Opinione scritta da Frax90
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La vita e l'esistenza
“Noi,i ragazzi dello zoo di Berlino”,simboleggia la prima ed anacronistica opera-documentario che carpisce il lettore e lo immerge nel mondo della tossicodipendenza(in particolare quella minorile) e dei suoi devastanti effetti consequenziali.
Nella Germania degli anni ‘70(così come nel resto d’Europa),parlare di eroina,di bucomani e di prostituzione finalizzata al procacciarsi la “dose giornaliera”, era quasi scandalistico ed intollerabile,siccome ogni persona teneva,nei confronti della tematica,una posizione di palese bugia mista a mera accettazione. Christiane F.,fornendoci il suo racconto-verità,ha dilatato le palpebre e le coscienze collettive di milioni d’individui, riguardo ad una delle piaghe peggiori che stava(e tuttora ha)invaso come un’ infezione pestilenziale la società Europea e mondiale.
Personalmente porrei il “Focus”del lettore non tanto sulla droga in se stessa(che rappresenta soltanto l’ultima spiaggia materiale di una situazione psicologica e vitale disgregata se non polverizzata),piuttosto sulle arzigogolate vicissitudini che hanno portato l’essere umano(il minore nel caso in questione)a farne uso. Alle spalle della tristemente celebre “polvere bianca”,si trova un universo di solitudine ed abbandono,di contesto famigliare distrutto,di depauperamento economico-lavorativo e sovente di abusi sessuali . “La dose” rappresenta,come abilmente descrive Christiane, lo strumento dell’evasione dal plumbeo e scolorito mondo che attornia il ragazzo/a,il catalizzatore dell’emozioni sulla pelle, senza il quale il soggetto non riesce più a manifestarsi,esprimersi e provare qualsiasi forma di empatia e collimazione con le altrui situazioni vitalizie.
Con l’amara spirale dell’eroina la vita evapora celermente ed il tossicodipendente si limita ad “esistere” semplicisticamente come presenza fisica in una realtà troppo stretta,soffocante,, che non gli si addice più, che gli scivola via come un turbine di foglie autunnali .Paradossalmente l’unica via per riprendere a “ vivere a colori”(nell’opinione del drogato) è farsi una dose:il cielo si ricolora di azzurro e di blu, le strade riassumono i tratti tradizionali ed il vento ricomincia a punzecchiargli finemente le guance,tuttavia è solo questione d’attimi effimeri prima che ritorni la nera oscurità dell’oblio.
Christiane,come del resto tutti i bucomani suoi coetanei, è denudata di fronte ai suoi ormai patologici “bisogni”,tant’è vero che nella sezione conclusiva dell’opera smette persino di mentirsi,come pedissequamente faceva ogni singolo giorno,sulle atrocità ed umiliazioni che la droga l’aveva costretta a compiere: si trovava in una situazione di completa e totale accettazione;gradino antecedente l’arresa.
Nonostante ciò, il “romanzo”(se così mi permettete di chiamarlo),si conclude positivamente, dimostrando in modo lapalissiano come sia facile cadere nella suadente spirale della droga,ma anche come sia possibile uscirne grazie alla propria e all’altrui forza di volontà, e come l’eroinomane possa reinserirsi nella società ed in una condizione esistenziale che potremmo definire tranquillamente VITA.
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Lo stiletto di Follett
Ultimo romanzo di Follett che mi sono apprestato a leggere(più per carenza di disponibilità letterarie sostitutive pronte all’uso che curiosità mia personale), “La cruna dell’ago”si presenta al lettore come un’avvincente e sfrenata “spy-story”,ovviamente a sfondo storico. Usufruisco dell’avverbio “ovviamente” siccome Follett nella Storia ci sguazza nel vero senso della parola, dimostrando conoscenze e perizie cronologico – temporali notevoli. L’inserimento dei personaggi nelle oscure ed arzigogolate traversie della seconda Guerra Mondiale è pressoché perfetto: ad ogni azione collima raffinatamente una conseguenza ,ad ogni personaggio(protagonista o meno dell’opera) è collegata una personale ed assai complessa “carta d’identità”, che ci permette di riconoscerlo in ogni suo passo attraverso le linee del racconto, insomma ,alla base del manoscritto il lettore potrà facilmente evincere un rapporto sinallagmatico tra ogni cosa, soggetto ed avvenimento ,in modo tale che tutta l’opera sembri impostata sul terzo principio della termodinamica(azione e reazione).
Il ritmo della narrazione è incalzante e spinge anche il lettore più diffidente, a macinare pagine su pagine ,a travolgere capitoli su capitoli, facendo sì che il senso del tempo diventi solo un pallido,sfocato ed evanescente ricordo. Grazie a questa intemperante e sfrenata cadenza, a questa miscellanea di forme, colori ,suoni che vengono schizzati sul foglio dal pennello di un perspicace ma contemporaneamente folle artista , Follett, rende magistralmente il concetto di Guerra, che proprio nell’etimologia dell’alto tedesco antico (Werran) significa “mischia”.
Sicuramente il “Character” emblematico è Henry Faber(stando al suo truffaldino documento di riconoscimento),ovvero una spia tedesca al servizio di Hitler,soprannominato “Die Nadel”,l’ago,in virtù del mortifero stiletto con il quale uccide chiunque intralci i suoi piani e sfortunatamente “lo veda in faccia”.Veloce,bello,acuto e micidiale, questi sono i segni distintivi di Faber, il quale però ha sottovalutato(ingenuamente per uno del suo calibro)l’amore nei confronti di una donna,che lo porterà alla rovina. Tra battaglie, travestimenti,omicidi, occultamenti e sentimenti repressi e mal celati si apre il proscenio su uno degli aspetti meno celebri della Seconda Guerra Mondiale, lo spionaggio,che anche se contrassegnato da una scarsa “rinomanza”, ha emanato la sentenza del gigantesco conflitto mondiale.
Nonostante ciò ,il lavoro svolto non è strutturalmente e contenutisticamente paragonabile ai “Pilastri della Terra”(capolavoro di difficile possibilità di replica, che ci ha letteralmente acchiappati per la collottola e scaraventati nel medioevo più profondo ed intrigante ), tuttavia credo anche che il lettore,nel ghermire il libro dalla mensola polverosa in cui spero non si trovasse ad avvizzire, istintivamente non si aspettasse un’opera sesquipedale come i Pilastri, ma soltanto un libro che lo avvincesse,lo facesse leggermente sudare in presenza di situazioni di impasse imbarazzanti, lo coccolasse nelle uggiose giornate di pioggia(quando puntualmente il tempo si dilata a dismisura)e gli lasciasse una piccola sfumatura nell’animo,similarmente ad un colpo di un sottilissimo e tagliente stiletto.
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Storia o Fantasia?
Prodromo della celeberrima saga “Le cronache del ghiaccio e del fuoco”, “Il trono di spade”è la prima opera di George Martin in cui mi sono immerso.
Nonostante si tratti di una prolusione a un’ennalogia, si può, fin dagli albori, percepire un’anomala e inconsueta concezione di fantasy.
Aspettandomi elfi, draghi, orchi e una variegata pletora di creature nata dalla bizzarria narrativa dell’autore, sono rimasto squisitamente impressionato nel ritrovarmi catapultato in un universo dalle chiare tinte tardo-medioevali, così diverse e discinte balle trite e ordinarie banalità di cui l’attuale letteratura fantastica si sta stupidamente vanagloriando.
Complotti, intrighi di palazzo, truculenti assassinii sono l’ordine del giorno nel freddo mondo di Grande Inverno; ataviche casate si combattono una guerra belluina, accantonando ogni senso etico e morale, per impossessarsi del Trono di spade, ingombrato da un vecchio e opulento sovrano, macilenta ombra dell’uomo di un tempo passato.
Che si aprano quindi le danze su di un regno di duelli, giostre, crapulonici banchetti, subdole spie e ferali avvelenatori, figli bastardi, mandati al confino del dimenticatoio, matrimoni contrattati e stipulati al fine di rimpolpare gli scialacquati calmieri delle casate nobiliari e una buriana di vicissitudini che trasporteranno il lettore in un vortice di emozioni, fondendolo con la carta stampata e cancellandogli dalla memoria il senso della cronologia.
