Opinione scritta da alan smithee

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    14 Settembre, 2011
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Il mal bianco

Nel bel mezzo del traffico cittadino di una imprecisata citta’ di uno stato non menzionato, nel presente o in un immediato futuro, un cittadino comincia improvvisamente ad accusare problemi seri alla vista.
Dice di vedere tutto bianco, rivolto disperato ai primi soccorritori. E’ l’inizio di una apocalittica epidemia, soprannominata “il mal bianco”, in quanto, a differenza della cecita’ comune, che immerge nelle tenebre coloro che ne sono afflitti, questa volta invece la malattia, che ha anche una repentina propagazione virale, avvolge i malcapitati in una patina bianca lattiginosa che li rende completamente ciechi.
I primi episodi vengono isolati in un ex manicomio fatiscente, dove vengono accolti da un lato i ciechi, dall’altro i possibili contagiati. Il panico si diffonde presto, la polizia innalza un regime marziale ricorrendo alla forza ogni qual volta si renda necessario.
Il romanzo si sviluppa attraverso le vicende e testimonianze di un gruppo di otto/nove malcapitati, tra i primi ad essere contagiati, e ne segue i drammatici sviluppi di fronte ad una societa’ che crolla su se stessa, e che, nonostante il dilagare della malattia, non rinuncia alla sopraffazione da parte dei piu’ violenti, ai danni dei piu’ deboli.
Saramago, con la sua scrittura tutta particolare, che prevede dialoghi strutturati senza interlinee e come se in realta’ le frasi pronunciate dai protagonisti venissero riferite da un terzo narratore che le riporta alla lettera, dà vita ad un romanzo – tra i suoi piu’ famosi – realmente angosciante: l’agonia di una razza umana che forse merita la fine alla quale e’ destinata, ma che non smette di lottare nonostante le mostruosita’ che la paura umana crea in ognuno di noi non appena perdiamo la percezione di cio’ che ci sta accanto.
Siamo dalle parti del Mc Carthy di La strada, salvo indulgere in questa notevole opera di Saramago ad un lieto fine, seppur piuttosto amaro; ma qui la catastrofe che incombe e’ ancor di piu’ una punizione divina in quanto l’uomo, almeno apparentemente, ne e’ solo vittima e non la causa.
Guidati dall’unica donna che si conosca risultata indenne all’epidemia, il gruppo dei protagonisti parte avantaggiato rispetto agli altri che brancolano nel biancore accecante, ma sara’ ancor piu’ di questo la capacita’ di aggregazione a permettergli di sopravvivere alla brutalita’ di un mondo tornato alle regole dell’istinto e della sopravvivenza animale.
Verso la fine, quando la situazione pare in miglioramento, la conclusione drammatica (ancor piu' moralmente che fisicamente) a cui giungera' uno dei protagonisti (l'oculista, marito dell'unica vedente) sara' che "secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono".
L’anno scorso il bravo regista brasiliano Fernando Mereilles (quello di City of God e di The Costant Gardner) ha trasposto piuttosto fedelmente sul grande schermo questo interessante romanzo, ambientandolo negli Stati Uniti, con un cast eccellente che annovera fra gli altri Julianne Moore, Marc Ruffalo e Gael Garcia Bernal fra i protagonisti. Tutto cio’ non e’ bastato affiche’ la miope organizzazione distributiva italiana procedesse alla regolare fruizione cinematografica, relegando il film ad una frettolosa uscita in dvd. Ne consiglio pertanto un recupero sotto tale formato per coloro che hanno apprezzato l’opera del grande scrittore portoghese.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    23 Agosto, 2011
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Je vous salue, Marie

Michela Murgia avverte subito il lettore che il suo libro non e’ un’opera sulla Madonna quanto piuttosto una riflessione - riccamente documentata e scritta con l’abilita’ espressiva e una godibilita’ di lettura gia’ apprezzata con il noto, premiato e intenso Accabadora , aggiungo io - sulla condizione diseguale della donna anche nei confronti dell’ordine religioso, che per sua vocazione e ragion d’essere dovrebbe al contrario garantire una parita’ di condizione con l’altro sesso.
Eppure la Murgia, con documentazione quasi matematica, ci smonta ogni luogo comune per dimostrare come anche e soprattutto la Chiesa nei secoli ha perpetrato una netta separazione tra i due sessi, facendo ricadere sul mondo femminile pesi, sensi di colpa e mancanze universali che solo in parte la figura imponente e strategicamente rivoluzionaria di Maria hanno saputo compensare.
E quindi dalla Creazione - in cui il peso del rifiuto della salvezza viene fatto ricadere in particolare sulla influenza tentatrice della figura femminile piuttosto che su una decisione presa con consapevole e deliberata scelta di coppia - fino alla marcata discriminazione sulla canonizzazione di figure femminili rispetto ai “colleghi” maschi, alla scelta di rappresentare la donna nell’ambito della coppia come un oggetto d’arredo piu’ che una colonna altrettanto portante al pari di quella maschile.
Una complessa e sentita osservazione che cattura sin dal suo avvio e ci fa capire come la natura umana riesca a deviare, perseguire e far soccombere sempre la parte apparentemente piu’ debole. Tutto queste argomentazioni sono affrontate con coerente lucidita’, senza prese di posizione prevedibilmente femministe, ma piuttosto coraggiosamente intransigenti verso comportamenti inqualificabilmente ingiusti e squalificanti nei riguardi della figura femminile, tanto piu’ folgoranti e forti se esposte , come in questo caso, con passione e intensa presa emotiva da una autrice tenace, forte di una fede e cultura cattoliche mai rinnegate, ma ragionate e seguite con deliberata convinzione, non certo subite con rassegnata, cieca ed acritica devozione.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    23 Agosto, 2011
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Un dolore necessario (?)

Peter Cameron mostra ancora una volta uno stile dinamico, brillante, spiritoso gia’ dalla prima pagina di questo coinvolgente romanzo che si legge d’un fiato. Tutto cio’ non attenua certamente la drammaticita’ di fondo che si annida nell’esistenza del diciottenne simpatico e singolare protagonista di questo bellissimo romanzo. I disagi dell’eta’ adolescenziale e post-adolescenziale vengono vissuti e spesso superati con una certa fatica da tutti coloro che, per carattere o predisposizione interiore, trovano inaccettabile il doversi omologare a mode, tendenze e costumi che poco o nulla gli appartengono. Un fenomeno che riesco a capire piuttosto bene in quanto anche io da ragazzo provavo un orgoglioso fastidio ad accettare tutta una serie di vincoli e interessi “d’ufficio” per quell’eta’ (calcio/discoteca/cazzeggio per intenderci), correndo il rischio di figurare come un ragazzo introverso e dal difficile coinvolgimento nella vita di gruppo.
James , a differenza dello stereotipo spesso attribuito al ragazzo problematico, e’ tutt’altro che taciturno, e al lettore risulta persino simpatico e piacevole nel suo innocente candore che lo porta a prendere una facciata dietro l’altra.
Approfittando di un lavoro occasionale estivo presso il bizzarro atelier di antiquariato dell’altrettanto eccentrica madre - fresca di un terzo matrimonio gia’ fallito dopo un paio di giorni di luna di miele a Las Vegas - il ragazzo trova molto affiatamento e una certa complicita’ nel trentenne colto e raffinato collaboratore della genitrice. Ma anche nei confronti di quest’ultimo un maldestro tentativo di risultare interessante ai suoi occhi ne pregiudichera’ quasi irrevocabilmente il rapporto.
Per fortuna esistono le nonne e James ne possiede una saggia, adorabile e con la quale aprirsi in confidenze che mai potrebbe condividere ad esempio con un padre vanesio e superficiale, una madre quantomeno bizzarra e una sorella “iena” come da precisa definizione del protagonista.
Il ragazzo, catalogato lapidariamente addirittura dai giornali come un “adolescente disadattato” in seguito ad una tragicomica trasferta a Washington per un concorso scolastico vinto “per sbaglio”, rifugge l’idea di iscriversi alla prestigiosa universita’ imposta quasi per risarcimento da due genitori pieni di sensi di colpa, e preferisce valutare la possibilita’ di acquistare una casa vittoriana nel Nevada con i soldi che papa’ e mamma sarebbero disposti a dilapidare per iscriverlo nel prestigioso ateneo, e lavorare in un McDonald imparando nel frattempo un mestiere creativo e concreto, piuttosto che dedicarsi a sfondare nello spietato mondo capitalistico di oggi.
Tutti sogni, anche suggestivi e fantasiosi forse, ma che denotano una spiccata personalita’, che il giovane mostrera’ ancor di piu’ nei confronti della singolare psicologa presso la quale verra’ dirottato. E’ proprio in occasione di quelle inutili quanto spassose sedute che il romanzo brilla per vivacita’, candore e sfrontatezza spontanea, che sono poi le doti essenziali di questo fantastico protagonista.
In attesa fremente dell'imminente adattamento cinematografico, a cura di una insolita coproduzione italiana sotto la direzione di Roberto Faenza.

