Opinione scritta da enricocaramuscio

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    14 Ottobre, 2012
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Viaggio nell’universo “marlenico”

Quando Luca Bergia e Riccardo Tesio decisero di fondare quel gruppo che sarebbe poi divenuto famoso con il nome di Marlene Kuntz era il 1987 e il mondo della musica era completamente diverso rispetto a come lo conosciamo oggi. Ce lo dipinge bene Elisa Orlandotti che in questo libro non si limita a raccontare com'è nata, cresciuta e si è affermata la rock band capitanata da Cristiano Godano ma spiega come si sia modificato l'universo musicale dalla fine degli anni ottanta ad oggi, i benefici che ha tratto dallo sviluppo tecnologico, l'aumento dell'attenzione mediatica e i vantaggi che può avere oggi chi vuole emergere nel mondo musicale rispetto a chi come i Marlene ha dovuto fare una durissima gavetta per farsi conoscere. L'autrice ripercorre le varie tappe della carriera del gruppo, rivisitandone gli esordi, i successi, le difficoltà, le collaborazioni prestigiose e non e sottolineando gli inevitabili cambiamenti che col tempo hanno via via modificato il loro modo di fare musica senza per questo snaturare la loro indole anticonformista ne ridimensionare la qualità del loro lavoro. Ma la parte migliore del libro è senza dubbio quella in cui la scrittrice aiutata dallo stesso Godano esamina i testi delle canzoni. Qui viene fuori tutto il talento letterario del frontman. Estrapolati dal contesto musicale infatti i suoi versi appaiono molto più che dei semplici testi di canzoni assumendo l'aspetto di vere e proprie poesie, magari a volte un po’ crude e fin troppo dirette, ma con un fascino particolare che deriva dalla cura della metrica, degli accenti, della costruzione delle frasi, dall'uso di termini sofisticati, da continue citazioni letterarie che rimandano a scrittori del calibro di Nabokov, Kundera e Pavese o si ispirano alla mitologia greca con muse, fauni, novelli Ulisse e Penelope. Questo sistema permette anche di comprendere meglio il significato delle canzoni, spesso offuscato sia dall’ermetismo e dalla cripticità dei versi sia da un accompagnamento sonoro per ovvie ragioni potente e carico ma che spesso tende a oscurare le parole. Si possono quindi analizzare le pietre miliari Sonica e Nuotando nell’aria, le struggenti Laura e Ape regina, le erotiche Sapore di miele e Pornorima, le metaletterarie Le putte e In delirio, le introspettive Io e me e Il solitario, le pungenti A chi succhia e Mondo cattivo, le idiosincratiche Fuoco su di te e Retrattile e tanti altri successi più o meno noti della band. Interessante e ben strutturato questo libro rappresenta una piacevole conferma per chi è già avvezzo all’universo “marlenico”, ma può anche essere utile a chi ancora non conosce bene o affatto la band piemontese e vuole avvicinarsi ad uno stile musicalmente e concettualmente fuori dagli schemi, mai convenzionale ne banale, una vera rarità se non unicità in un panorama musicale ormai povero di nuovi spunti e idee originali e tristemente legato a reality e show business.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    08 Ottobre, 2012
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Contrasto culturale e generazionale

Siamo agli albori del ventesimo secolo e un vento di cambiamento soffia su tutta l'umanità, raggiungendo anche luoghi finora incontaminati come la Cina. Qui la gente è ancora legata ad antichissime tradizioni che parlano di riti religiosi, di un profondo e devoto rispetto per i genitori, di matrimoni combinati alla nascita, di padroni e servi, di mogli vere e di concubine, di una netta separazione tra l'universo maschile dominante e quello femminile subordinato. Ma nell'aria c'è un forte profumo di innovazione e dai più giovani partirà un processo di modernizzazione che porterà ad un contrasto non solo culturale ma anche generazionale. Pearl Buck racconta l'occidentalizzazione della Cina attraverso tre episodi in cui appaiono chiari e lampanti sia i lati positivi del cambiamento in atto, sia quelli negativi che, in un vero e proprio crescendo, finiscono per ricadere su chi non ha ne la forza ne la cultura adeguata ad affrontarlo. Si parte con due fratelli che vivono la trasformazione culturale in maniere opposte, uno proponendola lui stesso, ribellandosi ad un matrimonio combinato e provocando una rottura con i genitori per amore di Maria, una donna americana. L'altra, sua sorella, quasi la subisce, essendo fermamente convinta della bontà e della giustizia del suo antico mondo e trovandosi spiazzata dai discorsi di rinnovamento e modernizzazione del marito "occidentalizzato". Fin qui l'autrice presenta il profilo positivo della rivoluzione culturale, l'emancipazione della donna, il superamento delle vecchie superstizioni, la giusta indipendenza dei figli nei confronti dei genitori riguardo la pianificazione della propria esistenza, il trionfo del vero amore su quello imposto. Ma nei due successivi episodi la Buck fa uscire fuori anche gli aspetti negativi. Troviamo quindi due donne, una moglie e un'anziana madre ripudiate, maltrattate, diventate oggetto di derisione e di ripugnanza per la loro ignoranza e la loro incapacità di adeguarsi ad un cambiamento troppo grande per le proprie forze. Un libro scritto con uno stile elegante e pacato, che affronta un tema interessante e descrive con un alone di magia un mondo ormai perduto proponendo una forte riflessione sui pregi e difetti del progresso. Un progresso che l’autrice paragona nel titolo al vento: un vento di ponente che soffia impetuoso e irrefrenabile sull'oriente, travolgendo superstizioni e pregiudizi ma anche tutto ciò che di buono c’era in quell’antico e romantico mondo, e che a contrastarlo trova un levante che soffia sempre più fiacco e incerto e finisce col diventare poco più di una leggera brezza, troppo debole per poter opporsi al potente avversario.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    27 Settembre, 2012
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Guerre, soli che splendono e dita accusatrici

Partendo dagli anni '60 e giungendo fino ai nostri giorni Hosseini ripercorre la storia del suo paese d'origine, l'Afghanistan, raccontandola attraverso gli occhi di due donne molto diverse tra loro ma unite da un destino comune. Mezzo secolo di scontri ideologici, politici, religiosi, una guerra continua per il potere che semina odio, rivalità, sangue e distruzione sotto gli occhi di un occidente capace di intervenire solo quando c'è di mezzo il proprio tornaconto. In questo contesto si svolgono le vite delle due protagoniste, Mariam e Laila. Mariam è una piccola "harami", figlia illegittima di un ricco possidente e di una sua domestica. Già in tenera età scopre quanto sia dura e difficile la vita, soprattutto per le donne. La serenità della sua infanzia finisce presto, in un attimo crollano ineluttabilmente i suoi sogni e le sue illusioni, scopre quanto si può soffrire quando si è traditi da chi si ama e senza poter reagire si ritrova invischiata suo malgrado in un matrimonio con un uomo violento e prepotente. Laila invece ha un'infanzia felice, una famiglia emancipata, belle amicizie e importanti progetti per il futuro. Ma la guerra tra i sovietici e i mujaheddin incrinerà la sua serenità familiare e la vittoria di questi ultimi segnerà per lei l'inizio di un incubo. E' qui che le vite delle nostre eroine entrano in contatto: all'inizio il loro rapporto non sarà facile ma si sa, le difficoltà uniscono, e quando le due si ritrovano a dover sottostare alla stessa arroganza e alla medesima prepotenza, a dover subire le stesse umiliazioni, a dover sopportare la stessa violenza fisica e psicologica e le stesse discriminazioni sessiste tra loro sboccerà un'amicizia fortissima, toccante, invulnerabile, un legame talmente intenso che porterà una delle due a sacrificare la sua stessa vita per il bene dell'altra. Spaccati di vita quotidiana, precisa cronaca storica, incantevoli descrizioni, angoscianti scene di violenza domestica e non, interessanti riflessioni; il tutto magistralmente condito da una prosa fine ed elegante e dalla straordinaria capacità che possiede Hosseini di emozionare il lettore fino a portarlo alla tachicardia e alle lacrime. L'autore offre un ritratto magnifico di una terra martoriata fino all'accesso dalla follia umana ma incredibilmente affascinante, dove ci sono città come Herat in cui "non si poteva stendere una gamba senza dare una pedata in culo ad un poeta" o come Kabul di cui "non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti, ne i mille splendidi soli che si nascondono dietro i suoi muri". Da atmosfere incantate come queste Hosseini passa ad altre più cupe come ad esempio quelle che si respirano in casa di Rashid: qui la paura e la tensione divengono talmente reali da apparire solide come le pagine del libro che si ha in mano, e si ha l’impressione di vivere in prima persona umiliazioni e angherie tanto è forte l’empatia che si crea con i personaggi. Importante e interessante infine la profonda riflessione sulla condizione della donna che è il vero motivo di fondo del libro, e che sarebbe bene guardare non solo in relazione al mondo estremista in cui si svolgono le vicende. Le discriminazioni, gli abusi, la misoginia infatti sono sotto gli occhi di tutti anche da noi e la violenza spesso si trova nella porta accanto o nelle nostre stesse case: “Come l'ago della bussola segna il nord, così il dito accusatore dell'uomo trova sempre una donna a cui dare la colpa”.

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Romanzi autobiografici
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    25 Settembre, 2012
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A.A.A. trasgressione cercasi

Può succedere che dopo essere scampati ad una morte che sembrava ormai certa, si cominci a vedere la vita con un occhio diverso, ad apprezzare di più cose che un tempo venivano trascurate e a giudicare futili altre a cui prima si dava molta importanza. Si cambiano mentalità, aspettative, desideri. Ma non sempre questa metamorfosi del proprio io agisce in senso positivo. Ad esempio per Michel, il protagonista di questo libro, rappresenta una sorta di involuzione etica, di degrado morale. Sposatosi con Marceline senza amore solo per compiacere il padre in punto di morte, il giovane studioso durante il suo viaggio di nozze si trova costretto a lottare contro la tubercolosi, uscendone vincitore grazie alle costanti e amorevoli cure della devota moglie, ma totalmente cambiato nello spirito. Una metamorfosi negativa e distruttiva che tira fuori tutto il suo egoismo, la sua indifferenza, la ricerca del piacere personale a scapito degli altri che sfocerà in un tragico evento. Solo davanti all’irreparabile Michel sarà costretto a fare i conti con la propria coscienza e chiedere aiuto ai suoi fedeli amici. Questo romanzo di Andrè Gide delude un po’ le aspettative di chi pensava di avere a che fare con un libro trasgressivo e scandaloso come buona parte della critica afferma. In realtà di scabroso o fuori dagli schemi c’è ben poco, i comportamenti del protagonista appaiono poco più che semplici marachelle e anche i riferimenti all’omosessualità dell’autore sono talmente velati e innocenti che si riescono a cogliere solo se ci si è informati prima sulla sua vita. Troppo poco anche se si guarda la cosa in rapporto all’epoca in cui è stato scritto. Ma se si lascia da parte la critica e non ci si pone questo tipo di aspettative si può comunque godere di un romanzo scritto con una prosa eccellente, curata e delicata e che tratta un argomento importante come la decadenza di un’umanità che di li a pochi anni (e qui Gide è da elogiare per la sua lungimiranza) attraverserà uno dei suoi momenti peggiori.

