Opinione scritta da Indigowitch
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Complesso e intriso di sofferenza
Un romanzo che ho letto qualche tempo fa, centellinandolo.
Protagonista, una donna senza nome che torna nel suo luogo natio alla ricerca del padre.
E' accompagnata dal fidanzato, e da una coppia di amici.
Loro non sanno il vero motivo del viaggio, pensano di andare lì per girare una sorta di documentario.
La Atwood è una delle autrici canadesi più famose, non amata proprio da tutti ma indubbiamente talentuosa.
Il filo conduttore del romanzo è il ritorno alla natura selvaggia, quella in cui la protagonista è cresciuta anche grazie all'educazione spartana ricevuta dai genitori, ed è una natura misteriosa, che rischia di essere invasa e rovinata da chi non sa vivere a contatto con essa.
Si percepisce un forte astio verso gli americani, visti come invasori ed estranei.
Ma più di tutto emerge un quadro di vita sofferto,che la donna senza nome cerca di ricostruire, nell'indifferenza dei suoi tre accompagnatori, la cui pochezza d'animo è agghiacciante.
Vengono a galla, in questa silenziosa ricerca di un padre che non apparirà mai, ricordi di famiglia, con una madre carismatica ma probabilmente affetta da turbe psichiche.
Viene a galla un passato sentimentale terribile, segnato una figura maschile fredda ed egoista e dal fantasma di un aborto.
Ma è tutto così accennato che è difficile essere certi del passato di questa donna: solo il dolore è vivo e palpabile.
L'elemento acqua, onnipresente nelle descrizioni, simboleggia il ciclo di vita, morte e rinascita alla quale la protagonista si sottoporrà per poter trovare un senso alla sua esistenza.
Sinceramente speravo in conclusioni diverse, soprattutto in uno squarcio di felicità più "pieno" per questa povera donna senza nome.
Ma è comunque un bel romanzo ed è ottimo per avvicinarsi alla letteratura canadese.
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Non ora, non qui.
Che dire...In poche pagine Erri de Luca condensa un affascinante discorso alla madre, scevro da sentimentalismi, pieno di considerazioni così vere e toccanti che ci si sente pienamente coinvolti in quello che scrive.
Con la consueta "autenticità", de Luca ci offre squarci della sua infanzia, vissuta in un quartiere povero di Napoli, dell'adolescenza e infine della maturità con pennellate rapide e incisive.
Nulla di particolarmente originale, si dirà, ma sta di fatto che quest'autore riesce, con poche frasi scarne, dolorose, scavate nel midollo profondo del ricordo, a scatenare emozioni fortissime.
Le sue riflessioni mi suonano sempre stranamente familiari e le apprezzo proprio perché non c'è nessun intento, da parte dello scrittore, di propinarti le frasi a effetto che piacciono tanto a certi autori contemporanei.
De Luca piace o non piace, non ci sono vie di mezzo.
Spesso gli scrittori di talento sono come dei funamboli, sperimentano soluzioni stilistiche originali, cercano di affabulare il lettore, o di scioccarlo o di colpire il suo senso estetico o la sua emotività.
Erri De Luca ti affascina con la sua profondità d'animo, ma senza pretendere di fare l'artista.
E' uno scrittore onesto, che non ti prende mai per i fondelli, vero.
E a mio parere, oltre ai geni e ai funamboli, ci vogliono anche scrittori come lui.
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Abissi e vulcani
Lowry è un autore poco conosciuto,se a torto o a ragione non sta a me dirlo. Di certo "Sotto il vulcano" è l'opera più nota e completa, frutto di un lavoro tormentato che ha visto Lowry in perenne conflitto col suo editore a causa di scelte stilistiche che lo scrittore difese con tutte le sue forze.
E' una storia ambientata nel Messico degli anni trenta, che ha come protagonista l'ex-console britannico Geoffrey Firmin, alcolizzato e alle prese con i fantasmi del passato e un matrimonio fallito.
La storia si svolge durante la Festa dei Morti, molto sentita in Messico, e vede protagonisti, oltre al console, il fratellastro Hugh, giovane idealista, e Yvonne, la famigerata ex-moglie, tornata all'improvviso da Geoffrey con la speranza di ricucire i rapporti.
La narrazione è frammentaria, allucinata, fitta di riferimenti simbolici e letterari, da Dante a Goethe, passando per Conrad, la Bibbia, la Cabala.
Nel romanzo si intrecciano sempre due livelli, quello simbolico-esoterico, rappresentato dal viaggio interiore di Geoffrey nel suo inferno personale, e quello storico-politico, che ci mostra un Messico flagellato da tensioni intestine tra i rivoluzionari e i sinarquisti (il sinarquismo era un movimento nazionalista in opposizione al partito rivoluzionario messicano).
Lowry aveva scelto il Messico come ambientazione sia perché lo conosceva bene (era un grande viaggiatore), sia perché la sua conformazione territoriale, così peculiare e contraddittoria, divisa tra vulcani imponenti e profondi crepacci, rifletteva simbolicamente la condizione dell'uomo, eternamente diviso tra il cielo e gli abissi infernali.
E' un'opera che va letta più volte, altrimenti potrebbe risultare oscura o poco incisiva.
Io l'ho amata molto, l'ho trovata suggestiva e trascinante, malgrado l'incipit lento, e mi è piaciuto il modo in cui l'autore ha indagato i dissidi interiori del suo protagonista.
Molto bella la traduzione italiana di Giorgio Monicelli, che ha cercato di rendere giustizia ai funambolici giochi di parole di Lowry e al suo stile visionario.
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Un classico che subisce l'usura del tempo
E' un classico che purtroppo subisce l'usura del tempo.
In una Trieste affascinante, Emilio Brentani si innamora di Angiolina, una ragazza molto bella ma anche molto diversa da lui.
Emilio è il classico sognatore,velleitario, ma completamente fuori dal mondo, incapace di dare una svolta alla propria vita.
Grande amico dell'artista Stefano Balli, seduttore spregiudicato, non riesce ad assimilare da lui quel poco di malizia che lo riparerebbe da tante delusioni.
L'idealizzazione di Angiolina è spinta fino all'inverosimile, e il protagonista risulta ridicolo al lettore,che ha capito fin dall'inizio che la ragazza sbarca il lunario accompagnandosi di volta in volta ad uomini diversi.
Che Angiolina non sia uno stinco di santo e che di angelico abbia solo la chioma bionda e gli occhi ceruli lo capisce anche il Balli, che la soprannominerà, col tono becero che lo contraddistingue, "Giolona".
All'epoca il romanzo deve aver suscitato curiosità, ma di questi tempi risulta un po' antiquato.
Brentani è un po' il prototipo dell'uomo mediocre che aspetta sempre di potersi esprimere davvero, nella sua arte e in amore, ma non riesce mai veramente a emergere.
In Angiolina vede quel tocco di colore che manca alla sua esistenza grigia, vissuta con la sorella Amalia, donna affettuosa e devota ma un po' dimessa.
Tuttavia il protagonista non si rende conto che, inseguendo questo ideale di donna che non esiste, si sta cacciando in una mediocrità peggiore di quella nella quale vive.
I classici servono a farsi un'idea di come si scriveva un tempo, e di cosa si scriveva.
"Senilità" mi è piaciuto meno de "La coscienza di Zeno", forse perché troppo deprimente e privo di quel pizzico di ironia che c'era in Zeno, ma vale comunque la pena leggerlo.
In un'epoca esibizionista come la nostra, la reticenza dell'autore sulle attività di Angiolina fa quasi tenerezza.
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Impegnativo, ma ne vale la pena.
Leggere Virginia Woolf non è semplice.
Ci provai anni fa, nella traduzione italiana, e non riuscivo a entrare nel suo mondo.
Poi,dopo anni,ho letto un brano tratto da "Mrs Dalloway" in lingua originale.Colpo di fulmine.
Non è la trama che conta,in questo breve romanzo.
Abbiamo una donna di nome Clarissa che fa delle feste il fulcro della sua esistenza.
Almeno per me,una donna tediosa e insopportabile.
Se non fosse che la Woolf ti introduce nel suo flusso di pensieri con un'abilità sconcertante.
Tradurre il pensiero, così com'è, in letteratura,è un'opera titanica.La Woolf ci riesce, rendendo questo "pensiero trascritto" veritiero e allo stesso tempo poetico.
Quante volte, sotto la superficie di una giornata qualunque,a spasso per le strade affollate della città, abbiamo ripercorso, nel segreto della nostra mente,tutta la nostra esistenza, il nostro passato,gli errori, gli eventi rimasti indecifrabili?
Questo è quello che fa Clarissa, mentre compra fiori e rammenda abiti.
In parallelo, entriamo nella mente turbata di Septimus,reduce di guerra,ormai incapace di comunicare con la moglie,chiuso in un dolore che non gli darà pace.
Woolf ci serve questo dolore nudo,insopportabile,che ti contorce le budella.
Molti autori odierni sbandierano con compiacimento tragedie umane senza saperle indagare, ma solo perché sanno che il lettore-voyeur vuole questo.
Ecco,questi autori dovrebbero imparare da Woolf e dal suo pensiero nudo, lacerante, inerme, fluttuante.
Spero di poter leggere al più presto altre sue opere.
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Uno dei libri della mia vita
"Ero io il mio peggior nemico. Nulla c'era che volessi fare e potessi anche non fare."
"Non ho mai aiutato nessuno aspettandomi che ciò gli facesse del bene; lo aiutavo perché non ero capace di fare altrimenti".
Non inizio mai una recensione con delle citazioni, ma trovandomi di fronte a un'opera difficile da descrivere,non ho potuto fare altrimenti.Queste due frasi,e non solo, sono state per me come uno squarcio di luce nel buio.
Leggendo queste pagine sono stata travolta da una cronaca di vita impietosa, di un'esistenza allo sbando vuoi per la condizione di un'epoca (siamo quasi al crollo di Wall Street), vuoi per la natura stessa del protagonista, che non pretende di rendersi simpatico al lettore,né vuole dargli lezioni di alcun tipo.
Così come non c'è una morale, non c'è neppure un' "anti-morale".
Miller mette a disposizione una parte della sua esistenza con precisione chirurgica,senza compiacimento e senza orpelli.
Le tanto chiacchierate scene di sesso non sono mai gratuite.
Se devo essere sincera ho apprezzato anche l'ironia con la quale vengono tratteggiate.
Il sesso in Miller non è mai accoppiato al sentimento, né lui ha intenzione di farcelo credere.
Triste? Sì, ma onesto.
Spesso il sesso è fame di vita,desiderio di sfuggire per pochi istanti allo squallore di un'esistenza priva di luce, di speranza, di ideali.
Può diventare un momento visionario,ed è lì che l'oscenità presunta di Miller si dissolve in un'atmosfera onirica che, almeno per me, pochi scrittori oggi riuscirebbero a replicare.
Può essere anche metafora di malattia e di morte,perché in Miller non c'è spazio per il patinato,per la stucchevole fisicità dei nostri giorni, così avulsa dal reale.
