Opinione scritta da Antonella76

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    11 Agosto, 2016
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"Siamo ciechi che vedono..."



Per anni ho rimandato la lettura di questo libro, ne avevo timore, l'argomento trattato mi metteva una certa inquietudine ...ed oggi posso dire che la mia titubanza non era immotivata, questo romanzo ti mette a dura prova, ti terrorizza e ti colpisce duro.
Anzi, direi che questo non è un romanzo, è un esperimento mentale...che rende difficili e ansiogene le tue notti come neanche il miglior horror riesce a fare.
La paura che le scene descritte possano prendere forma al di fuori delle pagine del libro e coinvolgere anche te in quel mare bianco, non ti abbandona mai...
Ma soprattutto non ti abbandona il senso di disagio dovuto al fatto che Saramago sia riuscito, attraverso un racconto apparentemente "surreale", a raccontarci il mondo in cui viviamo, la sua ferocia, la sua indifferenza, una società, la nostra, in cui vige la legge del più forte...per cui la paura iniziale che le parole scritte potessero superare la barriera della carta stampata, si trasforma in terrore vero e proprio nel momento in cui ti accorgi che quell'inferno è già intorno a te.
La "cecita" di cui è impregnato il libro, infatti, non è tanto quella fisica, ma quella dell'animo...perché nel momento in cui si perde ogni forma di umanità, di compassione e di solidarietà, di rispetto per gli altri, ma anche verso se stessi, laddove l'egoismo più brutale e la violenza la fanno da padrone, per gli uomini non c'è più nulla, nessun futuro...è la fine, l'Apocalisse.
La scrittura di Saramago è ipnotica, fluida nonostante la mancanza di punteggiatura nei dialoghi diretti e la totale mancanza di nomi propri, ma è anche claustrofobica, fredda e analitica...non c'è traccia di "emozione" nelle sue parole, nessun balsamo per l'anima.
"Siamo ciechi che vedono"...questa frase racchiude tutto il senso del romanzo.
Posso tranquillamente affermare, senza paura di smentita alcuna, di aver appena terminato la lettura di un CAPOLAVORO.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    09 Agosto, 2016
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La catasta del significato



Prima di scrivere due righe su questo romanzo, devo pensarci un po' su, devo cercare bene le parole, anzi, forse è il caso di dire che devo "ritrovare" le parole...sì perché dalla metà in poi, questo libro, le parole, me le ha tolte tutte.
Il romanzo inizia con un gruppo di adolescenti che, provocati da un loro coetaneo, improvvisamente illuminato da una dirompente filosofia nichilista, cercano di trovare "un senso", un significato alla vita...per dimostrare a lui, e a loro stessi, che non è vero che tutto è "niente" e che la vita è un' inutile pantomima in un palcoscenico fittizio.
E per farlo, iniziano una sorta di esperimento che, piano piano, sfugge di mano e si trasforma in un gioco macabro.
Cattiveria, violenza e atrocità gratuite in nome di un qualcosa che permetta di rimanere ancorati alla realtà, ma la ricerca di questo "senso della vita" porterà via via alla disumanizzazione e alla follia.
Forte il richiamo tra "la catasta del significato" realizzata dai ragazzini e il "Merzbau" dell'artista tedesco Kurt Schwitters.
Ma il "significato" nasce davvero dalla rinuncia, dal sacrificio e dal dolore?
Ma, soprattutto, il "significato" è qualcosa di vendibile al miglior offerente?
Questo quesito farà crollare tutto...e tutto risulterà essere stato inutile.
Questo libro trasuda filosofia da ogni parola, ma lo fa con una linearità ed una semplicità tali da non accorgerti che, per tutto il percorso di lettura, non hai fatto altro che cercare di darti delle risposte.
Romanzo forte, di grande impatto, facile da leggere, ma difficile da metabolizzare.
Consigliato.

"Piangevamo perché avevamo perduto qualcosa e trovato qualcos’altro. E perché è doloroso, sia perdere che trovare. E perché sapevamo che cosa avevamo perduto, ma non eravamo ancora capaci di definire a parole quello che avevamo trovato."

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    09 Agosto, 2016
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Mentre l'acqua nera le riempiva i polmoni...


Quando i libri ti chiamano non puoi sottrarti!
Stavo leggendo "Blonde", sempre della Oates, ma all'improvviso ho sentito l'impulso di chiudere il libro e leggere questo (che è più un racconto lungo che non un romanzo)...non so dire per quale ragione, ma non ho potuto farne a meno.
Qui ci troviamo di fronte ad una rivisitazione di un fatto di cronaca realmente accaduto: un noto senatore americano, nella sua Toyota nera, con un tasso alcolico non indifferente, perde il controllo dell'auto e finisce nelle acque nere e fangose di un fiume...lui si salva, la giovane ragazza seduta al suo fianco no.
(Il riferimento è chiaramente quello a Ted Kennedy).
Ed è proprio su di lei che si concentra la scrittrice, sugli ultimi attimi di questa ventiseienne, piena di vita, di speranze, di illusioni.
La narrazione è claustrofobica, angosciosa...si avvolge continuamente su se stessa: ci rappresenta la stessa immagine più e piu volte, senza essere ripetitiva, ma andando a sottolineare in questo modo la tragicità dell'attimo preciso in cui la ragazza capisce che sta morendo...
Riviviamo insieme a lei le ore precedenti l'incidente, quelle in cui lei conosce il senatore, non riesce ad opporre resistenza alla carica seducente che lui esercita su di lei, accetta le sue avance, non può e non vuole perdere l'occasione della sua vita...accetta di seguirlo per una notte di alcool e sesso...notte che non avrà mai luogo.
Non per lei.
La scrittura è rapida, nervosa, scarna e diretta, ti prende e ti porta in quell'abitacolo di auto, dove il livello dell'acqua, quell'acqua nera, fredda, maleodorante e assassina, sale sempre più, dove l'ossigeno inizia a mancare e la mente della nostra Kelly inizia ad andare avanti e indietro, tra passato, presente e futuro, in maniera irrazionale...come irrazionale è la sua convinzione che quell'uomo che le sedeva accanto (che l'ha sedotta, baciata e "scelta") e che è riuscito a salvarsi, calpestandola e facendo leva sul suo corpo, possa tornare indietro a salvarla, come un eroe.
Non sa, né saprà mai, che il primo pensiero di quell'uomo una volta fuori da quella maledetta auto, non è stato quello di chiamare i soccorsi, ma quello di salvare le apparenze, la sua reputazione e la sua carriera, incolpando lei dell'incidente...
Squallido ritratto della tracotanza, dell'egoismo e dell'uso e abuso del potere di certa classe politica...
Intenso, coinvolgente...l'Oates che piace a me!

"Mentre l'acqua nera le riempiva i polmoni, e lei moriva"...questa frase è ripetuta tante e tante volte, come un mantra...
Una lettura che lascia il segno.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    08 Agosto, 2016
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Una donna...spaiata.



Pochissime pagine di un'intensità pazzesca, una scrittura aggressiva e arrabbiata, che non lascia spazio a divagazioni, punta il bersaglio e affonda il colpo.
La Comencini ci presenta una donna, madre, moglie, ma soprattutto figlia...irrisolta.
Il suo sentirsi sdoppiata, fuoriluogo, estranea a se stessa, ha radici in un'infanzia trascorsa a fare da spettatrice all'amore della madre per suo fratello, e in un'adolescenza trascorsa a metabolizzare un dolore che non provava.
Anni di solitudine interiore che hanno scavato una voragine impossibile da colmare.
"Spaiata"...ecco com'è Nadia...una donna spaiata, con una rabbia feroce dentro che la porta a prendere le distanze dagli uomini, dalla sua famiglia, da una madre ingombrante e colpevole, ma anche da se stessa.
"Voi non la conoscete"...è una promessa mantenuta, perché effettivamente non la conosceremo mai veramente, il racconto è davvero troppo breve, per quanto incisivo, affinché si possano comprendere fino in fondo le dinamiche psicologiche che portano la protagonista a compiere azioni di cui pagherà le conseguenze.
La Comencini, con queste premesse, avrebbe potuto regalarci un romanzo di ampio respiro e profonda indagine psicologica...ed invece ha voluto solo graffiarci un po' l'anima e lasciarci con l'amaro in bocca, con una storia appena accennata, ma potente.

"Spengo la sigaretta. Cinquanta flessioni a terra, cento salti con la corda. Un cazzotto a chi mi chiede come ti chiami, da dove vieni, che hai fatto. Non sono io quella che vedete, vivo lontano da qui, ogni posto è uguale, ogni casa non è la mia, ogni uomo è uno sconosciuto, i miei figli non mi appartengono più, Nadia non può dire la verità. Illusione, amore, matrimonio, bambini. Chi mi ha insegnato ad amare gli uomini? Mia madre mi ha indicato solo la strada dell’odio, poi l’ho coltivato da sola, nella caverna buia in cui batte il cuore."

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    08 Agosto, 2016
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Surreale...anche troppo.



Se un giorno mi avessero detto che avrei letto (e apprezzato) un libro così onirico, surreale...un libro dove i gatti parlano, dove ci sono profezie, maledizioni, pesci e sanguisughe che piovono dal cielo, sogni e realtà che si fondono in un'unica dimensione...non ci avrei mai creduto.
Sono sempre rifuggita da trame di questo tipo.
Questo libro ha messo a dura prova il mio essere razionale, la mia parte cerebrale: quando qualcosa sfugge al mio controllo, quando qualcosa va al di là della sfera del "possibile" e del "reale", di solito, mi sento perduta...ho bisogno di ancorarmi a qualcosa di vero, di tangibile, di scientificamente provabile.
Con Murakami sono riuscita a lasciarmi andare (pur facendomi un po' di violenza iniziale), mi sono fidata della sua bellissima scrittura e ho deciso di seguirlo, di non farmi troppe domande e lasciarmi coinvolgere da queste sue atmosfere così intime e delicate e, allo stesso tempo, forti e misteriose.
È stato molto abile a creare fin dalle prime pagine una forte tensione, una sorta di suspance che mi ha spinto a continuare, ad andare avanti...quasi come se fosse un giallo da risolvere.
Personalmente credo che, ad un certo punto, gli elementi surreali della storia siano stati troppi...ma lo stile di scrittura ha fatto sì che io riuscissi sempre a rimanere "dentro" il racconto.
Bello, sì...felice di aver fatto questo viaggio, ma ora ho bisogno di concretezza, di certezze, di vivere in un mondo (almeno apparentemente) monodimensionale.
P.s.: il 16° Capitolo è stato una tortura...difficile da digerire.
Comunque un autore da approfondire.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    08 Agosto, 2016
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Mario e Guido



