Opinione scritta da garo
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Lo stile non farà il capolavoro, però...
E Baricco ha scritto un altro romanzo che mi son letto tutto d'un fiato. In una notte. Oddio, storia un po' troppo semplice, forzatamente tragica, piena di riflessioni bibliche ed elucubrazioni sulle beatitudini evangeliche che ho fatto davvero fatica a capire (e magari non ho capito) da ateo e religiosamente ignorante quale sono. A me quello che piace di Baricco è come scrive. Come, con leggerezza, con tre battute, riesce a farti immaginare nuove situazioni da una parte, e riesce a far riaffiorare i ricordi dall'altra. Mi riconosco nei ragazzi – pensando assieme a loro ai miei sedici/diciassette anni, anche se avrei ben poco da spartire con la loro vita – e “faccio mia” la storia – anche se non ho mai visto una band parrocchiale, o un amico drogarsi davanti ai miei occhi, o una tale divisione tra famiglie normali e famiglie benestanti – come fosse la mia autobiografia. Mah, magia.
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Il detective "hard boiled"
Humphrey Bogart – scusate – Philip Marlowe è un investigatore privato solitario, cupo, burbero ma allo stesso tempo ironico e spiritoso, che si ritrova a sbrogliare un complicatissimo caso che vede coinvolte le due figlie di un vecchio generale. Una storia di pornografia, bische clandestine e omicidi nella Los Angeles degli anni trenta. Un po' troppi personaggi e un po' troppi misteri risolti frettolosamente, per i miei gusti, ma è un giallo “pulp” del '39 che ha fatto storia (grazie al detective “hard boiled”). A rimanermi maggiormente impressi sono stati appunto la figura di Marlowe e lo stile colloquiale e realistico.
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Originale quanto coinvolgente
L'inglese Mark Haddon si cala (benissimo) nella testa di Christopher, un quindicenne autistico (sindrome di Asperger) che una notte trova il cagnolino della vicina brutalmente ucciso. Questo fatto farà scattare in lui la voglia di indagare, nonostante il divieto del padre e il disinteresse generale degli abitanti del quartiere. Comincia così il suo particolare viaggio: particolare perchè lui non sopporta di essere toccato, odia il giallo e il marrone, non comprende le espressioni del viso umano, non sopporta che due alimenti diversi vengano in contatto nello stesso piatto, e per lui ogni cosa segue una logica matematica. E nonostante ciò il lettore riesce ad appassionarsi alla vicenda ed “entrare” nel personaggio: è questo il vero capolavoro.
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Un omaggio a zia Adelaide
La prima volta non mi è piaciuto molto. L'ho trovato troppo lezioso.
Poi l'ho riletto, dopo un po' di tempo.
Poi una terza volta.
Ora sono circa alla decima.
Tutte le volte scorgo un particolare che prima mi era sfuggito. E la storia, che mi sembrava scarna, è diventata un poema.
Sto ancora aspettando di addormentarmi e sognare il MIO circo Bosendorf.
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Immancabile
Nel 1938 in Spagna imperversa la guerra civile, e anche in Portogallo la situazione politica si fa pesante. Pereira è un vecchio giornalista di cultura, che per caso viene a conoscere due repubblicani giunti a Lisbona per reclutare volontari. Pereira non si interessa di politica e preferirebbe starne fuori, ma un po' mosso da compassione per i due ragazzi, che tratta come suoi figli, un po' per voler dare una svolta alla sua noiosa vita da vedovo, un po' perché (in fondo) antifascista, si farà coinvolgere poco a poco fino all'attacco finale al neonato regime attraverso il suo giornale. Splendido quanto particolare romanzo: quella che leggiamo è la deposizione, o confessione di Pereira, rilasciata a non si sa chi. Le parole “Sostiene Pereira” vengono ripetute in maniera assillante, eppure, anche con questa fredda e distaccata descrizione dei fatti (quasi come in un verbale), riusciamo ad affezionarci tantissimo al gentile, premuroso e infelice giornalista. Capolavoro da bere in un sol sorso.
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Benni ha fatto di meglio (e molto)
Dopo il capolavoro “La grammatica di Dio”, Benni torna con un'altra raccolta di storie, che questa volta hanno come filo il paese di Montelfo, sulle colline bolognesi. Qui si intrecciano le vicende del bar Sport, del nonno, degli gnomi, della piazza, dei ragazzi che giocano a biglie, del cane più intelligente del mondo eccetera, e mentre i protagonisti raccontano con malinconia i tempi andati, sullo sfondo le ruspe del progresso scavano e abbattono alberi del bosco per far posto a strade e centri commerciali (come già in “Saltatempo”). Per me è la conferma che, con la vecchiaia, a Stefano Benni piaccia sempre meno parlare di cose fantastiche e sempre più di morte, distruzione e di “bei vecchi tempi”, con amarissima ironia. Molto meglio il libro precedente.
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brutta bestia, l'invidia
Avete più o meno 25 anni e non sapete che ne sarà del vostro futuro? NON leggete questo libro. E' stato redatto da un signore che, alla vostra età, si trovò davanti a un bivio: diventare un noto pianista free jazz o un famoso scrittore. Lui scelse la seconda, ma a voi probabilmente non è stata data nessuna delle due possibilità, e leggendo questo romanzo sarete schiacciati dalla supremazia pop-intellettuale dell'autore. Che disegna benissimo il profilo di un giovane tastierista di belle speranze nella Londra degli anni '80, coinvolto suo malgrado in un omicidio; romanzo romantico e thriller ironico, i cui capitoli sono scanditi dalle canzoni degli Smiths e il cui ordine è disturbato come ne “La casa del sonno”, pieno di flashback su flashback.
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Parte arrancando
Parte arrancando, il libro Firmino. Che tra un fatto, un evento e l'altro passano una trentina di elucubrazioni del personaggio, di Sam Savage (professore di filosofia) e di nessun altro. Un romanzo dove uno scrittore affida i suoi pensieri a un topo, anche se a nessuno interessano, questi pensieri. Ma poi alla fine parte, ed è una bella discesa verso la solitudine, la malinconia, la tragicità. Firmino non è un topo che legge, come molti recensori lo hanno limitatamente descritto, ma è un topo che vive in un quartiere degradato, che conduce una vita miserevole e insoddisfacente, amico di ubriaconi che "scivolano pian piano verso il nulla". Ne è ben consapevole, in fondo al suo cuoricino, e quindi cerca di godere al meglio delle poche cose belle che si trova davanti: i libri, i sorrisi di Jerry, il pianoforte giocattolo. Non è affatto il capolavoro che mi aspettavo, leggendone le critiche, ma tiene compagnia.
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