Ma Miller non è solo "lo scrittore tacciato di oscenità".
E' anche un autore dalla notevole padronanza stilistica,con una cultura più profonda di quanto voglia far sembrare.
Quando descrive l'umanità che lo circonda, nel periodo di lavoro per la società telegrafica, tra orari di lavoro impossibili, corruzione, impiegati completamente scoppiati, gente con ogni sorta di croce che cerca di elemosinare un lavoro...
Insomma, siamo così sicuri di essere negli anni Venti?
Lo consiglio caldamente, ma solo a chi è disposto a leggere senza pregiudizi. Astenersi stomaci deboli.
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Interessante e mai scontato
Questo romanzo è il primo che ho letto di un autore israeliano.
Con Yehoshua si è aperto un mondo nuovo per me: la sua capacità di presentarti gli eventi è spiazzante,mai banale. La storia che narra ha una struttura polifonica.
Si è introdotti, di volta in volta, nella testa di un uomo di mezza età,ancora piacente, che fa di tutto per ritrovare l'amante di sua moglie,conscio di non poter più essere lui a darle la felicità; e poi nella testa della moglie, della figlia quindicenne, di una novantenne in coma, di un adolescente arabo.
Il tutto sullo sfondo di una città in perenne stato di allerta.
E' un coro di voci variegate, ognuna con una storia da raccontarti che non puoi fare a meno di ascoltare.
Ho adorato la spontaneità e l'ironia dell'adolescente Dafi,e la fierezza e l'orgoglio del suo coetaneo Na'im.
Il confronto tra i due giovani è sicuramente il punto più bello e vivo di tutta la storia,perché ti fa capire cosa significhi vivere i migliori anni della propria esistenza con l'ombra della guerra che incombe, e nonostante tutto, con un'immensa voglia di vivere e di amare.
Il personaggio di Adam è sicuramente il più controverso, affascinante e saggio per certi versi,discutibile per altri aspetti.
La barriera tra lui e Asya è di quelle impalpabili ma tremende da abbattere.E' il muro tremendo che a volte si innalza tra persone che una volta condividevano ogni minimo pensiero e poi di colpo si ritrovano estranee.
Ho amato molto la capacità dell'autore di indagare dentro la psiche dei suoi personaggi senza trascurare la quotidianità, quello che avviene nel "mondo di fuori", e grazie a lui sono riuscita ad entrare in un mondo che è solo apparentemente lontano dal nostro.
Vivamente consigliato.
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Le spinose dinamiche uomo-donna.
Chi ha già letto "L'amante di Lady Chatterley" potrebbe rimanere un po' deluso da quest'opera, dal ritmo più lento e meno travolgente dal punto di vista erotico.
Ma Lawrence non è solo erotismo, e per chi non lo conoscesse, "Donne innamorate" è un ottimo punto di partenza.
Fulcro del romanzo sembra essere l'interrogativo: "Come si può vivere felicemente un amore?".
E i quattro personaggi principali ci danno delle risposte diverse, per nulla esaurienti, ma che fanno riflettere.
Ursula vive i suoi sentimenti in maniera spontanea e sensuale,ma è un concentrato di gelosie e di insicurezze,e fatica ad abbandonarsi alle richieste di Birkin,che, stanco di amori egoisti, superficiali,condizionati e vuoti, è alla ricerca di un amore superiore,libero dalle convenzioni e soprattutto più generoso e profondo.
Gudrun e Gerald, invece,vivono una passione forte ma conflittuale.
Gerald rappresenta la bellezza, la prestanza fisica,ma anche una classe sociale che si è arricchita col progresso industriale e che Gudrun, artista indipendente,libera e risoluta, detesta.
Il magnetismo fisico tra i due non basta a sanare il divario intellettuale tra i due,a conciliare le diverse visioni della vita.
E' una storia molto amara,che dimostra come un legame felice che coniughi due corpi e due menti allo stesso tempo sia quasi introvabile.
Sono rimasta un po' delusa dai personaggi femminili,che a mio parere mancano di profondità.
Ursula può conquistare per la sua semplicità e la sua dolcezza, ma è insopportabilmente puerile e non capisce un accidente di quello che Birkin vuole comunicarle. Si adegua a lui, perché lo ama, ma non lo comprende a fondo.
Gudrun, che all'inizio era il mio idolo,da donna indipendente e incurante delle convenzioni, si trasforma in un'insopportabile boriosa che crede di essere superiore intellettualmente a Gerald solo perché è "un'artista", e non capisce neanche lei un'acca del passato di Gerald, delle sue ferite,del modo in cui la Morte ha funestato la sua esistenza.
Lawrence rimarca, come un po' in tutte le sue opere, l'importanza della comunione tra uomo e natura,e spesso fa riferimento al mondo animale per simboleggiare le schermaglie tra uomo e donna.
Trovo attuale il suo appello implicito alla spontaneità nei rapporti amorosi,spesso guastati da sovrastrutture o da conflitti di ego.
Però, come ho già detto, mi aspettavo qualcosa di più dai suoi personaggi femminili, forse perché non sono riuscita a identificarmi pienamente né nella femminilità di Ursula né in quella di Gudrun.
Resta il fatto che continuo ad amare Lawrence e che in ogni sua opera scopro sempre delle piccole grandi verità, da custodire gelosamente.
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Lieve delusione
Purtroppo chi mi conosce sa che non vado matta per Baricco.
Eppure ho continuato a leggerlo per capire cosa ci trovassero i suoi accaniti lettori. Ebbene: "Oceanomare" è sicuramente una delle sue opere più decantate, quella di cui i baricchiani doc sanno ogni virgola, ogni frase ad effetto e via dicendo.
E in effetti c'è tutto quello che serve ad arruffianarsi furbescamente il lettore.
C'è una locanda sperduta vicino al mare, che ospita una serie di personaggi particolari. C'è il pittore che non riesce a completare il capolavoro della sua vita, la bellona misteriosa che gira sempre col suo mantello très chic, il bonaccione malinconico che non ha mai conosciuto l'amore (Bartleboom), e poi...ah, sì..l'uomo misterioso dalle mille ferite nascoste, e la principessina candida che non sa nulla della vita, ed è accompagnata dall'ironico (finalmente..) Padre Pluche.
Il mare, che dovrebbe essere il filo conduttore della storia, è solo un acquarello sbiadito.
E' bravo Baricco a "giocare" con le parole, a squadernarci la splendida descrizione marmorea di un naufragio, così finta, così patinata persino nei momenti più cupi e feroci.
Ed è altrettanto bravo a raccontarci queste storie fatate, deprivate del nocciolo pulsante della realtà, sicché ci sembrano incredibilmente distanti e nebbiose, così poco sentite.
Se vi piacciono le descrizioni sofisticate, le affermazioni esistenziali ma non troppo, le storie tragiche ma non troppo, se vi piacciono le sensazioni ovattate, attutite, trincerate sempre dietro a uno stile furbamente suggestivo e arioso: accomodatevi.
Spero che almeno a voi questa lettura lasci qualcosa: a me, non ha lasciato nulla.
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Paure e ipocrisie di una società puritana
Hawthorne, assieme a Melville, è uno dei padri della letteratura statunitense "moderna", nonché uno dei primi autori a svincolarsi dalla tradizione letteraria della madrepatria britannica, per parlare della sua, di patria, e dei suoi costumi.
Questo romanzo è ambientato nel XVII secolo, in una località, Salem, fortemente evocativa.
Siamo in un'America puritana, moralmente repressa, in cui è facile, per una donna, essere accusata di stregoneria.
Hester Prinne è una donna che ha commesso adulterio, ed è costretta a portare, cucita sul petto, la lettera A di adultera, di tessuto rosso scarlatto.
Lei e la figlia Pearl subiscono un ostracismo vergognoso. Ma Hester è una donna di grande dignità, di grande umiltà, e trascorre la sua esistenza dedicandosi ad opere caritatevoli, malgrado il disprezzo che la circonda.
Hawthorne ci fa capire fin dall'inizio che il padre della bambina è il Reverendo Dimmesdale, uomo tenuto in grande considerazione dai suoi fedeli per la veemenza delle sue prediche e la presunta integrità morale.
Fermo restando che quest'opera non può essere compresa appieno senza un'adeguata contestualizzazione, penso che sia inevitabile per una lettrice rimanere disgustata dalla vigliaccheria del Reverendo, che soffre sì le pene dell'inferno, ma non ha il coraggio di pagare la sua "colpa" assieme ad Hester.
Si rimane altrettanto disgustati dalla solitudine in cui vive la piccola Pearl, descritta con squisita sensibilità da Hawthorne nei suoi giochi solitari con la Natura, la sua unica amica, emarginata dai coetanei perché "figlia del peccato".
E' un'opera che si nutre anche di atmosfere visionarie e misteriose, a testimonianza del fatto che, malgrado il desiderio di innovazione e di sfida da parte di Hawthorne, la matrice religiosa è dura a morire.
Si percepisce, infatti, una forte empatia dell'autore verso Hester e la bambina, ma il riscatto di Hester avviene comunque secondo i canoni della moralità religiosa: non c'è mai, in questa donna, un desiderio di rivolta, e la voglia di proteggere il nome del suo amante è sempre più forte del disgusto per una società ipocrita, sempre alla ricerca di un capro espiatorio.
Un libro che consiglio per lo stile, per la bellezza di alcune descrizioni, per l'indagine psicologica accurata, ma che subisce l'usura del tempo e risulta insopportabilmente prolisso e pesante nella parte finale.
Una piccola osservazione sulla grafica della copertina scelta da Newton Compton: credo che sia fuorviante utilizzare un'immagine del film, che si discosta parecchio dalla storia originale.
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Inquietante
Avvicinarsi a James non è semplice.Il più inglese degli autori americani è un pilastro della letteratura, e ha uno stile che non accoglie subito il lettore a braccia aperte.
Ecco dunque che in questo racconto, all'apparenza un'innocente ghost-story con tutti i topoi del caso (la tecnica del racconto orrorifico attorno al fuoco, il racconto-cornice che racchiude quello vero e proprio e via discorrendo), viene narrata una vicenda allucinata e inquietante.
Una giovane istitutrice è chiamata a occuparsi di due bambini, nipoti di un uomo benestante e indaffarato,e, malgrado i timori iniziali, si ritrova davanti due creature dai modi squisiti e con fattezze da cherubini.
L'idillio si guasta ben presto quando la donna inizia a vedere delle strane apparizioni, nello specifico una donna altera vestita a lutto e un uomo dal volto pallido, e scopre che anche i bambini possono vederli.
Inizia così, per la donna, un percorso tortuoso e angosciante, che non manca di estenuare il lettore.
Il lettore inizia a chiedersi dove finisca la realtà e dove inizi l'allucinazione, e di certo la personalità dell'istitutrice è così tormentata da non risultare attendibilissima come narratore.