Romanzo ambizioso, che abbraccia molte tematiche...l'amicizia maschile, la politica, la famiglia, il disagio esistenziale, il ritrovamento di se stessi...ma non so...non mi ha convinto.
Piatto...ecco...l'ho trovato piatto!
Succedono tante cose, ma, in fondo, sembra che non accada mai nulla...nessun picco, nessuno slancio. Ma De Carlo è così, non ti toglie mai il fiato. Lo so.
Però c'è da dire che in questo romanzo tutti i personaggi li prenderei volentieri a bastonate sui denti, a cominciare dal narratore, questo povero Mario, il cui nome spunta solo dopo 100 pagine, e questo la dice lunga su quanto sia all'ombra dell'altro protagonista, quello vero, quello leader, Guido, con il suo sex-appeal, le sue idee ribelli, il suo talento nello scrivere, la sua irrequietezza...e la sindrome di colui che non sa vivere in questo mondo, da nessuna parte.
Tutte le altre figure sono solo di contorno...senza un vero ruolo nel romanzo, se non quello di sottolineare l'adorazione per Guido, con il suo odio per Milano, per la società che lo circonda, ma bravo solo a lamentarsi, incapace di reagire, di costruire qualcosa, di prendere in mano la sua vita.
Mario lo fa...ma come? Inselvatichendosi...votandosi completamente ad uno stile di vita rurale, tutto natura, terra da coltivare e grano da mietere e coinvolgendo in questo anche la sua donna e i suoi figli facendoli crescere fuori dal mondo...ridicolo ritratto di un modello di vita decisamente opinabile.
Non so, forse io sono troppo lontana dalla generazione dei sessantottini, ma davvero non mi ha coinvolto.
Tra l'altro ho trovato quest'amicizia decisamente unidirezionale...Guido, così concentrato su se stesso e sul suo mal di vivere, ha sempre preso, preso, preso, senza mai dare nulla a Mario (che si è sempre accontentato delle briciole). Fino alla fine.
Salvo solo l'ultimo capitoletto...quello mi è piaciuto...ma per arrivarci ho sbadigliato un bel po'.
Preferisco il De Carlo di "Villa Metaphora", sebbene abbia riserve anche su quello, ma con questo scrittore faccio sempre così: lo critico e poi torno a leggerlo.
Non so perché.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    07 Agosto, 2016
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Ah, Humbert Humbert...



Un incipit grandioso, tra i più belli che siano mai stati scritti...
Eppure ho impiegato tantissimo tempo per leggere questo romanzo...e solitamente io sono abbastanza veloce nella lettura.
Decisamente non mi ha inchiodato alle pagine, non è scoccata la scintilla.
Quindi mi domando...perché?
La scrittura di Nabokov è sopraffina, elegantissima, impeccabile...
E forse il problema è proprio lì: una scrittura così elegante e precisa che non mi ha permesso di tuffarmici dentro, che non mi ha fatto vibrare, non mi è entrata sottopelle...mi ha tenuto lì, distante, a contemplare (con ammirazione) ma senza poter partecipare.
Nessuna emozione...eppure l'argomento è di quelli che dovrebbero farti saltare dalla sedia.
Questo dimostra che non sempre una scrittura eccellente e sofisticata sia sinonimo di gradimento per tutti...io preferisco meno eleganza e più pathos, meno stile e più pelle d'oca, meno capolavoro e più "sbavature" che mi facciano tremare l'anima.
Intendiamoci...io mi inchino di fronte ad un romanzo così, decisamente "alto", mi inchino soprattutto di fronte alla capacità dello scrittore di trattare un tema così scabroso senza usare mai una parola volgare e senza mai descrivere nulla di osceno...mi inchino di fronte alla straordinaria capacità di presentarti un personaggio "malato", disgustoso, e riuscire a vestirlo di grande rispettabilità.
Ci sono pagine dense di ironia, di cinismo...ed anche gli avvenimenti tragici, in realtà, hanno un sapore quasi tragicomico (vedi il finale, per esempio).
Il professor Humbert è un mostro, un pervertito...e lui lo sa, lo ammette continuamente, ma è così bravo a descrivere se stesso come schiavo e prigioniero della sua perversione, del suo tormento, che ti fa quasi dimenticare che la vera prigioniera, la vera vittima di tutto è lei, Lolita.

"Io ti amavo. Ero un mostro pentapodo, ma ti amavo. Ero ignobile e brutale e turpido e tutto quello che vuoi, mais je t’aimais, je t’aimais! E c’erano momenti in cui sapevo come ti sentivi, e saperlo era l’inferno, piccola mia. Bambina Lolita, coraggiosa Dolly Schiller."

Sono felice di averlo letto, mi sento letterariamente arricchita...ma non posso affermare che questo romanzo mi abbia travolto, né coinvolto, né appassionato.
Ma il limite è il mio.
Lo so.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    07 Agosto, 2016
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Le candele bruciano fino in fondo...



Esistono dei libri di cui si parla tanto, che sembra tutti abbiano letto (tranne te), di cui hai sentito così tanti pareri (positivi e negativi) che, alla fine, sei quasi convinto di averli letti anche tu...ma non è così, non li hai letti. Purtroppo.
Questo libro, per me, è uno di quelli.
Sta lì da anni, lo guardo per un attimo, godo del bellissimo dipinto di Klimt in copertina, ma passo sempre oltre...fino al giorno in cui parlando con un'amica, mi sento rivolgere la fatidica domanda: "Non hai letto "Le braci"????"...e lì capisco che è arrivato il momento anche per me, che non posso più rimandare.
E quindi eccomi qui...pronta a rispondere a quella domanda: "Sí, ho letto "Le braci"...e me ne sono innamorata".
Di cosa? Dei personaggi? Della storia? Della scrittura?...non lo so...
So solo che sono stata completamente travolta dalle parole con la forza di un fiume in piena, così tante riflessioni, una dopo l'altra, da non darti neanche il tempo di metabolizzarle, da lasciarti un po' stordita.
Bisognerebbe avere la forza di fermarsi ad ogni pagina, chiudere il libro, pensarci su un paio di giorni, e poi andare avanti di un'altra pagina, chiudere...e così via.
Ma è impossibile...Marai fa in modo che s'inneschi una sorta di tensione emotiva che ti spinge a leggere, a sapere...perché tutto ruota intorno all'attesa di una "risposta".
Non voglio parlare di ciò che racconta il libro, finirei col dire che tratta il tema dell'amicizia tradita fra due uomini, di una sorta di resa dei conti aspettata per ben 41 anni...ma sarebbe riduttivo, non è così, è molto molto di più.
Il tema dell'amicizia fa da trampolino di lancio ad una marea di pensieri sulla vita, sul tempo dell'attesa, sull'infedeltà, sulla verità intesa non come lucida esposizione dei fatti, ma come motivazione, sulla colpa e soprattutto sulla sua intenzionalità, sull'orgoglio, sul coraggio, sul labile confine fra odio e amore, sulla vecchiaia, sulla morte...
Questo libro non si presta affatto a riassunti semplicistici, è troppo profonda la portata dei suoi contenuti...ed io non posso e non voglio, ma soprattutto non sono in grado di discernere a dovere...e poi perché? perche dovrei farlo se l'ha già fatto lui (Màrai) in modo meraviglioso?
Credo che la mia mente continuerà a girare intorno a queste pagine per lungo tempo...è una di quelle letture che continua a vivere in te anche dopo averla terminata, anzi, forse in questo caso "inizia" a parlarti e a scavare solo dopo aver chiuso il libro, perché prima sei troppo frastornato, ubriaco di parole...

"Le candele bruciano fino in fondo"...questo è il titolo originale del romanzo, che trovo affascinante, altamente simbolico e forse ancora più adeguato alle parole che vi sono scritte dentro.


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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    27 Luglio, 2016
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Storie amare...



I racconti mi sono sempre piaciuti ed ho sempre pensato che scrivere storie brevi (e farlo bene) richieda un talento speciale, perché lo scrittore deve essere in grado, nella breve distanza, di farti provare tutta una serie di emozioni, di colpire il bersaglio al primo colpo...non ha modo di riprovarci, non può sbagliare e poi recuperare.
Non ne ha il tempo.
Spesso, i detrattori del racconto, lamentano quella sensazione di irrisolutezza data da questo tipo di narrativa, quel non riuscire ad "entrare" nella storia o ancora non comprenderne i finali...
Sento spesso dire "ho bisogno di storie ad ampio respiro"...beh, a me, spesso, i racconti, il respiro me lo tolgono!
Il senso di incompiuto che lasciano è una caratteristica tipica di questo tipo di narrazione (vedi Carver, ad esempio ?)...ma io trovo che sia giusto così: il racconto ti fa entrare in un "momento" di una storia che già esisteva e che continuerà ad esistere anche dopo di noi.
A noi solo il privilegio di guardarci dentro per un po'...come una casa lasciata con la finestra aperta: intravedi qualcosa, senti dei discorsi, ma non puoi comprendere tutto fino in fondo.
Io lo vivo così. E mi piace.
Alice Munro scrive racconti bellissimi, ha uno stile asciutto, incisivo, che colpisce duro.
Lei parla soprattutto di donne: donne mamme, donne mogli, donne bambine...donne che devono fare i conti con la violenza, a volte subita, a volte perpetrata, con dolori inaccettabili, con passati che ritornano...
Di sicuro il primo racconto di questo libro "Dimensioni" è stupendo nella sua tragicità, nella sua follia agghiacciante, un pugno nello stomaco...impossibile da dimenticare.
"Bambinate" è un altro racconto che mi ha congelato il sangue nelle vene...perché la cattiveria e la perfidia nei bambini è un qualcosa che mi spiazza, che non riesco proprio a metabolizzare.
In questi due racconti che ho menzionato, la Munro passa, con grande maestria, dal raccontarci di bambini vittime indifese e sacrificali, a bambini carnefici, portatori inconsapevoli del male.
Certo, ci sono anche racconti meno belli, che non mi hanno colpito particolarmente, come "Legna" ad esempio, e come l'ultimo (quello che dà il titolo al libro) che sembra essere scritto da un'altra mano, ma ci può stare...non tutto arriva al cuore con la stessa intensità.
Di sicuro la Munro ci racconta storie amare, dove la disillusione la fa da padrona, dove tutti i protagonisti sono, per un verso o per l'altro, dei sopravvissuti a dei traumi.
Ma resistono.
È stato il mio primo incontro con quest'autrice, e di certo non sarà l'ultimo.
Alla prossima.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    27 Luglio, 2016
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Ah...l'incomunicabilità.



Sono al mio terzo Simenon (dopo "La camera azzurra" e "Lettera al mio giudice") e ancora una volta il buon vecchio Georges ha fatto centro.
Ho ritrovato quell'atmosfera cupa, un po' torbida e fumosa che tanto mi piace nei suoi romanzi, quel turbinio di pensieri che si aggrovigliano nella mente del protagonista, che ti trascina nel suo delirio, nella sua angoscia, nei suoi sospetti...unito ad una forte sensualità e passionalità che diventa motore di tutte le azioni che ne conseguono.
Qui ci troviamo di fronte ad una coppia sposata da una quindicina d'anni: lei bella, giunonica e sensuale, lui più remissivo e gracile (non solo fisicamente).
Fra loro un grande "non detto" che piano piano, lentamente, li porterà a vivere una vita isolata dal resto del mondo, chiusa fra le mura domestiche e quelle della cartoleria, di cui lei è proprietaria, e a cui si accede dalla casa attraverso una scala di ferro, appunto.
Un'esistenza votata a cercare di diventare un'unica cosa, un'unico corpo, grande intesa sessuale e poche parole.
Poi, il "sospetto" inizia ad impossessarsi di lui, fino quasi a farlo impazzire...
E qui mi fermo nella trama...perché la storia si basa tutta su questa grande tensione emotiva, capace di legarti a doppio nodo, meglio di un thriller...senza esserlo, mantenendo i connotati di un romanzo psicologico, di grande introspezione.
Simenon ci dipinge una figura femminile pazzesca: sicura di sé, erotica, dominante, strategica, manipolatrice...il trionfo di una seducente anima nera.
Lui è, invece, un uomo solo, ansioso, vulnerabile...la cui debolezza e la cui solitudine vengono fuori in tutta la loro potenza.
Un finale mozzafiato.
Un libro sulla "incomunicabilità"...simboleggiata proprio dalla scala di ferro, che, paradossalmente, mette in comunicazione due ambienti, due mondi, due verità, due persone vicine, eppure lontanissime.
Superare quella scala di ferro significherà raggiungere la libertà/verità o precipitare nell'abisso???
Leggetelo...

