Opinione scritta da Pelizzari
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Due uomini diversi
Sarà per la sua innata simpatia. Sarà perché è un personaggio che appartiene alla mia stessa generazione e che ha i miei stessi ricordi. Sarà per la sua popolarità e nello stesso tempo semplicità. Fatto sta che in ogni suo libro io mi riconosco pienamente. Leggo le sue pagine divorandole, sempre con l’impressione di parlare brillantemente con un amico seduto a tavola con me. E’ un autore che parla di cose mie, anche se non tutte le storie che racconta sono state mie. In questa per esempio parla, a me che sono figlia unica, di due fratelli che sono due uomini molto diversi fra loro, Marco ed Andrea e che si trovano a dover affrontare, insieme, divisi e poi di nuovo uniti, la malattia della madre e, dopo tanti anni, anche la malattia del padre. E’ un lungo racconto delle dinamiche e dei rapporti familiari che si sono intrecciati in questa famiglia ed anche fra le persone che ruotano nell’orbita di questa famiglia, la moglie di Andrea, l’amica-amore di Marco e le varie comparse, nella vita di uno e dell’altro. E’ un libro che sprigiona vita. La vita vera, fatta di ricordi, di presente, di progetti, di rimpianti, di svolte, di pieghe della memoria. Con dolcezza ed ironia. Tratti distintivi dell’autore, che, in particolare, usa l’ironia, secondo me anche nella sua propria vita, come veicolo per trasportare carichi emotivi troppo pesanti.
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Il disprezzo dell'uomo
Paladino del ritorno alla natura, alla semplicità, all’umanità, anche con questo racconto l’autore non si smentisce e crea uno scenario che ad una prima lettura sembrerebbe fantascientifico, mentre invece non è così lontano da quella che potrebbe essere una prossima futura realtà. Perché l’impensabile può diventare realtà. Lo stiamo vedendo in questi mesi con la pandemia del coronavirus e tutti i suoi effetti a livello globale. Il racconto ha in sé più elementi davvero terrificanti, ma ci spinge a riflessioni autentiche su quanto è importante il rispetto della natura, perché è da lì che l’uomo ha tutte le risorse per sopravvivere, ma l’autore si spinge oltre. Si spinge ad una forma molto forte di disprezzo per l’uomo, che dimentica (e ri-dimentica, nonostante tutto) la distinzione fra bisogni primari e secondari, riscopre i valori della solidarietà e dell’amicizia, ma solo per opportunismo, ripropone il proprio modello di supremazia che è ciò che sta portante il mondo all’implosione. Vivere è come scolpire, si deve tirare via, togliere, per scoprire ciò che sta sotto. Questo è un pensiero ricorrente nelle espressioni dell’autore ed ha in sé una bellezza straordinaria.
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La discesa agli inferi
Libro meraviglioso, struggente, intenso, intimo, intriso di dolore e nello stesso tempo pieno della luce della rinascita. Incentrato sul tema dell’aborto terapeutico, questo racconto è estremamente potente, nei contenuti, nello stile, nelle emozioni. Tutto inizia da un attimo prima dell’impensabile, ovvero di quell’ecografia che cambia tutto nella vita di questa famiglia. Il lettore segue un percorso che si snoda attraverso tutti i dubbi, le ricerche di conferme, ma soprattutto di smentite, la ricerca di soluzioni, il dramma della scelta. Questa giovane mamma che vuole recintare l’assurdo, per domarlo, per renderlo più familiare, per trovare la strada di superarlo. Perché se il futuro è diventato un amalgama di colori contrastanti, lei punta al distacco come arma di difesa, per lei indispensabile per ritrovare l’equilibrio. Luce e Pietro erano felici, poi in un istante qualunque sono precipitati e hanno dovuto scegliere per Lorenzo, troppo debole per vivere, ma anche troppo potente per morire. E nell’istante di quella scelta inizia la discesa agli inferi. Con tutti i risvolti psicologici che una scelta di questo tipo può comportare e che si ripercuotono nei mesi successivi. Poi arriva il momento inaspettato, forse nel luogo meno adatto ed in compagnia delle persone più impensabili, in cui Luce riesce a buttare fuori il suo dolore, rivendica la sua scelta ad alta voce e da lì, lentamente, incastrata in uno spazio neutro senza più colori, in cerca di una via d’uscita, sente che si possono riaprire timidi spiragli e vi si aggrappa. Trovando appigli. Trovano l’amore che non era mai andato via. Non penso che il nome della protagonista sia stato scelto a caso. Dalla penna di un’autrice che ho già avuto modo di conoscere e di amare follemente, è scaturita una storia che illumina.
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Un tanticchio fuori di testa...
Con questa raccolta di racconti brevi, l’autore vuole celebrare dei piccoli grandi incontri con personaggi noti del mondo intellettuale italiano ma anche con personaggi del tutto sconosciuti al pubblico. Incontri che sono stati per lui scintille di vita. E’ bello che questa raccolta sia presentata come una sorta di ringraziamento per ciascuno di loro. Forse perché ognuno di noi è la somma del risultato di ogni interazione umana e di ogni scambio che abbiamo con tutte le persone che incontriamo nel corso del nostro cammino. Attraverso queste pagine conosciamo meglio il Camilleri regista, più che non il Camilleri scrittore ed anche questo mi ha permesso di scoprire lati di questo maestro che mi erano sconosciuti e che ho avuto modo di apprezzare. Molti personaggi sono curiosi, anomali ed un po’ fuori dall’ordinario, anzi, per dirla alla siciliana, un tanticchio, se non del tutto, fuori di testa. Per questo molti racconti suscitano il sorriso, a volte comunque un po’ velato, considerato che indubbiamente sono stati tutti incontri veri. Molto particolari anche gli incontri con i libri che vengono raccontati. Perché anche i libri possono illuminare. Il nostro percorso e la nostra anima.
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Misteriose telefonate
Con il suo stile, come sempre, inconfondibile, che, letto oggi, ti lascia addosso una grande malinconia, in questo episodio della serie di Montalbano Camilleri affronta, a modo suo, la problematica degli sbarchi dei migranti, con un’umanità e sensibilità davvero raffinata ed elegante. Il tutto fa da cornice, seppure con la sua drammaticità, al delitto principale attorno a cui ruota questa bella storia, l’omicidio di una sarta del paese. Attraverso la lente del commissario e della sua squadra, fatta davvero di macchiette, tutto acquista un velo di ironia e ti affiora spontaneo sempre un dolce sorriso.
