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Fantasy
 
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Tuc Opinione inserita da Tuc    16 Gennaio, 2011
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L'orgoglio uccise l'eroe

Da alcuni anni abbiamo imparato ad apprezzare ,grazie al successo mondiale dei film di Peter Jackson, la produzione letteraria di quell'originale scrittore che fu J.R.R. Tolkien, oggi la Bompiani ci offre la possibilità di completare la conoscenza di quest'autore grazie alla pubblicazione dei suoi scritti accademici.Tolkien fu un professore di Oxford molto apprezzato come glottologo e filologo, la sua passione per le lingue antiche traspare nettamente anche nei suoi romanzi fantasy dove , come sanno i suoi lettori, non disdegna di inventare di sana pianta linguaggi nuovi (lingua elfica, lingua di Mordor etc etc), nel "Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm" lo scrittore britannico analizza , in modo originale , un antico testo medievale scritto in Old English conosciuto come "La Battaglia di Maldon".
In breve nell'antico componimento si parla della tragica battaglia che ebbe luogo il 10 Agosto del 991 d.C. presso il villaggio di Maldon vicino all'estuario del fiume Pante nell'Essex. Le armate del Conte Beorhtnot e quelle dei Vichinghi invasori si affrontarono. Gli anglosassoni controllavano il ponte e avrebbero potuto resistere se il Conte , sollecitato furbamente dai nemici a dimostrare la sua nota cavalleria concedendo loro di passare il guado in modo da combattere entrambi in campo aperto, non avesse decretato con quest'atto di "ottusa" cavalleria la sconfitta degli inglesi che erano in numero inferiore. Dunque Tolkien nel suo scritto immagina che due personaggi Totta, un menestrello, e Tida, contadino sopravvissuto a mille battaglie, siano stati incaricati dai monaci del convento di Ely di recuperare il cadavere del Conte.
Totta e Tida sul loro carretto giungono presso l'estuario, recuperano il corpo straziato del nobile,la sua spada ma non la sua testa perduta per sempre nelle acque limacciose. Sulla strada del ritorno si imbatteranno in alcuni sciacalli, luridi codardi inglesi fuggiti di fronte ai vichinghi, saccheggiatori di cadaveri, a loro faranno saggiare ancora una volta la lama della spada del conte e poi tutti e due nella foschia, guidati dal lugubre canto dei monaci, torneranno a casa.
Questi due episodi di guerra sono bellissimi, rieccheggiano nelle parole dell'antico componimento le battaglie che poi si leggeranno nel Signore degli anelli, così come i discorsi e i bisticci fra Totta e Tida ricordano quelli tra Frodo e Sam o Frodo e Gollum, mentre Beorhtnot sembra un Beowulf più nobile e meno guascone.
Il testo oltre ai due scritti è arricchito da due piccoli saggi il primo di Wu Ming 4 , che per me è una garanzia e del Professor Tom Shippey uno dei maggiori esperti di Tolkien.



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Saggi sui classici di letteratura inglese antica, mitologia nordica.
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Tuc Opinione inserita da Tuc    29 Dicembre, 2010
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Sperare è possibile solo se si spera per tutti

Le parole e i racconti di Enzo Bianchi riescono, come dicevano i latini, a "re ligàre",a parlare di ciò che unisce gli uomini,di ciò che ci rende umani:la religione. La Bibbia e il Vangelo sono il fondamento dei suoi discorsi che nella narrazione si "incarnano" nel presente, nella vita di tutti i giorni. Mi ha colpito, fra i tanti, il racconto dell'incontro fortuito con un viticoltore. Enzo Bianchi era raccolto in preghiera in una chiesetta e il canto ritmato delle forbici da potatura di un vecchio contadino aveva attirato la sua attenzione. Bianchi, uscito dal suo angolo di preghiera, si era avvicinato al vecchio e aveva cominciato a discorrere amabilmente con lui di vino e vitigni, della terra e dei suoi frutti. Il contadino ,finita la potatura, lo aveva invitato in casa e gli aveva offerto un bicchiere di vino. A fine serata Enzo Bianchi per ringraziarlo gli aveva regalato un Vangelo. Il vecchio accettando il dono aveva confessato al monaco che aveva solo la quinta elementare,nella sua vita aveva letto solo i segni del tempo che cambia e della terra che chiede cura, temeva di non esserne degno. Qualche tempo dopo Enzo Bianchi, Priore della Comunità Monastica di Bose, tornò a trovare il vecchio contadino che lo accolse a braccia aperte e gli disse:"Sai ho letto quel tuo libretto, disse proprio così, e ci ho travato una parola buona anche per la mia vita. Ci son dentro tante cose che fan parte del mio vivere: quelle che mi fanno soffrire e quelle che a volte mi rallegrano... Dopo averlo letto uscendo in campagna mi accorgevo di guardare in modo diverso gli alberi su cui fanno il nido gli uccelli, il fico che mette le gemme poco prima del caldo e annuncia l'estate, ma che a volte senza motivo apparente secca.