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    18 Luglio, 2016
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Le lacrime hanno lo stesso sapore del mare



Lo ammetto. Subisco moltissimo il fascino dell'incipit: quando è breve, asciutto e lapidario, mi stende!
"Nell'estate del 1963 io mi innamorai e mio padre morì annegato."
Capite bene che non avevo scampo...
In questa prima frase è racchiusa già tutta l'intensità di questo romanzo.
Una storia di attrazioni asimmetriche, dove ognuno desidera ciò che non può avere.
Siamo sull'isola di Bone Point, nell'Oceano Atlantico...Michael, sedicenne, s'innamora (per la prima volta) della bella e sensuale Zina, vent'anni e tanta sicurezza in se stessa, nel proprio futuro e nel proprio potere seduttivo...potere a cui non saprà opporre resistenza neanche Peter, padre del ragazzo, 44enne bello e affascinante.
Un romanzo di formazione dolceamaro, malinconico e profondo, dove il ritmo narrativo incede creando una grande tensione emotiva, dove ogni parola è ben calibrata e porta con sé il giusto carico di poesia e disillusione.
In primo piano il mare, quel mare tanto amato da padre e figlio, quel mare che sanno vivere, rispettare e temere...ma anche il mare, come spesso accade fra le persone, non sempre ricambia tali sentimenti.
Sa essere crudele.
Tradisce.
Prende ciò che vuole.
Pagine dense di salsedine (te la senti addosso, sulla pelle), cariche di una forte sensualità pur sfiorando appena il sesso...perché la vera seduzione è tutta nelle parole.
Ma il grande protagonista del libro, a mio avviso, è l'amore fra padre e figlio...un amore immenso, fatto di ammirazione, fiducia e stima.
Un amore messo a dura prova, un amore che si dissolverà tragicamente in quell'acqua salata del titolo...d'altronde "le lacrime hanno lo stesso sapore del mare".
Libri come questo mi ricordano perché io sia così tanto innamorata della lettura...

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    17 Luglio, 2016
Top 50 Opinionisti  -  

Le paturnie di Holly...


Un romanzo strano, apparentemente leggero, senza una vera trama, ma che cela un significato più profondo che ti lascia amareggiato.
Il personaggio di Holly ha veramente mille sfaccettature, come un diamante...: ragazza allegra, spensierata, frivola, ingenua e libertina allo stesso tempo, infantile ed anche un po' arrampicatrice, sicuramente portatrice sana di fascino...ma solo in apparenza, restando in superficie.
A guardare bene, Holly è una ragazza sola, triste, che soffre di attacchi di panico (le paturnie che solo andare da Tiffany poteva far passare), in pena per un fratello che ama moltissimo, in cerca di un suo posto nel mondo (...in transito...), con un passato difficile di cui non vuole parlare, ma che torna a galla...una donna che vuole dimostrare al mondo di sapersela cavare, di avercela fatta, ma che, in fondo in fondo, non ha mai realmente potuto scegliere...
Tutti s'innamorano di lei, dal barista al multimilionario, dal manager al politico brasiliano, anche il nostro narratore, presunto omosessuale...eppure Holly non ha amici.
Bella la scrittura di Capote, semplice, elegante e coinvolgente.
Potrà sembrare strano, ma non ho mai visto il film tratto da questo romanzo che, a quanto dicono i più, pare che sia molto diverso e anche più bello del libro.
Lo farò adesso. Vedremo.

"Non voglio dire che non mi interessi diventare ricca e celebre. Sono cose che ho in programma, e un giorno o l'altro cercherò di raggiungerle; ma, se dovesse succedere, il mio ego me lo voglio portare appresso. Voglio essere ancora io quando mi sveglierò una bella mattina e andrò a fare la prima colazione da Tiffany"

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    17 Luglio, 2016
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Testa d'uovo...



Ho il cuore pesante, gonfio di lacrime...
Pochissime pagine, una semplicità stilistica disarmante, ma un messaggio potente e difficilissimo da metabolizzare.
Ci sono parole che non dovrebbero essere mai scritte nello stesso rigo: "bambini" e "malattia".
Ed invece, nella prima pagina, ti ritrovi a leggere queste parole:

?Caro Dio, mi chiamano Testa d'uovo, dimostro sette anni (ne ho dieci), vivo all'ospedale a causa del cancro e non ti ho mai rivolto la parola perché non credo nemmeno che tu esista.?

Ecco...per le restanti 58 pagine ho lottato con il cosiddetto "groppo alla gola".
Schmitt ha saputo dare voce ad Oscar, il bambino, con una leggerezza ed una delicatezza magistrali...non una parola patetica, che strizza l'occhio al facile sentimentalismo, niente letteratura del dolore, anzi...si trovano, in queste pagine, una lucidità ed una consapevolezza spiazzanti.
Non starò qui a raccontare cosa succede...vale davvero la pena leggerlo...e prendere da questo libro quello che si è pronti e disposti a ricevere (e non sempre le due cose coincidono).
Solo una riflessione: come sarebbe bello se tutti i bambini che soffrono potessero avere la loro "dama in rosa", la loro "Nonna Rosa"...
Leggere Schmitt è sempre una certezza!
Fatelo!

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    16 Luglio, 2016
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Il buio che abbiamo dentro



Il mio primo McCarthy...che botta!
Culla e Rinthy sono due personaggi difficili da dimenticare, due anime scure che vivono in un tempo e in un luogo non bene identificato, dimenticato da Dio e caratterizzato da una grande desolazione, dalla mancanza di speranza, di luce, di colori...solo natura, ma quella natura ostile, lugubre, che ti inghiotte nel suo nero più feroce.
Desolati sono i paesaggi, ma anche gli animi e il cuore di chi li popola...
Il buio fuori è, in realtà, una finestra sul buio che abbiamo dentro, spalanca le porte sull'abisso del male, del malvagio, del marcio.
Troviamo il male puro, figure tra il divino e il satanico in forma trina che danno un assaggio della fine del mondo, scenari apocalittici e violenza senza pari, ma troviamo anche lei, Rinthy, l'anima in pena in cerca della sua luce, quella che le viene sottratta prima ancora che potesse illuminarla, che potesse darle un nome.
Lei incontrerà sempre gentilezza e cortesia sul suo cammino...ma il buio non si rischiarerà...
Lui, Culla, sembra invece perseguitato da continue accuse e diffidenza, come a dover scontare il male perpetrato, a dover pagare per i suoi peccati.
McCarthy scrive molto bene, la sua scrittura è potente, crudele, fotografica, ma fa male...turba.
Ho trovato le stesse atmosfere "senza speranza" e angoscianti della Kristof, che io amo.
Ora ho bisogno di luce...

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    16 Luglio, 2016
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In crescendo...



Ogni libro di Manzini che leggo mi sembra migliore del precedente...è un crescendo.
Questo mi ha proprio stesa...un finale che non mi aspettavo, bellissimo nella sua tristezza e tragicità (mi ha commosso moltissimo) e che già preannuncia un seguito strepitoso.
Manzini ha creato un personaggio davvero meraviglioso.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    16 Luglio, 2016
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Ancora Rocco...



Ed anche il secondo libro di Manzini è volato via in un soffio...
Mi è piaciuto anche più di "Pista nera"...forse perché qui ho percepito in maniera decisamente più nitida l'inquietudine e il malessere profondo che attanaglia il cuore del vicequestore Rocco Schiavone.
Molto belle le parti struggenti del suo passato, che sono in netto contrasto con la durezza e l'asprezza di Schiavone, tipici atteggiamenti di un uomo che, per sopportare il fardello di un dolore inconsolabile e dei sensi di colpa, si nasconde dietro ad una corazza fatta di sarcasmo e cinismo.
Vabbe'...iniziato già "Non è stagione"...questi libri creano dipendenza!!!

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    16 Luglio, 2016
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Sentirsi a casa...



A volte mi capita, durante la lettura di alcuni libri che "non mi prendono", di sentire la necessità di coccolarmi con qualcosa che riconosco come piacevole, come familiare, come porto sicuro dove approdare (che non necessariamente deve essere un capolavoro della letteratura o un premio Nobel...)
Da un po' di tempo ho in lettura un paio di libri che non decollano, che non mi sento di abbandonare (in quanto ne riconosco il valore), ma nello stesso momento non mi invogliano a dedicare loro tutto il tempo che vorrei...così ho deciso di "staccare" e riconciliarmi con me stessa...e l'ho fatto con un autore che percepisco quasi come un amico, uno di famiglia...Carofiglio.
Questo è il primo romanzo con l'avvocato Guido Guerrieri (che io ho già conosciuto non avendo seguito l'ordine dei romanzi), un personaggio che mi piace in quanto "normalmente imperfetto", un uomo pieno di dubbi, ansie, debolezze...un anti-eroe insomma.
Carofiglio ha la capacità di farti entrare nei meccanismi processuali con tutti gli annessi e connessi, usando anche una terminologia tecnica, senza per questo annoiarti...anzi.
Ma la vera forza di questi "legal", a mio avviso, sta tutta nella storia personale di Guerrieri e nella sua evoluzione.
Non puoi non amare quest'uomo.
E ora, dopo questa breve parentesi, posso tornare alle mie precedenti letture...forse.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    13 Luglio, 2016
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Che ve lo dico a fare?



Ebbene...erano mesi ormai che sentivo parlare di Rocco Schiavone di qua, Rocco Schiavone di là...non potevo più rimandare...dovevo conoscerlo!
Ecchevelodicoafare...mi ha conquistato!!!
Vicequestore cinico, politicamente scorretto, sarcastico, violento e corrotto...ma con una sua "integrità" e con un passato ancora tutto da scoprire.
Il giallo è costruito bene...certo...ricalca un po' indagini già sentite e già lette nel grande mare dei gialli italici, ma personalmente non m'importa, io davanti a questo tipo di letture cerco "il protagonista" e mi appassiono a lui più che al caso da risolvere.
Letto in meno di 2 giorni, ma, ad avere tempo libero, si inizia e si finisce d'un fiato.
Per fortuna ho già il secondo "La Costola Di Adamo", e il terzo "Non è stagione"...quindi mi aspetta una full immersion con questo arrogante quanto affascinante personaggio.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    13 Luglio, 2016
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Flusso di pensieri...



