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68 Opinione inserita da 68    07 Ottobre, 2021
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Le ombre di una vita

Un unico filo conduttore, storia al femminile nel cuore di una famiglia retta da donne, una scrittura cruda e uniforme, quasi una litania che riflette un sentimento, quella rabbia repressa che avvolge il respiro della protagonista, sin da bambina, incanalandola in una routine che qualcuno ( la madre Antonia ) ha già deciso per lei.
Periferia di Roma, un quartiere popolare che è il perimetro dei propri spostamenti, lotta e miseria, privazioni, denunce, rimostranze, chiedendo di non essere dimenticati, senza una casa, intrappolati da un’ infausta esistenza, tra drogati d’eroina e anziani moribondi, progettando la fuga, una vita che non basta, senza amore, cercando un riscatto voluto da altri, la scuola e lo studio come unica possibilità, i libri a consolare un presente siffatto.
Una famiglia disgraziata e anestetizzante, un padre travolto e immobilizzato dal dolore, che non vuole più stare nel mondo, una madre infaticabile e ossessionata dalle cose giuste, un fratello idealista e ribelle, due gemelli chiassosi che dormono in un enorme scatolone pieno di coperte, una protagonista bambina che già fissa negli occhi la paura, non essere come Antonia, non bastare mai, non vincere nessuna battaglia, coltivando le proprie nevrosi.
C’è un “ noi “ in cui nessuno le ha mai chiesto se voleva abitare, la solitudine compagna della propria infanzia, sentendosi ingombrante nella propria casa, quando è stato necessario trasferirsi in provincia, traslocare sulle sponde di un lago secolare, in un paese dove ci si deve ripulire faccia e corpo, farsi riconoscere, dove si è figli di Antonia la rossa.
Cos’è la famiglia se non un luogo di menzogna in cui nascondere la propria identità, inventarsi favole, proteggere ingiustizie, un angolo infarcito di luoghi comuni, e che cosa realmente vogliamo? Qui si cementano rabbia e rassegnazione, violenza e bugie, qui si è immobilizzati, stesso posto, stessa faccia, stessa ora, nell’ attesa dei propri diciotto anni.
Amori, amicizie, perdite, tradimenti, un luogo dell’ infanzia e della memoria in cui crescere, un malessere sfociato in una violenza inarginabile, un’ implosione funesta, e sentirsi una giovane donna a metà, spezzata, opaca, contenuta da sempre, a lungo anestetizzata nei sentimenti, con una scarsa autostima, in un posto che non sa tenere i segreti, nascondere la morte, occultare il dolore.
Una donna che non ha fatto altro che studiare e scrivere, annotando scrupolosamente il proprio sapere, senza uno sbocco professionale, già vecchia, ignorata nelle proprie opinioni e nelle decisioni importanti, mentre la propria madre rimane la stessa dell’ infanzia e lei un giorno, sarà costretta a tornare in un luogo estraneo.
È allora che incrocia lo sguardo della bambina che fu e che ancora le sussurra qualcosa, e comincia un racconto tra finzione e realtà, fotogrammi del passato, in una casa riadattata, scorrendo con i pensieri quel luogo prosciugato dalla città, entrando tra i vicoli della propria memoria, in un angolo zeppo di ricordi, e c’è un volto amico che le manca all’ interno della magia del lago.
Un romanzo ben scritto, personaggi ben delineati, caratteri crudelmente esposti, ma eccedente nella propria continua sofferta linearità. Quel sentimento di rabbia e di dolore che accompagna l’ intero racconto finisce per limitarlo e infragilirlo, ben oltre la propria ribadita essenza.
In quel mentre tutto pare annebbiarsi, perdere vigore e vitalità, appiattendone e ripetendone toni e contenuti, mentre le proprie manchevolezze assumono i colori sbiaditi di un’ assenza protratta.

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68 Opinione inserita da 68    21 Settembre, 2021
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Il potere dei gatti





La scrittrice giapponese Morishita Noriko ci racconta un periodo particolare e complicato della sua vita, dopo i cinquant’anni anni, in cui fatica a trovare l’ ispirazione letteraria, senza un marito e dei figli, con introiti instabili, la prospettiva di una vecchiaia solitaria, ed è tornata a vivere insieme all’ anziana madre.
Un giorno, quasi per caso, scopre che una gatta randagia ha partorito nella aiuola di casa, cinque esserini della dimensione di una pallina, dando il la’ a una storia tutta da vivere e da narrare, una storia di incontro e di tenerezza, di conoscenza e rinascita, di comunione e condivisione.
Del resto non si possono abbandonare una gatta senza dimora e i suoi cuccioli, ma come accoglierli nella propria casa, non essendo amante dei gatti, non sapendo come avvicinarli, impacciata e maldestra, augurandosi una loro precoce dipartita?
Sappiamo che la tradizione giapponese associa a questi piccoli felini poteri magici, si racconta che possano trasformarsi in mostri e assumere sembianze umane, ma Morishita Noriko e la sua famiglia non hanno mai avuto a che fare con i gatti. Urge un periodo di apprendimento, la richiesta di aiuto ad amici e parenti, ben presto ci sarà una socialità allargata e un pellegrinaggio quotidiano alla sua dimora, oltre che la scoperta di un universo gattesco curativo e gratificante, una forma d’amore con codici del tutto particolari.
In questo l’ autrice è aiutata dalla propria naturale curiosità, inclinazione all’ ascolto e alla osservazione, sperimentando suo malgrado un’ attrazione fatale, inspiegabile, irrinunciabile.
Passerà giornate intere a guardarli, Mimi e Toro, mamma e figlio, instaurando con loro un rapporto privilegiato, fatto di sguardi e tenerezza, agguati e ripicche, mentre gli altri cuccioli sono stati affidati a persone care e in lei si insinuato un senso di benessere spirituale e corporale, allontanando stanchezza, angoscia e agitazione pregresse.
È un viaggio di conoscenza e apprendimento, di ridefinizione di se’, di scoperta interiore, un percorso pedagogico inverso, perché non si può pensare di educare un gatto ma solo di adeguarvisi comprendendo quello che sente. Sono creature speciali, questi piccoli felini, nate compiute, ciascuna con la propria individualità che vive secondo gli usi dei gatti.
E allora è fondamentale apprenderne la lingua, le movenze, i ritmi, le richieste particolari, i comportamenti bizzarri, l’ estemporaneità finalistica, gli sguardi attenti, che paiono venire da chissà quali profondità.
È un incontro per sempre che sfocerà in un amore sincero. Una famiglia allargata si farà, quattro semplici esseri viventi, un sistema relazionale ridefinito e la sensazione che quella fronte appoggiata sul proprio braccio rispecchia un’ intesa profonda con un essere privo di parola ma dotato di intensi silenzi parlanti.
Una lettura leggera, piacevole, vera, nella quale, per chi vive la realtà gattesca, riconoscersi e rispecchiarsi. Ho la certezza, personale, che questi piccoli adorabili amici di casa sono in grado di rivoluzionare e sovvertire vite intere, di accedere ai cuori più sinceri, amando e lasciandosi amare, con il fondato sospetto che sappiano sovvertire e riorganizzare la quotidianità ridefinendo i tempi secondo i propri limiti e confini, di certo posseggono il dono di restituire all’ interno delle famiglie un’ armoniosa presenza e un senso di benessere a tutto tondo.

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68 Opinione inserita da 68    19 Settembre, 2021
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Inammissibile colpa

Un segreto pervaso da un senso di colpa onnipresente, da quando Camille aveva 14 anni, un cammino verso l’ auto annientamento, quel vivere senza esserci più, la paralisi e la violenza della vergogna oltre alla complicità del proprio silenzio,
“ La famiglia grande “ di Camille Kouchner, è uno scritto-denuncia, quasi una deposizione, che ripercorre e ricompone il complicato viaggio della protagonista, da bambina ad adulta, testimone di una violenza privata, un testo che in Francia ha scatenato un putiferio mediatico.
Camille è la figlia di un medico ed ex ministro Bernard Kouchner, ha una madre docente di Scienze sociali e Diritto Pubblico, Evelyne Pisier, e un patrigno, Olivier Duhamel, politologo di fama mondiale, da lei accusato di abusi sessuali nei confronti del suo gemello, Victor.
L’ autrice, oggi quarantacinquenne, laureata in legge e docente di Diritto privato, per anni si è portata dentro questo terribile segreto, ignara, impaurita, con un senso di accudimento e di colpa ingravescente, semplicemente per sopravvivere a un’ infanzia rubata.
La sua da sempre è stata una famiglia allargata, rivoluzionaria, progressista, colta, una miscela di dialogo e libertà, ma anche una fucina di dolore, di silenzio e connivenza con i crimini commessi, sbriciolandone i contenuti più intimi nella conservazione di un’ apparenza all’ interno di politica e potere.
Camille, sin da bambina, è stata spinta dalla madre, donna di intelligenza pura, spirito vivace e anarchico, all’ esercizio della libertà, al pensiero critico, all’ ascolto, alla unicità, in un reale intellettualmente stimolante ma corroso dalla esplosione di non senso.
All’ interno della stessa ripetuti e inspiegabili suicidi, della nonna materna, della zia, una madre tanto amata spinta alla deriva, il padre assente e sostituito dal patrigno, Olivier Duhamel, un uomo che ha saputo conquistarsi l’ affetto incondizionato di Camille. Lei, mantenendo quell’ orribile segreto negli anni, ha pensato di difendere se’ e gli altri, convinta che fosse la cosa giusta da fare. In fondo Olivier era l’ unico affetto che le restava in un collasso famigliare evidente, un desiderio di “ normalità “, un silenzio fattosi complice, a cui si aggiunge la violenza della vergogna.
Il tempo ne corroderà l’ essenza, un’ idra che la avvolgerà tra le proprie spire, senza via di scampo, gli anni della giovinezza trascorsi all’ ombra di una famiglia mondana e autocelebrativa, di un uomo potente, accentratore e carismatico, si faranno invivibili.
Il desiderio di normalità e ricostruzione personale, la scuola, l’ università, il matrimonio, un figlio, tutto inutile, perché il silenzio è dannoso, la finzione fa male, il dolore consuma dentro e il senso di colpa si insinua in ogni cosa.
La fine del segreto ha scoperchiato un mondo che aveva annegato la propria memoria, ma a quel punto l’ indagine si è fermata e la famiglia allargata si è nascosta sottoterra.
La perversità ha strappato a Camille le strade del suo passato e l’ ha allontanata da Sanary, per sempre. Quale dolore essere privata della propria memoria e delle persone che ha amato ben sapendo che ... “ chi detiene il segreto detiene il potere “.... e che ...” la propria disgrazia è la loro forza “....
Alla fine Camille si rivolge alla propria madre, morta di un male incurabile, che l’ ha accusata del suo silenzio, una donna che ha amato tanto e nella quale si rivede ogni giorno. È qui, in questo finale toccante, che le ricorda come il proprio silenzio sia stato l’ esito di una fiducia venuta meno, sia stato causato dai genitori, di cui i figli si fidavano ciecamente, un esempio da imitare, da seguire, grandi, onnipotenti, le loro essenze e che . ...” sono i genitori a far tacere i figli “..
Anche Camille è stata vittima del suo patrigno, sua prigioniera, e si chiede ...” dove erano loro, che cosa hanno fatto da quando hanno saputo”.... Fratelli e sorelle ridotti al silenzio da genitori sconsiderati e nipoti che hanno dovuto subire senza capire la cancellazione di una madre.
È per tutte queste vittime che scrive, cercando di liberarsi di quell’ onta irrazionale che ha gravato su di lei dai quattordici anni e dal potere nefasto di una madre.
Questo testo autobiografico fornisce spunti di riflessione sul potere infinito e legittimato dei genitori sui figli, sul senso di colpa a cui si è irrimediabilmente esposti, sulla fragilità di creature obbedienti, che amano incondizionatamente, sulle responsabilità private, sulla reale capacità di amare. Le colpe dei genitori ricadranno sui figli e verranno rispedite al mittente in misura uguale e contraria, è stato detto, non sempre è così, se si ha la forza di resistere, di capire, di crescere, di allontanarsi da una prigione affettiva e da una distorsione e perversione relazionale che altera l’ evidenza, denunziando l’ intollerabile e l’ indicibile, a rischio di essere rigettati, sempre che si riesca ad avvelenare l ‘ idra.

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68 Opinione inserita da 68    14 Settembre, 2021
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Dolore e nuova consapevolezza

Un memoir di una vita esposta e condizionata dal proprio status e dal colore della pelle, corrosa dal dolore della perdita, dell’ amato fratello Joshua e di altri quattro ragazzi, tutti neri, tra il 2000 e il 2004, morti di morte violenta senza alcun legame apparente, giovani senza speranza rapiti nella propria disperata essenza, da droga, alcool, povertà, razzismo, diseguaglianza, solitudine, silenzio, disperazione, rassegnazione, casualità.
È la storia di una comunità, una lista crudele che ha ammutolito l’ autrice per molto tempo e un racconto difficile, ambientato in una piccola città del Mississippi, Deslile, in quegli Stati Uniti del Sud in cui da sempre vige una legge non scritta, e i neri vivono un senso di inferiorità e colpevolezza, una condizione di abbandono, isolamento, inferiorità economica, sociale, razziale, una piaga ormai infetta senza alcuna assunzione di responsabilità, pubblica e privata.
Jesmyn Ward è sopravvissuta, in qualche modo, affrancandosi da una terra amata e odiata che le ha tolto tutto, in primis la gioia e la speranza, ma nella quale puntualmente ritorna, attratta dal reiterato dolore della perdita e da quel telefono che negli anni ha continuato a squillare annunciando l’ indicibile, di sguardi malevoli che si posavano sulla sua “ diversità “ e dalla certezza di una colpa, un senso di inadeguatezza, la mancanza di un futuro, eppure in lei è nato un imprecisato desiderio di rivalsa.
Un ‘ autobiografia che srotola la sua giovinezza, una famiglia trascinatasi faticosamente, implosa e sgretolata dall’ inadeguatezza di un padre non padre che rivendica la propria narcisistica essenza e tenuta unita da una madre forte, coraggiosa, onnipresente, esempio da imitare e da trasmettere ai propri figli.
Jesmyn e’ una bambina con un’ etichetta incollata addosso sin dalla nascita, una giocosità frantumata dalla perdita dell’ innocenza, incarcerata all’ interno di mura invisibili e invalicabili, il respiro dell’ odio, l’ abbandono, il sospetto, quel sapore di niente che è la propria vita, precocemente rivolta all’ autodistruzione, come tanti altri.
Ma in lei l’ odio ha generato una nuova speranza, quella forza materializzatasi in un desiderio di rivalsa, di fuga, una costruzione interiore fatta di istruzione e letteratura che spezzasse un futuro già scritto, tra alcool e droga, un luogo della mente che la portasse altrove, dove le parole sono schiette e sincere e vi sia una distinzione tra bene e male, desiderosa di essere l’ eroina della propria vita.
Molti attorno a Jesmyn non ce l’ hanno fatta, giovani vecchi che si sono curati con alcool e droghe, senza speranza e possibilità, disperati, imbevuti di violenza, perseguitati dalla morte, di generazione in generazione sempre la stessa storia, certi di una solitudine estrema, senza nessuno che combatta al loro fianco, nell’ autrice vive il ricordo di tutte queste perdite ma non c’ è salvezza per un dolore siffatto, non è vero che il tempo cancella le ferite, semmai le anestetizza.
Il memoir di Jesmyn Ward, con un toccante capitolo finale in cui l’ autrice ci parla della recente perdita del marito causa pandemia e della nascita del movimento black lives mattter, corredato da una bellissima nota della traduttrice Gaja Cenciarelli che si addentra nella peculiarità del testo e nella propria toccante esperienza traduttiva, un viaggio a ostacoli per ricompone il complesso puzzle dell’ opera da cui per lei è stato difficile staccarsi con un ringraziamento all’ autrice per la difficile coniugazione e identificazione tra bellezza letteraria e umana, si rivela un componimento a più strati.
Esso, dalla rielaborazione del dolore della perdita, in primis del fratello Joshua, morto ammazzato da un “ bianco “ ubriaco che non sarebbe stato accusato della sua morte, è un atto di forza, politico, artistico, d’ amore, una ricostruzione storica, un cuore vivo e pulsante.
Ciò che per i neri d’ America è sempre stato, quella condizione di inferiorità che oggi la pandemia ha ulteriormente legittimato, l’ essere marchiati da una nascita senza speranza, ha subito un radicale cambiamento nel mentre si viveva l’ isolamento della pandemia.
In una situazione di solitudine imposta, piangendo le proprie perdite, l’ autrice ha assistito alla nascita di un movimento di protesta internazionale ( black lives Matter ), un atto di civiltà che ha cambiato le carte in tavola, spezzando definitivamente qualcosa dentro di lei, quell’ atavico senso di inadeguatezza che si era portata dentro per una vita. Oggi una neo consapevolezza, che i neri d’ America non sono più soli, un quotidiano atto di testimonianza dell’ ingiustizia, e della lotta, innumerevoli persone testimoni delle loro battaglie e che prendono posizione al loro fianco.

E allora... “ come sappiamo, l’ ultimo dei nostri cinque sensi ad abbandonarci è l’ udito. Quando una persona è in punto di morte perde la vista, l’ olfatto, il gusto. Il tatto. Dimentica persino chi è. Ma, fino alla fine, riesce a sentire. Io ti sento. Io ti sento. Tu dici: ti amo. Noi ti amiamo. Non c’è ne andremo. Ti sento dire: noi qui “....

