Opinione scritta da Frans
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Ti piace vincere facile?
Se la biblioteca dei morti mi aveva annoiato (a morte appunto), questa seconda parte mi ha dato la conferma che questo self-made-man ha scelto di farsi nel modo più facile possibile.
La filosofia del fast food applicata alla scrittura.
Come fare a vendere se ci sono poche idee, capacità narrative non troppo spiccate, poco tempo e poca voglia di approfondire i temi trattati?
Basta attingere dalle uscite cinematografiche degli ultimi anni, mettere un po’ di sesso a vanvera, la caccia al tesoro e l’apocalisse.
Il protagonista (di cui ho già dimenticato il nome) stavolta è in pensione, sposato con prole. Ma cosa succede? Di nuovo un libro di morti, che fortuna ha voluto si fosse perso nei meandri della storia, in un percorso parallelo che ha permesso alla trama di procedere.
Il machissimo ex agente FBI, in crisi di astinenza da adrenalina ed in piena confusione esistenziale, si getta a capofitto in questa avventura, molla moglie e figlio e se ne va in Inghilterra.
Primo: per economizzare su ambientazioni (e faticose spiegazioni) lo scrittore sceglie di utilizzare come quasi unico set, una antica villa. Ma c’è un però.
In questa villa il machissimo incontra la biondissima nipote del proprietario, la quale (che originalità) è: figa, giovane, facile, e con poche pretese. Ovviamente è anche integerrima: capace di tradurre il latino e il francese a prima lettura. Dunque assolutamente utilizzabile a servizio della trama.
Per quanto sia del tutto carente di verosimiglianza.
Secondo: da questa villa iniziano a saltar fuori indizi che provengono dal passato, da personaggi come Shakespeare, Giovanni Calvino e perché no, Nostradamus. Ed è spiacevolissimo vedere come questi personaggi storici vengono disturbati a servizio di una storia scontata e banale.
Inutile a dirsi, le poche parole spese per approfondire non bastano a legittimare comparsate tanto illustri.
Terzo: I due, protagonista e avvenente ragazza coprotagonista, iniziano una caccia al tesoro intervallata da piccanti situazioni fedifraghe.
Sebbene il macho, per coerenza con il primo libro e per sopraggiunta terza età, dovrebbe aver dimesso le vesti del tombeur de femmes. Cooper ci prova a tratteggiarlo come dilaniato dal rimorso, ma, pover’uomo, il tentativo è blando.
E soprattutto è un forzato epilogo a togliere il protagonista dall’impiccio. Tanto opportuno quanto insopportabile.
Tolto dall’imbarazzo, riconciliarsi con la dolce metà diventa facile, e l’omissione della scappatella è quasi d’obbligo
E poi, finalmente, l’apocalisse. Che tutti dobbiamo morire questo già si sapeva. Ma almeno divertirsi un po’ nel frattempo sarebbe gran cosa
Quello che ho trovato insopportabile in questo libro è come tutto venga abbozzato, utilizzato, collocato solo per costruire una trama che possa in qualche modo agganciare il lettore.
Mi viene da dire che facili conquiste portano poche soddisfazioni
Ma credo che Cooper, con gli incassi delle vendite la penserà in modo diverso
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La biblioteca delle fini svelate
Difficilmente lo avrei mai comprato. Poi mi è stato regalato il secondo di Cooper (il libro delle anime), e vuoi non partire dall’inizio e comprare anche il primo?
Per dovere di trama e per non rovinare a priori le potenzialità di un libro (perché una possibilità si concede a tutti) io ci ho messo tutte le buone intenzioni.
Peccato che a pagina 13 si capisce chiaramente chi sta dietro le misteriose spedizioni.
Con un finale svelato fin dall’inizio ho proseguito nella lettura, confidando in una trama degna di attenzioni.
Ma mi sono trovata a leggere una storia fatta di luoghi comuni, ambientazioni cinematografiche (nel senso peggiore del termine), e fastidiosissimi tagli alla narrazione a servizio di flash back costruiti in modo grossolano e approssimativo.
Inoltre la trama giallo/thriller non regge: troppo scontata e prevedibile.