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La regola delle cinque W
Una donna che non si sa chi è, uccisa in una casa che non è la sua. Una giovane donna ritrovata in una piazza, ma uccisa non si sa dove. Un personaggio equivoco ritrovato morto, ma non si sa bene ucciso come. Un professore universitario ritrovato morto nella sua casa, ma non si sa bene ucciso quando. A dover tirare le fila di questi casi è il poliziotto Casabona, un nuovo personaggio del noir italiano, che durante le sue ricerche ha l’intuito di capire che il fattore comune di tutte queste morti è la lettera W. A partire da un esametro di Cicerone, riscopriamo la regola delle cinque W, dalla lingua inglese. Who? Where? What? When? Why? E ad ogni omicidio, per essere inquadrato, manca un elemento, una W. Attraverso successivi scatti della combinazione della cassaforte che custodisce la verità, arriviamo a identificare il colpevole e riusciamo a raggiungerlo prima che commetta il quinto omicidio, quello che chiuderebbe il cerchio, aggrovigliando il poliziotto in una corona di spine dolorosissima. La storia è molto ben costruita, molto ben pensata, molto ben scritta, con momenti di estrema tensione alternati a momenti più lievi, il tutto arricchito da citazioni letterarie, che impreziosiscono la trama, e da curiosità, storiche, culturali e non solo, fino ad arrivare all’estremo finale della caduta dell’angelo del male. Bellissimo esordio, di un autore da seguire nel tempo.
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Molto rumore per qualcosa
Alice è goffa, pasticciona, ma spontanea, fresca, sincera, genuina. E’ una specializzanda in medicina legale che per hobby fa l’investigatrice e dimostra, in questo ruolo, una grande passione ed un grande intuito. In questo episodio siamo di fronte ad un’intricata trama, che tocca anche un cold case del passato legato al mondo teatrale e ad una rappresentazione di un testo shakespeariano. Come se non bastasse, il tutto si attorciglia attorno alle sue storie personali…perché ne ha decisamente più di una…che fanno da sfondo rosa alla vicenda prettamente noir. Il tutto dà origine ad un piacevole mix, ideale come lettura estiva, ma non solo.
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Alice è freschezza
Simpatica, visceralmente insicura, pasticciona, dotata di grande intuito, a volte un po’ fortuito. Così è Alice. E l’empatia con lei è subito immediata. Complice anche lo stile dell’autrice: fresco, leggero, scorrevole, trasmette spensieratezza, pur trovandoci di fronte ad una specializzanda in medicina legale e quindi a delitti, anche efferati. Come in questa storia, dove la vittima è di fatto un grande manipolatore di menti, di persone, di vite. Lettura piacevole. Scrittrice assolutamente sempre molto ben promettente.
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Dietro le apparenze
Atmosfera molto british in un libro che narra la storia d’amore fra un ragazzo di 19 anni ed una donna sposata di 48 anni, in anni in cui avere un toy-boy non era così “di moda” com’è oggi. Il racconto è diviso in tre parti, che potrebbero essere tre set di una partita di tennis, visto che i due protagonisti si sono incontrati la prima volta proprio su un campo da tennis. E’ interessante la scelta stilistica di cambiare la voce narrante, esternalizzandola nella seconda e nella terza parte. Quasi a voler far capire, con una voce terza indipendente, che questa storia non è stata un capriccio, ma una storia vera, che ha superato anche difficoltà impreviste, come l’alcolismo, perché dietro a questo rapporto c’è sempre stato un sentimento bello ed importante. Ognuno di noi ha UNA storia d’amore nella vita. La loro è questa e ce la offrono, senza paura di essere giudicati, mettendo in luce tutte le reciproche debolezze. I personaggi secondari sono tanti, ma tutti sfumati, sembrano tutti grigi tanto spiccano i due protagonisti ed il legame, vero, che li lega.
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Il destino di un re-incontro
Storia a doppia voce, dove si alternano, di mano in mano che il tempo scorre, le “tessere” di lei e le “tessere” di lui, quasi a comporre il puzzle, che trova il suo compimento, che poi è il loro inizio, solo alla fine del libro, nell’ultimo capitolo. Il più bello. Perché lì ho almeno sentito un minimo di emozione, mentre per tutta la storia mi sembrava solo di percepire freddezza e distacco. Vicini di casa da bambini, senza mai conoscersi direttamente e frequentarsi. Si ritrovano vicini di casa da giovani adulti. Coincidenze. Destino. Lei è un personaggio particolare, porta una corazza, perché nella vita vuole bastare a se stessa, è refrattaria alle emozioni e questa freddezza si sente risalire dalle pagine, ma è una freddezza che non allontana il lettore da lei, lo induce a portare rispetto, per capire. Lui è un personaggio che non ho ben inquadrato, nemmeno dopo la fine del libro. Fatto sta che un piccolo blocco di ghiaccio alla fine si scioglie. Ed è l’inizio. Se ci dovesse essere mai un seguito, penso possa essere una lettura migliore.
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Un labirinto
Romanzo di formazione che ci offre una sequenza di scatti sulla vita di un popolo di confine. Purtroppo la lettura è stata però per me molto faticosa, perché l’ho trovato davvero molto lento, quasi informe, decisamente noioso, nonostante gli intermezzi del dialetto friulano che davano un attimo di brio in quella che per me è stata una vera calma piatta. Peccato perché Trieste è una città molto signorile, fiera, orgogliosa. Una città molto meno labirintica di questo romanzo, che forse però è tortuoso anche perché ognuno di noi non arriva ad essere quello che è correndo su un’autostrada, ma attraverso tanti sentieri, svolte, inversioni. Non sono però state pagine di quelle in cui è bello perdersi.
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Il grido della natura
I fari mi hanno sempre incredibilmente affascinato ed in questo libro ho scoperto che ne esistono di tre tipi, quelli in paradiso, ovvero sulla terraferma, quelli in purgatorio, ovvero abbarbicati sulle estremità rocciose e sugli scogli e quelli all’inferno, ovvero posizionati su mini-isolotti in mare aperto. Vivere in un faro, anche per un breve periodo, deve essere un’esperienza unica e comunque da provare. Questo giornalista la affronta, nel suo primo viaggio immobile della sua vita. Su quella che sembra essere l’isola che non c’è, ma è un’isola che c’è sicuramente, nel mezzo del nostro Mare Nostrum. La sua permanenza in questo faro è per un periodo breve che però, proprio perché totalmente disconnesso dalle modernità e dalle comodità, si dilata. Queste settimane lo inducono a riflessioni che sono un dialogo con il lettore, volto a spiegare che cos’è quella cosa che fanno di tutto per nasconderci e che si salverebbe dal naufragio della nostra vita: il senso del limite. Conoscerlo è importante per spingerlo un po’ più in là, per rispettarlo, per ritrovare un equilibrio che la nostra società ci fa perdere, per imparare ad ascoltare il grido della natura. La meraviglia della scrittura di questo autore, uno dei miei preferiti, ci restituisce pienamente la sua sensazione madre dopo questa esperienza, ovvero il senso di inadeguatezza delle parole davanti alla strapotenza della natura.
