono di Zsadist che avevamo a sua volta incontrato in Porpora, terzo capitolo della saga.
Avevamo lasciato Phury alle prese con il suo impegno di Primale, di prosecutore della razza, e della sua impossibilità a consumare il rito di unione con l’eletta Cormia perché costretta al ruolo di prima sposa.
Phury e Cormia dovranno conoscersi a fondo prima di comprendere cosa si annida veramente nei loro cuori, e dovranno rispettivamente combattere contro i fantasmi di due differenti dipendenze: la tossicodipendenza -(e non fate quella faccia! Anche i vampiri possono incappare nel demone della droga! Se lo dice la Ward…)- ed i principi restrittivi e controproducenti delle tradizioni.

Il tutto ovviamente ben incastrato e allineato con il proseguimento delle vicende riguardanti tutti i nostri eroi, la lotta alla Lessening Society, nuovi avvincenti colpi di scena e scoperte a dir poco sensazionali.

Forse Oro Sangue si distingue ampiamente dai precedenti volumi per una repentina ritirata dell’approfondito aspetto sentimentale e delle molteplici scene di sesso a cui avevamo assistito fino adesso: ma tutto sommato non mi è affatto dispiaciuto: più urban fantasy e meno smielature: brava J.R, ottima ed approvata mossa!

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...ai seguaci della Ward e a chi ama l'urban fantasy romantico.
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Gialli, Thriller, Horror
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    01 Aprile, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Il primo King… non si scorda mai!

Cosa dire che non sia già stato già detto rispetto a questo meraviglioso e singolare romanzo?

Per quanto mi riguarda, posso portare la mia personale esperienza che se non altro si distingue da quella di chi da sempre segue King e col tempo ne è diventato un accanito fan.

Ebbene, io Stephen King non l’avevo mai letto. Non si è mai trattata di una questione personale quanto piuttosto della mia imperante resistenza a qualsiasi genere di thriller o thriller-fantasy e più che mai agli horror. Non mi vergogno ad ammettere che, fino ad un mesetto fa, nel mio immaginario ero solita associare King all’unica scena di un film, scorta per caso e tratta da uno dei suoi romanzi, in cui una spiritata Kathy Bates inveiva con una scure sulle gambe di un povero cristo costretto a letto (brrrrrrrrrrrrr! ancora mi si accappona la pelle!). Ecco dunque perché per me King era diventato sì il Re, ma dell’ignoto letterario: nel senso che ignoravo completamente cosa avesse scritto prima di 22/11/63 e... sinceramente adesso neppure me ne curo; perché quando scoppia l’amore non si può andare a scavare nel passato del tizio che si ama ma si può solo godere del presente e sperare al massimo nel futuro.

Ed io ho goduto! Oh sì, se ho goduto! Presa dal tema del viaggio nel tempo che, per quanto se ne possa dire, non ho mai approfondito non essendo per l’appunto mai stata un’amante del genere fantasy. Catturata dai sentimenti e dal coraggio di quest’uomo, Jake-Georgie, insieme a cui ho sofferto, sperato, desiderato, creduto e condiviso per la bellezza di settecento-e-passa pagine. Affascinata dal mondo più che mai reale dei favolosi anni ’60 e da uno stile di vita che non oso pensare quanto lavoro sia costato all’autore in termini di ricerca.

L’unico rimpianto? Che un’idea così brillante e valida non sia venuta ad uno scrittore italiano: darei qualsiasi cosa per un identico viaggio letterario all’italiana (pensare che mia madre è del Novembre del 1958!).

Il mio appello va dunque ai lettori che, al pari dei miei gusti, hanno giurato sulla loro libreria che mai un King ne sfiorerà gli scaffali: leggete 22/11/63, abbattete i pregiudizi e concedetevi questa possibilità: come me giungerete alla felice conclusione che il primo King non si scorda mai!

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...anche a chi non ha mai letto lo stesso autore e pensa di non rientrare nel genere.
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Romanzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    04 Marzo, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Con o Senza Te

Vera e Nicola, un amore lungo sette anni, vengono ritrovati cadaveri nella loro casa di Milano. Lei, cinquantaquattro anni, giornalista e scrittrice di successo, lui, quarantuno, con davanti una promettente e facoltosa carriera di avvocato . Sulle modalità della loro morte non vi è alcun dubbio: Vera, dopo averci fatto l’amore, ha prima sparato un colpo alla tempia del fidanzato e poi si è puntata l’arma al cuore e si è uccisa a sua volta.

Parte così questo noir dalle tinte confuse e dai toni infinitamente tristi; parte con un assassino già svelato e prosegue con i racconti alternati della stessa Vera e di Francesco, amico fortemente legato alla coppia.

L’intento sarebbe quello di illuminare il lettore sui perché dell’efferato gesto, ricostruendo, da due punti vista differenti, la sfortunata relazione conclusasi nel peggiore dei modi.

Ma i risultati sono pessimi.

Le voci narranti sono identiche: Vera e Francesco parlano e pensano nello stesso pomposo modo, perdendosi in ghirigori eleganti e mortalmente noiosi sulla complessa personalità, rispettivamente, di se stessa e della donna che è stata in grado di uccidere ed uccidersi.

I deliri di Vera, in particolare, non conducono in nessun dove, tanto che alla fine, una volta chiuso il libro, una paio di fondamentali domande sul perché questa abbia effettivamente svalvolato continui a fartele.

In compenso, verso la conclusione, ci si può beare dell’autentica simulazione dei verbali stilati dagli organi competenti sul ritrovamento dei corpi dei due amanti, con tanto di numeri di protocolli, intestazioni, nomi a vanvera e spiegazione tecnica sullo stato dei cadaveri ad un tot dall’ora del decesso: una vera goduria!

Paola Calvetti ci offre così l’autopsia di un amore, scavando non solo nell’abisso dei sentimenti ma anche e soprattutto nella pazienza e nella determinazione del lettore a seguirla, rimandando coraggiosamente, ad ogni pagina, il lancio del libro dalla finestra.

Chiunque voglia avvicinarsi a questa autrice, che io reputo comunque grandiosa avendo letto le sue precedenti opere, è forse il caso che si indirizzi sui suoi primi romanzi; “L’amore segreto”, ad esempio, che io stessa ogni tanto riprendo solo per la gioia di riscoprirne le emozioni e la toccante e talentuosa profondità di una scrittrice che spero prima o poi si decida a tornare.

Per questa volta spero non me ne si voglia, ma Con o Senza Paola sarebbe stato lo stesso.

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Solo a chi ama uno stile ricercato e non attraversa un periodo particolarmente difficile /o a chi conosce già l'autrice e desidera fare un confronto con le precedenti opere.
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Romanzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    25 Febbraio, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

L'Assaggiatrice Assatanata

Prendete una come me. Una che in giovane età ha abbandonato la sua terra d’origine – a causa delle svariate ragioni di cui ci si fa scudo e si abbandona la propria terra al sud – per trasferirsi definitivamente altrove. Una che, tuttavia, la propria terra ha sempre continuato ad amarla, e di un amore infinito; ragione per cui ha sempre accuratamente evitato di imbattersi in quella letteratura in grado di riportarla a casa, vuoi per le ambientazioni, vuoi per l’abbondante utilizzo della lingua del posto.
- Leggiti Camilleri, è bello, non sai cosa ti perdi
- No, Camilleri no, non ci riesco proprio; tutto quel dialetto.
Ma a questo punto, la confessione è dovuta: una come me, Camilleri non lo legge perché è come ricevere un pugno di nostalgia allo stomaco: fa male, insomma.

Poi, un bel giorno, una come me, decide di ovviare alla regola e di leggere L’Assaggiatrice di Giuseppina Torregrossa. E all’inizio tutto è meraviglioso, così meraviglioso che quasi c’è da commuoversi: eccola la Sicilia, bella e profumata come una magnifica femmina al sole, fatta di usanze e tradizioni, veleggiata dalla musicalità della lingua, intrisa di sapori unici, incarnata dai visi volitivi e sensuali delle donne che da sempre ne rappresentano la forza.
Sicilia che è pure Anciluzza, abbandonata improvvisamente dal marito e che si ritrova da sola, disonorata e senza soldi, a dover provvedere a se stessa ed alle due figlie.

Le fondamenta della storia sono ottime, lo stile impareggiabile, le descrizioni dei personaggi veritiere oltre ogni aspettativa, i paesaggi sublimi, l’idea delle ricette locali, che intermezzano i capitoli, a dir poco squisita.

Non fosse che Anciluzza ad un certo punto si perde. Le basta metter su negozio, dove prende a vendere spezie e prodotti locali, e improvvisamente non è più lei. Anciluzza ha bisogno di sesso, e solo di quello. Se ne frega delle figlie rimaste senza padre, della nuova libertà conquistata grazie alla quale affermare il suo essere donna indipendente ed autonoma, della ricerca di un nuovo amore: Anciluzza cucina e gode, che sono le uniche due cose che le interessano. Il suo è un chiodo fisso, ed anche se le sue preferenze vanno ad Hamed, misterioso uomo di colore che ogni tanto compare nella sua cucina per nutrirsi e soddisfarla, non può certo disdegnare chiunque le capiti a tiro.