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"Viaggio al termine della notte" di Celine
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Romanzi autobiografici
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    24 Settembre, 2012
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La fine di un incubo

Aushwitz, gennaio 1945. L'arrivo dei russi segna la fine di un incubo per chi ha vissuto sulla propria pelle la triste e dolorosa esperienza della detenzione nei lager nazisti. Per gli ex “haftlinge” significa salvezza, libertà e speranza di tornare a casa e riprendere una vita normale. Ma la guerra ancora non è finita e il ritorno al proprio focolare, pur aleggiando nell'aria come qualcosa di imminente, nei fatti resta ancora lontano dal potersi realizzare. Ne sa qualcosa il nostro Primo Levi che una volta lasciato il campo di concentramento polacco si ritrova sballottato in giro per l'Europa dell'est, trovando rifugio, cibo e protezione nei vari centri di raccolta predisposti dai liberatori sovietici. Ma come si fa a sentirsi liberi quando si è ancora costretti a stare ammassati, confinati, a dipendere dagli altri e a vivere in precarie condizioni igieniche senza sapere quando tutto questo finirà? Levi stila un racconto minuzioso del periodo che va dall'apertura dei cancelli di Auschwitz al suo ritorno a Torino, raccontando avvenimenti, condizioni di vita, speranze e dolori. Inoltre descrive molto bene i luoghi visitati e offre una precisa fotografia della gente incontrata in questo periodo. Personaggi tra i più disparati tra i quali spiccano particolarmente il Greco e Cesare, abilissimi commercianti che cercano in ogni luogo e in ogni situazione di fare affari sia per guadagnare qualche spicciolo e migliorare la propria situazione, sia perché quest'attività consente loro di sentirsi in qualche modo vivi; l'energica infermiera Marja Fjodorovna, il burbero Moro di Venezia, il selvaggio Velletrano e tanti altri. L’autore è molto bravo a non farsi trascinare dai propri sentimenti, non facendo trapelare minimamente ne odio ne risentimento nei confronti dei nazisti. Ciò forse porta ad avere un racconto più freddo e distaccato, rendendolo però sicuramente più attendibile, dandogli maggiore credibilità. Commovente il finale in cui Levi spiega come alcune esperienze ti segnino profondamente nell’inconscio, e come certi fantasmi ti inseguano anche ad incubo finito.

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"Se questo è un uomo" di Primo Levi
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Romanzi storici
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    09 Settembre, 2012
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Romantico giallo letterario

Balzando continuamente dagli anni ottanta alla metà del diciannovesimo secolo Antonia Byatt ci guida in una sorta di giallo letterario sulle tracce di una insospettata love story tra due poeti dell'epoca vittoriana, seguendo una pista d'inchiostro fatta di lettere e poesie. Il protagonista è Roland Michell, giovane studioso di letteratura che scopre per puro caso la corrispondenza amorosa tra il famoso poeta Randolf Henry Ash, soggetto principale dei suoi studi, e Christabel La Motte, poetessa anche lei. Una scoperta sorprendente perché Lord Ash è sempre stato visto come un uomo poco passionale e diligentemente fedele alla propria consorte e Miss La Motte come una persona schiva e diffidente, nonché notoriamente omosessuale. Roland per districarsi nell'indagine chiede aiuto ad una profonda conoscitrice di Christabel e sua discendente, Maud Bailey. I due nel portare avanti la ricerca dovranno fare i conti con aristocratici sospettosi, amici impiccioni, imperialisti della cultura, fidanzate gelose e vecchie fiamme dure a rassegnarsi. Ma scopriranno verità sconcertanti e troveranno anch'essi l'amore. Romantica senza mai essere sdolcinata, questa storia è un mix tra moderno e antico, tra prosa e poesia, tra storia d’amore e giallo. Un’idea originale e una trama tutto sommato interessante, sorrette dall’ottimo stile dell’autrice e da personaggi di grande carisma e personalità come Ash e La Motte. Antonia Byatt non si limita a inventare le due figure ottocentesche ma si prodiga anche nel compilarne i versi in perfetto stile vittoriano e nel creare fonti, citazioni e commenti. Ma questo se da un lato è encomiabile e tende a rendere più veritiera la storia dall’altro appesantisce notevolmente la lettura di chi è poco avvezzo a quel genere artistico, rendendola meno piacevole e addirittura ostica nelle parti in cui ci si imbatte in spezzoni di critiche letterarie e di diari soporiferi. Soprattutto l’inizio può risultare lento e pesante, poi aumenta l’interesse e sale un po’ il ritmo per giungere però ad un finale un tantino scontato e forzatamente lieto.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    24 Agosto, 2012
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Noir da ombrellone

Milano anni ‘70. Mentre l’Italia è soffocata dall’aria pesante degli anni di piombo nel capoluogo lombardo la vita notturna scorre torbida e viziosa tra bische clandestine, cabaret, ristoranti di lusso e locali alla moda, appannaggio di cocainomani, prostitute, artisti, balordi e gente che cerca semplicemente di godersi un po’ la vita. In questo contesto, o meglio tra le ombre di questi ambienti, si muove Francesco Marcona detto Bravo, un cinico magnaccia d'alto borgo, personaggio dal passato oscuro e dal presente discutibile, che nasconde un inconfessabile segreto e si guadagna da vivere vendendo donne. La comparsa nella sua vita della la bella e travolgente Carla coinciderà per lui con l’inizio di una serie di guai e Bravo si troverà invischiato senza volerlo in una storia più grande di lui che lo vedrà costretto a rivedere la sua vita e fare i conti con il passato. Finalmente Faletti sembra allontanarsi dal solito formato del thriller in stile americano pieno di assassini seriali e duri senza macchia e si butta in un noir tutto italiano che rievoca un periodo difficile della nostra storia ed elenca vizi e difetti del bel paese che oggi più che mai, in periodi di forte corruzione e di bunga-bunga, appaiono ben lungi dall’essere superati. Ma il libro presenta comunque delle lampanti pecche: trama un po' troppo confusionaria, finale scontato e poi sempre questi personaggi bellissimi, intelligentissimi, ricchissimi e che sanno sempre come cavarsela. Ma peggio di tutto una prosa fin troppo semplice, al limite della banalità, che se da un lato aiuta la scorrevolezza, dall’altro toglie qualsiasi fascino alla lettura. Consigliato solo per rilassarsi sotto l’ombrellone.

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"Strage" di Loriano Machiavelli
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Classici
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    19 Agosto, 2012
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Diario di una prigionia

Con un’opera che appare più un libro di denuncia che un vero e proprio romanzo, Dostoevskij cerca di raccontare la sua esperienza carceraria seguita ad una condanna per crimini politici. Lo fa attraverso le vicende di un personaggio di fantasia che però appare palesemente un vero e proprio alter ego del grande maestro russo. Il protagonista della storia è il nobile Aleksandr Petrovi? Gorjan?ikov, condannato a dieci anni di lavori forzati in Siberia per aver ucciso la moglie in seguito ad un attacco di gelosia. Con il suo stile pacato l’autore descrive sotto forma di diario l’aspra vita in prigione, le difficoltà di ambientamento e di convivenza tra gente di ogni risma, le discriminazioni e i privilegi, la durezza del lavoro e la crudeltà delle punizioni corporali. Ma anche le amicizie, la solidarietà, il bisogno di evadere dalla routine quotidiana, i sotterfugi per guadagnarsi pochi copechi utili a soddisfare qualche effimero desiderio. Dostoevskij è come sempre straordinario nel tracciare i profili interiori dei vari personaggi che si aggirano per la prigione e nel proporre al lettore interessanti riflessioni sulla condizione umana. La situazione del recluso appare infatti una sorta di metafora della comune vita dell’uomo che, anche se libero, si trova senza rendersene conto incatenato a prigionie di carattere morale e materiale e, proprio come quando si è in prigione, ha poche cose cui aggrapparsi: la fede, la propria forza interiore, la speranza. E la speranza è sempre quella di poter un giorno togliersi le catene e oltrepassare il recinto del carcere per riavere la tanto agognata libertà. In tal proposito Dostoevskij chiude il libro con queste parole: “Le catene caddero. Io le sollevai… Volevo tenerle in mano, guardarle per l’ultima volta. Ora mi meravigliavo pensando che un momento prima stringevano le mie gambe. Su, Dio vi accompagni, Dio vi accompagni!, dissero i forzati con le loro voci ruvide, affannose, ma che avevano un accento di soddisfazione. Si, Dio ci accompagni! La libertà, una vita nuova, la risurrezione dai morti… E’ un momento magnifico!”