Sono i bambini ad essere maliziosi e a nascondere dei segreti terrificanti, o è l'istitutrice ad essersi "ubriacata" un po' troppo di spirito di servizio (se così si può dire)?
James è astuto: basta un aggettivo riportato in corsivo (almeno nella versione originale), una pausa in più, e capisci subito che qualcosa non va, che è tutto bizzarro, esagitato, e non sai più se ti fanno più paura i fantasmi o la governante, o i bambini con le loro frasi enigmatiche.
A me,ovviamente, ha fatto più paura la governante. A voi la scelta.
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Un must per chi ama la letteratura inglese
Jane Eyre. Croce e delizia degli studenti universitari.
Arriva il momento in cui incappi nelle sue gonnelle e non puoi fare a meno di sentire la sua storia.
Jane Eyre ha tutto ciò che le "serve" per essere infelice: è orfana, è povera, non è avvenente, è insofferente alle regole e ha un'intelligenza notevole.
Cresciuta da una zia che la odiava, spedita poi in un orrendo istituto religioso dove le punizioni, corporali e psicologiche, sono all'ordine del giorno, Jane cresce con la consapevolezza di dover lottare per conquistare il benché minimo diritto.
Quando presta servizio come istitutrice nella tetra magione del misterioso Mr Rochester, che vive solo con la figlia e i domestici,la sua vita sembra prendere una piega più interessante, ma sarà solo l'inizio di altri tormenti.
E' un romanzo ricco di spunti di riflessione, imprescindibile per chi vuole conoscere la letteratura inglese dell'800.
C'è una critica non troppo velata a una società puritana e bigotta, che usa la religione per mettere a tacere la spontaneità intellettuale dell'individuo, specie se ancora in età infantile.
C'è un forte accenno alla questione femminile, poiché Jane si pone subito come anti-eroina, imperfetta ma forte della sua sensibilità, della sua intelligenza e del suo senso del giusto.
In lingua originale, Mr Rochester apostrofa Jane "you, little thing" (alla lettera: "cosetta, piccola cosa", ma in realtà si tratta dell'equivalente dell'italiano affettuoso "piccola, piccolina").
Jane si ribella a un'espressione linguistica che vuole ridurla da "donna" a "cosa", e fa capire all'uomo che ha davanti che non si piegherà a nessun compromesso, e che manterrà sempre la sua integrità.
Tuttavia, siamo sempre nell'800. E quindi inevitabili saranno le lacrime, le catastrofi, le tragedie, il finale patetico.
Stilisticamente, il testo è ancora godibile e non accusa i segni del tempo. E' un interessante punto di svolta del romanzo inglese, che abbandona l'ironia pungente e settecentesca alla Austen e alla Swift per diventare più cupo, drammaturgico, talvolta opprimente, ma in qualche modo...affascinante.
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Imprevedibile e profondo
Ho scoperto Grossman con questo romanzo, ed è stata una bella sorpresa.
Trovo che quest’autore, così come un altro celebre scrittore israeliano, Yeoshua, sia capace di fornire spunti di riflessione interessanti, spiazzanti, delle belle boccate di ossigeno per la letteratura odierna, che diventa sempre più vista e rivista, cotta e stracotta.
Gli amori epistolari non sono una novità: sono più vecchi di Matusalemme.
Ma in questo caso parlare di amore è un po’ generico, azzardato, direi.
Yair, protagonista maschile della storia, decide di aprire il suo animo a una donna che conosce appena di vista, e, per farlo, le invia una lettera.
Il suo appello, disinteressato e quasi implorante, viene accolto con placido consenso da Miriam, la donna in questione, che dimostra altrettanta voglia di esprimere il suo mondo interiore.
Entrambi i protagonisti vivono delle situazioni familiari particolari, appena accennate, ma i due non vogliono tanto parlare della realtà contingente, quanto comunicare, comunicare incessantemente i loro pensieri, le loro riflessioni, senza seguire degli schemi, solo per il gusto di sentirsi letti, capiti.
Il punto di forza dell’opera è il valore che viene dato alla parola, alla necessità di lacerare la solitudine più nascosta, alla difficoltà di interagire anche con le persone più care che abbiamo accanto.
Non ci sono stantie e prevedibili conseguenze sentimentali in questo affascinante scambio di lettere.
Sarebbe anche sbagliato dire, tuttavia, che non si crei un rapporto speciale tra i due protagonisti.
Ho apprezzato la delicatezza, la profondità e l’originalità di quest’opera, che, scritta da un autore più banale, avrebbe rischiato l’effetto sciropposo da romanzetto rosa.
Il calibro di un autore si vede soprattutto in questo: partire da premesse apparentemente semplici e ordinarie per costruire una storia che di prevedibile ha ben poco.
Si potrebbe rimanere spiazzati dall’atmosfera irrisolta nella quale galleggia il romanzo, ma se è vero che molti eventi della nostra vita rimangono indecifrabili, allora sarà più facile capire le scelte dell’autore.
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Il più amaro dei romanzi "del disimpegno" di Amado
Agreste è una cittadina sul mare, non particolarmente evoluta, ma dotata di ricchezze naturali che rischiano di essere distrutte dal progresso. In questo villaggio dove manca ancora l’elettricità, è nata e cresciuta Tieta, bella e indomita.
Cacciata da casa appena adolescente per aver dato scandalo, picchiata da un padre padrone, Tieta era riuscita a far fortuna in città, e adesso, dopo tanti anni, torna ad Agreste, accompagnata dalla figlia adottiva Leonora.
Il ritorno temporaneo di Tieta sconvolge tutti: la sua famiglia, specie le sorelle e i nipoti, la vita del villaggio, la sua politica.
Acclamata come santa dagli abitanti della cittadina, grazie alla sua generosità e al suo impegno ecologista, Tieta porta scompiglio nei cuori degli altri e nel suo, sa essere sorridente ma anche autoritaria, e ha una sua visione della vita molto dura e inflessibile.
Purtroppo la gente, si sa, può passare dall’amore al disprezzo in un niente…e la santa in un niente diventa puttana.
Rispetto ad altri romanzi di Amado, questo è uno dei più amari e controversi.
Se avete una visione monolitica della vita, non leggetelo.
È un romanzo che, nel più puro stile Amado, riesce a strapparti un sorriso e a divertirti.
Ma è anche una storia cruda, che non concede spazio a sentimentalismi.
Amado conosceva la realtà del suo paese, sapeva in che mondo vivevano le donne, e per questo nutriva un particolare amore verso i suoi personaggi femminili, perdonando loro ogni cosa, descrivendoli come solo la sua penna sapeva fare.
A noi non resta che immergerci in quel mondo e accettare tutto, anche quelle cose che ci sembrano moralmente discutibili.
Non ho amato molto le conclusioni un po’ ciniche di questa storia, e ho rimpianto quella luce di fatata speranza che avevo riscontrato in Gabriella e Dona Flor, ma è comunque un bel romanzo, e Amado rimane, a mio parere, uno dei pochi scrittori capaci di coniugare impegno e piacevolezza, drammaticità e ironia.
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La mia forza è il tuo desiderio...
Perché un solo amore non ci basta? Sarà capitato a tutti voi di porvi questa domanda,
ora con amarezza, ora con rabbia. E la stessa domanda si pone Dona Flor, che dopo aver perso
il marito Vadinho, viveur, donnaiolo e giocatore d’azzardo, riesce a innamorarsi, solo dopo
tanta sofferenza, di un uomo completamente diverso da Vadinho, Teodoro.
Amado non pretende certo di dare una risposta a un quesito così complesso, ma si limita a darci un succulento ritratto della città di Bahia, con i suoi quartieri popolari, la misteriosa convivenza di cristianesimo e rituali magici yoruba, importati secoli prima dagli schiavi di origine nigeriana.
Dona Flor è una donna di altri tempi: semplice, buona, bella di una bellezza frutto della sublime mescolanza di etnie diverse, apparentemente timida, ma con un animo appassionato e sensuale.
Amado indaga le contraddizioni dell’animo di Flor col suo consueto tono bonario e paterno, svelandoci il suo passato, le sue lacrime per un marito scavezzacollo, i suoi tormenti d’amore.
Verremo introdotti in un mondo colorato, vivace, fatto di comari acide, giocatori d’azzardo, vicine di casa impiccione e altre calorose e solidali come solo nel sud del mondo può accadere.
Inutile dire che questo mix di magia e di quotidianità mi ha completamente conquistata.
Amado riesce a creare una storia che brulica di vita, di risate, di lacrime, di una saggezza popolare che non si dovrebbe mai dimenticare. C’è un invito implicito a non lasciarsi mai trasportare dai pregiudizi morali, dalle apparenze: si può rimpiangere un pessimo marito per quegli sprazzi di generosità e di amore che ha donato alla moglie, così come la più famosa prostituta della città può rivelarsi un'ottima madre di famiglia. Questi sono solo alcuni esempi del mondo variegato in cui si viene catapultati aprendo questo libro.
E' anche un romanzo sul desiderio, perché nella storia il desiderio di Dona Flor funge da incantesimo silenzioso e scatena forze inaspettate...Ma non vi guasto la sorpresa.
Per quanto mi riguarda è uno dei libri della mia vita.
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Il tempo è una creatura vivente
Di tutti quelli che ho letto della Yoshimoto, indubbiamente Amrita è il migliore.Dopo questo romanzo non ho letto altre opere di questa scrittrice che mi abbiano colpito allo stesso modo.
Sarà che l'ho letto in un periodo particolare della mia vita, ma la profondità e la magia di cui queste pagine sono impregnate sono, per me, indiscutibili.
Mi ha appassionato la vicenda di Sakumi, con la sua allegra famiglia allargata, che capisce di non essere più la stessa dopo un'incidente che le ha causato una perdita di memoria temporanea.
Ho adorato il suo rapporto così semplice e tenero con Yoshio, il fratellastro di dieci anni, dotato di qualità particolari.
L'elemento onirico, il paranormale, rientrano in queste pagine con una naturalezza disarmante, senza troppi "effetti speciali".
Affascinante la galleria di personaggi, tutti con un vissuto difficile alle spalle, con una storia strana da raccontare, ma dotati anche di un magnetismo che non riesci a spiegare.
Le descrizioni degli elementi naturali si caricano di una forza evocativa che trascende lo stucchevole acquarello.
Non si può dire con poche parole di cosa parla questo romanzo: bisogna leggerlo e immergersi nei suoi colori, nelle sue atmosfere sospese, nell'apparente gaiezza dei suoi personaggi, che sfiorano il dolore per paura di toccarlo con mano.
Un piccolo difetto (ma credo che sia connaturato alla cultura nipponica) è una lieve "asetticità" dei rapporti uomo-donna, ma una volta superate le barriere culturali, si riesce ad entrare pienamente nel mondo emozionale della protagonista.
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Luci della città
Ecco la Yoshimoto che mi ha conquistato.
Capace, con poche parole, di suggestionarti, di immergerti
nel tessuto metropolitano di Tokyo, col suo caos e la sua solitudine.