Così, ho finito per sviluppare una sorta di antipatia per questa protagonista tutta carne e poco sentimento, e non è per bigottaggine o puntiglio, ma proprio non ce l’ho fatta a sorbirmeli i suoi ghirigori mentali di donna-porno-assatanata.

Giuseppina, che ti devo dire, ho capito che tu di professione fai la ginecologa, ma avevi tra le mani i migliori ingredienti e te ne sei uscita con un piatto quasi immangiabile: troppo sale, troppo peperoncino, troppo olio ed una cottura eccessiva.

Consiglio il libro solo perché ben scritto e per le autentiche atmosfere che è in grado di offrire: sul contenuto ognuno giudichi da se.

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Romanzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    16 Febbraio, 2012
Top 500 Opinionisti  -  

Alla Ricerca dell'Amore Perduto

Racconto breve, brevissimo; così breve che vestirlo della categoria romanzo è stato come fargli indossare una calzamaglia di almeno due taglie più grandi. Ma se di amore si parla, e per di più in una maniera così tenera, fragrante e pure originale, si può ben perdonare un piccolo vizio.

I tempi dunque cambiano; e cambiano i binari lungo i quali può correre una storia: questa di Amanda e Tommaso si dipana in un ping-pong di email, sms e telefonate. Belle, bellissime!, oserei.

La vicenda è quella che probabilmente ha già vissuto un’infinità indefinita di anime, mentre un’altra infinità indefinita si appresta a farlo: un amore a cui si torna dopo tanto e tanto tempo. Ma non un amore qualsiasi; bensì un amore che conta. Uno di quegli amori che forgiano l’esistenza e che ad un certo punto, forse per il peso ed il valore, si decide di lasciare in un angolo e proseguire senza.

Prima o poi, tuttavia, a questi amori si è destinati a tornare, fosse anche solo per sbirciare l’opera di quel grande scultore che è il tempo il cui agire è inarrestabile, non solo su noi stessi ma anche sugli altri.

L’insegnamento della Gamberale è lì, nell’ultima email che Amanda invia a Tommaso; ci si può riconoscere o meno; lo si può condividere oppure solo prenderne atto.

Il consiglio è comunque di leggere questa piccola e piacevole opera dai toni freschi ma dal contenuto apprezzabile.

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Racconti
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    12 Febbraio, 2012
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I Baci di Veronesi

Non ci conoscevamo, io e Veronesi. Non c’eravamo mai incrociati, neppure per sbaglio in una citazione, in uno stralcio di romanzo, in una sua considerazione, e meno che mai nella visione di Caos Calmo tratto dal suo romanzo probabilmente più noto.

Così, siamo partiti da zero; lui con tutti i suoi Baci da Scagliare Altrove ed io incuriosita dal titolo e da pregresse recensioni positive ed accattivanti sulle sue opere.

Una raccolta di racconti non è facile da valutare, ma se non altro ci si può industriare nel tentativo di individuarne il filo conduttore. Nei Baci di Veronesi, la “guida” non può essere che il dolore, l’angoscia di affrontare il quotidiano traendo la giusta forza dalle proprie debolezze - ad ogni età e per qualsiasi ceto sociale - , la consapevolezza di accettare il male, che alberga dentro ciascuno, ma senza perdere la speranza di poterlo in qualche modo debellare.

Detta così, tuttavia, la questione può apparire abbastanza semplicistica; e invece no! Perché, come ha già scritto qualcuno, quest’ uomo è un genio; e la passarella di personaggi che è in grado di proporci va ben oltre la semplice e comune immaginazione.

Certo, ce ne sono alcuni di Baci che lui Scaglia veramente Altrove; ma lontano lontano che si fa una faticaccia ad afferrarli e a comprenderne fino in fondo il senso. Ma se ci si abbandona con il giusto trasporto, proprio come quando si riceve un bacio, e non si pretende di razionalizzare il tutto ma di interpretare in base agli spunti, allora l’Amore per questi uomini, apparentemente così strambi eppure cosi umani e comuni, il cui profilo è delineato da una delle penne a mio parere più strabilianti degli ultimi tempi, è un Amore senz’ombra di dubbio assicurato.

Se potessi, rivolgerei a Veronesi anche una brevissima ed intima intervista su alcuni interrogativi che mi sono rimasti tra un Bacio e l’altro. Gli chiederei:

-Signor Veronesi, c’è qualcosa di autobiografico in ciascun racconto? Ad esempio, è realmente Lei il figlio che riceve la Profezia di come accompagnerà suo padre, il suo fiero padre, verso la fine dolorosa ed inevitabile che solo una malattia come il cancro può infliggere? Ed è ancora Lei, o buona parte di Lei “scrittore”, che passeggia lungo i campi Elisi affiancato da due differenti figure di scrittori che la condurranno ad una scelta precisa di quale scrittore essere?

-Perché tutti i protagonisti dei racconti sono di sesso maschile? Si tratta di una scelta ponderata e voluta o è solo un caso dettato dal suo sentire di uomo/scrittore?

-Lo sa che per il resto dei miei giorni non riuscirò mai più a guardare una tartaruga? Perché la scelta è caduta proprio su una tartaruga per un racconto intitolato la Furia dell’agnello ed il cui protagonista è un bambino? (Qui le esporrei volentieri la mia interpretazione personale, ma non posso, si tratterebbe di spoiler all’interno di una recensione).

-Insomma, io ho decretato la sua assoluta genialità di acuto osservatore al penultimo racconto: Il ventre della macchina. Ma come le è venuto in mente di analizzare così a fondo il rapporto tra un uomo ed il suo accendino? Sorride, eh. Tanto io l’ho afferrata la metafora; ed in nome di questa comprensione, giuro solennemente di leggere tutte le sue opere passate e tutte quelle future di cui vorrà farci dono.

Grazie dei Baci, Sandro!

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Gialli, Thriller, Horror
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    30 Gennaio, 2012
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Adesso so chi è il Postino

Perché ho letto questo libro? Ancora me lo chiedo.

Ah, si! Perché durante una cena delle ultime feste sono stata oggetto di stupore e critica in quanto io, accanita lettrice, non ho mai degnato, della mia attenzione e e del mio gusto, un “cult” di una simile portata.

” Vedrai, vedrai, un libro introspettivo che ti farà riflettere sulla vera natura dell’animo umano…”.

Sarà. Ma io di introspettivo, per la fortuita durata di solo 120 pagine, ho notato semplicemente la mia crescente curiosità su come il testo possa essere stato ispirazione per una trasposizione cinematografica , che non ho visto e rispetto alla quale preferisco rimanere nel dubbio.

Un vecchio e rozzo greco, dunque, che, insieme alla giovane ed avvenente moglie Cora, si occupa della gestione di una diroccata pompa di benzina e del relativo ricovero con vitto e alloggio, a pochi chilometri da San Francisco. Vi giunge il ventiquattrenne Frank Chambers, zingaro di natura e dedito alla vita di strada. Tra Cora e Frank è passione immediata, del tipo che già dopo qualche ora lei chiede a lui di “staccarle” il labbro con un morso (e per una volta, ditemi voi, mi stavo tenendo lontana da storie di vampiri e mutanti!).
Insomma, di intralcio rimane solamente il vecchiaccio, che in tutta la sua rozza ingenuità a me è risultato persino simpatico.

Scrittura veloce e scarna, stile asciutto, trama inconsistente e che perde mano a mano di forma, contenuto via via angosciante ma privo di mordente.
Un romanzo che NON può essere:

- un giallo tinto di rosa: non c’è il mistero e neppure il delinearsi di una vera e proprio storia d’amore.

- un thriller psicologico: i personaggi non vengono approfonditi e ce ne sono di alcuni che compaiono come stelle comete e tu dici: embè!

- un noir con un risvolto romantico: perché essendo il noir un sottogenere del giallo con degli elementi riflessivi in più, credo che debba comunque sottendere al la soluzione di un crimine e ritorniamo per tanto al punto numero uno; ed il romanticismo il romanzo per intero non lo vede neppure da lontano.

A quale genere appartiene “Il postino suona sempre due volte”? Non lo so. Se qualcuno lo sa, lo ha letto, e magari lo ha pure apprezzato, che si pronunci. Rimango aperta a qualsiasi dialogo.

L’unico elemento chiaro che sono riuscita ad acquisire è stato il titolo: non comparendo nella vicenda nessun genere di postino, presumo che l’allusione sia al diavolo. Questo diavolo sempre un po’ cattivello che prima ti tenta col male e dopo torna a riscuotere.

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Scienze umane
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    22 Gennaio, 2012
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Il Piacere di Pensare

Ricordavo Hillman dai tempi dall’università, quando lessi con una certa passione Il Codice dell’Anima. Peccato che la spinta ad avvicinarmi al filosofo m’era giunta da un bel tipo che frequentava uno dei miei corsi; soggetto a favore del quale, vi assicuro, sarebbe stato lecito leggere la qualunque, fosse anche il manuale in ostrogoto stretto delle istruzioni di un motore diesel.

Così, a tu per tu con Il piacere di pensare, che altro non è se non una conversazione tra la filologa Silvia Ronchey, la quale rilancia i temi più conosciuti dello studioso, ed il filosofo stesso ormai anziano, ho finalmente compreso che io del “pensiero” di Hillman non ci avevo veramente capito nulla (o quasi).