Il tocco d’inventiva c’è, ma è tenue e digradante, stemperato dalle tinte storiche, dure e ferruginose, che impongono la propria volontà, come un gladio ben maneggiato dal maestro lanista, e non lasciano campo ai classici stilemi del fantasy.
Personalmente consiglio la lettura di questo manoscritto, a chiunque ma soprattutto a chi voglia staccarsi dal comune senso di fantasia e avvicinarsi a un romanzo che non mi preoccuperei a definire storico sotto molti punti d’osservazione.
Agognando di non aver inconsapevolmente svelato eccessivi sintagmi della trama (ma comunque aver infiammato il senso della curiosità e del desiderio), auguro a tutti una buona lettura!
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"Lo vedi come sorride...?"
Uscito in Spagna nel maggio del 2006, ”La cattedrale del mare” rappresenta l’abbrivio d’esordio dell’avvocato Ildefonso Falcones.
Romanzo storico cospicuamente corposo nei contenuti (storici,legali e religiosi),esercita sicuramente un attrattiva per l’affamato ed esigente lettore di genere,inducendolo, senza timor alcuno ,a tuffarsi nell’opera. Parecchi, infatti, sono stati i “nuotatori letterari”, date le quasi 900.000 copie vendute soltanto nelle librerie spagnole, ancor prima dell’approdo in quelle italiane.
Tuttavia, nonostante il dirompente successo numerico conseguito così celermente, devo muovere una mia personale critica (credo sia proprio questo lo spirito della recensione) al manoscritto.
Stilisticamente parlando, il lavoro si presenta senza onte di sorta:grammatica impeccabile,narrazione lineare e scorrevole ed una conoscenza intrinseca che s’affaccia “ impertinente” in ogni nuovo paragrafo.
Allora ,qual è il tassello mancante?Dov’è che la pietra angolare scricchiola?
Il crepitio(che spero con ardente concupiscenza molti altri lettori puntigliosi e sfacciatamente pretenziosi abbiano notato) sta nell’assenza di…non saprei esattamente come definirlo,ammesso e non concesso che lo si possa fare…chiamiamolo convenzionalmente “sprint narrativo”;cioè quella capacità che lo scrittore riesce a trasfondere nella narrazione e che va a corroborare come un titanico mantice la smania intemperante del lettore a metabolizzare pagine ad una sbalorditiva velocità.
Sono sicuramente disarmato di fronte alla ciclopica contenutistica del lavoro,e ammiro Falcones per la nozionistica storica e legale che è riuscito ad infondere in “sole”630 pagine (ciò dimostra ,in modo lapalissiano, una lodevole capacità espositiva e sintattica);però,sovente, mi è parso di ritrovarmi catapultato nelle righe fredde ed asfittiche di un ordinario manuale di storia medievale o del diritto.
Ora vi chiedo,o lettori,ove sta la passione, la forza trascinate degli eventi testuali e narrativi,ove si trova quel fuoco fatuo che avvolge chi legge e lo trascina a tutta forza nella Spagna del 1300?
Personalmente, durante la lettura de “La cattedrale del mare”,a parte qualche rada e sporadica eccezione,non ho visto brividi di piacere sulla mia pelle;troppa staticità,nozionistica ,troppi cavilli commerciali , economici ,legali e coniugali,che appesantiscono il lettore e rendono la narrazione eccessivamente opulenta ,adornata di uno sfarzo culturale che arricchisce ma,al medesimo tempo, appesantisce ed annoia colui che ,cerca nel libro,un portale attraverso il quale evadere dalla plumbea ed ordinaria realtà quotidiana.
Muovo questa critica(che spero non vi risulti eccessivamente prolissa,altrimenti anch’io inconsapevolmente ho peccato di sfarzo)non per spingere chicchessia a non leggere attentamente l’opera,anzi ,per convincerlo,contrariamente a quanto può sembrare, a comprare il libro, leggerlo ed esprimere il suo personale giudizio,poiché dove sta il bello della lettura (e soprattutto dei portali letterari come Qlibri) se non nel confronto di opinioni?
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La collimazione di odio e amore.
Il thriller,come molti lettori potranno facilmente evincere da un rapido sguardo alla sezione Thriller/Horror di qualsiasi libreria più o meno cospicuamente guarnita, è un genere letterario a quasi esclusivo appannaggio dei mastodonti americani: sembra quasi impossibile sfuggire alle ombre proiettate da Thomas Harris ,Jeffry Deaver e Patricia Cornwell.
Nonostante “L’americanThriller” invada ogni scaffale di qualsiasi Bookshop,con gli anni duemila , si aggiunge uno spazio anche per un nome sconosciuto oltreoceano,Giorgio Faletti,che senza fatica si scrollerà di dosso la pesante opulenza del nuovo continente e celermente verrà definito dallo stesso Deaver : “Larger then life”,uno da leggenda.
Assumersi l’epiteto di scrittore epico sin dal primo romanzo,più che un onore si riflette come un gravoso onere sulla personalità scrittoria dell’autore,aumentando esponenzialmente il rischio di collasso letterario.
Così non è stato per Faletti,e d’altronde un’ “autorità”del calibro e della misurazione artistica di Deaver sbagliarsi non poteva.
Con l’opera in esaminando,ovvero “Io Uccido” ,al lettore si prostra una avvincente e non eccessivamente arzigogolata trama,ricca si suspense benzedrinica ,che metta il lettore in una condizione di accelerato metabolismo letterario,catabolizzatore di pagine ed emozioni.
Accingendomi ad immergermi nel manoscritto,senza la rivelazione intenzionale di dettagli che renderebbero esiziale la lettura da parte di chi non l’avesse ancora fatto,posso soltanto dire che reputo la narrazione magistrale,scorrevole e non eccessivamente ricca di punti morti. Degno di lode anche l’uso del “flashback”(ne si ha prova tangibile verso la conclusione del romanzo).Magistrale la scelta dell’assassino,non scontata ma nemmeno eccessivamente astrusa ed irraggiungibile da parte del lettore.
Sono molto curioso,invece , di conoscere i personaggi e le idee che hanno ispirato la creazione del protagonista,ovvero il detective Frank Ottobre. Uomo marmoreo e macilento dai troppi servigi prestati all’FBI,mi ricorda i grandi poliziotti rappresentativi dei telefilm anni 70/80,Kojack, Colombo e Nero Wolfe ,braccia dure della legge che non si piegano di fronte a niente e nessuno. Tuttavia il lettore potrà ampiamente scoprire che anche Il nostro stacanovista Frank ha un animo e può provare dei sentimenti aderenti all’umano,come tutti noi del resto.
Infine,ultimo tema su cui invito a riflettere i futuri acquirenti e lettori,è quello dell’amore. Certo parlare di amore in un thriller può sembrare ossimorico e privo di razionalità fondante; proprio per questo il concetto di affetto nell’opera ci viene presentato in modo del tutto non convenzionale :si uccide non per il piacere perverso ed insensato che viene evitto dall’atto in sé ,ma per strappare dalla sofferenza,dall’umiliazione,dalle perverse litanie che sono le giornate, tutte intrinseche di metodicità e tutte tristemente avvizzite. E allora perché uccidi?... “Per ridare un nuovo volto alla vita di chi si ama”.
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"Allora,cosa credete che sia questo?"
Personalmente parlando,leggendo “Lasciami entrare”, ci si trova di fronte ad un'opera atipica, che non presenta i “classici” surrogati post-moderni del vampiro diffusi a macchia d’olio da saghe come Twilight. La peculiarità fondante del romanzo credo si trovi nello straordinario binomio Oskar-Eli (i due indiscussi protagonisti dell’opera), e nel legame affettivo, spirituale, psichico e conseguentemente d’inossidabile amicizia che tra loro si crea. L’infanzia dei protagonisti, ci viene descritta da LIndqvist come una dilatazione temporale dolorosamente commovente, un luogo asettico di emozioni benevole ed a totale appannaggio dell’odio e della frustrazione. Oskar, fanciullo di appena 12 anni vive proprio così, tra le pesanti e asfittiche angherie dei compagni di classe, la dura, seppur metabolizzata, separazione dei genitori ed il solo luogo dove rifugiarsi dalle perenni tristezze, la sua cameretta. Il colpo di scure alla vicenda, arriva fervido e incalzante quando entra in gioco Eli, strana e poco incline a socializzare,ragazzina apparentemente della stessa età di Oskar. Senza svelare ulteriori dettagli (che rovinerebbero certamente la lettura di coloro che vogliono apprestarsi ad essere travolti dal manoscritto), chiedo gentilmente al lettore di focalizzare le sue mire proprio nel legame tra i due personaggi, descritto magistralmente dall’autore.