Per chi è sempre rimasto stregato dalla cultura giapponese, dalla strana commistione di tradizione e modernità, dalla spietatezza di una società che non ammette perdenti che mal si concilia con la delicata sensibilità,quasi innata,degli individui che la compongono,questa serie di piccoli racconti non potrà che risultare piacevole.
Si ha la sensazione di galleggiare in un sogno, dall'inizio alla fine. Come ho scritto in un'altra recensione sulla Yoshimoto, il suo più grande pregio è anche il suo difetto: l'autrice ha una levità tale nel modo di dipingere le situazioni interiori dei personaggi, che si ha l'impressione di rimanere con niente in mano, alla fine.
In questo caso, però, la fascinazione supera il desiderio di indagini psicologiche ed emozioni forti.
Suggestivo, malinconico, luminoso.
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Piccola delusione
Banana Yoshimoto per me è stata un grande amore adolescenziale.
Avevo iniziato ad amarla timidamente con "Kitchen", "Lucertola" e "Sonno profondo".
L'amore forte è scoppiato con "Amrita", che mi è entrato dentro con grande forza. "Honeymoon" ha decretato la fine di questo amore.
Quegli elementi che mi avevano catturato in "Amrita", e cioè le atmosfere rarefatte, la capacità dei personaggi di dialogare di argomenti estremamente intimi con una naturalezza che sconfina un po' nella neutralità, si sono rivelati proprio i punti deboli di questo romanzo.
Non c'è la benché minima parvenza di "sentimento".
Spesso i personaggi della Yoshimoto hanno ferite terribili, storie assurde alle spalle, ma non esternano mai quegli eccessi emotivi tipici di noi latini. In Yoshimoto sono gli elementi naturali, più che i personaggi, a veicolare una certa carica emozionale: il mare, il cielo, una lucertola che sonnecchia sotto il sole, un tramonto.
In "Honeymoon" è il giardino il punto focale del romanzo.
E proprio sul giardino l'autrice spende le parole più poetiche.
Ma, arrivati alla fine,non c'è niente che ti rimanga impresso della storia, o dei personaggi.
A quel punto ho smesso di leggere la Yoshimoto, come se con i libri precedenti mi avesse già dato tutto ciò che mi mancava e non avessi bisogno d'altro.
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è libero di scegliere.
Il Pascoli che preferisco
Non ho gli strumenti critici adatti per analizzare questa splendida opera poetica, ma fortunatamente una recensione non è un saggio di critica letteraria, quindi dirò semplicemente la mia.
Non amo particolarmente Pascoli, pur riconoscendo il suo talento poetico, ma i Poemi Conviviali sono l'opera che preferisco.
Nei vari poemetti vengono richiamate le figure più importanti della mitologia e della storia greca classica: Achille, Ulisse, Alessandro Magno.
Questi uomini-mito, che ci sono sempre stati descritti avvolti in un'aura di semidei, in Pascoli diventano fragili, perfettibili, soggetti anche loro al potere corrosivo della Morte.
Achille,simbolo di spavalderia e di energia inesauribile, sa che lo scontro mortale è vicino e trova un tenue conforto nel corpo di Briseide, che lo osserva con le guance rigate di lacrime.
Ulisse, celebre per l'astuzia e l'intelligenza lucida, viene dipinto ormai anziano alla ricerca delle tracce del suo lungo viaggio. Quasi sull'orlo della follia, non riesce, incredulo, a rintracciare la benché minima prova di quello che ha vissuto: il Ciclope, Circe, le Sirene, sono tutte delle illusioni.
Solo Calipso, colei che gli aveva offerto l'immortalità, lo riconosce, e accoglie il suo cadavere ormai esangue sulla spiaggia. E proprio lei pronuncerà i versi più belli e criptici di questo poema.
E infine Alessandro Magno, ossia la brama di conquista e l'inesauribile voglia di scoperta, deve arrendersi alla finitezza di un Universo che ormai non ha più segreti per lui.
Commentare le immagini suggestive che costellano questi componimenti sarebbe riduttivo.
A me hanno lasciato in bocca qualcosa di inesprimibile, a metà tra l'amarezza e la fascinazione.
Consigliato vivamente.
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Capolavoro indiscusso
Sicuramente l’opera più famosa di Lawrence, non si può dire che “L’amante di Lady Chatterley” sia anche la più letta, o, per lo meno, letta bene.
Contrariamente a quanto ci si possa aspettare, Constance Chatterley non è una donna particolarmente trasgressiva, ma solo una donna infelice. Oliver Mellors, il guardiacaccia, non è un nerboruto stallone che si esprime a monosillabi, ma un uomo introverso e amareggiato dai suoi errori passati.
La storia tra i due nasce per caso, sullo sfondo di un’Inghilterra tramortita dal primo conflitto mondiale e in piena crisi di valori. Lawrence tratteggia un inno alla Vita attraverso la riscoperta del corpo, delle sue sensazioni più elementari e genuine, ma anche attraverso la fusione tra uomo e Natura, sempre più accantonata a causa del progresso e dell’industrializzazione.
Simbolo del demone del progresso è la miniera, fonte di guadagno per la classe dirigente (della quale fa parte il marito di Connie), ma anche un mostro che “ingoia” i minatori, per poi sputarli via deformi e malati.
Per Oliver Mellors conoscere Constance significa riprendere fiducia nella vita e nella Passione tra uomo e donna. Per lei, invece, significherà prendere coscienza non solo del suo desiderio di maternità, ma anche dell’ipocrisia e del vuoto che caratterizza la gente del suo ceto sociale.
Lawrence si fa portavoce di un’epoca, ma anche del difficile rapporto Uomo-Donna, sempre meno spontaneo vuoi per sovrastrutture intellettuali, vuoi per la diffidenza crescente tra un uomo sempre più disinteressato a far felice una donna, e una donna che ha preso coscienza di sé e non accetta più il suo ruolo passivo. Si può rimproverare a Lawrence forse un lieve disinteresse per la questione femminile, ma non lo si può incolpare di ignorare la sensibilità femminile.
Leggendo questo capolavoro indiscusso, mi sono sempre sorpresa della maestria con la quale l’autore riesca a entrare nella testa delle donne e non solo: si percepisce un amore immenso per il Corpo femminile nella sua verità indifesa, senza orpelli e “aggiustamenti”.
Questo romanzo è un invito alla vita, alla Passione pura, e una denuncia contro l’aridità di una società che non comprende la bellezza di un fiore, ed è costretta a usare metafore stantie per esprimerla.
Le tanto chiacchierate scene di sesso non hanno mai il sapore dell'esibizionismo compiaciuto che ritroviamo nella letteratura odierna, ma sono descrizioni schiette della fusione, non sempre facile, di due corpi, e, soprattutto,sono scene impregnate di una delicatezza poetica che non è mai stucchevole.
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A metà tra magia, politica e amore.
"Gabriella" rappresenta un punto di svolta nella narrativa di Amado, che, all'inizio della sua attività di scrittore, aveva scritto per lo più dei romanzi di argomentazione politica e di denuncia sociale.
Con questo romanzo Amado non abbandona il Brasile, né le sue problematiche, ma aggiunge quel tocco di bonaria ironia e di magia che caratterizzeranno, d'ora in poi, i suoi romanzi.
E' una storia d'amore, o tante. Ma è anche la storia di Ilhéus, cittadina divisa tra un futuro che impaurisce e un passato che inizia a pesare. Una cittadina in cui si snodano i destini dell'arabo Nacib, proprietario di un bar, e di Gabriella, ragazza speciale, poverissima, appena venuta dal Sertao in cerca di lavoro.
Amado ci fa innamorare della semplice magia di questa ragazza, che si porta alle spalle un vissuto difficile, ma con leggerezza.
Gabriella ama, cucina, passeggia per la strada soffermandosi di tanto in tanto per giocare coi bambini, sfama i gatti randagi e non si interroga mai su questioni che non capisce.
E' un essere in simbiosi con la natura, indifferente al denaro, alla politica, ai pettegolezzi delle comari.
In una Ilhéus ancora flagellata da usanze barbariche quali il delitto d'onore, Gabriella, ma non solo, porterà una sferzata di novità, di libertà.
Amado riesce, con grande perizia e con quell'atteggiamento empatico e benevolo che caratterizza la sua scrittura, a dipingere una galleria di ritratti femminili memorabili.
Non solo Gabriella, dunque, con il suo profumo di garofano e la pelle color cannella, ma anche Malvina, Gloria, Ofenìsia.
Tutte queste donne segnano in qualche modo il destino di Ilhèus.
Ofenìsia, personaggio leggendario, fa parte per lo più della mitologia di Ilhèus, che ricorda ancora i suoi tormenti per un amore infelice.
Malvina, la studentessa ribelle, si fa portavoce del desiderio di emancipazione della nuova generazione, noncurante dei pettegolezzi e decisa a guadagnarsi da vivere senza l'aiuto di un uomo, libera di innamorarsi di chi le pare.
Gloria, la mantenuta, rappresenta una tipologia di donna spesso presente nella narrativa amadiana, e cioè quella della ragazza bella ma povera, condannata a fare la vita poiché priva di alternative. Anche Gloria, però, troverà il modo di riscattarsi.
Tra intrighi politici, povertà, lotte tra colonnelli del cacao, massaie curiose e fannulloni che si radunano al bar per chiacchierare, Amado ci versa uno spaccato di Brasile abbagliante, a metà tra ironia e un pizzico di amarezza.
L'amore, però, prevale su tutto il resto, e non è l'amore stucchevole, patinato, prevedibile che si ritrova in certe storie: è un amore che, come Gabriella, esiste, ma è impossibile da spiegare.
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Oleografico
"Seta" è la prima opera che ho letto di Baricco.
Non sono d'accordo con chi ha definito questa storia "patetica".
L'aggettivo "patetico" implica un eccessivo indugiare sui sentimenti umani tale da renderli ridicoli.
Invece "Seta" è una storia narrata con stile limpido, scarno, e ciononostante elegante.
Non c'è affatto un soffermarsi dello scrittore su sentimenti quali la tristezza, la nostalgia, l'amore.
Quando questi vengono evocati, in qualche modo, è proprio con la stessa leggerezza di una sciarpa di seta che ti sfiora la guancia.
E' chiaro che Baricco sappia scrivere e che sia molto furbo.
Quando lessi la prima volta "Seta" rimasi affascinata dall'essenzialità dello stile, dall'ambientazione tra Europa e Asia, nella fattispecie Francia e Giappone, in un passato lontano ma non troppo, misterioso, ma solo quel tanto che basta.
Tuttavia, alla fine del libro, non c'era modo di esprimere quello che mi aveva lasciato.
La ricerca affannosa, da parte dell'uomo, di amori irraggiungibili?...Non solo.
La solitudine di un uomo che fino a poco tempo prima aveva tutto ciò che si possa desiderare per una vita felice?
Forse.