Tuttavia mi ci sono messa d’impegno, ed anche se non è semplice riportare in breve i punti chiave di questa “intervista”, proverò a condividere ciò che ne ho tratto.

Si parte dal concetto fondamentale e Jung-iano che la psiche non è dentro di noi, ma siamo noi ad essere dentro la psiche, ovvero non è l’anima nel corpo ma è il corpo che passeggia in quel giardino che è l’anima. Provate ad immaginare a tutti i ponti che costruiamo interiormente per superare le difficoltà, o ai prati assolati e verdeggianti di quando siamo felici: il giardino è in effetti la giusta metafora per l’anima. E come ogni giardino, anche l’anima ha bisogno di cure che possono essere praticate attraverso il Pensiero.

Il Pensiero è dunque da considerarsi alla stregua di una pratica, di un allenamento, lo stesso che esercitano i giardinieri o anche gli sportivi.Per meglio dire, il Pensiero è difficile ma provoca piacere: così come ad esempio sciare è difficile e faticoso ma piacevole allo stesso tempo. Ci vuole rigore, insomma. Quello stesso rigore che oggi la nostra cultura rifiuta - “si ritiene che un bambino debba trovare vie facili per imparare, e divertirsi mentre impara”- , così come rifiuta l’accettazione del dolore come un elemento che appartiene all’individuo, che non redime né è causa di una colpa ma da cui semplicemente si può ricavare qualcosa come da qualsiasi altro lato dell’esistenza.

In una società in cui, tuttavia, ci viene richiesto di condurre uno stile di vita maniacale, di stare al telefono, controllare l’email, entrare ed uscire dai supermercati, comprare, correre, cumulare due o tre lavori, acquistare automobili nuove, nuovi vestiti, nuovi computer, non ci è permesso di soffrire, né tanto meno di essere depressi (unico modo della psiche di mettere un freno a tutto questo); i governi e le multinazionali sono piuttosto disposti ad investire in prodotti farmaceutici ed in qualunque forma di ricerca in grado di consentire ai consumatori di proseguire nella loro frenetica attività del consumare.

Vietato soffrire e vietato Pensare: questo ci impongono le nostre ricche culture!

Una lettura interessante e ricca di spunti, dunque. Un excursus delle principali tematiche toccate dal Maestro durante tutta la sua storia bibliografica ed in cui viene messa ancora in risalto la difficoltà ad accettare il Daimon , ovvero, secondo il mito platonico, il demone assegnato a ciascuno prima della nascita e che determinerà la “tendenza” dell’individuo intesa come “carattere” o “vocazione”.

Una lettura anche complicata, che richiede una certa attenzione ed un minimo di conoscenza dei precursori e degli argomenti trattati, e che non mi sentirei di consigliare a chi non è proprio appassionato o a chi ha deciso di intraprendere la conoscenza di questo autore partendo da quest’opera.

Di sicuro, mi toccherà almeno rileggere Il Codice dell’Anima: ma non appena mi sarò ripresa dal… piacere di pensare!

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...consigliato a chi ha già letto almeno un'opera dello stesso autore.
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    11 Gennaio, 2012
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Il Talento di Murgia

La prima difficoltà in cui mi sono imbattuta iniziando a leggere questo libro è stato il titolo. Non c’era verso di ficcarmelo in testa.
Cosa stai leggendo? Abbacadora… Acabbadora… insomma, quello lì della Murgia.
Eppure l’avevo scorto dalla quarta di copertina che in spagnolo “acabar” significa finire e che in sardo “accabadora “ è colei che finisce. E come il titolo, in partenza, mi ci è voluto un discreto tempo di pagine per intrufolarmi nel linguaggio. In questo linguaggio nudo e crudo che non è prettamente sardo ma che cammuffa il sardo con un buon italiano in grado di richiamare luoghi e credenze, persone e vicende. Lo stile poi è di quelli che mi catturano: svelto, scorrevole, con delle descrizioni che mi piace chiamare “sul momento”, ovvero schizzi veloci e precisi come di un pittore che ha voluto fermare un particolare in un paesaggio; e soprattutto i dialoghi sono della lingua parlata, senza abbellimenti né ammanchi a quanto i personaggi hanno detto o avrebbero voluto dire.

Un mondo intero che prende forma sin dalla prime battute; e non è certo facile metterlo su; specie quando il senso di questo mondo, tutto racchiuso in una minuscola comunità sarda degli anni cinquanta, andrà a parare su uno dei temi più dibattuti degli ultimi decenni: la fine intenzionale della vita quando questa non ha più modo né possibilità d’essere vissuta.
Non ci sono volontà eticamente dottrinali nell’autrice, né tantomeno l'intento ipocritamente morale di prendere una posizione: ci sono solo queste due figure femminili incastrate in una ferrea realtà di usi e costumi, dove tutto ciò che è pratica culturalmente accettata è vita comune.

Maria rinasce così una seconda volta, senza trauma alcuno per essere stata strappata alla famiglia d'origine, quando Bonaria Urrai decide di prenderla come figlia d'anima; e rinasce una terza volta quando, in giovane età, prova a ricrearSi nel lontano continente per sfuggire a quella madre adottiva che le ha riconsegnato una vita ma che sa anche accompagnare la morte.
Non c'è soluzione, tuttavia, per fuggire da se stessi: e ciascuno si ritrova in un circolo continuo di amore dato e preso, di vita e, innegabilmente, di morte. Una morte che, a volte, necessita anche di un gesto pietoso d'amore.

I miei complimenti più appassionati vanno a questa autrice: per il modo intenso ed autentico attraverso cui ha saputo porgere la sua meravigliosa terra; per il coraggio nell'affrontare una tematica così delicata e controversa raccontando semplicemente la realtà di un tempo e di un luogo neppure troppo lontani; per il talento indiscutibile nel mettere tra le mani del lettore pagine in grado di prendere forma in base ai movimenti suscitati nell'animo di ciascuno.

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...a chi ha voglia di leggere NON un romanzo qualsiasi – inteso nel senso più tecnico del termine - ed è disposto ad abbondanarsi ad una “lettura-canovaccio” sulla quale il proprio cuore ed il proprio sentire personale avranno modo di improvvisare.
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    17 Dicembre, 2011
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Perdonatemi, ma io non l’ho capito!

Prima di iniziare, voglio scusarmi con l’autore. Gli chiedo scusa perché molto probabilmente nelle sue intenzioni c’era quella di scrivere qualcosa di alto e significativo. Lo si capisce da vari elementi, un po’ come quando vai in un paese straniero in un giorno che per te è feriale e trovi tutto chiuso: comprendi che in quel posto sarà un giorno di festa o una ricorrenza particolare ma non hai la più pallida idea di cosa si tratti, ed in più non parli la lingua locale per poter chiedere.

In poche parole, di questo libro non ci ho capito nulla. Ma veramente niente di niente.

L’”allodola” che mi aveva portato a sceglierlo e a richiedere l’invio da parte della redazione, era stato il seguente frammento tratto dalla quarta di copertina:
“L’uomo si trova intrappolato in un’era nella quale cresce il rifiuto del pensare, del voler restare soli con se stessi per ritrovare il contatto con l’anima; per poi, stoltamente, cercare un Dio esogeno alla propria persona.”
Cosa vi aspettereste voi da una simile presentazione?
Qualsiasi cosa abbiate pensato, cancellatela! InfinitAmente vi condurrà in una sorta di rivisitazione della creazione dell’umanità, dagli albori, presumo, ad oggi. Ci sarà un personaggio, certo J., una sorta di angelo (?), demone (?), essenza di un dio (?), di preciso non so, come vi ho già detto non l’ho capito, che si occuperà della distruzione delle anime malvagie in nome del ritrovamento della sua amata, la metà perfetta che gli era stata assegnata non ho capito da chi né in quale momento preciso della storia dell’umanità.
Il libro, che sosta nella categoria romanzi ma che secondo me di romanzo ha ben poco, è composto da capitoli (?) intermezzati da citazioni tratti dalla Bibbia e da altri testi religiosi. Ci sono note che richiamano il Vangelo, la numerologia e la rappresentazione Kabbalistica, ma non sono riuscita a darvi un senso. Lo stile è ricercato e molto accademico, di nicchia oserei dire.

Nel complesso ho dedotto e carpito la sottolineatura dell’eterna lotta tra il bene e il male, ma tutto ciò che affermo lo si prenda con il beneficio del dubbio.
Quello che mi è piaciuto di più è stata la riproduzione degli schizzi a matita sparsi lungo la narrazione.

Per il resto, dal basso della mia ignoranza sui temi trattati (?), lo sconsiglio vivamente. A meno che non abbiate voglia di riprovare quella sinistra sensazione di dovervi sorbire per forza di cose il testo che ha scritto il titolare della cattedra con cui dovete necessariamente sostenere quell’esame che avete rinviato all’infinito.

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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    11 Dicembre, 2011
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Rossana, andiamo a berci un caffè?