Altro ragguardevole fatto letterario, è la ripresa del vampiro come essere asessuato, né uomo né donna, ma entità immutabile ed intangibile nello spazio e nel tempo…devo dire che la cosa mi ha colpito parecchio:è sicuramente un aspetto su cui invito a riflettere e a fare le proprie personali considerazioni.
“Un raffinato romanzo dell’orrore e la storia di un ‘infanzia commovente…”così definito dai critici letterari svedesi,”Lasciami entrare” è un'opera da leggere, di cospicua entità emotiva e passionale.
Buona lettura!
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Il buio e l'attesa hanno lo stesso colore
È la prima opera di Faletti che leggo, e debbo dire che ho trovato il binomio Roma –New York veramente da brivido. Controvoglia e un po’ diffidente verso gli scrittori italiani contemporanei(non voglio smuovere nessuna diatriba circa la discriminazione letteraria italiana degli ultimi periodi, è solo un mero “point of view”, strettamente personale), ho carpito “Niente di vero tranne gli occhi” dalla mia smunta e sofferente (ma in via di costruzione e solidificazione quantistica) libreria personale. Bè…è stato Faletti a carpirmi:scrittura scorrevole, semplice ed estremamente convincente, che ti sprona a macinare ed ingurgitare interi capitoli;suspense degna dei più grandi giallisti americani ed una sottile e satirica vena poetica sono gli ingredienti che fanno di Faletti un uomo “Larger than life”,come puntualmente è stato definito dal Venerdì di Repubblica. Cercando e sperando di non svelare tracce della trama,in modo da non rendere lapalissiano il romanzo(commetterei un vero e proprio omicidio letterario),sprono tutti i futuri lettori ad osservare con cura la struttura del manoscritto,basato su una vicenda ossimorica:due persone,Jordan e Maureen, operatrice ed ex-operatore del braccio della legge, così lontane e differenti da non avere nulla in comune, si ritroveranno a vivere e combattere contro un freddo e lucido assassino, con una spiccata passione per i fumetti dei”Peanuts”.Da Roma a New York, senza un attimo di sosta,facendo sudare il lettore che arrancando rincorre la sfuggevole narrazione, questo mastodontico scrittore , basa l’operato su un indecifrabile, cruda e misteriosa logica di morte…a parer mio tremendamente affascinante!Indizi, tracce ematiche e sinistri “pizzini” ,si snodano tra le righe, e rappresentano gli strumenti operativi dei nostri detective. Trame avvincenti e nerissime strutturate ad arte, fanno di questo romanzo “un obbligo di lettura!”
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John Fante cinquantenne e maturo...maturo?;)
“Era un disadattato e io ero un disadattato…”Si, questa è la storia di un disadattato ,un perdente. È uno sconfitto non socialmente ma moralmente parlando. Henry Molise, scrittore di discreto successo, con quattro figli,una dolce e bella moglie, una villa in riva al mare e una Porsche.Emh…credo tutti vorremmo essere disadattati come il sign.Molise…ma scrostiamo la superficie ed andiamo all’osso. Sono ormai anni che è costretto a campare con biasimevoli sceneggiature da campeggio estivo,la moglie lo comanda a bacchetta con false fughe al nido materno,i figli..bè…uno ama le donne”nere” e fuma erba,l’altra è una semi vagabonda,uno è un povero fannullone codardo e il restante è un poco credibile filantropo della domenica. La famiglia è spaccata a colpi d’ascia…ma arriva in una notte di pioggia l ‘elemento rappacificatore…un grosso cane stupido ,sessualmente confuso ed in fregola perenne. Lui è un vincente(di dubbio pudore sessuale),e a ben guardarlo;Henry si ricorda di sé nei momenti migliori,quando anche lui era un vincente. È una epopea domestica quella che ci si staglia davanti,corredata da una serie di buffe e tenerissime catastrofi che faranno macinare(letteralmente parlando)la lettore l’intero volumetto.
Infine l’opera si conclude con un breve raccontino,”l’orgia”,che di apertamente pornografico ha appena una sbavatura finale. Piuttosto pone allo sguardo indagatore del lettore ,la riviviscenza di una situazione ormai abrogata(per molti di noi che non la vivono in prima persona) da anni: la fatica fisica,smembrate e catastrofica,per guadagnarsi la pagnotta, di due muratori,Nick Molise e Frank Gagliano.Cosa può mai essere una “capatina carnale” ad un bordello improvvisato, se non un modo per fuggire dai sudori che impregnano la vita di questi uomini settimanalmente?
“Questi due racconti fanno uno dei capolavori di John Fante e una delle sue opere più amate”(Franco Marcoaldi)
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Io sto dalla parte di John...
Personalmente parlando(da semi-esperto conoscitore di Fante),leggendo “Full of life” mi sono ritrovato sprofondato nella migliore(letterariamente parlando) e sicuramente più bizzarra epopea domestica mai narrata. La vera innovazione apportata da Fante in questo romanzo è l’aver rinchiuso il suo celebre alter-ego,Arturo Bandini; nel cassetto del dimenticatoio. Qui non c’è più il bel Bandini, lo scrittore migliore d’America,qui c’è Fante in prima persona,con i suoi difetti,le sue ingenuità e si…anche le sue piacevolezze pseudo romaniche. Accanto gli si pone Joyce,moglie bella,dolce, tenera, passionale,lavoratrice…insomma la donna agognata da ogni uomo…solo fino alla gravidanza del piccolo Fante. Celebre il fatto che le donne gravide siano particolarmente suscettibili a sbalzi d’umore,incazzagioni varie e alla totale perdita di ogni parvenza erotica agli occhi del marito…ma Joyce ,a parer mio, si supera. Tra panini al formaggio e secchi di latte,letti matrimoniali, un tempo alcove di piacere, trasformati attualmente in trattorie e “bed and breakfast” a orario continuato,dolci mutandine di pizzo trasfigurate a tende da campeggio estivo, come può un uomo per quanto sessualmente ben disposto nei confronti della compagna…come dire…bè eccitarsi?
Al povero John, già smorzato in tutta la sua rutilante virilità, si aggiunge anche la nuova,bislacca,paradossale apocalittica e smaniosa fede religiosa di Joyce;ciò ,tradotto in soldoni, altro non è che richieste continue e rompicapo su domande esistenziali della vita, smanie di sposarsi,battezzarsi ,pregare e corrispondere con preti con moralità da saloon .
La vivacità narrativa è assicurata dai dialoghi tra i coniugi Fante,litigi al limite della violenza verbale e della comicità intaccano come funghi tutta la vicissitudine della famiglia. Come ciliegina sulla torta arriva da Boulder, Colorado il vecchio Nick(miglior scalpellino da’America), con la sua filosofia contadina e inzuppata nella praticità, a snidare le termiti dalla casa dell’ingenuo figlio(cosa che mai farà) in veste di allocco compratore. Tra sorrisi, vino, litigate ecco a voi le piccole disavventure di un eroe,John Fante!
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Far rivivere l'antico senza uccidere il moderno!