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Quella sera dorata, Paura della matematica.
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    23 Agosto, 2011
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un'ultima via di fuga

“Scappare fortissimo”, o meglio “Scapare fortissimo” e’ uno degli immaginari bizzarri dialoghi fumettistici che Giovanni attribuisce simpaticamente ai suoi adorati gattoni siamesi Minna, Orazio e Jirca, ai quali e’ convinto si addicano piccole frasi dominate da superlativi assoluti a causa della rapidissima volubilita’ di carattere e d’azione dei tre felini.
Giovanni e’ un uomo d’affari furbo e spregiudicato che si occupa di marketing nel settore aeronautico ed e’ costantemente in viaggio dove lo portano le complesse attivita’ commerciali che presiede per una importante societa’ del settore. Il romanzo che lo vede protagonista e’ una lunga confessione senza tanti autocompiacimenti ma sviluppata con una sincerita’ schietta che non ammette autocommiserazioni ne’ tentativi di assoluzione. Il protagonista e’ un manager solo al mondo, a parte i tre affettuosi micetti e a parte lo stuolo di ragazzi ventenni che da una vita ormai caratterizzano la sua compagnia e la sua ossessione, la sua soddisfazione e il suo desiderio, tramite una sessualita’ che sfocia spesso nella contemplazione di corpi giovani e perfetti come quello che lui, ormai sessantenne, non ha piu’ e forse non ha mai avuto.
Manu, Jirca e Stronzetto sono in particolare i tre giovani a cui e’ stato piu’ legato, ai quali ha offerto anche opportunita’ rilevanti sia dal punto di vista economico sia affettivo, con particolare riguardo a Manu, l’unico vero legame che ha coltivato con una passione ed un coinvolgimento affettivo andato al di la’ della semplice soddisfazione fisica.
Ma quando anche le unioni piu' passionali giungono al termine piu’ inequivocabile, a Giovanni non resta che uscire di scena, con un colpo di coda che solo una vecchia volpe come lui riesce ad organizzare e realizzare.
Quasi un noir dell’anima, un thriller dei sentimenti, ma soprattutto un diario sentito anche molto intimo, forte ma non proprio scandaloso, di una solitudine in parte sopravvenuta, ma in parte anche ricercata con tenacia da un uomo che cavalca l’onda del successo e vive intensamente quegli attimi e quelle situazioni che scivoleranno lentamente e inesorabilmente via, come sabbia fine e impalpabile da un pugno serrato invano.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    23 Agosto, 2011
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L'istinto o la regola?

In natura l'animale nasce dotato di un istinto che lo guida a compiere, gia' appena nato, quei passi fondamentali e non cosi' scontati che si rivelano indispensabili per la sopravvivenza.
L'uomo invece - razza assai strana - per sopravvivere nella giungla metropolitana da lui stesso creata - sopprime l'istinto di sopravvivenza con regole e convenzioni maturate nel tempo, che si ispirano a principi ritenuti necessari e doverosi per una sana e corretta convivenza, e che - una volta seguiti e rispettati - dovrebbero facilitare l'individuo a "vivere la comunita'".
"Le correzioni" dei coniugi borghesi americani Alfred ed Enid Lambert, apportate con scrupolosa attenzione nella vita e negli atteggiamenti dei loro tre figli Gary, Chip e Denise, sono tutti accorgimenti presi per poter assicurare loro un futuro migliore e una vita di successo. Il problema e' pero' che nessuno dei tre puo' definirsi felice e realizzato: ne' Gary, il maggiore, ottima carriera come dirigente di banca ma con giganteschi problemi familiari riconducibili ad una moglie terribilmente viziata ed infantile, immatura e ricattatrice che lo conduce ad uno stato depressivo/ossessivo irrecuperabile. Ne' Chip, secondogenito problematico, professore disoccupato in quanto licenziato con l'accusa di molestie sessuali ai danni di un'alunna e - se non bastasse - impegnato in loschi traffici in un paese dell'Est europeo. Ne' infine Denise, cuoca affermata, ma con evidenti problemi di identita' sessuale, incapace fra l'altro di coltivare e mantenere una relazione sentimentale con uomo o donna con cui si relazioni.
Ma "correzioni" sono anche quelle che tre figli ormai adulti vogliono imporre ai loro anziani genitori, nell'illusione di poter garantire loro una vecchiaia meno problematica e piu' longeva, ma anche per risparmiarsi un bel po' di problemi. Gary, il piu' affarista, desidera che i vecchi vendano la casa che hanno sempre abitato per trasferirsi in un posto piu' comodo ed accessibile, e specula su alcuni brevetti sottovalutati creati dal padre; Denise vuole persuadere la madre a sottoporre il marito malato di Alzheimer ad una cura sperimentale non ancora testata a sufficienza, che possa ritardare gli effetti drammatici e inesorabili legati alla malattia. Chip illude i genitori inscenando una carriera giornalistica che non esiste ne' mai sara' in grado di intraprendere.
La famiglia Lambert e' insomma il prototipo del sogno infranto americano, e Franzen mai come in questo intenso e composito romanzo riesce a disegnarci cinque ipocriti, disperati ma a tratti anche commoventi e umanissimi personaggi che insieme appunto costituiscono "L'America Oggi", cioe' la societa' che si riterrebbe "civilizzata", ma che in relta' si riduce ad una rappresentazione di una deliberata autodistruzione, di una ossessione irrefrenabile, di una incontenibile maniacalita'.
La festa di Natale tanto desiderata dalla anziana Enid riesce miracolosamente a radunare, almeno per pochi istanti, tutti assieme questi cinque individui: in quei pochi istanti tutto quello che da anni ribolliva dentro ogni animo viene fuori, e la verita' tenuta nascosta o i sentimenti repressi, una volta a galla, fanno molto male e lacerano il cuore e l'animo, pur disilluso, di ognuno di loro.
Come spesso capita tuttavia la vita va avanti comunque, anche se come nel caso del vecchio Alfred, egli non vuole piu' continuare a vivere cosi: l'andare avanti per inerzia non e' nelle intenzioni del malato, ma la correzione finale che il padre chiedera' al figlio prediletto Chip non sara' accolta in quanto inammissibile, e dunque non verra' esaudita.
Franzen scrive con quest'opera il suo capolavoro, e una sorta di "grande freddo" familiare tra i piu' sofferti, penosi e alla fine commoventi degli ultimi decenni, evitando anche il minimo accenno al melodramma e ricorrendo ad una narrazione scandita per personaggi e non per avvenimenti, in modo da percorrere tempi e situazioni secondo diverse angolature che rispecchiano il carattere dei cinque memorabili e complessi personaggi della variegata famglia Lambert.

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L'ultima opera di Franzen, Liberta'
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    04 Luglio, 2011
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libero arbitrio

La storia degli ultimi cinquant’anni della famiglia Berglund diventa - con la piacevole e intrigante scorrevolezza senza veli e licenze della brillante penna di Franzen - la rappresentazione dell’epopea americana, del sogno a stelle e strisce di una intera generazione, quella dei cinquanta/sessantenni di oggi, giovani rampanti dei favolosi ed effimeri anni ’80, e dei loro figli nell’attuale vuoto generazionale e di contenuti degli anni pre-crisi economica del post 11 settembre.

Franzen ha la capacita’ di creare un romanzo di cosi’ vasto respiro da diventare un classico moderno che spazia dalle singole crisi personali dei due protagonisti assoluti (i fidanzati/coniugi in difficolta’ Walter e Patty – nell’arco temporale dalla adolescenza alla maturita’), a problematiche di tipo ambientale, razziale e civico che sono poi i grandi enigmi in cerca di una soluzione dell’eta’ moderna, di una societa’ ormai matura ma giunta forse al punto di saturazione.

A fronte di cio’ l’”Americano” di umili origini di Franzen ha la capacita’ e l’astuzia di crearsi il proprio castello di valori, su cui poggeranno tutte le sue (fragili) certezze e la sua bella e agiata esistenza. Walter predica la salvaguardia degli spazi verdi e i pericoli cagionati dal sovraffollamento umano sul pianeta, ma non si fa scrupolo di scendere a patti con i piu’ laidi magnati dello sfruttamento energetico senza freni, per la salvaguardia delle proprie teorie; procrea in eta’ giovane due figli e desidera una nuova famiglia anche in un’epoca in cui potrebbe essere un nonno benestante e realizzato; soffoca una moglie che adora ma della quale non percepisce le potenzialità inespresse di fronte alla sua inarrestabile carriera di salvatore del mondo; si disegna un ruolo di padre moderno e di larghe vedute, ma rimane una figura scomoda e poco presente nella confusione spensierata del simpatico figlio Joel, protagonista di alcuni dei momenti piu’ esilaranti ma al tempo stesso toccanti del romanzo.