Rossana Campo è una delle mie scrittrici preferite. L’ho scoperta per caso, un giorno in cui non mi girava molto bene ed entrando in libreria mi è caduto l’occhio tra le pagine sconnesse che raccontavano di una tipa incavolata con mezzo mondo. Così, ogni volta che pure io prendo a disconoscermi nel tran tran quotidiano, o inizio ad avvertire quel sinistro senso di solitudine della gente in mezzo a tanta gente, o ancora mi pare di provare quell’insofferenza di barcamenarmi nell’entusiasmante e bello ma pur sempre difficile ambito delle relazioni umani, mi scelgo una Rossana Campo a caso e me no sto lì con lei il tempo utile a rinsavire.

Il punto è che Rossana o la odi o la ami. E per due motivi essenziali:
- Il primo, è lo stile: assolutamente progressista, con una punteggiatura ricca nei periodi ma quasi inesistente nei dialoghi, che richiama senza mezzi termini il linguaggio parlato e che rispetta pressappoco i neo-standard della lingua italiana ma stabilendo proprie regole. Tutte robe che hanno a volte portato la critica ad urlare che la Campo e gli altri scrittori come lei (definiti “Cannibali”) non sanno affatto scrivere.
- Il secondo, sono le sue protagoniste: sempre donne; adolescenti, croniste, scrittrici, squinternate che si spostano da un paese all’altro per ritrovare la loro identità, tradite, abbandonate, magari portate all’autodistruzione, a volte anche sboccate, ma sempre vere! Sempre dotate di quel senso di cruda autoironia che le induce a tirarsi fuori dalle situazioni negative e a vederci chiaro negli altri ed in questa vita che comunque vale sempre la pena di essere vissuta.

Ed anche in “Mentre la mia bella dorme”, si viene catapultati a tu per tu con questa giornalista di cronaca nera che si ritrova ad indagare sull’apparente suicidio di una ragazza conosciuta nel suo palazzo. Non ha nome la protagonista, come quasi tutte le protagoniste dei romanzi della Campo, ma ci si entra in confidenza fin dalle prime righe. Perché è lei a raccontarci l’intera vicenda, lei che è incinta di un tipo dileguatosi davanti alle sue responsabilità e a cui vorrebbe spaccare la faccia, ma che non si arrende nonostante le sue ricerche la conducano nelle esistenze di soggetti instabili e a loro volta sfiancati da grovigliosi segreti.
Forse per chi ha ambizioni di scoprirci un vero e proprio thriller o addirittura un giallo secondo i canoni, questo libro potrà risultare deludente. Ma per chi come me gradisce una forma di scrittura alternativa e soprattutto non disdegna una letteratura leggera ma a suo modo profondamente riflessiva dell’indole più noir dell’animo umano e del mondo che ci circonda, senza troppi fronzoli né attese di lezioni etiche, allora mi sento vivamente di consigliare il titolo in questione e tutti gli altri romanzi di questa autrice non propriamente ai vertici delle classifiche.

Per quanto mi riguarda, uno dei miei sogni è che la Campo un giorno legga questa recensione e accetti il mio invito ad andare a berci un caffè insieme in un bar piccolo e affollato di gente, proprio come succede nei suoi libri. Così, per parlare del più e del meno e per poterla finalmente conoscere. Non sarà da premio Nobel ma per me Rossana rimane un mito!

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Romanzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    27 Novembre, 2011
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Gridare MOBBING! senza vergogna

Ci sono libri che, lungo il nostro cammino, diventano pietre miliari. Libri che si incuneano nel nostro essere e che, a prescindere da quale ne sia la motivazione, teniamo sempre bene in vista come un baluardo. Si tratta degli stessi libri che regaliamo, quei libri che ci precipitiamo a comprare non appena qualcuno intorno a noi manifesta i sintomi allarmanti di necessitarne. Quegli stessi libri che poi stiamo lì a somministrare quasi si trattasse di una medicina: Leggilo eh! mi raccomando, leggilo che vedrai che ti cambia la vita!
Ecco, "Le ore sotterranee" è per me uno di quei libri, e se l’ho riletto per l’ennesima volta è stato solo perché negli ultimi tempi l’ho regalato alla mia amica R.
R. l’ho conosciuta una anno fa, lungo i tragitti infiniti a cui siamo costretti quotidianamente noi pendolari; e come una folgorazione mi ha irrimediabilmente ricordato Mathilde, la protagonista del romanzo di Delphine De Vigan.
R., come Mathilde, è rimasta vedova quando i suoi tre figli erano piccoli e, come Mathilde, è riuscita a tirarli su con dignità e determinazione, consacrandosi anima e corpo alla grande azienda che l’ha assunta. Dieci anni di dedizione assoluta, dieci anni di “servitù” instancabile al suo capo che l’aveva scelta e a cui doveva la salvezza, dieci anni di sacrificio a di rinunce a se stessa pur di sentirsi realizzata a lavoro e di portare a casa lo stipendio. Poi un giorno qualcosa si è rotto. Un evento banale, un dissenso appena accennato rispetto ad un progetto da avviare, e quel capo, un capo come se ne possono incontrare tanti, noti per essere esigenti, diretti, aspri e che godono nel mettere in soggezione chiunque debba rivolgere loro la parola, l’emblema dell’azienda moderna, insomma, dove quasi sempre ai vertici se ne stanno appollaiati questi galli competenti ma completamenti privi del senso umano del resto del mondo, dunque quel capo, ha deciso che R./Mathilde doveva “morire”, di una “morte” lenta e invisibile che non avrebbe fatto scalpore ma che avrebbe finito per alienarla e “sconfiggerla”.
E così è stato: sono bastati pochi mesi, una serie di piccole cose insidiose e ridicole, appuntamenti annullati senza informarla, i sospiri esasperati, le battute pungenti, il rifiuto a comunicare, e poi la privazione graduale delle mansioni che ha costretto i colleghi a non dover rivolgersi a lei per la normale collaborazione, l’assegnazione di pratiche illeggibili, i continui richiami per errori commessi da altri, l’analisi attenta dei suoi orari di entrata e di uscita. R./Mathilde, stupita ed incredula, non si è ribellata, piuttosto ha incominciato a comportarsi da colpevole, lavorando il doppio, evitando le ferie, abituandosi al nuovo stato di cose, sempre più stanca, più sfinita, chiedendosi come un’azienda potesse tollerare un violenza simile per quanto silenziosa, e come i colleghi potessero far finta di nulla davanti alla distruzione di un essere umano. A niente sono servite le avvisaglie di cedimento del fisico, la preoccupazione dei figli al suo stato di salute, quelle strane fantasie di ammalarsi gravemente pur di non dover lavorare più, il senso di solitudine nel recarsi al lavoro, spingendo e sgomitando sui mezzi pubblici e guardando finalmente in faccia anche la solitudine degli altri: R./Mathilde ha maturato la convinzione di non farcela e dopo un tempo indefinito è giunta ad una consapevolezza: sa cosa le sta succedendo, sa che quello che le stanno facendo ha un nome, ma non riesce a pronunciarlo, si VERGOGNA TROPPO.
Quale speranza?
Per la protagonista del romanzo, la speranza risiede in un giorno: il 20 Maggio. Una data buttati lì da una veggente a cui si è rivolta per ritrovare un barlume di luce, lei che non ha mai creduto ai ciarlatani. La stessa data in cui, allo stesso modo, Thibault vaga per le strade di Parigi con la muta preghiera che esista una donna in grado di amarlo nonostante la fatica di vivere che si porta dietro. Mathilde e Thibault si incroceranno diverse volte in quel giorno, ma riusciranno veramente a Vedersi?
Perché credimi, R., la speranza aleggia sempre intorno a noi, tocca solo aguzzare lo sguardo e non chiudere il cuore. Tocca non soccombere, lottare ed avanzare a testa alta, per non perdere magari quell’amore che stiamo cercando e che ci scruta casualmente da lontano. Soprattutto tocca gridare, gridare forte ai soprusi, indignati e consapevoli dei propri diritti, perché sarà pur vero che nel mondo c’è ancora chi muore di stenti e di sfruttamento, sarà pur vero che c’è chi perde la vita nelle fabbriche annientato dalla mancanza delle più banali norme di sicurezza, ma è anche vero che non si può morire dietro ad una scrivania. Tocca gridare MOBBING senza vergogna, amica mia, e ricordarsi sempre che si lavora per vivere e che il Lavoro dovrebbe essere un Diritto di Tutti e non una concessione a pochi eletti.

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A chi desidera una lettura dallo stile impeccabile che tocca problemi cruciali del nostro tempo e della nostra società civile (causa a volta dell’alienazione dell’individuo). A chi ha subito “soprusi lavorativi” pensando che fosse una cosa normale, o a chi è interessato a sfiorare per il tempo di un libro ciò che non vorrebbe gli accadesse mai. A chi è disposto ad affrontare un romanzo non propriamente allegro ma assolutamente profondo.
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Racconti
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    16 Novembre, 2011
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Diario Indolore di uno strano Killer

Indolore. È stata la prima cosa che mi è venuta in mente una volta giunta all'ultima pagina di questa brevissima storia. Indolore, come indolore può essere un libro che se lo leggi hai letto un libro in più, ma che se anche dovessi perderlo non è poi la fine del mondo. Uno di quei racconti dalla battuta iniziale infervorante ma che si arena quasi subito in una trama prevedibile e inconsistente; banale, oserei dire, quasi si trattasse dell'impalcatura di un lavoro mai sviluppato, abbellita da un sottile filo di grottesca ironia. Perché una parvenza di comico ce l'ha, questo killer innamorato che sembra il Gioele Dix mondiale dei tassisti alle prese col suo ultimo incarico; una sorta di simpatia finisce per suscitarla nel lettore, Lui che arriva a mettere in discussione le ferree regole della sua “professione” e che tira via a furia di discorsi allo specchio con se stesso. Il punto è che non ti lascia nulla, quasi niente a parte qualche sogghigno ad una manciata di battute.