Era da tanto che non leggevo un libro di racconti così bello...ma forse non l'ho letto neanche ora.
Sì, perché "La sposa" può sembrare un libro di racconti, ma in realtà è un'unico flusso di pensieri, frammentati in tante parti, ma assolutamente concatenati fra loro.
Ciò che mi è piaciuto del libro è stato, innanzitutto, il suo mescolare, in modo abilissimo, pagine di cronaca, fatti realmente accaduti, persone realmente esistite (ed esistenti), a temi di fantasia, a pensieri in libertà.
Ne viene fuori una narrazione che percepisci "vicina", che ti tocca, che ti fa sentire parte di tutto questo.
Diciassette brevi istantanee del nostro presente, del nostro vivere...che, sotto l'apparente normalità, nasconde, e nemmeno tanto bene, tutta la sua inquietudine e i suoi lati oscuri: una società, la nostra, di "sterili", di non-padri, di cattive madri, di safari umani, di uomini che, con i lupi, non solo ci ballano, ma mettono su famiglia...ma anche uomini che corrono e corrono (a perdifiato!) forse per trovare la direzione giusta.
E su tutti...una donna...una sposa in abito bianco che aspetta passaggi per andare a sposare il mondo.
Un altro matrimonio fallito.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    12 Luglio, 2016
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Quel fragilissimo pianoforte di vetro...



Denso.
Questo, secondo me, è l'aggettivo che meglio descrive questo romanzo.
Denso di parole, denso di significati... e paradossalmente (per un libro che parla di "voglia di morire") denso di vita.
Sì, quella vita che Elfrieda non vuole e non riesce a vivere, nonostante la sua bellezza, il suo talento, l'amore di suo marito e della sua famiglia...quella vita che sente sempre in pericolo, in procinto di frantumarsi in mille pezzi, come il pianoforte di vetro che custodisce nel suo ventre...ma anche la vita di Yolandi, perennemente incasinata sia professionalmente che sentimentalmente, ma sempre pronta a cercare di insufflare ossigeno vitale nella sua amata sorella, attraverso i ricordi, i rimproveri, le carezze, i fiumi di parole e l'ironia...tanta ironia.
Lei, la sorella minore, quella meno bella, meno dotata, meno adorata, ma in grado di vivere, di cercare l'amore...vero, di fare due figli con due uomini diversi, di divorziare due volte, di scrivere libri che non la soddisfano, di adempiere al suo ruolo di madre, di sorella, di figlia, sbagliando, ricominciando, piangendo, sorridendo, lottando...(perché vivere è tutto questo)...lei ci racconta quanto sia difficile convincere a restare chi se ne vuole andare, ma si chiede anche quanto sia giusto avere il "dovere" di vivere.
Arriva un momento in cui, forse, bisogna smettere di combattere, arrendersi all'inutilità delle parole, all'inefficacia dei ricordi, anche se...dopo...sono l'unica cosa che resta.
Bellissimo.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    12 Luglio, 2016
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L'avversario che abbiamo dentro...



Detta una bugia, dette tutte.
Come essere risucchiati dal vortice della menzogna e non riuscire più ad uscirne...ma questo libro/verità è molto più di questo...è il racconto agghiacciante di un uomo incapace di raccontarsi perché sconosciuto a se stesso, vittima delle sue bugie (ma per niente "vittima" in realtà)...che non servono a nascondere qualcosa o qualcuno, ma a celare il nulla, l'abisso di una vita mai vissuta.
Difficile capire dove finisce la debolezza, la malattia di quest'uomo e dove inizia il "male", il "marcio"...
Nella mia mente, a dir la verità, per tutta la durata della narrazione, girava e rigirava un'unica parola: "vigliaccheria"...da qualunque angolazione guardassi.
Diciotto anni di menzogne, di finzione, di truffe ai danni di chi ti vuole bene...e poi il tragico epilogo...perché è più facile spegnere la luce degli occhi un figlio, di una figlia, di una moglie, di un padre e di una madre piuttosto che leggervi la loro delusione dentro.
Ovviamente tutto sarebbe più tollerabile se fosse solo un romanzo...e non una storia vera.
Questo libro ti obbliga a porti qualche semplice e inquietante domanda: "chi è davvero la persona che ci dorme accanto?"...e ancora: "siamo davvero noi stessi o solo chi abbiamo scelto di essere?"
Carrère entra nella vita dell'assassino e ci racconta tutta la storia con una scrittura tanto semplice quanto crudele, non un arido resoconto giornalistico, ma neanche un'analisi psicologica da criminologo...Forse la grandezza di questo libro sta nella capacità dell'autore di farci sentire tutti un po' Jean Claude, tutti un po' bugiardi, ma allo stesso tempo tutti pronti a metterci dalla parte dei "buoni"...di coloro che una vita ce l'hanno davvero!
C'è chi lotta tutta una vita contro le avversità del mondo esterno e chi, invece, l'Avversario ce l'ha dentro...
Ottimo Carrère.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    12 Luglio, 2016
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Disturbante


"Disturbante"...ecco sì...questo libro è disturbante a livelli stratosferici...e non solo per il tema trattato (l'incesto), ma forse perché, in realtà, non viene "trattato" affatto, solo descritto...così come si può descrivere un'autopsia!
Freddo come la morte, monotono, irritante e fastidioso.
Il sapere che il contenuto di queste pagine sia autobiografico, e che l'autrice abbia volutamente scelto di privare i protagonisti di qualsiasi sentimento ed emozione (si parla di una scrittura sperimentale), non basta a ridurre il senso di nausea che provo (anzi, ne aumenta l'angoscia).
Se l'intenzione dell'autrice (come mi sembra di avere letto) era quella di "dare voce" a chi, nella realtà, non ha modo di parlare e ribellarsi...se l'intenzione era quella di accendere una luce sulla "vittima"...beh, allora ha proprio fallito: queste pagine sono ingombrate, insudiciate, soffocate quasi unicamente da lui, dal carnefice...dal suo ego smisurato, dalla sua bramosia e dalla sua imbarazzante vigliaccheria.
Ma non riesco neanche a parlarne con lucidità...

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    11 Luglio, 2016
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Affascinante e faticoso





Prima di iniziare questa lettura, avevo già "assaggiato" la scrittura di Lagioia attraverso due suoi racconti ("Un altro nuotatore" e "I miei genitori") decretandolo una buona penna, dalla prosa elegante e molto immaginifica...pur avendo trovato il primo dei due scritti contorto e poco chiaro.
Diciamo, quindi, che, nella "breve distanza", non avevo percepito troppo la fatica...
Questo romanzo, invece, se dovessi definirlo in due sole parole (cosa improbabile date le molteplici sensazioni ed emozioni che un libro riesce ad evocare)...probabilmente direi: "affascinante e faticoso".
Faticoso perché caratterizzato da una scrittura ricercata, forse troppo, che fa sì che alcuni periodi necessitino di rilettura per coglierne il senso, a causa di metafore ardite e similitudini decisamente sopra le righe...altri periodi, invece, un senso non ce l'hanno affatto, ma sono comunque ben incastonati nel quadro generale del romanzo.
Vi chiederete...e perché mai dei "nonsense" dovrebbero essere sdoganati come qualcosa di piacevole o comunque non respingente in un romanzo?
E' difficile da spiegare, ma la scrittura di Lagioia, secondo me, piu che a raccontare una storia, mira a farti "visualizzare" delle sensazioni, delle piccolissime percezioni, che in realtà sono inafferrabili (anche se ci appartengono) cercando di riproporre con le lettere, con le parole, un arcobaleno fatto di mille sfumature e, inevitabilmente, finisce per confondere troppi colori (e un po' anche la mente del lettore!).
Ma il risultato finale risulta comunque affascinante...come un quadro astratto, di cui non comprendi bene il significato, ma che ti piace lo stesso...e rimani lì a guardarlo.
A questo punto la domanda è...lo vorrei portare a casa e appenderlo in salotto?
No, grazie...forse un po' eccessivo, stancante...
Ecco come ho vissuto io questo romanzo.
La storia è buona, anche se non riesce a prendere una direzione precisa: un po' giallo, un po' dramma famigliare, un po' romanzo di denuncia sociale.
Feroce? Sì...lo è, ma non potrebbe essere diversamente quando si racconta di corruzione, di coloro che rispondono solo ai richiami del dio-denaro, dell'uso e abuso di droghe e sesso...
Insomma, un romanzo che poteva essere splendido e non lo è...ma comunque da leggere.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    11 Luglio, 2016
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Oggi la mamma è morta. O forse ieri. Non so.



Avere in casa questo libro da oltre 12 anni e non averlo ancora letto dovrebbe essere perseguibile penalmente!!!
Mi dichiaro colpevole.
O meglio, lo ero, fino a qualche minuto fa...
Centodieci pagine che ti lasciano annichilita...proprio come il nostro Meursault, incapace di qualsiasi reazione, slancio, sentimento.
Disarmante.
Privo di affetto filiale, incapace di amare una donna se non in senso fisico, privo di ambizione sul lavoro, cortese, ma amico di nessuno, capace di macchiarsi del peggiore dei reati...eppure totalmente privo di cattiveria, di malvagità intenzionale.
Così innocente da risultare colpevole senza appello!!!
Meursault è disinteressato del mondo e della società cui appartiene perché fondamentalmente è "straniero" a se stesso"!
Ma questa estraneità, alla fine, gli consente di arrivare ad una "accettazione" totale del suo destino assurdo...e lo solleva dalle sue responsabilità.
"Del resto non fa alcuna differenza"...ma il mondo ha bisogno di uomini che piangono al funerale della loro madre!!!
È incredibile come il "vuoto emozionale" di questo romanzo sia riuscito invece a farmi sentire piena, arricchita.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    11 Luglio, 2016
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Una ventata di allegria...



Dopo aver letto "Una posizione scomoda" sapevo che avrei trascorso bei momenti in compagnia di questo libro...e le mie aspettative non sono state disattese.
Questo giovane autore scrive bene. Punto.
Ha la capacità di farti divertire, a tratti proprio "ridere", con uno humor intelligente.
Sono convintissima che scrivere romanzi ironici sia molto difficile, più di altri generi.
Francesco Muzzopappa lo sa fare molto bene.
In questo romanzo ho trovato un senso dell'umorismo differente dal primo romanzo (che rimane il mio preferito!)...qui si respira uno humor piu' british...e questo denota anche la capacità di reinventarsi, di non solcare strade già percorse.
Bravo.
Siamo passati da uno strepitoso sceneggiatore di film hard con un grande sogno nel cassetto (Una posizione scomoda) ad una donna aristocratica in decadenza, una contessa sagace, ironica e stronza al punto giusto.
Personalmente ho adorato il personaggio di Orlando, il maggiordomo...
Chiaramente...la storia narrata è volutamente improbabile, ma di sicuro funzionale e al servizio del talento del nostro autore.
Ah...non ho mai letto con tanto piacere la pagina dei ringraziamenti come in questo caso...anche lì mantiene lo stesso livello di simpatia e originalità.
Insomma...se hai voglia di una boccata di aria fresca e se vuoi riconciliarti con il mondo, Muzzopappa fa per te!

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    10 Luglio, 2016
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Teniamoci strette le nostre indecenze!