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Romanzi
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    11 Agosto, 2012
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Porcellane che passione

Chatwin ci racconta una storia breve, leggera e simpatica ma non per questo priva di ottimi spunti, nobili contenuti e interessanti citazioni storiche e tecniche. Il tutto correlato da una prosa garbata e un ritmo vivace. Il protagonista è il barone Kaspar Utz, ricco praghese con sangue ebreo e tedesco nelle vene e una fortissima passione per la porcellana che sfocia non solo in un maniacale collezionismo, ma porta quest’uomo ad instaurare un rapporto quasi morboso con la sua preziosa collezione, che diventa per lui un rifugio contro i mali del mondo e contemporaneamente una sorta di prigione per la mente e per l’anima. Quest’ometto apparentemente schivo ed insignificante si vede costretto a difendere le sue amate statuine prima dalla furia distruttrice dell’occupazione nazista, poi dalle mani avide e dall’invadente burocrazia del regime comunista, ostentando nei confronti di entrambi i totalitarismi la più totale indifferenza, perché a suo dire il peggior affronto che si può fare ad un governo è fingere che non esista. Ed è proprio questo rifiuto di sottostare al mondo ottuso che ci circonda il tema centrale del libro, questa ricerca dell’uomo di estraniarsi dalla realtà che cerca di sopraffarlo attraverso qualsiasi mezzo, come appunto fa Utz con la sua collezione. Quando alla morte del protagonista le sue amate porcellane spariranno in barba ai funzionari statali, si scopriranno lati insospettabili del carattere del barone e si resterà con il dubbio che forse il protagonista abbia trovato la felicità e quindi il coraggio di separarsi dalle amate porcellane e la certezza che sia riuscito a fare tutti fessi.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    05 Agosto, 2012
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Western dolce-amaro

Il mito della frontiera americana, gli spazi sconfinati del Messico, la passione per la natura e per gli animali, il bisogno di cercare se stessi e di trovare un posto in cui vivere che si possa sentire come proprio. Tutto questo Cormac McCarthy ce lo racconta attraverso le vicende del sedicenne John Grady Cole che, fatta terra bruciata attorno a sé, parte a cavallo del suo Rebdo verso il Messico accompagnato dal cugino e fraterno amico Lacey Rawlins. Una sorta di anacronistico rifiuto nei confronti di un progresso che imperversa inesorabile negli Stati Uniti del dopoguerra, che porta i due ragazzi a sconfinare in una terra legata ancora alle vecchie tradizioni e a cercarsi un lavoro che li tenga a contatto con la natura e con il bestiame. Per loro comincia così una vita randagia fatta di cavalcate, cene attorno al fuoco, notti sotto le stelle, mandrie selvagge e ululati di coyotes. Giunti nello stato di Coahulia vengono assunti alla Purìsima, un ranch in cui oltre al lavoro troveranno la tranquillità, l’amicizia e perfino l’amore. Ma come spesso accade nella vita i bei momenti durano poco e le speranze e le illusioni si trovano a cozzare con la dura realtà di un mondo cattivo e cinico. Così per i nostri eroi i guai non tarderanno ad arrivare, costringendoli brutalmente a rivedere i progetti e tornare sui propri passi. Un western dai due volti quindi, dolce nella prima parte dove nascono, si alimentano e si concretizzano i sogni dei protagonisti, amaro nella seconda dove domina una concezione negativa della condizione umana legata all’impossibilità secondo McCarthy di combattere contro il proprio destino. Lo stile narrativo è semplice e asciutto e sale un po’ di livello durante le affascinanti descrizioni dei paesaggi e dei luoghi, mentre lascia un po’ a desiderare l’analisi introspettiva dei personaggi, affidata quasi esclusivamente a dialoghi frequenti ma molto scarni. Da rilevare in positivo la piccola parentesi dedicata al racconto dei giorni della rivoluzione messicana, mentre in negativo appare lampante l’esagerazione nell’attribuire al protagonista John Grady una serie infinita di doti morali positive, di qualità fuori dal comune e di capacità di cavarsela in situazioni disperate che sono davvero troppe per un ragazzino di sedici anni alla sua prima esperienza lontano da casa in mezzo a uomini crudeli e senza troppi scrupoli.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    29 Luglio, 2012
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L’amore per la vita e il bisogno di libertà

Piccola e fragile fuori, forte e determinata dentro, Eva Luna vive una vita costantemente in bilico tra realtà e fantasia e ricca di incontri singolari e disparate esperienze, dimostrando in tutte le situazioni un'incrollabile amore per la vita e un fortissimo bisogno di libertà. Con il suo solito stile impeccabile e raffinato Isabel Allende ci racconta la storia di questa donna, tra magiche atmosfere e spaccati di vita crudi e dolorosi. Nata da un amore fugace e rimasta orfana in tenera età, la giovane passerà di padrone in padrone e di tutore in tutore, ribellandosi ad ogni tipo di sopraffazione e di umiliazione, scoprendo l'amore e l'amicizia e conservando sempre la sua straordinaria capacità di inventare storie e lo smisurato talento nel saperle raccontare. Sullo sfondo un paese che passa da una dittatura militare a una democrazia malata che si discosta poco dal precedente regime, a cui si oppongono coraggiosamente Huberto Naranjo nelle file dei guerriglieri e Rolf Carlè, giornalista che sfida la censura per raccontare le verità più scomode. Entrambi incroceranno le loro esistenze con quella della protagonista, restandone travolti. Ma non solo loro, anche la risoluta Madrina, la dolce Elvira, il buon Riad Halabì, la bellissima Mimì vedranno le loro vite segnate dall'incontro con la dolce eroina. Neanche il lettore resterà immune dal contagioso carisma di Eva Luna, e vedrà trasmettersi attraverso le pagine la sua stessa voglia di vivere e il suo stesso rifiuto per ogni tipo di umiliante sottomissione.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    22 Luglio, 2012
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Duro colpo al sogno americano

Uno scontro generazionale e ideologico che va al di là del tormentato rapporto padre-figlia, coinvolgendo un intero paese, gli Stati Uniti, in un momento storico di grande difficoltà come sono stati gli anni della guerra in Vietnam. Un duro colpo al sogno americano, che riporta il protagonista ma anche il lettore con i piedi per terra mettendoli davanti ad una realtà ben diversa da quella sognata. Seymour Levov, detto Lo Svedese, vive una vita apparentemente perfetta: grande atleta, affermato imprenditore, impeccabile marito della bellissima Miss New Jersey e padre felice di Merry. Una persona ammirata e presa a modello da chiunque la conosca. Ma il suo mondo ideale si sgretolerà quando la figlia Merry, crescendo, dimostrerà un carattere difficile e ribelle che la porterà a mettersi in grossi guai inseguendo i suoi ideali. A questo punto per lo Svedese comincerà un’ineluttabile discesa verticale che lo precipiterà brutalmente giù dal suo piedistallo e lo costringerà ad un crudo faccia a faccia con un se stesso e con l’ambiente che lo circonda. Roth punta su uno stile semplice ed asciutto, concentrandosi invece su un’ottima analisi introspettiva dei personaggi e su pungenti riflessioni riguardo il mondo politico e religioso, tirando fuori un bel libro, leggermente sporcato però da eccessive dosi di retorica e da qualche fastidiosa ripetizione di concetti espressi più volte.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    11 Luglio, 2012
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Dopo essere stato colpito in pieno da una palla di cannone durante una battaglia con i saraceni, il visconte Medardo di Terralba si ritrova il corpo diviso letteralmente in due precise metà distinte e separate. Nella metà destra, ribattezzata il Gramo, si concentra tutta la malvagità del visconte, in quella sinistra, detta invece il Buono, tutta la sua bontà. Tornati in patria i due imperverseranno per le proprie terre esasperando la gente con gli eccessi di terribile cattiveria l'uno e di esacerbante bontà l'altro, senza che mai uno dei due abbia la meglio. Soltanto quando si metterà di mezzo l'amore la situazione troverà finalmente una soluzione. Una contrapposizione bellissima tra il bene e il male che Calvino affronta con il suo solito stile semplice e pimpante e una massiccia dose di simpatia, abbinando magistralmente profonde riflessioni a situazioni quasi grottesche e giungendo ad un pensiero finale: nella lotta tra il bene e il male non c'è mai un vero e proprio vincitore, la vera soluzione si trova soltanto con un adeguato equilibrio. Niente eccessi quindi, ma le giuste dosi di bontà e di fermezza da amministrare con saggezza. Una forte critica alla società moderna poi Calvino la manifesta attraverso vari personaggi che girano attorno al visconte, ognuno dei quali rappresenta una determinata categoria di persone con i relativi difetti. Abbiamo ad esempio mastro Pietrochiodo, che incarna una scienza che spesso invece che benessere tende a portare un progresso distruttivo; il vecchio Ezechiele, portavoce dell’ipocrisia di chi predica buone intenzioni ma ai fini pratici pensa solo ai propri interessi; il dottor Trelawney, rappresentante di una medicina che spesso si occupa di fatti marginali invece di dedicarsi alla cura dei reali problemi della gente. Argomenti quindi di costante attualità, che abbinati alla simpatia della storia fanno di questo libro un romanzo piacevolmente impegnato e consigliato a tutti.

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Romanzi
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    30 Giugno, 2012
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Frivolo ma pieno di charme

Partendo dal tardo medioevo e giungendo ai nostri tempi, Il Duca D'Auge se ne va a spasso per la storia a vivere le sue singolari e simpatiche avventure, accompagnato dai fidi scudieri, dagli inseparabili e combattivi amici e dagli immancabili Stef e Sten, i suoi saggi ed eloquenti cavalli parlanti. Nell’epoca moderna invece il buon Cidrolin trascorre le giornate sulla sua chiatta a bere estratto di finocchio e a dipingere continuamente la sua staccionata dove sistematicamente appaiono scritte ingiuriose sul suo conto. Ma qual'è il legame tra questi due personaggi? Beh, ogni volta che uno si addormenta sogna di essere l'altro e viceversa, in un continuo inseguirsi di sogni e realtà, senza mai riuscire a capire chi è il personaggio reale e chi quello onirico. Anzi, i due finiscono addirittura per incontrarsi, fare amicizia e decidere per certi versi il destino dell'altro. Sfruttando un’idea molto originale, l’autore ottiene un libro simpatico e piacevolissimo, molto divertente grazie alla forte dose di comicità, alle situazioni grottesche e ai singolarissimi personaggi e scorrevole grazie ad uno stile semplice e pieno di verve. Il libro inoltre è pieno zeppo di giochi di parole, neologismi, doppi sensi e non mancano neanche citazioni e celati riferimenti d’attualità. Queneau poi sembra voler proporre delle leggere riflessioni sulla condizione dell’uomo e sullo scorrere ineluttabile della storia, ma queste rimangono molto vaghe e velate, forse perché coperte dalla straordinaria simpatia di questa storia, facendo apparire il libro un po’ troppo frivolo ma comunque dotato di forte charme.