Memorabile e determinante per legare insieme le varie vicende e’ anche la figura dolente ma sempre cosi’ ironica di Patty, la donna che per tutta la sua esistenza non ha mai saputo amare la persona giusta: e’ legatissima e in sintonia col fidanzato e marito Walter, che finisce per amare con rassegnazione, ma col quale non ha il trasporto che prova e provera’ per sempre nei confronti del piu’ sgangherato e geniale miglior amico di quest’ultimo, il cantante e “costruttore di terrazze” Richard Katz. Alto bello e dinoccolato, quasi un sosia del giovane Gheddafi, Katz e' il sogno subito proibito e poi concretizzato di una unione clandestina ma ben meno forzata di quella contrattuale con il proprio marito sognatore, profondo, ma anche sconsolante ritratto dell'anti-erotismo.

L’opera procede in “disordine” cronologico, ma grazie a cio’ diventa sempre piu’ coinvolgente e ad incastro, facendoci capire molte cose al tempo giusto e senza fretta, prendendosi il suo tempo con un suo ritmo da grande classico dei nostri primi anni dieci.

E’ la prima opera di Franzen che affronto, cui seguira’ subito dopo, grazie all’entusiasmo con cui ho accolto questo splendido romanzo e per non perdere il giusto sentimento, l’altrettanto celebrato e promettente “Le correzioni”, di cui cerchero’ di riferire molto presto, appena sara’ possibile.



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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    01 Giugno, 2011
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attrazione fatale

Storia di un "amour fou" coltivato piu’ che concretizzato, l’ultima opera di Cunningham raffigura la crescente “attrazione fatale” di un realizzato (almeno in apparenza) gallerista quarantenne della Grande Mela per un giovane prestante ragazzotto furbino, dalle idee un po’ confuse, almeno in apparenza.
Fin qui capirai la novita’… ma a complicare la vicenda c’e’ il fatto che il giovane risulta nientemeno il fratello della moglie, da sempre sogno proibito e segreto del nostro protagonista… . Wow che brivido, che novita’ piccante!!!
Personalmente ritengo che la rappresentazione di una borghesia annoiata e insicura, dedita a spacciare forme di rappresentazione d’arte alternative spesso di pessimo gusto per capolavori, abbia davvero stancato. Ricordo l’imbarazzo provato nel vedere una delle ultime opere cinematografiche del pur grande Woody Allen ( l’insulso Vicky Christina Barcellona) che per temi trattati e vacuita’ di contenuti mi ricorda molto lo stile di questa vicenda tutto sommato solo pruriginosa.
Certo, e’ pur vero che finche’ esiste un ceto dominante disposto a farsi imbambolare da questi fatui mercanti d’arte, vicende come queste sono almeno una naturale conseguenza di questa noia esistenziale dilagante.
Ben gli sta allora al fin troppo cauto protagonista il giochino ricattatorio programmato dal genero birichino!
Certo rimane la professionalita’ di base di uno scrittore raffinato, con un romanzo forse scritto fuori tempo o prematuramente demode’.
Provate in piu’ ad affrontare subito dopo questo libro (come ho fatto io senza un calcolo preciso) un’opera densa e matura come Liberta’ di Franzen e confermatemi se quest’ultimo non sgretola senza pieta’ le potenzialita’ del primo, lasciando solo un senso di vuoto, smarrimento, inutilita’…Se e’ questo il senso del romanzo di Cunningham, allora e’ perfettamente riuscito.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    31 Mag, 2011
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L'oscura insensatezza del cuore umano

Che piacere ritrovare lo Stephen King dei vecchi tempi, o quasi.
Si perche', a mio avviso, raggiungere le vette invalicabili di capolavori assoluti come Shining sara' probabilmente impossibile, ma riscontrare che il celebre scrittore si avvicina ai migliori risultati dei primi bei romanzi anni '70/'80 e' una vera bella notizia.
L'ultimo libro e' un poker di racconti (di cui almeno due romanzi brevi) molto diversi tra loro, accomunati pero' tutti dalla geniale capacita' del maestro (del brivido naturalmente, per restare nel clichè) di rappresentarci quattro disperati che si rendono protagonisti di azioni efferate ed omicidi in nome di una speranza, di un progetto, di una sopravvivenza.
Anche la persona piu' mite, una volta angheriata dalla sgradevole consorte (un "1922" quasi straziante), o la scrittrice stuprata fin quasi alla morte ("Maxicamionista" un cult x una possibile trasposizione cinematografica in salsa tarantiniana) , o ancora il mite bancario con i giorni contati ("la giusta estensione" - breve incubo senza fine), o infine la casalinga che scopre di convivere da decenni con un efferato assassino ("un bel matrimonio", storia di ordinaria follia omicida seriale) - puo' trasformarsi in belva feroce e attaccare per non essere attaccata, in modo da avere salva la vita.
In fondo l'autore ha sempre ritenuto che noi tutti non siamo altro che esplosivi innescati che la mala sorte puo' far scatenare senza preavviso. Ognuno dei personaggi sopra citati inoltre mantiene, nella spregiudicatezza delle proprie azioni, una umanita' che li rende tutto sommato sempre delle figure positive, anche perche' i cattivi, quelli veri in questo romanzo, fanno davvero paura...
E poi questa perfetta capacita' di rappresentare l'inquietante periferia americana - culla di mostri e teatro di efferati crimini impuniti - e' il trait-d'union dell' intera opera del genio del Maine.
Ottima infine, a mio giudizio, la traduzione di Wu Ming 1, che contribuisce alla perfetta riuscita del libro.

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i primi capolavori di King, da Shining a Carrie, da Le notti di Salem a Misery
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    16 Mag, 2011
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una giornata particolare

George e' solo: il suo compagno e' recentemente morto in seguito ad un incidente stradale. Egli e' un apprezzato professore inglese trasferitosi a Los Angeles e, con la scomparsa del suo amato Jim, vive d'inerzia un'esistenza all'insegna dell'abitudine e dell'ordinarieta'. Siamo negli anni '60 e nella perbenista societa' borhese americana il protagonista viene guardato, se non con sospetto, certo con un senso di imbarazzata compassione, che lo porta sempre piu' ad estraniarsi dal resto del mondo. Per fortuna esiste ancora la vecchia cara Charley, un'amica divorziata e neanche troppo segretamente infatuata del suo Geo, che frequenta ogni settimana con un ricorrente invito a cena. E poi c'e' la palestra, l'insegnamento, c'e' Kenny, uno spigliato e attraente studente universitario infatuato del suo professore.
Organizzandosi la vita in modo abitudinario George, pur molto addolorato per la perdita del proprio convivente, e' comunque comvinto di essere riuscito a trovare un precario ma soddisfacente equilibrio. Ma proprio il giorno che matura questa convinzione qualcosa nel suo organismo si inceppa.
Un romanzo rivoluzionario se si tiene conto dell'epoca in cui fu scritto; parte un po' lento e subito disorienta un po', ma presto si entra nelle abitudini e nell'animo malinconico del professore che pare di vivere e percorrere le stesse scelte di quella ordinaria sua ultima giornata.
Tom Ford, lo stilista, ha tentato recentemente di passare alla regia trasponendo questo struggente romanzo. Ne e' venuta fuori una rappresentazione tutta esteriore, tipica di un mondo fasullo visto con lo sguardo poco realistico di un uomo di moda, che rappresenta lusso, vestiti meravigliosi e piante ornamentali ovunque, anche a casa di Charlotte, lei cosi' trasandata e pasticciona - nel romanzo - trasformata nella piu' raffinata bella donna della California. Decisamente tutta un' altra rappresentazone rispetto a quanto si legge in questo notevole ultimo romanzo di Isherwood.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    26 Aprile, 2011
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La bimba che non osava ribellarsi