Ne ho sentite 1000 su questo romanzo: bello, bellissimo, brutto, bruttissimo, furbetto, piacione...
Ora, io sul concetto di libro "furbo" ho bisogno di delucidazioni: cosa significa esattamente? È furbo perché nell'incipit è presente una parola sconcia? O forse perché Missiroli cita per tutto il tempo un'infinità di altri libri, films, canzoni...facendo sfoggio di una certa cultura letteraria/cinefila/musicale?
O forse perché tratta della formazione sessuale/sentimentale di un adolescente?
E quindi? Dov'è la furbizia?
Io non ne vedo, anzi...in un momento in cui di libri che parlano di sesso e di libri(scusate il gioco di parole) ce ne sono a valanghe e, spesso, di infima qualità, proporne un altro è più che rischioso.
Ma il nocciolo della questione è che...secondo me...questo libro non parla di sesso, ma parla di un percorso di crescita e formazione, di perdite e ricostruzioni, usando l'esperienza sessuale e letteraria come termometro di una febbre di vita.
Detto questo, furbo o no, a me questo romanzo è piaciuto...ed anche tanto.
Mi è piaciuta la scrittura, come ha saputo toccare tematiche importanti in maniera lieve, senza (s)cadere nel patetico, nel facile sentimentalismo...che è sempre dietro l'angolo quando si parla di morte, di malattia, di disabilità, di eutanasia...
Libero Marsell si è conquistato un piccolo pezzetto di cuore...con la sua "paura di scegliere tra la vita e l'oscenità, senza sapere che sono la stessa cosa. L'osceno è il tumulto privato che ognuno ha...si chiama esistere...e a volte diventa sentimento".
Tenetevi strette le vostre meravigliose indecenze!

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    10 Luglio, 2016
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Ha detto tutto Tolstoj...



Ci sono libri di cui si può parlare, che si possono commentare, recensire, dire quanto siano belli o brutti, interessanti, intensi, ecc...e poi ci sono i "Libri" come questo...davanti ai quali bisogna stare muti, in silenzio, perché qualunque cosa si dica sarebbe superflua, inutile, offensiva...
Ha detto tutto lui, Tolstoj...e noi non possiamo fare altro che ringraziarlo per averci donato tanto.
C'è, per me, una frase, pronunciata da Anna a Levin, che racchiude un po' tutto il senso del romanzo e dell'animo di Anna.
Mi ha colpito come un pugno in faccia:
"Dite a vostra moglie che le voglio sempre bene. E ditele ancora che, se non può perdonarmi, le auguro di non doverlo mai fare. Per perdonare, bisognerebbe aver vissuto quello che ho vissuto io...Dio la preservi da ciò."
Se proprio mi è concesso vorrei fare una considerazione di tipo puramente personale, non oggettiva...sono felice di aver letto questo libro adesso e non 5, 10, 20 anni fa...perché non l'avrei capito, non l'avrei amato, non mi avrebbe fatto male tanto quanto me ne ha fatto adesso.
I libri sono lì e aspettano...aspettano il momento giusto per essere letti, per alcuni arriva, per altri non arriverà mai, ma quando succede non ce n'è per niente e nessuno, senti che qualcosa dentro di te è cambiato per sempre e non sarai mai in grado di spiegare ad alcuno come e perché...succede e basta!!!

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    10 Luglio, 2016
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La notte dell'umanità


Libri sull'olocausto e i campi di concentramento ce ne sono tanti, e tanti ne ho letti, ognuno con il suo carico di dolore, ma in questo ho trovato qualcosa di diverso: un'aperta denuncia, una rabbia dichiarata verso Dio per aver abbandonato gli uomini, per essersi dimenticato di loro per tanto, troppo tempo, per aver permesso crimini inimmaginabili ai danni di chi in Lui aveva riposto ogni speranza, ogni pensiero.
Ha lasciato che calasse la "notte dell'umanità"...una notte in cui gli uomini smettono di essere uomini.

"L'uomo è più forte, più grande di Dio. Quando fosti deluso da Adamo ed Eva Tu li scacciasti dal Paradiso. Quando la generazione di Noè non Ti piacque più, facesti venire il Diluvio. Quando Sodoma non trovò più grazia ai Tuoi occhi, Tu facesti piovere dal cielo il fuoco e lo zolfo.
Ma questi uomini, che Tu hai tradito, che Tu hai lasciato torturare, sgozzare, gassare, bruciare, che fanno?
Pregano davanti a Te! Lodano il Tuo Nome!"

Wiesel era un ragazzino dalla fortissima fede, fin troppo salda per la sua età, eppure Auschwitz è stato il luogo in cui lui ha smesso di pregare il suo Dio (ormai sordo), in cui il posto occupato dalla preghiera e dall'amore verso di Lui, si è trasformato in un grande, incolmabile vuoto...e non perché lui abbia perso la fede, ma perché si è riscoperto ferito, tradito, abbandonato da Colui in cui credeva.
Wiesel ha successivamente dichiarato che lui può vivere con Dio, contro Dio, ma assolutamente non senza Dio.

-"Dov'è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
- Dov'è? Eccolo:  è appeso lì, a quella forca...
Quella sera la zuppa aveva un sapore di cadavere."

Un libro lucido, di quelli che, senza chiederti il permesso, ti entrano di forza nel cuore, nell'anima e fanno tabula rasa di tutti i tuoi sentimenti.
Perché di fronte a tanto orrore non ce la fai, non ce la fai proprio più a credere ancora nell'umanità...
E ti domandi "perché"?, "perché"?, "perché"?...infinitamente "perché"?.
Senza mai poter trovare una risposta.

"Mai dimenticherò quella notte...che ha fatto della mia vita una lunga notte.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio dio e la mia anima...
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso.
Mai."

Elie Wiesel...grazie. E riposa in pace.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    04 Luglio, 2016
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Laide nella testa, nel corpo, nell'anima..ovunque


Arrivo a questo libro con colpevole ritardo, ma imperdonabile sarebbe stato non arrivarci affatto.
La storia di uno stimato uomo di quasi 50 anni che vede la propria dignità, il rispetto di se stesso e tutte le certezze che lo circondano, sgretolarsi sotto i colpi di un amore che gli piomba addosso e a cui non riesce a resistere e ad opporsi.
Un amore che gli fa vivere una serie di umiliazioni, una feroce gelosia che in realtà non ha neanche il diritto di provare e che gli fa ingoiare chili di rabbia repressa.
Si ritrova ad aspettare l'elemosina di un sentimento da parte di una ragazzina di almeno trent'anni più giovane di lui...e non una ragazzina qualunque, no, ma una prostituta conosciuta in una casa di piacere.
Lui è Antonio, gonfio di un amore quasi adolescenziale, che si nutre dei suoi pensieri pessimisti, che ritorna a respirare e a vivere solo alla presenza di lei, un amore fatto di sofferenza, di attese, di telefonate mancate, di lettere mai spedite...struggimenti notturni, e fame e sonno che lasciano il posto ad un turbine di pensieri la cui unica protagonista è sempre e soltanto lei.
Lei, Laide, che invece adolescente quasi lo è davvero per età, ma seppur giovanissima e dall'aria fanciullesca e innocente, innocente non lo è affatto, semmai equivoca, bugiarda e molto più preparata "alla vita" di quanto non lo sia lui.
E Antonio accetta di tutto, qualsiasi situazione imbarazzante, umiliante, capace di ricoprirlo di ridicolo, solo per poterla avere accanto, anche solo per dieci miserabili minuti...
Ma rinunciare a lei è fuori discussione...
Lui buono e lei cattiva? Ne siamo proprio sicuri?
D'altronde con i soldi si può comprare il corpo, non pretendere anche l'anima...
Se vuoi entrare nella vita di qualcuno, devi essere disposto per primo ad aprire le porte della tua.
Buzzati, con questo romanzo straordinario, ci presenta l'incontro di due grandi solitudini, forse destinate a non fondersi mai, quella di un borghese della Milano anni '60 incapace di rapportarsi serenamente con le donne, e quella di una giovane ragazza la cui vita non le ha regalato nulla.
Buzzati scava, scava, scava dentro un sentimento che rasenta l'ossessione, e lo fa attraverso monologhi interiori di una bellezza assoluta, dove anche la punteggiatura scompare per lasciare spazio al turbine vorticoso delle parole, dei pensieri...
E dove, alla fine, ciò che davvero conta, è riuscire ad allontanare lo spettro della morte.
Un romanzo fantastico, ardito per gli anni in cui fu scritto, ma direi anche molto sensuale e seducente.
Imperdibile.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    03 Luglio, 2016
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Uno e trino



Uno e trino.
Questo romanzo è così...una bella ed elegante matrioska contenente altre due bamboline più piccole, ma altrettanto perfette e curate nei dettagli.
Lo ammetto...all'inizio ho faticato per "entrare" nella storia, ma la colpa è stata mia...pretendevo di entrarci di forza, dal portone principale, senza neanche aver bussato...ed invece no, in questo libro ci devi entrare piano piano, dalla porta di servizio, accompagnato dalla padrona di casa, che, tenendoti per mano, ti farà visitare tutte le stanze, ma con i suoi tempi, con i suoi modi.
E vi assicuro che ne vale la pena.
Una storia complessa, che si legge come se fosse un thriller, ma non lo è affatto...
Fondamentalmente (e semplicisticamente) è la storia di due sorelle, che si trovano a vivere una vita decisa "da altri", una vita difficile, ingiusta, infelice...ma c'è molto, molto altro che non si può raccontare.
La scrittura è sopraffina, ogni parola è pensata e collocata al posto giusto, ogni similitudine è assolutamente calzante, nulla è lasciato al caso.
Vorrei chiudere questo piccolo commento citando il libro stesso, in cui una delle due sorelle scrive:
"Abbiamo scritto questo libro insieme. È un libro scritto con la mano sinistra. Ecco perché una di noi è sempre fuori campo, da qualunque parte si guardi".
È stato un bel viaggio...

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    03 Luglio, 2016
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Il desiderio. Come? Perché? Quando? Dove?



Un altro Roth, un altro tuffo in una scrittura che mi trascina e mi porta con sé, ovunque abbia deciso di andare...perché Roth è un fiume in piena, mi travolge e mi stordisce con parole che hanno il potere di ipnotizzarmi, anche quando raccontano qualcosa che non mi appartiene.
Allo stesso tempo Roth riesce a dirmi cose di me che io già possiedo e provo, ma che, in realtà, non so neanche di avere fino a quando non le leggo.
Se dovessi raccontarvi di cosa parla questo libro, potrei dirvi che racconta della giovinezza e della formazione sentimental/sessuale del professore di letteratura David Kepesh, uomo libertino e succube del fascino femminile, che dopo un periodo di vita dissoluto e privo di qualunque inibizione e di un matrimonio finito male, assapora il disagio dell'impotenza, per poi essere salvato da una donna...ma non starei dicendo la verità.
Questo romanzo parla di molto molto altro.
Attraverso le esperienze di Kepesh, Roth ci racconta del dilemma del desiderio: dove lo cerchiamo, perché, quando, come...e soprattutto qual è il confine che lo separa dalla dignità, dalla ragione.
E lo fa con dialoghi e flussi di coscienza di un'intelligenza imbarazzante, che passano attraverso Tolstoj, Cechov, Kafka, come stesse bevendo un bicchiere d'acqua...e alternando ironia, sarcasmo e scavo psicologico come in una perfetta sinfonia.
In pieno stile "Roth".