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Romanzi storici
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    26 Giugno, 2012
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Una messe scarlatta di sangue e di fame

Brasile, anni 30. Nel sertao la vita dei contadini è resa sempre più dura da un regime di mezzadria che rasenta la schiavitù. I sertanejos sono costretti a spezzarsi la schiena sulle terre dei colonnelli in cambio di poco più di niente, senza poter avanzare alcun diritto e con l'incubo di essere cacciati via da un momento all'altro. Ma per chi resta non c'è alternativa a meno di trasformarsi in cangaceiro o in pellegrino, seguendo rispettivamente il famigerato bandito Lucas Arvoredo o il mite e beato Estevao. Chi invece abbandona il sertao è costretto ad affrontare un lungo ed impervio viaggio a cui pochi riescono a sopravvivere, e di questi non tutti arrivano realmente a migliorare la loro vita. Amado racconta questo difficile momento storico attraverso le vicende della famiglia di Jeronimo e Jucundina. Questi hanno già perso tre figli, andati via da casa per cercare una vita migliore: chi è entrato nell'esercito, chi nella polizia militare, chi è diventato bandito. Ora, cacciati dalla terra su cui lavoravano, sono costretti a intraprendere un duro viaggio verso Sao Paulo, sorta di terra promessa in cui ripongono tutte le loro speranze. Ma la traversata sarà dura e difficile e non tutti sopravviveranno e giungeranno a destinazione. Con i suo stile unico e inconfondibile, l’autore riesce a miscelare la durezza e il realismo del racconto con una prosa dolce e raffinata, riuscendo a creare un'atmosfera quasi magica che accompagna il libro anche nei momenti più crudi. Notevole la cura dei particolari, ottima la descrizione dei personaggi. Tra tutti spiccano Marta, ragazza dal cuore d'oro interamente dedita alla famiglia e che per la famiglia sacrificherà l'amore e l'onore, e Nenen, coraggioso e carismatico, che nelle file del partito lotterà per cercare di migliorare la situazione dei contadini e di chiunque abbia difficoltà a sopravvivere. E poi la tenera e sfortunata Noca, la folle Zefa, il saggio Jeronimo, l'impavido Josè e tanti altri. Ma una sola è la vera ed inequivocabile protagonista del libro: la fame. La fame che costringe a subire i torti, che spinge alla fuga, che acceca gli animi e porta le persone a diventate peggio degli animali e compiere gesti di impensabile bassezza. La fame che porta alla ribellione, che può sfociare nel banditismo, nella violenza fine a se stessa, ma se incanalata nel verso giusto, come nel caso di Nenen, può portare all'inseguimento di un ideale di giustizia ed equità che renda il mondo più equilibrato e giusto e permetta a chi per anni ha sofferto di raccogliere i meritati frutti. Ed è proprio questa la speranza con cui Amado chiude questo straordinario libro, esprimendola con queste bellissime parole:”I germogli del dolore e della rivolta crescevano, per quella messe scarlatta di sangue e di fame era giunto il tempo del raccolto”.

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"Furore" di John Steinbeck
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    10 Giugno, 2012
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Atipico poliziesco hollywoodiano

Quello dello spettacolo è un mondo pieno di fascino e di gloria ma anche ricco di rivalità, false amicizie, dispetti. Un mondo in cui oggi sei un mito e domani potresti ritrovarti chiuso nel dimenticatoio. Lo sa bene il grande Stan Laurel, senza lavoro ormai da anni ma troppo orgoglioso per andare ad elemosinare particine irrilevanti dagli pseudoamici di Hollywood come ha fatto invece il suo storico compagno Oliver Hardy. Ma come mai la coppia comica più famosa della storia non riesce più a lavorare? A cercare di scoprire il perché troviamo il famoso detective privato Philip Marlowe affiancato da Osvaldo Soriano nei panni di se stesso. Il loro viaggio alla ricerca della verità sarà pieno di imprevisti e rocambolesche avventure, scazzottate, sparatorie, arresti e rapimenti, in cui i due se la vedranno con miti del cinema del calibro di John Wayne e Charlie Chaplin. Un poliziesco atipico, in cui la fantasia fa da padrona, accompagnata da un ritmo serrato, una forte dose di ironia e momenti di commovente amarezza, tutto raccontato con lo stile dolce ed elegante di Soriano. Un libro che omaggia sia il cinema che la letteratura e che vuol rendere giustizia al duo che ha fatto la storia della comicità mondiale, in cui l'autore è bravissimo a creare l'atmosfera giusta per descrivere il fascino dolceamaro di un mondo fin troppo controverso e a sottolineare quanto può essere effimera la gioia per il successo e com'è facile trovarsi ad un certo punto della vita tristi, solitari e ormai vicini alla fine.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    03 Giugno, 2012
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Inconfondibile Camilleri

Un’immensa distesa d’erba, un inutile cancello, una donna che sembra essere Livia ma Livia non è e che ad un tratto si trasforma in cavallo. Da questo sogno bislacco parte un complicato caso che vede coinvolto il commissario Salvo Montalbano. Questi al suo risveglio trova il cadavere di un cavallo barbaramente massacrato sotto la finestra di casa sua. Sarà l’inizio di una tortuosa indagine che lo porterà nel mondo delle corse, sia clandestine che di beneficienza, che vedrà coinvolti personaggi di diverso lignaggio e che, dopo vari colpi di scena si concluderà grazie al proverbiale intuito del nostro eroe aiutato però stavolta da un altro sogno bizzarro che lo riporterà sulla pista (di sabbia) giusta. Ma Montalbano sembra dare i primi segni di invecchiamento, comincia a non vederci tanto bene, a dimenticare cose importanti, a non riuscire a resistere a certe tentazioni. Una stanchezza che sembra riversarsi anche su una trama poco brillante e coinvolgente, ma che non guasta del tutto un libro comunque consigliato per lo stile inconfondibile del maestro Camilleri, per l’immancabile ironia e la solita simpatia dei personaggi e per il consueto ritratto di una terra straordinaria come la Sicilia.

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Romanzi
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    28 Mag, 2012
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Nobili intenzioni, pochi contenuti, zero charme

Le nobili intenzioni di DeLillo di mettere in evidenza i difetti di una società contemporanea fin troppo legata al materialismo e al consumismo vanno a cozzare contro una trama confusionaria e poco interessante e a personaggi privi di carisma e personalità. Le stesse critiche al mondo moderno sembrano retoriche e banali e peccano di saccenteria, inoltre non vengono sviluppate a pieno e restano a galleggiare nella confusione generale. Un vero peccato perché gli elementi per un buon libro non mancano. In una cittadina della provincia americana troviamo una famiglia eterogenea, dove i genitori vengono da diversi matrimoni falliti e vivono in un intreccio di figli provenienti da queste varie unioni, in una casa che somiglia ad un porto di mare, dove l’importanza del proprio status quo la fa da padrona. Ma le certezze legate al lavoro, agli affetti, alla sicurezza economica affondano di punto in bianco quando irrompe un disastro naturale scatenando un turbine di paure e sospetti e portando a galla impensabili timori e sconcertanti verità che sfociano in drammatiche conseguenze. Purtroppo l’autore sembra perdere di mano la trama, rimbalza confusamente da un fatto all’altro, da una paura ad una certezza, da personaggi che per un attimo sembrano pienamente sicuri di se per poi perdersi un secondo dopo in banali paure e clamorose contraddizioni. Si salva un po’ lo stile, grazie ad una prosa tutto sommato interessante, briosa e piacevole con qualche sprazzo virtuoso. Ma lo stile non basta a coprire le lacune di un libro pretenzioso ma notevolmente privo di charme e di contenuti.

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Romanzi storici
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    22 Mag, 2012
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Cronaca di guerra dettagliata e coinvolgente

La guerra civile spagnola dal punto di vista di chi l'ha vissuta in prima linea. Una visione inevitabilmente di parte, perché in guerra è praticamente impossibile essere neutrali, ma molto più attendibile dei tanti racconti bellici scritti da chi se ne sta comodo e al sicuro lontano dal conflitto e spesso non sa nemmeno di cosa parla. Privo di qualsiasi interesse personale e spinto solo dai suoi forti ideali e dal sogno di un mondo più equo e giusto, il giovane Orwell lascia l'Inghilterra per recarsi in Spagna a combattere al fianco delle forze antifasciste. Arruolatosi nelle file del POUM, vivrà l'esperienza di una guerra anomala, vissuta dagli stessi spagnoli quasi con distacco e indifferenza, dove i nemici principali sembrano essere il freddo e le piattole piuttosto che gli avversari politici, in cui l'inesperienza dei giovani militanti e la scarsità di mezzi rendono difficile qualsiasi operazione, dove le divisioni interne alle forze alleate finiscono per fare il gioco del nemico. Divisioni che raggiungeranno l'apice con la messa al bando del POUM e l'arresto e le ingiustificate accuse di tradimento nei confronti dei suoi appartenenti, vanificando le speranze dell’autore di veder trionfare la rivoluzione proletaria e facendo nascere in lui la consapevolezza che chiunque avesse vinto la guerra avrebbe guidato il paese con atteggiamento autoritario e totalitaristico. Una cronaca di guerra dettagliata e coinvolgente, scritta sotto forma di diario, che non si limita solo al racconto puro e semplice della vita al fronte, ma si arricchisce di appassionate descrizioni di luoghi e personaggi e sprigiona tutto l’amore per una terra e un popolo unici. A seguire due appendici in cui Orwell, sotto forma di saggio storico-politico, svela retroscena, intrighi, interessi di parte che hanno fatto prendere una determinata piega al conflitto, e punta il dito sui mezzi d’informazione che alteravano i fatti diffondendo notizie false o travisate per favorire una determinata parte politica e affossarne un’altra. Qui l’autore sembra mettere in guardia gli uomini dal fidarsi ciecamente di ciò che viene scritto sui giornali o trasmesso per radio o per televisione, un monito che oggi più che mai appare valido ed attuale.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    20 Mag, 2012
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Storie di guappi e coltelli

Undici brevissimi racconti racchiusi in meno di novanta pagine, in cui la vera protagonista è Buenos Aires con i suoi sobborghi, i guappi, i coltelli, le sue regole scritte e non scritte, i suoi intrecci di amore, amicizia, morte. Troviamo così due fratelli che si dividono la stessa donna, un duello in cui gli uomini sono solo dei mezzi per far combattere le spade, un guappo che difende la sua famiglia anche dall’ oltretomba e tanti altri personaggi e situazioni dello stesso genere. Lo stile non è male, ma la ripetitività di alcuni elementi che accomunano tutti i racconti e lo scarso interesse che questi suscitano fanno di quest’ opera di Borges un libro poco coinvolgente e forse un po’ noioso, in cui a spiccare è solo la sottile ironia con cui l’ autore sembra quasi prendersi gioco di alcuni comportamenti umani quali l’ intolleranza, il maschilismo, la violenza.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    14 Mag, 2012
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Rinascita della coscienza civile