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68 Opinione inserita da 68    08 Settembre, 2021
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Male di vivere

Un grido di dolore che chiede salvezza, una settimana da trascorrere nel reparto di psichiatria sottoposto a TSO, cinque sconosciuti affetti da patologie mentali, uniti dallo stesso sentimento e da una vita oltre i limiti della “ normalità “, implosa ed esplosa nell’ impossibilità di essere vissuta.
Daniele è giovane, ancora diciassettenne ha dichiarato guerra alla vita, trasformando la felicità in sofferenza, come quella altrui che sente sulla propria pelle.
Sette giorni per redimersi, espiare, comprendere, giorni al di fuori della “ vita “, lontano da affetti, amicizie, lavoro. La sua rabbia si scontra con la paura degli operatori e l’ indifferenza dei medici, cercando di catalogare un malessere non catalogabile, subdolo e radicato, un male di vivere tra le pieghe di una sensibilità unica.
Daniele conta i giorni che lo separano dalla libertà, si annoia, vorrebbe fuggire, tutto è eccessivo, pericoloso, folle, alieno. Una duplice dimensione lo attende, da una parte il reale, quella anormalità normalizzata fatta di visite mediche, farmaci, compagni di sventura, dall’altra un percorso interiore indefinito, di solitudine e condivisione, quando la quotidianità e la conoscenza sveleranno un’ umanità radicata e complessa, impaurita e fragile, e la vita si aprirà alla diversità e al senso di appartenenza.
Daniele si interroga su quale malattia gli fa chiedere salvezza e quale educazione gli fa implorare pietà. Vorrebbe una corazza capace di tenerlo distante dalle cose senza disperarsi per la disperazione altrui, immerso in un dolore che non può conoscere ne’ addomesticare.
Sarebbe bello che la sua malattia fosse solo uno scompenso chimico, risolto con l’assunzione di un farmaco, ma non è così, c’ è ben altro, ha vissuto così tanto ma si sente ancora bambino.
I giorni passano lentamente e una neo consapevolezza vale più di tutto il resto insieme a interrogativi leciti. Che cos’è la malattia, che cosa si intende per disturbo mentale e come si pone la scienza medica di fronte al caos della mente umana? Forse la scienza vorrebbe contenere, catalogare, curare con le medicine interrogativi esistenziali che vanno oltre la malattia mentale e che rappresentano l’ unicità dell’ individuo.
E allora un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato ma semplicemente vivo. E i cinque compagni con cui ha condiviso la stanza e una settimana della sua vita, a cui si è confidato, esposto, con cui ha parlato di tutto, di se’, di loro, della malattia, del mondo, della bellezza, sono ...” la cosa più somigliante alla mia vera natura che mi sia mai capitato d’ incontrare “... e ...” fratelli offerti dalla vita “...
Un romanzo vivo, pulsante, una storia di verità e disperazione, ma anche di amicizia e speranza. Quel sottile filo di normalità che può spezzarsi improvvisamente generando un cortocircuito mentale, a volte irreparabile, sovente legato a precisi traumi pregressi o con un’ origine indefinita, vede nell’ ascolto e nella comprensione un nuovo inizio per scacciare la solitudine estrema origine del non senso.
Il ritorno alla vita passa attraverso la vita, la convivenza con i fantasmi del proprio passato è difficile ma possibile laddove esista il recupero di un’ umanità e di un umanesimo che siano reale espressione di se’.

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68 Opinione inserita da 68    07 Settembre, 2021
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Confusione sentimentale

Tre amici inseparabili separati irrimediabilmente, dal tempo che passa, da certezze evaporate, da un presente complicato, da un futuro che non ha mantenuto l’ idea primigenia.
Nina, Adrien, Etienne si sono conosciuti in quinta elementare, un’ unione corroborata dalle proprie debolezze, caratteri contrapposti e complementari, nessun compagno al di fuori di se’, incollati senza assomigliarsi ne’ nel fisico ne’ nei comportamenti, insieme tutto il tempo libero, ridendo per le stesse cose.
Nina è cresciuta con un vecchio, Etienne e’ figlio di un vecchio, Adrien di un padre assente, tutti con un’ idea nella testa, lasciare il paesello natio per la città, dediti ad arte, musica e letteratura,
Che cosa li lega per sempre, perché si vogliono così bene e Nina sposerà uno dei due quando saranno grandi? Lei è consapevole di costituire il legame tra i due amici pur non amando ne’ l’ uno ne’ l’ altro, Etienne la considera una sorella, Adrien un esempio, Etienne e’ il più irriverente, Adrien il più suscettibile, Nina la più sensibile. Tre bambini vincolati da un progetto futuro che niente e nessuno potrà ostacolare, ma in ogni vita ci sono dei prima e dei dopo, tanto tempo è passato, volersi così bene da sempre non significa continuare a volersene.
La vita d’ improvviso cambia, la giovinezza può infrangersi per un lutto irrecuperabile con la necessità di crescere troppo in fretta, di avere qualcuno al proprio fianco, di amare ed essere amati. E c’è un segreto volutamente celato che accompagna un cammino letterario, una storia da raccontare per cercare di guarire da una colpa inesistente, la paura di accettarsi, di non essere accettati, di continuare a soffrire, semplicemente di essere nati nel corpo sbagliato.
E, anni dopo, c’è chi ci si ritroverà orfano, divorziato, solo, lavorando in un rifugio per animali e in un orizzonte che si è fatto scuro, figlio di un tradimento evidente.
Nel contempo una sparizione dimenticata riporta un ritrovamento insperato, il cadavere di una giovane donna rinchiuso in una macchina sprofondata nel fondale di un lago, e si innescano interrogativi su quello che è stato, un passato relazionale diverso in un mondo alla ricerca di risposte complesse.
Intanto il presente mostra dell’ altro, il dolore e l’accettazione di una malattia inguaribile, legami famigliari ormai infranti, il retaggio di quello che non si era svelato, una neo verità quando ormai si credeva il contrario.
Un romanzo corposo, miscellanea di tracce inframmezzate da sbalzi temporali in un susseguirsi di voci contrapposte, tratti di thriller, evidenze psicologiche, una valenza sentimentale a sottolineare relazioni e correlazioni. Una scrittura lineare, piacevole, trasportata da una misteriosa presenza, una trama pretenziosa, una saga sentimentale di una vita unica, inafferrabile, eternamente presente, laddove i destini dei protagonisti paiono incrociarsi inseguendo strade diverse e gli stessi assolvere la propria colpevolezza, adulti e bambini, vicini e lontani, presenti e assenti, in un’ ondivaga irrequietezza che finisce con il mantenersi all’ interno di un binario di ovvietà che stentano a decollare.

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68 Opinione inserita da 68    12 Agosto, 2021
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Verità o menzogna?

Mitzi e Foster, una donna che trasforma in realtà i sogni malati di certi scrittori, un signor nessuno a forma di padre da anni alla ricerca della figlia scomparsa.
Vivono una vita malata e contraffatta, talmente inverosimile da fondere e confondere realtà e immaginario nell’ unico modo possibile, una recita spietatamente allucinogena, schizofrenica, un film focalizzato sulla ricerca narcisistica e deviata del pubblico consenso, sulla mercificazione dei sentimenti, cercando di strappare una risata, di sedurre un pubblico di sconosciuti, di creare qualcosa, replicandolo e vendendolo, inseguendo le pulsioni umane più intime.
Ecco l’ ultima verità o verosimiglianza, un’ umanità trasformata in qualcosa che possa essere comprato o venduto, dal fast food alla pornografia, secondo il nuovo potere.
In questo microcosmo Mitzi insegue l’ urlo perfetto da consegnare alla cinematografia, una professionista del bullismo che fa piangere gli altri, a cui piace essere odiata, un grido infinito che si fa potere illimitato, macchina del profitto perpetuo.
È guardata dalla propria immagine riflessa, “ ama “ un uomo così determinato a ignorare l’ orribile verità su di le, impegnata a raccogliere e a collezionare le grida che tutti quegli uomini e quelle donne, giovani e vecchi, emetteranno nei propri ultimi istanti di vita.
Morti in catalogo che producono profitti, ogni registrazione una droga, ogni grido una scarica di endorfine e adrenalina.
Sono anni che Mitzi ingurgita la medesima pillola che annienta la memoria a breve termine mentre immagini e ricordi rimandano a un padre che le aveva donato un castello servendosi soltanto dei suoni. Seduta alla console della sua sala di registrazione, circondata da montagne di denaro, continua ad ascoltare suoni così reali da sembrare fantasmi invisibili o da farla sentire un fantasma in ascolto di un mondo che va avanti senza di lei.
Foster è alla disperata ricerca della figlia Lucinda, non vuole liberarsi da quel dolore, da quella dipendenza, fingendo che esista ancora da qualche parte, è inserito in un gruppo di supporto per l’ elaborazione del lutto che è una speciale cura per disintossicarsi.
Il suo viaggio gli restituisce una forma di vita senza rischiare nulla perché ha già patito il peggio, sognando di torturare gli uomini che torturano i bambini. Oggi anche lui è a pezzi, ha ceduto a una sconosciuta la vita di sua figlia, forse solo a un impostore che regola e stabilisce quali sono i giusti ricordi.
Il percorso intrecciato di Mitzi e Foster resterà sospeso in un’ atroce verità che puzza di menzogna, realtà e finzione si equivalgono, chi si è amato ridotto a una registrazione, chi è ingozzato di bugie non vuole più nutrirsi di verità, nessuno più crede alla realtà della morte, il mondo trasformato in un film, se stessi i protagonisti di questo film.
Esiste ancora qualcuno o qualcosa di reale, qualcuno da riconoscere, qualcosa che non sia un semplice momento di intimità venduto e mercificato, in mezzo a gente sconosciuta che ha strumentalizzato la rabbia e il dolore, documentando la propria fine?
Atrocemente anestetizzati ed esposti non resta che posare lo sguardo sulla propria stupenda moglie, chiunque ella sia, e sul grido di un bambino, ...” progenie di sconosciuti” ... venuto ....” in questo mondo rovente e inquinato e buio “... realizzando che ... “ Il futuro gli appariva semplice. Semplice e luminoso. Luminoso e senza fondo.. “.
Un viaggio allucinato e allucinogeno, esposto a un dolore che respira di “ normalità “, che cozza con ricordi confusi e con l’ enorme buio del proprio destino. È qui che tutto implode, in un cortocircuito che ha detronizzato vite ormai avvezze ad un non sense e a una delirante quotidianità che abbraccia anche i sentimenti più veri, sbriciolandoli. Tutto pare assuefarsi a un malessere totalizzante e l’ irreale la sola realtà credibile e possibile.
Un dubbio rimane, che si tratti solo di fiction, ma la verità nasconde il seme di altre bugie e di una storia ancora da scrivere.

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68 Opinione inserita da 68    26 Luglio, 2021
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Il,cuore dell’ eistenza

Otto racconti a scandire un tempo reale e immaginario nel percorso inafferrabile di una vita intera, passioni e inclinazioni in prima persona a sommare un microcosmo di piccole cose che hanno forgiato l’ uomo e lo scrittore di oggi.
Frammenti con origini lontane, quella gioventù ignara di stati d’ animo e sentimenti personali, che pensa di avere capito tutto, gioie e dolori, che non sa dare una giusta collocazione alla vasta gamma di emozioni intermedie.
Riflessioni sulla caducità della vita, sul decadimento improvviso che investe le persone mentre molte cose sono già scomparse senza lasciare traccia e ne restano solo labili ricordi.
Lo scrittore e l’ uomo si accompagnano ad alcune parole che rimangono, piccoli dettagli che fanno la differenza, a volte gli succedono cose senza senso e senza spiegazione che lo turbano profondamente.
Quale il senso dell’ esistere, un cervello che riflette su problemi difficili, un cuore che continua a battere in mezzo a vite che sono ... “ beni di consumo contraffati “.... E allora un giorno può capitare di ritrovarsi, per puro caso, davanti a un caffè, con qualcuno conosciuto in giovane età, parlando di qualcosa che ha importanza per se’, nella propria vita.
Una vita che acquisisce saggezza nel cuore della sconfitta e della vittoria, imparando a perdere, come in una partita di baseball in cui si vive intensamente il momento, al di là del risultato finale, mentre il valore e il peso del tempo non cambiano, un tempo che va trattato con molta cura e con il quale rimanere in buoni rapporti.
Gli episodi determinanti nella vita dell’ autore e il loro ricordo a volte ritornano a scuoterne il cuore, con essi un amore disperato e una disperata solitudine, due facce della stessa medaglia, custodendo in se’ il nome e l’ oggetto del proprio amore, mentre egli vive con l’ impressione che reale e irreale si alternano casualmente e a volte stenta a riconoscersi davanti allo specchio.
Racconti pacatamente intensi, diversi nella comunanza della scrittura e del tipico incedere Murakamiani, tra passioni irrinunciabili ( la musica classica, il jazz, il baseball, la letteratura, qui non si accenna al Murakami podista ) e riflessioni all’ interno e al di fuori del tempo, in una dimensione parallela, tra reale e immaginario, inafferrabile e irrinunciabile.
Ci immergiamo in un quid di irresolutezza, pensieri e parole che conservano l’ imberbe purezza e lo stupore dell’ infanzia nel cuore della pacata maturità dell’ esperienza, mentre i ricordi si confondono e i semplici accadimenti lasciano il passo a sensazioni e a sentimenti più forti, quelli dell’uomo maturo e dello scrittore di fama.

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68 Opinione inserita da 68    19 Luglio, 2021
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Nel cuore dell’esistenza

Suisen, il fiore del narciso, possiede e simboleggia i tratti di Goro, il protagonista, già incontrato nei due capitoli precedenti.
Cinquant’anni anni, sposato da più di venti, due figli, presidente di una grande azienda, una bella vita, ricco, gentile e generoso, così pieno di se’, imbevuto di una sicurezza arroccata su potere e denaro, due amanti, dedito a calpestare i sentimenti altrui, prevalentemente quelli femminili, esponendoli e sottomettendoli alla propria fragilità e al futile desiderio di niente.
D’ improvviso contro di lui un destino avverso, frutto deila propria arroganza e noncuranza, un inevitabile ribaltamento di vita, la rovina, un vuoto a scoperchiare l’ abisso e il dolore di un’ infanzia emotivamente tronca, al confine tra reale e immaginario, una solitudine sentimentale oggi imposta da famigliari trascurati e amanti tradite ma costruita nel tempo sul proprio egocentrismo e così difficile da sopportare.
Se Goro, nella prima parte, si elogia continuamente definendosi uomo di potere dedito alla vita mondana, ammirato per successo e generosità, circondato da personaggi famosi, con due amanti agli opposti e senza importanza considerando le relazioni extraconiugali solo avventure e il divorzio una vergogna, nella seconda parte sarà costretto a leggersi dentro, a scrutare l’ imperscrutabile, quell’ enorme vuoto affettivo e sentimentale di chi non ha potuto sviluppare l’ amore di se’ e seduce continuamente per colmare il proprio vuoto del cuore.
Sono questi i momenti del ricordo e della rielaborazione di un passato archiviato frettolosamente , ed allora ritorna la profondità di una relazione abbandonata prima del matrimonio, e le parole di una giovane donna, Sayoko, povera e onesta, con un sogno nel cuore, da sempre innamorata di un’ idea di amore incondizionato, della psicologia, che coltiva passioni forti e sa ascoltare i sentimenti altrui.
Che sia lo specchio dei propri desideri, annegati nel narcisismo, la voce della coscienza, quando la rovina ha varcato la porta di casa, un percorso di espiazione e redenzione, riaffacciandosi a una infanzia ferita, quando tutto ebbe inizio, per arrivare a un presente dove l’ amore è svanito e solo di passaggio.
Ora, finalmente, le lacrime offuscano la vista, gli occhi si posano sulla bellezza di un cielo rossastro e si cerca di recuperare un regalo con un senso a lungo negato.
Aki Shimazaki continua il proprio viaggio nellla cultura nipponica a delineare un’ umanità variegata, fragile, tormentata, e ogni volta ne emerge un carattere scandito da un senso del profondo nelle forme e nei colori di un fiore. La sua scrittura asciutta, minimale, tronca, possiede il ritmo di una poesia che sottende significati riposti e una dolcezza interiore che oltrepassa il quotidiano per accedere a un’ essenzialità di contenuti. Qui, credo, risiede la sua grandezza, una semplicità che tale non è e che induce a una riflessione protratta su vita e destino..

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68 Opinione inserita da 68    23 Giugno, 2021
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Intelligenza poco artificiale

Intelligenza artificiale al servizio dell’ uomo, AA progettati per compiti di compagnia, educazione e fedeltà, rimpiazzati da altri robot sempre più performanti, al servizio di un’ umanità potenziata e destituita, sovente confusa, dolente, che ricerca una perfezione che poco ha da spartire con i sentimenti.
Klara e Josie, un robot e una bambina malata, un legame esclusivo nato per caso affacciandosi a una vetrina, chi in attesa di essere scelto e di essere nutrito dal sole, chi di comperare un oggetto utile da portarsi a casa con cui trascorrere una parte della propria esistenza.
Ma Klara non è un AA qualunque, possiede caratteristiche uniche, un grande spirito di osservazione, empatia innata e sete di conoscenza, la capacità di comprendere e mescolare tutto ciò che vede intorno a se’.
Costretta nell’ ombra perché a un AA non è consentito pensare, essere curioso, provare sentimenti, fedele a chi l’ ha scelto, Klara nota cose come nessun altro e le custodisce, osserva i dettagli, niente le sfugge, le relazioni, i cambiamenti, tutti quegli aspetti dell’ umano sentire che non le appartengono e che la stessa umanità sembra avere riposto e dimenticato.
E’ così che osserva Josie, quella bambina pallida, sottile, fragile, dall’ andatura incerta, da cui è stata scelta e che in cuor suo ha già scelto, anche se un cuore non ha.
È così che, giorno dopo giorno, impara nuove cose su di lei, ne preserva la fragilità, a suo modo la ama, vorrebbe donarle una vita e un futuro diversi, progetta un piano dettagliato, spingendosi oltre il dovuto e il necessario, è pronta a immolarsi, privandosi delle proprie facoltà, anche a sostituirsi a lei in tutto e per tutto, copia e prosecuzione di Josie, assecondando il desiderio folle e l’ egoismo di chi l’ ha scelta.
Il suo coinvolgimento è tale da farle credere di nutrire dei sentimenti, di avere accesso a nuovi sentimenti, ma è impossibile sostituirsi a chi è unico e inimitabile, si può donare se’ stessi e il proprio amore e una risposta va ricercata nel cuore di coloro da cui si è amati.
Un romanzo profondo, che affronta con la solita efficacia narrativa e una scrittura cristallina, precisa e centellinata, temi già trattati e discussi, declinando su aspetti poco artificiali e più propriamente umani, la purezza di un amore, la fedeltà, l’ ascolto, l’ empatia, i sentimenti, per contro la dissolutezza, il tradimento, l’ egoismo, il dolore, la perdita.
Il racconto da’ voce a chi voce non ha o non dovrebbe avere, per ruolo e conformazione, un androide, un amico artificiale, un robot pensato e costruito per soddisfare i capricci umani, che impara dagli errori altrui e si rinnova continuamente, arrivando a scegliere il meglio e a comprendere l’ incompreso, l’ impossibilità di dare vita a ciò che vive della grandezza di un sentimento unico e incondizionato, gli occhi impescrutabili e inimitabili dell’ amore.