Si puo’ nascere bambini buoni e ubbidienti, remissivi e timidi, ed avere una storia da raccontare da cui possa nascere un romanzo se non avvincente almeno tenero, interiore e intimamente coinvolgente?
La risposta e’ si, per fortuna. Dunque basta bambini pestiferi, basta personalita’ forti e spiccate, spazio alla normale timidezza e alla ordinarieta’, all’ubbidienza, con cui la piccola Anna affronta le insidie e le incongruita’ che la vita in famiglia le pone innanzi. E’ emblematica e tenerissima la scena della prima confessione - preludio della comunione che le verra’ impartita entro poco - in cui la bimba, incerta e imbarazzata prima di essere ascoltata dal vescovo a proposito delle proprie colpe, esordisce con un tenero e forzato “ogni tanto disubbidisco ai miei genitori” concordato a tavolino con i propri compagni di sventura….pur sapendo - lei a differenza degli altri - che invece se c’e’ un peccato che non le si puo’ attribuire e’ proprio questo appena ammesso.
Anna vive malinconica e triste in una famiglia di buona gente, timorata di Dio e per questo sempre incline alla penitenza, al calvario, all’espiazione. Anna - ragazzina intelligente e amante della solitudine, della lettura dei classici e del teatro – soffre silenziosa e infelice le incongrue scelte della madre, che, in buona fede, la sottopone a estenuanti visite caritatevoli a lontani parenti, remoti conoscenti o amici di costoro presso lo spettrale ospedale cittadino, le ricama vestitini lasciati a meta’ per risparmiare sul filo creandole imbarazzo con i compagni di scuola, la sottopone a feste di compleanno di massa ammucchiate con quelle degli altri fratelli per sacrosante esigenze di risparmio.
La bimba patisce molto queste imbarazzanti situazioni; potrebbe anche ribellarsi, come tanti altri coetanei, a questa esistenza di coercizioni, ma preferisce sopportare in silenzio, anche a costo di consumare lacrime amare di tristezza e solitudine. Per fortuna il terrazzino del titolo le accorre in soccorso per ospitarla in un monto tutto interiore dove le buone letture la isolano in un limbo benevolo e assolutorio.
Un bell’esordio per Anna Marchesini, grande personaggio televisivo degli anni ’80 e ’90, che non rinuncia a regalarci qua e la’ qualche scenetta spumeggiante degna dei migliori numeri del mitico Trio. Tutto il resto e’ una tenera descrizione interiore di una nascente personalita’ castrata dall’ubbidienza e dalla regola in nome di una educazione che spesso sfocia in irresponsabile illogico fanatismo.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    07 Aprile, 2011
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intimita' e disagio

La matematica da ragazzo mi ha sempre intimorito a tal punto da creare in me una sorta di barriera invisibile che mi convinceva della mia totale ineguatezza ad affrontare ogni quesito o esercitazione previsto dal programma scolastico. Ho lottato a lungo per vincere queste paure, e non penso di esserne ancora uscito completamente, tanto che sensi di disagio e insicurezza mi accompagnano frequentemente nelle difficolta' di ogni giorno.
Apprezzo dunque il pudore e la sincerita' con cui Cameron esprime questi sentimenti nei protagonisti di sei brevi ma intensi racconti. Fra questi un padre morente racconta al figlio ritrovato le coincidenze che l'hanno fatto incontrare con la sua futura moglie; due ragazzi innamorati si lasceranno per l'incapacita' di uno di questi di esternare i propri reali sentimenti persino ad una nonna malata ma piu' perspicace di quanto non sembri; un ragazzino non riesce a spiegare a genitori e insegnanti che il disagio che prova e' ben piu' complesso del dispiacere derivante dalla morte accidentale del suo cane; una ragazza rimette in discussione la propria vita e decide di affrontare un esame di matematica che la sfianca ancora prima di rendersi conto delle reali difficolta' della vita, ben diverse e piu' sfaccettate rispetto a quelle di un singolo e apparentemente insuperabile esame scolastico. Storie di vita, banalmente ordinarie nella loro globalita' ma straordinariamente intense e toccanti se analizzate nell'ambito di ogni singolo carattere e sensibilita'.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    06 Aprile, 2011
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Il "trait d'union" che non conoscevamo...

Tra il 1860 e il 1900 importanti avvenimenti condizionano i destini dell'Italia nascente e di tutta Europa.
Chi se non Eco poteva riuscire a trovare un personaggio (o forse due...no no in realta' forse uno solo!!) che potesse in modo credibile collegare gli avvenimenti e i complotti che dallo sbarco dei Mille a Marsala si avvicenderanno nei decenni coinvolgendo illustri nomi come Ippolito Nievo e il generale Dreyfuss, sette sataniche e correnti antisemitiche che generereanno i piu' grandi orrori del secolo successivo?
Nessuno, appunto tranne l'autore.
La vicenda inizia con la brillante ascesa nell'attivita' di falsario di atti notarili da parte del protagonista capitan Simonini, losco individuo che odia allo stesso modo ebrei e donne, e ama le pietanze raffinate e le trame piu' sordide per accrescere il proprio patrimonio, suscitando un comprensibile crescente disgusto nel lettore.
Il losco personaggio, affetto da una improvvisa amnesia, e' costretto a trascrivere gli episodi salienti della sua avventurosa esistenza di codardo per cercare di venire a capo dell'intrigo in cui si e' imbattuto, e comprendere anche se e' davvero minacciato dal misterioso abate Dalla Piccola, altro bell'elemento quanto a virtuosismo e moralita'.
I misteri si infittiscono, le morti violente pure, e la storia scrive le pagine piu' importanti che segneranno i destini italiani ed europei.
Progetto ambiziosissimo quasi impossibile da realizzare dicevamo, ma riuscito grazie alla cultura immensa appannaggio dell'autore. Certo non e' tutto digeribile come una mentina di zucchero e qua e la' la pesantezza del tomo porta a scoraggiare anche il lettore animato dalle migliori intenzioni e dotato altresi' di un tempo libero ormai merce sempre piu' preziosa.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    06 Aprile, 2011
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Heimat o 900 atto III:una imponente saga familiare

La saga dei Peruzzi, famiglia numerosissima di mezzadri veneti emigrati nell'Agro Pontino post bonifica dopo aver perso tutti i propri averi (maledetti i Zorzi Vila!!!), ha il respiro di un'epopea e il passo di un romanzo epico straordinario, che giustifica il titolo (forse un po' azzardato, ma non troppo, per chi sa di cosa sto parlando quando cito le due straordinarie opere cinematografiche - titaniche per lunghezza e spessore qualitativo - di Edgar Reitz e Bernardo Bertolucci) che ho attribuito alla mia opinione.
Pennacchi scrive la storia drammatica e sincera di una famiglia patriarcale specchio dell'Italia da inizio secolo fino agli anni '50, dove i comunisti diventano fascisti ma continuano a sudare (altro che) sette camicie per tirare avanti a sopravvivere.
Il nonno, gli zii Pericle, Adelchi, Iseo, Temistocle, Treves, (diavolo di un) Turati, il nipote Paride e poi le donne. E che donne!! una nonna decisa, dolce ma inflessibile quando si tratta di prendere una decisione che riguarda la famiglia e poi la splendida Armida, che con le sue api sembra uscita da un romanzo della Allende, o personaggi minori ma fantastici come la velenosa Bissolata, caratteraccio e temperamento di una serpe biforcuta.
Al di la' dei riconoscimenti ottenuti, per una volta sacrosanti e meritatissimi, si tratta, a mio modesto avviso, dell'opera italiana piu' importante del primo decennio di questo secolo.
L'ho letto tutto d'un fiato il romanzo di Pennacchi, nonostante le oltre 450 pagine e ho pensato alle fatiche dei miei nonni, e di molta altra gente che ha saputo costruire le basi fondamentali della vita che oggi ci troviamo gia' tracciata.
Sara' tutto cio' ben merito di un autore dalla grande capacita' narrativa e organizzativa? Destreggiarsi cosi' mirabilmente in tutto questo complesso materiale (che e' la storia dei primi 50 anni del '900 fra le due terribili guerre mondiali) e con tutti questi personaggi, rispettandone caratteri e sfaccettature, e' a mio avviso sintomo di piena maturita' e completezza. Caratteristiche che lo accomunano, insieme alla coralita' del soggetto trattato, con i due grandi registi sopra citati.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    05 Aprile, 2011
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Appunti per un ritorno alla forma migliore

A mio avviso Giorgio Faletti ha uno stile di scrittura eccezionale. Elegante, accattivante, molto suadente.
Dopo la personale folgorazione per l'opera di esordio "Io uccido", che mi vanto di aver acquistato e letto ben prima che scoppiasse la febbre mediatica del passa parola, ho accolto le opere a seguire spesso con perplessita' e un po' di delusione. In tutte rimaneva lo stile, ma a non andare proprio, del tutto o in parte - a mio giudizio - era la storia.
In quest'ultima opera Faletti tralascia - per fortuna - ogni trovata fantastica o giochetto ad incastro, ogni ambientazione straniera (basta metropoli newyorkese, basta l'esotica terra dei Sioux, per carita'!) per nulla congeniali o credibili addosso ad un autore italiano, per ambientare (benissimo) un thriller teso e piuttosto avvincente nella Milano drammatica degli anni di piombo.
E se forse alla fine l'autore ha la tendenza a spiegare sempre troppo la soluzione (mai come in Io sono Dio, viva Iddio!!!) o a creare a tutti costi un effetto a sorpresa di troppo, in fondo si tratta pur sempre, in questo caso, di peccati veniali che non pregiudicano gravemente il complesso dell'opera.
Certo, ripetere l'esito quasi pefetto di Io uccido e' dura, ma e' il prezzo che si paga dopo un esordio cosi' travolgente.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    24 Marzo, 2011
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La banda dei cinque