Cooper ce la mette proprio tutta, anche se sarebbe più preciso dire che ci mette dentro proprio di tutto:
L’FBI, l’agente scapestrato ma bravissimo, l’omicidio seriale, il complotto internazionale postbellico, passando per il medioevo, un mistero in convento, una ricerca archeologica alla Indiana Jones per arrivare all’area 51. E, quasi dimenticavo, l'immancabile storia d'amore.
Se ci avesse messo riferimenti a Leonardo, i Templari e i gli Illuminati, avrebbe abbracciato tutti i soggetti che negli ultimi anni hanno sbancato i botteghini.
Cooper ha due difetti:
il primo quello di sparare nel mucchio sperando di conquistare più lettori possibili;
il secondo quello di aver scritto un libro che sembra la trasposizione su carta di un film già visto (e per certi versi diretto anche male).
Probabilmente è penalizzato dall’ esperienza maturata come sceneggiatore.
Ma non per questo doveva necessariamente mettersi a scrivere romanzi.
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Architettura di un romanzo
Ken Follett, come un bravo architetto, sa come costruire un opera che sia affascinante, grandiosa, ma anche solida e duratura
Gli elementi devono essere perfettamente allineati, ogni vicenda deve procedere coerentemente; il peso ben distribuito su nervature portanti ben ancorate alla realtà storica. La struttura alleggerita da varchi di luce, l’amore ostacolato, gli affetti familiari, le ingiustizie, la vendetta. Storie di deboli e prepotenti, di giusti e non.
Il romanzo affascina e conquista fin dall’inizio, senza subire cali nel corso delle pagine. Che per fortuna sono molte, quante bastano a lasciare il lettore pienamente soddisfatto, senza questioni in sospeso, e senza la delusione delle storie chiuse troppo in fretta
E lo scrittore fa bene il suo lavoro: si va un po’ indietro e avanti nel tempo, ma i piani temporali sono collegati perfettamente, non ci sono gli strappi alla narrazione che ho visto in alcuni scrittori (uno in particolare che sto leggendo ora); molti personaggi e molti i punti di vista che rendono la storia movimentata, avvincente.
La storia, ambientata nel medioevo, nel XII secolo, vede diversi protagonisti le cui vicende si intrecciano intorno alla costruzione della cattedrale di Kingsbridge. E non vado oltre perché sarebbe impossibile raccontarla per intero.
Forse lo stile è un po’ piatto, c’era spazio per utilizzare una scrittura più emozionante. E' invece un linguaggio un po’ asciutto e pragmatico, e a volte Follett scrive più per dire che per emozionare.
Ma devo comunque dire che era da molto che non leggevo un romanzo così bello
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Niente sconti per nessuno
Ho finito di leggerlo da un po’, e la parola ‘sconvolgente’ è ad oggi quella che più mi viene in mente quando mi riferisco a “Venuto al Mondo” di Margaret Mazzantini.
Sconvolgente è vedere una guerra attraverso la penna diretta e spietata di Margaret Mazzantini.
Così è stato, così la realtà viene raccontata.
Evitando accuratamente i pietosismi superflui Margaret Mazzantini da prova di se in questa opera, con un linguaggio che ormai ha carattere distintivo, e che non lascia spazio a fraintendimenti o edulcorazioni.
La storia parla di un uomo e una donna, due anime che si incontrano nella Sarajevo degli anni 80. Dall’amore tra i due si passa alla ricerca di un figlio, e qui, con sensibilità ed espressione superba, Margaret Mazzantini da voce al dramma della ricerca disperata di una maternità. La storia scivola gradualmente in territorio bellico, le scene si fanno crude, lo stomaco si stringe su determinati passi, l’orrore prende spazio e tocca tutti i personaggi: storie e raltà sono abilmente tratteggiate tanto da familiarizzare con il lettore che li sente vicini, parenti, fratelli, nei quali a volte si identifica.
Perché in fondo sono persone reali, sono esistite, magari sotto diverso nome, ma ciò che è certo è che la realtà è la vena da cui Margaret Mazzantini attinge.