"Nasciamo innocenti, patiamo atroci disillusioni prima di accedere alla saggezza, viviamo nella paura della morte e a compensare il dolore non abbiamo che frammenti di felicità".

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    03 Luglio, 2016
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Desiderio o follia?



In questo racconto, di kafkiana memoria, Roth, attraverso una scrittura particolarmente ironica e grottesca, riesce a comunicare anche una profonda drammaticità.
Il professore di letteratura David Kepesh si trasforma in un enorme, gigantesco "seno" di 70 chili...incapace di vedere e muoversi, può comunicare solo attraverso la parola e le percezioni tattili.
Come sempre Roth, maestro della scrittura, riesce a passare magistralmente da un registro ironico, in cui il nostro protagonista cerca di vivere esperienze sessuali (di tipo maschile) anche in seguito alla grande metamorfosi, ad un registro più psicologico, introspettivo e drammatico, in cui Kepesh cerca di dare un senso, una spiegazione a quanto gli è accaduto...e in cui si percepisce una profonda angoscia e coscienza di sé.
Incarnazione di un desiderio sessuale?
Follia, psicosi, malattia mentale? Lui vuole convincersi di questo...
Eccessiva immedesimazione con la letteratura di Kafka e Gogol?
Geniale il pensiero di essere riuscito a diventare la "sua opera d'arte"...c'è chi ha scritto di metamorfosi e chi ha trasformato la parola in carne...
Grande Roth...ed ora passiamo a "Il professore di desiderio"...

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    29 Giugno, 2016
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Quando l'orrore è nella testa...



Piccolo libro formato da 4 raccontini: La lotteria, Lo sposo, Il colloquio e Il fantoccio.
Il racconto che dà il titolo al libro ti lascia veramente sgomenta...intuisci subito dove vuole arrivare, ma non ci vuoi credere, ti rifiuti di credere...anche perché i toni pacati e sereni, l'ambientazione bucolica e luminosa, e la naturalezza nella descrizione dei fatti, ti danno l'illusione che dietro tutto questo scenario non si possa celare un "male" così gratuito, feroce e, soprattutto, considerato addirittura "necessario".
Una sorta di rito pagano che terrorizza, ma a cui non si può rinunciare.
"Ghiacciata"...ecco come sono rimasta.
E se si pensa che il tutto si racchiude all'interno di appena 19 paginette, hai la misura di come quest'autrice riesca a generare un sottile e tagliente terrore, senza usare troppe parole e senza ricorrere a quelli che sono notoriamente i codici e i simboli del genere, niente fantasmi né surrealtà, niente mostri né sangue, ma rimanendo nel quotidiano, nei piccoli gesti...nell'agghiacciante cattiveria che si nasconde nell'animo umano, nella testa.
Gli altri tre racconti che compongono il libro, a mio avviso, hanno minore potenza incisiva de "La lotteria", li ho trovati anche un po' troppo aperti a possibili interpretazioni, ma comunque molto molto particolari.
Quello che mi colpisce (e che mi piace) di questi racconti è il realismo dei dettagli, quasi a voler dimostrare che la realtà (nella sua "normalità") può essere molto più spaventosa di qualsiasi fenomeno sopranaturale.
Un'autrice che già conoscevo (con "Abbiamo sempre vissuto nel castello") e che conferma la mia prima, positivissima, impressione.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    27 Giugno, 2016
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Sole...che toglie il fiato.



Come è difficile parlare di questo libro...non so da dove iniziare.
Potrei racchiudere tutto in pochissime parole, come "lieve, raffinato, struggente e dolcissimo", oppure potrei iniziare ad elaborare quello che le parole di Stassi mi hanno lasciato, rischiando di non fermarmi più.
Non so cosa sia meglio...lasciarvi scoprire da soli dove potrà portarvi la scrittura poetica, elegante, ma anche malinconica e dolorosa dello scrittore o coinvolgervi nelle mie sensazioni?
A voi la scelta...potete fermarvi qui, o proseguire con me alla ricerca delle parole giuste.
Il romanzo inizia con una pagina di diario (di Matteo) che già da sola vale tutto il libro...e ci introduce colei attorno a cui ruota tutto il romanzo: Sole (Soledad)...cantante dalla voce che toglie il fiato (e che non sarà mai registrata), capace di far innamorare tutti coloro che incroceranno il suo cammino, ma anche ragazza impegnata politicamente, "compagna", sorella, figlia, amica, amante...
"Chi ti aveva sentito cantare diceva che davi a tutti la stessa sensazione: di mettere un piede nel vuoto. Una nota eri terra, e quella dopo spaesamento".
E sarà per lei, per la sua voce e la sua aura ipnotica, che Matteo, vent'anni, musicista dall'orecchio assoluto e suonatore di contrabasso, rinuncerà a morire.
La amerà di un amore silente, forse anche ricambiato, ma mai vissuto...
Non c'è stato mai niente fra loro, nessun letto sfatto, nessuna promessa, nessun addio, solo tanta tanta musica, un'intesa che andava oltre ogni tipo di fisicità...e una doccia, una volta, in un albergo svizzero.
Sole non voleva possedere nessun mistero, nessun segreto, era disinibita, non temeva la nudità del corpo, chiedeva solo di essere liberata da tutta la tristezza che risuonava (inconfondibile e irriproducibile) nella sua voce.
Nel suo modo di cantare non trovavi nostalgia, ma "mancanza", era in grado di mostrare con la voce tutto ciò che non c'era più.
Conosceremo questa donna forte e fragile attraverso le parole di Matteo, ma anche attraverso un narratore onniscente e attraverso la voce stessa di Sole, che si racconta e ci racconta della sua famiglia, emigrata a Roma dalla Sicilia: una madre dolcissima, un padre debole, un fratello ribelle e controverso, uno zio racchiuso in un mutismo rotto solo dal rumore del suo martello, che usava per riparare le scarpe (dei morti).
Pagine toccanti e traboccanti d'amore quelle in cui Sole assiste prima la madre, e poi il padre, durante la loro malattia...ma l'apice dell'emozione io l'ho provata nel racconto del concerto per i ciechi, nell'hangar che riproduceva il buio totale della cecità, mettendo a nudo tutte quelle sensazioni, quelle piccole percezioni che la luce, paradossalmente, copre.
Io non so dire esattamente di cosa parla questo romanzo, non c'è una vera storia...è un libro fatto di emozioni, di sensazioni, di respiri interrotti appunto, quelli di Sole mentre canta, di Matteo mentre la guarda, i miei mentre leggevo questo libro...ma anche della possibilità di riconoscersi nelle mancanze che la vita, inevitabilmente, ci fa provare.
Stassi scrive senza gridare, sussurrandoci le parole nelle orecchie...

"Sole, il mondo ha un ritmo in battere e noi in levare, e io non lo so perché il sei non è nove. Controllai l'orologio. Doveva essersi fermato nella notte perché segnava un'ora impossibile. Era finalmente troppo tardi per tutto."

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    20 Giugno, 2016
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Un libro che t'ingabbia!



Un libro pazzesco...non ho mai incontrato prima d'ora una scrittura così (e libri ne ho letti tanti!)...
Definirla "poetica" sarebbe riduttivo e porterebbe a pensare a qualcosa di melenso, stucchevole (o almeno a me, spesso, questo aggettivo rievoca questo tipo di sensazioni).
No, se di poesia vogliamo parlare, dobbiamo pensare ad una poesia che faccia male, che laceri, che ti colpisca in piena faccia...una poesia bastarda, dannata!
Una storia che trasuda tristezza, rabbia, odio...
Poche pagine che t'ingabbiano...anche perché di "gabbia" si parla...quella scatola che ti costruisci intorno, che diventa tutto il tuo mondo e che, per quanto piccola e asfissiante, ti rifiuti di lasciare...vuoi morirci dentro, mentre "la vita", quella vera, ti passa accanto, ti sfiora soltanto.
La gabbia di una famiglia composta da una madre anaffettiva ed egoista, vanesia e dispotica, un padre succube e amorevole, oltremodo amorevole, una figlia che si trova a vivere in questo "zoo", rinchiusa tra carezze che non arriveranno mai e un amore che non basterà a salvarla.
Odio e amore si confonderanno, si mescoleranno al dolore della perdita, si travestiranno con le maschere della colpa e della violenza, senza mai riuscire a vivere di vita propria.
Una vendetta feroce, bestiale, per risarcire una vita non vissuta, una vita sacrificata in nome di un padre, unico amore conosciuto...una vita vissuta aspettando una madre che non è mai stata tale.
Ma, a volte, la vendetta raggiunge un punto di non ritorno tale che diventa sconfitta, sconfitta per tutti.
Questo romanzo mi ha stravolta, stordita, mi ha ipnotizzata con una prosa meravigliosa, capace di farti commuovere e rabbrividire...
In alcuni momenti mi sono ricordata anche di respirare...!!!

P.s.: ovviamente astenersi anime candide e facilmente impressionabili.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    20 Giugno, 2016
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Lo smilzo diventa uomo...


Erri De Luca sa scrivere, conosce le parole e sa raccontare una storia.
È delicato, lieve...
La sua scrittura è decisamente poetica...ed io, generalmente, quando un libro è scritto in questo modo...mi annoio!
Me ne accorgo perché, mentre sto leggendo, mi viene da pensare ad altro, divago, mi perdo...
In effetti durante le prime 30/40 pagine di questo romanzo ho faticato per mantenere viva l'attenzione... poi...non so...la storia mi ha catturato, mi ha anche emozionato...o, forse, ho semplicemente imparato a cercare la vibrazione nascosta sotto la poesia...e l'ho trovata.
Si cambia, si cresce anche come lettori...
Ho amato la sua "napoletanità"...stranamente!
Dico stranamente perché non essendo napoletana, ovviamente, non mi ci rispecchio...ma ho trovato ugualmente odori, sapori ed espressioni di un passato universale, che ci accomuna tutti.
È un romanzo breve, ma denso di storia, di amore, di onore...c'è la guerra, il dopoguerra, l'iniziazione amorosa di un adolescente...e c'è Don Gaetano...protagonista assoluto del libro!
Il primo libro che lessi di questo autore ("I pesci non chiudono gli occhi") non mi piacque affatto...sono contenta di avergli dato un'altra possibilità.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    20 Giugno, 2016
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Fallimenti coniugali...