Ho scoperto Malvaldi al supermercato facendo la spesa. Ammetto che la scena non e' delle piu' idilliache ma grazie all'esposizione massiccia operata con studiata abilita' commerciale nel grande punto vendita ove mi servo abitualmente, sono stato efficacemente attratto dal lavoro di questo giovane scrittore toscano, pubblicato dall'editore del piu' noto scrittore e giallista italiano dell'ultimo decennio. Ho comprato i primi tre romanzi e - come spesso mi succede quando scopro un autore - ho iniziato la lettura osservando l'ordine cronologico.
Il piccolo romanzo, ambientato in una popolare localita' turistica dell'alta Toscana, e' molto divertente, scoppiettante almeno come il carattere fumino dei quattro arzilli vecchiacci che popolano il Bar-Lume, epicentro di una inchiesta su un omicidio di una giovane ragazza un po' troppo disponibile.
L'indagine finisce per coinvolgere gran parte della popolazione che frequenta il locale, anche perche' il gestore dello stesso - il burbero e irriverentemente sincero Massimo - diventa uno dei testimoni oculari del ritrovamento del cadavere.
Indagini semiserie, divertenti, ed efficacissima coreografia - solo apparentemente di contorno - capitanata dai quattro anziani che si riparano dalla canicola estiva fra le mura del bar, passando le ore a giocare a briscola e a osservare tutta la vita che scorre accanto. Un esordio apprezzabile e molto promettente.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    20 Marzo, 2011
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Zuckerman strikes back!

Nathan Zuckerman e' tornato! Ritorna protagonista di un romanzo di Roth e ritorna a New York. Questa volta per sottoporsi ad una delicata operazione necessaria per porre rimedio alle perdite urinarie derivanti dalla operazione alla prostata a cui e' stato sottoposto precedentemente. Nella city lo scrittore viene subito coinvolto negli interessi di tre individui piuttosto singolari che in qualche modo condizioneranno le sue scelte di vita. In primo luogo una coppia di giovani scrittori che gli propongono uno scambio di alloggio: il loro splendido appartamento nel centro di N.Y. in cambio della piccola e vecchia casa sui monti del New England dove lo scrittore si e' rifugiato da oltre un decennio, per scrivere isolato e protetto dalle minacce di cui era stato vittima in passato nella metropoli e curare la propria malattia; il secondo approccio e' quello con l'anziana e malata compagna di Lonoff, uno scrittore ebreo ormai misconosciuto che Zuckerman ha apprezzato e rispettato in gioventu' e del quale e' stato giovane discepolo; il terzo individuo e' un giovane ambizioso scrittore senza scrupoli che cerca di sfruttare un segreto piuttosto imbarazzante su Lonoff, legato ad un presunto incesto, per scrivere una biografia non autorizzata ne' tanto meno voluta dagli eredi del defunto e dimenticato scrittore.
Intrappolato in una ragnatela apparentemente inestricabile, Zuckerman riesce infine ad uscirne grazie alla potenza della scrittura: egli trarra' spunto da questi individui eterogenei e maniacali per sviluppare un romanzo che prendera' la forma di un lungo dialogo tra un "lui" e una "lei" basato sulle sue ultime esperienze di vita. Tornano gli argomenti e le ossessioni di Roth, il desiderio e l'impotenza, l'erotismo e la malattia, che rendono Zuckerman l'alter-ego di questo geniale scrittore. Il romanzo e' piu' complesso di quanto possa sembrare in apparenza e alterna l'esperienza dello scrittore a N.Y. alla storia che quest'ultimo decide di scrivere, ispirato dalle proprie intricate vicende personali. Un'altra grande opera di uno dei massimi autori contemporanei.

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i precedenti romanzi con Zuckerman protagonista e tutta l'opera di Roth
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    08 Marzo, 2011
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Sopravvivere sul fiume

Il fiume scorre, e anche la vita sbandata di Suttree scorre, si reinventa ogni giorno con le magre opportunita' che il livido corso d'acqua fornisce al protagonista di questo epico affresco della vita misera e grigia della povera provincia americana degli anni '50.
Suttree sopravvive, dopo aver scontato la sua pena, in una fetida baracca ai bordi del fiume, ove si guadagna quel poco che gli basta per vivere pescando e barattando pesci gatto.
Sul suo cammino ecco apparire, quasi come portati dalla corrente, bizzarri ed inquietanti personaggi, tutti randagi e perdenti almeno come colui che li accoglie, li ascolta, li osserva ma non li giudica e non pretende di condizionarli, forse conscio della propria estrema ineluttabile marginalita' in un territorio gia' al confine da ogni civilta'.
Non e' certo un libro facile o piacevole, questo di McCarthy, ma quale libro di questo staordinario e apocalittico autore lo e' stato fino ad ora? Forse in quest'opera, corposa e composita piu' di altre, maturata in tempi creativi piuttosto lunghi, emerge definitvamente il senso epico di una categoria di miserabili e reietti finalmente protagonisti assoluti di un mondo disperato, eppur cosi' umano.

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Romanzi erotici
 
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    01 Marzo, 2011
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bang bang: la fine del porno

Terzo romanzo che affronto di seguito che ha come sottofondo il cinema...solo che in tal caso si parla di porno. Anzi, il porno lo si sta girando...una gigantesca ammucchiata durante la quale la pornostar Cassie Wright tenta di passare alla storia battendo un precedente record: una donna contro 600 uomini. Quel diavolaccio di Palaniuk ambienta la vicenda durante la lunga attesa che spetta a tre dei seicento partecipanti, il numero 600, vero protagonista della vicenda, il ragazzino nr. 72 (e' davvero il figlio della pornostar protagonista?) e l'ambiguo e kitch Mr. 137.
Che dire? Palaniuk e' un geniaccio; parla di atti sessuali, membri, organi riproduttivi, atti sessuali e liquidi organici con una naturalezza di un cuoco in un ricettario di cucina: dopo qualche pagina non sembra piu' un tabu' ne' l'argomento, ne' le situazioni sempre al limite della rappresentazione circense. Di erotico rimane ben poco, ma tutto cio' e' assolutamente premeditato e va ad aggiungersi ai meriti dell'autore, che descrive un mercato dei corpi senza ergersi mai a giudice. Fantastici ed esilaranti i titoli dei film porno che vengono citati nel racconto, che alludono a originali capisaldi della storia del cinema.
Un ulteriore tassello importante di una carriera assolutamente unica dello scritore statinitense. Un'opera irriverente che forse solo Palaniuk avrebbe potuto scrivere. E un dubbio: sara' una santa (o una cinica calcolatrice) questa pornostar che intende immolarsi alla causa per devolvere il frutto del proprio sacrificio al figlio generato per sbaglio ad inizio carriera?

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...gli altri romanzi di Chuck Palaniuk, ai palati forti, a chi non si scandalizza tanto facilmente....
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Romanzi
 
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    28 Febbraio, 2011
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una "Daria" potente

Quello che mi colpisce di piu' di Daria Bignardi e' lo stile essenziale eppure cosi' accattivante ed ironico della sua scrittura. Per un anno in famiglia siamo stati abbonati a Vanity Fair e io ogni settimana aspettavo questa rivista (per il resto patinatissima e raramente interessante) per leggere la rubrica della Daria. Ogni settimana la scrittrice ci intratteneva (penso succeda ancora oggi) con argomenti di attualita'e costume, a volte anche leggeri o lievi ma scritti cosi' bene che ho spesso provato una sana invidia (ma piu' che altro vera e propria ammirazione) per come riuscisse a scriverli con la naturalezza con cui le cose si pensano. In questo suo primo vero romanzo (il bel autobiografico "Non vi lascero' orfani" sembra rispetto a questo piu' un'opera seconda) Daria riesce a tradurre in scrittura chiara e lineare pensieri e turbamenti della protagonista (una regista italiana quarantenne ormai affermata) che sono poi le stesse incognite e dubbi che di ognuno di noi prima o poi nella vita deve affrontare. La struttura del romanzo alterna capitoli - tutti veloci e di gran ritmo - relativi alla vita odierna della protagonista, ad altri che partono dai primi vent'anni di Eugenia che fugge a Londra, poi a Milano, poi negli Usa e che dal marketing la portano quasi per caso ad affacciarsi nel mondo del cinema. Dal primo cortometraggio sulle emorroidi ai film di fiction premiati ai festval piu' prestigiosi. Ma le insicurezze di Eugenia non l'abbandonano nemmeno ora che potrebbe essere una donna realizzata. Bel romanzo, questa volta senza sopresa perche' sapevo bene quanto valesse Daria Bignardi scrittrice dopo il felice esordio dell'anno precedente.
Secondo romanzo sul cinema che affronto, subito dopo l'altrettanto bello ma diversissimo "Fare scene" di Starnone, cui seguira' (sempre casualmente e per chiudere una trilogia sul "fare cinema") un altra opera sul cinema...ma stiamo parlando di quel satanasso di Palaniuk, e ve ne parlero' piu' avanti...se vorrete.