Lisbona, estate 1938. Non c’è solo il caldo ad opprimere la capitale portoghese, a soffocare tutta la nazione e gran parte del continente. E’ un periodo di forte deriva verso destra e nel paese lusitano siamo agli albori del regime di Salazar; l’aria diventa ogni giorno più pesante a causa dell’opera della polizia politica, della propaganda nazionalista, della censura, della disinformazione e della repressione nei confronti di chi non si dimostra ben allineato all’ideologia dominante. Ma il dottor Pereira, responsabile della pagina culturale del Lisboa, un giornale del pomeriggio di Lisbona, sembra non accorgersi di ciò che succede nel suo paese e in tutta l’Europa, perso nel suo mondo fatto di letteratura, limonate, ricordi dei bei tempi andati e dialoghi con il ritratto della moglie morta da diversi anni. Solo dopo aver conosciuto il giovane Monteiro Rossi e la sua ragazza Marta, una coppia attivissima nella lotta antifascista, il giornalista comincerà a guardarsi intorno, ad informarsi e a rendersi conto di ciò che sta succedendo. Il decisivo contributo alla rinascita della sua coscienza civile arriverà poi dalla bella amicizia che Pereira stringerà con il suo medico, il dottor Cardoso, che lo affascinerà con la sua teoria sulla confederazione delle anime e lo spingerà a seguire il suo nuovo “Io egemone”. Tutto ciò lo porterà a compiere un importante e coraggioso gesto a favore della democrazia. Un ritratto storico e politico straordinario quello che ci regala Tabucchi, che inquadra perfettamente la situazione europea nel periodo delle grandi dittature. Al lettore sembra quasi di sentire incombere su di se il peso del regime, e questo peso sembra aumentare sempre più man mano che si procede nella lettura. Pur non raccontando fatti eclatanti e nonostante il ritmo non altissimo l’autore è molto bravo nel tenere alta la tensione e vivo l’interesse. Lo stile è impeccabile, pacato ed elegante, bellissimi i dialoghi, superlativa la figura del protagonista. Rilevante infine il messaggio civile e umano che il grande scrittore lancia agli uomini: quello di tenere sempre alta la guardia contro ogni tipo di oppressione e di non restare mai passivi davanti a chi cerca di soffocare la libertà.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    10 Mag, 2012
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Fondamentalismo ecologico

Come reagirebbe l' umanità se un giorno si ritrovasse improvvisamente priva delle più comuni e usate fonti di energia, cioè i carburanti fossili? Come farebbe a funzionare una società ormai totalmente dipendente da macchine e tecnologia senza combustibili e corrente elettrica? Corona prova ad immaginare lo scenario che si verrebbe a creare, quale sarebbe la prima reazione degli uomini, in quale modo la società si potrebbe organizzare per far fronte al problema. Ma soprattutto l' autore sembra chiedersi: gli uomini impareranno finalmente la lezione e capiranno che il pianeta va rispettato, che la semplicità e l' essenzialità sono le chiavi per un mondo migliore, che la ricerca sfrenata dei soldi e del potere portano inevitabilmente alla rovina? Corona parte da un’ idea molto interessante ma non riesce a svilupparla adeguatamente, restando troppo sul vago e non riuscendo ad argomentare per bene le sue pur interessanti idee, facendosi trascinare troppo da un fondamentalismo ecologico che finisce per vanificarne i buoni propositi. L’ idea di fondo infatti è tutto sommato giusta, in quanto l’ autore vuole mettere in guardia l' uomo dai possibili risvolti a cui può portare lo stile di vita che la società attuale conduce, ma lo scenario che crea appare eccessivamente apocalittico e in più infarcisce il libro di retorica e luoghi comuni, spara a zero contro tutto e tutti auspicando un ritorno ad uno stile di vita da età della pietra e torna continuamente sugli stessi concetti rendendo il libro ripetitivo e privo di sostanza. Insomma, un libro ambientalista ma che appare troppo poco scientifico per essere un saggio e lontano dal poter essere definito romanzo per la totale mancanza di personaggi e fatti particolari e troppo pieno di fanatismo ideologico. Sconsigliato, ma se proprio volete leggerlo prendetelo con le pinze, come se si trattasse di una pura e semplice provocazione.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    03 Mag, 2012
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La più infamante macchia nella storia dell' umanit

Partendo dal suo antenato africano Kunta Kinte, Alex Haley racconta la commovente e affascinante storia della sua famiglia, attraversando ben sette generazioni. Un viaggio che ha come protagonista principale la follia umana in quella che lo stesso autore definisce come la più infamante macchia nella storia dell' umanità: la tratta degli schiavi. Una storia che non riguarda solo la famiglia dell' autore, ma milioni di uomini strappati alla propria terra, ai propri affetti, alle proprie tradizioni, privati della dignità e del diritto di vivere, malmenati, frustati, umiliati e ridotti in schiavitù. Comincia tutto in Africa, con la nascita di Kunta e la cronaca dei suoi primi sedici anni di vita. Un racconto affascinante, quasi magico, in cui Haley descrive dettagliatamente il modo di vivere e di pensare, le tradizioni, il rispetto, le leggi di un mondo molto più civile di quello che si possa pensare, più civile sicuramente di quello occidentale che pur definendosi tale dimostra di non avere limiti in quanto a barbarie. La pacifica vita di Kunta si trasforma radicalmente quando viene rapito dai “taubob”, caricato su una nave a bordo della quale attraversa l' Atlantico in condizioni a dir poco disumane e una volta sbarcato in America venduto e costretto a lavorare a colpi di frusta. Da Kunta il testimone passa man mano ai suoi discendenti, partendo dalla figlia Kizzy fino ad arrivare allo stesso Alex Haley, attraverso le prime ribellioni degli schiavi, la guerra di secessione, l' assassinio di Lincoln, fino a giungere finalmente all' abolizione della schiavitù. Ma una volta liberi gli afroamericani avranno sempre e comunque da fare i conti con i pregiudizi e la prepotenza dei bianchi. Haley è straordinariamente bravo nel raccontare tutto ciò con uno stile semplice e asciutto, quasi da cronaca, ma riuscendo a generare nel lettore emozioni fortissime e una sorta di empatia con i vari protagonisti: leggendo sembra di sentire su di se il dolore per le percosse e i colpi di frusta, l' umiliazione per la sopraffazione, i morsi della fame, lo scoraggiamento e la disillusione nel vedere che le cose non migliorano e probabilmente non miglioreranno mai, ma anche la gioia per le seppur insignificanti vittorie, i rari riconoscimenti e le piccolissime soddisfazioni. Una lettura interessante per l' argomento trattato e coinvolgente ed emozionante per i bellissimi protagonisti e le loro storie, incalzante per lo stile semplice e il buon ritmo, commovente perché è impossibile non piangere e restate indifferenti a tutto ciò, educativa perché mette in luce i clamorosi errori commessi dall' umanità, sottolinea i progressi che sono stati fatti ma lascia intendere che la strada da percorrere è ancora lunga.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    22 Aprile, 2012
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Bel noir a sfondo sociale

Succedono strane cose a Belleville, tanto da indurre la simpatica e singolarissima famiglia Malaussène a trasformare la propria casa in una sorta di rifugio per anziani soli e con problemi di tossicodipendenza. Vecchie signore sgozzate da un affilatissimo rasoio, infermiere comunali che rifilano “pillole di felicità” ad anziani senza più nessuno al mondo, innocenti nonnine che sfondano il cranio di poliziotti a colpi di P38, donne torturate e gettate giù da un ponte, giovanotti poco raccomandabili che si comportano da boy scout. Insomma, c’è poco da stare tranquilli. Ad indagare su questi eventi per motivi differenti, con metodi diversi e in direzioni opposte ci sono l’energico commissario Cercaire, il pacato poliziotto Pastor, la coraggiosa giornalista Julie e il suo ragazzo Ben Malaussène che, da buon “capro espiatorio” di professione, rischia anche in questo caso di passare per colpevole. Per risolvere questo complicato intrico Pennac ci porta a spasso per le umide e pericolose strade del sobborgo parigino tra sbirri razzisti, magrebini omertosi, anziani disillusi e altri ancora pieni di voglia di vivere, gente corrotta e senza scrupoli ed eroi inflessibili e senza macchia. E poi sangue, botte, cani epilettici, cartomanti, rivalità, affari loschi, politica marcia, gelosia, amore. A ciò si aggiunge una prosa ben curata, una discreta analisi introspettiva dei personaggi e una buona dose di ironia. Non manca proprio niente per un noir come si deve, ma questo è un libro consigliato a tutti, non soltanto agli amanti del genere, perché alla suspance e agli intrecci polizieschi affianca la simpatia e la generosità di personaggi esemplari per il loro comportamento e una forte attenzione nei confronti di delicati problemi sociali come la droga, l’ abbandono degli anziani e la solitudine in generale.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    20 Aprile, 2012
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Romantico monito agli estremismi religiosi

Con grande maestria Màrquez racchiude in poco più di cento pagine un intenso ed emozionante intreccio di personaggi e situazioni surreali caratterizzato da una prosa magistrale, da un romanticismo mai mieloso e da un costante alone di magia latinoamericana. Al centro del racconto c’ è la piccola marchesina Sierva Maria che a causa dell’ incuria e dell’ indifferenza di un padre indolente e di una madre viziosa cresce tra gli schiavi imparandone lingua, riti e costumi. Quando la ragazzina viene morsa da un cane rabbioso si scatenano una serie di eventi tragicomici che tengono il lettore incollato alle pagine fino allo struggente finale. Spaziando da sudici tuguri dove alloggiano gli schiavi a lussuose stanze di residenze vescovili, passando da personaggi come Cayetano Delaura, giovane prete pieno di fede ma anche capace di innamorarsi ad altri come il dottor Abrenuncio, ateo, scapolo incallito e con un’ etica professionale tutta sua, l’ autore disegna un affascinante quadro caraibico dove la medicina si mischia alla magia, la realtà all’ immaginazione, l’ amore all’ odio e il fascino e la tradizione dei riti africani si scontrano con l’ autorità e i pregiudizi della religione cattolica. E tra erotismo, esorcismi, pentimenti, cavalli centenari, lacrime e risate è proprio agli estremismi religiosi che Gabo sembra lanciare un monito ad abbandonare quell’ integralismo che porta all’ intolleranza e spesso rende incapaci di distinguere bene i sentimenti confondendo il confine tra il bene e il male e facendo vedere demoni lì dove c’ è semplicemente e innocentemente amore.