E dire che chi mi ha regalato il romanzo ha esordito con un grossissimo: “È il mio preferito! In assoluto il migliore di Sepúlveda". Allora, io ti dico Grazie, caro il mio donatore, un libro è sempre ben accetto, ma se volevi stupirmi con effetti speciali, il Killer Sentimentale è stato svelto a farti fuori.

Se dovessi consigliare il romanzo a mia volta, sarebbe solo ed esclusivamente per lo stile degno di nota e per la brevità: si legge in poco piu di dieci fermate di metro e magari come una canzone può anche risultare piacevole.

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Romanzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    13 Novembre, 2011
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L'eterna Lotta tra Bene e Male

Ho terminato la lettura di questo libro da diversi giorni, eppure mi viene difficile parlarne. Non è semplice dare un’opinione di Emmaus, non è semplice scomporre i vari elementi che fanno di un’opera per l’appunto un romanzo e successivamente un romanzo di successo.
Ho sempre avuto l’impressione che Alessandro Baricco sia uno di quei pochi scrittori che scrive principalmente per sé, ancora prima di scrivere per un contratto con una casa editrice e nella speranza di vendere migliaia di copie. Mi piace pensarlo, o almeno è l’effetto che suscitano su di me i suoi libri . Anche per Emmaus è stato così. Anche per Emmaus il netto sentore è stato quello di leggere un romanzo ma al contempo di essere “letta”. Un po’ come quando sei miope e ti ostini ad andare in giro senza occhiali e all’improvviso una mano benefica ti porge un paio di lenti della giusta gradazione e tu dici: oh, cacchio! Ecco cos’era quella forma indistinta di colori che mi si ammucchiavano intorno, erano persone, ed alberi, e macchine… Così i libri di Baricco, il suo narrare, sono in grado di sezionare sentimenti ed emozioni confusi che tutti noi proviamo riuscendo a concretizzarli, a volte in poche battute, e a darvi forma almeno per il tempo della lettura.
Emmaus è stato, in questo senso, uno scrigno di elementi illuminanti. Non prendono forse il via le mie radici da una famiglia comunemente borghese, dalle scarse possibilità economiche ed il cui motore ancestrale affonda da sempre in una ferrea fede e in un altrettanto indistruttibile credo nell’etica? Come fare dunque a non immedesimarmi nei quattro adolescenti protagonisti e, soprattutto, come non riconoscere la visione d’insieme di “quegli altri”, i ricchi, che mai così bene furono dipinti nel loro andare solenni e impuniti e nel loro non-credere apparentemente a nulla?

La verità, se di verità si può parlare, si dipana pagina dopo pagina, evento dopo evento, mano a mano che “loro”, i ricchi, si avvicinano come in un fotogramma a rallentatore incarnati dalla figura di Andre, appena accennata eppure forte, e mentre Dio, quello stesso Dio presentatoci come unica fonte di salvezza, rimane sullo sfondo ma finisce per perdere di consistenza.
Perché tutto sommato ritengo che i messaggi di Emmaus siano più di uno: oltre alla cecità dell’uomo che nella sua piccolezza non riesce a scorgere la complessità degli intrecci che legano la sua esistenza a quella degli altri, vi è anche un messaggio fondamentale: quello che nulla è come appare e che non esistono confini tra l’esistere umano, non esistono muri invalicabili tra povertà e ricchezza, ma tutto si fonda sull’unica grande lotta che da sempre ci impegna e che ciascuno consuma nel proprio intimo ogni giorno: La Lotta tra il Bene ed il Male, a prescindere da credi, intenzioni, volontà e pregiudizi che ci vengono inculcati.

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Consigliato a chi ha letto...
...a chi desidera una lettura breve, dallo stile impeccabile ed intensa come intense sono le letture di Baricco.
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Fantasy
 
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Stile 
 
4.0
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    20 Ottobre, 2011
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VISHOUS, AMORE MIO!

Quinto appuntamento con la saga vampiresca più hard al mondo, quella de “La Confraternita del Pugnale Nero”. E non avendo speso una parola per i precedenti quattro volumi, ci tengo ad illuminarvi in breve sul senso complessivo della narrazione.
La Confraternita è composta da circa sette fratelli (uno più uno meno), sette vampiri che, nascosti in una sorta di residenza a dir poco principesca ai confini delle cittadina di Caldwell, combattono il male impersonato dalla Lessing Society, la quale recluta i suoi adepti tra gli umani trasformandoli in spietati non-morti con l’unico scopo di sterminare la razza vampiresca.
I vampiri della Ward, come tutti i vampiri dei nostri giorni, sono vampiri evoluti, possiedono così alcune delle caratteristiche standard – bruciano al sole, necessitano di sangue per la sopravvivenza, sono veloci e forti – e molti di quegli elementi modern-vampiro che con un vampiro effettivamente non ci azzeccano nulla – sono dei buongustai e si pappano la carne arrosto o i tramezzini con la maionese, necessitano di dormire, si dissanguano se si beccano delle brutte ferite e robe di questo genere –.
Ora, senza polemizzare sulla questione, posso candidamente affermare che la saga in se stessa è Formidabile. Sarà che l’autrice è riuscita a costruire un vero e proprio mondo, con delle regole, dei riti, un proprio linguaggio e degli eventi ad incastro perfetto in grado di catturare l’attenzione e di rendere vivi i personaggi non solo in ogni singolo libro ma di volume in volume. Sembrerà banale, ma è difficilissimo, a mio parere, riuscire a far ricordare al lettore nomi, ingranaggi, vicende, particolari, cause e concause per la durata di cinque e più libri.
Ciascun volume racconta principalmente la storia di uno dei fratelli e si può definire autoconclusivo, ma l’evoluzione di nessuno dei numerosi personaggi viene tralasciata, così che diventa impossibile (e scarsamente piacevole) prendere a caso una delle pubblicazioni senza prima aver letto le precedente.

Possesso è incentrato per l’appunto sulla storia di Vishous (detto V), guerriero che possiede il dono della preveggenza ed un’anomalia fisica che tutti pagheremmo per avere: la sua mano è in grado di uccidere all’istante diventando incandescente. A causa del suo forte legame con Butch, unico umano accettato nella confraternita, V vive il matrimonio dell’amico con la vampira Marissa come un abbandono; la perdita lo fa sprofondare in una terribile confusione mentre il suo lato perverso, dovuto principalmente alle sevizie subite da piccolo in un campo di addestramento per vampiri, prende sempre più il sopravvento lasciandolo senza speranza. Ferito mortalmente durante un combattimento, Vishous viene erroneamente portato in un ospedale umano ed operato seduta stante dalla dottoressa Jane. Al suo risveglio, il vampiro capisce che non può rinunciare a quella donna, per cui la fa rapire e se la porta un fine settimana nella sua stanza iniziandola al suo mondo…e non solo. Tra i due è amore con la A maiuscola, non fosse che Jane deve tornare alla sua vita e V, addoloratissimo, è costretto a cancellare i ricordi dalla sua mente - (Che, scusate la schiettezza, è una sfiga bella e buona: sei riuscita a passare tre giorni di passione stratosferica con un fustacchione di vampiro, bello, intelligente, forte, coraggioso e leale…e non ti ricordi più nulla!) -. Ma il destino incombe e, tra colpi di scena, combattimenti ben descritti, novità impellenti e rivelazioni impensabili, le cose possono sempre prendere una svolta inaspettata. Così inaspettata che… sinceramente mi sono chiesta se la Ward si fosse ubriacata o avesse mangiato pesante verso la conclusione del libro.

Il mio smisurato Amore per Vishous ha tuttavia fatto sì che io perdonassi le aspettative tradite. E poi i gusti sono gusti, magari qualcuno avrà a apprezzato il finale più di me (SE QUALCUNO ESISTE SI FACCIA AVANTI: HO BISOGNO DI SFOGARMI!)

Per il resto: Vishous, rimarrai per sempre il mio Unico Grande Amore Vampiro!

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...agli amanti del genere, a chi ogni tanto ha voglia di farsi una sana dose di romanticismo macho e a chi non è infastidito da un erotismo discretamente spinto.
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Gialli, Thriller, Horror
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    09 Ottobre, 2011
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Il cuore ha sempre ragione?