Ma Baricco si limita a raccontare,o, sarebbe meglio dire, dipingere con perizia le sue situazioni, i suoi personaggi.
La stessa perizia di un giapponese quando deve dipingere un ideogramma.
Non sono particolarmente importanti le speculazioni interiori, o comunque, quando uno spunto di riflessione viene suggerito, è sempre espresso con una neutralità che sconfina nell'esercizio di stile.
Che dire...lo definirei ineccepibile stilisticamente ma lezioso.
Patinato senza scadere nel barocco.
Da leggere per desiderio di conoscenza e per capire l'astuzia di questo scrittore. A livello esistenziale non ti cambia certo la vita.
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- sì
- no
Interessante
Chi si accinge a leggere questa storia probabilmente si
aspetterà una vicenda imperniata soprattutto su una vicenda sentimentale. In realtà, quello che ho notato leggendo "L'amante" è che, malgrado la relazione tra la protagonista e l'affascinante cinese sia importante ai fini della storia, non ne è certo il fulcro principale.
Colpisce molto lo stile onirico della Duras, con quei flussi di coscienza, quell'atmosfera nebbiosa in cui presente e passato, sogno e realtà si fondono.
Vengono a galla un'adolescenza tormentata, la ferita di un rapporto difficile con una madre instabile, le figure dei fratelli, uno autoritario e possessivo, l'altro dolce e fragile.
Il rapporto col giovane cinese molto più ricco e più grande di lei viene vissuto con una sorta di malinconico distacco, anche quando creerà gravi attriti tra lei e la sua famiglia.
Impressiona parecchio l'atteggiamento di questa ragazzina, quasi alienata da tutto ciò che la circonda, apparentemente cinica, quasi, di fronte a quell'uomo che la seduce, ma ne resta poi inevitabilmente sedotto. Interessante.
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Interessante
Il grande Baudelaire disse di quest'opera che, se brucia, brucia alla maniera del ghiaccio.
E in effetti non traspare alcuna emozione positiva, calda, umana, dai due personaggi principali, Valmont e la Marchesa di Merteuil.
Interessante spaccato dell'alta società parigina, tutta tesa a fare e disfare intrighi sentimentali tanto perfidi quanto inutili, quest'opera si legge facilmente e ti inchioda fino alla fine.
Si può provare pietà per la giovane Cécile,o per Mme de Tourvel, entrambe manipolate e ingannate.
Ma Laclos riesce a rendere vagamente ridicoli quei personaggi che, in teoria, in quanto vittime innocenti, dovrebbero suscitare la simpatia del lettore.
Sdolcinato e manieroso appare il giovane amore tra Cécile e Danceny, due ingenuotti che possono intenerire ma anche risultare irritanti.
Più dignitosa la figura della Tourvel, che pure risulta a suo modo irritante, con quel suo atteggiamento da pia donna che sfiora la bigotteria.
Valmont e la Merteuil somigliano a due ragni pazienti, implacabili, tutti volti a fare del male solo per il gusto di tener fede a una scommessa.
Ci si ritrova disorientati, smarriti, senza un punto di riferimento emozionale. Non c'è via di mezzo tra chi si serve dei sentimenti altrui per compiere bassezze formidabili, e chi invece vive i sentimenti in maniera edulcorata, naif, e proprio per questo poco credibile.
Memorabile, quanto a impatto psicologico, l'ultima lettera di Valmont alla Tourvel, un autentico monumento verbale al cinismo del seduttore.
Da leggere, è un pilastro della letteratura francese.
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Non mi ha entusiasmato...
So di essere una voce fuori dal coro, ma a me Kundera non piace.
Dopo anni che sentivo lodi sperticate nei confronti di questo romanzo, l'ho letto e non mi è sembrato così indimenticabile.
Probabilmente per capirlo meglio avrei dovuto documentarmi sulla situazione politica della Praga dipinta da Kundera, ma dato che le vicende narrate sono di carattere prettamente esistenziale, anche il documentarsi non sarebbe servito a granché...
Questi quattro personaggi si dibattono in relazioni infelici ma senza riuscire a capire cosa vogliono veramente.
Tereza e Tomas sono una coppia come ne esistono tante, destinata allo sfacelo, ma che resiste in virtù di non si capisce bene che cosa.
Tomas, libertino fino al midollo, rinuncia alla carriera pur di stare con Tereza ma le infligge una sequela di tradimenti.
Tereza, che riscuote una forte simpatia ed empatia per la sua storia un po' triste, il suo ingenuo romanticismo e il pessimo rapporto con la madre, anziché liberarsi di lui persevera.
Franz è un personaggio estremamente noioso, non si capisce davvero quale sia la sua funzione.
Sabine parrebbe l'unica che non si racconta stupidaggini: lievemente cinica e disincantata, sembra manifestare, a un certo punto, l'esigenza di scoprire il calore di affetti semplici, anche se è solo un barlume, in un romanzo che specula tanto e dice poco.
Mi dispiace di aver letto anche "L'immortalità" di Kundera, perché sembra di vedere le stesse dinamiche relazionali riproposte in salsa diversa.
Forse dovrei rileggerlo, per capire meglio, ma non riesco a osannarlo come fanno in tanti.
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L'arte dal punto di vista della musa
Ero molto scettica su questo libro.
L'idea di immaginare una sorta di storia d'amore prendendo spunto
da un quadro famoso mi sembrava la solita trovata per accumulare vendite.
In realtà è un romanzo semplice, dallo stile scorrevole, senza particolari guizzi di genio, che però descrive bene l'immaginario sodalizio tra una giovanissima domestica e il pittore Vermeer.
Griet è di famiglia umile, e come tante ragazze del suo periodo è costretta a lasciare la famiglia per aiutarla economicamente.
Il padre, decoratore di mattonelle, ha avuto un grave incidente che l'ha reso cieco e non può più lavorare.
Pur non essendo particolarmente colta o dedita all'arte, Griet ha una sorta di sensibilità istintiva verso tutto ciò che è "pittorico", se posso osare il termine.
Tanto per capirci, la storia inizia con il pittore e la moglie che sono alla ricerca di una domestica e si imbattono in Griet.
Vermeer rimane colpito dalla meticolosità con la quale Griet svolge una banale mansione come quella di tagliare e preparare gli ortaggi per cucinarli, disponendoli in base alle gradazioni cromatiche.
Questo è solo uno dei tanti segnali che l'autrice ci dà per farci capire come, passo passo, Griet entri nelle grazie di Vermeer e diventi la sua musa.
E' una storia fatta sopratutto di silenzi, colori, odori, e di sentimenti appena accennati, mai esplicitati.
Griet colpisce per la sua fermezza di carattere, malgrado la sua condizione di inferiorità sociale,e la sua dignità.
Il rapporto tra lei e Vermeer è basato più su una sorta di comprensione reciproca e silenziosa che sull'amore, seppur platonico.
Griet è la musa ideale perché non pretende di esserlo, ma capisce perfettamente quali siano le esigenze dell'artista e comprende istintivamente la genialità della sua tecnica pittorica.
Non lo consiglio a chi si aspetta grandi passioni o scene plateali perché potrebbe restar deluso.
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D'amore morte e solitudine..
"Norwegian Wood" è un'opera interessante, intrisa di una poeticità descrittiva che aiuta a metabolizzare l'immensa tristezza di cui è permeata la storia.
Siamo nel Giappone di fine anni '60, nel periodo della contestazione studentesca, e i punti di riferimento dei giovani nipponici non sono così distanti da quelli dei loro coetanei europei e americani.
Toru Watanabe legge Salinger, Fitzgerald e Thomas Mann e ama i Beatles e il teatro.
Si potrebbe pensare di essere davanti a un Giovane Holden in salsa orientale, ma c'è di più: c'è il dramma della solitudine, la difficoltà di esprimere i propri sentimenti e l'incapacità di adattarsi a una società che, malgrado i fervori rivoluzionari, ribolle di ipocrisia.
Toru vive circondato dalla morte e ne accetta malvolentieri la sua onnipresenza nella storia della sua vita.
Ci sono due donne: la fragile Naoko e la vitale Midori: la prima è l'amore ideale, e proprio per questo sempre lontano, impalpabile, etereo; la seconda è l'amica del cuore, esuberante, eccentrica, incredibilmente invadente e loquace, ma proprio per questo irresistibile.
Nel continuo sforzo di costruirsi una sua etica personale, in un mondo che è sempre più caotico e incoerente, Toru parla poco e ascolta molto, si macera nelle sue amarezze e nei suoi pensieri, ma non rinuncia, finché può, a ironizzare sulla vita e a godere dei piccoli barlumi di luce che sembra offrirgli.
E' un romanzo che inquadra alla perfezione la solitudine umana e che tocca con immensa sensibilità la piaga del suicidio giovanile, ancora ora vivissima in Giappone.
Non lo consiglio a chi sta attraversando un periodo buio:
è intessuto di una malinconia tale che ti si appiccica addosso come la pece ed è difficile da mandar giù.
Tuttavia è così ben orchestrato che i picchi di drammaticità sono sempre, o quasi, controbilanciati dalle vulcaniche trovate di Midori, autentica ancora di salvezza della storia.
E' lei che consente al lettore di riprendere fiato, e il suo è uno dei ritratti femminili più riusciti e interessanti della letteratura degli ultimi decenni.
Da un punto di vista stilistico è un ottimo romanzo: scorre liscio come l'olio e non è mai superficiale, riesce sempre a incantarti con immagini suggestive e mai scontate.
Globalmente un buon romanzo, anche se psicologicamente impegnativo.
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Piacevole
Mi ero ripromessa di non leggere più Coelho quando ho visto che, oltre a "L'alchimista", gli altri suoi romanzi non mi coinvolgevano minimamente.
"Undici minuti" mi è capitato sotto mano, e non mi è dispiaciuto.
Già il fatto che il tema spirituale e religioso sia un po' meno presente è un sollievo, e i personaggi sono abbastanza interessanti.
Maria è una giovane brasiliana molto bella, come ce ne sono tante, che viene adescata con la classica scusa della carriera da modella, e finisce a fare la prostituta d'alto bordo senza avere chiara coscienza della meschinità del suo lavoro.
Se da un lato Maria ha piena consapevolezza della bellezza del suo corpo,e il suo lavoro la spinge ad usarlo con sapienza, dall'altro lato il sesso autentico, quello unito al sentimento e alla passione, quello appagante, è un mistero per lei.
Un giovane artista rimane affascinato dal suo volto e si mette in testa di scoprire la Maria autentica, quella che non è ancora venuta realmente fuori.
Di contro a Maria, che si mantiene stranamente inesperta e innocente malgrado il suo lavoro, l'artista ha perso ogni curiosità riguardante il sesso e l'incontro tra i due si rivela spinoso e difficile.
E' una storia piacevole, con qualche riflessione interessante sparsa qua e là, che fa riflettere sul sesso ma sopratutto sul modo in cui noi lo distorciamo e ce ne serviamo senza mai essere soddisfatti, probabilmente perché, oltre a non conoscere bene il nostro corpo, spesso trascuriamo i sentimenti.