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68 Opinione inserita da 68    19 Giugno, 2021
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Sofferenza indicibile

Un lungo dialogo con un figlio morto suicida a soli sedici anni, con se’ stessa e con il proprio dolore, un mare di parole che possano restituire un senso, semplice contatto laddove un senso non c’è.
È così che Yuyun li, grande autrice sino-americana, già conosciuta per “ Più gentile della solitudine “, da’ voce a un monologo che non è un romanzo ne’ un memoir, che si spinge oltre la drammaticità del reale e del dolore inestimabile della perdita, un viaggio parallelo ricreando una vita oltre la morte, plasmando in prima persona un rapporto tuttora vivido, interrogandosi sulla unicità e sul desiderio di vita di un figlio.
È un testo complesso, intenso, drammatico, sorprendente, sospeso nel profondo significato delle parole, delle innumerevoli frasi non dette, cercando di acchiappare ciò che improvvisamente si è fatto invisibile, immersi l’ uno nell’’ altra.
Domande inevitabili, storie da inventare per parlare con il proprio figlio i cui giorni rifiutati sarebbero tornati, i cui brutti sogni non sarebbero più stati raccontati, insieme ai passi che aveva fatto e ai pensieri che aveva avuto nel suo ultimo giorno, gli aggettivi che le avrebbe insegnato, i giorni e gli anni a venire, con lui e senza di lui.
L’ autrice è un genitore che ha vissuto una tragedia inesplicabile e che ne rivive l’ unicità, si interroga su chi è realmente, sul proprio ruolo di madre e di scrittrice, in fondo non così brava a guardare e a vedere, a trattenere Nikolai in questo mondo e a sostenere con lui una vera conversazione, amica e nemica, adulto fallibile, il vero nemico del figlio racchiuso in se’ stesso e nel proprio desiderio di perfezione imperfetta.
Ogni domanda si accompagna per sempre alla tristezza e al dubbio se il suicida non voglia vivere o non sa come vivere, tra paura e speranza.
Lacrime che impellicciano l’ indicibile e che continuano a scorrere, una ferita che resterà sempre aperta e per sempre, fantasie che intristiscono, un’ immaginazione che potrebbe riportare una vita nella propria memoria, ripensando a tutto quello che insieme si sarebbe potuto fare, è terribile assistere impotenti a una sofferenza che non permette di essere aiutata.
Le lunghe e inevitabili tappe del lutto, dal dolore all’ accettazione, si riempiono di significati sottesi, acquisendo un nuovo senso dentro di se’, la materia si dissolve, le parole si fanno materia, parole dure, sottili, ingombranti, indispensabili, una tragedia che riporta a una neo purificazione.
È il senso del percepito a plasmare il racconto e a dargli forma, trasferendo magistralmente al lettore sensazioni profonde, dialoghi tronchi, silenzi, attese, la voglia di essere ascoltati, la propria presenza, a volte con un freddo distacco, laddove i particolari raccontano gli abissi di una sofferenza e di un dolore indescrivibili perché la morte di un figlio ...” col passare del tempo non invecchia “...

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68 Opinione inserita da 68    10 Giugno, 2021
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Tempesta anaffettiva

Quando il dolore di una perdita di cui ci si crede responsabili è così grande da anestetizzare il se’ in un continuum frantumato e disperso, e anni sempre uguali restituiscono un niente necessario alla sopravvivenza, quando vita e morte si equivalgono, si intrecciano e si sovrappongono, esistono due possibilità, annientarsi o cercare una via di riscatto, per se’ e per gli altri, qualcosa che restituisca l’amore perduto.
Così è per Bianca, la protagonista, corrosa da un’ espiazione impossibile, indifferente al dolore, anestetizzata da una vita al contrario iniziata dopo la morte dell’ amata sorella Stella, suo punto di riferimento, per anni impotente al disfacimento di se’ e della propria famiglia.
Oggi è una donna diversa ma implosa, trincerata in comportamenti ossessivo-compulsivi, indifferente alla propria bellezza, sin da bambina immersa in un iter fatto di nuotate che la portavano allo sfinimento, centinaia di oggetti inutili da acquistare e ogni sera una lunga lista di rifiuti da annusare e catalogare, nutrendosi di asfittici reality televisivi e dalla voglia di niente, nel presente sbobina interviste in una società di ricerche di mercato.
Il piano intrapreso, riportare Stella alla vita, passa attraverso l’ amore per l’ inarrivabile Carlo, affascinante cardiochirurgo, le ha consegnato una vita perfetta, agiata, invidiata, anche se, chi ha il vuoto dentro, non può amarsi ed amare, perdonarsi, rinascere, mentre le notti restituiscono incubi e non c’è risposta a cotanta sofferenza.
Bianca non è più sola ma tale si sente, rivive continuamente quel giorno, la gara di nuoto, l’ incidente, un regalo negato, convinta di non essere stata amata abbastanza, desiderando essere come Stella, ammirata e ricercata da tutti.
Un desiderio di invisibilità ricopre i suoi giorni, impegnata a restituire ai famigliari ciò che gli ha tolto per sempre, serenità, amore, certezze, una vita sopportabile, da allora è cambiato, sua madre ha cercato più volte di farla finita e non sarebbe più stata la stessa.
La superficie apparente convive con un io contorto, lacerato, esangue, esposto al giudizio degli altri che vedono, si nutrono e consumano la sua bellezza.
Bianca sta male dentro, è morta da tempo, mentre un lungo percorso psicoanalitico la pone di fronte alla dura realtà della colpa e all’ impossibilità del perdono. Una nuova vita può restituire la vita, il presente si scontra con le difficoltà altrui, con il passato e le sue malefatte, con menzogne che hanno costruito carriere, con una fragilità identica alla propria, avvolta in un’ anaffettività che è l’ unica risorsa per sopravvivere.
Tutto può cambiare, improvvisamente, nel dolore di un’altra perdita che pare definitiva, e la propria storia rivelare un’ altra storia, riportando a sentimenti negati e ovattati, un momento atteso da vent’anni, un oggetto tanto desiderato finalmente tra le proprie braccia, una data a chiarire l’ antefatto.
Un romanzo ben costruito che sa dosare molteplici aspetti, affettivi, psicologici, famigliari, con elementi di suspance, un quadro interiore preciso che si muove con scaltrezza nel cuore della contemporaneità.
Le radici del dolore restituiscono molteplici forme e sono ben radicate all’ interno di se’, in una vita di superficie e nella recita di una parte che non può che condurre a una “ sana “ follia o a un’ “ insana “ normalità, secondo la prospettiva, senza alcuna via di fuga, come sempre, se non nella negazione delle stesse o nella risoluzione dell’enigma, in giuoco la propria vita vera e la possibilità di essere vissuta.

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68 Opinione inserita da 68    04 Giugno, 2021
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Vivere un senso insensato

Il viaggio di Emmanuel Carrere al ritmo di una vita mossa da presente e ricordi, euforia, depressione, perdite, amori, ritorni, tutto quello che da sempre lo ha definito alla ricerca di un senso per accedere all’ altro, un equilibrio precario, idea e solco lungo il cammino della propria esistenza.
Il racconto, secondo quanto ci dice l’autore, era stato pensato come testo sullo “ yoga “, una rappresentazione della meditazione come stile di vita, sviscerandone aspetti e contenuti.
Nel cammino della sua creazione lo scritto diviene creatura pulsante, plasmandosi e trasformandosi in un percorso interiore tra presente e ricordi, sbalzi temporali e flussi emozionali per tracciare un bilancio, prendendo i propri pensieri per quello che sono.
Una domanda incombe, quale relazione tra meditazione e scrittura, dieci giorni di ritiro monacale (uno stage di Vipassana tra zafu e thai chi) per osservarsi dentro, l’ inizio di un cammino diverso.
C’è una contraddizione evidente tra il narcisismo autoreferenziale dello scrittore e la pratica meditativa, rivolta all’altro, non giudicante, entrambe in fondo si prefiggono la stessa cosa, comprendere meglio l’attività mentale.
Carrere ha vissuto lunghi periodi di creatività alternati a inattività, benessere a depressione, da molti anni ha imboccato la via della meditazione e dello yoga, convertito a una ricerca interiore che stabilizzasse la propria vita. Nella immobilità apparente della meditazione tutto cambia, i pensieri, la postura, la respirazione, emozioni e sensazioni si affacciano alla coscienza fino a che è la vita a cambiare, distaccandosi un poco dal se’.
Amore, yoga, scrittura, meditazione sono i cardini che lo accompagneranno fino alla morte in una vita che si rivela, al contrario di quello che si potrebbe pensare, così esposta alla fragilità.
Carrere crede ai sacri principi dell’ alternanza tra opposti ( yang e yin ) ma rimane uno scrittore pieno di dubbi, ossessionato dall’ idea della propria grandezza, che ricerca nella vita e nella meditazione il modo di essere una persona migliore e quindi uno scrittore migliore.
In lui resta un ineluttabile senso di autodistruzione, presente e definente, un senso catastrofico che credeva guarito e che è scaturito dal se’, quell’ io frammentato e diviso che stenta a raggiungere l’ unità a cui tende lo yoga .
E allora dubbi incombono mentre le stagioni della vita annunciano perdite incalcolabili, si cerca una ricostruzione possibile in un lungo viaggio a stretto contatto con giovani vite strappate alla normalità, si incontrano altre storie che aiutano a vivere.
È dopo un lungo cammino che la vita risorge nella propria bellezza, oltre la meditazione e lo yoga, dentro se’ stessa, nel cuore di una scrittura ritrovata, nello sguardo d’ amore rivolto a una donna.
“ Yoga “ non è un romanzo, unisce e rimanda prolungati tratti autobiografici a un approccio teorico e olistico su yoga e meditazione, vita e filosofia, pervaso da un’ ossimorica presenza, un tono scherzoso e sorprendente tra pensieri cupi e solitudine autoimposta.
Un testo che fa riflettere sulla propria essenza, sulla strada intrapresa, sul reale senso delle cose, sul male di vivere, sulla connessione tra mondi apparentemente diversi, sulla scrittura, uniti dalla vivida intelligenza e da un senso che vorrebbe tralasciare un eccesso di teoria asfittica e poco includente così come una razionalità all’eccesso, travolti dalla vita in un semplice gesto, abbandonati al piacere e al giusto equilibrio di uno sguardo perso nell’oggi negli occhi innamorati di chi è “... pienamente felice di essere vivo...”

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68 Opinione inserita da 68    12 Mag, 2021
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Ricerca infruttuosa di un mistero già noto

Jocassee, Monti Appalachi, America del Sud, anni ‘50, il luogo di una memoria destinata a scomparire nella terra e nell’acqua, eco di un mondo perduto. Presto i discendenti dei coloni giunti qui dalla Scozia e dal Galles, dall’ Irlanda e dall’ Inghilterra, spariranno, come gli indiani Cherokee che hanno soppiantato. Tra quindici o venti anni non rimarrà altro che acqua e tutto verrà sommerso da una diga costruita da una compagnia elettrica che ha acquistato quella terra.
Cinque protagonisti di altrettanti capitoli rievocano la memoria dell’ accaduto in epoche diversi, un’ unica storia, pezzi di verità tra le voci che li accompagnano.
La sparizione di un uomo, Hollande Winchester, una testa calda reduce dal fronte, partito, ferito, morto ammazzato, non si sa, i sospetti di una madre, il suono di uno sparo in lontananza.
Uno sceriffo, Will Alexander, insegue possibili tracce con una certezza indimostrabile, che quell’ uomo sia morto e si trovi da qualche parte nel raggio di due chilometri. Le indagini rivivranno i giorni di un’ infanzia perduta quando tutto pareva conservarsi per sempre, una giovane età e un destino di felicità, compreso il proprio matrimonio, fino a quel dannato anno ( il 1941) e a un cambiamento di rotta, quando tutto improvvisamente svanì, capovolto da un destino ricoperto di morte.
Allora Will aveva pensato di andarsene, lasciando la moglie Janice, per poi tornare da lei, convinto che la perdita del loro bambino li avesse uniti in un modo più duraturo dell’ amore e forse avrebbe potuto tornare a essere figlio e fratello e imparare a essere zio.
Oggi la sua vita è li’, a Seneca, accolta l’ instabilità del proprio destino e quella diga che si farà , una valle sepolta da un lago.
C’è una piccolo nucleo famigliare ( Amy e Billy ) costruito e forgiato dal duro lavoro nei campi, da stagioni di povertà, rafforzato da una solitudine estrema che ha cementato un rapporto di coppia che pareva dissolto estraniandola da una colpa che la inseguirà e la tormenterà per anni fino alla resa dei conti e a un duro prezzo da pagare.
C’è un ragazzo esposto allo sguardo di una vecchia, su di lui sempre posato, che ignora che cosa lo aspetta, non conosce il passato, figlio di orrore e menzogna.
E c’è chi vede la tragedia del presente, un mondo dimenticato e sommerso senza futuro, se non altrove, mentre la natura feroce e indifferente è stata violata riesumando i resti del passato e riportando un senso di giustizia finora negato.
Nuove relazioni sgorgheranno sulle ceneri di una verità che fa male, in attesa di un futuro da decidere.
Un romanzo con una asciutta crudeltà esposta, la ricostruzione e rappresentazione di un mondo perduto, più generazioni a confronto, famiglie perse nell’ indifferenza, rafforzate da una colpa condivisa, alla ricerca di un soffio di normalità improbabile all’ ombra di una verità sepolta per sempre sotto le acque di un lago.
Ron Rash espone un mistero ben presto rivelato al lettore ma non ai personaggi stessi, una storia nella storia, un mondo che da’ voce al racconto, che pone la trama al servizio di quella che parrebbe una ricostruzione storica, ambientale e relazionale che si protrae per anni in una comunità destinata alla dissolvenza.
C’è da chiedersi se ciò sia sufficiente a creare un buon romanzo ( che non è un giallo ),ho avuto l’impressione di leggere un qualcosa che dalle ceneri della propria peculiarità stupefacente ( la sparizione di un uomo e la sua ricerca ) finisce con il raccontare una storia uniformemente di superficie, più voci a rappresentare un’ unica voce, con l’idea di fondo, la rappresentazione di un universo relazionale in una terra storica, non sufficientemente elaborata o semplicemente poco profonda e ammaliante.
Ed allora rimangono dubbi sulla bontà del narratore, che non conoscevo, la cui prosa è stata affiancata alla grande tradizione letteraria del Sud degli Stati Uniti, forse la lettura di un romanzo non è sufficiente per dare un giudizio definitivo.

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68 Opinione inserita da 68    09 Mag, 2021
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Fragilità e amore materno

Un romanzo sull’ essere madri, e figlie, sull’ amore all’ interno e al di fuori della famiglia, su destino e libero arbitrio, sulla forza del desiderio e sulla costruzione di relazioni insperate.
Guadalupe Nettel, talentosa scrittrice messicana, costruisce una trama al femminile intrisa di sentimento, relazioni immerse nel reale che evolvono in riflessioni sui rapporti interpersonali, sull’essere, sulla costruzione di un senso, sul desiderio di amare ed essere amati.
Tre donne, tre destini accomunati dalla vicinanza, fisica e affettiva, dal rifiuto preconcetto della genitorialita’, dal desiderio di essere madri, da un rapporto materno degenerato.
Laura, Alina, Doris, storie diverse che si toccano, cambiano e si scambiano, perse nell’ insondabilta’ di una vita crudele e beffarda, in parte dirottate dalla propria paura e noncuranza, dagli errori pregressi e da una sofferenza che puntualmente ritorna.
Laura, la voce narrante, è una donna colta e indipendente che torna a Città del Messico dopo avere girovagato per il mondo, da sempre ostile al concetto di genitorialita’, tanto da opporvisi con un intervento chirurgico, per contro l’ amica Alina considera la maternità come un destino auspicabile per le donne.
Doris, vicina di casa di Laura, è una donna depressa, continuamente calpestata dalla violenta fragilità del figlio Nicolas e dall’ ombra di un marito assente recentemente scomparso.
Alina diverrà madre di una bambina condannata a non sopravvivere vivendo intensamente i giorni mancanti al terribile lutto annunciato grazie al proprio senso materno, rifiutando le certezze della scienza e preferendo gustare il sapore di ogni singolo giorno, le piccole conquiste e le speranze disattese, costruendo nel tempo un senso famigliare allargato.
Laura vive il duplice ruolo di figlia in conflitto con una madre egocentrica poco comprensiva e un progressivo e inaspettato senso materno che origina da un obbligo personale di vicinanza e sfocia in un amore esteso a due anime perse.
Doris declinerà la propria solitudine affettiva in un lungo percorso di riabilitazione alla vita e a sentimenti inaspettati.
Tre donne, un percorso a ostacoli, una gravidanza che cambia le carte in tavola, anche il legame condiviso con le persone, sforzandosi di ascoltare chi si divide tra la furia e la vulnerabilità, un’ esperienza incomunicabile, un amore vissuto e dissolto con l’obbligo di vivere nel presente.
Madri e figli, rapporti complicati, scintille dolorose, errori che diventano problemi, difetti vissuti come possibili fallimenti, imparando a nascondere negli anni predilezioni e fobie.
Madri in difficoltà, disperate, sostituite, un amore inatteso frutto del cambiamento, o semplicemente della vita perché tutto può improvvisamente mutare, figlio del destino ma anche del libero arbitrio, ovvero il modo in cui affrontiamo le cose che ci tocca vivere.
Un romanzo intenso, reale, vivo e pulsante, temi delicati e sofferti affrontati nella giusta misura senza scadere nel patetico o nel banalmente sentimentale. La forza del cambiamento scongiura il semplice adattamento, nasce da fragilità, depressione e sofferenza, dalla completa esposizione di se’, da una inclinazione alla inclusione e alla cura per nulla scontata ma necessaria al soffio della vita medesima.