Erano decenni che non leggevo Moravia...
Questo racconto lungo però non mi ha convinto troppo.
Non so, l'ho trovato un po triste...triste come può esserlo il piatto di una persona che sta a dieta: poco condito, senza sale... Certo si fa mangiare (è pur sempre Moravia), ha anche un buon sapore (gli ingredienti sono di qualità), ma non ti lascia soddisfatto perché sai che sarebbe potuto essere più buono, più saporito, più appagante.
Questo per dire che sì è vero che la scrittura di Moravia è tendenzialmente scarna, austera e analitica, ma in altri romanzi l'ho trovata più "saporita"...
Il protagonista è un uomo ricco (che non ha bisogno di lavorare per vivere), tendenzialmente depresso e incline a pensieri suicidi, che, in una sola notte, assiste al proprio fallimento di scrittore e di marito.
Ma la cosa che mette più tristezza è che non fa nulla, letteralmente nulla, per ribellarsi a tutto questo...
La sua totale passività aggiunge, secondo me, alle precedenti sconfitte anche il fallimento come uomo.
Il tutto si svolge in una villa ottocentesca immersa nella campagna toscana, assolutamente in linea con il temperamento del protagonista, ovvero...desolata.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    19 Giugno, 2016
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Siamo circondati da "Carla" e "Michele"...


Romanzo d'esordio di Alberto Moravia...e quello che davvero stupisce è che sia stato scritto da un Moravia poco più che ventenne!!! (anzi, iniziato quando non aveva ancora 18 anni).
Nel romanzo egli descrive, con grande realismo, le meschinità e le ipocrisie della società borghese degli anni '20/'30, tacciandola di essere falsa, di facciata, convenzionale e menzognera.
"L'indifferenza" protagonista di tutto il romanzo, non è altro che un'inerzia morale, un'apatia sentimentale, un lento e graduale spegnersi delle emozioni, un disinteresse nei confronti della vita, che invece di essere vissuta viene subìta.
Ma, soprattutto, l'indifferenza di cui parla Moravia non è tanto quella rivolta verso gli altri, ma quella verso se stessi...il sentirsi totalmente inermi e demotivati da cercare un'ultima disperata soluzione facendosi quasi violenza, disprezzandosi e autodistruggendosi.
La scrittura è sagace, precisa, realistica, e pur nella sua semplicità, è ricercata e formale...il ritmo è lento (circa 300 pagine per raccontare appena 3 giorni di vicenda), i toni sono seri, ma frequentemente mettono "in ridicolo" i modi di fare e di agire dei protagonisti.
Una "tragedia grottesca" insomma...
Tanti sostengono che Moravia non si presti alla lettura e/o rilettura a distanza di così tanti anni perché troppo circoscritto ad un preciso momento storico e sociale...io non sono d'accordo: questa apatia dei giovani protagonisti nei confronti di se stessi e di tutto ciò che li circonda è poi così lontana dal mondo degli attuali ragazzi così frequentemente annoiati e passivi nei confronti di una società, di cui riconoscono tutti i limiti e difetti, ma che non riescono a cambiare? Io credo di no...
Quanti "Michele" e quante "Carla" ci circondano, con la consapevolezza di volersi disfare del marcio che la società presenta loro, ma incapaci di agire in tale direzione?
Trovo molti aspetti di questo romanzo ancora attuali, purtroppo!
Le miserie di oggi non sono poi così diverse da quelle di ieri (se pur in contesti differenti).
Un grande Moravia.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    18 Giugno, 2016
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Attrazione fatale dal sapore malinconico


È il primo Simenon che leggo e mi domando: sono tutti così belli o sono stata fortunata ad iniziare da uno dei suoi migliori?
Mi sono sentita completamente coinvolta...mi ha conquistato questo modo di presentare la storia...con continui flashback, ricordi, dialoghi ripetuti e ripetuti per sottolinearne l'importanza, per dimostrare come tutto possa precipitare semplicemente per non aver dato il giusto peso a delle parole!!!
Ho apprezzato il fatto che l'accento non fosse sulla sfumatura "gialla" della storia, ma sull'introspezione e la psicologia dei personaggi.
Ho trovato un certo sapore malinconico...
La cosa strana è che, ai miei occhi di lettore, appare abbastanza chiaro come si siano svolti i fatti, eppure...
Il finale ti spiazza, ti intristisce, ed insieme, ti terrorizza perché comprendi che non c'è davvero limite alla follia e all'ossessione!!!
Una sorta di "attrazione fatale" ante litteram...

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Racconti
 
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    18 Giugno, 2016
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Il libro delle piccole cose...


È un libro delle "piccole cose", quelle in cui ti ci rispecchi, che ti fanno sentire parte di un tutto, che ti fanno dire "cavolo, è vero!!!".
Un libro che non è un romanzo, che non è un libro di racconti, ma un insieme di "situazioni"...di schegge di vita quotidiana...che più quotidiana non si può!
Mentre lo leggi il primo pensiero che ti assale è che tutte quelle cose potevi tranquillamente scriverle anche tu, che non ci vuole poi tanto a scrivere un libro così, ma chissà perché non l'hai scritto tu, non l'ho scritto io, ma lui.
Tant'è...
In alcuni momenti mi ha ricordato De Silva e il suo essere un po' "filosofo autodidatta".

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    17 Giugno, 2016
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Eros e thanatos


Quando finisco un libro di P. Roth mi vengono in mente sempre le stesse parole: "che scrittura stupenda!"...
Perché è vero, è innegabile, è così!!!( E dopo aver patito la scrittura della Jelinek, è stato un vero balsamo per la mia mente!)
In questo romanzo anche la "costruzione" è magistrale: è una sorta di confessione che il nostro protagonista fa ad un ascoltatore sconosciuto, di cui non sappiamo nulla e che si palesa solo nelle ultime righe con un paio di frasi pronunciate in discorso diretto, ma che potrebbe tranquillamente essere se stesso.
Si racconta e, nel farlo, ci racconta...
Questo è un romanzo che parla di desiderio, di libertà sessuale, di rivoluzione sessuale, di vecchiaia, di figli arrabbiati, di amore, di vita e di morte, di malattia...ma soprattutto racconta di un'ossessione.
Ossessione per qualcosa che si ha... perché già sai di doverla perdere, (e questo ti impedisce di goderne appieno anche quando potresti farlo) ma anche ossessione per qualcosa che si è perso.
Sesso e desiderio sono usati come veicolo per sfuggire all'età che avanza e alla morte...che, come spesso avviene, penetra attraverso altre porte, inaspettate.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    17 Giugno, 2016
Top 50 Opinionisti  -  

Intenso, ma sfiancante...


Questo libro mi ha sfinito...
Una storia forte, intensa e bellissima raccontata purtroppo con una scrittura ostica, farcita di logoranti metafore e respingente come le sue protagoniste!!!
Peccato...
Un rapporto "madre - figlia" malato, disturbato...che ha dato vita ad una mamma carceriera e onnipresente e ad una figlia trattata come un'adulta durante l'infanzia e come una bambina in età adulta.
Senza via di scampo.
Autolesionismo, voyeurismo, ricerca di un'identità sessuale che sfocia in perversione senza aver mai sfiorato neanche da lontano il concetto di amore.
Di nessun tipo.
Due figure femminili atroci.
Ho capito subito di avere fra le mani un libro "importante", ma ho dovuto lottare, soprattutto nella prima parte, contro una scrittura difficile e arzigogolata, fredda e distaccata (come Erika appunto!).
Sono felice di averlo letto, mi sento più ricca...ma che fatica!

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    15 Giugno, 2016
Top 50 Opinionisti  -  

Quando il buono diventa cattivo...



Una madre e una figlia, a cui la vita non ha risparmiato dolori e violenza, vivono rintanate nel loro cottage di campagna, isolate da tutti, nascoste al resto del mondo, lontane dagli sguardi curiosi di una società che non ha saputo proteggerle, ma circondate da ciò che per loro realmente conta...la musica, l'arte, la letteratura e il loro reciproco amore.
Shelley e sua madre...entrambe abbandonate da un padre/marito che ha preferito la classica "giovane preda" alla famiglia, dimenticandosi della loro esistenza.
L'una profondamente ferita e provata, nel corpo e nell'anima, da atti di bullismo che hanno quasi messo a repentaglio la sua giovanissima vita, l'altra stanca di subire umiliazioni e soprusi lavorativi, nonostante i suoi evidenti successi professionali.
E dal momento che la sfortuna si accanisce sempre sui più deboli, tutte le difficoltà già affrontate non basteranno a metterle al riparo da altra violenza gratuita...
Ma la capacità di sopportazione ha un limite oltre il quale tutto viene messo in discussione.
E nessuno sa essere "più cattivo" di un buono che diventa cattivo.
I ruoli si invertono.
Da qui un escalation di situazioni che vedranno queste due donne lottare con ogni mezzo per proteggere quell'angolo di mondo a cui ritengono, giustamente, di avere diritto.
Thriller ben fatto, che sta in piedi e si lascia leggere con gusto...nonostante lo stile sia un po' piatto, monocorde, privo di quei picchi di pathos che ti fanno trattenere il fiato.
Forse questo è dovuto alla scelta di far narrare la storia attraverso gli occhi e la voce di una ragazzina sedicenne, e quindi, vivendo tutti gli accadimenti con il filtro di una visione adolescenziale.
E se è vero che questo paga ed è molto efficace nella prima parte, quando Shelley racconta degli atti di bullismo da lei subiti per mano delle sue "migliori amiche", è vero anche che penalizza un po' man mano che la storia procede e necessiterebbe di maggiore introspezione, enfasi e ritmo.
Insomma buono per staccare un po', ma non eccelso nel suo genere.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    15 Giugno, 2016
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Roth e il sogno americano infranto.



Cosa dire di questo romanzONE? Non è un libro facile...dentro c'è tanto, tantissimo, c'è tutto.
Fiumi di parole che mi hanno inghiottito nel loro flusso...che mi hanno ubriacato, incantato, mi hanno fatto pensare, innervosire, riflettere e comprendere...
Spesso mi hanno fatto perdere, per poi farmi ritrovare più smarrita di prima...perché questo libro ti pone tante domande, ma non ti dà nessuna risposta.
Un libro molto "americano" nella cornice storica, ma decisamente universale nei contenuti.
Parliamo del declino, della distruzione di un uomo (di un uomo icona del "bene", del "successo", della "rettitudine") per mano del suo stesso sangue, della deflagrazione di una bomba che segna l'inizio della fine.
Un po' come quelle malattie autoimmuni che generano il male dall'interno...così lo Svedese, dall'interno della sua vita perfetta, genera "il Mostro", il male che distruggerà tutto quello in cui lui ha sempre creduto e che ha amato.
Perché? Di chi è la colpa? Cosa si sarebbe potuto fare per evitarlo? Quando "qualcosa" si è rotto?
Roth non ha scritto solo un romanzo, ma un trattato socio - psicologico tanto complesso quanto avvincente e lo ha fatto attraverso una narrazione paricolare...discontinua, ricca di ricordi, evocazioni, disgressioni e dialoghi interiori scritti in modo magistrale...come solo "un grande" sa fare!!!
Di fronte a pagine e pagine di cotanto spessore io mi sento davvero piccola...e senza parole.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    15 Giugno, 2016
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Irriverente male di vivere...