Niente di eclatante, ma molto meglio degli esercizi spirituali de "Il cammino di Santiago".
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Uno stile curato non fa il capolavoro
Ammetto: non sono una fan di Baricco, per cui non garantisco la totale imparzialità del giudizio.
Di quest'autore avevo letto "Seta" e "Oceano mare" e li avevo trovati piacevoli, accattivanti, ma troppo studiati a tavolino.
Con "Emmaus" Baricco si discosta dalle ambientazioni in tempi remoti ma non meglio specificati e in luoghi stranieri.
Si torna in Italia, e in tempi non troppo lontani.
E' la storia dell'ingresso nella vita adulta di un gruppo di giovani piccolo borghesi, cresciuti in seno a famiglie cattoliche, serene, ma non troppo, con le loro infelicità adeguatamente camuffate e attutite.
Tra volontariato, scuola e pomeriggi in Chiesa a suonare, la loro vita sembra scorrere liscia, metodica, finché una ragazza di classe sociale diversa, Andre, non scoperchia il vaso di Pandora.
Arriveranno la droga, il sesso, le responsabilità e il crollo delle apparenze.
Se non fosse per lo stile, curato, incisivo, scorrevole, anche se meno scarno del solito, sarebbe una banale storia di iniziazione come tante.
Baricco non è uno stupido e sa come suscitare l'empatia e il riconoscimento nel suo pubblico di lettori: chiunque sia cresciuto in seno a una famiglia cattolica nell'Italia di quel periodo (e non solo), può riconoscersi nella beata ingenuità di quei ragazzi e nel baratro che si apre quando diverse crepe hanno già incrinato le loro certezze monolitiche.
Ma manca qualcosa. Quel qualcosa che rende un libro memorabile, almeno per me. Quel pizzico di introspezione, quella riflessione originale che ti toglie "le scaglie dagli occhi", per così dire.
E' un romanzo interessante, ma non troppo.
Probabilmente chi aveva amato il Baricco di "Seta" e "Oceano mare" rimarrà un po' deluso nel vedere che qui non si parla di naufraghi solitari, principesse tristi e mercanti malinconici.
Ma apprezzo la virata dell'autore verso il "reale" e "vicino", perché bisogna sempre sapersi rinnovare.
Il mio giudizio globale non è né positivo né negativo: ho avuto solo l'ennesima conferma che Baricco non mi suscita emozioni, tutto qui. Mio umile parere, si intende.
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Un romanzo fantasioso ma alquanto prolisso.
Per chi si vuole avvicinare alla letteratura sudamericana del '900, sicuramente Marquez è un pilastro importante, e questo romanzo lo è in particolar modo perché racchiude in sé una serie di caratteristiche che, personalmente, ho ritrovato nell'autore brasiliano Jorge Amado: la grande fantasia, gli ambienti microcosmici in cui si muovono i personaggi, la religione come un di più rispetto alla più accreditata magia e saggezza popolare.
Macondo è un microcosmo pacifico, un po' arido, scosso ogni tanto dalle allegre incursioni delle carovane di zingari, che portano stupore, magia e un pizzico di progresso in quel luogo abbandonato.
La storia della famiglia Buendìa, come nota l'indistruttibile matriarca Ursula, è un continuo ripetersi, a spirale, delle stesse vicende, degli stessi errori,si direbbe quasi delle stesse persone, vista l'interminabile sfilza di figli, nipoti e pronipoti che si chiamano tutti José Arcadio, Aureliano o Arcadio (e, se sono donne, Ursula, Amaranta o Remedios).
In parallelo, Macondo si evolve assieme ai Buendìa, conoscendo il progresso, la guerra, l'avvento dei gringos e della compagnia bananiera, per poi ritornare a un punto di partenza in cui l'oblio e la solitudine fanno da padrona.
E' un romanzo ad ampio respiro, ricco di drammaticità ma mai lacrimoso, ironico ma non divertente.
Personalmente ho trovato deliziosa la fantasia dell'autore, ma estenuante la sfilza di nipoti, pronipoti, figli illegittimi tutti con lo stesso nome che la matriarca di ferro Ursula, assieme a nipoti, nuore e figlie adottive alleva senza batter ciglio, instancabile e saggia.
La lotta di Ursula è, a mio parere il simbolo principale della storia: finché si proteggono le vite future, c'è speranza. Ursula resiste alla guerra e le si oppone, a modo suo, resiste all'anaffettività e all'inflessibilità del figlio Aureliano, e cerca di predicare, invano, contro la tendenza endogamica che flagella la loro stirpe.
Se da un lato si resta sedotti dall'incredibile inventiva dell'autore, d'altro canto la trama del romanzo è incredibilmente spessa e appesantita da sequele di nomi che richiedono al lettore uno sforzo titanico per riprendere le fila della storia di ognuno di loro.
Succede così che certe parti memorabili, come certe citazioni del savio catalano, rischiano di passare inosservate e di perdersi nel mucchio di eventi e personaggi contingenti che non sempre sono interessanti.
I corsi e ricorsi della storia sono il filo conduttore principale del romanzo, ma a volte questa ripetitività stanca, e il lettore si ritrova a boccheggiare dinanzi all'ennesimo figlio illegittimo, l'ennesimo amore frustrato/proibito, l'ennesima figura femminile tormentata che raramente spicca per doti interiori o vivacità intellettuale (con l'eccezione, probabilmente di Ursula stessa e di un paio di sue pronipoti).
Lo consiglio solo a chi ama immergersi in letture fluviali e a chi vuole avvicinarsi alla letteratura sudamericana.
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Un uomo in fuga da se stesso
E'uno di quei classici che ho letto ai tempi del liceo e l'ho trovato piacevolissimo, per nulla ostico.
Da un punto di vista critico-letterario, la storia si inserisce in un filone individuabile in opere come "La coscienza di Zeno" di Svevo o "L'étranger" di Camus, che ci pongono dinanzi a un protagonista maschile privo di particolari qualità,piuttosto mediocre e lontano dalla dicitura di "eroe".
E' un uomo come tanti, non particolarmente bello, non particolarmente brillante, che si ritrova in un matrimonio poco felice, con una moglie e una suocera decisamente pesanti.
Quando gli si para davanti l'occasione di evadere dal deludente ménage familiare, il protagonista si dà per morto e modifica radicalmente il proprio aspetto fisico per poter passare inosservato.
La sua fuga lo porterà a vivere esperienze rocambolesche, spesso divertenti, e a venire a contatto con gente di ogni tipo, anche bizzarra, come il proprietario della pensione dove alloggerà per un po', il vecchio Paleari.
Nell'evolversi della storia, ci si rende conto di come la ricerca della libertà da parte del protagonista si riveli effimera e illusoria, e di come, per quanto ci si possa lasciare alle spalle persone e luoghi, non si riesce mai a fuggire da se stessi.
Consiglio caldamente la lettura a chi conosce già Pirandello e anche a chi vuole avere un primo approccio con l'autore.
Penso che la modernità della storia sia evidente, perché da sempre l'uomo ha desiderato di poter vivere tante esistenze, di poter uscire almeno per un po' dal personaggio che recita da tempo e da un costume che inizia a diventare logoro e stretto.
L'anelito alla libertà, all'emancipazione dai ruoli che la società impone è un tema sempreverde, che trascende i limiti di epoca e costume.
E' un romanzo che risente anche dell'amore di Pirandello per il teatro, e l'accostamento teatro-vita è più che mai presente in una delle scene più belle, il discorso del vecchio Paleari al protagonista.
Da leggere.
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I tormenti della psiche
E' il primo romanzo che ho letto di Dostoevskij e me l'ha fatto amare subito.
Con una prosa scorrevole e un ritmo febbrile, Dostoevskij ci introduce nella mente del giovane Raskolnikov, che si macchia di omicidio nei confronti dell'anziana padrona di casa.
Il movente dell'omicidio è poco chiaro, anche se intuibile: Rodja (questo il nome di Raskolnikov)è un giovane squattrinato,e la vecchia padrona di casa è una persona gretta e avida, che pensa solo a far soldi.
Questo gesto, tuttavia, per quanto possa trovare giustificazione nell'esasperazione, in una condizione di vita miserabile, inizia a scavare un solco nella coscienza del protagonista, corrodendolo dall'interno, procurandogli una sofferenza interiore che Dostoevskij descrive mirabilmente.
Se nella tragedia greca il rimorso di Oreste viene personificato nel mito delle Erinni, in questo romanzo ottocentesco si assiste al tortuoso percorso interiore di un'anima tormentata.
Non c'è più il Mito a trasfigurare e a simboleggiare i tormenti dell'anima, ma un uomo di fronte alla sua coscienza.
A rendere ancora più affascinante la lettura è la consapevolezza, da parte del lettore, che il protagonista pagherà le sue colpe di fronte alla giustizia e dunque alla società, ma il castigo più duro, il dolore più cocente saranno quelli patiti dalla sua anima.
Un capolavoro tremendamente attuale, sopratutto per la capacità di Dostoevskij di parlarci di Raskolnikov senza cadere nella tentazione di presentarlo come un eroe maledetto o, al contrario, come un colpevole da redimere, ma semplicemente come un uomo nella sua totalità, nel bene e nel male.
Da leggere.
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Un pugno allo stomaco
Se già da tempo pensavo di sapere quello che succede negli allevamenti intensivi, leggendo questo libro mi sono dovuta ricredere.
Foer inizia questa sorta di romanzo-inchiesta interrogandosi dapprima sul rapporto uomo-cibo e sul rapporto uomo-animale. Se in un primo momento il testo ha un andamento aneddotico e piacevole, come quando l'autore ci introduce il mitico personaggio della nonna o si dilunga sul rapporto con la sua cagnolina, successivamente il cuore dell'opera è un viaggio nell'allevamento intensivo, di tutti i tipi: da quello dei polli a quello suino, per poi parlare della pesca selvaggia e dell'allevamento dei pesci.
L'autore non ci parla solo di numeri e statistiche, ma ci propone la sua esperienza personale, riportando non solo le sue visite in prima persona ad alcuni fra gli allevamenti più importanti negli USA, ma anche le testimonianze dirette di allevatori e attivisti per i diritti degli animali.
Lo scopo non è tanto quello di convincere il lettore a non mangiare mai più prodotti animali, quanto quello di farci capire i danni che questi allevamenti producono non solo sugli animali, trattati in maniera disumana e spesso torturati gratuitamente, ma anche sull'ambiente e sulla salute stessa dell'uomo.
Agli allevamenti intensivi vengono contrapposti altri tipi di allevamento, che prevedono un numero minore di animali allevati, ma sicuramente un trattamento più umano per gli animali, che non sono reclusi in gabbie striminzite e possono vivere all'aria aperta, accoppiarsi quando vogliono e socializzare tra loro.