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68 Opinione inserita da 68    30 Aprile, 2021
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Tormento ed estasi

La maternità vista e vissuta grazie agli occhi critici di Rachel Cusk, una scrittrice addentratasi nel complesso e indigesto universo della genitorialita’ per ritornare cambiata e diversa.
Non si tratta di un saggio ne’ di un manuale d’ uso, non si danno consigli alle future mamme, è un racconto scritto nell’ immediatezza della propria esperienza, generato da un iniziale senso di vuoto ( il proprio se’ allontanato e deposto ), da due unità inconciliabili ( mamma e figlia ) che finiscono con il fondersi, è un incontro-scontro che pareva orribile, detestabile, diverso, una guerra in atto che assapora la crescita di una relazione e l’ insostituibilità di una presenza .
È una lettera indirizzata alle donne, nella speranza che trovino una qualche compagnia, include riflessioni sui romanzi letti che danno voce al tema trattato, è una rivisitazione di se’ e del proprio mondo, nella difficile accezione madre-figlia.
Emily, scrittrice e donna di cultura, pervasa da un egocentrismo che vede nella maternità una sorta di steccato escludente, progetta una fuga da una prigione di concretezza, tra notti insonni e giorni sottratti ai desideri, trascinata in un mondo manualistico di semplici e ripetuti gesti, un’ insopportabile e insormontabile contrapposizione tra la propria creatività e l’ altrui bisogno di vicinanza.
Dopo la gravidanza sarà la sua personale esperienza culturale e letteraria a cambiare profondamente, rendendola più umana nella propria pulsione produttiva e creativa.
L’ inquietante miscela di fatti e sentimenti, implicita nella maternità, un insopportabile affollamento della propria intimità, darà vita a una coppia, l’ inizio accostava la gravidanza alla menzogna, un luogo popolato da moralisti e maniaci del controllo.
C’è una fredda esperienza del parto e un irresistibile desiderio di possesso fisico a incarnare un senso di vuoto, una stasi per scoprire quello che si possiede.
C’è una frattura tra la madre e il se’ per comprendere cosa sia realmente una madre.
Occorre esserci, tralasciando il resto, un amore genitoriale che è replica, verifica, indagine dell’ amore di se’, rivisitazione della propria vulnerabilità e impotenza.
Il tempo porterà un legame paritario, una coscienza rivale che ha generato un senso del dovere, l’ oggetto principale delle proprie cure, quel corpicino luminoso che giostra tra le rovine del proprio corpo.
Nel momento in cui si sente allontanata dal pensiero e dal mondo l’autrice rileggerà una poesia di Coleridge, “ Gelo a mezzanotte “, una poesia sullo stare immobili, su come i figli fungano da ancora per il corpo e per la mente, ricordando un passato di affetti perduti e solitudini lontane in attesa che entri qualcuno da amare. È lì, in quella stanza, nella statica vicinanza padre-figlio, che la propria vita trova riparo ignara di qualsiasi separazione subita.
Ed e’ li’ che questo amore genera un luogo nuovo, la reclusione si fa libertà, la bruttezza bellezza, la genitorialita’ e’ redentiva, trasformativa, creativa, infrangendo e ampliando i propri limiti.
Ecco allora che

...” le madri sono i paesi da cui veniamo “... e ...” la transazione avvenuta ha fatto di me una madre “....

Un racconto intimo ( nei sentimenti ) e corale ( nella raffigurazione dell’esperienza ), un viaggio curativo e rigenerante, un’ esplosione vivida che genera un nuovo senso laddove prevalevano rabbia e risentimento, delusione e rassegnazione.
Gli occhi dello scrittore faticano ad abbandonare certezze e privilegi acquisiti, tendono al narcisismo, criticano e scrutano l’ ignaro piccolo mondo che li sovrasta, ma sanno anche dubitare, leggere e donarsi a un’ altra storia, specchiarsi nell’altro, così uguali e diversi, figli di una stessa madre, in una neo dimensione arricchita dalla condivisione e dalla gioia di un rinnovato entusiasmo.

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68 Opinione inserita da 68    25 Aprile, 2021
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Definizione di se’

....” Quella sera chiesi il suo aiuto e lei non rispose. Mi abbandono’. Rimase dentro lo specchio.Le decisioni che presi da quel momento in avanti non erano quelle che avrebbe preso lei. Erano le scelte di una persona cambiata, di una persona nuova. Potete chiamare questa presa di coscienza in molti modi. Chiamatela trasformazione. Metamorfosi. Slealtà. Tradimento. Io la chiamo un’ educazione “...

Il viaggio formativo di Tara Westover, nata nel 1981, cresciuta in una famiglia mormona tra le montagne dell’ Idaho, senza essere mai andata a scuola, senza un certificato di nascita ne’ un libretto sanitario, ignara del mondo esterno, la consegna a una ridefinizione di se’ e dei propri affetti, alla scrittura di un’ altra storia, ad abbandonare un passato che per anni ritorna riportandola a se’, in un continuo gioco di specchi, costringendola a una scelta definitiva.
Ha trascorso l’ infanzia preparandosi ai giorni dell’ abominio, passando le estati inscatolando pesce e gli inverni a fare la scorta delle provviste, istruita ai ritmi della montagna, alla ciclicità dei cambiamenti.
Il padre Gene è ossessionato dal pensiero degli illuminati, con un desiderio di autonomia che sottragga la propria famiglia alla tirannia dello stato, la madre è un’ ostetrica e naturopata che esce dalle stanze ogni volta che il marito vi entra, il fratello maggiore Shawn un individuo violento e pericoloso con evidenti disturbi psichici. Una famiglia vissuta in uno stato di ipnosi, nell’ isolamento e nell’ immensità di spazi aperti che rendono irrilevanti le questioni umane.
Paranoia e fondamentalismo le stanno rovinando la vita, la sua educazione passa attraverso le ore passate su una scrivania presa in prestito, cercando di analizzare piccoli frammenti di dottrina mormona e di imitare un fratello così buono che ama la scuola ( Tayler ) e che....” mi aveva abbandonato “... acquisendo una dote fondamentale, la pazienza di studiare cose che non riesce ancora a capire.
La cultura della sua famiglia è da autodidatti, dopo ore di lavoro passate in discarica, ma in lei è stato piantato il seme della curiosità. Lavorare in discarica le mostra un mondo filtrato dagli occhi paterni, ignorando l’esistenza di gente diversa, che va a scuola e crede nei medici, che non si prepara ogni giorno alla fine del mondo.
Tara vorrebbe un padre diverso, più protettivo, un eroe immaginario, qualcuno che non la abbandoni nella tormenta e che si prenda cura di lei. Sa di essere destinata ad altro ma non ne conosce ancora il significato. In lei qualcosa è cambiato, la coscienza di essere stata scolpita da una tradizione voluta da altri, da una narrazione alienante, un semplice soldato in una guerra che non capisce.
L’ incertezza non è debolezza, l’ impotenza una fragilità che esprime forza, la consapevolezza il pensare con la propria testa, costruendo una voce unica e forte. Un diario imbevuto di pagine vuote e riflessioni protratte sull’ enorme potere concesso alle persone che ama, l’ estremismo della fede si rivela un’arma a doppio taglio e il disturbo bipolare può rovinare una famiglia.
Per Tara è il momento di vivere una vita normale, di allontanarsi, creandosi un’ idea di famiglia al di fuori dei legami di sangue, di costruirsi un passato nuovo, riducendo il vecchio a uno spettro, inconsistente e inoffensivo, di proiettarsi nel futuro.
Gli anni di studio, gli approfondimenti, la fiducia in se’ stessa, il college, l’approdo a Cambridge, alcuni insegnanti, nuove amicizie, le consegnano visioni diverse. Il presupposto per crescere sta nella capacità di abbracciare più idee, più storie, più punti di vista.
Resta la vita trascorsa nella propria infanzia, un puzzle di cui non avrebbe mai capito le regole, una specie di gabbia fatta per rinchiuderla. Qui ... “ c’era una sola cosa, i miei ricordi, rinchiusi in una scatola “...
Il viaggio nella conoscenza di una giovane donna coraggiosa e intelligente per ridiscutere il se’ e il proprio mondo. Alcuni affetti resteranno, altri svaniranno, il delirante potere che qualcuno esercita su vita e destino altrui ripudiato e rispedito al mittente. Lo specchio proietterà un’ immagine diversa, sgombra da anomalie, errori e diavolerie ribaltandone il credo e la storia famigliare.
Una cicatrice rimarrà in lei per sempre, chiusa nella scatola della memoria, un futuro di piena consapevolezza, cresciuta e forgiata da questa educazione autoimposta, la attende.

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68 Opinione inserita da 68    23 Aprile, 2021
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Attesa negata

Un thriller psicologico dalla connotazione politico-sociale ambientato in un paese, il Marocco, con una corruzione dilagante e l’obbligo di farsi largo attraverso una scalata sociale che prevede due sole strade, diventare magistrato o sbirro.
Un mondo femminile tenuto ai margini, degradato, dove il matrimonio è un obbligo, ogni zitella derisa e la violenza sulle donne vissuta come una perdita dell’ onore maschile.
Il protagonista è il vice commissario Driss Ikker, sparito dalla circolazione dopo che la moglie Sarah è stata violentata in circostanze misteriose all’ interno della propria abitazione.
Ikker è sconvolto, annientato dal dolore e dall’alcool, ferito nell’ onore, vaga senza meta, aspira a a giustizia privata e verità mentre la polizia, tra corruzione e pregiudizio, vaga nel buio.
È un uomo perseguitato da una sorte bugiarda, con un suocero potente che gli ha spalancato le porte della polizia, fuggito da un passato di povertà intuendo che lo studio non avrebbe potuto cambiargli la vita e che raccomandazioni e nepotismo hanno sempre la meglio su competenza e dirittura morale.
Oltre le malelingue Ikker è onesto, coraggioso, competente, non abusa della propria autorità, la moglie Sarah una donna bella, ricca, di carattere, figlia di un pezzo grosso, e lui è salito sul treno giusto.
Questo l’ inizio, il dopo è attesa di un’ indagine farraginosa che insegue piste sbagliate e inconcludenti in un presente deragliato dopo che qualcosa all’ interno del matrimonio si è guastato irrimediabilmente.
Un rapporto di coppia, dopo la violenza subita, spento, affossato, coperto da un silenzio inarrivabile, tra gelosia, rabbia e dolore, assenze ingiustificate, incarcerato nel proprio malessere. Ikker è smarrito, non riesce a consolare Sarah, ferito nel proprio orgoglio, e’ presente ma con la testa altrove, assediato dai ricordi e da fantasmi spaventosi.
Tangeri e il Marocco vivono la modernità all’ interno di una mentalità medioevale, e ci si domanda come fare chiarezza laddove le vittime femminili continuano a essere colpevoli e sono costrette a sentirsi in colpa. E allora il proprio onore cancella quello della consorte e si prova disprezzo per se’ stessi, la cosa peggiore.
Quale inganno per una violazione domestica senza traccia di dolo e una violenza privata che farebbe pensare alla vendetta personale, mentre il ritrovamento di un oggetto sul luogo del misfatto descrive tutt’altro. In realtà la verità è piuttosto evidente, più vicina di quanto sembri, difficile da digerire, con esiti nefasti.
Un giallo non giallo con un incipit che prevede una complessità presto negata, una risoluzione scontata all’ interno di una scrittura piacevole, un protagonista enigmatico, contorto e sfuggente, atmosfere soft dai contorni superficiali, una denuncia sociale poco credibile all’ interno di una identità culturale generalizzata, la descrizione di un reale e di una classe elitaria banalmente stereotipati, pochi e sbiaditi risvolti psicologici seducenti.

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68 Opinione inserita da 68    10 Aprile, 2021
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Il gusto ritrovato della vita

Il frutto dell’ Hozuki, l’alchechengi, a forma di lanterna, accompagna e simboleggia le pagine di questo secondo libro di Aki Shimazaki del ciclo “ All’ombra del cardo “. Mentre “ Azami “, il primo capitolo, costruito sul legame tra Mitsuo e Mitsuko, ci riportava al fiore del cardo, ricco di spine, simbolo di uno spirito unico e vendicativo che culla la notte, “ Hozuki “ pone il senso della maternità al centro di un legame che possa ridare vita e speranza.
L’ enigmatica Mitsuko vive una solitudine sentimentale condivisa con un vecchio gatto, Socrate, la madre e il figlio Taro, un bambino mulatto e muto, dalle origini misteriose, che si esprime con la lingua dei segni. Ha realizzato il proprio sogno, aprire una libreria di arte, linguistica e filosofia ma continua, una sera alla settimana, a svolgere la professione di entraineuse nel solito bar frequentato da artisti e uomini facoltosi.
Sarà l’ incontro con Sato, una donna dell’alta società sposata con un diplomatico, e con sua figlia Hanako, che stringerà amicizia con Taro, a innescare ricordi e ricostruzioni senza volto, svelando il mistero di legami apparentemente insignificanti e persi in un destino lontano.
Mitzuko non crede in Dio, ma è convinta che una catena lega le persone che ha incontrato per caso. Ogni legame nasconde un significato profondo, come un nome e una parola. Lunghi silenzi accompagnano riflessioni protratte, un inizio e una fine uniti senza la conoscenza, da Shoji a Taro.
Così è nei confronti di Sato, con la quale non ha niente da condividere e di cui parlare, diversa da lei per carattere ed estrazione sociale. È Taro il loro punto di incontro e la sua amicizia disinteressata e giocosa con Hanako.
Mitsuko, splendido e delicato affresco di ambivalenza, ripercorre i tratti salienti della propria vita, gli uomini di cui non rammenta i nomi, la lontananza dalla madre incarcerata, un padre volutamente lontano, il suo ultimo amore, Mitsuo, il ricordo del primo amore, Shoji, dottore in filosofia, il dolore di un figlio perduto.
In lei è cresciuto un senso di vuoto fino a un ritrovamento, apparentemente casuale, avvolto in un rametto di Hozuki che ha cambiato le cose innescando un progressivo desiderio di maternità .
Mitzuko è misurata, riflessiva, amante dell’arte, si muove tra reale e immaginario, pare non interessarsi a ciò che la circonda e alle miserie dei fatti, non aspira al credo della fede ma al dubbio della filosofia e Taro, per lei, si rivela un dono inestimabile, un farmaco salvavita, talmente desiderato da creare un legame vicendevole.
La paura della perdita, improvvisa, estrema, dolorosa, si farà dipendenza assoluta, benefica, una scatola nasconde un altro dono, ed allora...

...” si ferma ed esamina Shaka, coperto fino al collo dalla sciarpa di rayon. Il cucciolo sbadiglia e Taro mi sorride. In quel momento rivedo un frutto di Hozuki intenso e arancio, come la luce “...

“ Hozuki “ è un piccolo grande dono, da gustare e centellinare, nella lentezza e asciuttezza espositiva, nel senso delle parole, nei ritratti affrescati, nelle riflessioni esistenziali, nel linguaggio che rimanda continuamente alla cultura giapponese. L’ autrice conferma tutto il proprio talento, il lettore rapito in un viaggio tra reale e immaginario che lo riconcilia con l’essenziale senso dell’essere.