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La uno la due la tre o la quattro?
Libro che si può leggere in orizzontale ed in verticale ed è una scelta stilistica originalissima, perché, con un’opera immane, che sembra un concerto di un’orchestra, offre quattro racconti di vite possibili della medesima persona, un po’ stile “sliding doors”, con un’impronta fortissimamente americana. La si vede nel contesto sociale e storico che fa da sfondo, nel peso che viene dato al baseball, nei piccoli particolari. In orizzontale affronti le varie fasi della vita nelle sue quattro possibili versioni. In verticale leggi una vita per volta e potrebbero tranquillamente essere quattro distinti romanzi e/o racconti, perché non tutti hanno la stessa lunghezza. Diciamo che alcune vite terminano prima di altre. Io ho scelto di leggerlo in orizzontale, che non è altro che il modo con cui lo scrittore ce lo offre, e secondo me è il modo in cui più apprezzi sia le differenze, sia anche gli elementi comuni, come ad esempio l’amore per i libri e la presenza di Amy. E’ un libro che ti cala appieno dentro il concetto della fatalità, declinata in tutte le sue forme, e della possibilità, con tutto ciò che le scelte o non scelte di vita comportano a cascata.
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Il viaggio interiore
Il breve libro, che si presenta come un concentrato di riflessioni filosofiche, è suddiviso, invece che in classici capitoli, in passeggiate e, già così, si presenta come una scelta originale. L’intento è quello di indurre il lettore a pensare che il miglior modo di raggiungere la felicità sia quello di perseguire la ricerca di una vita tranquilla, anche attraverso un rapporto armonico con la natura, la contemplazione, nonché un certo isolamento. L’autore induce il lettore ad un’autoriflessione. Letto in lingua originale, ha acquisito un fascino ancora maggiore, perché la lingua francese si presta molto a cullare e trasportare, anche le emozioni.
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Inseguire l'azzurro
Lettura nel suo complesso abbastanza noiosa. Ambientata negli anni della seconda guerra mondiale, racconta una vicenda personale, con risvolti sociali importanti che, contestualizzati in quegli anni e in quelle aree della Francia, ne fanno senza dubbio una lettura interessante soprattutto per gli appassionati di storia. La storia, nonostante ci offra dei personaggi che sembrano delle macchiette, delle caricature, ha i colori scialbi, a dispetto dei colori così accesi della copertina. Personalmente sono sempre stata affascinata dagli aquiloni, dalla loro dimensione di leggerezza, dal senso di libertà che infondono. Occorre tenerne ben saldo il capo del filo per impedire che l’aquilone si perda nell’inseguimento dell’azzurro. E’ proprio questo inno alla libertà il messaggio più profondo che l’autore ci ha voluto trasmettere. Peccato per il ritmo, che fa perdere di vitalità all’insieme.
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Un pò decadente
Questo libro fa parte della tetralogia cosiddetta del cimitero dei libri perduti. Ne costituisce il terzo volume e, dei primi tre che finora ho letto, è, a mio avviso, il meno bello. Mi è dispiaciuto, anche perché nei confronti di quest’autore ho un grande debito personale. Dopo un periodo della mia vita in cui non sono stata affatto bene, mi ha fatto tornare la passione della lettura, che è sempre stata un mio tratto distintivo. Non a caso, la recensione del libro “Il gioco dell’angelo” è stata la prima che ho pubblicato su QLibri. Anche in questo terzo capitolo della saga l’ambientazione è a Barcellona, ma in queste pagine l’ho trovata molto cupa. L’alone di mistero, che è una caratteristica peculiare di queste storie, conferisce anche in questo caso un fascino innegabile alla storia, che però ha elementi anche molto grotteschi, che non ho apprezzato particolarmente. La piacevolezza della lettura è disturbata da alcuni tratti un po’ troppo decadenti, che secondo me sono abbastanza fuori luogo e che fanno perdere il magnetismo da cui ero stata colpita nei primi due volumi. Cercherò di ritrovare il mio Zafon nei meandri del labirinto del quarto libro della serie e intanto gli auguro buon viaggio, perché per me sarà sempre quello scrittore che mi ha permesso di ritrovare una parte importante di me stessa.
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Il gioco dell'angelo
Bellezza oscura
Raccolta di poesie che rappresenta un classico della letteratura francese. Ne consiglio la lettura a frammenti, non tutto in continuità come se fosse un libro normale, perché a mio parere a frammenti se ne coglie e se ne assapora molto meglio l’essenza. Bastano pochi versi per entrare nell’anima di questo autore così particolare. Letto come un libro normale se ne perde la potenza. Perché i suoi versi esprimono inquietudine, male di vivere, il cosiddetto spleen, ma sono di una bellezza oscura che può anche affascinare, per la loro intensità, per l’esplosione dei sensi, per la capacità di trasmettere al lettore il tormento dell’anima. Ed anche nell’oscurità più buia si intravede quella luce, che è amore per la vita.
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Più punti di vista
La scelta stilistica del dispiegare i capitoli alternando più punti di vista è sempre, per me, molto convincente. A maggior ragione in un thriller, perché un crimine incide su tante esistenze comuni, non solo su quelle delle vittime innocenti, ma anche su quelle dei testimoni, in un moltiplicarsi di conseguenze. In questa storia i personaggi sono tanti, l’amica, il padre, la testimone, l’investigatore, gli amici, gli sconosciuti. In questo turbinio, inframmezzato da intermezzi inquietanti ed inspiegabili, senti molto la mancanza della voce di Anna, che però alla fine del libro compare, per svelare l’impensabile volto del colpevole a te, che, per tutta la lettura, li hai incolpati, a turno, tutti. L’andamento è tutto un crescendo, che richiede al lettore di mantenere la mente aperta, proprio per poter contemplare tutte le alternative e le possibilità, come in ogni indagine bisognerebbe fare. Un piacevole cammeo, la scelta, per Jenny e per Sarah, dei loro nuovi nomi nella comunità, Zafferano ed Aurora. Una dolcezza di fondo: il mestiere della testimone e la dolcezza e delicatezza che esprimono le sue creazioni con i fiori.
