Opinione scritta da mariaritatraina

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mariaritatraina Opinione inserita da mariaritatraina    21 Febbraio, 2011
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IL VIZIETTO DEL FILOLOGO

Quando ami la letteratura e ti ritrovi, dopo anni frequentati in una seria università, ad armeggiare spesso con le armi della filologia, ti verrebbe voglia di piangere. L'innocenza e la felicità che il mondo libro ti apriva quando la tua mente, per quanto poco consciamente, nenache sospettava l'esistenza di certe questioni, per così dire 'tecniche', gradualmente si perdono nell'erudizione e nel cavillo, sminuendo la magia che la scrittura sa dare a chi la ama. Allora c'è da chiedersi: come fa uno come Segre, grandissimo critico e profondissimo conoscitore della letteratura italiana e romanza (ma non solo), studioso tra i più importanti del nostro panorama culturale (cioè, quello che resta) a scrivere delle narrazioni dimenticando di essere quello che è?
Semplice, non ci riesce, anche se il risultato artistico definitivo è buono. Anzitutto il libro, per le sue sottili allusioni e le delicate ironizzazioni, presuppone un pubblico abbastanza eletto. Per quanto i racconti in loro stessi siano piacevoli e leggibili, tutta la loro novità si può misurare solo conoscendo (anche non in profondità, ma più si conosce più si apprezza) gli originali, in quanto su questi si misura e si sbriglia la fantasia dell'autore. Che cerca di creare varietà stilistiche, polifonia di voci, giustificazioni fantastiche, sliding doors narrative. E lo fa con abilità.
Le storie sono brevi, snelliscono opere contenute in migliaia di versi (la chanson de roland) o in lunghi anni di vita (machado e guiomar), ci mostrano un'Isotta che sembra uscita da una battaglia sessantottina con un linguaggio da teenager e un malinconico Pavese sbattuto tra le titubanze di un ipotetico ritorno impossibile.
Il fatto è che in tutto permane sempre quell' "in più" che differenzia un critico da uno scrittore e che allo stesso tempoè un "in meno": c'è un sottofondo continuo, come dei violini ostinati che sussurrano,che più che suggerire giustificano e cercano di indottrinare narrando. Pertanto i nodi delle storie restano solo tali, non vengono sviluppati, le trame sono ridotte all'osso.
In definitiva, è una buona lettura per chi volesse saperne di più sulla letteratura europea - la varietà dei racconti si potrebbe definire cronotopica - ma odia i manuali scolastici. E diventa un'ottima lettura per chi afferra tutti i giochi che l'autore si diverte a inscenare con la tradizione, salvo sentirsi, a volte, di fronte all'ennesimo (as)saggio di storia della letteratura.

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mariaritatraina Opinione inserita da mariaritatraina    15 Dicembre, 2010
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NON TRA LE MIGLIORI

Purtoppo lo scrittore portoghese nei racconti brevi non da' il meglio di sé.
Se la reificazione dell'uomo nell'era del capitalismo viene rovesciata paradossalmente in mirabolante umanizzazione delle cose per permettere quell'acuta analisi della realtà contemporanea attraverso dei racconti che mimano più che dichiarare, l'intenzione risulta però troppo più grande del risultato artistico e, trattandosi di Saramago, dispiace.
Sono delle narrazioni poco legate - in apparenza - le une alle altre, ma che in realtà cercano di riportare alla luce quel sovraffolamento (e quasi sordo protagonismo) degli oggetti nel mondo, lasciando presagire che anche noi, esseri umani, non siamo che delle cose tra le cose.
La critica sociale è velata o per raffinati, come l'elenco di tutte le sigle, in 'Embargo' dei vari uffici amministrativi e degli apaprati governativi, che riprende le ossessive sigle coniate dai regimi dittatoriali del primo novecento. La cupezza di questi racconti che sembrano non avere né un inizio né una fine riecheggia molto da vicino l'abbacinante e tragico biancore dell'umanità di 'Cecità'. Non è un libro di racconti: piuttosto lo si potrebbe definire un commento narrato di Saramago (quasi una 'rubrica' nel senso medievale del termine) a quelli che sono, che erano i suoi interessi sociali e civili, i quali sarebebro confluuiti poi, con maggiore organicità, nel Quaderno on line. Senza narrazione, pura analisi.

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mariaritatraina Opinione inserita da mariaritatraina    19 Luglio, 2010
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CERCAVO UN LIBRO DA LEGGERE NEL CESSO

Ebbene,
c'è un tipo di scrittura che è difficile catalogare dentro l'insieme mobile della letteratura. questo è un libro dove il pastiche postmodernista rivela tutta la sua stanchezza. non basta mettere una nota a conclusione di un finale insulso quanto tutto quello che l'ha preceduto, giustificando anacronismi e fantasie eccessive che il lettore attento aveva già captato prima. la trama è priva di spessore, la prevalenza della scrittura autobiografica imita il frammentismo di tardo ottocento risultando una soluzione poco avvincente. ma al di là di questo un lettore con un minimo di aspettativa nei confronti di un libro che ha vinto lo strega resta deluso.
volendo essere buoni e per convincersi di non aver buttato 10 euro dalla finestra, il lettore cerca di trovare qualche appiglio, qualcosa che gli renda iteressante il libro. ma brancola in un baratro di incongruenze. infatti, la prima parte, eccessivamente concentrata sul malessere della ragazza, è una litania sottovoce e disarticolata, un frutto acerbo e caduto, come se lo scrittore volesse dipingere una figura depressa, ma gli mancasse la pazienza per farlo. ovvietà da sceneggiatura di infimo film rosa. allora, lo stile. magari è frammentato perché l'autore vorrebbe riflettere la mancanza di unità nell'interiorità di Cecilia. assolutamente no. è solo una sconclusionata alternanza di periodi che si sudsseguono a casaccio, ripetitivi, monotnoni, noiosi. infine, qualche lumicino lontano lontano sembra fare occhiolino: l'autore riflette sulla musica, sulle parole. specialmente in relazione a quest'ultime c'è da segnalare: a un certo punto cecilia dice di non conoscere il significato di parole come passione amore etc (è una ragazza che viene da fuori a importarle là dentro)... se non nelle sfumature religiose che gli sono state date lì, tra le quattro mura del convento. è vero che possiamo non sentire quello che non sappiamo nominare. ma la maggiore delusione è proprio data dall'incoerenza tra quest'idea e la sua resa stilistica: in altre parti del testo la ragazza seidicenne cecilia utilizza termini che sicuramente le erano (parliamo di sfumatura o di profondità semantica, al di là della storicamente testimoniata esistenza delle stesse all'epoca)sconosciuti, in contesti specifici. la luce viene brutalmente spenta ancora prima di poter palpitare una sola e debole volta. il libro pecca, come molti prodotti di un postmodernismo ormai esautito, di un'enorme incongruenza che ci fa apparire i personaggi come assolutamente poco credibili. è uno schizzo trascritto dietro la lista della spesa.

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