“Far rivivere l’antico senza uccidere il moderno”.Così Elemire Zolla riassume i principi cardine che hanno spinto Tolkien a creare la più grande rivisitazione in chiave novecentesca del poema epico - cavalleresco. Il moderno ,a mio modesto parere, è stato tutt’altro che ucciso, direi piuttosto elevato alla massima potenza,trascendendo i limiti della realtà tangibile, siccome si è imperniato nelle coscienze di ognuno di noi(chi non ha mai sognato nella dolce ingenuità che caratterizza la prima giovinezza d’essere un cavaliere errante e solitario pronto a combattere l’oscuro signore?) A parte le giocose rivisitazioni personali dell’opera,Tolkien ha posto le basi per un genere sino ad allora relegato nella noiosa metrica e stanza del poema epico,quindi (azzardo), filone letterario a quasi esclusivo appannaggio di una casta di esigui studiosi e filologi. In una lingua molto semplice,(ma tutt’altro che banale) l’autore comincia a narrarci le vicende della Contea ,piccolo borgo di chiara derivazione ed ispirazione medievale, abitato dagli Hobbit, creature genesi della fusione di uomini e nani, ma che non sono né gli uni né gli altri. In questo primo capitolo della trilogia si narrano le vicende iniziali dell’intera elegia,le prime battute delle vicissitudini di Frodo e compagnia, i quali si sono immersi in imprese apparentemente più grandi di loro. Avventura quasi fiabesca che ci permette di evadere dalla grigia realtà del quotidiano, frutto di un grande talento letterario. Spero di aver incuriosito i lettori e di averli spinti non solo alla lettura del primo romanzo, ma anche a quella del sesquipedale proseguo…ne vale veramente la pena!!!
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Guarda guarda cosa si trova riordinando la vetusta
Personalmente all'epoca della mia prima lettura del romanzo non avevo ancora compiuto il tredicesimo anno d'età, ma avevo recepito in modo quasi morbosamente ossessivo il fenomeno mediatico scaturente dalla pubblicazione dell'opera...bè immagino che capiate molto bene la curiosità(definiamola pure erotica)che spinge un ragazzino alla lettura di un (ormai posso proprio definirlo così)"must" della pornografia letteraria.Rileggendolo a vent'anni posso soltanto dire che siamo ben lungi dal poter definire"cento colpi di spazzola"un archetipo della letteratura erotica(Chuck Palahniuk docet),poiché,modestamente è un gozzovigliare di carni e sensazioni che difficilmente posso attribuire anche alla ragazzina più disinibita. Inoltre si evince una scarsa capacità descrittiva delle vicende:tralasciando le "sfaccettature" corporali,non sussiste una descrizione che possa definirsi tale per tutto il filo narratorio delle vicissitudini,non un solo personaggio,Melissa compresa, viene ben delineato(artisticamente parlando)...imprecisioni(eufemismo lapalissiano)come queste, portano il lettore in vicolo cieco , impedendogli di collocare i protagonisti nelle vicende a loro collimanti...o che così dovrebbero essere. Leggendo svariate ed eventuali recensioni e commenti giornalistici di un tempo passato all'opera, ho evitto che molti glossatori e commentatori riparano l'opera dalle critiche poggiandola su un traballante piedistallo che suona più o meno così:"apre ai giovani il mondo della sessualità, ponendoli in grado di captare situazioni che prima o poi dovranno fronteggiare...".Forte sgomento mi attanaglia lo stomaco, in quanto credo che pochi di noi si trovino a fronteggiare pratiche orgiastiche anche superata la maturità legale,ed oltre a ciò l'arte pornografica nella letteratura è un "modus operandi" ben diverso da questo...Henry Miller vi dice niente?E "l'amante di lady Chatterly" l'avete mai letto?Se non l'avete fatto vi invito a compiere questa azione al più presto, in modo tale che vi rendiate conto seriamente di cosa significhi erotismo, sensualità e si...anche passione carnale. Ah!! quasi dimenticavo…Sydbar nella sua recensione ha citato una verità sacrosanta…Complimenti al direttore del marketing!!!
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Alta velocità ed intense emozioni
Sono cento pagine di brevità,sfuggevoli eventi e passaggi emotivi ed esistenziali estremamente(ma non eccessivamente)celeri, si susseguono a ruota per tutta la durata del romanzo.La bellezza è proprio insita qui,in quella velocità sovrumana che in poche opere di King ho potuto riscontrare;è la rapidità che rende fantastico questo"racconto", precipitazione che lascia boccheggiante il lettore, ancora coi pensieri ancorati alla riga precedente.Il Phatos...indubbiamete è enfatizzato all'ennesima potenza!!!Come Emily,anche il lettore, è sempre di corsa tra le parole,fagocitando eventi, personaggi e situazioni non poi così Kinghiane(tutt'altro che irreali, anche se terribilmente drammatiche).Cosa succederà alla giovane ed incoscinete(storpiata dal dolore della morte assai prematura della figlioletta) protagonista? Domanda che affolla la mente di chi legge fin dalla genesi.Molto avvincente è la prevalenza della razionalità sull'istinto durante la prigionia a casa dell'assassino,quella mancanza di annebbiamento mentale dovuto al terrore e la fredda lucidità calcolatrice dell'adrenalina che scorre nelle vene sono descritte magistralmente,facendo in modo che ci si auto-impersonifichi con la sfortunata ma matematicamente mordace Emily.Altro aspetto del romanzo pregevole e degno sicuramente di encomio,è il vuoto di pensieri che caratterizza la figura di Jim Pickering.Niente ossessioni maniaco-compulsive manifestate apertamente,niente strane norme consuetudinarie, ma "solo" una bramosa,sfrenata, intemperante voglia di uccidere...ovviamente priva di una "ratio" basale.Invece dei pensieri turbinosi di Jim,immagino esserci milioni di nuvole chiare e trasparenti che gli coprano il capo, come (paradossalmente)un quadro di Magritte. Una vera e propria "maratona letteraria" di turbamenti,esili commozioni ed "ordinaria follia"...tipica del grande maestro!!!
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é ora è ora!
Capolavoro postumo del maggiore e aimè più sconosciuto novellista novecentesco,"miracolo che ognuno di noi deve salutare con commozione"(cit. Eugenio Montale),manufatto satirico e appariscente,"il maestro e margherita", è indubbiamente l'opera che ha consacrato l'immortalità letteraria di Michail Bulgakov. Scomparso prematuramente all'età di quarantanove anni, Bulgakov, è stato perennemente eclissato, durante la sua celere vita, dall'ombra imponente e mastodontica delle grandi cariatidi russe:Dostoevskij e Tolstoj.Nonostante l'ammirazione e l'encomio per questi grandi maestri(più volte evidenziato nel corso della narrazione del romanzo),Michail prova, a parer mio, una sorta di ossequiosa venerazione per questi due giganti...complessi d'inferiorità letteraria e scrittoria?Spero vivamente di no,siccome non ha niete da invidiare a questi suoi "concittadini".
Ciò, ci viene dimostrato con questo Romanzo - poema,indice di grandi doti artistiche. Il personaggio più appariscente attorno a cui ruota l'opera è il Diavolo,ma non Satana come noi lo ricordiamo o lo immaginiamo dalle raffigurazioni bibliche o dalle folk loriche leggende popolari(dimenticatevi la barba caprina, gli zoccoli , le corna ed il tridente), bensì apparentemente solo un uomo ben vestito che compare dinanzi a due cittadini, uno dei quali sta enumerando le prove dell'inesistenza di Dio accompagnato e confortato dalla frescura mattutina. Il neo-venuto(non voglio anticiparvi nulla), smembrerà la tesi di questo compagno russo...e non solo quella. La vicenda s'intreccerà poi con le celebri vicissitudini vitalizie di Ponzio Pilato,quinto procuratore della giudea,vicissitudini alle quali, il nostro elegante”gentleman”, era ovviamente presente.
Qui si insinua il dubbio e la folle curiosità di conoscenza nella mente del lettore:"chi è veramente costui,onnipresente,misterioso,cupo,amaro ,triste che incute rispetto e paura?".Si chiama Woland,professore e storico di magia nera, ginto fino in Russia per esibirsi al teatro di varietà di fronte alla vasta e cospicua popolazione,bramosa di effetti speciali e divertimento. La seànce occulta, però, non da i frutti tanto agognati, infatti,i “trucchi” di magia saranno così spettacolari da creare profondi disturbi socio_comportamentali o addirittura psichici alla quasi - totalità degli spettatori del “varietè”.