C’era una volta un’importante casa automobilistica che decise di servirsi delle parole di un filosofo olandese per la creazione del suo nuovo spot pubblicitario. Lo spot, tra le altre cose, recitava più o meno così: “Osservate con quanta previdenza la natura ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di follia. Infuse nell'uomo più passione che ragione… La vita umana non è altro che un gioco della Follia.” E concludeva con la “frasona” ad effetto: “Il cuore ha sempre ragione.”
È inutile dirvi che la pubblicità in questione riscosse un enorme successo, tutti rimasero incantati davanti allo schermo a godersi i tre minuti scarsi di “follia” e tutti, o quasi, fecero proprie le parole del caro vecchio Erasmo da Rotterdam fino ad allora semisconosciuto alle masse.
Perché la Follia affascina. La Follia è spesso associata all’arte, alla stravaganza, all’unicità di chi “folle” lo è. E poi la Follia è Amore. Chi non ha mai fatto “pazzie”in nome dell’Amore? Chi non ha mai avvertito quel “friccichio” al petto e non si è sentito capace di compiere qualsiasi genere d’azione per inseguire il cuore e chi lo aveva fatto prigioniero?
Molti si chiederanno: e che c’entra tutto questo con il romanzo? Niente, non c’entra sostanzialmente nulla, ma sappiate che leggendo il libro di McGrath potreste magari ricredervi rispetto all’assoluto e affascinante tema dell’Amore Folle. Perché nel romanzo di Follia si parla, ma di Follia autentica, incarnata dalla figura di Edgar, detenuto in un manicomio per uxoricidio, e dal folle tentativo di Stella, moglie del vicedirettore dell’istituto, di abbandonarsi completamente e contro ogni ragionevolezza alla passione nei confronti del paziente stesso. La vicenda, ambientata nell’Inghilterra del 1959, è narrata da Peter, psichiatra che ha in cura Edgar e che mano a mano traccia l’analisi dettagliata della psiche dei due innamorati mettendo in luce la distruzione che il rapporto causa intimamente ai due protagonisti e nelle sfere esterne che li riguardano. Poggiata su un stile alquanto semplice, la storia è ben costruita ed in grado di tenere alte l’attesa e le aspettative del lettore che si ritrova emotivamente e pienamente coinvolto nell’amara vicenda senza sapere esattamente, fino alla fine, cosa sperare. Ciò che tuttavia schiaffeggia dalle pagine, costringendo ad un’immedesimazione attenta ed inquisitoria con la protagonista, è la figura maestralmente delineata di Stella, donna all’apparenza forte e decisa, estrosa al punto giusto, pronta ad andare contro ogni conformismo ed ogni autorità pur di inseguire i propri sentimenti. Ma è veramente un’eroina, questa donna che non si fa scrupolo ad immolare la propria esistenza e quella delle persone a lei più vicine in nome di un Amore che non ha più confini? È veramente un’eroina una donna che non sa più distinguere e operarsi per la salvezza del proprio corpo e del proprio spirito?

Questo libro per me ha significato molto. L’ho sentito come fuoco sulla pelle e dentro l’anima. È stato, perdonate la nota confidenziale, come il riscatto da un passato in cui, contro la famosa e indiscutibile convinzione in base alla quale “a me non succederà mai!”, in un “Edgar” mi ci ero imbattuta .

E allora continuo a chiedermi: ma il cuore, ha veramente sempre ragione?

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...a prescindere dai gusti, non leggerlo significherebbe perdere tanto!
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    09 Agosto, 2011
Top 500 Opinionisti  -  

Me ne vado con il circo!

Quando ero piccola avevo escogitato una teoria: mi ero convinta che anche se le cose fossero andate male male, la scuola non mi fosse più piaciuta o non avessi più sopportato di essere messa in castigo giusto perché ero un tantino movimentata e facevo venire i capelli bianchi all’intera famiglia, potevo sempre scappare con il circo. Sì, sì, con lo stesso circo che si fermava nel mio minuscolo paese due volte l’anno ed i cui abitanti andavo a spiare per ore ed ore, giù al campo sportivo, dove veniva montato il tendone. Così il mio ritornello ad ogni rimprovero era: Ah sì?...ed io me ne vado con il circo!
Ovviamente, con il circo non sono mai scappata. Ma vi dirò, leggere questo libro mi ha fatto tornare in mente quanto affascinante fosse il solo fantasticarlo. Per 361 pagine sono tornata ad essere bambina e d ho ripreso a valutare la possibilità di uno sbocco circense in caso di bisogno: chi può mai dirlo nella vita!
Però del romanzo mi sono letteralmente innamorata: da molto tempo non mi imbattevo in una storia così ben intrecciata, avvincente, romantica e poggiata su un letto di salde e comprovate nozioni storiche che ne fanno al contempo un nitido a chiaro affresco dell’epoca statunitense passata alla storia come la Grande Depressione, epoca in cui l’America incominciò ad essere attraversata dai circhi itineranti che si spostavano sulle linee ferroviarie.
Ed è in uno di questi circhi che Jacob, studente in veterinaria, trova rifugio dopo aver perso entrambi i genitori. Tra ogni specie di animali da accudire, nani e freaks, una sorta di rigida gerarchia sociale circense, un gergo a volte spietato e delle ferree regole da rispettare per riuscire a sopravvivere, il ragazzo diventa un uomo ed impara quelli che sono i più grandi valori della vita: l’amicizia, l’amore, il coraggio, l’altruismo, la responsabilità di prendere delle decisioni, la capacità di saper attendere ed agire, la dedizione al proprio lavoro ed insieme la difesa dei più deboli.
La bella Marlena, il suo spietato marito August e l’elefante Rosie, diventeranno poi per Jacob dei punti focali, ma nessuno dei personaggi della Gruen passa inosservato, ciascuno assume un proprio impeto e a ciascuno il lettore non può che affezionarsi, quasi come si trattasse delle stelle più luminose di uno stesso firmamento.

E dire che quando il libro mi è stato regalato, mi sono chiesta cosa diamine volesse dire “Acqua agli elefanti” (era forse uno di quei proverbi sullo stampo del tipo “Perle ai porci”?).
Non che l’attinenza del titolo mi risulti ancora adesso chiara, ma la storia, ve l’ assicuro, vale la pena d’essere letta.

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...a chi desidera una bella e romantica avventura ancorata alla storica realtà.
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Romanzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    01 Agosto, 2011
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Reality? NO, GRAZIE!

Immaginate una giornata qualunque. Un giorno come un altro in cui siete intenti a fare le solite cose: state andando a lavoro, un amico vi sta offrendo un caffè, siete alle prese con la fila chilometrica alle poste, vi trovate immersi in una magnifica passeggiata nel parco vicino casa… Ecco, all’improvviso un’orda di troupe televisive fa irruzione e finite in una retata, una retata vera, una di quelle da cui se ne esce solo come prigionieri ed il cui unico criterio è l’appartenenza al genere umano. Come prigionieri venite poi stipati in dei sorta di carri bestiame e spediti, insieme a mille altri, in dei campi che sono il rifacimento spiccicato di “quei campi”. Il tutto filmato istante per istante da una miriade indefinita di telecamere che non perde una sola virgola dell’angoscia generale.
Cosa sta succedendo? Nulla di che! Si da inizio ad un nuovo reality televisivo: “Concentramento”, il reality del secolo, quello destinato a raggiungere il record di ascolti mai raggiunto prima nella storia della televisione.
È così che prende il via questo romanzo del tutto provocatorio di Amélie Nothomb, ed è così che prosegue: con la narrazione del tutto paradossale di come i prigionieri-concorrenti vengono nel campo spogliati di ogni cosa, identificati con una matricola, mandati ai lavori forzati o eliminati fisicamente se inadatti a produrre. “Concentramento” si trasforma nel palcoscenico grottesco della morte dell’individuo che si ritrova stretto in un giogo mediatico senza precedenti e in grado di saziare la bramosia ed il desiderio degli spettatori di poter vedere l’invedibile, persino oltre il limite di quella che dovrebbe essere l’indignazione umana, e di diventare protagonisti grazie al televoto per la settimanale condanna a morte di uno o più prigionieri.
L’eroina della vicenda è Pannonique (matricola CKZ 114), nota nel campo e tra il pubblico a casa per la bellezza ed il contegno dignitoso ma soprattutto per i suoi tentativi di andare contro le ferree regole della trasmissione. Pannonique diventerà l’oggetto indiscusso dell’amore autentico del prigioniero EPJ 237 e di quello ossessivo della kapò Zdena, due amori distanti per natura e forma ma che riusciranno in diverso modo a dare una svolta agli avvenimenti. Perché volenti o nolenti, è sempre l’amore a smuoverci.

Con una scrittura lineare, spoglia di eccessive descrizioni e netta come una lama ben affilata, la Nothomb porta allo stremo il degrado mediatico di cui è schiava la nostra società, un degrado in cui la “democratizzazione” dell’immagine e la messa in scena della sfera “intima” e “privata” altro non hanno comportato se non l’anestetizzazione non solo del gusto estetico ma anche dei più radicati principi dell’etica e della politica. Non c’è da andare fieri dell’avvento del Grande fratello, non c’è da sperare in nuovi e sempre più “stimolanti” format che ne richiamino il principio: il livellamento sempre più costante e sempre più in discesa che simili programmi-spazzatura denotano, non può essere altro che un chiaro e inequivocabile allarme della vacuità alienante verso cui irrimediabilmente avanziamo. Toccherebbe tenere sempre a mente le parole di Pannonique alle telecamere in uno dei suoi tentativi di salvare se stessa e i compagni: “Spettatori, spegnate i vostri televisori! I maggiori colpevoli siete voi! Se non accordaste un’odience così vasta […] questa mostruosa trasmissione sarebbe finita da un pezzo!”.
Oppure, bisognerebbe semplicemente ricordare come la Nothomb inizia il suo romanzo: “Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo”.
Per non arrivare mai a bramare la spettacolarizzazione della sofferenza come unico elemento per riempire il vuoto che un’epoca di spettacoli e show televisivi continua a scavare.