Se avete voglia di una lettura:
1) ambientata ai giorni nostri
2) divertente, irriverente, dissacrante
3) leggera, ma non stupida
Ebbene in John Niven troverete tutto questo.
Scrivere con un linguaggio "triviale" potrebbe sembrare facile...io, invece, credo sia molto rischioso, bisogna saperlo fare e, soprattutto, poterselo permettere.
Niven può...e lo sa fare.
In realtà questo romanzo hai due chiavi di lettura: una più superficiale che lo rende scanzonato, divertente e irriverente...ed una che viaggia sottotraccia per tutto il tempo e che è più profonda, riflessiva ed anche un po' drammatica...che si nasconde sotto i "rcatroia" e gli alcolici del protagonista, celando un male di vivere di fondo...ma che esplode nelle ultime pagine.
Il libro è ricco, ricchissimo di citazioni e aneddoti letterari e nonostante la storia sia apparentemente scontata non risulta mai banale...
Per me Niven...promosso!

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    14 Giugno, 2016
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Il finale più bello di tutta la letteratura

Non mi sento assolutamente all'altezza di fare una recensione di un romanzo di tale portata, ma, nello stesso tempo, non riesco proprio a non dire nulla e a tenermi dentro tutto quello che sento...quindi ci provo!
Fin dai primi capitoli si intuisce che il libro sarà un capolavoro: i personaggi sono molto intensi e decisamente vivaci in ogni loro espressione, le descrizioni della natura sono dettagliatissime ( io non le amo molto pur riconoscendone il valore).
Si percepisce la rabbia di chi si vede sottrarre da sotto i piedi la terra dove è nato, dove ha lavorato, sudato, pianto, gioito...la rabbia di chi non possiede nulla, ma è costretto a rinunciare anche a quel nulla!!!
Ho adorato sentir parlare i nostri protagonisti, con la loro "ignorante saggezza" che me li ha fatti percepire come uomini e donne veri, veraci, spesso costretti a metter da parte i sentimenti per esigenze di sopravvivenza, per mancanza di mezzi...ma senza perdere mai la loro dignità!
Il pregio di questa gente è che, per quanto povera e per quanto disgraziata, è onesta...e quando parlo di onestà mi riferisco anche e soprattutto a quella morale!
Ci sono tantissime immagini capaci di smuovere qualcosa dentro e lo fanno senza l'ausilio di frasi poetiche e sentimentali, ma servendosi solo della genuinità della "pancia vuota", della generosità di qualcuno ancora capace di un gesto di carità, di solidarietà, del cuore grande di chi non ha più nulla.
Grande, grandissimo il personaggio di Ma' (colonna portante di tutto il romanzo)...e il suo coraggio per essersi opposta continuamente alle decisioni "degli uomini" in un epoca in cui questo tipo di comportamento era inammissibile!
Ma la paura di vedere la propria famiglia smembrarsi (quando è l'unica cosa che ti rimane!), fa fare alle mamme cose impensabili...e meravigliose!!!
Quando ho finito di leggere "Furore" sono stata male, veramente male...
Non dico di aver auspicato ad un lieto fine, per carità, ma mi aspettavo un minimo di luce in fondo al tunnel...anche se, forse forse, quella luce in fondo si manifesta proprio nella scena finale: amara, amarissima, ma al contempo con una grandissima forza simbolica.
Quello che doveva essere il nutrimento di chi "non ce l'ha fatta" diventa salvezza per chi "può ancora salvarsi".
Struggente...
Steinbeck ti lascia in sospeso...ti fa vivere nella polvere e nella miseria insieme ai Joad, ti fa "accoccolare sui talloni" insieme a loro, ti fa soffrire la fame, il freddo, ti fa provare quel "furore" che annebbia il cervello, te li fa amare profondamente...e poi...???
Questa è l'unica cosa che non riesco a perdonargli...

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    14 Giugno, 2016
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L'incontro di due grandi solitudini

Questo è un romanzo complesso, molto più complesso di quanto possa sembrare...è intenso, pieno di riflessioni profonde, sull'animo umano, sulla vita interiore, su una società figlia dell'industrializzazione, sulle disparità sociali, sul classismo, sul sessismo...
Il tema del tradimento e del sesso, sono, in realtà, solo dei veicoli per parlare di tutto questo.
Clifford, Connie e Mellors (lui, lei e l'altro) danno voce ad un'aspra critica sociale.
Il personaggio di Clifford l'ho trovato insopportabile fin dalla sua prima apparizione (la sua disabilità dovrebbe produrre l'effetto opposto, ma non è questo il caso): troppo pieno di sé, troppo concentrato sul suo presunto talento, sul predominio dello spirito sul corpo, convinto che tutto gli sia dovuto, ottuso classista, ma soprattutto troppo troppo noioso (lui e i suoi amici pseudo-filosofi!). Sembra quasi che sia paralizzato non solo nel corpo, ma anche e soprattutto nei sentimenti.
Connie è una donna infelice, non trasgressiva!
Una donna che si è trovata improvvisamente intrappolata in una vita che non voleva, "badante" di un marito infermo e desolato come la casa che la tiene quasi prigioniera...ma lei è disposta ad accettare tutta questa desolazione (emotiva e ambientale) anche a costo di ammalarsi (nel corpo e nell'anima)...fino a quando "la vita" non prende il sopravvento e le chiede di essere vissuta nella sua pienezza (e menomale).
Lei è un po' il contraltare di tutte quelle protagoniste dei romanzi ottocenteschi alla ostinata ricerca del buon matrimonio anche a discapito dell'amore...lei anela ad un divorzio e alla perdita di quei diritti che non sente di avere e di voler esercitare.
Mellors...è personaggio molto ambiguo, introverso...dolce e duro al contempo, sicuramente un uomo provato dalle esperienze passate, un uomo dalla forte passionalità, non uno stallone, ma uno normale...conscio delle proprie origini, ma anche delle proprie qualità, con una visione del mondo molto realistica e contro quella società che corre dietro "al dio denaro" infischiandosene della disumanizzazione di chi lavora.
La passione tra Connie e Mellors inizia molto lentamente, è costellata da continui momenti di indecisione...ma la sensazione che mi ha dato la loro unione è stata quella dell'incontro di due grandi solitudini!!!
Le descrizioni sono abbastanza esplicite per essere un libro del 1928, il linguaggio è molto moderno (Lawrence chiama le cose con il loro nome!)...molto sensuale, appassionato e, a mio parere, mai volgare, ma tutto ciò ne ha fatto un libro proibito, scandaloso per l'epoca.
Ma scandaloso sarebbe non leggerlo!

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    14 Giugno, 2016
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Sinfonia incompiuta



Gran bel libro, scritto molto molto bene, lucido, scorrevole, descrittivo, sentimentale, ma allo stesso tempo arguto e accusatorio delle debolezze umane e dei mali del mondo.
La prima considerazione che mi viene da fare è che siamo stati privati troppo presto di una penna e di una storia che aveva ancora tanto da raccontarci.
Non sapremo mai l'epilogo delle storie presenti in questo romanzo...ed io ne sento terribilmente la mancanza!(pur chiudendosi in maniera non traumatica per il lettore!)
Devo confessare che ho trovato la seconda parte molto più coinvolgente della prima. (Dovevano essere 5 parti).
Sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale...tante storie, tanti personaggi che si intrecciano e si accordano alla perfezione, proprio come in una sinfonia.
La prima parte racconta della fuga di massa dei parigini alla vigilia dell'invasione tedesca, la seconda parte racconta della bruciante quanto sofferta passione tra una parigina (sposata ad un prigioniero di guerra) e un ufficiale tedesco.
Condivido il messaggio che in fondo, in guerra, non c'è molta differenza tra vincitori e vinti, siamo tutti uomini con una storia alle spalle, con dolori e sofferenze personali, con famiglie più o meno amorevoli, con amori infelici o felici...quello che mi ha colpito di più però è stato vedere come la scrittrice abbia dipinto i militari tedeschi (tutti) come persone educate, cortesi, persino buone e sensibili...proprio quei tedeschi che poi la deporteranno ad Auschwitz in quanto ebrea.
Di contro dà un'immagine dei francesi non proprio idilliaca...
È un grande affresco storico che mette a nudo pregi e difetti dell'umanità...la meschinità, la vigliaccheria, la paura, la solidarietà, l'eroismo, l'amore...non manca davvero nulla.
O forse sì...un pizzico di pathos!

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    09 Giugno, 2016
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Bisturi e poesia...


Romanzo breve, racconto lungo...quello che conta è ciò che mi ha lasciato e le emozioni che mi ha suscitato: la Kristof riesce ad arrivare a toccare delle corde in me laddove altri scrittori falliscono...e se dovessi spiegare il motivo per cui il suo stile così asciutto ed essenziale, ma al contempo profondo ed intenso, riesca ad incollarmi alle pagine come se null'altro esistesse, non saprei farlo.
Ho molto amato la "Trilogia della città di K" e temevo di rimanere delusa dagli altri suoi scritti, non è stato così.
Indubbiamente ci sono in lei dei temi ricorrenti, quali la guerra (che faccia da sfondo o sia solo citata non importa...c'è!), l'ambientazione "non collocabile"...in un tempo "non ben definito", il gioco di identità dei personaggi e soprattutto il voler giocare con i loro nomi, la menzogna, un'infanzia misera (o miserabile) che ritorna costantemente a galla, l'alienazione...il delirio psicologico...
In questo racconto però c'è anche altro, c'è l'amore...un amore impossibile, ma pur sempre amore. E poi c'è poesia...una meravigliosa alternanza di frasi spietate e affilate e frasi profondamente poetiche e musicali.

"Ieri ho vissuto un istante di felicità inattesa, immotivata. È venuta verso di me attraverso la pioggia e la nebbia, sorrideva, fluttuava al di sopra degli alberi, mi danzava davanti, mi circondava.
Io l'ho riconosciuta.
Era la felicità d'un tempo remoto, quando il bambino e io eravamo tutt'uno".

Meraviglioso...

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    09 Giugno, 2016
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Il trionfo dell'orrore...fa audience.



Era da tempo che questa scrittrice mi incuriosiva, complice anche una sua intervista vista in tv, e finalmente mi sono decisa a leggere un suo libro.
Che lei fosse un personaggio particolare me ne sono resa conto al primo sguardo...che questo libro fosse "folle" l'ho capito dal primo rigo. Che poi...folle non è neanche l'aggettivo giusto per questo racconto: aberrante, inquietante, assurdo (ma non troppo) , macabro e pericolosamente attuale!!!
Una storia nera che vuole essere una feroce satira alla nostra società, ovvero quella di esseri lobotomizzati disposti a inghiottire qualunque porcheria la dea Televisione abbia deciso di propinarci per cena!
Ma soprattutto una denuncia contro chi si definisce contrario alla violenza, ma poi non è capace di cambiare canale di fronte al trionfo dell'orrore!
Non posso negare che all'inizio mi abbia disturbato l'idea di usare il periodo più agghiacciante della storia (l'olocausto) per una causa non così "alta", ma devo ammettere che la narrazione intriga e quindi l'indignazione ha ceduto il posto alla curiosità.
"Concentramento"...è il nuovo reality show che riproduce luoghi e dinamiche dei campi nazisti ivi compresa la morte dei prigionieri...in nome dell'audience!!!
Personaggi di cui la scrittrice delinea i contorni, senza andare in profondità, scrittura non particolarmente eccelsa, ma che non annoia, ha un buon ritmo...e fornisce molti molti spunti di riflessione (ma poche emozioni).
Avevo immaginato un finale diverso...ma tutto sommato non mi ha deluso.

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