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Maschere
Una madre perde il proprio figlio. Disperso in un’alluvione. E perde il controllo della propria vita. Un attimo prima è, seppur difficile, perfetta; l’istante successivo il suo mondo è a brandelli. La sua vita non è più nelle sue mani. E’ proprio vero che la vita può cambiare in un istante. Il lutto è paralizzante, poi lentamente sbiadisce. In un qualche modo la vita riprende il suo corso, pur senza dimenticare. Lei, chiusa ed avvizzita dentro, in un qualche modo trova la forza di rialzarsi, di risorgere. Finchè il bambino in un qualche modo ritorna. Silenzioso, a causa del trauma subito, ma ritorna. E quella magica connessione che lega madre e figlio si ricompone, fino a far loro ritrovare un nuovo equilibrio. Libro nello stesso tempo di una delicatezza magnifica e capace di scuotere ed emozionare. Perché le persone indossano maschere inimmaginabili. E perché anche dai buchi neri si può riemergere.
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Corsi e ricorsi storici
E’ stata l’emergenza coronavirus ad indurmi a scegliere questa lettura, che, soprattutto nella prima parte, mi ha spiazzato. Perché sembrava di leggere gli articoli del Corriere e della Repubblica di questi giorni, con un linguaggio decisamente meno moderno, ma con gli stessi elementi. I primi segnali, il paziente zero, la sorpresa dei primi tempi che, a poco a poco, si trasforma in panico, il comitato scientifico, i focolai infettivi, l’aumento del numero di casi, perfino i famosi “congiunti”. La ricerca dei posti letto negli ospedali, i prefetti ed il governo centrale, la chiusura della città, il limbo in attesa della riapertura e la riapertura. Tutta la storia è raccontata da un narratore ed è una relazione scritta con obiettività e fatta con buoni sentimenti. Anche i protagonisti di questo libro sono tutti nel medesimo sacco e capiscono che, in un qualche modo, ne devono uscire, devono cavarsela. Camminano in avanti, nelle tenebre, un po’ alla cieca, con tutta l’incertezza, soprattutto, ma non solo, quella dei primi tempi e cercano di fare ognuno del proprio meglio e comunque tutti un po’ di bene. Comprendono che la fantasia, in un qualche modo, aiuta nella sopravvivenza. E, nel male, c’è comunque del bene. Il buono della figura dei medici. Il fatto che un evento di questa portata apre gli occhi e costringe a pensare. Perché quanto l’uomo può guadagnare al gioco della peste e della vita è la conoscenza e la memoria. Ed il più grande insegnamento che se ne può trarre è che dobbiamo fare tesoro, di questa conoscenza e di questa memoria.
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Lui sì che era parte di tutto
Ho scaricato il libro a scatola chiusa, attirata dal titolo e senza sapere che era una raccolta di memorie di un giornalista che ho amato e che amo moltissimo. E’ una raccolta di pensieri e soprattutto di fotografie dei momenti che Terzani ha vissuto nel lungo periodo in cui ha viaggiato con ogni mezzo possibile che non fosse un aereo. Decide di andare in Vietnam perché vuole capire la guerra e la rivoluzione. E ci va. Decide di esplorare ogni angolo della Cina, affascinato dalla loro ricca cultura millenaria, duramente colpita dal regime di quel Paese. E viaggia in mezzo al loro popolo, come uno di loro, ad esempio sui treni, ma negli scompartimenti con i sedili duri che usano i cinesi. Va alla ricerca di quello che definisce “l’uomo vecchio”, perché ne vuole assorbire i pensieri. Penetra nel cuore di tenebra della Cina. Toccante è la parte in cui ci parla del caotico umano calore della Thailandia. Terribile e veramente scioccante la parte in cui ci parla della disumanità in Cambogia. Terzani ha avuto il tempo (e la forza) di avere tempo. Il tempo di fermarsi, di guardarsi intorno, il tempo di riflettere e decidere di abbandonare tutto e rimanere senza niente, perché alla fine quel niente è quello che ti sostiene. Lui amava il mondo e questo amore si sente in ogni suo frammento, in ogni suo articolo, in ogni suo libro, in ogni sua foto, in ogni sua memoria. La parte più bella è quella finale, sull’Himalaya, perché è lì che ha raggiunto la consapevolezza di sé, di essere parte di un tutto. E’ lì che ha provato la pienezza della scoperta del senso della vita. Un uomo affascinante. Una vita straordinaria.
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Il suo più bel volo
Con le sue storie, con protagonisti gli animali, parla ai bambini, agli adulti, al mondo. Smuove i più buoni sentimenti. Riconduce ai veri valori della vita. L’amicizia. La lealtà. Il rispetto. Il valore di una promessa. Il gatto nero protagonista, un po’ cicciotto, è un animale buono e di nobili sentimenti. Una gabbiana color argento gli atterra improvvisamente sul balcone, dove muore per colpa dell’uomo, perché la peste nera, ovvero il petrolio che si è attaccato alle sue ali, non le permette più di volare. Fanno in tempo a stringere una promessa che sa di continuità, di vita, di gioia. E’ emozionante il modo in cui il gatto diventa “mamma” della piccola gabbianella, come la protegge, come l’aiuta a crescere. L’autore umanizza gli animali e dimostra una grande sensibilità. Anche nel suo stile espressivo veste su di loro espressioni tipicamente umane, che fanno sorridere nel leggere le sue storie. La gabbianella alla fine impara a volare, vince le paure che la bloccano e vola, come sa fare solo chi osa farlo. Anche Sépulveda è volato via. Ma continueremo a leggere le storie dei suoi animali provando una piccola stretta, che sarà quella che ci riporterà sempre alla parte più vera e più bella di noi stessi.
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Un ospite ambiguo
Ambientato in una cittadina ad est della metropoli di New York, caratterizzata da uno stile di vita decisamente più semplice, questa storia porta l’attenzione sulla vita sregolata e un po’ ribelle degli artisti, sulla complessità dei legami familiari, che siano o no di sangue, ma soprattutto ruota attorno alla paura dello straniero, dell’intruso all’interno di una comunità che sembra compatta, anche se tutto è fuorchè unita come vuole apparire. Nella cerchia chiusa di questa piccola comunità è facile puntare il dito contro colui che non le appartiene, ma la realtà è diversa da come sempre. Attraverso uno stile davvero troppo lento e noioso, si arriva ad un crescendo finale che mi ha permesso di rivalutare un po’ la costruzione narrativa, un colpevole inaspettato, un movente che era molto latente fin dall’inizio, una corsa finale che vale il riscatto di una vita.