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68 Opinione inserita da 68    08 Aprile, 2021
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Le declinazioni dell’amore

Orfani, sopravvissuti, migranti, dolore, solitudine, rabbia, nostalgia, tanti i temi dell’ ultimo romanzo di Marco Balzano. Tre capitoli, tre voci, tre protagonisti, una madre e due figli, un nucleo famigliare forzatamente disgregato dopo l’ improvvisa partenza di Daniela ( Moma ) per l’ Italia alla ricerca di un lavoro che restituisca dignità, presente e futuro ai propri figli.
Assenze protratte e presenze menomate, un’idea di sopravvivenza in attesa di un ricongiungimento affettivo, una scelta obbligata che riguarda molte donne dell’ est e destinata a cambiarne le vite per sempre .
C’è chi parte, il migrante, e chi resta, i sopravvissuti, due “ orfani “, Angelica, la sorella maggiore, e Manuel, il più piccolo. Sovente il migrante non tornerà, inghiottito da una necessità che diviene nostalgia, il cosiddetto mal d’ Italia, mentre i figli, affidati alle cure di nonni e zii ( i padri latitano ) in qualche modo sopravviveranno.
C’è chi sostituirà affettivamente e praticamente la figura materna ( Angelica ), cercando di costruirsi un futuro diverso, altri si chiuderanno in se’ stessi ( Manuel ), menomati nell’ animo, vivendo un lutto irrisolto.
Le migranti si scontrano con la nuova vita, difficile, dura, non richiesta, sovente cambiano luogo e lavoro, sognano una casa che non possono avere, soffrono di solitudine, accettano lavori sottopagati e poco gratificanti, umiliazioni, invisibilità, restituiscono serenità in ambienti famigliari in difficoltà, costruiscono precarie relazioni di comunanza destinate a svanire, desidererebbero un briciolo di amore.
Ogni sera al telefono inscenano la medesima litania, una patetica normalità, promettono un ritorno improbabile, ascoltano chi si sente abbandonato, ferito, tradito, che a sua volta non ha nulla da dire, ne’ voglia di parlare.
Quando un evento tragico, inaspettato, traumatico, restituisce Daniela ai propri affetti lontani, affidandola a una flebile speranza di vita, tutto cambia, si ferma, svanisce, il presente una riflessione su quello che è stato e un senso di colpa sempre più evidente, rimuginando sugli errori commessi.
Unità disperse di una famiglia disgregata, idee rafforzate da un senso di non appartenenza e di comunanza negato, il ricordo dei momenti di felicità condivisi.
Manuel, abbandonato dalla madre, aveva sofferto a tal punto da pensare che la propria vita non avesse più un senso, Angelica, a lei sempre più somigliante, si è costruita un futuro altrove,
Daniela scopre al capezzale del figlio pezzi di vita ignorati, immaginati, una rabbia che nasconde nostalgia, lei stessa ha vissuto l’ impossibilità di amare.
Ma ... “ questo è il lavoro che si trova, questo è il paese dove siamo nati e questo è il tempo in cui ci tocca vivere “.... Daniela si assume la colpa di avere abbandonato i propri figli involontariamente, di essere partita in attesa di un ritorno, di avere ignorato e tralasciato dettagli importanti.
Un romanzo di relazioni che affronta socialmente e psicologicamente il tema della migrazione al femminile e degli “ orfani bianchi “ in una doppia dimensione, la solitudine della lontananza e quella della permanenza, un sostentamento economico causa di carenze e traumi affettivi a lungo termine.
I figli ringraziano per il sostegno ricevuto, la possibilità di studiare e cambiare la propria vita, ma avrebbero voluto altro, anni rubati agli affetti più cari. Le madri sono costrette ad abbandonare lavori mal pagati in paesi senza prospettive accettando altrove mansioni non in linea con il proprio titolo di studio, un flusso di sostentamento che rende impossibile il ritorno.
Come ci ricorda l’ autore, tante sono le storie da raccontare e soprattutto le voci da ascoltare...

. ..” Le parole di quelle donne, di quei bambini e di quei ragazzi sono il seme da cui è nato questo libro. Scriverlo è stato per me un tentativo di risarcimento “...

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68 Opinione inserita da 68    06 Aprile, 2021
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Ricerca e disillusione

Edith è una giovane donna afroamericana che desidera visibilità e conferme da un altro paio di occhi, non solo dai propri, e che vorrebbe essere fissata sulla tela come lei è solita fare da aspirante pittrice così che, quando se ne sarà andata, resterà un documento, una prova della sua presenza nel mondo.
La sua vita lavorativa e sentimentale è allo sbando, un impiego qualunque e senza prospettive di carriera in una casa editrice, un privato di solitudine affettiva condita da caotici intrugli sentimentali e plurimi approcci erotici con uomini che non la desiderano, imbevuti di maniacali e orgasmici flussi di egocentrismo.
Poi l’ incontro con Eric, stimato manager con il doppio dei suoi anni, un matrimonio aperto che nasconde una crisi coniugale assodata, il corteggiamento scandito da mail e virtualità fino al giorno del primo appuntamento, l’ inizio di una relazione che pare da subito vivere la noia e la delusione di un reale del tutto diverso.
Tra loro, tuttavia, sembra esserci un gusto condiviso, due solitudini reciprocamente assorte, disinteressate ma non troppo, pur continuando le proprie vite, e qualcosa in Edith comincia a cambiare, fino a un evento che sa di tragicommedia sentimentale.
La protagonista, intrufolatasi imprudentemente nella loro casa, vivrà un inaspettato faccia a faccia con Rebecca, la moglie di Eric, da lei apparentemente assolta a difesa di un matrimonio che vive di libertà sentimentale e sessuale. Il reale racconta una storia completamente diversa, o la imprevedibile prosecuzione della stessa, una proposta di collaborazione domestica focalizzata su Akila, ragazzina nera adottata da Eric e Rebecca, alle prese con la reticenza di un mondo bianco e di un quartiere snob assorto nei propri privilegi.
Edith, dopo un’ iniziale titubanza, vedrà in lei una solitudine condivisa, la difficoltà di rendersi visibili, e per il colore della pelle e per il ricordo della propria storia famigliare, una madre alla deriva sentimentale e un padre traumatizzato per sempre dagli esiti bellici.
La protagonista sin qui ha navigato in superficie, per sopravvivere e per annientarsi, allineandosi all’ inverosimile, anestetizzata da una sensualità e da una voglia di piacere che usa all’eccesso, sguazzando faticosamente in un mondo egocentrico e schizofrenico che non le appartiene e da cui verrà cacciata inesorabilmente.
Cercherà un lavoro non mortificante, inseguirà un’ illusione d’amore, per il momento vive un ménage a trois in una casa che sta imparando a conoscere, costruendo relazioni che coinvolgono i sentimenti e riabbracciano un’ idea di famiglia. In questa nuova casa si vivono rapporti stereotipati e deludenti, di ruolo, marito, moglie, figlia adottiva e ciascuno scaglierà su di lei un senso di inquietudine e solitudine, Edith si abbandonerà a confidenze e a un’ impensabile titubanza sentimentale.
C’è un viaggio a ritroso, pieno di assenze e sofferenza, un presente difficile da approfondire e cambiare, in cui si vorrebbe lasciare il segno, un futuro non pervenuto. C’ è un percorso sentimentale che lentamente si allontana dagli errori commessi, tanti, che ricerca il proprio posto nel mondo e che con sarcasmo e ironia critica una società invisa, superficiale e maschilista, intrisa di banalità, un insulto per una intelligenza creativa.
Un bel romanzo d’ esordio per la giovane scrittrice afroamericana Raven Leilani, nei toni e nei contenuti, un flusso di creatività letteraria, una protagonista che inventa e utilizza fiumi di parole con arguzia e intelligenza, vivacità, autoironia, ma anche dolcezza e malinconia, recitando una parte artificiosa nel mondo di superficie e un’altra ben più vera nel cuore di un io menomato e fragile, sovente disilluso.
Questo il quadro di una narrazione fintamente di superficie, che sa come usare e dosare il linguaggio per approdare ad altro, anche se la via pare tracciata da tempo.

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68 Opinione inserita da 68    01 Aprile, 2021
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Claustrofobica presenza

In una dimensione claustrofobia due guardiani di un palazzo di lusso con il servizio di un albergo a cinque stelle nel cuore di una città senza volto, in cui la notte non è diversa dal giorno, svolgono la propria professione al servizio dei residenti. Ma qualcosa improvvisamente cambia, sovvertito da un oscuro presagio, la città intorno è deserta, buia, silente, le autorità hanno proclamato il coprifuoco, il condominio si svuota, non resta che un solo residente da proteggere.
Che cosa è realmente accaduto? Un virus, una guerra, un disastro nucleare, un attacco atomico, un attentato, non è dato saperlo, si attendono eventi immaginando l’ impossibile.
Michel e Harry sono un’ unità, vivono una convivenza complementare, dipendono l’ uno dall’ altro, lavorano tutto il tempo dormendo cinque ore a notte, sorvegliano il seminterrato evitando domande inutili, in attesa di una promozione, alle dipendenze di un’ Organizzazione senza volto che pianifica un futuro già scritto, una semplice azienda di prodotto che applica il controllo di qualità con degli standard da raggiungere. Potrebbero essere scampati a un pericolo mortale o essere semplicemente immuni, all’ orizzonte una nuova guerra mondiale con un nemico senza volto.
Indossano uniformi spazzolate con cura ogni giorno, sono meticolosi, prudenti, maniacali, osservatori, la loro missione è lì, all’ ingresso, perché le regole sono sacre ed è l’ uniforme che fa il guardiano. Due uomini in un seminterrato a garantire la sicurezza a una élite che nemmeno conoscono, un luogo non luogo dove tutto è costruito affinché gli abitanti non siano costretti a subire la reciproca compagnia.
Un pericolo incombe, ma quale? Forse l’ Organizzazione vuole una prova del loro operato, forse i due non sono sufficienti e per questo è stato allertato un altro guardiano, forse egli non è che una nuova minaccia, o solo una prova per valutare la loro capacità di resistere in una situazione estrema, forse i guardiani devono la loro esistenza a un potenziale pericolo rendendolo reale.
Realtà o finzione, difficile dirlo quando la solitudine incombe, il proprio ruolo ha preso il sopravvento e ciascuno si comporta e si muove seguendo un protocollo. Forse non c’è più nessuno da difendere o semplicemente si sono dimenticati di loro.
La diversità fiuta il pericolo, l’ imprevisto è inammissibile, le armi difendono una costruzione mentale, la paura incombe, cresce, divora, e allora ci si incammina verso l’ alto ( ai piani superiori ) alla ricerca di chi neppure sa della loro esistenza ne’ ha bisogno di essere protetto.
Brandelli di vita, pezzi di un’ umanità disadorna, assente, lontana, che si sfiora per lasciarsi, continuamente, l’ imprevedibile alle porte, è già entrato, non resta che disporre delle proprie forze, disorientati da un caos incomprensibile, un senso di claustrofobia presenza.
Un romanzo che nega l’ umano sentire per riabbracciarlo nella solitudine più estrema, quando a contare è il se’. Un crescendo di suspense in un microcosmo di incertezza, vizi e virtù di un reale dissolto che pone l’ uomo di fronte alle propria fragilità esposta.
Un viaggio psicotico e allucinogeno di un protagonista solo rivolto all’ interiorità, circondato da un reale particolareggiato e minuziosamente disadorno, in attesa di tornare al proprio destino di sempre.

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68 Opinione inserita da 68    28 Marzo, 2021
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Porzioni di vita e

Montagne del Montana, un luogo dove regnano gli uomini e il territorio e chi non possiede ne’ l’ uno ne’ l’ altro deve arrangiarsi, in cui le regole si applicano a tutti in modo inflessibile e implacabile.
Wendell è l’ ultimo dei Newman, ex stella del football, un giovane cresciuto in solitudine faticando a badare a se’ stesso, sopravvissuto all’ eco del mito paterno frantumatosi parecchi anni prima tra le montagne, braccato dalla sua stessa ombra, per alcuni un eroe, per altri un assassino che porta con se’ l’ onta di un gesto estremo e brutale in nome di una libertà non riconosciuta o in fuga dalla propria follia.
Il presente ha lo sguardo interessato di Rowdy, un bambino muto senza madre, figlio di Lacy, cugina di Wendell, imprigionata per spaccio di stupefacenti, un’ anima indifesa lasciata alle sue cure, con il quale sorprendentemente interagire.
C’è un’ altra storia e una donna, Gillian, insegnante e assistente sociale, una vedova con una figlia che non ha mai conosciuto il proprio padre se non attraverso i ricordi materni, che continua a rivivere i fotogrammi del marito morto ammazzato cercando di mettere ordine nel casino di una comunità fatta di uomini violenti e ignoranti che rivendicano diritti su quelle montagne.
In realtà il Montana orientale non appartiene a loro, non è che ...” un pozzo senza fondo per i soldi dei contribuenti, un circolo vizioso di degrado ambientale, mancanza di istruzione, alcolici, metanfetamine e famiglie distrutte “....
Le vite dei tre orfani si intrecciano, figli di un mondo spezzato, famiglie distrutte, con un senso di vuoto fin dentro il midollo, vite che riprendono il passato, vivono l’ansia del presente e di un futuro senza nome, mutilati da assenze protratte, inseguiti da colpe che non hanno, così sole nella condivisione.
C’ è chi si chiede che cosa gli hanno trasmesso i suoi genitori, chi è rimasta sola per tanti anni crescendo una figlia, c’è un movimento antigovernativo che cerca di spiegare alla gente come stanno realmente le cose, il modo ingiusto in cui il governo federale controlla le loro vite e le loro terre.
Questa porzione di mondo, in cui si è nati e cresciuti, può essere rifiutata in nome di un mondo migliore a cui restare fedeli. E’ la terra stessa a creare sofferenza e rabbia, a generare e esasperare il senso di fallimento e la paura, una violenza cruda e giustificata. ...” Una terra sterile dove i fallimenti di una nazione incontrano i fallimenti degli uomini, dove la storia va a morire “....
Vite diverse, monche, accomunate dalla mancanza di un padre, abitanti un mondo spezzato, inconsapevolmente finite li’, dove tutto ebbe inizio, un luogo da cui qualcuno è riuscito a fuggire e a cui tornare per una resa dei conti.
Prende forma un thriller-western dell’ oggi con un ritmo incalzante, scolpito dai tratti dell’ odio e della paura, in un finale che non fa sconti ne’ prevede aggiustamenti, che sottrae il presente per costruire un futuro diverso.
Padri dissolti, figli sacrificati, nipoti sopravvissuti a una battaglia senza nome sfociata nella violenza selvaggia. Allla fine non è detto che i figli debbano rinnovare le orme dei padri, la storia può mutare, l’ ignoranza e il degrado cedere a una novella condivisione che sancisca la propria diversità e unicità.

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68 Opinione inserita da 68    25 Marzo, 2021
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Nel tunnel della vita

“ Nella buia casa della depressione non ci sono finestre da cui vedere gli altri, solo specchi ”.

La depressione, termine inadeguato per definire la disperazione profonda, si è impadronita di Mel, una cupa e desolata immagine senza volto ne indirizza la vita, una metodica follia nei suoi giorni, normalità apparente intervallata da ricoveri, farmaci e silenzio la sua tecnica di autodifesa, fino a un ultimo disperato atto definitivo.
Questo diario-memoriale di Miriam Toews è un omaggio all’ amato padre, suicida dopo una lunga convivenza con la malattia mentale, un suicidio che ha lasciato alla famiglia molti dubbi.
Miriam scrive per fare chiarezza, riavere suo padre, continuare quello che lui aveva già’ annotato,
parole, pensieri, appunti, ricordi, una vita vissuta tra gli amati banchi di scuola, il suo vero mondo, dove dava tutto se’ stesso.
Nel privato una famiglia allargata dopo la nascita delle due figlie, una moglie costretta a scegliere tra libertà e follia, una madre che ha sempre negato il proprio rapporto con l’alcool, una comunità ( mennonita ) rigida e intransigente, la chiesa e la preghiera a cui affidare la propria fede, lunghe camminate e misteriosi silenzi, interminabili scritti, un’ alternanza di luce e di buio, quel cortocircuito mentale che puntualmente ritorna ( il disturbo maniaco-depressivo diagnosticato a soli 17 anni quando Mel aveva creduto di essere un uovo ).
Una vita fatta di lavoro, chiesa e famiglia, che Mel ritiene essere un fallimento totale, corpo e mente completamente scissi, una vita che avrebbe potuto essere altro. Si è così soli quando si convive con un senso di “ morte “ imminente, l’ autostima affossata da uno sguardo truce e dal pregiudizio ( i rapporti difficili con una madre fredda e accusatoria, un fratello omaggiato da sempre ), di certo la socialità impone delle rinunce e fa sentire Mel inadeguato, preoccupato per il futuro, immobilizzato nel presente, in un rimuginio di immagini e suoni remoti.
Da anni vive e sopravvive di una normalità apparente, l’essere buono come scopo primario, la lettura per sentirsi meno solo, lunghe camminate estenuanti, credendo nella potere delle parole e della scrittura.
La “ normalità “ prevede comportamenti standardizzati, un cammino fatto di piccole cose, affetti, solitudine condivisa, amore. L’origine sconosciuta del proprio dolore origina dalla costruzione di se’, un bambino che pensava di essere in grado di gestire la tristezza silenziosa di un padre e l’ alcolismo di una madre nel profumo di un’affettività negata, nel senso svuotato dell’ esistere.
Eppure Mel riuscì nell’ impossibile, una vita ordinaria con un risultato straordinario, fece ciò che dicevano non avrebbe mai fatto, si sposò e insegnò per quarant’anni, visse momenti di serenità.
Quanto la realtà lo ha indirizzato, quale l’ origine della sua malattia, e il senso corrisposto della sua profondità, è mai stato realmente apprezzato?
Un uomo vissuto di paradossi, amante delle parole senza riuscire a parlare, spesso ...” non parlava e basta “... , che non si è mai sentito a casa e avrebbe voluto costruire il ricordo di una casa felice, intrappolato in una terra di nessuno, prigioniero di se’ stesso, paralizzato tra passato e futuro.
Potremmo considerarlo un buon marito e un buon padre o solo un ottimo insegnante? E quanto la malattia diviene il respiro dei suoi giorni, alimentandosi della pazienza altrui, costruendo il possibile, un microcosmo di precarietà, una doppia personalità che possa indurre all’ottimismo o solo una menzogna in attesa di altro?
Di certo la sofferenza appare e traspare nella sua lucida “ follia “, in riflessioni e pensieri quantomai profondi, in una fragilità esposta, nelle toccanti parole di Miriam che ha condensato i suoi scritti in un continuum che ne svela il volto più vero.
Il suo lascito è per noi lettori quantomai benefico e rigenerante , ne mostra l’ autenticità, anche nella disperazione, un uomo colto e sensibile, amabile e raffinato, quelle stesse parole che in lui esprimono continuamente la paura di essere, diverso, inadeguato, superfluo, malato.
E dopo una lunga vita siffatta, quando i giorni si svuotano dell’ unico senso, è troppo tardi....