Foer ci mette comunque in guardia dalle facili diciture che accompagnano i prodotti, tipo "biologico", "da allevamento a terra", e ci dimostra come spesso queste etichette siano delle furbate per attirare i clienti.
Pur essendo vegetariano, l'autore non propone la sua scelta di vita come modello assoluto, ma ci fa capire come ridurre almeno un po' il consumo di carne contribuirebbe a migliorare di gran lunga la salute nostra, del pianeta e degli animali.
Molto interessante anche la parte in cui parla delle epidemie di influenze animali, come l'aviaria, la suina e via dicendo.
E' una lettura che consiglio, perché troppo spesso si parla di "consumo consapevole" senza nemmeno sapere cosa sia, questa consapevolezza.
A me ha colpito molto, e al di là delle scelte alimentari che facciamo, dovrebbe essere un modo per riflettere su come l'allevamento intensivo non violenti solo gli animali e l'ambiente, ma conduca all'esasperazione e all'alienazione anche gli operai che ci lavorano dentro.
Ambiente, uomini e animali sono collegati tra loro, ma troppo spesso ce ne dimentichiamo.
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Nei meandri della mente...
Il romanzo è un viaggio angosciante e tortuoso nella psiche di una donna che, sposata a uno psichiatra affermato, finisce per innamorarsi di uno dei pazienti del marito.
La narrazione è affidata a un amico di famiglia, psichiatra anche lui, abbastanza estraneo alla vicenda per poterla raccontare con distacco, ma coinvolto quel tanto che basta per non fidarci troppo di lui come "narratore imparizale".
Con uno stile asciutto, senza fronzoli, Mc Grath risucchia il lettore dentro la storia, per poi sputarlo via, alla fine del romanzo, distrutto e attonito.
La protagonista femminile, Stella, è una donna insoddisfatta e benestante come ne esistono tante nella vita reale.
E' sposata con Max, un uomo totalmente incapace di calore umano,eppure brillante e, a suo modo, premuroso.
I due vanno a vivere, col figlioletto, in una villa adiacente alla clinica psichiatrica dove Max ha appena ricevuto un incarico promettente.
E' un ambiente claustrofobico e surreale quello in cui Stella si ritrova a vivere. I pazienti in via di guarigione godono di una sorta di semi-libertà ed è facile per lei vederli gironzolare in tuta da lavoro nella sua tenuta.
Tra di loro c'è uno scultore, Edgar, accusato di uxoricidio, e Stella vede in lui tutto quello che la sua vita attuale non le offre: il mistero, la passione fisica, l'aura sregolata dell'artista.
Nonostante il narratore-psichiatra intervenga spesso a smorzare qualsiasi possibilità di comunione emotiva tra il lettore e la protagonista, dando continue spiegazioni "diagnostiche" sui suoi comportamenti, si finisce per entrare così a fondo nel cuore di Stella da non poter distinguere più chi siano le vittime e chi i carnefici.
Ora il lettore si ritrova a compatirla, un momento dopo a odiarla, infine rimane col dubbio: "Chi, in questa storia, è davvero normale? Chi di loro non è folle?"
E' una vicenda in cui non esiste redenzione, né catarsi, ma solo una distruzione lenta e silenziosa, che non ha il fragore di un'esplosione ma il silenzio cupo di un'implosione.
Splendide le descrizioni degli ambienti, dal tetro e asettico manicomio ai tenebrosi sobborghi di Londra, per non parlare della ventosa e grigia campagna gallese.
Sono luoghi che fungono da cornice perfetta alla storia e ne accompagnano l'evoluzione. Non c'è un solo spiraglio di luce in questi ambienti, anche quando ci troviamo in mezzo alla natura, e per questo aspetto lo stile del romanzo sembra affondare le radici in certa narrativa romantica inglese.
Un romanzo che consiglio vivamente a chi ama i viaggi nei meandri della psiche umana e a chi riesce a vedere al di là delle...diagnosi psichiatriche.
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Appassionante
La prima volta che ho visto un libro di Scarlett Thomas in libreria, ho storto il naso. Mi sembrava la classica copertina accattivante e colorata, una roba da bambini, giusto per dare nell'occhio, tutto fumo e niente arrosto.
Invece sono rimasta sorpresa quando ho letto "Che fine ha fatto Mr. Y?", perché riesce a mescolare abilmente elementi filosofici e scientifici col fantastico.La protagonista, Ariel Manto, è una dottoranda in discipline umanistiche ma ha il pallino della fisica e di Derrida. E' squattrinata, nata in una famiglia particolare (la madre era più interessata ad attendere l'arrivo degli alieni che ad occuparsi della figlia)e, pur essendo brillante e versatile, gestisce la sua vita sentimentale in modo avvilente.
Ariel sta conducendo una ricerca sugli esperimenti mentali, e vuole redigere una tesi che intrecci scienza e letteratura.
E' un lavoro interessante ma laborioso, e subisce una sorta di battuta d'arresto in seguito alla scomparsa del suo relatore, il prof. Saul Burlem.
Pur ritrovandosi sola a gestire il suo progetto, Ariel continua a procurarsi i testi per la sua bibliografia, finché non si imbatte in una copia rarissima di un romanzo di T.Lumas, scrittore appassionato di esperimenti mentali e scomparso in circostanze misteriose.
La lettura di questo romanzo porterà Ariel a scoprire la ricetta di una sorta di pozione per avventurarsi nella Troposfera (sorta di luogo della mente)e che le consentirà di esplorare le menti non solo delle persone più disparate, ma perfino di animali.
Inutile dire che questa scoperta le causerà anche una miriade di guai, e che Ariel dovrà mettersi alla ricerca del suo relatore, che apparentemente è l'unico in grado di aiutarla...
Devo dire che il lato positivo di questo romanzo è che non scade mai nella stupidità o nella banalità.
Ti intrattiene con uno stile fluido e accattivante anche quando Ariel disserta di fisica quantistica o di Derrida, e se all'inizio chiede un po' di concentrazione extra al lettore per potersi immergere nella storia, ripaga ampiamente con una seconda parte che ha il sapore del thriller e del fantasy insieme, e che diventa più dinamica.
Mi è piaciuta la scelta dell'eroina perché non è la solita protagonista femminile perfetta, che sa sempre come comportarsi, ma un essere umano pieno di pregi e difetti. Tanto Ariel è brillante quando discute di filosofia e scienza, quanto la sua vita privata appare arida e desolante.
Trovo coinvolgente anche il modo in cui l'autrice ha descritto i "viaggi" di Ariel nelle menti altrui. Soprattutto perché non si tratta solo di menti umane, ma anche animali: quando la protagonista entra nella mente di un topo,ad esempio, la narrazione ti coinvolge a tal punto che ti sembra di vivere l'esperienza sulla tua pelle.
Un neo stilistico, probabilmente, è l'abbondanza di turpiloquio di Ariel e le frequenti immagini sessuali nel corso della storia.
Va bene che nessuno si scandalizza per questo, ma a tratti l'ennesimo "fuck" e l'ennesimo "shit" ti stancano e suonano un po' gratuiti.
Quanto alle immagini sessuali, hanno un sapore più freudiano che sensuale, e sicuramente hanno anche una connotazione ironica, così come ironica e disincantata è Ariel, ma talvolta sono, anch'esse, un tantino gratuite.
Nel complesso trovo la storia brillante, ben congegnata e appassionante. Il finale mi è sembrato inevitabile ma un po' sospeso, e devo confessare che alla fine del libro mi sono sentita un po' abbandonata.
Non ho riscontrato il lato pubblicitario-commerciale che altri vi hanno visto. Credo anzi che la grafica accattivante penalizzi una storia che non ha nulla di scontato e che è mirabilmente strutturata.
Una lettura consigliata a chi vuole conciliare la suspence e l'intrattenimento a un pizzico di cultura.
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Poesia pura che irrompe nel teatro
La fama di questo capolavoro shakespeariano è immensa, vuoi per le rese cinematografiche mirabili (eccezionali, per motivi diversi, sia quella di Zeffirelli che quella di Luhrmann), vuoi per la trama, così attuale e capace di raggiungere una vasta gamma di persone, dagli incurabili romantici ai più scettici.
Eppure non tutti conoscono il testo originale dell'opera.
Romeo e Giulietta sono due "star-crossed lovers", vale a dire due innamorati osteggiati da un destino avverso.
Un amore nato sotto una cattiva stella, perché i due appartengono a due famiglie rivali, rispettivamente i Montecchi e i Capuleti.
I due ragazzi sono giovanissimi, ma dimostrano una tenacia impressionante nel perseguire il loro sogno d'amore.
Appena tredicenne, Giulietta è appassionata, risoluta, non priva di coraggio. E' lei che propone con disinvoltura il matrimonio a Romeo, e che arriva a bere una pozione che la faccia sembrare morta pur di sfuggire alla decisione paterna di farla sposare con Paride.
Romeo, che all'inizio si profila come un pallido sognatore, più bravo a ricamare dichiarazioni d'amore che a progettare soluzioni, maturerà suo malgrado quando si ritroverà a vendicare la morte dell'amico Mercuzio per mano di Tebaldo, cugino di Giulietta.
La loro storia termina in tragedia per una serie di disgraziati equivoci, e la morte dei due giovani servirà come monito alle famiglie per riflettere sulla stupidità delle loro contese.
Shakespeare mescola abilmente elementi comici e tragici, accostando alle figure dei due innamorati quelle di altri personaggi che danno un tocco di sapore alla storia.
La balia di Giulietta, affettuosa e logorroica, ci fa sorridere, così come Mercuzio, amico fraterno di Romeo, ci conquista con la sua arguzia, il suo intelletto e la pirotecnia verbale.
L'ironia di Mercuzio è un efficace contrappunto alle sdolcinatezze di Romeo, e il suo monologo sulla Queen Mab è uno dei pezzi più interessanti dell'opera.
Il linguaggio poetico è sicuramente il pezzo forte, non per nulla ci si ritrova a citare dei versi di "Romeo e Giulietta" pur non avendolo mai sfogliato.
Giulietta che chiede a Romeo di rinnegare il suo nome e che si interroga sull'importanza che la gente dà ai nomi, la celebre similitudine della rosa, sono passi immortali, che mantengono il loro impatto emotivo intatto, senza subire l'usura del tempo.
Il linguaggio stesso di Romeo, così vuoto e astratto nelle primissime scene, si evolve e si colora a mano a mano che il suo amore per Giulietta divampa.
Si tratta di poesia raffinata, che non diventa mai arido esercizio stilistico.
La maestria di Shakespeare sta nel mescolare tragedia e commedia, alta poesia e scherzacci da taverna (vedi lo scontro verbale tra la balia e Mercuzio)e a introdurre il lettore in una storia che ha la consistenza di un magma vitale.
A chi può consiglio la lettura in lingua originale, sbirciando magari la traduzione in italiano per aiutarsi, perché ne vale la pena.