E tutti perdono
Nessuno escluso.
Rimane l’amore per un figlio, l’amore più grande che possa mai esistere.
Un romanzo difficile da leggere per certi aspetti, ma una storia che difficilmente si dimentica.
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Esercizio schizofrenico
La trama si snoda attorno alle vicende di tre famiglie,di tre etnie differenti, che compaiono in momenti differenti della vicenda.
Il libro però sembra diviso in due parti molto nette:
c'è un prima in cui si parla di Archie e Samal, delle loro radici, della loro storia, delle vicende (la guerra) che li ha fatti incontrare e diventare amici. Devo dire che ho faticato ad andare avanti raggiungere la fine di questa prima parte.
Zadie Smith sembra scrivere per se stessa più che per il lettore, molti sottintesi e discorsi iniziati e non finiti.
Poi si arriva al passato prossimo in cui i due incontrano quelle che saranno le rispettive mogli, e mettono su famiglia. Anche qui, ad un certo punto sembra che la moglie di Archie torni sui suoi passi, pensi di non essere così innamorata...ma la cosa non viene approfondita e viene archiviata.
Da qui si passa nella seconda parte, in cui la storia si fa un pò più avvincente, e la scrittura più piacevole: i protagonisti ora sono Magid e Millat, i figli di Samal, e Irie, figlia di Archie e figli crescono e la storia si concentra sulle loro vicende, amori, follie.
Viene tutto estremizzato, è estrema la scelta di Samal di dividere i figli, sono estreme le scelte (politiche ed intellettuali) dell'uno e dell'altro. E' estremo l'innamoramento di Irie, è estrema la sua rassegnazione rispetto a quello che gli altri si aspettano da lei.
La vicenda si intriga ancora un pò con l'ingresso in scena dei Chalfen, londinesi, lui scienziato manipolatore di geni, lei con istinti fedifraghi latenti, che si vorrebbe fare il giovane ed affascinante Millat, con la scusa di aiutarlo. Anche in questo caso rimangono molte cose in sospeso...
L'estremismo coinvolge anche uno dei devoti figli Chalfen, anche in questo caso c'entra un intrigo sentimentale che non si risolve in alcun modo, nel senso che non c'è un si, non c'è un no, non c'è un farsene una ragione, niente insomma.
La storia finisce con una forzata quadratura del cerchio, con lo sforzo, forse, di risolvere almeno una questione. Ma è una questione cui non è stato dato il giusto peso e che arrivati alle ultime pagine è quasi dimenticata.
E poi mi rimangono due domande:
1.perchè intitolare un romanzo Denti Bianchi? (i rimandi al titolo sono forzatissimi)
2.E che fine hanno fatto i veri Denti Bianchi di Clara?
Forse l’unica cosa che ho trovato molto interessante sono le conoscenze che la scrittrice mette a disposizione del lettore, su melting pot culturale in cui lei stessa è cresciuta, e che ripropone per i personaggi del romanzo.
E questa è l’unica ragione per cui non lo sconsiglio definitivamente.
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Opera Prima
Avendo letto questo libro dopo averne lette altri dell'autrice, usciti successivamente (Zorro, Non ti muovere) si rischia di rimanere delusi.
Ma il libro è ben scritto, Margaret Mazzantini dimostra fin da questo esordio letterario una cifra stilistica unica nel suo genere.
La storia in questo caso è autobiografica, la scrittura è più intima e concentrata sull'esperienza personale.
Come accade spesso nelle opere prime la scrittrice da voce alla propria esperienza, ma coinvolge anche il lettore che rimane comunque affascinato dal fatto che vengono messi su carta pensieri e sentimenti che di solito si preferisce tenere nascosti.
Il libro è chiuso sull’esperienza propria della perdita della nonna, ma la protagonista si apre mettendo in evidenza tutto il suo sentire, con un linguaggio a volte antico come i ricordi che evoca, a volte ruvido e diretto come quello dei sogni che rimangono nell’inconscio e che si fa fatica a ricordare.