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68 Opinione inserita da 68    21 Marzo, 2021
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Armoniosa dissolvenza

Nella metà degli anni ‘80 David Leavitt fu precocemente catapultato con grande risonanza nel mondo letterario grazie a una raccolta di racconti, “ Ballo di famiglia “, oggi riproposta nella nuova traduzione di Fabio Cremonesi, specchio di un mondo frammentato e frammentario che pone il microcosmo famigliare accompagnato da un senso di vuoto e precarietà al centro del proprio narrare.
Al suo interno molto altro, un’ identità sessuale rivelata o celata, malattie, perdite, dolori, tormentate relazioni genitori-figli, silenzi protratti, matrimoni infranti, famiglie a pezzi, la perdita dell’ innocenza ma anche una presa di identità, la gioia di vivere, la consapevolezza dell’esistere e del resistere, ovvero il cuore della vita.
Si ha l’ impressione che Leavitt, che ha fatto della propria omosessualità un’identità dalle tinte forti ( prevalentemente nelle opere successive ) accentuando esponenzialmente i legamiintrafamigliari e le loro devianze, in questi racconti ci parli prevalentemente di relazioni, affettive, potenziali, inespresse e di sentimenti, scoperchiati, negati, traditi.
“ Tutte le cose brutte succedono nelle case pulite, dove tutto è ordinato e tutti si dicono buongiorno e nient’ altro “. Sovente dietro l’ apparenza emerge tutt’altro, il marcio e il superfluo, una passività che si lega a una famiglia a pezzi, figli traditi da madri inadeguate, persi per semplice distrazione o negligenza, e niente pare reale, sopraffatti da un dolore che ogni volta ritorna.
Sovente la famiglia e’ assente, semplice convenzione, e tutto è andato perso, finendo con il chiedersi perché si è la causa del dolore della propria madre i cui racconti si devono ascoltare anche quando non se ne ha voglia.
Altrove il silenzio è una scelta obbligata, poche parole, pochi attimi, altre perdite da affrontare. Capita di sentirsi infelici della felicità altrui, capita che nella gioia apparente niente sembri reale, e, imbrattati da una gioia perversa, si può ricordare l’ anno in cui la propria madre stava morendo come il più felice della propria vita.
Forse tutto è andato perduto, c’è chi si prende gioco di una moglie devota, tra relazioni famigliari distanti, così distaccati e isolati gli uni dagli altri. Talvolta si galleggia nello strano liquido del proprio amore, un amore che non osa pronunciare il proprio nome, stretti in un angolo ad osservare impotenti la felicità altrui, attendendo il proprio momento.
Tutti i protagonisti di queste storie monologano incessantemente, prendondosi delle lunghe pause, Leavitt riesce, con maestria e profondità, nonostante la giovane età, a tessere un puzzle di grande equilibrio, illustrando mirabilmente un microcosmo ( la middle class americana ) che conosce bene, protagonisti non protagonisti impantanati in un’ immobilità apparente che sfocia in pulsioni irrefrenabili.
Nel cuore di racconti così diversi c’è un filo conduttore, quel monologo soggettivato che fatica a riconoscere l’ oggettività dei fatti, un grido di dolore nel vuoto standardizzato, l’affermazione di un io imprigionato da relazioni al limite dell’ ossessivo, in prevalenza madre-figlio.
L’autore è prematuramente sbocciato e fa sentire la propria voce, questi racconti, di una perfezione mirabile, a testimoniare un talento che andrà affievolendosi nei romanzi a seguire, per esaurirsi nel presente, forse, come lui stesso rivela, per semplice mancanza di ispirazione, forse per un cambiamento radicale dei tempi ( in senso negativo ) in cui non si riconosce.

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68 Opinione inserita da 68    19 Marzo, 2021
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Attesa per sempre...

Un’ unione atemporale accarezzando il volto di un amore estremo e totalizzante, che oltrepassa la vita terrena, sentimento maturato nell’oggi, pochi momenti in attesa di riabbracciare, chissà quando, l’altra parte di se’.
Una località marina nel Sud dell’ Italia, la fisicità di luoghi ricchi di arte e di storia, gusti e sapori, un hotel, otto amici in vacanza, sole, mare, bagni, divertimento. Di giorno nuotano ed escono in barca, la sera vanno a divertirsi in uno dei tanti locali in collina.
Un strano individuo sulla sessantina, snello, distinto, ben vestito, solitario, imperscrutabile, sempre gioviale, avvolto nel mistero del proprio silenzio, un osservatore a distanza.
L’ avvicinamento improvviso, la conoscenza, poche parole a scoperchiare dettagli del proprio passato, una nitida visione dell’oggi e un’ improbabile cartolina del domani.
Mago o imbroglione, investigatore o persona informata dei fatti, niente di tutto questo, quando a parlare sono i sentimenti che rivelano altro e riportano in superficie un io sofferente.
“ Per me non sei una sconosciuta “, dichiarazione improvvisa che tutto cambia, isola e separa, una nuova storia con origini lontane, costruita su odio e indifferenza, il sapore di una vicinanza che sa di passione e che si perde in una tragica fatalità, agghiacciati dall’ impensabile.
Anni di attesa, dolore, solitudine, la ricerca di quella parte di se’ che oltrepassi i confini del tempo, un luogo preciso che sa di storia e di sentimenti.
La memoria riaccende una comunanza, sensazioni già viste, l’oggi non può continuare e non può arrestare il presente. Corpi in prestito in attesa di ritrovarsi, chissà quando, così uguali e diversi, un’ attesa che nel frattempo pare cancellare ogni senso e quella precisa conoscenza dei fatti che a nulla serve senza rivolgersi ai sentimenti.
...” È la vita a essere transitoria, non l’ amore “..., ciò che conta è ...” stabilire un contatto, trovare connessioni “.... In fondo che cosa ce ne facciamo di tutte queste vite se ognuno di noi è condannato alla solitudine e non ci siamo mai detti la parola “ amore “?
Un romanzo senza tempo, una storia d’ amore che ha negato l’ amore, che insegue la purezza di un gesto scansando ogni logica temporale. Un viaggio lampo all’ interno di un sogno nutrendosi del proprio ricordo, quella perfezione imperfetta che continua a rigettare e ad accettare, suo malgrado, l’ umana caducità.

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68 Opinione inserita da 68    17 Marzo, 2021
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Scuola di vita

Cinema e vita rivestono il nuovo romanzo di Jonathan Coe, un viaggio tra passato e presente velato da una malinconia a tratti nostalgica con un finale aperto all’ottimismo.
Quanto la grandezza del cinema di Billy Wilder si dibatte tra arte e puro intrattenimento, quanto la giovane Calista si innamora del cinema, elevandolo a scuola di vita dopo l’ incontro con il famoso regista durante un viaggio in America negli anni ‘70, un uomo per metà serio e per metà scherzoso, ai suoi occhi ignari un professore universitario o un chirurgo plastico?
Il legame tra la giovane anglo-ellenica e il regista americano di origine austriaca decolla durante una cena, lei ventunenne timida e impacciata, inesperta della vita, lui vecchio artista carismatico dimenticato da una Hollywood profondamente cambiata e da un pubblico in cerca di emozioni forti.
Un’ idea liberata da uno sbadiglio prolungato, un rapporto vissuto a distanza, nell’ immagine da lei creata, la frequentazione durante le riprese di “ Fedora “, in viaggio tra la Grecia e la Germania, un lavoro da interprete e da assistente alla produzione, la condivisione e le rivelazioni di chi è stato ed è vicino al suo genio ( la moglie Audrey e l’amico-collega Iz ).
Il film ( che uscirà nel 1978 con fortune alterne ) vorrebbe restituire l’ anziano regista alla cinematografia che conta, è il suo canto del cigno, accostato a “ Viale del tramonto “, prodotto e sponsorizzato in quella Europa da lui amata e rimpianta, abbandonata tra le due guerre per necessità ed egoismo, ignorando gli affetti più cari.
Allora la giovane Calista, appena laureata, introversa, malinconica e solitaria, viveva un’ incertezza sentimentale all’ interno di una vita grigia e monotona, una natura introversa all’ inseguimento di un senso e di un talento inespressi, oggi è una cinquantasettenne defilata, quello che scrive non interessa più, sono quindici anni che nessuno le commissiona una partitura e il suo ruolo di madre pare consumarsi nell’affetto sfuggente delle due figlie gemelle, partenti e distanti.
La sua vita, equamente distribuita tra famiglia e musica, pare la trama di un film e si intreccia indissolubilmente con quel film ( “ Fedora ” ) che l’ ha scoperta e indirizzata, un’ opera controversa con molteplici significati, che avrebbe dovuto riesumare il genio di Wilder, un viaggio tormentato nel cuore della sua esistenza, il ritorno alle origini, il dolore della perdita, la fuga dal nazismo, il colpo di coda di un uomo vissuto d’ arte e di amore, consapevole della propria decadenza in una Hollywood che va inscenando il trionfo del botteghino e l’era dei nuovi giovani registi barbuti ( Spielberg in primis ).
Che cos’è il cinema per Mr Wilder e che cosa rappresenta per Calista, quale il suo ruolo? Il romanzo, che nel ricordo della voce narrante rincorre il passato nella costruzione del presente, una cartolina del percorso artistico e privato del famoso regista, fino alla produzione di “ Fedora “, vira su rapporti di intimità destinati a finire ma profondamente radicati nella vita e nella mente della compositrice.
Il Wilder regista era stato una presenza contraddittoria, autore di film delicati e romantici, di grandi successi e fiaschi clamorosi , ( “ A qualcuno piace caldo “ “ L’ appartamento “, “ Sabrina “, “ Irma la dolce “ ) un uomo insicuro con una grande voglia di raccontare storie, profondamente europeo, a un certo punto rifiutato e dimenticato. Era vissuto nella convinzione che si dovesse al pubblico qualcosa di diverso, di bello, di elegante, ... “ si va al cinema perché quelle due ore ci diano un po’ di luce, che sia una commedia, un film comico, basta che ci sia una scintilla che prima non c’era, un po’ di gioia “...
Per Calista, ammaliata dal suo mito, il cinema diviene scuola di vita, le sue parole ispirazione assoluta perché ...” qualunque cosa la vita ci riversi addosso ha sempre qualcosa da offrirci e noi siamo tenuti a coglierlo “...
Resta il ricordo di un uomo che ...” tanto aveva ottenuto e tanto aveva sofferto “... e quell’ inizio casuale restituisce un senso alla protagonista e voce narrante, una scelta difficile ma necessaria, il futuro scritto tra le parole del grande “ maestro “.
Un romanzo di difficile costruzione per la vastità di temi e contenuti, che rischia di impantanarsi in una logica stereotipata e di superficie ( la rappresentazione della lunga e contraddittoria vita artistica di Wilder ) ma che mostra un’ altra faccia di se’ quando il racconto si svela, tra sobria intimità e romantica malinconia.
“ Io e Mr Wilder “ è sicuramente un romanzo non disprezzabile ma distante dal meglio della produzione letteraria dell’ autore. Personalmente avevo gustato il Jonathan Coe di “ La famiglia Winshaw “ e di “ La Banda dei brocchi “ ma anche di “ La casa del sonno “, e avevo apprezzato i recenti “Numero undici” e “ Middle Class “ .
Un autore sempre lucido e obiettivo, impegnato a rappresentare attraverso un’ acuta analisi socio-politica vizi, virtù e ataviche contraddizioni dei propri connazionali, tra slanci poetici e caustica irriverenza, dialoghi sferzanti e humour dissacrante, situazioni paradossali e riflessioni argute nel cuore di silenzi pensanti, tratti di uno spirito acuto, arguto, profondo riferibili però a un recente passato.

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68 Opinione inserita da 68    28 Gennaio, 2021
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Amore fragile e infinito

Un cappotto indossato in un caldo giorno d’ agosto, inizio di una vita senza memoria, nomi e volti dimenticati, gesti ripetuti e ogni volta diversi, una nuova presenza ad accompagnare ogni giorno, forse originata da un trauma pregresso, quell’ “ ospite tedesco “ ( L’ Alzheimer ) che ha intaccato la propria persona rendendola così fragile, ridefinendo il gusto delle cose .
Il presente è una dipendenza sempre più marcata, negli occhi altrui il proprio cambiamento, un senso di impotenza, incredulità, paura, lontananza.
Che cosa sta accadendo a zia Camilla, quali gli esordi della malattia, chi non ricorda può deprimersi, negare, farsi aggressivo, disperarsi, tradito da una parte di se’.
Segni poco chiari sottoposti a una diagnosi spietata, irreversibile. un malato che impara a scivolare lungo i muri invisibili di un’ esistenza sempre più solitaria, mentre gli affetti più cari hanno paura, negano, cercano risposte, improvvisano soluzioni improbabili, finiscono con l’ allontanarsi, convinti che la vita sta altrove.
Ma c’è anche chi non cede, la nipote Andreina, che non crede all’apparenza e riconosce l’ unicità di una presenza, ricordando l’ affetto di zia Camilla, per anni sostituitasi alla propria madre, generosa, spiritosa, altruista, innamorata delle rose e di un cane.
È allora che ci si inventa un altro presente, zia e nipote, un rapporto forte, speciale, una scelta obbligata, i ricordi dell’ una dentro l’ affettività dell’altra, pezzi di vita da collocare e ricostruire, una fanciullezza che si stupisce e si perde continuamente, un neo linguaggio che nella presenza e nella gestualità riassapora il gusto della vita.
Nasce una socialità diversa, consapevoli che il tempo ha cambiato la propria essenza, la notte è un ospite ostile, la calma un amico fraterno, i luoghi cari imprescindibili, le parole vanno centellinate, spesso spezzate, dimenticate, perdute per sempre, chissà.
In questi giorni il cuore riscopre la parte più vera, addentrandosi nel ricordo di una donna talmente forte da rendere gli altri distratti, il presente e il proprio se’ hanno origini lontane e riscoprono un senso di accudimento che allontana la paura.
Un amore purissimo, condito dalla leggerezza di una madre non madre, una donna senza figli che si è presa cura della nipote, porto sicuro lontano da casa, nel presente ruoli invertiti, zia, mamma, nipote, non importa in quale ordine, a contare solo l’affetto reciproco.
Nel vortice emozionale che sembrava perso, un luogo in cui la memoria inselvatichisce il presente per coccolare il passato, Andreina si racconta per ricordare un’ infanzia felice che vive dello stupore del presente, quell’amore incondizionato che genera amore ed entra dentro, per sempre.
La malattia di Alzheimer induce due strade contrapposte, la cattiva imitazione di una normalità perduta, riportando erroneamente il malato alla realtà o l’ ingresso e il viaggio nella sua realtà, in quel mare di bugie che fanno bene, vivendo una normalità diversa, bella e piena, possibile, anche se diversa.
Non si può guarire dalla malattia ma si può convivere con la malattia, dispensando allegria e gioia, così è stato per zia Camilla, abbandonata ogni paura, affidandosi al cambiamento.
Oltre alcuni trattamenti farmacologici il malato non è la malattia, vive, sente e reagisce in una illogicità istintuale che diviene trasparenza, verità rivelata di noi stessi.
Ed allora come sono stati quei giorni?

...” Giorni felici, fatti di tempo presente, che nessuno ha più, pieno di senso, perché allegro, di libertà, senza programmi, un’ isola di vita dove riconoscerci. Ciascuna di noi usciva più viva da quei pomeriggi. Era vita per tutte. Zia Camilla ci regalava la vita come dovrebbe essere “...

Un romanzo poetico ed essenziale, nella forma e nei contenuti, che restituisce un senso di pienezza emotiva e affettiva laddove prevalgono vuoto e paura. Un viaggio nella crudeltà di una malattia indefinibile, subdola, così uguale e diversa nei segni tangibili, che azzera la memoria e ridefinisce i rapporti, scavando nell’ io più profondo, in una dimensione di vita affettiva rigenerata e fragilmente esposta.
Un ringraziamento e un plauso all’autrice per come ha saputo trattare e restituire un tema così doloroso e complesso, con un occhio oltre la scienza, riportando alla “ visibile normalità “ ciò che sovente è destinato a un triste “ isolamento dimenticato “.

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68 Opinione inserita da 68    19 Gennaio, 2021
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Smarrimento ossessivo

Kazuo Ishiguro, premio Nobel per la letteratura nel 2017, che ben ricordiamo per “ Quel che resta del giorno “, ambienta questo romanzo tra presente e passato, ricercando il senso di un’ infanzia rubata. Il protagonista è Christopher Banks, ancora bambino in una Shangai dove ha vissuto la scomparsa, forse il rapimento, dei suoi genitori, coinvolti nel commercio dell’ oppio tra Cina e Inghilterra e nella dura battaglia per i diritti civili.
Christopher è, suo malgrado, un orfano costretto a tornare in Europa, in una patria del tutto sconosciuta e lontana dove, iscritto nelle migliori scuole, diverrà il più famoso detective d’ Inghilterra, impegnato a farsi un nome, risolvere casi complessi, legittimare la propria fama.
Dentro di se’, più che mai, sente il desiderio di tornare a Shangai per risolvere il caso più importante, la scomparsa dei suoi genitori, affondando i ricordi nella memoria convinto che siano sopravvissuti, ricostruendo i fatti grazie al ritrovamento di persone care ( il vecchio amico Akiri ).
Il presente mostra tutt’altro, un nuovo conflitto mondiale alle porte, Cina e Giappone ai ferri corti mentre una giovane donna ( Sarah ) continua a sognare una vita avventurosa idealmente perduta.
Inutile rimarcare che la verità non è come sembra, che i propri ricordi nascondono altro, i tempi sono cambiati, il passato dissolto, la ricerca restituirà una scoperta poco gratificante, cruda e lontana dal percepito, distogliendo il protagonista dall’ illusione primaria e riportandolo a una vita da ricostruire.
Il futuro vivrà dell’ affetto e della purezza di Jennifer, un’ orfana che Christopher ha adottato da bambina, oggi una donna sola, immersa nella sua stessa difficoltà sentimentale ma con un carattere solido, che lo considera un punto di riferimento, colui che si è preso cura di lei, la loro una simbiosi che un giorno potrebbe sfociare in una vita bucolica condivisa.

.... “ per quelli come noi il destino è affrontare il mondo da orfani e inseguire per anni i fantasmi di genitori scomparsi. E non possiamo fare altro che sforzarci di concludere la missione, quanto meglio e’ possibile, perché fino a quando non lo avremo fatto non ci verrà concessa mai pace”...