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La voce del Po
Sono abituata a “vederlo” e ad “ascoltarlo” camminare, in questo libro ritrovo Rumiz, che è decisamente un mio “affetto stabile”, e lo seguo nel suo navigare il fiume Po, nei suoi 700 km, dalla sorgente alla foce. Ed in questo breve ma lento viaggio mi ha colpito l’essere trasportati, l’ascoltare ed il guardare senza fare nulla, il diventare fiume, per capire il fiume. Perché il Po è ossigenazione liquida, porta acqua, nutrimento, pesce e porta via i rifiuti. Perché la voce del Po è il suo silenzio. Anche questo libro è disseminato delle mappe di Paolo, che sono dei veri gioielli, perché le mappe giuste non servono ad orientarsi, ma a sognare percorsi, ed a ricordarli ad avventura conclusa, insieme a tutti gli imprevisti ed a tutti gli inconvenienti, che sono la cosa più viva da raccontare di un viaggio. Le sue mappe parlano. Raccontano luoghi. Raccontano incontri. Raccontano vita.
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Parole sulle mani
E’ il seguito del più famoso Shantaram, ma ne ha perso decisamente lo smalto e l’appeal. Se nel primo libro infatti protagonista indiscussa era l’India, con tutte le sue contraddizioni, in questo libro ritroviamo alcuni personaggi che avevamo conosciuto, ma aumenta la confusione della trama e, soprattutto, perdiamo i contorni della storia che sembra essere a tratti un nostalgico revival, a tratti un romanzo d’azione americano, a tratti un romanzo mistico. Questo è un viaggio di cui restano alcuni scatti memorabili: la pelle color cannella, la gentilezza delle persone, soprattutto di quelle più umili, gli appunti presi sulla mano, quasi fosse una filigrana di parole, le amabili conversazioni, sul tutto e sul nulla, gli occhi color smeraldo. Però in queste pagine non ho più ritrovato né la magia né la crudezza. Ho chiuso il libro sentendomi addosso non la sensazione della verità, pur romanzata, che avevo percepito con Shantaram, ma la sensazione di un qualcosa di posticcio, come se fosse stato costruito appositamente per voler chiudere un cerchio. Che però era meglio conservasse il suo alone di mistero.
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Lasciarsi trasportare dalla vita
Libro autobiografico, affresco bellissimo di un mondo molto lontano da quello nostro occidentale. La storia è quella di un fuggiasco, che trova la sua nuova dimensione e nuova vita in India, a Bombay, pur con il trambusto pulsante che contraddistingue la città, foresta di corpi, miscuglio di qualsiasi tipo di odore e qualsiasi tipo di colore. Il protagonista si abbandona agli eventi, non tiene il timone della sua stessa vita, ma si lascia trasportare dal fiume della vita, dagli incontri casuali che cambiano per sempre i suoi giorni, portandolo, senza alcuna colpa, prima a soffrire in una prigione indiana, poi sulle montagne dell’Afghanistan. La narrazione è fluida, ti cattura. Così come ti ammaliano sia i personaggi, belli e positivi, che incontra lungo il suo cammino, sia quelli più enigmatici ed anche pericolosi. Il protagonista è un uomo che vuole dimenticare se stesso per sopravvivere, ma forse questo è il modo migliore per ritrovare il vero se stesso.
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Un tocco leggero, rispettoso, profondo
Il tratto caratteristico di quest’autrice è il saper descrivere con grande maestria i legami familiari, le interconnessioni, suscitando nel lettore emozioni vere, empatia, permettendo al lettore di immedesimarsi in dinamiche e rapporti in cui si sente partecipe in prima linea. La mamma che è angosciata dal fatto che una delle figlie è sola e potrebbe non avere supporto in caso di difficoltà. Il lavoro che si plasma per far sì che nasconda i grandi vuoti della vita. Il dolore nella notte della morte di Mitros. Il senso di sbigottimento ed incredulità davanti ad un tradimento. La corsa di una donna per essere vicina, psicologicamente ma anche fisicamente, alla sorella in difficoltà. Come si fa a non riconoscersi in emozioni che fanno parte del nostro quotidiano? Come si fa a non apprezzare uno stile così semplice ma che arriva così diretto a toccarti le corde interiori tue più intime?
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Psicologia inversa
Un terapeuta sui generis ha in cura una coppia che vuole ritrovare se stessa. La sua mano li aiuta a ritrovare fra di loro gli elementi di armonia, superando le divergenze, riscoprendo le luci e dipanando le ombre. Partendo da una solida posizione di distacco reciproco, attraverso il dialogo (l’intera storia è strutturata a dialogo), passando per lo scambio dei ruoli, nonché altri esercizi e riflessioni, i due diventano da estremamente rigidi sulle proprie posizioni a duttili l’uno verso l’altro. L’impresa per il terapeuta non è semplice, tant’è che deve ricorrere allo stratagemma della psicologia inversa. Ne esce un ritratto della coppia diverso: si ritrovano complici, divertenti ed affiatati nel comune obiettivo. E cambia anche il ritratto del terapeuta, che farebbe bene a psicanalizzare il proprio rapporto di coppia!
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La fattoria degli orrori
Thriller ad alta tensione, intrigante, ammaliante, emozionante. Gli omini di castagne sono la firma di un assassino che commette azioni efferate. Il ritmo è altissimo e ad ogni capitolo cambi idea sul possibile volto colpevole su cui stai, di volta in volta, puntando il dito. Alcune parti sono crude, ma realistiche perché la presenza della violenza nel mondo è purtroppo innegabile ed assume le forme più diverse. Alcune parti sono tanto forti da farti capire quanto il male può far perdere la ragione e la capacità di giudizio anche alle persone più equilibrate. Nel libro però c’è anche tutta la bellezza dei sentimenti, dell’amore di una madre e di un padre per una figlia, così come dell’amicizia più vera. Perché se è vero che un dolore è un amore rimasto senza dimora, è anche vero che bisogna convivere col dolore ed autocostringersi ad andare avanti.
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Istantanee dal mondo
Il viaggio trova senso solo in se stesso, cioè nell’essere viaggio. Molto di più che non nella meta in sé. Questo libro è una raccolta di istantanee di viaggi, “scattate” quando ancora la volontà di scrivere un libro di viaggi non era nemmeno lontanamente un’idea dell’autore e ci permette di scoprire quanto la meraviglia può essere considerata la dote migliore del viaggiatore. Le mie pagine preferite sono state quelle dedicate a Il Cairo, a Kyoto, ai chiles messicani ed alla saudade di Lisbona. Peccato solo per l’ultima sezione del libro, quella dedicata agli “altri viaggi”, che ho trovato davvero troppo astratta per il mio gusto personale.
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Un gomitolo ingarbugliato
Questo libro inizia con la connotazione di un giallo, ma ben presto si trasforma in un viaggio nell’italianità più colorata, con tutta la sua mescolanza di dialetti tipici, che fa dello stile di quest’opera un tratto caratteristico. In questo groviglio impressionante di lingue però ti perdi, non riesci a trovare il filo di Arianna dei fatti raccontati, forse anche perché la vita stessa non ha sempre un perché ed un chi ben definiti. La lettura risulta indubbiamente molto complessa e stancante; non è davvero un libro per tutti.