Si narrano le vicende di una famiglia ma ad una voce, la voce di questa nipote legata alla nonna con sentimenti che spesso contrastano. E il catino di zinco è un elemento che compare in diverse fasi della storia, simbolo che caratterizza l’ambientazione per così dire domestica della vicenda, il luogo in cui si lavano via vecchie macchie.
La vita termina per una persona, e per chi rimane, continuare a parlare di chi non c’è più è un modo per sconfiggerne la morte. È una storia vecchia come il mondo questa, perché non si è mai pronti a lasciar andare qualcuno, si è sempre colti di sorpresa.
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Il vampiro "pettinato"
Ho letto la quadrilogia in pochissimo tempo.
Purtroppo non perché la storia sia interessante ma, al contrario, rincorrendo qualche paginetta in cui succeda qualcosa.
La trama, fatta di sporadiche prevedibili azioni, viene diluita in una brodaglia di banalità cosmiche, di piatti e noiosissimi stupori adolescenziali.
La ragazza, descritta taglia 40-sguardo timidomagnetico-chioma fluente-broncio accattivante, che si sente una cessa per agevolare il processo di identificazione con le lettrici tredicenni brufoli e pancetta, che hanno fatto la fortuna della Meyer.
Il vampiro, i cui caratteri non corrispondono alla figura condivisa dall’immaginario mitologico a cui si vorrebbe rifare, è un tenero cattivone, che si fa sempre più zerbino con il procedere della saga.
Pericoloso solo per definizione, quel tanto da dare un pudico brivido alla tredicenne lettrice di cui sopra. La Bella di nome e di fatto e il Vampiro “pettinato” che non morde, non uccide, non si fa nessuna.
La Meyer, religione mormona, sembra voler fare proseliti tra i “ggiòòvani”, proponendo loro lo sballo della castità, l’adrenalina della bontà, l’anticonformismo della purezza di intenzioni, camuffandola da storia indie-alternativa, dove una ragazza sfida la morte per amore.
La morte però esiste solo per i cattivi (cattivissimi), l’amore, platonico e fatto di sospiri e contemplazioni reciproche, al 4°libro comincia a dare il voltastomaco.
C’erano tutte le premesse per mollare lì la storia dopo le prime 50 pagine, ma si è innescato un processo masochistico forse per espiare i miei peccati terreni (tanto aborriti e solo vagamente citati dalla Meyer), per cui ho voluto vedere dove andava a finire.
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Anacronistica zietta
Esce negli anni '50 ma sulla storia non si notano i segni del tempo.
La comicità vive di epoche, a volte perde brillantezza con il tempo. Forse questo capita quando ricalca stereotipi e canovacci tipici del momento presente.
Ma non è questo il caso. Zia Mame brucia le tappe, è un personaggio anticonvenzionale e dissacrante anche oggi.
Senza mai sconfinare nel pacchiano o nel volgare, Patrick Dennis, uno degli pseudonimi utilizzati dallo scrittore che fu anche Virginia Rowans, racconta la storia e utilizza uno stile per cui l'impressione che si ha inizialmente è quella di trovarsi di fronte un racconto autobiografico.
Una strategia che colpisce la curiosità e aggancia il lettore.
Andando avanti la sensazione si sfibra un po’, e la storia si dimostra per quello che è: pura invenzione.
Lettura leggera, divertente, piacevole
L’ho letto da poco, non posso dunque valutare se supera la prova del tempo: la persistenza nella memoria di chi legge.
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L’uomo senza odore, l’uomo senza amore
L’ho letto da poco, purtroppo dopo aver visto il film. Ma nonostante tutto le immagini descritte dal libro hanno sostituito del tutto quelle del film.
Il protagonista è uno di quei personaggi che sono destinati a rimanere vivi nella storia della letteratura. Il lettore può dimenticare nel tempo le vicende del romanzo, ma il ricordo di Grenouille rimane impresso nella memoria come se fosse vero.
Caratterizzato in modo egregio, con una psicologia per nulla facile da concepire e descrivere, è una figura di rara intensità e di indubbio fascino.
La storia inizia con l’immagine di questo piccolo dall’infanzia difficile, ma Suskind scoraggia da subito il lettore dai facili pietosismi.