Kazuo Ishiguro, grazie a una prosa delicata e gentile che scorre limpidamente tra rappresentazioni meticolose e impressioni armoniche, accompagna il lettore in ripetuti flashback , tra sogno e realtà, percepito e immaginato, costruendo una trama complessa che nella seconda parte, viceversa, si rivela un’ affrettata e caotica costruzione inespressa, troppo fragile per essere vera.
Un romanzo pervaso da un senso di malinconica assenza, trasformato da Christopher in una presenza, che si dibatte nell’ incertezza e incompiutezza del protagonista, all’ affannosa ricerca di un equilibrio nel mistero di un’ infanzia rubata, di un’ origine violata, una risposta che molti anni dopo consegnerà una verità diversa in un mondo mutato e difforme.
Christopher Banks, il più grande detective di Inghilterra, viaggerà nel cuore di un giuoco poco credibile, un orfano della vita, almeno nel percepito, investito da molteplici avvenimenti e incontri fragili e sfuggenti, senza che si riesca ad attribuirne senso e collegamento, oltre un’ impressione labile, e la sua figura professionale pare in balia degli eventi, finendo per smontare la propria costruzione del reale declinando in una pacificata visione di se’.
L’ universo di Ishiguro, qui piuttosto dimesso, emerge solo a sprazzi nel profilo psicologico e relazionale del protagonista ( nella prima parte, piuttosto interessante ), nelle sue riflessioni e in poco altro, il resto pare una trama non trama che ha smarrito la propria connotazione più vera.

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68 Opinione inserita da 68    08 Gennaio, 2021
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Parabola discendente

“ Tenera è la notte “, tormentata creatura di un autore ormai sprofondato in uno stato di inedia e disperazione nell’ ultima parte della propria vita, privata e professionale, tra alcool, debiti e cliniche psichiatriche, scritto in un arco temporale di nove anni, più volte riveduto e corretto, con l’idea inevasa di cambiarne la struttura riordinandone i flussi temporali, risente di tutto questo e lo riflette nella palese identificazione Fitzgerald-Dick, l’ indiscusso protagonista del romanzo.
Tre libri che ricostruiscono periodi diversi della vita del protagonista, un incipit che restituisce il dopo nella splendente e soleggiata Costa Azzurra, tra turisti facoltosi e avventure galanti, tanti momenti di mondanità all’ insegna della superficie.
È qui che Rosemary, giovane attrice sospinta e fagocitata dalla vanità materna, si invaghisce dell’affascinante Dick Diver, talentuoso psichiatra americano circondato da un’ aura di durezza, autocontrollo e disciplina, da tempo maritato con la bellissima ereditiera Nicole Warren, una ex paziente tuttora vittima di un’ infanzia violata.
È il secondo libro, che ci riporta nel passato, a essere il vero cuore del racconto, la rappresentazione della parabola ascendente e discendente di un giovane dottor Dick, medico colto, mansueto, gentile, rivolto con tutto se stesso alla propria professione.
Sarà l’ incontro fatale con Nicole, l’adempimento del proprio ruolo medico e coniugale, il patto stipulato con la sorella di lei, il potere del danaro, a generare il cambiamento, un disfacimento personale e famigliare, il graduale abbandono della professione, una vita di contorno e di attesa, tra alcool, avventure galanti, recite inopportune.
Una corsa confusa, una infelicita’ manifesta e negata, uno stato di inettitudine confermato dalla inaffidabilità, anni dopo agli occhi dei più Dick pare un uomo perfetto, fascinoso, carismatico e influente, in realtà di lui è rimasto ben poco se non il riflesso del proprio matrimonio, così splendidamente convenzionale e svuotato di ogni sentimento.
Una recita nella recita, perfettamente riuscita ma poco gratificante, un legame costruito attorno a una patologia femminile con ripetute crisi di nervi nel bel mezzo di viaggi, tra cliniche e tradimenti, il denaro come equilibratore e anestetico.
Un matrimonio da tempo svuotato, evaporato nell’ indifferenza del comportamento ondivago di Dick, il progressivo distacco dalla propria vita, cuore di un terzo libro che per qualcuno prevederà una rinascita, per altri uno stato di totale abbandono a se stessi e una crisi di identità, riconosciuta e confermata da terzi, impossibile recuperare il passato.
E allora si susseguono anni bui, rivolti all’ ignoto, rassegnati all’ ovvio, incarcerati in un improbabile oggi mentre c’è chi progetta il domani.
Un romanzo polifonico, rimescolio di un amore viziato e turbolento, lo stato di malattia, la fuga da se’ divorati da un’ ambizione mal riposta, l’ ingresso nella upper class, solo a tratti inserito in temi storicamente rilevanti, la grande guerra con i suoi esiti nefasti, per declinare nelle crepe della vita di un uomo e del suo sistema relazionale, assumendo forti connotazioni autobiografiche, si pensi al rapporto e alla identificazione Zelda-Nicole.
Dicker sopravviverà a Gatsby da morto vivente pagando un enorme tributo a se stesso. Forse il suo stato di inedia è un gesto estremo di commiserazione o di condanna, a sua volta di malattia, azzerato da un fallimento personale e professionale, un mal di vivere possibile solo in superficie tralasciando lo scopo prefisso, indirizzato a una tenebrosa e malinconica strada che risuona ai ritmi del blues...

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68 Opinione inserita da 68    02 Gennaio, 2021
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Doppio viaggio e ritorno

Un uomo e una donna morente diretti ai confini del mondo, lunghi giorni di viaggio nell’estremo nord di un paese nordico, una coppia unita indissolubilmente, un legame a tempo e l’inizio di altro, un bimbo da adottare a suggello del proprio desiderio di genitorialita’.
Il treno avanza lentamente nel cuore di atmosfere innevate, sfuocate, notturne, ad attenderli un hotel dagli ampi saloni vuoti, freddi, bui, figure che si aggirano nella notte, una vecchia attrice che fatica a provare sentimenti, che per guadagnarsi da vivere suona il pianoforte e canta nella Hall, un originale e giocoso uomo d’ affari, un barista enigmatico con una strana espressione dipinta sul volto.
La donna è stanca, dorme continuamente, la sola cosa che le concede un dolce riparo, la voglia di vivere l’ha abbandonata, il sonno la riconsegna alla persona che è stata, ancora sana, consapevole del poco tempo rimastole.
L’ uomo la guarda, anch’egli e’ stanco ma non trova riposo, si aggira nella hall dell’albergo inseguendo un po’ di sostegno, affacciandosi a figure eccentriche e legami inconsueti.
Una simbiosi assodata in pochi giorni restituisce altro, l’ impossibilità di una gravidanza a lungo cercata, inclinazioni omosessuali, un certo egoismo sentimentale, a contorno una figura misteriosa sembra promettere una guarigione miracolosa e un cambio di rotta.
Lentamente l’ uomo e la donna ritornano al passato svelandosi per quello che sembrano non essere, lui nega l’evidenza e le proprie inclinazioni sessuali, nascosto a se stesso e ricercando complicità, ignorando la verità visibile agli occhi altrui, la donna, improvvisamente, pare cambiata, convinta della propria guarigione, rincorrendo una prospettiva del tutto diversa.
Un rapporto che inevitabilmente si guasta, insieme al proprio desiderio condiviso, nell’ incertezza di un’epoca buia in cui nessuno riesce a trovare la via di casa.
Che cosa è realmente successo? Non si sa, qualcosa di diverso, di straordinario, forse solo un desiderio inconscio o un artificio, di fatto la donna ha smarrito ogni forma di autocontrollo, si sente libera, desidera essere finalmente se stessa, assaporando i giorni rimasti nella serenità di un sentimento condiviso che respinge la semplice gentilezza dell’altro.
L’ uomo è confuso, vacilla, cade, si rialza, sembra rivivere un lutto non ancora interiorizzato per tornare alla vita sotto una prospettiva diversa.
Di certo una nuova vita può, nei limiti del probabile, subentrare senza gli errori del passato, evitando il giudizio e la colpa per quello che non è stato e per un atteggiamento egoistico, prendendosi cura dell’ altro, colmandone il senso di vuoto e la solitudine nel respiro disinteressato del proprio amore.
Come Peter Cameron ci ha abituati, tra atmosfere sommerse e romanticamente esposte e l’uso di un linguaggio evocativo, i suoi personaggi si nutrono di interiorità, in un percorso che scava nelle loro vite estraendone verità nascoste. I sentimenti faticano a decollare, l’ incertezza prevale, un senso di smarrimento incombe, sogno e realtà mescolati in un equilibrio precario che genera un cortocircuito.
Il romanzo si addentra in un mondo fiabesco tra personaggi solo apparentemente impalpabili, un viaggio nel viaggio tra sentimenti sbiaditi al cospetto di una apparenza diversa.
La donna vorrebbe essere lasciata andare, sentirsi finalmente se stessa, essere amata, ormai è tardi e non le resta che proiettare i propri desideri, l’uomo vorrebbe amare ma non ne è capace, ancora sconosciuto a se stesso, fino a quell’evento catartico e miracoloso che lo proietta in una neo dimensione e in un futuro di padre tutto da scrivere.

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68 Opinione inserita da 68    28 Dicembre, 2020
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Fragilità esposta

Henry e Daisy, un destino accomunato da una conoscenza centellinata e in parte indiretta, anime fragilmente esposte a fallimenti sentimentali, ciascuna a modo proprio, così uguali e diverse nel caos della proprie vita affettiva.
Daisy è una cinquantacinquenne impaurita, delusa, svuotata, che cerca riparo in un cottage isolato e da sistemare, due fallimenti matrimoniali con uomini talmente pieni di se’ da dimenticarsi di lei, tradita e non amata, un’ esistenza di vuoti e ferite ancora aperte, una figlia di cui non si è occupata abbastanza impegnata a preservare la propria esistenza.
Henry è un giardiniere che vive su una barca prestata da amici, innamorato della letteratura e alla ricerca di una stabilità’ estranea ai sentimenti, bugiardo e autocelebrativo, cinico e suadente, con un approccio sistematico e speculare nei confronti del gentil sesso. Sa come insinuarsi nelle crepe della preda individuata cuocendola a fuoco lento, vincendone diffidenza e resistenza con garbo e osservazione attenta, spogliandola delle certezze e vincolandola ai propri desideri.
Il romanzo è il tentativo di costruire una relazione amorosa dopo un incontro casuale e di vicinanza, condito da assenze protratte, da una fitta corrispondenza epistolare, da informazioni sottratte furtivamente, da una condivisione domestica, da apparente dedizione e cura, da un progressivo avvicinamento, superata ogni diffidenza, dalla rappresentazione di un passato più o meno vero.
I protagonisti sono due ma una è la voce narrante, quella di Henry, Daisy inizialmente è presa da altro e pare distante, ascolta, rimugina, ricorda, dubita, soffre, fisicamente e sentimentalmente, per abbandonarsi lentamente a un senso di accudimento individuabile in due elementi, fiducia e confidenza.
Henry le si avvicinerà accudendone il giardino in sua assenza, assistendola amorevolmente al suo ritorno, facendole respirare la sua presenza in ogni momento.
E allora i suoi propositi prendono forma, parrebbe quasi amore laddove la certezza dell’ uno ha fatto breccia nei dubbi dell’ altra e oggi, totalmente esposti, il proprio cuore ha ceduto e l’amore decolla.
Ma, come in tutte le farse, il breve idillio non può che finire e, addentrandoci in un thriller psicologico dai risvolti sentimentali, pochi cenni fanno crollare un piano scrupoloso e fragilmente esposto, l’ amore dell’ uno smaschera le mancanze dell’ altro, così distanti nei propri intenti sentimentali, un ribaltamento di ruoli corroborato dalla presenza di amici e parenti.
Imprevedibili accessi d’ira, la perdita di ogni certezza, una verità svelata, il peso di un passato che ritorna. Che cosa resta se non il vuoto e l’ inganno di una ennesima delusione sentimentale, ancora più forte, e un cambiamento di rotta alla ricerca di un’altra preda da soggiogare?
Un romanzo intensamente lineare, equilibrato nella forma e nella sostanza, uno dei migliori nella produzione letteraria dell’ autrice che riesce a rivelare e a svelare se stessa e il proprio sentire, un viaggio in sentimenti da tempo violati e resi fragili da un microcosmo maschilista deviato e deviante.
Un linguaggio semplice, scorrevole, mai eccessivo, ci consegna una voce di sicuro talento, già apprezzata nella Saga dei Cazalet, che qui in particolare entra nelle menti e nei sentimenti dei protagonisti restituendo al lettore una lucida presenza e una voce vivida, quella di una donna tradita e violata nella propria fragilità esposta.

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68 Opinione inserita da 68    26 Dicembre, 2020
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Umana dissolvenza

Prima, dopo, durante, pezzi di umanità ridotti a brandelli, anime morte e vite prosciugate di compassione attraversando la guerra, giorni interminabili in trincea, una disumanizzazione che ne ha cambiato l’ essenza, rimosso il passato e azzerato il futuro, invecchiati per sempre, annegati in un presente di giovinezza che avrebbe meritato altro.
Diciannovenni sani e forti, partiti dalla stessa aula di scuola per andare al fronte, imbevuti di idee confuse che avrebbero conferito alla vita e alla guerra un carattere ideale e quasi romantico, indottrinati da un maestro follemente intriso di niente, sottratti ai propri sogni sulla soglia dell’ esistenza, indirizzati allo stupore del bello e d’ improvviso gettati laddove tutto cambia per sempre.
Al fronte si cresce velocemente in una lotta senza speranza che svuota cuore e mente sovvertendo le priorità al servizio della patria, li’ è impartita la più raffinata educazione di caserma, si diviene duri, spietati, vendicativi, rozzi, diffidenti, qualità indispensabili per sopravvivere, adattandosi a ciò che la guerra ha prodotto di meglio, il cameratismo.
Contorniati e soggiogati dal terrore della morte senza essere ribelli, disertori e vigliacchi, si avanza con coraggio, imparando a distinguere e sapendo che il mondo che è stato non sopravviverà, terribilmente e spaventosamente soli, e da soli si deve sbrigarsela.
A casa si sono lasciate un fascio di poesie, l’ inizio di un dramma, letture, parti di se’, quel poco che si aveva, i genitori, la scuola, qualche ragazza, un po’ d’ entusiasmo, di questo non è rimasto più niente, induriti in una forma strana e dolorosa, nonostante non ci si senta più capaci di tristezza, identificato il concetto di patria nella rinuncia alla personalità.
Chi è quel giovane soldato che ci guarda, che cosa rappresenta, crede, pensa, e dopo la sua morte, da noi indotta, chi gli sopravvivrà, se non i resti di una famiglia?
Come si ritornerà a casa, non più giovani, dei profughi che fuggono da loro stessi, diciottenni costretti a sparare contro il mondo e l’esistenza, colpiti al cuore, esclusi dall’attività’, dal lavoro, dal progresso, che credono nella guerra?
La casualità spinge alla sopravvivenza e rende indifferenti, trascinati da un’onda che moltiplica le proprie energie e rende crudeli, briganti, assassini, ...” anime morte che hanno perso ogni compassione, viaggiatori di passaggio nel paesaggio della loro giovinezza “... rozzi, tristi, superficiali, perduti per sempre, in giorni inconcepibili e ovvi.
Si può resistere ma non dimenticare e, una volta tornati dal fronte, comincerà la resa dei conti sulla vita e sulla morte, e i giorni e gli anni trascorsi in trincea rivivranno.
E allora, nella tremenda ansia di una madre si ritrova la propria calma e un mondo estraneo, logorati dentro, tutti parlano troppo, hanno preoccupazioni, scopi, desideri impossibili da concepire, i libri contengono parole ormai illeggibili e irraggiungibili e c’è un letto di ospedale che mostra il vero volto della guerra, ...” un viaggio senza ritorno dalla tragedia alla farsa “..., appesi a una fragile speranza, presto dissolta .
Questa la voce reale e sofferta di “ Niente di nuovo sul fronte occidentale “, pubblicato per la prima volta nel 1929 e considerato uno dei libri più veri sulla carneficina della Prima guerra Mondiale, testimonianza di una generazione che, quando sopravvissuta ai moderni strumenti di morte, ne è stata distrutta.
L’ edizione edita da Neri Pozzi si avvale delle bellissime illustrazioni di Marco Cazzato che restituiscono il dramma, l’ intensità e la lucida rappresentazione del fronte, accompagnandone, pagina dopo pagina, la cruda essenza e il senso insensato di ventenni per anni occupati a uccidere, ...” una prima e unica professione nella vita con un sapere limitato alla morte “..., resi inutili ed estranei a se stessi.
...” Che ne sarà di noi “.. si chiede il protagonista, Paul Baumer, appeso a una flebile speranza suo malgrado inevasa.

... mi alzo, sono contento, vengano i mesi e gli anni, non mi porteranno via più nulla. Sono tanto solo, tanto privo di speranza che posso guardare dinanzi a me senza timore. La vita, che mi ha fatto attraversare questi anni, è ancora nelle mie mani e nei miei occhi. Se io abbia saputo dominarla non so. Ma, finché dura, si cercherà la sua strada, vi consenta o non vi consenta quell’ essere che nel mio interno dice “ io “.