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Una storia dalla morale forte
Chi è cresciuto con le rese disneyane delle fiabe e dei racconti per ragazzi più famosi, sicuramente rimarrà deluso o sgomento leggendo il Pinocchio originale di Collodi.
C'è da dire, però, che se rileggessimo le fiabe di Andersen o quelle di Charles Perrault, non riscontreremmo nemmeno lì il buonismo patinato dei cartoni (buonismo rassicurante e che ci piaceva tanto, ammettiamolo).
Le storie di una volta avevano spesso finali duri, malinconici, perché rispecchiavano epoche e società diverse.
Leggere il Pinocchio originale è interessante, perché ci fa capire come veniva concepita un tempo l'educazione dei ragazzini.
Pinocchio è capriccioso e irrequieto, un ragazzino (benché di legno) vivace, diremmo oggi.Il suo carattere disobbediente e la sua curiosità lo portano a incontrare gente losca che si approfitta di lui (Il Gatto e la Volpe), mostri che lo sottopongono a sevizie varie e perfino a una quasi-morte (la scena in cui viene impiccato è molto forte).
La fata Turchina non è altri che una ragazzina, come lui, ma lo sottopone a prove severissime, lontane dalla dolcezza materna che la sua versione cinematografica aveva.
Di contro a tutti questi elementi drammatici, ben poco divertenti, quasi quasi gotici, c'è un elemento positivo ed è l'infinita pazienza di Mastro Ciliegia, che dimostra di provare un vero affetto paterno per il suo burattino-bambino.
Difficilmente un bambino di oggi comprenderebbe la scena in cui Pinocchio scalpita per la fame e Mastro Ciliegia può solo offrirgli delle pere. Vinta l'iniziale ripugnanza, Pinocchio finisce per mangiare, delle pere, anche le parti che vengono normalmente scartate, per necessità, perché non c'è altro.
Mi rendo conto che possa sembrare moralismo stantio, e sicuramente questa storia subisce un po' l'usura del tempo, ma la ritengo una lettura utile.
Tuttora non sarebbe male insegnare ai più piccoli valori come l'umiltà, la capacità di accontentarsi e di obbedire a chi ci consiglia per il nostro bene.
Le peripezie di Pinocchio sono volutamente esagerate (altrimenti che racconto di fantasia sarebbe?), ma ciò che conta è che alla fine il suo creatore-padre non abbia smesso di volergli bene solo perché lui è stato disobbediente e imprudente.
Per quanto tristi possano sembrare le vicende di Pinocchio, l'importante è che ci sia una catarsi finale, e c'è.
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Un horror classico e ben congegnato
Quando ho letto "Carrie", mi sono detta: "Bene. Quand'è che c'è da aver paura?".
E' una storia che, più che puntare sulla suspence e l'effetto sorpresa, fa riflettere sulla diversità e sulla società in cui viviamo. La protagonista, Carrie,appartiene alla tipologia della liceale "sfigata", emarginata per via del suo carattere introverso e il modo sciatto di vestirsi.
Ad aggravare il quadro, una madre bigotta, sessuofoba e con evidenti problemi psichici, che reprime la figlia in maniera insopportabile per via dei suoi poteri paranormali.
Se ci hanno ormai abituati a quei filmetti americani in cui la ranocchia sfigata si trasforma in una vamp adorata da tutti che trova il principe azzurro, in questo romanzo assistiamo invece a una vicenda che ha il sapore della disgrazia, più che dell'horror.
L'adolescenza di Carrie sembra normalizzarsi, a un certo punto della storia, ma è solo una breve parentesi.
Leggendo l'evoluzione della storia, mi ha colpito la causa scatenante che fa precipitare gli eventi: non la malvagità intrinseca della protagonista, che, in effetti, non c'è, ma la crudeltà della gente, nella fattispecie i coetanei di Carrie, che fa di tutto per guastare quella scintilla di serenità che la ragazza avrebbe meritato.
In sostanza non lo trovo un capolavoro, però è ben scritto, e lo definirei un horror classico, oserei dire alla Frankenstein, proprio perché l'eroe principale non nasce né buono né cattivo, ma semplicemente diverso, e a provocare la catena di eventi sanguinolenti e disgraziati è l'esasperazione dettata dal continuo rifiuto e dall'emarginazione inflitti da una società che ha paura di ciò che non riesce a catalogare.
Un buon libro, graziosa antitesi horror delle commedie studentesche.
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Una storia semplice e affascinante
Questo libro è il primo di Erri de Luca che ho letto.
Da tempo volevo avvicinarmi a questo autore interessante, e sono contenta di averlo fatto con questo libro, perché è stato amore a prima vista.
Il suo stile è essenziale, privo di fronzoli, diretto. Ogni frase, però, è pregna di significato, intrisa di una verità che non sapresti perché la definisci tale, ma è così.
Il segreto di una buona lettura sta nel non farsi scivolare addosso queste perle di saggezza popolare che l'autore infila con grazia nel suo racconto.
Bella la figura del protagonista, un ragazzino cresciuto in una situazione precaria, senza genitori, con la sola compagnia di don Gaetano, eppure malinconicamente sereno, dotato di un'intelligenza e di una saggezza così lontane dallo sfarzo delle apparenze in cui viviamo noi giovani adesso.
Memorabili le pillole di storia di don Gaetano, specie la scena della rivolta popolare a Napoli contro i nazifascisti (il ragazzetto che distrugge un carrarmato servendosi solo della sua agilità e di un tocco essenziale di furbizia è indimenticabile).
Bella la storia d'amore complessa e inusuale che percorre l'infanzia e l'adolescenza del protagonista.
In sostanza, un'opera che dà una bella lezione di stile a tanti autori inutilmente sofisticati e che non trasmettono un briciolo di emozione autentica.
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Inquietudine e disfacimento
Il motivo per cui leggere questo romanzo?
Uno di questi è lo stile. Miller riesce a coinvolgerti piano piano, in maniera quasi inoffensiva, ti balza alle spalle e, senza accorgertene, scopri che non puoi fare a meno di pensare con la sua testa, vedere le cose con i suoi occhi.
La realtà che dipinge è cruda, arida, priva di lirismo.
La Parigi descritta è una città-fantasma, e il narratore stesso è un fantasma, un uomo squattrinato che non ha niente da perdere, che ti trascina nei suoi deliri così veri, così spiazzanti...
E' una Parigi dei quartieracci, dei bordelli, una città polverosa a cavallo tra le due Guerre.
Quando si parla di Miller, la prima parola che viene in mente è "sesso". Inutile dire che il sesso c'è,ma è davvero così fondamentale? Quando leggo una scena di sesso in Miller la trovo sempre perfettamente calata nel contesto, sicuramente realistica, un po' cruda, ma per niente ipocrita.
I personaggi di Miller non sono spensierati acrobati del sesso, piuttosto sono mossi da una fame di vita che ha il sapore della disperazione. E' un sesso, quello di Miller, che porta,assieme alla soddisfazione momentanea, la sifilide, la gonorrea, il disfacimento interiore.E' anche un sesso visto con ironico cinismo, che in certi casi ti strappa un sorriso,come nelle scene in cui compare la sedicente principessa russa.
Un libro da leggere, possibilmente continuando con "Tropico del Capricorno", a mio avviso il vero capolavoro milleriano.
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Prendi un po' di episodi pruriginosi e shakera...
Un libro che inizia con i tormenti di un'adolescente come tante, e che si sviluppa in un susseguirsi di episodi più o meno pruriginosi, più o meno tristi,più o meno rubacchiati qua e là.
Avevo letto un articolo di Melissa P. su una rivista, dove raccontava un po' il suo anno fortunato dopo le vendite pazzesche di questo libriccino, ed ero rimasta piacevolmente sorpresa dal suo stile fresco e confidenziale.
Credo che avrebbe dovuto sfruttare questo suo lato positivo, ma la tentazione di far successo con lo scandalo (o presunto tale)è più forte che cercare di crescere professionalmente.
Chi ha sponsorizzato Melissa sapeva che bastava puntare sulla curiosità e sull'indignazione facile per farle incassare un po' di soldini.
Sono d'accordo con chi dice che le acrobazie erotiche della protagonista sono un po' ammassate così, senza un filo conduttore, senza capire dove vuole andare a parare l'autore.
Il finale, sdolcinato e surreale,rovina tutto.
Il problema non è il sesso, né come viene rappresentato: l'importante è,a mio avviso, avere uno stile originale e una trama solida. Tutto ciò manca.
La protagonista alla fine trova l'amore, un ragazzo che le dice: "Non farti sporcare mai più."
Oh, sì, molto bello. Peccato che la realtà sia molto diversa. Peccato che non vengano approfondite le ferite psicologiche e la solitudine di una persona che va incontro a certe esperienze a cuor leggero.E' tutto trattato in modo sommario e superficiale, e purtroppo le critiche di chi sa solo scandalizzarsi non aiutano a focalizzare le vere lacune della storia.
Si ha l'impressione di essere davanti a un minestrone: sesso di gruppo, sadomaso, sesso cibernetico, voyeurismo, esperienza lesbo, una disastrosa prima volta...e poi?
E poi, beh: se non ti chiami D.H. Lawrence, H. Miller o C. Bukowski è difficile che ci sia un "e poi".
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un classico da leggere
E' uno di quei classici da leggere senza...pregiudizi.
Apparentemente una simpatica storia d'amore a lieto fine, "Orgoglio e Pregiudizio" è, come è già stato detto, un'analisi accurata e deliziosamente ironica della società medio-alta inglese del XVIII secolo.La modernità e l'acume della protagonista, Elizabeth Bennett, si apprezzano ancora di più se contestualizzate nell'epoca in cui vive, ed è con delicata maestria che Jane Austen ci mostra come una ragazza così brillante e dotata di prontezza di spirito, si dimostri poi così ingenua e prevenuta nelle questioni di cuore.
Altrettanto ambivalente la figura di Mr Darcy, spocchioso e gelido all'apparenza, in realtà galantuomo d'altri tempi, e uomo "che-fa-i-fatti".
Una storia piacevolissima, scritta con un'ironia e un garbo che la rendono tutt'altro che sciropposa e lacrimevole.
Credo che uno dei motivi per leggere quest'opera, anche se non il principale, ovviamente, sia la sua modernità. Tolte le gonne lunghe e le carrozze, chi di noi non ha conosciuto madri invadenti e ottuse, sorelle svampite e ansiose di avere l'anello al dito, vecchie signore distinte e insopportabilmente superbe, gentiluomini affabili e ingannevoli, e via dicendo?
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lo scudo di talos
E' un libro ben scritto, per quanto mi riguarda il primo di Manfredi che ho letto. Trovo molto azzeccata la figura del protagonista, un eroe atipico che parte da una condizione svantaggiata, sia dal punto di vista fisico che sociale, e che riesce a trovare la sua strada e a farsi rispettare dando prova di coraggio, ma sopratutto di umanità.
Per chi è appassionato di storia greca, specie del periodo delle poleis, Sparta e Atene, sicuramente risulterà un libro piacevole e accattivante.
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