Grenouille ha un solo senso con cui si muove nel mondo, ma soprattutto l’unico che deve soddisfare per vivere. E’ guidato dall’istinto, è un predatore e va avanti seguendo il bisogno di rapire l’odore di tutto ciò che vuole esista e persista per lui.
Così anche dell’amore non sa che farne, se non respirarne e conservarne l’odore
Un personaggio per certi versi tragico, la sua ricerca lo porterà a diventare un essere superiore a tutti gli uomini, e ad avere in mano il potere più grande. Ma rimarrà comunque invisibile agli uomini e questa sarà la sua tragedia più grande.
Uno dei migliori libri che ho letto
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Povere donne
L’ho letto ormai da un po’ di tempo, mi rimane il ricordo di un romanzo storico sicuramente interessante. Bello poter entrare nella Barcellona di quel periodo, aiutati dalle descrizioni necessariamente dettagliate, mai troppo noiose. La storia è avvincente, i protagonisti sono quasi eroicizzati per il loro forte senso morale, che rimane sempre saldo in ogni situazione.
Tutt’intorno è il Medioevo, uccisioni, barbarie, prepotenze ed inquisizione.
E siamo ancora una volta di fronte ad uno scrittore a cui piace descrivere con troppo compiacimento, violenze gratuite su tutte le malcapitate donne, protagoniste e non.
Violenze da cui non c’è mai riscatto, riproposte con un accanimento a mio parere superfluo.
Scene a cui uno scrittore cede perché assicura l’attenzione di una buona fetta di lettori.
Sinceramente mi ha infastidito molto e ha sicuramente rovinato un romanzo che poteva lasciarmi un ricordo migliore.
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Quei Cattivi montanari
Forse l’errore che ho commesso acquistando questo libro e stato nelle aspettative che mi sono fatta
Adoro la montagna, apprezzo la scrittura italiana, locale, di provincia. Amo le favole nere. E mi aspettavo qualcosa di diverso.
Si chiama “Storia di Neve” ma sembra piuttosto la storia di quel cattivo di suo padre e degli abitanti di Erto, ognuno con la sua storia personale, nella maggior parte dei casi fatta di sangue e malefatte Neve, quasi una santa destinata ad elevare un paese teatro delle più turpi bassezze, rimane a far da sfondo, diventando solo il pretesto da cui si dipana la trama. Finito di leggerlo sono rimasta con la sensazione di non conoscerla affatto, si entra poco nella sua testa.
D’altra parte l’attenzione è catturata: la pietas umana è ad un livello così basso che porre fine ad una vita non basta. Diventa necessario torturarla, violarla, sbranarla, scioglierla, cuocerla. Visto con gli occhi di Corona Erto è un paese in cui ogni uomo è carnefice, ogni donna è una inevitabile vittima, dove anche i fantasmi sono vendicativi. E la vendetta viene servita sempre, sia fredda che calda. Con morbosità Corona si compiace, anche troppo, della violenza ricercata e ripetuta. Questi montanari si strappano la vita a vicenda.
Solo di fronte alla natura la cattiveria degli ertani si ferma: nessuno osi tagliare un albero se non è necessario. E’ una valida ragione per far fuori chi viene sorpreso a farlo
Come i suoi personaggi Corona dedica uno sguardo benevolo solo ai luoghi in cui è inserita la storia. Descrive la natura del paesaggio con tratti appassionati, ci fa vedere i suoi colori che cambiano, ci pare di sentire i rumori dell’operosità dei boscaioli, degli intagliatori. E si capisce che da alpinista e scultore ci mette tutto se stesso.
Non è stata una delle mie migliori letture ma non lo sconsiglio perché Corona è un ottimo scrittore, leggendo non ho avuto nessun deja-vu, il suo stile è unico. Il linguaggio immaginifico caratterizzato dai dialettismi locali, aspro e diretto come le immagini che evoca, come i suoi personaggi e le sue ambientazioni. In “Storia di Neve” Mauro corona è scritto sulla copertina, come autore. Ma in realtà è un abitante di Erto, e uno dei protagonisti della storia.
Però che cattivi.
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