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- sì
- no
Un'anima bella
Pereira è un letterato vedovo, cardiopatico, infelice, che ama la letteratura francese, che è ossessionato dalla morte e che è, soprattutto, un’anima bella. La vicenda raccontata è intrisa di malinconia e ci trasmette appieno questa caratteristica intrinseca della cultura portoghese. La percepiamo nel lento trascinarsi del protagonista, nei suoi dialoghi con il ritratto della moglie, nei suoi pensieri intimi con se stesso. Fondamentale nel libro è il rapporto con la morte, perché la limitazione della nostra esistenza mediante la morte è decisiva per la comprensione e la valutazione da parte nostra del valore della vita. Queste pagine sono inoltre intrise di riferimenti letterari, culturali, storici. Un libro dal ritmo lento, piacevolissimo da leggere, con un protagonista dal carattere mite, schivo e solitario, di cui non puoi non innamorarti.
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Il bisogno di calore
Piccolo testo, adattissimo ad essere rappresentato sul palcoscenico di un teatro. Siamo in tempo di guerra e tutto si svolge in un dialogo a tre, che si trasforma in un vero e proprio triangolo, anche amoroso. Il motore è il bisogno di calore. Fisico. Umano. Emotivo. I personaggi sono fortemente caratterizzati e, a modo loro, geniali. Dal testo emerge, prepotente, la bellezza dei libri, che sono forse la maggiore bellezza che ci è rimasta, per la potenza che hanno nel permetterci di scoprire una visione del mondo così ampia.
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Il Buon Combattimento
E’ il cammino che ci insegna la maniera migliore per arrivare, è il cammino che ci arricchisce mentre lo percorriamo. La meta è solo il simbolo, ma non è il vero significato del cammino. Ce lo insegna la vita. Il Cammino di Santiago è l’emblema del cammino della vita e questo libro lo illustra nel modo più mistico e più astratto che mi è capitato di affrontare. Questo libro ci insegna che dobbiamo saper trasformare la solitudine nella nostra arma principale e che non dobbiamo mai smettere di sognare, se no la nostra anima muore. Animato dalla Santa Fiamma della Follia, il protagonista può essere uno qualsiasi di noi. Con le sue paure, le sue incertezze, le sue debolezze. Affronta se stesso. Si estranea da se stesso. Si riscopre.
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Come un quadro di Brueghel
Questo romanzo storico, ambientato tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600, inizia in sordina, prosegue senza grandi momenti in crescendo, a volte anche con tratti molto piatti, e comunque non esplode mai. Nel complesso è comunque una lettura molto piacevole ed interessante, non tanto per la trama, quanto per l’ambientazione, intesa sia come paesaggio, che fa da sfondo agli eventi, sia come contesto storico-culturale. Azzardando un paragone, assomiglia ad un quadro di Brueghel, in cui non ti colpisce il singolo elemento, ma l’insieme. Ed osservando l’insieme, solo dopo ti incuriosisce comunque anche concentrarti sui singoli personaggi. Ci viene raccontata la vita nei paesi della bassa pianura piemontese. E la nebbia di quelle zone non impedisce all’occhio del lettore di cogliere anche i particolari.
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Non proprio un giallo
Questo racconto sembra un giallo, ma è molto di più; trae spunto da un fatto di cronaca e ci offre uno spaccato di una terra che è veramente meravigliosa, la Sicilia. Una regione misteriosa, implacabile, vendicativa, bellissima. Per capire pienamente il coraggio dell’autore nel presentare i fatti esposti, è importante tenere conto dell’epoca in cui il racconto è stato scritto. E’ un’opera che, forse per la prima volta, a livello letterario, costituisce una denuncia diretta del fenomeno mafioso e di tante delle sue dinamiche intrinseche. Un testo quindi ad alto valore storico. E’ altrettanto importante però tenere conto che la Sicilia non è solo questione di cosche, che ho scoperto essere anche le fitte corone di foglie del carciofo, e di ingiurie, che è sinonimo di soprannomi, che esprimono in una sola parola il carattere delle persone. E’ terra di sole, di vita, di gioia, di difficoltà, di povertà, di rapporti, di legami e sì, anche di “famiglie”.
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Volti e voci
Libro meraviglioso, che, ambientato nella Roma della seconda guerra mondiale e dell'immediato dopoguerra, ci permette di vivere la storia da dentro. In un contesto storico alquanto difficile, emerge preponderante l’italianità dei personaggi, attraverso i loro dialoghi, i loro dialetti, i loro elementi caratterizzanti. E questo libro è un viaggio, attraverso volti e voci, scandito da un tempo lento, mentre la storia tutto attorno va avanti e se ne avvertono i balzi prepotenti. E’ un romanzo corale, dalla parte della popolazione ferita. Mi sono sempre chiesta se chi è vissuto in determinati periodi storici, riusciva ad avere coscienza del tempo che stava vivendo o se la storia scorre attraverso l’indifferenza di chi, a tutti gli effetti, ne è parte o la fa. Questa lettura, attraverso i suoi spaccati toccanti che sono un affresco di un momento storico fra i nostri più delicati, offre un punto di vista che non può lasciare indifferenti, ed offre un’occasione di memoria che tutti noi dovremmo cogliere.
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Uno scrittore barbaro
Il libro si apre illudendo il lettore con grandi aspettative. Ti accoglie un circolo di intellettuali nel loro seminario di poesia. Nei capitoli successivi ci viene presentato un aereo che disegna poesie nel cielo, una stanza piena di mappe. Il libro prosegue con numerosi riferimenti storici, è intriso di tanti rimandi culturali e letterari, fin troppo, perché o si conosce profondamente la cultura letteraria sudamericana per poter cogliere tutti i collegamenti o i rimandi presenti sono talmente numerosi che stancano, in quanto sembra quasi di leggere la bibliografia di un romanzo. Si incontra quindi un’oggettiva difficoltà nella lettura, oltre che una profonda malinconia diffusa. La pagina dello scrittore barbaro per me è stata terribile, una delle peggiori pagine mai lette, talmente brutta da portarmi ad avere un’opinione netta su tutto il testo.