Come espongono le critiche e le recensioni al romanzo(svolte da scrittori assai più competenti di me) ,il tema centrale dello scritto è la passione miscelata con un crudo realismo. Accondiscendo in parte, siccome indubbiamente la passione è un tema ricorrente nel filo logico della narrazione, ma (e mi rivolgo a lettori audaci e volenterosi rilettori) io porrei lo sguardo sull’area tematica della corruttibilità umana. La corruzione si evince da ogni minimo dettaglio che Bulgakov infonde su ognuno dei suoi personaggi:una buona retorica accompagnata a una bella mazzetta risolve ogni problema. Così ,aimè,è anche nella vita reale, trasbordante di immoralità, vigliaccheria e orgogliosa putrefazione dell’anima.L’accento su ciò da me appena discusso è evidente e facilmente riscontrabile nel romanzo,ciononostante ,all’interno di questo arzigogolato labirinto di corruttibilità materiale ed emotiva, emerge una nota di passione in si bemolle,un suono dolce e caldo,rappresentato dall’amore sconfinato ed irrecintabile di Margherita per il Maestro. Un amore apparentemente sfiorito a causa di un insuccesso letterario del Maestro, ma che si dimostrerà ancora rutilante di fuoco nel cuore , seccato dalle lacrime salate,di Margherita. Quindi, cosa non fare per riconquistare l’affezione dell’amato? Vendere i propri servigi al Diavolo in persona si può bastare?Allora eccovi serviti,o lettori,ancora una volta dal tema del Compromesso, magari una “convenzio” a fin di bene, per riagganciarci a qualcosa di eternamente perduto….pur sempre però pattuizione blasone di effimera solidità dei valori e del rispetto umani.
Cercando di non essere eccessivamente prolissi,(mi scuso vivamente per i peccati di estensione), auguro a tutti voi una buna lettura!
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La cattiva scrittura
Finalmente,ma non senza un pizzico di amarezza ed una punta di cinismo,Bukowski si distacca dal suo celeberrimo alter-ego letterario,Herny Chinaski, per raccontarci la storia di Nick Belane,l'investigatore privato più dritto di Los Angeles. Per alcuni, il nostro detective, è un fallito, reietto della società,oppresso da anni di sregolatezze ed inattività;per altri è semplicemente un idolo, icona dell'"uomo con le palle"...quadrate aggiungerei io!"Pulp", non è altro(come si può evincere chiaramente dal titolo) che un "pasticcio letterario" di grande fattura,ove ordinaria follia, spettri del sesso che fu, fallimenti vitalizi e delusioni annegate nell'amaro, torbido ma dannatamente piacevole sapore dell'alcol si fondono insieme alle invenzioni letterarie(anche un po’ fantasy), che la mente di un genio(o forse un barbone dipende dai punti di vista) ha saputo imprimere sulla pagina.
Alcuni critici lo definiscono un testamento spirituale dell'autore, che si è immerso a pieno nel degrado societario del ventesimo secolo;io piuttosto lo definirei un "capolavoro di distacco", con il quale Charles si allontana dalle consuetudinarie e tenebrose follie.
Qualcosa di nuovo è nato, indubbiamente,ma è una novità particolare, diversa, che non a tutti può garbare(anzi...); l'osceno è sbiadito, messo in ombra dal surreale, e la realtà in bianco e nero si fonde con i colori della sfrenata e lussureggiante fantasia. Chi è Nick Belane veramente?Chi è quest'uomo che riesce profeticamente a prevedere la sua morte?Chi è costui che vive nelle stalle ma con lo sguardo perennemente rivolto alle stelle più lontane?Ho sentito parlare della "filosofia del beone",guida esistenzialistica e traccia della cosmogonia di Belane(nonché dello stesso Bukowski)...ma non so se sia filosofia da ubriachi o solo il modo di vedere la realtà che molti sobri non possono scorgere...Sta a voi lettori capire ciò...d'altronde è un bel pasticcio in cui districarsi!!!
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Ordinario ma tutt'altro che banale!!!
Si erge di fronte ai lettori l'imponente,massiccia, ironica, dissacrante,beffarda, tenera e un po’ cinica, biografia di Charles Bukowski.Questo pazzo senza pudori, ci racconta tra "reality and fantasy",attraverso l'enumerazione di ben quarantadue mini-racconti, la sua vita, vissuta rigorosamente "undergroud" tra i sobborghi picari della "città degli angeli".La follia,come si evince dall'intestazione dell'opera, è il tema ricorrente, che a guisa di filo rosso si riscontra nella quasi totalità dei racconti. Tuttavia, la pazzia, viene qualificata come "ordinaria", siccome la si può riscontrare in ognuno di noi(ciascuno di noi è un po’ folle a suo modo), dall'impiegato postale,al lattaio, al cassiere, al barbone....e come no...rigorosamente anche nello scrittore!!Lui(Bukowski), perennemente arrapato di fronte al gentil(e giovane aggiungerei io)sesso,candidato finalista in qualsivoglia maratona alcolica,con le tasche aride come il deserto dell'Arizona,ci piomba addosso senza nemmeno darci il tempo di rendercene conto,e ovviamente ci travolgerà con una turbinosità di emozioni e piaceri effimeri. Forse un genio,forse un'edonista rovesciato,forse uno straccione scansafatiche,"il Fallito", o lo si odia o lo si ama perdutamente(come mi è personalmente capitato), non vi è un"est modus in rebus":avere una visione "bipartisan"di Bukowski credo si praticamente impossibile!Vi lascio alla lettura del romanzo con un interrogativo:"i veri pazzi sono coloro che osano e traggono soluzioni avventate cambiando radicalmente la loro vita,o siamo noi,metodici schiavi dell'abitudine che perseveriamo ,coi paraocchi ben saldi ai lati del capo, a proseguire per le nostre storie di ordinaria follia?"Buona lettura a tutti!
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Non avevo amiche
Terzo romanzo di Bukowski, pubblicato nel lontano 1978, "Donne", simboleggia la bramosia di un uomo verso il sesso(da tenere ben distinto dall'amore, come verrà esplicitamente chiarificato in corso d'opera), desiderio, ardore e costante onnipresenza nella esistenza"on the road" di Henry Chinaski,celebre alter-ego letterario dell'autore. Le congiunzioni carnali si susseguono a guisa di "lista della spesa" per tutta la durata del romanzo, caratteristica peculiare che fa comprendere veramente in modo ottimale l'ossessione del protagonista. Rapporti, molti dei quali sicuramente esecrabili all'occhio delle "persone normali", contraddistinti dall'intensità della passione corporale;passione aimè effimera ed evanescente,passione quindi, che neccessita di un perpetuo rinnovo. Charles Bukowski ci presenta un mondo di picari, pezzenti e randagi,che raccattano le giornate, vivendo costantemente tra lo sguaiato ed il grottesco,senza l'immancabile compagnia di alcol, tabacco e prostitute. Con questo romanzo si affoga nel lato povero dell'America, si vive dietro l'insegna bianco sfavillante dell'Holliwood californiana, si vive "nella merda".La grande sfacciataggine e i dialoghi esplicitamente sboccati ed intrinsecamente erotici fuoriusciti dalle labbra del protagonista,servono al lettore per rivivere le abissali sensazioni(corporali ed emotive) di Henry: l'Henry sessantenne innamorato delle giovani ventenni, l'Henry che vuole vivere(alcol permettendo) fino a ottant'anni per scoparsi una ragazza di diciotto,l'Henry impiegato delle poste che si licenzia per "poter alzarsi a mezzogiono ogni mattina dopo una delle tante maratone alcoliche".Opera in cui il lettore farà un'incetta di emozioni turbinose, conoscerà la personalità di uno degli alter-ego meglio riusciti della trasposizione letteraria.Altra caratteristica fondamentale del libro, è l'insicurezza del protagonista:il rifugio costante nel sesso carnale rappresenta la paura di amare,il terrore della condivisione emotiva e caratteriale di un uomo, folle paura resa dall'abusata frase"Vuoi una puttana!Hai paura di amare!". Concludo sostenendo che nessuno ha saputo far vivere le pagine di un romanzo ad un lettore con un'intensità ed un 'efficacia così travolgente come ha fatto Bukowski!