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Non vi lascero' orfani
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Gialli, Thriller, Horror
 
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    08 Febbraio, 2011
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La prima stagione del commissario Ricciardi

Il senso del dolore e' il primo romanzo di una quadrilogia delle stagioni che l'autore ha dedicato alle indagini del commissario Luigi Alfredo Ricciardi. In una Napoli di fine marzo 1931 spazzata da un vento gelido e tutt'altro che promettente, il giovane commissario viene chiamato a risolvere un complicato omicidio di un celebre tenore avvenuto nel Real Teatro di San Carlo poco prima dell'anteprima della rappresentazione de "I Pagliacci".
Schivo e asociale, malvisto dai superiori spesso inetti e raccomandati, Ricciardi e' dotato di un'abilita' fuori dal comune che lo rende indispensabile nella soluzione dei casi piu' complicati.
Il giovane poliziotto e' infatti in grado di interpretare, di percepire gli ultimi attimi di vita delle vittime di morti violente, e questo dono spesso lo aiuta nella soluzione dei casi piu' complessi.
Giallo coinvolgente con accuratissima ambientazione storica, che si tinge di fantasy e soprannaturale (una sorta di "sesto senso" letteraio, molto di moda ora al cinema dopo l'omonimo film di Shyamalan di qualche anno fa e ora con l'ultimo Eastwood - Hereafter e l'Inarritu di Biutiful, ma molto meno scontato in un romanzo storico), quest'opera prima risulta a mio parere coinvolgente e narrativamente molto convincente, anche nel finale, nota dolente di molti romanzi di genere di autori ben piu' noti e celebrati. Non resta che proseguire nella lettura delle altre tre stagioni, che fanno molto ben sperare nella fortuna di un personaggio che ha tutte le carte in regola per rivaleggiare ad armi pari con il (per ora) piu' noto (e contemporaneo) commissario Montalbano.
Soffia anche una piacevole aria cinematografica che fa pensare (o sperare) in future trasposizioni sul grande schermo.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    08 Febbraio, 2011
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L'ombra di un bestsellers

In una Barcellona cupa e misteriosa anni '50, ancor segnata dai travagli della guerra civile ed ora in balia dell'oppressivo regime franchista, il giovane Daniel, orfano di madre, e' cresciuto nel decoro grazie al premuroso padre libraio; costui, anche per cercare di distogliere il sensibile figlio da un senso di perenne malinconia per la perdita dell'amata madre, lo avvicina - con esiti presto quasi morbosi - ai piaceri della lettura. E' infatti in occasione di un compleanno del ragazzo che il libraio presenta il giovane figlio ad una associazione clandestina di vecchi e misteriosi collezionisti di libri, gestori anonimi ma solidali del cosiddetto "Cimitero dei libri dimenticati", che ha sede proprio a Barcellona, tra i quartieri piu' degradati della grande citta' spagnola. Come rito iniziatico viene offerta al giovane la possibilita' di "adottare" un libro di uno dei molteplici autori pressoche' misconosciuti che affollano le vecchie e umide stanze di quella lugubre biblioteca. Quasi a caso, nell'effettuare la sua scelta, il giovane Daniel si imbatte nella rarissima e preziosa opera di un misterioso autore franco-spagnolo, Julian Carax, molto apprezzato qualche decennio addietro dagli addetti ai lavori, ma del tutto ignoto al grande pubblico. Il romanzo adottato dal protagonista, dal titolo "L'ombra del vento", suscita nell'avido giovane lettore un interesse fuori misura che lo spinge a cercare sempre piu' avventurosamente notizie e nuovi libri del suo emblematico e maledetto autore. Durante queste affannose e rischiose indagini Daniel si imbatte in personaggi bizzari e anche pericolosi: tra i primi e' doveroso citare l'anarchico Firmin, tra i secondi il mefistofelico Lain Coubert, un tenebroso individuo che ha assunto lo pseudonimo del diavolo come avviene nel piu' noto romanzo di Carax. Da qui il romanzo procede in modo rocambolesco e piuttosto avvincente verso una soluzione che e' un peccato mortale anticipare ai pochi che non hanno ancora affrontato l'opera. Certo e' che il romanzo ti cattura presto grazie ad una atmosfera torbida ed intrigante, e ad una, anzi ben due tortuose storie d'amore contrastate che procedono, con un ventennio di distanza, in modo ellitico, alternandosi nello svolgimento. Nell'affrontare le due vicende con cadenza alternata spesso si corre il rischio di perdere un po' il filo, anche per la presenza di numerosissimi personaggi secondari che rischiano di confondere un po' il lettore. Forse conscio di cio' l'autore a circa meta' romanzo da' vita ad una serie di piccoli romanzi nel romanzo e comincia a fornirci spiegazioni, a chiarire freneticamente, quasi ossessionato nell'intenzione di far "quadrare il cerchio". Ed infatti poi alla fine tutto quadra perfettamente.
Certo se le ambizioni dell'autore sembrano quelle di creare il romanzo di riferimento del decennio, come lo e' stato "Il nome della rosa" per gli ottanta, o "La casa degli spiriti" per gli ottanta/novanta, lo stile, o almeno quello che traspare dalla traduzione italiana, e' certamente quello del romanzo che deve piacere a tutti, del Ken Follet che accontenta un po' tutti i gusti e tutto il variegato pubblico dei lettori. Questo troppo marcato intento commerciale a mio avviso finisce per svilire un po' il risultato complessivo dell'opera, comunque avvincente e spesso brillante e anche spiritosa, ma che si accontenta di risultare a questo modo una pregevole operazione acchiappa pubblico e soldi, come confermato dai brillanti risultati conseguiti dall'opera di Zafon in tutto il mondo.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    07 Febbraio, 2011
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gli spietati

Veloce e asciutto come la sceneggiatura di un film di denucia anni '70 di Petri o Damiani, con L'intermittenza troviamo un Camilleri ben diverso da quello dei gialli di Montalbano o dei romanzi storici siciliani. Si tratta di una saga che si dipana veloce nel giro di solo alcuni giorni nel mondo spietato e corrotto della grande industria italiana, tra capi famiglia scaltri ma vecchi e senza un seguito dinastico valido, amministratori delegati arrivisti e senza scrupoli, sopraffatti a sua volta da vicedirettori scaltri e calcolatori che ne seducono le consorti, donne bellissime, zoccole e senza scrupoli. E poi nuovamente giovani bellissime nipoti di ex magnati dell'industria che tentano la scalata usando il proprio corpo come ultima e unica risorsa disponibile, segretarie votate a custodire segreti cruciali sedotte da abili manipolatori; e in fondo, proprio sul fondo, un mare di povera gente, di operai, di formiche spazzate via dal vento impetuoso dell'avidita' e del potere. Una scelta imprenditoriale guidata dal calcolo politico corrotto mette in ginocchio dall'oggi al domani centinaia di lavoratori ai quali disperati non resta che barricarsi sulle ciminiere nel tentativo sempre vano di scongiurare il peggio. Un racconto veloce, incalzante, che corre via in un fiato lasciando amarezza e pessimismo, ma non certo incredulita', in quanto la realta molto spesso - forse anche in questo caso - supera la finzione.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    06 Febbraio, 2011
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attenti a quei due...

Operazione furba, a tavolino, fatta per far soldi..certo certo...
Pero' non e' sempre cosi' scontato che due maestri del giallo italiano (e nessuno dei due ne aveva veramente bisogno, ritengo) si incontrino e decidano di unire le forze (e i loro beniamini) per dar vita ad una intricata storiella gialla, neanche tanto banale fra l'altro. E poi l'idea di condurre un indagine (e strutturare interamente un romanzo seppur contenuto) in forma epistolare e' senza dubbio l'idea piu' riuscita di tutta l'operazione, soprattutto se si pensa che in un'epoca di telefonini, sms e facebook, la scrittura via lettera e' un retaggio ormai desueto ai piu'. Montalbano e Grazia Negro ricorrono al rapporto epistolare per risolvere senza essere intercettati un complicato caso di omicidio che nasconde un'intricata storia di spie, servizi deviati, assassine procaci e pesci rossi.
Nessuno dei due scrittori rinuncia al piu' tipico cliche' dei loro rispettivi protagonisti e addirittura Lucarelli concede un cameo a quel casinaro di Coliandro che in quattro righe riesce a fare un casino degno della sua fama.
Nulla di piu' ma certamente l'occasione di svagarsi un'oretta o poco piu' con l'inedita coppia di due tra i piu' famosi e brillanti eroi italiani del noir contemporaneo.