Ho scoperto che Dio pota come me, fa la vigna come la faccio io e una volta mentre offrivo il solito bicchiere di vino ad un amico ho pensato che anche Gesù aveva fatto la stessa cosa. Del resto se esco di casa incontro quelli che incontrava Gesù: nella cascina qui sotto c'è un bambino paralitico; più in là la moglie di un amico che dà di testa e fa impazzire tutta la famiglia, in paese c'è una donna che fa la vita...Che strano nella mia vita non è cambiato nulla eppure nella testa ho l'impressione che il tuo Gesù sia vissuto come è toccato a me , a noi. Questo mi fa piacere.Sai cosa ti dico: "Il Vangelo mi ha letto la vita...Quel contadino monferrino aveva capito quello che millenni prima ci dicevano i Sapienti d'Israele: si deve leggere la Bibbia come un libro che ci legge la vita.
Capitoli brevi, linguaggio chiaro,testo scorrevole, contenuti accattivanti.

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Il pane di ieri sempre di Bianchi
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Tuc Opinione inserita da Tuc    29 Dicembre, 2010
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Era mio padre

Hallervorden-Spatz, che cos'è? E' una di quelle malattie che quando te le diagnosticano, provi la stessa sensazione del condannato davanti al plotone d'esecuzione. Quando il medico pronuncia quei due cognomi tedeschi pensi "ecco,ha detto:fuocooo!",ed una mitragliata ti falcia il corpo.I dottori Hallervorden e Spatz individuarono questa sindrome neuro degenerativa fra alcuni "pazienti" nei campi di concentramento, in effetti è una specie di fottuto nazista che stà acquattato nel tuo cervello, può stare buono buono per anni, ma quando decide di venire allo scoperto ti rimangono solo dieci anni della peggior vita da trascorrere su questa terra.
Gretel ,la ragazza protagonista di questo romanzo, è una di quelle bionde con gli occhi celesti che sogni da bambino di andare a prendere col tuo cavallo bianco, un giorno gli diagnosticano la sindrome di Hallervorden-Spatz , anzi gli dicono che in Europa è l'unica insieme ad una ragazzo olandese Willem Karstens ad averla: quando si dice la "fortuna"! Allora Gretel decide di partire, di andare ad Amsterdam da Willem, quasi che la condivisione del male potesse darle un po' di sollievo, ma questo viaggio si rivelerà infruttuoso. Quindi decide di partire per il Santuario di San Biagio a Maratea, lì le amiche le hanno detto che dalle roccie fuoriesce una manna miracolosa, lì c'è una statua gigantesca di Cristo, sembra quella del Gesù brasiliano di Rio de janeiro, in quell'abbraccio di pietra crede possa succedere qualcosa di grande. Gretel decide di partire, all'università ha studiato antropologia, sa che gli indios prima di partire per un viaggio terapeutico scelgono un compagno, anzi Il Compagno, infatti è colui che si sceglie che potrebbe diventare la vera medicina al nostro dolore. Gretel decide così di proporre il viaggio al padre che non ha mai conosciuto. Un vecchio rapinatore di banche, un Vallanzasca in salsa piemontese che lei sa che di li a qualche giorno uscirà di prigione dopo trent'anni trascorsi dentro per aver assassinato due poliziotti: Ulisse Bernardini,la canaglia che sedusse e abbandonò quella illusa di sua madre vent'anni prima.Davide Ferrario ci descrive questo viaggio con parole toccanti,un linguaggio chiaro e narrazione lineare.

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Caos Calmo di Veronesi,Io e Te di Ammaniti
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