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La religione non è la risposta all'infelicità
"Carrie" effigia la genesi del mito King.Romanzo di breve duranta quantistica, ma di sesquipedale intensità emotiva e rievocativa di immagini ed azioni emblematiche dell'essenza umana.Credo, anzi ne sono puramente convinto, che l'elemento di principale spicco narrativo sia il rapporto ossessivo, compulsivo e maniacale tra madre e figlia sulla "questione religiosa". Le modalità con cui la madre impone l'osservanza dei credi cristiani alla sventurata e prostrata Carrie, sono abominevoli: dietro queste mitologie di obbedienza incondizionata ad un credo,King mostra l'evidente debolezza psicologica e umana di alcune persone. A completare l'ibrido incubo emotivo di Carrietta, si sommano solitudine,tiri meschini e quotidiani dei compagni di scuola(rimando il lettore alla scena iniziale del primo ciclo mestruale)e un odio sempre più nero e profondo verso tutto ciò che rappresenta il "diverso".Carrie,in corso d'opera, scoprirà gradualmente i suoi poteri telecinetici:qui inizia la vendetta, classico lampeggiante e freddo sentimento umano.Le vicissitudini narrative si tramutano in una storia di sangue e dolore a senso unico; Chamberlain , tranquilla e sonnolenta località del Maine, diventa un inferno amaranto di sofferenze restitiute con gli interessi...sofferenze che purtroppo coinvolgono anche persone innocenti estranee alla triste vicenda personale della protagonista.Al di là della cruda tassonomia degli eventi presentata da King( che ogni tanto può anche confondere e depistare il lettore), la domanda di riferimento attorno a cui si impernia l'opera è:"perchè mi sento così sola ed infelice?"...domanda esistenziale che sovente molti di noi dimienticano di porre alla propria coscienza, rifugiandosi in mistificate risposte religiose.
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"il consorzio umano di Fante"
Ecco a voi la genesi di Arturo Bandini!!!In quest'opera troviamo il più sfacciato, irriverente, anticlericale(da notare i due "dio cane" solamente alla seconda pagina del romanzo) ed anticondormista John Fante di sempre!!!L'irresistibile amante di Camilla Lopez, qui è soltanto un bambino di 14 anni...ah quasi dimenticavo..un bambino italiano!!!Disprezza tuttò ciò che è miserabile e sciatto,ammira in modo imprescindibile ogni cosa possa essere contrassegnata dall'aggettivo "americano" e avrebbe preferito chiamarsi John Jones e non essere imparentato con una lurida vecchia baldracca di nome Donna Toscana....questi sono gli albori dai quali prende vita e si plasma l'Arturo Bandini che ci ha divertito e amareggiato in "Chiedi alla polvere". AH!!...non se la passa bene il nostro Arturo, che insieme ai suoi fratelli, condivide una giovinezza caraterizzata dall'espressione "chiedi se ti fa credito"....ovvero una gioventù di stenti e difficoltà, non tanto alimentari quanto sociali e familiri.La "fame italiana", tema ricorrente in ogni opera di Fante, qui raggiunge il suo apogeo,è una vera commedia dell'immigrazione quella che approda sotto gli occhi del lettore, il quale non deve guardarla da lontano con deferenza, ma vi si deve immergere a piene mani e capire cosa ha contraddistinto e smembrato parer mio fortificato la prima generazione di immigrati italoamericani. Di mirabile fattura è anche Svevo Bandini, padre del nostro amato Arturo,duro come una roccia ma al contempo smemrato e dilaniato dai problemi che attorniano la famiglia.La figura paterna è granitca la prima generazione di immigrati italoamericani. Di mirabile fattura è anche Svevo Bandini, padre del nostro amato Arturo,duro come una roccia ma al contempo smemrato e dilaniato dai problemi che attorniano la famiglia.La figura paterna è granitica ed imponente per buona parte dell'opera; si scoprirà solo alla fine l'anima spossata del padre....che però non riuscirà a sopraffare il suo "orgoglio italiano".Ogni personaggio frutto della geniale mente letteraria di Fante cerca, durante le vicissitudini narrative, la riconciliazione con le sue tradizioni, ma allo stesso tempo è dilaniato dalla smania di congedarsene.Opera epica,mirabilmente riuscita,"aspetta primavera, Bandini", è un inno all'orgoglio che dovrebbe caratterizzare ogni "alieno" in terra d'oltreoceano,un'ovazione a ritrovare quei sentimenti che ognuno di noi ha smarrito cammin facendo,un monito a non ficcarci l'orgolio dentro le tasche.Aspettiamo primavera...magari qualcosa , scavando a fondo dell'anima, emergerà!!!
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The best of Fante
Terzo capiotolo della saga Bandini, "chiedi alla polvere " rappresenta, a parer mio, il capolavoro di John Fante.Il celeberrimo Arturo Bandini, protagonista dell'opera, è un ibrido di tre diverse e dissimili persoalità:Arturo il futuro scrittore,che si imporrà tra i grandi piloni della letterratura,Arturo il cattolico represso ed indeciso, che vede in Dio una forma di salvezza e debolezza contemporaneamente, Arturo l'italo-americano sprezzante,sbruffone e razzista, innamorato follemente di una "peones" messicana di nome Camilla Lopez. Ovviamente il romanzo ruota attorno alla conplessa, dinamica, multiforme e malleabile individualità del personaggio, emblema congiunto dei giovani ventenni sognatori e un pò pazzi, con le tasche piene di progetti e moriture di soldi,e degli italoamericani di inizio secolo(1900), pervasi da una vita stretta e soffocante che li fa contorcere e disperare, insozzati dai pregiudizi dei "sangue blu "americani, ma nel medesimo tempo forti ed orgogliosi, con lo sguardo fiero sempre rivolto all'orizzonte.Questo Arturo(ormai caposaldo della letteratura americana novecentesca) in certi sprazzi della trama si mostra al lettore con un "modus vivendi" quasi donchiscottesco, (mancano solo i mulini a vento e siamo a cavallo), parodiando (forse) l'essere umano stesso, sempre indeciso e pervaso dal dubbio.Sono proprio queste indecisioni smenbranti a far di Bandini il vero archetipo umano.ALtro vero aspetto di mirabile rilievo che si incontra cammin facendo nell'opera, è quel particolare legame(definitelo pure amore se volete) che lega Arturo e Camilla,la quale con le sue "Huaracas" simboleggia il disagio, l'emarginazione e l'isolamento dei messicani approdati nella città degli angeli.Camilla raffigura e riassume i grandi fallimenti di Arturo, dall'impotenza sessuale all'incapacità di stringerla a sè e non farla fuggire nella desertica polvere. Opera monumentale di Fante ,"chiedi alla polvere" con il suo finale tragicamente triste, è un romanzo che DEVE essere letto, quindi,non mi resta che augurarvi buona lettura!!!!
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Se si può chiamare vampiro.....
Non voglio essere pedissequo e agganciare il mio commento a quello di molti altri che già prima di me hanno recensito il romanzo della Meyer; tuttavia, da buon estimatore del genere "fantasy" ,non sono sicuramente prodigo di lodi ed encomi rispetto a quest'opera.Leggendo "Twilight" ci si trova di fronte a quella che io personalmente considero un "degenerazione del fantastico".Siamo ben lungi dai capolavori di Anne Rice, ma a parte questo, l'opera è inconsistente, soprattutto dal punto di vista dei personaggi:"la figura del vampiro "vegetariano" ed estremamente sexy, la considero una livrea/maschera che per nulla si addice alla canonica immagine perpetuata dalla letteratura di Bram Stocker. Tengo a sottolineare che l'autrice ha proposto e conseguentemente diffuso un icona vampiresca che ha veramente stravolto la letteratura horror....ci si pone dinnanzi Edward Cullen,che sembra l'eroe romantico di un romanzo rosa della Modigliani più che il principe oscuro che risorge nella notte. Altra incognruenza sesquipedale è il fatto della nutrizione dei Cullen:il sangue animale. Come credo che molti lettori del filone nero sapranno, lo "strigoi" si nutre del sangue umano non solo per sopravvivere, ma anche per impossesarsi delle esperienze, emozioni, vicissitudini e perizie altrui, impadronendosi della vita umana così come della sua anima. Sottolineo ancora che l'interazione uomo-vampiro così come proposta e sbandierata dalla Meyer, era già presente in "intervista col Vampiro" della Rice,spero che l'immagine di Lestat che si affeziona a Claudia ricordi ciò a molti di voi. Sicuramente è una storia abbordabile e leggibile da ognuno,e spero di non suscitare eccessive logomachie con questo mio commento assai poco propiziatorio nei confronti della tetralogia di "Twilight",ciò non toglie che "de gustibus non est disputandum", di conseguenza a ognuno il suo punto di vista. Anelo trovare celermente commenti che smentiscano il mio(basandosi su sillogismi fondati e non sul successo editoriale o della trasposizione cinematografica), e che mi garantiscano di comprendere quest'opera in una chiave di lettura dissimile dalla mia.