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Lucarelli e Camilleri
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Gialli, Thriller, Horror
 
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    24 Dicembre, 2010
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Imperial bedrooms - Bret Easton Ellis

Clay e' tornato, venticinque anni dopo, in una Los Angeles contemporanea che, agli occhi cinici e spietati di Ellis, appare pressoche' identica a come l'avevamo lasciata nei furoreggianti anni '80: vuota, vacua come le migliaia di effimere starlettes, promesse mancate di un cinema alla deriva dei contenuti, ma anche spietata e cruda con i deboli, accogliente e prerogativa di successo con i sempre piu' arroganti arrampicatori sociali, gli stessi appunto di 25 anni prima, qualora sopravvissuti agli eccessi di una gioventu' allo sbando. Ellis scrive quasi sempre lo stesso romanzo, sia che parli di lui in prima persona, ossessionato dai fantasmi delle sue creature su carta (Lunar Park, geniale), sia che riprenda le vicende di alcuni dei suoi cinici giovani protagonisti, che oltrepassate le quaranta primavere sembrano impassibilmente trattenere l'immaturita' e la spietatezza che gia' caratterizzavano le vuote esistenze nel campus universitario negli '80. Eccellente come gia' in precedenza la traduzione a cura di Giuseppe Culicchia, che cattura lo stile sorprendente di Ellis riproponendocelo in modo esemplare.

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Meno di zero e Le regole dell'attrazione
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    14 Dicembre, 2010
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Io e te di

E' sempre un piacere quando ho notizia di un nuovo romanzo di Ammaniti. E in questo caso anche un po' una sorpresa in quanto non mi aspettavo una uscita cosi' ravvicinata rispetto alla precedente opera, risalente a neanche un anno fa.
Quello che rende a mio avviso straordinario questo piccolo romanzo e' che ho ritrovato nel giovane Lorenzo - protagonista assoluto dell'opera - me stesso ai tempi delle scuole superiori, con le mie insicurezze, le mie paure, la mia asocialita' che mi facevano rifuggire i fenomeni di massa e tendere ad isolarmi dalle grandi compagnie.
Fosse capitato anche a me quindicenne l'occasione di fingere di andare in settimana bianca per rinchiudermi in cantina con libri, fumetti e generi alimentari di fortuna e l'occasione di trascorrere un periodo insolitamente lungo con tutto cio' che mi potesse infondere sicurezza e conforto non me la sarei certo lasciata scappare. Ed e' proprio quello che fa Lorenzo, che con una certa abilita' organizzativa e grazie anche all'aiuto del progresso di fine secolo (vedi uso cellulari) riesce davvero in questa insperata audace impresa. Nasconto nella dimenticata cantina del suo palazzo, piena di vecchie carbattole della precedente proprietaria, Lorenzo intende trascorrere la prima tranquilla vacanza della sua vita. Ma il sogno del giovane nerd viene interrotto dalla improvvisa irruzione della problematica sorellastra, prima d'ora relegata da Lorenzo a figura di secondo piano, balorda e senza alcun spessore. Grazie ad una drammatica convivenza di un paio di giorni, durante i quali la ragazza tenta anche di uscire dalla tossicodipendenza, tra i due fratelli nasce quell'intesa che prima d'ora sembrava impensabile e che li unira' indissolubilmente fino al tragico epilogo, che ci fara' a rrivare ai giorni nostri.
Ammaniti anche in questa occasione si conferma lo straordinario regista dell'inquieta eta' adolescente che gia' aveva caratterizzato le sue opere migliori.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    14 Dicembre, 2010
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Accabadora di Michela Murgia

A Bonaria Urrai "non si e' mai aperto il ventre, e Dio sa se lo avrebbe voluto. Tuttavia anche lei aveva una sua parte da fare e l'ha fatta. E' stata l'ultima, l'ultima madre che alcuni hanno visto". Questo e' il fulcro del bel romanzo di Michela Murgia, ambientato prevalentemente nella Sardegna rurale dei primi decenni del '900, dove spesso, qui come altrove, le famiglie naturali in difficolta' cedevano a quelle piu' agiate e senza prole i figli non desiderati o che comunque non sarebbero riusciti a far crescere dignitosamente.
E' cosi' che Maria, intelligente bambina ultimogenita, orfana di padre, viene affidata alla misteriosa e cupa Bonaria Urrai, anziana donna rimasta sola dopo la morte del promesso sposo in guerra nel continente. La vita con la nuova madre tuttavia non e' cosi' dura come potrebbe accadere nelle favole e anzi Maria stringe presto un legame solidale e a suo modo affettuoso con la vecchia sarta, che rimane certamente una figura ambigua e indecifrabile, ma che garantisce alla giovane una vita senz'altro piu' agiata rispetto a quella presso la famiglia di origine, permettendole di proseguire anche gli studi verso i quali la giovane si dimostra molto portata.
Il romanzo procede con stile scarno, che lascia tuttavia spazio a notevoli e incisive descrizioni di luoghi, atteggiamenti e situazioni inerenti la vita della piccola Maria presso la riservata madre adottiva. E un velo di suspence accompagna il lettore nella progressiva consapevolezza di Maria sul vero ruolo della madre adottiva nella societa' locale, in quel microcosmo in cui ogni ruolo e' attribuito dalle circostanze ineluttabili della vita. E la lezione che Bonaria Urrai impartisce alla piccola: "Non dire mai: di quest'acqua io non ne bevo" si rivela quanto mai vera e anticipatrice dei futuri eventi.
Meritatissimo Premio Campiello 2010.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    20 Novembre, 2010
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Silvia Avallone

Acciaio per indicare la degradata periferia industriale di Piombino, con le sue spettrali imprese siderurgiche, ma penso anche per farci percepire la durezza, la freddezza o l'immenso calore che sprigiona da questa lega metallica e di conseguenza le estreme contraddizioni che caratterizzano le esistenze modeste ma desiderose di riscatto di molti dei protagonisti e co-protagonisti di questo incisivo romanzo d'esordio di una tosta ventiseienne biellese.
La fabbrica e' sia l'Inferno (calore da altoforno e fatica e sudore) sia un Limbo che ti permette di vivere o sopravvivere nelle vicine case popolari, formicaio che accoglie chi si accontenta. Ma per arrivare al Paradiso (che e' proprio di fronte, la splendida ma-non-per-tutti Isola d'Elba, vero e proprio miraggio nel romanzo) non puoi rimenere in fabbrica, devi riuscire in qualche modo a "sfondare".
L'amicizia affettuosa da un lato, morbosa dall'altro tra due belle e molto diverse teenagers toscane e' il presupposto per raccontare un mondo di disagio giovanile aggravato da problematiche familiari piuttosto serie in un contesto popolare dove la rassegnazione spesso vince sul desiderio di giustizia e riscatto; dove l'espediente, il raggiro, la voglia di crescere ad ogni costo dimostrano da un lato la necessita' ancora viva di emergere e riscattarsi, ma dall'altro che le possibilita' di farlo con la forza dell'impegno e dell'onesta' non esistono purtroppo piu'.
Tutti noi penso desidereremmo tornare giovani e belli, ma dopo aver letto questo schietto e assolutamente realistico romanzo non so oggi chi si sentirebbe ancora in grado di reggere una seconda volta il peso dei quattordici anni, e la spietatezza di una eta' in cui neanche soldi e bellezza bastano ormai piu' per garantirti un futuro in posizione dominante; dove la diversita' e l'essere fuori dagli schemi ti mette automaticamente fuori gioco. Il tutto in un contesto economico-politico odierno forse ancora piu' grave del gia' tragico 2001, anno terribile in cui il romanzo si inserisce perfettamente con il suo schiacciante realismo, frutto probabilmente di una esperienza parzialmente autobiografica di questa nuova scrittirce molto promettente.

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Un giorno perfetto di Melania Mazzucco
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    31 Ottobre, 2010
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La versione di Barney di Mordecai Richler

Il canadese Mordecai Richler immagina che uno dei figli di un abile e scaltro produttore televisivo di prodotti spazzatura ritrovi ed adatti (con puntuali e doverose correzioni) un diario del padre nel quale questo racconta, spiega e commenta molti episodi della sua turbolenta (e talvolta comica) esistenza: il tutto con speciale riferimento alla sua vita sentimentale, strutturando l'opera in tre parti con i nomi delle tre donne che lo hanno amato, odiato, sopportato.
Come spesso capita nei diari, il romanzo e' "sconvolto" molto spesso da fuorvianti digressioni che, specie nelle prime 150 pagine, creano una certa perplessita' (soprattutto se, come me, si e' reduci da lettura di romanzi tradizionali e molto lineari) e che si spiegano poi in seguito con la grave malattia degenerativa legata alla vecchiaia che colpisce il protagonista.
Consiglio tuttavia i lettori a non demordere e andare avanti, poiche', dopo le accennate prime 150 pagine, la materia si fa decisamente piu' accattivante, divertente e brillante, e Barney sfodera finalmente quel lato sfrontato, burlone e cazzone che lo rendono davvero irresistibile. Il rapporto con la "seconda signora Panofsky" e' esilarante dall'inizio alla fine, e anche la conquista della meravigliosa Miriam risulta molto divertente.
Sulla fine l'opera si tinge anche di giallo, toccando ambientazioni processuali con esiti spesso spassosi e, in generale, e' ammirevole il fatto che il grande scrittore canadese sia riuscito a dare anima e simpatia ad un mediocre ignorante superficialone come Barney Panofsky.
Affrettatevi ad affrontarlo prima che esca l'ormai imminente versione cinematografica con Paul Giamatti e Dustin Hoffman, presentata con successo all'ultima Mostra del cinema di Venezia.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    16 Ottobre, 2010
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Il peso della farfalla di Erri De Luca