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Da leggere! se non altro per gli spunti riflessivi che rimandano alla società in cui viviamo.
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    20 Luglio, 2011
Top 500 Opinionisti  -  

Tra moglie e marito...

Donne, pensate di conoscere vostro marito come le vostre tasche?
Non possedete ancora un marito ma nutrite la piena convinzione che quando ve ne procurerete uno riuscirete a rivoltarlo come fosse un calzino? Niente di più sbagliato, mie care!
Potrebbe accadere pure a voi di rinvenire nella giacca del consorte un bigliettino scritto col rossetto e firmato “Tua”. Potrebbe allo stesso modo accadervi di seguirlo nella notte e scorgerlo spintonare mortalmente la fatidica amante in seguito ad un’accesa discussione. E va bene, voi lo avreste puntato con un kalashnikov dalla finestra ancora prima di seguirlo, ma Inès è una donna vecchio stampo, rimodernata quel giusto che basta per farla desistere dall’intaccare la sua tranquilla esistenza di casalinga e disposta a tutto pur di salvaguardare il suo ventennale matrimonio diventato un lago calmo ma sicuro.
E poi, che sarà mai una scappatella a fronte di tutta una vita insieme e di una famiglia assolutamente perfetta? Può capitare, no? Allora, tocca proteggerlo il suo Ernesto. Bisogna osservarlo con occhio di blanda tenerezza e procurargli un alibi che lo salvi dalle sue ingenuità di amante e da ogni possibile coinvolgimento con la morte della sgualdrina.

Ma non tutto è sempre quello che sembra. Così come non sempre un giallo, che apparentemente ha trovato immediata soluzione, è stato effettivamente svelato come si vuol far credere.

Con uno stile oltremodo semplice, una trama lineare ad effetto e senza mai abbandonare un tono ironico e nel contempo amaro, quasi insolito per uno psico-thriller, Claudia Piñeiro ci conduce dietro le quinte di una comune e perfetta famiglia borghese, dove una moglie non è mai riuscita a conoscere realmente il marito, e chissà … magari il marito ha sempre infaustamente sottovalutato la moglie!

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Gialli, Thriller, Horror
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    03 Luglio, 2011
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The parody of the romantic vampire

E finalmente ho capito il perché!
Il perché, di quello slogan accattivante che una mente eccelsa e veritiera ha pensato bene di piazzare in copertina: “Ecco in Italia il primo capitolo della saga che ha rivoluzionato il fantasy”.
E che rivoluzione, cari amanti del genere, che innovazione, che sprint, che scarica di ormoni (scadenti!) , ma soprattutto, che risate! Sì, perché la saga va letta e gustata con la giusta chiava interpretativa, che non può non essere comica, ed inchinandosi alla Feehan che rimarrà nella storia come la madre di un nuovo genere letterario: the parody of the romantic vampire.
Pensavate, voi, che le parodie fossero più comuni nella cinematografia! E invece no, con “Il principe vampiro” diamo il via ad una nuova era letteraria del fantasy.

Ma veniamo al dunque:
Lei è Raven, un’americana bella, giusta e buona che si porta dietro il peso di saper leggere nel pensiero, talento che, considerata la sua immensa bontà, ha deciso di mettere a frutto nella ricerca dei serial killer. Così, dopo l’ennesima cattura, decide di andare a disintossicarsi la mente in un rifugio sui Carpazi, ma, non avendo granché da fare, intercetta Lui, Mikhail, il principe carpaziano, che proprio quella notte, dopo cinquecento anni di rotture e di buio, vuole farla finita. E siccome Lei non ha già abbastanza grattacapi con i serial killer, va più o meno così:
“Pronto, pronto… ma perché ti vuoi ammazzare? Ma la scia perdere, fidati, con la morte non è che risolvi…” . Il principe si innamora seduta stante! Effettivamente, valla a trovare un’altra che ti legge nel pensiero e ti fa risparmiare in telefonate ed sms. Quella stessa notte si fa una passeggiata fino al rifugio, si carica Raven sulle spalle senza troppe spiegazioni e se la porta a casa. Lei vorrebbe protestare, ma avendo visto il maschione che si trova davanti, bello come il sole, muscoloso come una montagna, “ormonato” al punto giusto, concorda con se stessa che solo per una notte può anche sorvolare, poi chi s’è visto s’è visto. Ma il fato incombe, ed il carpaziano, che altri non è se non il capo di un’intera stirpe di vampiri a cui un gruppo di fanatici sta dando la caccia, pensa bene di accorciare i tempi e di recitare, durante l’ “accoppiamento”, la formula magica che renderà Raven la sua compagna per l’eternità. Ovviamente, quando lei se ne renderà conto, si altererà un attimino: ma tranquilli, basterà che i due si sfiorino appena per risolvere ogni screzio col solito metodo: chissenefrega del dialogo, la carne è carne!
Seguiranno notti (tre o quattro?) in cui a turno i nostri eroi rischieranno di morire. Prima Mikhail messo “ko” da una fucilata a bruciapelo e poi subito dopo Raven, che sempre per quella sua ostinazione a non volersi trovare un hobby e in assenza del suo amore con cui intrattenersi in miglior maniera, se ne va in giro ad ascoltare i pensieri altrui e si imbatte, puta caso, in una carpaziana incinta che sta per partorire sotto terra e sui cui incombono gli assassini, tra i quali per altro ce n’è una che possiede a sua volta delle capacità telepatiche.
“Pronto, pronto… ma perché sei andata a partorire là sotto?... Senti, fai una cosa, smetti di gridare col pensiero che qui la cattivona che cerca di ucciderti ci sgama”. Ma la carpaziana è oltremodo sgomenta e succede l’irreparabile.
I sudditi carpaziani non permetteranno, tuttavia, che il loro re e la loro nuova regina periscano. Passeranno intere notti a squarciarsi e a nutrire di sangue benefico i poveretti in fin di vita, e quando non ci sarà altra soluzione che improvvisare una vera e propria trasfusione “umana”, con ago e tubicini, per Raven che non ne vuole sapere di bere direttamente dalle ferite aperte, neppure quella modalità “così primitiva e disgustosa” li fermerà dal salvare la ragazza.

Quale sarà il destino di Raven e Mikhail? Chi turberà ancora il loro unico “passatempo” che li mette sempre d’accordo? Leggete il libro e, tra un paio di improperi per averlo acquistato ed un mare di inevitabili risate, lo scoprirete.

Tornando sempre alla copertina dell’edizione italiana Vertigo, ed alla stessa mente eccelsa e veritiera di prima che, non contenta dell’infallibile slogan, ci ha messo, come si sul dire, “il carico”

“Dopo Bram Stoker e Anna Rice, è Christine Feehan la nuova regina dei vempiri. - Time -”

indignata e delusa posso solo rispondere: MA FATECI IL PIACERE!

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Leggetelo solo se siete intenzionati a farlo con il giusto spirito...
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Narrativa per ragazzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    26 Giugno, 2011
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Io, "traditrice" che son io...

E così, anche io l’ho letto. Io, dichiarata Anti-Potteriana. Io, che ho combattuto ardentemente nella fila della resistenza Uccidete-Harry-Potter. Io, che non ho mai perso l’occasione di fulminare con adeguate occhiate tutti quei maghi e maghette convinte, lì, nelle toilette affollate del multisala, ogni qual volta c’è stata l’uscita di una trasposizione cinematografica dei libri della saga. Io, che ho giurato fedeltà a tutti i principi della notte, belli o buoni, brutti o cattivi, moderni o "stokeriani". Ebbene, presa in un momento di debolezza, e con le difese "immunoletterarie" del tutto inesistenti, anche io mi sono apprestata a conoscere il Cenerentolo del secolo: Harry Potter, “il bambino che è sopravvissuto”.
È inutile dirvi che sotto c’è lo zampino di un Qutente. Uno a caso, provate a indovinare!... (Ciao Piero! Mi stai leggendo? Una saluto dalla recensione!)

Del primo volume, "La pietra filosofale", s’è discusso e ridiscusso parecchio. Ma forse il mio giudizio sarà utile a chi, come me, se n’è sempre tenuto ben alla larga. Or dunque, amici reticenti e che prediligete il mondo della notte, posso candidamente affermare che non è stata un’esperienza deludente. È scontato raccomandarvi che dovete essere pronti ad abbandonare il fascino e l’atmosfera dark-romantica delle ambientazioni vampiresche, specie se siete stati amanti di Twilight. Ma se, almeno all’inzio, siete disposti a metterci un pizzico di impegno, Hogwarts sarà pronto ad accogliervi come un mondo altrettanto misterioso e carismatico.