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La magia esiste
Monumento sesquipedale di King.Indubbiamente uno dei suoi romanzi meglio riusciti(non azzarderei a definirlo il migliore visto la concorrenza svolta da"l'ombra dello scorpione" e "misery"), in cui Stephen genera un ibrido di emozioni torrenziali caratterizzanti della vita di ogni ragazzino.It non è altro che la trasposizione in chiave horror del passato che ritorna ed immerge nel presente di ognuno i suoi artigli chiedendo un tributo(che può essere di sangue ma anche di ricordi dolorosi e molto amari).Di mirabile fattura l'idea della "banda dei perdenti",presenza costante di ogni generazione giovanile, simbolo di emarginazione, differenza fisica o culturale che sia e discriminazione razziale, ma ciononosatante simulacro di amicizia e lealtà tra compagni, valori che, come chiaramente viene dimostrato nell'opera,perdurano alla ruggine degli anni e non compotano le incisioni di una "mitologia del diverso". Opera arzigogolata e labirintica, "IT", richiede una lettura attenta e profonda degli eventi narratici, lettura che sprona il lettore ad utilizzare la grande totalità dei neuroni a sua disposizone, ma, oltre allo sforzo richiestogli, gli permette l'accesso ai corridoi degli sconcertanti misteri del'infanzia che sfuma in maturità.Pennywise, ormai tristemente celebre icona dell'Horror,cosa non è se non altro che la personificazione in chiave demoniaca delle nostre paure ed ossessioni? It è il vero mostro, o gli alieni non sono altro che i cittadini comuni con le loro storie di ordinaria violenza e raccapricciante perversione? Il demone a cui King ha datovita letteraria non è soltanto un'iconongrafia delle paure di ogni adolescente, rappresenta senza mistificazioni di sorta , i dubbi, le incertezze e le malsanità che ogni adulto si trascina dietro di sè per tutto il corso della vita. Il distacco è una tematica ricorente nell'opera, insieme anche alla voglia di rinnovarsi e chiudere con quello che fù.Troppo prolisso sarebbe descrivere l'opera o completare le sue innumerevoli tematiche, quindi chiudo dandovi un enorme e spassionato consiglio:"leggete questo romanzo!!!!!"
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"Ehi scrittore!Bevi la agua!"
In quest'opera,che rappresenta la genesi del ciclo di Arturo Bandini, John Fante pone dinnanzi al lettore uno dei meglio riusciti figli della finzione letteraria.Megalomane,antisemita radicato,ribelle e un pò artista, l'immagrato Arturo Gabriel Bandini rappresenta l'archetipo antieroico per antonomasia."Superuomo", come ama perennemente definirsi grazie agli usi e abusi di Nietsche,artista anticonformista ed anticlericale alla stregua di Dante,Galileo e Copernico, amatore dalle inifinite capacità sessuali e romantiche, il nostro protagonista ci trascina al centro del suo rigonfio, smisurato,ipertrofico e sesquipedale ego, mostrandoci tutte le sfaccettature dell'animo di un puro "vanitoso intellettuale".Bandini l'immortale, Bandini l'orgoglio d'america,Bandini braccio destro di Franklin Delano Roosvelt, Bandini eroe immortale,mastodente fra i grandi della filosofia e della letteratura di sempre, Bandini il concupiscente di fama,donne con la pelliccia e pecunia....Questo inno e parodia nello stesso tempo, celebra l'uomo medio, l'immigrato italoamericano di seconda gnerazione, pervaso e immerso fin nei capelli nella bruma dei suoi sogni, apparentemente irragiungibili, attraverso i quali nutre ed alimenta la sua esistenza chiaramente così laida.Grande questo Fante!!!!Genio di inimmaginabile capacità scrittoria e narrativa, a soli ventiquattro anni plasma una delle colonne d'ercole della letteratura americana e mondiale. La sua mente crea uno dei meglio riusciti alter-ego letterari,versando però dazio alla ipocrisia ed alla bigottaggine americane del tempo, il romanzo infatti verrà pubblicato con quasi 40 anni di "ritardo".Nato già nella prima riga del romanzo come spalatore di fossi, dopo nemmeno cinque pagine,Arturo bandini farà prostrare il mondo ai suoi piedi, acchiappando il lettore per la camicia e conducendolo nei labirinti estremamente arzigogolati della materia grigia del più grande scrittore di sempre...si so a chi state pensando...si sproprio lui, ma certo, non abbiate paura a pronunciare il suo nome...è il grande, il solo, l'inimitabile ....esatto proprio così..Arturo Gabriel Bandini, pronto a stegarvi con tutta la sua purezza proprio come fece con la signiorina Hopkins: "che personaggio etereo questo Bandini!!!!"
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inganniamo noi stessi stessi così spesso
Nonostante le ultime, ridondanti e a parer mio ingiustificate(comprenderete il significato del termine "ingiustificate" molto meglio dopo la lettura di questo romanzo) critiche nei confronti dei più recenti lavori kinghiani, "Duma Key" rappresenta sicuramente un'opera di magistrale forgiatura, grazie alla fluidità e scorrevolezza(oltre che alla ormai standardizzata piacevolezza)della narrazione ed al mirabile ibrido tra suspance e atavico terrore che ritorna dagli abissi("abyssus abyssum invocat").La tematica con cui si apre il sipario sulle vicende di Edgar Freemantle è quella del "cambio di vita";infatti a conseguenza di un tragico incidente, il grande magnate dell'edilizia si ritroverà mancante del braccio destro e con lesioni temporanee all'area di Broca.In aggiunta a tutto ciò, già psicologicamnete e fisicamente devastante, la moglie di Edgar, Pam , decide di promuovere un'azione legale volta a chiedere il divorzio dal menomato marito. Questo bitume di tragici e sfortunati incovenienti porta il nostro protagonista a prendere la "decisione da un milione di dollari" ovvero "mollo tutto e cambio completamente la mia vita.(tra l'altro..chi di noi non vi ha mai pensato).Così accade,infatti Edgar si trasferisce su un'apparentemente innoqua ed incontaminata isola della Florida(Duma Key),e durante la sua "nuova vita" incontra il secondo protagonista dell'opera, ovvero l' ex avvocato Jerome Wireman, che, per la mia modesta opinione, rappresenta uno dei meglio riusciti protagonisti della finzione letteraria(giudicate voi muchacho!)e la signora Elisabeth ,anziana donna afflitta dal morbo di Alzheimer e circondata da un alone di misteri. Durante quello che appare un placido trascorrere del tempo, Edgar si scopre però pittore, artista di talento innegabile ma con uno strano ed inspiegabilmente tetro repertorio di soggetti e con la capacità di influenzare la realtà tramite le sue pitture. Le curiose suggestioni del paesaggio assumono significati sinistri e i sogni diventano raccapricciante realtà...Qualcosa o qualcuno si sta servendo di Edgar per liberarsi da un millenario sonno forzato.Si scoprirà poi che l'anziana Elisabeth , da bambina , fu vittima della medesima possessione.Da qui in poi si snoda un labirito di misteri e sensazioni,che molto ha da spartire con il genere generalmente nominato "triller", che spingerà il lettore negli angoli più oscuri della mente, rievocando emozioni di cui (noi lettori)eravamo diventati comletamente estranei.L'occhio di King è sempre rivolto ad un esame attento del passato che sta alle spalle delle persone, tempo che fù il quale lascia il lettore sbigottito durante la narrazione: è grazie all'analisi del passato che si capiscono molti comportameti della vecchia Elisabeth e del signor Wireman.Il romanzo sicuramente vi sconvolgerà(sono molto di parte siccome King è uno dei miei scrittori preferiti)ma spero vi piaccia anche la mia recensione e vi sia soprattutto utile nella scelta e comprensione di questo manoscritto....forse"yes"forse"no.