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Classici
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    14 Aprile, 2012
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Povertà morale e materiale dell’ uomo

Cèline ci guida in un viaggio travolgente ed altamente sarcastico nella precaria condizione morale e materiale dell’ uomo nei primi anni del ventesimo secolo. Protagonista del romanzo è Ferdinand Bardamu, giovane anarchico studente di medicina che si ritrova a vivere diverse esperienze in giro per il mondo. Dagli orrori della prima guerra mondiale vissuta al fronte in prima linea alla dura vita nelle colonie africane dove le nuove leve dell’ imprenditoria cercano di far soldi con i più squallidi e cinici mezzi; dall’ alienante esperienza lavorativa nelle fabbriche americane, simbolo di un capitalismo che in cambio di uno stipendio ti ruba anima e personalità, al ritorno in Francia dove, terminati gli studi e diventato medico, si ritroverà a lavorare nelle zone più povere e degradate, spesso gratis o comunque mal pagato, circondato da gente pronta a compiere le più impensabili bassezze. Bardamu vivrà queste esperienze con un distacco e un’ indifferenza sempre maggiori, restando sempre più disgustato da ciò che l’ uomo riesce a fare o ad essere e perdendo man mano la fiducia e la stima nella razza umana. Cèline usa uno stile che varia a seconda delle esigenze: per rendere più realistico il racconto durante la narrazione delle vicissitudini di Ferdinand e dei vari personaggi che lo accompagnano il linguaggio è gergale e sgrammaticato, scurrile e blasfemo. Ma spesso tra un fatto e l’ altro ci sono dei momenti di riflessione in cui vengono fuori veri e propri virtuosismi letterari. L’ autore inoltre è bravissimo nel riuscire a mischiare l’ ironia alla denuncia e nel condannare la condotta degli uomini senza moralismi né retorica, fornendo la precisa fotografia di un’ intera epoca che, confrontata con quella attuale, dimostra quanti pochi progressi abbia fatto l’ umanità in un intero secolo.

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Classici
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    01 Aprile, 2012
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La bellezza ed il piacere

Chi non vorrebbe avere una bellezza fuori dal comune e la possibilità di conservarla negli anni trasferendo i segni dell’ invecchiamento ad un ritratto su tela? E se questo dipinto, oltre agli effetti dell’ età sul nostro corpo, ci mostrasse anche i segni della corruzione e della decadenza morale della nostra anima come reagiremmo? Saremmo in grado di guardarlo e sostenerne il confronto? Riusciremmo a riconoscerci in lui, così diverso dall’ immagine esteriore di noi che ci regala uno specchio o che scopriamo riflessa negli occhi di chi ci guarda? Quando Dorian Gray si rende conto di aver stretto quasi inconsapevolmente un patto di questo genere col diavolo è sconvolto ma contento di poter mantenere la sua straordinaria bellezza a discapito del ritratto dipinto per lui dal suo grande amico Basil Hallward. Così, a lungo andare, a causa di un’ esistenza discinta e corrotta, davanti alla sua pessima condotta nei confronti degli altri e in seguito a diverse morti causate direttamente o indirettamente da lui, il quadro comincerà a restituirgli un’ immagine inquietante e ripugnante, con occhi cattivi, un ghigno perfido e ipocrita e le mani insanguinate. Allora Dorian sarà costretto a fare i conti con le sue colpe e con i suoi peccati e a cercare una tardiva redenzione. Con una prosa che spesso può definirsi pura poesia Oscar Wilde ci racconta una storia tanto surreale nei fatti narrati quanto altamente realistica nel suo significato. Il libro infatti evidenzia fortemente i vizi e i difetti della società inglese di fine ‘800, troppo frivola, superficiale ed egoista, in cui le apparenze contano più della sostanza e la ricerca del piacere e l’ appagamento del proprio senso estetico sembrano essere le uniche cose per cui vale la pena di affannarsi. Questi concetti sono ribaditi per lo più attraverso le parole e i comportamenti di Lord Henry Wotton, un personaggio dedito ad una vita dissoluta e che ostenta continuamente idee ciniche e amorali, che diventa una sorta di guida spirituale in negativo per Dorian Gray, in contrapposizione al pittore Basil che invece cerca ripetutamente di svegliare la coscienza morale del protagonista. Questo libro è un vero capolavoro, immortale e sempre attualissimo, in cui Wilde senza ipocrisia e senza moralismi ostenta il suo estetismo, la sua passione per il bello mettendo però il lettore in guardia: va bene amare la bellezza pur di non fermarsi a quella puramente esteriore, va bene ricercare il piacere a patto che ciò non vada a discapito degli altri.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    26 Marzo, 2012
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Simbolo di una generazione ribelle

“Avevamo altro e più lungo cammino da percorrere. Ma non importava, la strada è vita.” In queste poche parole è racchiuso il senso di questo bel libro di Jack Kerouac: un continuo viaggio senza una meta o un obbiettivo precisi, senza mezzi né risorse, in cui ciò che conta è solo andare. Un viaggio reale attraverso l’ America, da est a ovest e viceversa, nonché verso sud oltre il confine messicano. Ma un viaggio anche simbolico, attraverso se stessi e la gente che ci circonda, nel tentativo di trovare un senso alla propria esistenza e alla vita in genere. Sal Paradiso, giovane studente con ambizioni da scrittore ci porta in giro per l’ America del dopoguerra tra fiumi, laghi, deserti, montagne rocciose e immense praterie, romantici vigneti e sconfinate piantagioni di cotone, riuscendo attraverso le pagine di un libro a farci innamorare di questa terra. Tra un passaggio e l’ altro, tra un pullman e una stazione, il protagonista racconta la sua esperienza tra bar, case d’ appuntamenti, locali jazz, ostelli e camere d’ albergo in un turbine di alcool, droga, sesso, scazzottate, amicizia, amore e follia. Sul suo cammino incontra le più svariate tipologie di persone, di ogni razza e di ogni ceto, ognuno dei quali vive la vita e vede il mondo a modo suo. Ma sono i suoi amici i soggetti più singolari e interessanti. Tra tutti spicca Dean Moriarty, forse il vero protagonista del racconto, un ragazzo dal passato difficile e dallo stile di vita in netto contrasto con le abitudini borghesi dell’ epoca, sempre su di giri, costantemente eccitato da un’ incontrollabile voglia di vivere, incapace di programmare la propria vita e di mantenere stabili rapporti con le persone che ama. Tutto ciò fa di questo romanzo un libro cult, simbolo di un movimento letterario, la beat generation, ma anche di un’ intera generazione che si ribellò al perbenismo e alle convenzioni sociali, accattivante sia per la trama che per i personaggi, raccontato con ritmo brioso e una prosa semplice ma bella.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    19 Marzo, 2012
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Vizi e virtù dell' Italia alle soglie del Risorgim

Amore, duelli, guerra, politica, intrighi, invidie, gelosie, veleni. Gli ingredienti per un’ ottima storia ci sono tutti e infatti questo romanzo merita la fama internazionale che lo circonda da quasi due secoli. Se si supera un inizio lento e pieno di riferimenti storici e una prosa per forza di cose un po’ antiquata si ha la possibilità di leggere un libro bello e piacevole che rappresenta una pietra miliare della letteratura europea. Stendhal ci guida in un' Italia alle soglie del Risorgimento attraverso le vicende di Fabrizio del Dongo, giovane figlio di un marchese ultraconservatore che tradirà gli ideali paterni per amore di Napoleone andando in Francia per arruolarsi nell' esercito guidato dal grande generale corso. Ma questa avventura non andrà secondo i suoi sogni e al ritorno in patria comincerà per lui una vita di esilio, fughe e pericoli in cui conoscerà la galera ma anche l’ amore, l’ amicizia e la fama. Attorno a Fabrizio troviamo un nugulo di personaggi molto diversi per estrazione, modo di vivere e carattere, attraverso i quali l' autore traccia un preciso ritratto delle classi sociali, della vita e delle consuetudini dell' Italia dell' epoca dimostrando un grande amore per il Bel Paese e per i suoi abitanti. Secondo Stendhal infatti gli italiani sono l' unico popolo d' Europa capace di farsi guidare nella vita dalla passione e dai sentimenti, d' amore o d' odio che siano, e non esclusivamente dalla sete di denaro. Da sottolineare le figure del conte Mosca e soprattutto della bellissima zia di Fabrizio, Gina, legata al nipote da un fortissimo sentimento d' amore che sfiora la morbosità pur restando comunque platonico. Questi due personaggi saranno fondamentali nella vita del protagonista e aiuteranno il lettore a capire gli intrallazzi e i sotterfugi del potere, le tresche e le rivalità di corte, l' importanza delle alleanze politiche e l' influenza che certe donne riuscivano ad avere nella vita pubblica. Un romanzo da leggere non solo per la sua fama ma anche perché interessante, intrigante e divertente, in cui è facile trovare vizi e virtù che fanno ancora parte della vita contemporanea.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    10 Marzo, 2012
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Sfida al perbenismo e al conformismo

Romanzo breve, frizzante e anticonformista con cui Truman Capote sfida il perbenismo e l’ ipocrisia borghesi. Con ritmo vivace e uno stile sobrio ma mai banale l’ autore racconta le vicende di Holly Golightly, giovane escort di umili origini e in condizioni economiche spesso precarie che vive infischiandosene delle convenzioni sociali e cercando di sfruttare il suo grande fascino e il forte ascendente sugli uomini per farsi largo nella vita. Una donna arrivista, intelligente e calcolatrice ma che segue comunque una moralità tutta sua e si fa guidare da un’ ingenua fiducia nel prossimo che la metterà nei guai. Guai da cui saprà uscire a modo suo e con una determinazione e un amore per la vita ancora intatti. Il romanzo si legge in poche ore non solo grazie alle pochissime pagine, ma anche per la piacevolezza che suscita e per la simpatia dei personaggi e che, dopo più di mezzo secolo, si dimostra ancora attuale nella descrizione dei vizi e del conformismo della società.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    08 Marzo, 2012
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Troppo “americano”