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Bach e Wagner
Racconto autobiografico che racconta, a frammenti, la storia di una famiglia, dove ad ogni persona è stato attribuito come pseudonimo il nome di un musicista. Perché i dolori della vita vanno affrontati. Perché anche i nostri morti devono diventare musica e bellezza. Perché con loro abbiamo condiviso la vita e siamo pieni dei loro ricordi. In un momento in cui tutto ciò che parla di questo argomento mi suscita dentro emozioni profonde, devo dire che questo libro mi ha lasciato comunque un senso di angoscia, perché la morte, in tutte le sue forme, è una presenza continua, in ogni pagina, in ogni pensiero, in ogni particolare. Anche se l’intento dell’autore era sicuramente quello, attraverso essa, di celebrare la cascata della vita. Lo stile è segmentato. Capitoli brevi. Ricordi chiari. Ricordi nebulosi. Un senso di solitudine diffuso. La mancanza di un padre e di una madre che segna ogni giorno. Il colore giallo che sembra quasi un tormentone e che fa da sfondo anche alla copertina.
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Non c'è due senza tre
Triplice indagine del commissario Bordelli, personaggio davvero piacevole, con una naturale tendenza alla solitudine. Una bella storia multipla ambientata in una Firenze degli anni ’60, non così lontana dalla realtà politica e sociale odierna. La città è reduce da una forte alluvione, e questo ricorda tanto i disastri idrogeologici ancora così attuali; le piazze sono invase dai giovani, e il pensiero non può che andare alle freschissime sardine. L’insieme è un bellissimo racconto, dove le indagini passano anche un po’ in secondo piano, perché prevalgono l’italianità, in ogni sua forma, le serate di chiacchiere intelligenti con gli amici, che alleggeriscono l’animo. Il tutto nel fremito della primavera, che alleggerisce l’umore, con una feroce ironia irriguardosa verso la città, con grammofoni e cablogrammi come strumenti di comunicazione che riportano quasi quasi ad un’era da Flingstones. E se è sempre vero che leggere porta in un altro mondo, e ci accompagna a vivere un’altra vita, in questa lettura per me è stato proprio così: l’ho affrontata lentamente, mi sono lasciata prendere dall’atmosfera, dall’ambientazione, sono stata trasportata in una città che non conosco bene, ma che adoro, in anni in cui non c’ero ma che tante volte ho immaginato. E se è spesso vero che il genio è l’assoluto disagio esistenziale che si trasforma in bellezza, questo commissario Bordelli, così solitario e un po’ sognatore, mi ha un po’ conquistato. Peccato solo per il finale…un po’ perché la quarta imprevista indagine rimane sospesa a mezz’aria, un po’ perché viene dato spazio a storie che hanno sviato troppo l’attenzione di un lettore che voleva comunque trovare una chiusura. La copertina è un piacevole schizzo, con colori tendenti al violetto, tratti neri che ritagliano profili architettonici fiorentini.
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Decidere insieme
Questo libro è la risposta narrativa ad un fatto realmente accaduto in Bolivia, fra il 2005 ed il 2009. Una violenza, ingegnosamente architettata, su un gruppo di donne di un piccolo paese, che sono state ripetutamente drogate per stordirle, e per farle quindi passare anche da bugiarde. Il libro è il racconto dei momenti in cui queste donne, presa coscienza del reale accadimento dei fatti, si riuniscono tutte insieme per concordare cosa fare, come reagire, come gruppo, e come ricostruire il loro futuro. Bellissima la parte in cui donne e uomini vengono confrontati, per analogia, con gli strati superiori ed inferiori del Mar Morto. A parte però alcuni stralci, la narrazione, affidata ad un uomo di loro fiducia perché loro sono analfabete, risulta stancamente trascinata e molto noiosa, facendo perdere di vista il valore dell’alto messaggio che questa storia ci restituisce.
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Una distanza densa
I suoi libri sanno sempre di leggerezza, sia nel senso di semplicità, sia nel senso di spensieratezza. Non per questo però leggerezza deve essere necessariamente sinonimo di superficialità. Anzi. Il tema trattato è quello di una crisi di una coppia giovane, ed è una fase in cui tanti si possono riconoscere. Il tutto è affrontato senza dubbio con pizzichi sparsi di autobiografia, nonché di ironia, nonché di sentimenti buoni. Che è cosa molto diversa, e molto più positiva, rispetto all’irritante buonismo. Lo stile è scorrevole e fluido, semplice da leggere, ma nel complesso abbastanza scialbo. Fra Anna e Marco c’è una distanza densa. Ognuno è come se fosse chiuso nella propria bolla. Entrambi incapaci di essere felici come prima, senza sapere nemmeno loro il perché. Hanno tutto per essere felici e non sono più capaci di esserlo e questo è per entrambi molto frustrante. Si riscoprono, e si riperdono, in un viaggio che li porta lontano dal loro mondo, ma forse un po’ più vicini a loro stessi. L’aspetto che mi ha maggiormente interessato è stato quello degli incontri casuali che fanno durante queste settimane in Nuova Zelanda e in Australia. Sarà perché è forse un po’ vero che ci si riesce ad aprire di più con persone del tutto sconosciute, forse proprio perché si sa che con loro c’è un breve contatto e poi non li si reincrocerà più. Questo permette di aprirsi quel tanto da lasciar entrare dentro di sé un pezzetto della vita dell’altro, la sensazione che non si gli unici ad affrontare i problemi della vita, il calore di un consiglio di una persona che a modo suo ci dà forza. Viaggiare è la felicità per gli inquieti. E la parte più bella è sempre ritornare a casa. Non per niente la copertina raffigura una casa che ricorda le case tipiche di New York. I toni sono il rosso, complice il periodo dell’anno in cui il libro è uscito, e l’oro, perché la luce dorata all’interno della casa, così come le luci degli addobbi sulle piante attorno, stanno a simboleggiare il calore di una famiglia, che è tutto ciò che Anna e Marco hanno e di cui sono contemporaneamente alla ricerca.
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Ricordi di gioventù
In questo libro, che si presenta al lettore soffice al tatto e piacevole da tenere fra le mani, un investigatore, segnato dall’età e dalla disillusione, attraverso frequenti flashback alternati a capitoli di rievocazione, ci permette di rivivere, a distanza di trent’anni, l’angoscia di un periodo della sua vita che risale al 1939, in un’Italia storicamente e socialmente molto diversa, e ci permette di provare anche l’energia che lo ha contraddistinto in quella particolare vicenda. Si avverte però una grande stanchezza nella lettura, un trascinamento ed anche una nostalgia di fondo, che forse deriva da questi ricordi di gioventù che si affollano. Interessante è il punto di vista che ci permette di riflettere sul fatto che non sempre siamo consapevoli dei cambiamenti storici che stiamo vivendo. Peccato proprio per il ritmo, che rende la lettura proprio noiosa.