Parecchi sono i punti a favore della Rowling:
- La capacità non del tutto comune di Fantasticare con naturalezza. Ingrediente top di ogni fantasy, l’unico in grado di trasportare il lettore in un sogno del tutto reale, una favola in cui reali appaiono il gergo, i luoghi e persino le creature.
- La trama ben costruita e scorrevole, ricca tuttavia di dettagli in grado di catturare l’attenzione e di rendere la storia ricca e se vogliamo ancora più piacevole.
- Personaggi ben delineati, costruiti e indirizzati con cura verso uno specifico ruolo in modo che chi li assapora ci si possa immedesimare ed impari ad amarli/detestarli con l’intensità dovuta.
- La bravura di creare suspense e attesa nonostante la vicenda riguardi per il momento soltanto dei ragazzini di appena undici anni o giù di li.
- I contenuti non del tutto scontati, come il valore dell’amicizia, il coraggio di affrontare le proprie debolezze, la sapienza di saper aspettare e sperare nel meglio, la volontà di andare fino in fondo nelle cose, la caparbietà di saper individuare e scegliere, con tutte le difficoltà e i disinganni che comporta, il bene dal male.
- Non da ultimo, un velo di ironia che di frequente regala un sorriso di accondiscendenza e quella punta di frizzante che in un romanzo non guasta quasi mai.

Saranno forse questi alcuni dei motivi grazie ai quali, da quando ha visto luce sugli scaffali, Harry Potter non è stato e non può essere catalogato come un semplice ed esclusivo "romanzo per ragazzi".
L’obiettivo nei mie confronti è stato dunque centrato: in un momento di stress assoluto volevo viaggiare con la fantasia, rilassarmi e divertirmi, almeno per il tempo della lettura, e non posso negare di esserci riuscita.
Ovvio che il primo amore non si scorda mai e che il mio cuore torni a battere sempre per le creature del crepuscolo, ma… varrà sempre quel famoso detto:
“Prima di giudicare è sempre meglio provare”.

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Romanzi
 
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    24 Giugno, 2011
Top 500 Opinionisti  -  

Io scendo!

Non è una grande letteratura, quella della Ferrante. Neppure strabiliante per la particolarità dello stile o dei contenuti. Anzi, se vogliamo proprio essere sinceri, “passo dopo passo” ho trovato la sua narrativa eccessivamente smielata e a tratti patetica, quasi da fiction.
E dire che l’idea di partenza non era male: buttati così, senza troppo sapere, nella tragedia viva di questa ragazza che si presume stia per iniziare il suo quotidiano allenamento di jogging, stretta nella morsa dell’inverno, e che all’improvviso viene tramortita da due ombre fugaci, per poi perdere i sensi e risvegliarsi, ferita e bendata, in un posto angusto a lei sconosciuto, prigioniera di un carceriere tutto sommato niente male e neppure troppo cattivo.
Peccato che l’incantesimo del giallo svanisce quasi subito. Cosa sta succedendo a questa poveraccia che pare non abbia fatto male a nessuno ed il cui unico hobby nella vita è scribacchiare poesie per sentirsi un po’ meglio e prendere contatto con il mondo? Ovviamente, non ve lo posso dire. Ma state sereni, ci arriverete da soli tempo una trentina di pagine e sarete comunque disposti a proseguire sospinti dalla speranza che non sia come pensate.

Ah, se posso darvi un consiglio spassionato: sorvolate pure sulle poesie che la carcerata si ostina a riproporci da un quaderno che riempie durante la prigionia, fatta eccezione per un paio, valgono più o meno quanto la traballante trama e la vicenda inconsistente della protagonista stessa.

Insomma, mia cara Ferrante: volevi scrivere un giallo, un noir sfumato di rosa o una raccolta di poesie ed aforismi in contraddizione tra loro? Qualunque fosse la tua intenzione, sappi che non ti è riuscita affatto.

L’unico merito va ai “ringraziamenti”:

“La mia vita è un treno ogni giorno in partenza, ad ogni fermata qualcuno è salito, pochi sono scesi… Se sono una donna felice lo devo a coloro che nonostante la precarietà del viaggio hanno scelto di rimanere a bordo, condividendo inizialmente il brivido della velocità e successivamente la bellezza di quei paesaggi che solo rallentando si possono ammirare.”

E allora non volermene, Patrizia: Io Scendo!

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..."Nessuno si salva da solo" della Mazzantini e lo ha trovato particolarmente triste: potrà ricredersi!
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Scienze umane
 
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Stile 
 
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Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
3.0
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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    13 Giugno, 2011
Top 500 Opinionisti  -  

STICAZZI!

Alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non si sia trovato a curiosare in libreria tra gli scaffali dedicati ai vari manuali o opuscoli su come essere felici.
Ecco, voi tre giù in fondo non l’avete mai fatto: o siete troppo poco curiosi, come dice il mio capo, o siete così felici e "sornionamente" soddisfatti da complimentarmi con voi a gran voce. In entrambi i casi, potete continuare a leggere, non sia mai che vi possa interessare.
Dicevamo: forse nessuno ha veramente idea di quanta gente abbia scritto e pubblicato sull’argomento felicità. Esistono pile e pile di “Felictà in tasca”, “Vivere per essere felici”, “La felicità è qui”, “Trattato sulla felicità”, “I 400 motivi per essere felici” … Chi se la sorbirà mai tutta sta roba! Se così fosse, a quest’ora vivremmo tutti più sereni e meno complessati ed avremmo il poster di Morelli attaccato al portone di casa. (E Morelli, col dovuto rispetto, non è poi tutto sto gran figo!)
Invece, cari compagni di lettura e non, sosta in questo periodo, tra un’ammiccata di Epicuro ed una sana riflessione di Schopenhauer, un libricino all’apparenza di poco conto, intitolato: Il metodo Sticazzi. Dove per “Sticazzi” viene intesa l’espressione tipicamente romana, e diffusasi ormai a livello nazione, che ha come significato: “Non me ne importa nulla!”.
Ora, si potrebbe pensare ad una sorta di invadenza scurrile e fortemente “sproloquiosa” della lingua italiana, ma così non è. Perché l’autore, dopo un’attenta analisi semantica, semilogica e
socio-semiotica del termine, ci dimostra come linguisticamente la base sia entrata a far parte di un ampio spettro di significati e di significanti e di come l’espressione sticazzi “sia destinata ad illuminare il sentiero dell’umanità” per le implicazioni filosofihe che essa desta.
“Non sono poche le ragioni per le quali vale la pena votarsi alla Via dello sticazzismo. Il metodo insegna a non prendere sé stessi né il prossimo troppo sul serio, ed a semplifica operazioni razionali o emotive che comportano spesso inutili sofferenze all’individuo che se ne fa carico”. Il tutto applicato ovviamente ai piccoli e superflui conflitti quotidiani, non di certo ai valori, agli ideali, ai principi di base ed alle ambizioni di ciascun individuo e dell’umanità tutta (l’autore stesso lo puntualizza più e più volte!).
Ma per il resto, ecco che ci vengono offerti gli esempi degli sticazzisti più illustri: da Giulio Caio Cesare il quale oltrepassando, nel 49 a.c., il Varco del Rubicone dava il via alla seconda guerra civile contro Pompeo e pronunciava le frase: “Alea iacta est” ovvero “Il dado è tratto” ovvero “Ormai, sticazzi!”; al Virgilio di Dante che, alla vista degli ignavi, all’inizio del suo viaggio infero, diceva al Maestro turbato: “Non ragioniamo di loro, ma guarda e passa” ovvero “Vabbè..la cosa è lunga. Sticazzi, andiamo avanti!”; a Rossella O’Hara, che, in tutto il suo positivismo, rimandava sempre i crucci al giorno dopo: “Non ci voglio pensare adesso, ci penserò domani. Domani è un altro giorno” ovvero “Per oggi, sticazzi! Domani si vedrà”.
Vengono poi elencate le varie modalità di:
- come applicare il metodo (al fine di debellare il tartassamento nocivo e superfluo dei media, per vivere meglio il traffico urbano, per difendersi dai vicini di casa che ci opprimono, per sopravvivere ai mezzi pubblici, contro gli spacconi e cosi via);
- come riconoscere i nemici del metodo (l’invidia, la permalosità, i colleghi Stakanov, la madre apprensiva etc. etc)
- come abbracciarne invece gli amici (Bob Marley, il modo d’essere del gatto, il barista di fiducia, la figura del bidello etc. etc.).
Insomma, l’insegnamento dello sticazzismo è un invito ad esserCi amici, a riscoprire il sorriso dell’osservare noi stessi e gli altri e a non rendere delle tragedie quelle che effettivamente non lo sono. E bisogna ammettere che ai nostri tempi e con lo stile di vita terribilmente stressante che conduciamo, non sarebbe poi male applicarlo, fosse anche in minima parte. In fondo la felicità (o l’infelicità!) viene anche dalle piccole cose, quelle che sono in grado di regalarci una giornata in cui avremo sorriso un po’ di più.

Non vi è piaciuta la recensione? L’avete trovata prolissa ed inutile? Non avete minimamente intenzione di interessarvi alla questione né tanto meno di comprare il libro?
Beh, che dirvi?
STICAZZI!
Io sono felice di avervene parlato.

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Consigliato a chi ha letto...
più che altro a chi ha voglia di un sorriso in più ;))
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