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"Che dreadful imbroglio!"
Fante in questo romanzo ha racchiuso la più micidiale e tormentosa elegia, non solo della figura paterna ma anche dell'immigrato italoamericano della prima generazione.Nick Molise(uno dei protagonisti del romanzo)rappresenta l'archetipo di dissoluzione e dissacrazione di qualsiasi volore cristiano e familiare:vino(di Angelo Musso naturalmente), donne e gioco d'azzardo sono le colonne portanti del suo "curriculum vitae".Questa figura , che si erge massiccia,tirannica, ed ingombrate per tutta la durata dell'opera, non rappresenta soltanto l'atavico padre di famiglia ,granitico e perennemente legato ai valori trasmessi dal lavoro manuale(infatti non considererà mai il mestiere del figlio,lo scrittore, come una vera e dignitosa professione per guadagnarsi il pane), ma è anche l'emblema della prima generazione di italiani emigrati in America, generazione infangata, oppressa e sommersa dai biechi pregiudizi dei sangue blu americani :"creature di sangue africano, che girano con il coltello, figli di una nazione nelle mani della mafia".
Accanto alla figura paterna, si snoda lungo tutto il corso della narrazione, l'immagine di Henry Molise,scrittore e uomo "arrivato nella vita"(considerando gli standard di arrivismo e lo status societario della famiglia Molise posso proprio permettermi di definire Henry come "uomo arrivato"), che tuttavia non riesce a scrollarsi di dosso le radici intricate della sua famiglia, che lo riporteranno a rivivire sensazioni ed emozioni di cui ormai era diventato profano.Riportato a "casa" a causa di un imminente e velleitario tentativo di divorzio tra i genitori, Henry verrà coinvolto dal padre(ah già ,quasi dimenticavo, "il più grande scalpellino d'america"),in un disperato , orgoglioso, malsano e grottesco tentativo di rivalutazione della propria autostima,tramite la costruzione di un affumicatoio destinato alla cottura della carne di cervo. Restio e disgustato dal pensiero di riunirsi a quella "sgangherata" famiglia, Henry, cercherà di fuggire dai luoghi e dalle persone che sono state i tratti somatici della sua infanzia.Questo tentativo di fuga sarà un buco nell'acqua,infatti la riscoperta di suoni, emozioni , odori e sentimenti archiviati nel dimenticatoio, trascinerà il nostro protagonista, in un gorgo di squallida passione(signorina Quinlan)e fino ad allora rimosse virtù, che lo porteranno a sentirsi sempre più vicino alle proprie radici e concezioni, dalle quali risulterà essere eteronomo ed inseparabile. (questo punto si comprenderà meglio durante la morte del padre). La grande ed immagignifica capacità scrittoria di John Fante ci riporta in un'epoca passata, di vecchie bettole, di amore per la materialità e di uno smisuarato(alle volte quasi ridicolo) senso del dovere. In tutto ciò, si coglie distintamente,come ,nonostante le avversità che la vita para di fronte a questi uomini,valori come l'amicizia, l'unione ed il rispetto(nonostante tutto)siano il collante dell'anima delle persone, malta senza la quale le nostre esistenze crollerebbero come muri (o affumicatoi se preferite) mal costruiti.
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Il signor Gaunt è il miglior giudice...
Bè che dire...un'altro capolavoro del re!!!Impossibile sarebbe sottrarsi ad una vicenda dal fascino demoniaco come quella di "cose preziose". Romanzo che mette a nudo, con superbia maestria, le nefandezze dell'animo umano, descrivendo in modo lampante e dettagliato tutto ciò che ciascuno di noi sarebbe disposto a compire pur di raggiungere ciò che agogna ardentemente. Uomini che sacrificano ,col sorriso sulle labbra, ogni singolo frammento della loro anima( e della loro dignità aggiungerei io) pur di condurre una vita a favore dell'agiatezza e del "verbo avere".Sarà il signor Gaunt(protagonista negativo del romanzo), sevendosi del suo impareggiabile fascino, della sua maliziosa ed oscura abilità commerciale, ad appannare come una fitta nebbia,gli occhi ma soprattutto le menti della tranquilla ed ignara popolazione di Castle Rock.D'altronde cosa sarebbe cedere la propria anima come merce di scambio pur di ottenere ciò che si sogna da una vità?
Attraverso una narrazione folgorante e turbinosa, Stephen King, ci guida nelle profondità dell'abisso umano, descrivendo una società estremamente e sfacciatamente materialista, di cui ciascuno di noi è un piccolo tassello. Fortunatamente, non tuti gli uomini sono nati da questo pessimo stampo esisistenziale; infatti Alan(sceriffo e protagonista in positivo dell'opera), nonostante i suoi modi rudi e un pò spicci, rappresenta l'archetipo di uomo dotato di una "vista "eccellente, in grado di riconoscere , all'interno della buia foschia,quali siano veramente le "cose preziose" che contraddistinguono la nostra placida esistenza. Romanzo che consiglio a tutti coloro che vogliano "studiare" un notevole spaccato di vita sociale e a chiunque voglia immergersi in un tortuoso e terrificante incubo.
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Ti piace Phil collins?
Bret Easton Ellis ci presenta, con tinte molto forti,uno spaccato di vita dell'alta società americana di fine anni '80. Indubbiamente,in alcuni punti del romanzo,siamo di fronte ad una visione negativamente enfatizzata di quelli che potremmo definire "yuppie",tuttavia questa"società dell'apparire" descrittaci da Ellis è quantomai verosimile alla realtà. Attraverso le paure, le perversioni e i fanatismi estetici del protagonista(Patrick Bateman), l'autore ci conduce nei meandri più oscuri e fallaci non solo di un uomo, ma anche di una classe sociale che sta impregnado a macchia d'oglio la Manhattam che si affacia ad un nuovo secolo. Fisico scultoreo e abbigliamento griffato, sono le prerogative e(spero mi permettiate il termine) "il curriculum vitae", per emergere nella collettività così come nella vita.Come accade spesso, però, senza un'anima e privi di emozioni che ci permettano di sfiorarne le corde, non siamo che dei manichini a cui la vita scorre addosso; di notevole pregio infatti, è la capacità da parte di Ellis, di mostrarci ciò con un finale quantomai insolito e di "tranquilla scorrevolezza". Raccomando quest'opera non solo a chiunque sia interessato all'argomento estetico e sociale, ma anche a tutti coloro che cerchino un romanzo diverso, particolare e(a parer mio)unico nel suo genere.
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La morte è un mistero e la sepoltura è un segreto
La mia quarta novella del "re"....semplicemente magnifica!!!In questo romanzo il grandre maestro ci stupisce con un binomio/duello vita e morte a dir poco agghiaccinate...la proposta di King è quella di farci capire come il dolore che l'esistenza,aimè, molte volte ci ingligge, possa condurre l'uomo in una terrificante dicesa nella pazzia(rimando l'occhio dei lottori alla figura del protagonista dr.Louis Creed)e portarlo a compiere gli atti più meschini, empi ed irrazionali di cui sia capace, cercando addirittura di sopraffarre la morte.Infatti di pregevole importanza è la tematica della disperata ricerca di ritorno dalla fine, che percorre ,anche se non sempre in modo esplicito, tutto il corso della narrazione.("Quello che ottieni a qualsiasi costo è tuo, e quello che è tuo prima o poi torna da te." ).
Romanzo di nobile fattura,Pet sematary,pone sotto la lente del microscopio temi(in alcuni casi esistenziali) a cui ciascuno di noi durante la sua placida esistena avrà sicuramente affincato un punto interrogativo...che dire..GRANDE ROMANZO!!!!( e buona lettura!).
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