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La sequenza mancante
Due bambini inspiegabilmente abbandonati, lasciati alla deriva, ma sorvegliati da gufi guardiani che diventano, a modo loro, la loro famiglia. Questo libro è scritto con eleganza e delicatezza e tratta in modo quasi impalpabile il tema della guerra e delle conseguenze che essa può portare in una famiglia normale. I ragazzi ritrovano a modo loro la loro identità. Ed è soprattutto la figura del figlio ad essere centrale nel racconto, perché è lui che, più della sorella, cerca di ricostruire la sequenza mancante nella vita della madre, quel vuoto per lui inspiegabile ed immotivato. Perché la sequenza perduta di una vita è la cosa che cerchiamo sempre di ritrovare. Per dare un senso a ciò che non capiamo. Il modo di narrare è toccante, raffinato. Ottima lettura.
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Un cammeo sui bouquinistes
Libro d’esordio di un autore che promette bene. Il protagonista è Hugo, alle dipendenze dell’ambasciata degli Stati Uniti a Parigi, che si trova suo malgrado ad indagare sulla scomparsa di un libraio suo amico e su altre successivi misteriosi delitti. Si apre un vaso di Pandora sulla criminalità della città ed il libro si dipana con una scrittura facile da seguire, intrecciando crimini difficili da penetrare. Hugo è un bel personaggio, dai bei valori, dall’indole rispettosa, con un sano umorismo e di grande umanità. Capace di unire i puntini fra i vari eventi casuali, alla ricerca di un disegno di senso compito. Capace di osservare e di fare collegamenti. Interessanti gli intermezzi con le curiosità, anche storiche, sui tipici 250 bouquinistes parigini. Copertina graficamente non originale.
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Nel nome della musica
Un inedito Rumiz alle prese con una fiaba, o meglio, con un fantasy, che ci racconta la storia di un regno immaginario che alcuni mostri hanno voluto privare della musica e che una ragazzina, Mila, riesce a salvare. Mila nasce grazie alla musica e cresce in armonia con la natura, affinando una capacità di ascolto straordinaria, un bellissimo dono che ognuno di noi dovrebbe imparare a coltivare. Il senso del suo viaggio è restituire sonorità al mondo intero ed è emblematico che riesca a vendicare il padre non con la spada, ma con l’armonia. Un messaggio trasversale che questo autore speciale ci vuole dare, al di là della trama che, in modo originale, dedica alla fine a se stesso, anzi, al bambino che è in lui. Tratto costante che mi ha fatto sorridere: l’amore per le planimetrie schizzate a mano. Anche in questo libro, che non è un suo vero viaggio, se non forse un viaggio immaginario, ritroviamo schizzi di territori ad aprire e chiudere il volume. Bella la copertina: un soffice tappeto di nubi rosa con colori accesi che sono decisamente da ammirare.
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Un triangolo spiazzante
Fin dalle prime battute questo thriller sembra un triangolo. Lui, il marito, spocchioso, duro, arrogante e senza scrupoli. Lei, la moglie, morbida e flessibile come la creta, dove anche la più piccola pressione lascia il segno, raffinata ed elegante. L’altro, felino, affascinante, misterioso. Però nulla è come sembra. Il cacciatore diventa preda. Ciò che pensavi fosse falso è vero. L’omicidio premeditato, che pensavi avesse avuto lei come vittima, perché non avevi mai avuto nessun dubbio su questo, ti ha cambiato le carte in tavola sotto il naso, in un bellissimo crescendo, tutto concentrato sul finale, dove tutto trova una sua spiegazione ed un suo equilibrio. Decisamente spiazzante, come poche altre storie ed egregiamente architettato. Peccato solo per alcune parti davvero troppo, diciamo così, sporche (ed è solo un eufemismo), per poter essere anche solo un minimo credibili. Originale la copertina: senza testa.
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La riservatezza del lift
Lettura snella e scorrevole, ma non per questo leggera nei contenuti. Racconta la storia di un condominio di New York e dei personaggi che abitano i suoi otto piani, nonché l’ascensore, che è il luogo centrale attorno a cui ruota l’intera trama. Perché è un ascensore d’altri tempi, condotto da un lift di origini indiane, Deepak, che, fra i tanti personaggi positivi di questa storia, è stato il mio preferito, con la sua mitezza, la sua discrezione, la sua onestà, i suoi silenzi, la sua remissività. Il vero angelo custode di tutte le famiglie del palazzo. Questo è un libro che ci invita a leggere positivamente i piccoli segnali che la vita ci invia, così come ad avere la forza per superare gli ostacoli che la vita mette lungo il nostro cammino. Perché quando ci sembra di aver toccato il fondo, la vita si incarica di svelarci una meraviglia inattesa: la vita stessa. Che sia in un volto amico, in un incontro con uno sconosciuto, in un amore appena nato, folle e fragile insieme, in una vita più piccola ma nello stesso tempo più grande ancora. C’è sempre una musica che definisce l’istante di un incontro. Sarebbe bello ogni giorno poter sentire qualche nota. Basterebbe qualche breve nota per poter tornare a sorridere ogni giorno.
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L'uomo che sussurra
Le sue storie sono sempre geniali. A furia di leggere il suo stile ti metti nell’ottica di immaginare come colpevole il personaggio più insospettabile e comunque l’autore è sempre capace di sorprenderti. Con questo thriller Deaver inaugura una nuova serie, con un protagonista una specie di cacciatore di taglie, che, con la sua ostinazione nel calcolo delle percentuali di probabilità, ricorda l’ossessione di Lincoln Rhyme per le sue lavagne riassuntive degli indizi. Il ritmo di questa trama è molto alto. Ci fa entrare in contatto con il mondo dei giovani che perdono la loro vita dentro i videogiochi. Ci regala vere e proprie perle di vita, di cui la trama è costellata, vere e proprie regole di sopravvivenza fisica, scritte tutte in corsivo, che danno un senso completo al titolo del libro. Ci offre uno spaccato ampio sulla società moderna, senza giudizi e senza pregiudizi. E ci insegna anche qualche parola del gergo dei nerd.
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Scene madri
Libro meraviglioso, potente, emozionante, vibrante. Racconta di un incendio in un palazzo. Di vite che si spengono. Di vite che sopravvivono. Di vite che ricominciano a nascere. Racconta la forza dell’istinto, che non concede spazio ai ragionamenti razionali, e la forza dell’amore fra genitori e figli. Non c’è morte che non presupponga una rinascita: imparare a decifrarla, anche di fronte al dolore più grande, può dare un senso a tutto ciò che resta, perfino alla cenere. E’ un libro che ti insegna a guardare ai vuoti della vita non come a qualcosa che manca, ma a qualcosa da riscoprire, cercando in essi l’opportunità di esistere ancora, seppure in modo diverso. Il pensiero va immediatamente alla tragedia della Grenfell Tower di Londra, e a Marco e Gloria che, nel momento estremo, hanno cercato e voluto sentire vicina la voce della mamma.
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