Il team di investigatori guidato dal criminologo Goran Gavila deve indagare su un caso a dir poco inquietante: cinque ragazzine sono scomparse negli ultimi venticinque giorni e di loro non si ha nessuna notizia finché in un bosco vengono rinvenute delle braccia umane, tutte sinistre, palesemente riconducibili alle stesse bambine. La macabra scoperta aggiunge un mistero in più: gli arti infatti sono sei e finora non è stata sporta nessuna ulteriore denuncia di scomparsa. Ma allora a chi appartiene il sesto braccio? Perché tutta questa violenza su degli esseri così indifesi ed innocenti? Ad aiutare la Squadra Speciale viene chiamata Mila Vasquez, agente esperta nel ritrovare persone scomparse ma alla sua prima esperienza con un serial killer. Il suo inserimento non sarà esente da problemi ma si rivelerà decisivo nello sviluppo dell’ indagine. Nonostante la troppa violenza il libro parte bene ma sembra perdersi un po’ strada facendo, pagando un’ eccesiva voglia del suo autore di stupire continuamente il lettore con un abuso di colpi di scena che, se da un lato danno vivacità alla storia, dall’ altro spezzettano e rendono confusa la trama. Donato Carrisi usa uno stile un po’ stereotipato, con una prosa abbastanza elementare e dei personaggi poco originali anche se ben delineati, dimostrando di andare troppo dietro al prototipo trito e ritrito dei thriller commerciali d’ oltreoceano che, con tutto il rispetto, saranno anche avvincenti e venderanno pure un sacco di copie, ma con la letteratura hanno poco da spartire. Un libro fin troppo “americano” consigliato solo agli amanti del genere o a chi vuole rilassarsi con una lettura leggera e scorrevole, senza troppe pretese.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    29 Febbraio, 2012
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Straziante e coinvolgente affresco storico

Una straordinaria Elsa Morante ci regala uno straziante e coinvolgente affresco storico visto con gli occhi umili e impotenti di chi da sempre è costretto a subire le decisioni ciniche e spesso insensate di chi detiene il potere. Ambientato a Roma negli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale questo bellissimo romanzo narra le vicende di Ida Ramundo vedova Mancuso, una modesta insegnante, di madre ebrea, che lotta per la sopravvivenza sua ma soprattutto dei suoi figli Ninnuzzo e Useppe. L' autrice racconta le difficoltà quotidiane che questa donna incontra per dar da mangiare alle sue creature, privandosi spesso essa stessa del cibo, in un paese dove i viveri scarseggiano e quel poco che c'è si compra a peso d' oro, le paure che la attanagliano dopo l' emanazione delle leggi razziali, la preoccupazione per l' incolumità del birbante Ninnuzzo, partito per la guerra come camicia nera e ritornato partigiano e di Useppe, così piccolo e indifeso in un mondo pieno di violenza. A loro si affiancano la fedele Bella, angelo custode di Useppe, l' oste Remo, leale compagno di Nino, il clan dei Mille, numerosissima e simpatica famiglia napoletana di sfollati, il saggio e coraggioso Eppetondo e l' anarchico Carlo Piotr Davide. Tutti personaggi affascinanti e ben delineati dall' autrice, ognuno dei quali affronta la vita e le difficoltà a suo modo. Su tutti però spicca Useppe, uno dei personaggi più belli della letteratura italiana, bimbo dolcissimo cresciuto in fretta senza vizi ne pretese e con una sensibilità fuori dal comune, di cui è impossibile non innamorarsi. Elsa Morante riesce nel difficile compito di trattare temi delicati senza sfociare in facile demagogia e ovvia retorica come spesso avviene quando si parla del periodo in questione, dando invece una versione dei fatti nuda e cruda senza comunque trascurare lo stile che risulta invece gradevole e scorrevole; le varie espressioni dialettali e le pronunce infantili di Useppe inoltre avvicinano ulteriormente il lettore ai vari protagonisti e rendono ancora più realistica l’ atmosfera. Questa storia è una ferma condanna a qualsiasi tipo di regime totalitario, non solo il nazifascismo. Attraverso la disillusione di Ninnuzzo e la rabbia di Davide Elsa Morante infatti bacchetta anche chi come l’ Urss ha tradito le speranze di riscatto di tanta povera gente trasformando il sogno e il progetto di una rivoluzione proletaria in una dittatura violenta e in pratica capitalista lontana dagli ideali per cui è nata e sfoga la sua delusione nei confronti di chi ha miseramente fallito sprecando l’ opportunità di costruire un mondo migliore una volta finito il conflitto. Invece è semplicemente stata sostituita un tipo di dittatura con un’ altra: quella della borghesia, del capitalismo e del consumismo che non meno delle altre tende a soggiogare e schiacciare i più poveri e i più deboli.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    28 Febbraio, 2012
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Si può mai essere veramente liberi?

Succede a volte che, insoddisfatti della propria vita, si senta il bisogno di cambiarla radicalmente, di andarsene lontano, assumere un' altro nome e magari un aspetto diverso. Mattia Pascal non pensava a questo quando si è allontanato da casa per qualche giorno, voleva solo godersi un po’ di tempo lontano dall' assillo dei creditori e dalle angherie di moglie e suocera. Invece ecco che gli si presenta l' occasione di ricominciare da capo: durante il viaggio di ritorno da Nizza, dove ha vinto una cospicua somma al gioco, il protagonista apprende da un giornale che per errore è stato dato per morto. Decide di approfittare dell' occasione per lasciarsi alle spalle una vita insoddisfacente ed essere finalmente libero, con un' altra identità, lontano dal suo paese e con un bel gruzzoletto in tasca. Così assume il nome di Adriano Meis e si trasferisce a Roma. Ma si può veramente parlare di libertà quando non si ha nemmeno un documento che provi la nostra esistenza, che ci permetta di avere una casa, una famiglia o semplicemente un cane? Si può passare il resto della vita a mentire sul proprio passato, a dover rinunciare al vero amore o anche alla soddisfazione per un torto subito? I temi trattati in questo libro sono quelli cari a Pirandello: la precarietà dell' uomo, le tante maschere che le convenzioni sociali ci costringono a portare, l' ineluttabilità del destino. Ma in particolare lo scrittore siciliano mette in evidenza l' impossibilità di avere una vita veramente libera se si rimane fuori dalla società, dalle sue leggi e dai suoi schemi. Nonostante il linguaggio un po’ datato il libro si legge con grande piacere e interesse, grazie al buon ritmo, alla grande ironia e agli argomenti che sono tuttora di grande attualità. Molto bella nel finale la parte dedicata alla visita di Mattia alla sua tomba. In sostanza un bel libro, che, con grande umorismo, apre gli occhi sulla condizione dell' uomo che, oggi come allora, appare tutt’ altro che felice.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    26 Febbraio, 2012
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Debutto in grande stile

Questo è il primo romanzo pubblicato da Bulgakov e per il grande scrittore ucraino fu un debutto in grande stile: trama avvincente, perfetto ritratto storico, personaggi molto ben delineati e una prosa incantevole, curata in ogni particolare e che spesso sfiora la poesia. La storia ruota intorno ai tre fratelli Turbin che, poco dopo la scomparsa della loro amatissima mamma, si ritrovano a dover fare i conti con altri eventi drammatici. Infatti, dopo la rivoluzione d' ottobre, l’ Unione Sovietica è in piena guerra civile e la loro città, Kiev, si trova stretta tra tre fuochi: da una parte i “bianchi” fedeli all’ etmano supportati dai tedeschi, dall’ altra gli indipendentisti ucraini guidati dallo spietato Petljura e infine i “rossi” bolscevichi. Elena dovrà separarsi dal marito, costretto dagli eventi a cercare rifugio all' estero, mentre Nikolka e Aleksej si arruoleranno nella guardia bianca rischiando la vita per difendere il governo dell’ etmano e i privilegi della loro classe. Saranno giorni di paura, rabbia, sangue, violenza e odio ma ci saranno anche occasioni per mangiate, bevute, musica, partite a carte e corteggiamenti. Mancano la satira e le metafore di cui in seguito saranno ricchi i romanzi di Bulgakov, mentre qui l’ autore usa un realismo nudo e crudo e permea l’ intero libro di un’ atmosfera di precarietà, pericolo e di una tensione amara e palpabile. Il libro è ricco di citazioni letterarie, musicali ed artistiche e interessanti riflessioni di carattere politico e sociale la cui idea di fondo è una: la decisa e profonda condanna della guerra e della violenza in generale a cui troppo spesso porta il fanatismo ideologico di qualunque parte esso sia. Poetico e commovente il finale in cui lo scrittore si chiede come mai gli uomini si affannino tanto per cose futili e passeggere invece di ricercare la pace rifugiandosi nelle stelle, fisse, eterne ed immutabili: “Tutto passa. Le sofferenze, i tormenti, il sangue, la fame e la pestilenza. La spada sparirà, e le stelle invece rimarranno, quando anche le ombre dei nostri corpi e delle nostre azioni più non saranno sulla terra. Le stelle saranno allo stesso modo immutabili, allo stesso modo scintillanti e meravigliose. Non esiste uomo sulla terra che non lo sappia. Perché allora non vogliamo la pace, non vogliamo rivolgere loro il nostro sguardo? Perché?”. Come non amare un grande maestro capace di scrivere cose del genere?

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    22 Febbraio, 2012
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Genio e sregolatezza

Nella camera del manicomio in cui è ricoverato, Oskar, suonando il suo tamburo, rievoca la sua vita e la trascrive su 500 fogli di carta vergine. Un' esistenza incredibile la sua: il giorno del suo terzo compleanno decide di porre fine alla sua crescita fisica e di mascherare agli altri quella mentale, occultando un’ intelligenza fuori dal comune. Questo è il suo modo di difendersi da un mondo che non sente suo e che lo disgusta fin dal primo giorno della sua vita. Un mondo insensibile, ipocrita e violento, a cui lui contrappone il suono del suo tamburo e il suo urlo vetricida come mezzi per manifestare la sua protesta e la sua rabbia. Con questo stratagemma vive taciturno, solitario e indifferente i primi anni della sua vita, senza però evitare di incorrere in singolari incontri e avventure. Finchè, dopo una serie di eventi, prenderà la decisione di ricominciare a crescere. Ma la sua sarà una crescita dolorosa e difficile, nonché incompleta. Grass ci regala un romanzo bellissimo, esilarante ma anche commovente, surreale ma a tratti fin troppo realistico, attraverso il quale racconta, con fatti ma soprattutto per metafore, la storia della Germania dal primo dopoguerra alla ricostruzione postnazista. Il protagonista è straordinario, un coinvolgente mix di genio e sregolatezza, di razionalità e follia, di cinismo e dolcezza, a cui è impossibile restare indifferenti. Ma il libro è ricco di tanti altri personaggi interessanti che accompagnano il piccolo Oskar e di situazioni particolari ed emozionanti. A tal proposito spiccano la figura di nonna Anna, che con le sue quattro gonne rappresenta l' ideale rifugio dai mali del mondo e il capitolo dedicato alla “Cantina delle cipolle” che descrive in maniera spiritosa le difficoltà della gente di comunicare ed esternare paure e sentimenti. Una prosa spesso complessa e dei passaggi un po’ concettosi non tolgono smalto ad una storia appassionante, educativa e ricca di situazioni e personaggi in cui è facile perdersi e immedesimarsi: chi, davanti a delusioni e a brutti eventi non ha mai desiderato tornare bambino per trovare rifugio nell' innocenza e nella spensieratezza infantili? Chi non ha mai cercato un mezzo per evadere dalla realtà e non si è mai costruito una protezione per i momenti in cui si sente minacciato dalla famigerata "Cuoca Nera"?