Di Erri De Luca apprezzo in particolare l'intensa umanita' che emerge dalle sue storie e vicende umane, o almeno dai (ancora pochi) suoi libri letti fino ad oggi. L'autore inoltre dimostra sempre una notevole capacita' di sintesi, dote spesso non presente in tanti illustri suoi colleghi.
Questo racconto e' in effetti una favola, senza con cio' voler essere limitanti o critici, come e' una ottima favola quella del disneyano Bambi, anch'egli orfano per causa di un cacciatore e anch'egli quadrupede molto simile al nostro protagonista (con un po' di approssimazione o disinvoltura oserei dire che camosci e cerbiatti potrebbero essere lontani parenti).
La sfida tra il re dei camosci e il cacciatore, un cattivo si, ma con dei principi (oggi, nella vita reale, i nostri cattivi sono avidi cannibali, affamati di potere e di ricchezza, senza alcuna remora nei confronti di noi umili erbivori) assume toni quasi epici e appassionanti, che diventano magici nel finale con l'intervento silenzioso ma determinante della farfalla.
Da consigliare per la lettura nelle classi elementari piu' elevate.

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    13 Ottobre, 2010
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Quella sera dorata di Peter Cameron

Ottimo romanzo questo di Cameron. Scrittura classica, elegante, raffinata ma anche estremamente coinvolgente. Dialoghi frizzanti e ben scritti, 5 personaggi davvero interessanti che si confrontano tra loro, dispensano consigli, difendono le proprie convinzioni, amano, osano sfidare i propri limiti, e lasciano che il tempo scriva i loro destini.
Una vera sorpresa questo bel romanzo, che consiglio vivamente a tutti.
Ora cerchero' di non perdermi la trasposizione cinematografica del grande James Ivory

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    05 Ottobre, 2010
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Kafka sulla spiaggia di Murakami Haruki

Si tratta della prima opera di Murakami che affronto, lo dico subito.
Non immaginavo proprio di imbattermi in questo avvincente guazzabuglio narrativo, che spazia (quasi in ordine cronologico, se ricordo bene) dal dramma familiare alla fuga on the road, dalla favola (i gatti che parlano!?!)al romanzo erotico altamente esplicito, dall'horror piu' cupo al fantasy che neanche Paolini con i suoi draghi ha osato tanto.
Insomma, quel che voglio dire e': come fa a non piacere un romanzo del genere, che accontenta tutti i gusti e (quasi) tutte le eta'? Ed infatti questo Kafka piace a tutti, e molto anche.
Aggiungo che la traduzione italiana mi e' sembrata molto accurata e la lettura molto scorrevole nell'incalzante ritmo alternato che incastra letteralmente il lettore alla pagina. Seppur non sempre le due vicende attraggano nella medesima misura (personalmente ho trovato molto piu' interessante la vicenda intima - e anche molto morbosa - del Kafka quindicenne, piuttosto che le tragicomiche avventure del vecchio Nakata - lo scimunito piu' brillante e intelligente mai letto prima) bisogna ammettere che il romanzo scorre molto bene e mantiene desta l'attenzione.
Certo oltre ai gatti che parlano - di cui ho gia' accennato sopra - i camionisti melomani, le pietre magiche, i soldatini fantasma e gli aliens del finale mi sembrano davvero troppo. Murakami pero' riesce con destrezza a fermarsi sempre sull'orlo del precipizio e a driblare con maestria gli ostacoli apparentemente invalicabili della complessa vicenda narrata.
Insomma tanto di cappello, ma non certo entusiasmo. Questa e' la mia opinione. Forse in mano a Terry Gilliam potrebbe diventare il Brazil degli anni '10. Staremo a vedere.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    06 Settembre, 2010
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TRE SECONDI di Roslund & Hellstrom

L'ennesima uscita di un thriller strillato come l'ennesimo capolavoro assoluto dell'anno si rivela pero' questa volta in grado di mantenere - almeno in parte - quanto promettono le spesso ingannevoli fascette pubblicitarie che ormai accompagnano indiscriminatamente opere d'arte e ciofeche illeggibili.
Da qualche mese mi sono stufato del "giallo nordico", dopo la crescente delusione maturata leggendo i tre romanzi di Larsson (delusione accentuata ulteriormente dalla visione degli sciatti omonimi film svedesi), dopo una piacevole-ma-niente-piu'opera di Anne Holt e, in controtendenza rispetto a questi ultimi, dopo la felice scoperta della coppia Sjowall/Wahloo che mi ha fatto chiudere il capitolo con piu' ottimismo.
Ora e' toccato a Tre secondi, che si rivela subito un romanzo teso, avvincente, forse un po' convenzionale, a volte prevedibile, ma assolutamente godibile nella sua stuttura veloce ed avvolgente.
Eterno e non nuovo confronto a distanza tra due protagonisti non certo originali ma tratteggiati con sapienza: l'uno, ex criminale ora infiltrato come talpa in un giro di traffico di droga nelle carceri svedesi, e destinato a venir "bruciato" dai suoi stessi illustri datori di lavoro; l'altro, un classico poliziotto vicino alla pensione, afflitto da mille acciacchi fisici e psichici, da sensi di colpa paralizzanti, scostante quanto determinato sulla pista fiutata, scontroso e antipatico con i colleghi, ma assolutamente adorabile per i lettori.
I due si inseguono per tutto il "film" (ops - racconto, ma sembra davvero un film, un bel film alla Michael Mann!), si rincorrono e si cercano ma non si incontrano mai, anche se.. .
Speriamo che gli americani (e non gli svedesi, per carita', che hanno appena affossato la gia' fiacca e verbosa trilogia larssoniana) ci facciano davvero un film. Mann ne trarrebbe quasi certamente un capolavoro, sul genere di Heat-La sida (ma sperare in una cosa del genere e' come credere ai miracoli o al super-enalotto); tuttavia anche un abile mestierante come McTiernan, Gary Gray o Renny Harlin potrebbe realizzare un blockbuster con i fiocchi.
Protagonisti gia' individuati: Jason Statham e' la talpa Piet Hoffman/Paula, mentre il grande Johm Lithgow e' il nevrotico Ewert Grems, anche se i piu' gli preferirebbero il piu' noto Al Pacino.
Aspettiamo, aspettiamo dunque..che il film si fara'..ma intanto passiamo ad un altro libro..e cambiamo decisamente genere..

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alan smithee Opinione inserita da alan smithee    16 Agosto, 2010
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Stabat Mater, di Tiziano Scarpa

Confesso che ci ho messo molto a comprarlo, il libro di Scarpa, (aspettando da bravo ligure diffidente l'uscita dell'edizione economica e perche' no? lo sconto che ogni 2 mesi le case editrici in crisi puntualmente offrono sulle loro pubblicazioni). Non riuscivo a trovare quello stimolo che mi spinge a cominciare un nuovo romanzo appena terminato il precedente. Poi alcune notti fa, insonne in seguito ai disagi del jet leg dell'ultima vacanza, mi sono fatto coraggio dicendomi che al peggio sarei almeno riuscito ad addormentarmi. E invece la sorpresa, tanto piu' gradita in quanto inattesa: l'ho letto tutto d'un fiato quella notte stessa emozionandomi molto, provando tenerezza e compassione per la giovane Cecilia, alla ricerca determinata e risoluta della proprie origini. Ho apprezzato molto la delicatezza ma anche la schiettezza con cui ci viene presentata la protagonista e la lucida determinazione con cui la giovane scrive le sue lettere-diario ad una mamma che sa in partenza che non incontrera' mai.
Efficace la figura del giovane e fulvo maestro Vivaldi, che nella seconda parte ruba un po' la scena alla protagonista, ma conferisce brio e ritmo al romanzo.
Sarebbe ora davvero un sogno venire a sapere che uno dei piu' grandi maestri del cinema italiano, Ermanno Olmi, trovasse in questo romanzo lo spunto per tornare al cinema di finzione che pare invece purtroppo non interessargli piu'. Il geniale autore di "Lunga vita alla signora" potrebbe a mio avviso adattare alla perfezione i tempi lenti e le atmosfere magiche del notevole lavoro di Scarpa.

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La Lunga attesa dell'angelo, di Melania Mazzucco, per certe atmosfere legate alla condizione delle monache in convento.
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