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    12 Febbraio, 2012
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Coraggioso viaggio all’ interno del “Sistema”

Roberto Saviano ci guida in un viaggio all’ interno del sistema camorristico aiutandoci a comprenderne il funzionamento e la mentalità, raccontandone la storia e illustrandone lo smisurato giro d’ affari. Per la camorra niente è più importante del lucro e questa organizzazione criminale riesce a trarre profitto da qualsiasi tipo di merce e ad entrare in ogni fase del ciclo vitale della stessa, dalla produzione fino allo smaltimento. Vestiti, scarpe, prodotti tecnologici, cibo, costruzioni, rifiuti, droga: il “Sistema” riesce a mettere le mani dappertutto e il suo giro d’ affari si estende praticamente a tutto il globo, aiutato da legami politici, da accordi commerciali con marchi famosi e dall’ omertà della gente comune. Tutto ciò che si frappone tra il sistema e il guadagno va eliminato con ogni mezzo e il mezzo più utilizzato è il piombo: in terra di camorra si spara a volto scoperto, in mezzo alla gente, in chiesa, davanti ai bambini e a volte proprio ai bambini. Si uccide con una facilità disarmante, tutti sanno, tutti vedono ma nessuno parla, anzi quando qualche cammorrista viene arrestato i più inveiscono contro le forze dell’ ordine coprendole di insulti, sputi, minacce e violenza. Uno dei punti di forza dell’ organizzazione è prorpio l’ appoggio e la solidarietà della gente comune derivante dal fatto che molte famiglie campano del lavoro che gli viene dato attraverso le sue attività illecite; inoltre, soprattutto per i più giovani i boss sono modelli da seguire, idoli, persone da imitare perché hanno potere, rispetto e soprattutto soldi, macchine di lusso, donne da capogiro, ville hollywoodiane. L’ autore riesce a descrivere con semplicità una realtà complessa e spaventosa come questa, trasformando una sorta di dossier fatto di informazioni, date e nomi in un libro che oltre ad essere interessante e capace di aprire gli occhi risulta anche scorrevole e piacevole da leggere. Da ammirare soprattutto il coraggio di un ragazzo di 27 anni che ama la sua terra al punto che pur di denunciare e rendere pubblico il marciume che la attanaglia si è autocondannato ad una vita da recluso, dovendo vivere oramai perennemente sotto scorta, barattando la sua libertà con la verità e la speranza (forse vana purtroppo) che svelando ciò possa cambiare qualcosa.

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Racconti
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    28 Gennaio, 2012
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Interessanti racconti in bilico tra realtà e fanta

31 racconti, tutti molto brevi, che ruotano bene o male intorno agli stessi concetti. E' la morte la protagonista principale, ma si parla anche di sconfitte, abbandoni, illusioni inutili, fede e mancanza di fede. Si parla cioè di vita così come la intendeva Dino Buzzati, con un occhio pessimistico e malinconico che però non annoia e non demoralizza. Le storie sono abbastanza interessanti, in bilico tra realtà, verosimiglianza e fantasia; si leggono con un certo piacere per la simpatia dei personaggi e la singolarità degli eventi e per il fatto che nascondono un significato metaforico che a volte si trova in superficie ma altre va cercato più in profondità. Tra tutte si distinguono per stile, contenuto e messaggio “L’ assalto al grande convoglio”, “La canzone di guerra”, “Il cane che ha visto Dio”, “Il tiranno malato”, “Il colombre”, “La torre Eiffel” e “Ragazza che precipita”.

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Racconti
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    23 Gennaio, 2012
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La necessità dell’ indipendenza

Tre episodi, tre storie diverse, tre donne accomunate dal senso di delusione e di sconfitta per aver dedicato un’ intera vita ad amare qualcuno da cui sono poi state tradite, deluse, abbandonate. Nel primo Monique affida le sue confessioni e le sue frustrazioni ad un diario in cui racconta come è venuta a sapere dei tradimenti del marito, come ha cercato di affrontare la situazione e come infine si è dichiarata sconfitta. Nel secondo una madre racconta come suo figlio Philippe, che lei e il marito hanno allevato inculcandogli i loro ideali, dopo aver dimostrato di aderire alle idee dei genitori decide di prendere strade che lo allontanano dalla loro filosofia di vita. Per lei questo voltafaccia sarà un tremendo colpo, un tradimento che non riuscirà a perdonare a quello che prima era il suo cocco. Nell’ ultimo Murielle sfoga in un monologo la rabbia, l’ insoddisfazione, la tristezza per una vita difficile in cui ha visto fallire due matrimoni, ha subito la morte per suicidio della figlia e le relative accuse di colpevolezza e si vede ora costretta a vivere in totale solitudine anche in un giorno che dovrebbe essere di festa. Attraverso queste diverse situazioni l’ autrice traccia un’ immagine ben definita della situazione della donna negli anni ’60 che per certi versi può risultare ancora attuale e lancia un monito che può andar bene per entrambi i sessi: va bene amare, va bene fare affidamento su chi ci sta vicino ma non bisogna mai rendersi troppo dipendenti dagli altri. Lo stile varia a seconda degli episodi ma è sempre la protagonista a raccontare in prima persona, bella e scorrevole la prosa, interessante l’ argomento, da sottolineare la bravura di Simone De Beauvoir nell’ evitare atmosfere da telenovela o da romanzo rosa nonostante i temi trattati.

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Romanzi storici
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    18 Gennaio, 2012
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Sfoggio di cultura fine a se stesso

Miracolosamente scampato al naufragio dell’ Amarilli, il fluyt olandese su cui viaggiava, Roberto de la Grive si ritrova naufrago sulla Daphne, una nave deserta ancorata a largo di un’ isola. La terraferma si rivelerà irraggiungibile per il protagonista per niente avvezzo al nuoto e privo di una scialuppa e di qualsiasi altro tipo di imbarcazione. Ma dov’ è l’ equipaggio? Perché la nave è abbandonata? Come mai a bordo ci sono ancora un sacco di viveri e una quantità infinita di piante e uccelli esotici? Nell’ attesa di trovare delle risposte e di conoscere il suo destino Roberto si adegua a vivere in solitudine sulla sua nuova dimora galleggiante trascorrendo il tempo a scrivere lettere per la sua “Signora” in cui mischia ricordi, speranze e riflessioni di carattere filosofico, scientifico e religioso. Ma ben presto si accorgerà di non essere solo a bordo. Attraverso le vicissitudini del protagonista, accompagnato da singolari personaggi come il coraggioso ed eretico Signore di Saint-Savin e l’ esplosivo e bizzarro padre Caspar, Eco racconta una storia che in realtà è un viaggio alla ricerca della conoscenza scientifica. Un’ idea nobile e interessante, ma lo scrittore sembra fermarsi alle belle intenzioni: il risultato infatti è un lento e pesante polpettone che và perdendo interesse man mano che si và avanti nella lettura terminando poi in un finale deludente. Il linguaggio è ostico e la prosa per niente lineare e poco invitante. Più che un romanzo questo libro sembra uno sfoggio fine se stesso che l’ autore fa della sua cultura.

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Romanzi
 
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    08 Gennaio, 2012
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Un libro che tocca nel profondo dell' anima

Dall’ esperienza autobiografica dell’ autrice, profondamente segnata dalla malattia che portò alla morte della sua figlia primogenita, nasce un libro straordinario che tocca il lettore nel profondo dell’ anima. Paula è ridotta allo stato vegetativo da un male molto raro, la porfiria. Nella vana attesa che si svegli sua mamma Isabel le scrive una lettera dove racconta le sensazioni, gli stati d’ animo, le paure e le speranze sue e di chi come lei ama la ragazza, la assiste e le auspica una pronta guarigione. Aspettative che si affievoliranno lentamente, passando dall’ augurio di un completo recupero alla speranza che, anche se malata, almeno resti in vita, fino a quella di una morte indolore che permetta a Paula di poter finalmente smettere di soffrire e riposare in pace. Isabel sarà l’ ultima ad arrendersi dopo aver provato tutti i tipi di cura, dalla medicina tradizionale ai metodi meno convenzionali, mettendoci tutto l’ amore possibile e rammaricandosi spesso di non poter donare la sua stessa vita per salvare sua figlia, che morirà tra le sue braccia in un finale strappalacrime pieno di poesia, dolcezza e dolore. Ma la lettera è anche un riepilogo dettagliato e coinvolgente della vita della scrittrice, la quale si confessa senza remore né pudori raccontando un’ esistenza piena di amore, voglia di vivere, impegno sociale, dolori e momenti di sconforto, tradimenti, riconciliazioni e sacrifici. Dalla descrizione che Allende fa delle persone che hanno accompagnato la sua esistenza e delle loro vicissitudini è facile intendere quanto le vicende personali abbiano influito sui suoi romanzi più importanti, soprattutto su “La casa degli Spiriti” dove si trovano continue similitudini tra la storia raccontata nel libro e le esperienze dell’ autrice e dei suoi parenti. Un libro che commuove ma fa anche sorridere, una storia triste che parla di una morte ma che in realtà è un inno alla vita, in cui Isabel Allende è incredibilmente brava a creare nel lettore una sorta di empatia che gli permette di immedesimarsi nell’ autrice e comprenderne la speranza e il dolore. Impossibile non piangere, molto difficile non innamorarsi di una scrittrice e di una donna come lei.

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La casa degli Spiriti
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