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68 Opinione inserita da 68    21 Dicembre, 2020
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Fortunata disgrazia

Un viaggio in un secolo di storia famigliare, tre generazioni di Skrake a confronto all’ interno della lucida follia dei protagonisti nella tormentata storia dello stato finlandese, tra guerre intestine e alterne alleanze filo europee.
Kjell Westo, noto scrittore e giornalista finlandese contemporaneo di lingua svedese, da’ voce al protagonista, Wiktor Skrake, che ricostruisce la propria origine tra sbalzi temporali, vizi e virtù, consapevole che la storia è solo una fiaba crudele e irresponsabile e, come recita un vecchio adagio finlandese, ... “ tutto è in prestito “..., a noi attribuirle senso e contenuto.
Lo fa servendosi di una prosa fluida e scanzonata, che non si prende troppo sul serio, intrisa di aneddoti, humour, paradossi, sbalzi umorali nella tragicommedia della vita.
La trama approfondisce le vicende del nonno Bruno, capostipite della famiglia e imprenditore di successo, uomo facoltoso, dello zio Leo, che crede negli alieni e gira in bicicletta, amante dello spazio, con una grande voglia di vivere e una conoscenza enciclopedica, poeta e insegnante di sensibilità sopraffina e carismatica presenza, del padre Werner, dedito alla pesca e al lancio del martello, all’ adorazione di Elvis Presley e di Jurij Gagarin, sfortunato protagonista con una nomea di sciagurata follia che lo inseguira’ fino alla morte.
Un mondo di frottole che aiuta a chiarire l’essenza degli Skrake, il desiderio del protagonista di soffermarsi sulla propria vita e su quella del padre, da cui discende direttamente, di quella somiglianza acclarata e deviante che ricerca una stabilità a lui necessaria.
Viaggiando nel tempo Wiktor si chiede cosa abbia reso tale la sua famiglia e che cosa in particolare nasconda l’ instabilità paterna, un disadattamento e una fuga con uno sguardo disincantato sul mondo, inserita nel cuore della storia e dei suoi cambiamenti.
Gesta simboliche e mitologiche in cui convivono leggerezza e profondità, normalità e follia, nella buffa ripetizione degli stessi errori, nel cercare il lancio perfetto, la trota più grande, lo scritto più poetico, riparo ed espiazione dai mali del mondo e da una famiglia intrisa di eccessi e dicotomie.
Wiktor, trasferitosi a Helsinki ancora diciassettenne, ha avuto molte donne ma non si è mai sposato, non ha figli, ha studiato arte e sociologia ma non si è mai laureato, un misto tra giornalista e pubblicitario, da sempre filosofo e artista che non distingue tra sogno e realtà.
Oggi vediamo un manipolatore di anime, la sua e quella degli altri, erede di una casa che odia, figlio della terza generazione di Skrake di Roberga, un uomo che ha introiettato la maggior parte delle fisse di Werner.
Forse tutto sarebbe cambiato se suo padre non fosse stato colpito dal proprio destino, dalla inverosimile capacità di provocare catastrofi, una persona dai molti talenti che non ha saputo incanalare, con occupazioni varie, all’inseguimento di strade solitarie, in perenne conflitto con il mondo e con il tempo, un uomo che ha cominciato ad affrancarsi dalla realtà e a sparire per giorni interi, in preda ai propri fantasmi, fino a quando si è arreso dimenticando il carattere irruente del passato.
Wiktor presto si innamorerà della corsa, un modo per liberarsi in aria, si trasferirà a Helsinki per acquistare libertà e anonimato, non per essere trascinato nel pantano della storia della sua famiglia. Qui precipiterà sempre di più nella città, nella sua luce e nelle sue tenebre, conoscendo uomini e donne che in futuro avrebbero fondato aziende, dato vita a campagne pubblicitarie, scritto libri e pezzi teatrali.
E si chiede come sarebbe stata la sua vita cittadina e se sarebbe stato diverso qualora il nome dei suoi antenati non si fosse legato ai loro fallimenti.
Chissà, di certo il presente lo ha immunizzato dalla smodatezza del passato, chiarendo che amore e amicizia prevalgono su vanità’ e biologia e che un amore condizionato non può esistere, anche se alcuni tratti si portano dentro.
Nel mentre un anno è passato, un’ esperienza intensa di scrittura e di vita.


...” Il sole è basso, le poche nuvole serali sono bordate di giallo oro. Il vento soffia da stamattina, una brezza costante dal mare. Dalla finestra vedo la chiazza verde chiaro delle poche piante latifoglie sui Sydholmar. L’acqua del mare è fredda, così fredda che di sicuro i Pesci d’ Argento sono ancora lungo le spiagge degli isolotti. Prima che cali il buio ho intenzione di uscire a tentare la fortuna “....

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68 Opinione inserita da 68    19 Dicembre, 2020
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Misteriosa essenza

David, un ragazzino speciale con una missione da compiere, oltre il proprio stato di orfano, l’amore per Don Chisciotte ma non per la lettura, il disprezzo per la matematica, la fuga in un orfanotrofio da cui essere adottato, il ricovero in ospedale per una misteriosa malattia invalidante, l’amore e la sofferenza di due genitori in prestito.
Tanti significati più o meno simbolici restituiscono un testo complesso nella interpretazione, terzo di una trilogia, una parabola sulla vita e sulla morte, sullo stare al mondo e sul senso di identità e appartenenza.
In verità il racconto parrebbe una fiaba evangelica, la descrizione dettagliata dell’ eccezionalità di un bambino di dieci anni, figlio adottivo, portatore di una missione necessaria, che riesce a estrarre il meglio da chi lo circonda e sa farsi ascoltare, che racconta delle storie e sente un senso del dovere verso gli orfani di tutto il mondo, che si pone domande sulla propria origine.
Egli stesso, agli occhi di Simon e Ines, presenta parecchi lati oscuri, entrambi si sono nutriti della sua presenza abbandonando una porzione del proprio mondo, lo amano incondizionatamente ma lo vedono allontanarsi e ripudiarli inseguendo un sogno, un senso, un destino da compiersi.
David ha imparato a leggere da solo, non ha maestri, ha un testo, il Don Chisciotte, unico riferimento da trattare come storia vera, non semplice finzione letteraria.
Grazie alla sua voce il libro prende forma e comincia a parlare, raccontandoci il potere dei sogni, ma Il suo campo di esperienza è limitato, quello di un bambino che ama danzare e tirare calci a un pallone ma ancora in balia del mondo.
Non ascolta i consigli degli adulti, Simon e Ines, uniti nell’orgoglio della sua presenza e nella gioia della sua intelligenza, che si sentono inadeguati al compito affidatogli, anzi, è piuttosto irriguardoso e insofferente nei loro confronti, forse non è un comune mortale, viene da un altro mondo o da un’altra stella.
David vorrebbe diventare quello che vuole essere, inseguire le proprie inclinazioni, affranto da un tormento interiore che diverrà fisico, un dilemma di sofferenza decisamente intollerabile.
È una creatura che appartiene a tutti e a nessuno, che ha molte cose da insegnare e da chiedersi, che lascerà prematuramente il mondo forse ucciso dai camici bianchi, interrogandosi su se stesso, gli altri a interpretarne il senso delle parole e la missione su questa terra.
Un testo enigmatico, simbolico e allegorico, un viaggio stanziale che fa riflettere, facili i richiami alla breve vita di Gesù su questa terra. Un linguaggio scarno, essenziale, oggettivo, molte domande e nessun giudizio espresso, un senso di incompiutezza interpretabile sul significato di vita e di morte, e sul senso più vero, oltre la fede, che abbraccia temi umani, psicologici e filosofici, insiti nel mistero della vita stessa.

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68 Opinione inserita da 68    13 Dicembre, 2020
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Deragliamento famigliare

Azami, primo capitolo di una pentalogia, è un lungo racconto che riscopre e riallinea per un breve periodo gli stanchi giorni vissuti dal protagonista, Mitsuo, a quelli di Mitsuko, vecchi compagni di scuola persisi dopo l’ infanzia e riabbracciatisi per caso molto anni dopo, quando l’età adulta ha di nuovo riallineato le loro storie, all’ apparenza antitetiche.
Se Mitsuo, una moglie e due figli, redattore in una rivista d’ attualità, cerca di evadere da un lavoro spossante e da un matrimonio piuttosto ordinario che lo ha privato dell’ intimità di coppia indirizzando il proprio desiderio alla frequentazione di locali a luci rosse, la bella e intrigante Mitsuko vive le difficoltà del presente tra il lavoro in un bar e l’ attività di entraineuse, così lontana dall’ immagine di lei che il protagonista conservava nella propria memoria.
È stata il suo primo amore, e così sarà per sempre, in tutti questi anni Mitsuo non l’ ha più rivista, nemmeno nelle riunioni tra vecchi compagni di scuola organizzate dall’ambizioso e vendicativo Goro.
Oggi, improvvisamente, il loro rapporto rinasce in un legame fragile e momentaneo, prevalentemente notturno, fatto di passione e della ricostruzione di un passato che pareva sepolto o dimenticato, in parte ignorato, una parentesi fugace all’ interno di un matrimonio che non ha da finire ( ..” amo ancora Azuko. Non voglio divorziare. Dobbiamo trovare una soluzione ragionevole per continuare a essere una coppia”.. ) e in un cambio di rotta lavorativo, trasferendosi in campagna con la famiglia.
Ali Shimazaki, apprezzata in “ Nel cuore di Yamato“, si serve di una scrittura scarna, diretta, minimale, che arricchisce dolcemente con termini della propria terra, per introdurci in una logica famigliare piuttosto banale ricoperta di mistero nell’ idea che i personaggi costruiscono o inventano in merito ai propri ricordi e desideri.
Se Azami ( il soprannome dato da Mitsuo a Mitzuko), il fiore del cardo, ricco di spine, ci riporta alla bellezza del suo colore violetto, se l’origine etimologica dei nomi dei protagonisti racchiude l’idea condivisa di un appagamento non presente nelle loro vite, per tutto il racconto, tra atmosfere allusive e simboliche, Mitsuo si perde nel ricordo di un amore romantico che cerca di rivivere, rinunciando a malincuore a sogni non leciti e che tali rimangono, e la stessa Mitsuko ondeggia tra reale e immaginario, sempre più coperta di mistero.
Strane e improvvise coincidenze svelano profondità, la grazia di una scrittura pervasa di dettagli che accompagna i protagonisti in un destino che pare già scritto, scavando nei significati più intimi di fronte ai quali inesorabilmente declineranno.
Forse la verità sta altrove e i propri occhi hanno vagato nel cuore di quello che avrebbero voluto vedere, raccontando una porzione di storia destinata presto a dissolversi, condita dal desiderio di altro, un sogno a cui rinunciare, se non dentro di se’.
Ecco, allora, che risuona una voce lontana... Mi chiamo Azami. Sono il fiore che culla la notte. Piangi, piangi fra le mie braccia. L’alba è ancora lontana...

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68 Opinione inserita da 68    10 Dicembre, 2020
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Donne a confronto

Una scrittura, come sempre, rivolta all’ interiorità, a una profondità psicologica e relazionale molto femminile, la ricostruzione di un microcosmo sentimentale, un uomo condiviso da due donne in periodi diversi, il bisogno di capire il passato, una relazione virtuale nata sotto pseudonimo, lettere, conversazioni, intrecci a rievocare la propria storia.
Al centro una noiosa borghesia autoreferenziale sgretolata nell’oggi da cambiamenti sociali e culturali, da una neo dimensione personale, di ruoli e situazioni, da una fragilità esposta senza la necessità di essere mantenuta.
Maria, ex moglie e pittrice, Elena, ex studentessa di economia, c’è chi guarda l’opposto con gli occhi dell’ex marito e vorrebbe conoscere l’ altra per sentirsi più libera e chi vuole scrivere di quello che hanno scoperto insieme, della loro amicizia, di uno scambio epistolare durato un anno ricordando episodi di vita vissuta.
Un legame forse voluto da altri, una relazione accresciuta da confidenza e curiosità, il desiderio di essere ascoltate nella propria dimensione più vera, scoperchiando ogni fragilità.
Lui, Piero, è un professore universitario, uno di cui parlare senza saperlo, un uomo che avrebbe fatto soffrire la moglie e vissuto una storia d’amore con una ragazza di trent’anni più giovane, e chi ha incontrato un uomo dopo una vita vissuta con ‘un’altra sa che l’altra continua a esserci ed è impossibile liberarsene.
E allora che cosa si racconta e a chi ci si rivolge se non a se’ stesse, trascinando l’ esito di amori che ci appartengono e continuando a riviverne i fallimenti?
Un matrimonio, tre figli, dopo tanti anni Piero desiderava riavere la ragazza di un tempo e Maria che lui partecipasse allegramente al meraviglioso mondo famigliare da lei creato, per contro Elena continua a interrogarsi sui motivi di una scelta, sul proprio ruolo, con l’idea che si discuta di lei per parlare di loro.
Il passato incombe, un padre che ha celato la propria identità , una moglie che ha sottratto i figli a un segreto per preservarli e preservarsi, un figlio ( Francesco ) che non si è mai sentito amato, concepito nel pieno di una crisi matrimoniale, con problemi relazionali e di autostima, perché i figli respirano e assorbono l’aria di casa.
Piero ha pensato alla carriera, in fuga tra le braccia di altre donne, Maria ha sempre lavorato e si è occupata di tutto, rancorosa, Elena continua a cercare una strada che non sia la riproduzione di una affettività paterna negata.
Tutti fuggono da qualcosa e finiscono con il ripetere i comportamenti genitoriali, ciascuno è l’esito di svariate storie d’ amore e non si salva da solo, i fallimenti appartengono a tutti.
Elena è figlia di varie donne nate prima di lei, Piero di vari uomini e del suo matrimonio con Maria. Memorie, condizionamenti, gioie, errori, un amore nato da una fuga, storie che si sono pericolosamente toccate scoperchiando la fragilità della propria.
Oggi è ancora possibile liberarsene riuscendo a convivere o si è destinati alla fuga, a una ricerca protratta, al desiderio di un cambiamento futuro?
Il microcosmo borghese della Comencini ci accompagna in stanze affollate da ombre famigliari ( tante ), piccole trame per tornare all’origine, a dolori inespressi, a momenti di gioie inevase in un presente che insegue e fugge da un passato spesso celato, una reiterata seduta psicanalitica che ancora ricerca la propria essenza.
Vite a metà, per lo più indirizzate al fallimento ( relazionale ), generazioni a confronto in una resa dei conti che sconfessa bugie pregresse quando ormai pare troppo tardi, i tempi sono cambiati, passato presente e futuro nascondono insidie e fragilità diverse, la possibilità di rinascere, come sempre, insegue il riconoscimento, l’accettazione, il perdono, l’espiazione e il raggiungimento della giusta dimensione di se’.

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68 Opinione inserita da 68    05 Dicembre, 2020
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L’origine del cuore

Due sorelle e la loro storia, microcosmo di affinità e lontananza, fisica e caratteriale, condivisione affettiva in un paese, Borgo Sud, arroccato sulle colline, terra forte e gentile, immerse nella durezza del dialetto abruzzese.
Un legame di sangue spezzato da una diversità acclarata, vite devianti e caratteri opposti, visioni estreme, la stessa difficoltà d’ amare.
Adriana è vivace, pericolosa, imprudente, girovaga, da sempre la sorella ha avuto paura di lei provando un forte disagio nel cuore del loro legame di parentela, una giovane donna che sa come ricondurla all’ origine.
La protagonista ha contrabbandato una falsa normalità, due orfane simboliche di genitori indifferenti e in parte sconosciuti, abbandonate al mondo, a loro stesse, semplicemente sorelle, e ciascuna ... “ restava nella certezza dell’altra al fondo del dolore che non si sono mai confessate”....
Il viaggio temporale di questa insegnante universitaria emigrata in Francia riabbraccia nel presente e nel ritorno al borgo natio momenti di vita vissuta, un precoce legame matrimoniale ( con Piero ) precocemente spezzato da plurimi tradimenti a lungo negati, una madre imprevedibile come il suo affetto, un padre egoista e ottuso a cui tutto è dovuto, e Adriana, incontenibile nell’ esercizio della sua libertà, anche se la memoria può giocare brutti scherzi.
Il ritorno, richiamata da un evento tragico e indecifrabile, riabbraccia il sospeso lasciando il costruito, la propria carriera, quel mondo a parte costituito da un libro aperto sulle poesie che ama, un seminario da preparare, un ordine stabilito e tornando a Borgo Sud riemerge una vita che sembra più vera, scandalosa, pulsante tra chiacchere che volano di bocca in bocca.
Sopravvive un legame dicotomico, d’altronde Adriana è sempre stata così, una che cambia umore da un momento all’ altro mentre Il pensiero va all’ex marito, all’ impossibilità’ di vivere un futuro diverso dal suo, forse neanche oggi, uno stato ... “ di inquietudine che tollera la distanza voluta “... Questo è il suo segreto, la sua devozione, l’ essere stata fedele a un uomo che non avrebbe mai potuto amarla.
Quanta memoria rivive, quel giorno in cui Adriana si affacciò con un figlio sulla porta di casa, frutto di un legame turbolento con un uomo violento, alcolizzato, senza presente e futuro.
Quante situazioni, pensieri, luoghi, a cominciare da una madre che si è ritirata piano piano nell’ indifferenza terminale, morta di cancro ma di molto altro, sopraffatta dalla vita, dalla sua inutilità, con i figli distanti.
Il ricordo ...” è una forma di recriminazione, è il perdono che non trovo “...
Le due sorelle sono e saranno sempre due scappate di casa, figlie di nessuna madre, ognuna con la certezza dell’altra al fondo di quel dolore che non si sono mai confessate, nel presente sopravvive una maledizione da cancellare, retaggio di un passato vergognoso e c’è un figlio, Vincenzo, cresciuto tra i cocci di un matrimonio confessato tardivamente e che ne porta gli esiti dentro.
Rimane un legame forte indifferente a se’ stesso, una preghiera per il futuro, un’ aria stanca dopo il pericolo scongiurato, il desiderio e la consapevolezza di un lento ritorno alla propria vita.
E allora ...” so cosa chiedere, non a chi. È limpido e deserto il cielo di novembre. Solo le leggi eterne che governano il moto delle stelle e i cicli delle stagioni sulla terra porteranno la fortuna per Vincenzo, forse un po’ di pace a mia sorella. È questa l’ unica preghiera “...
Un romanzo che riserva una certa asciuttezza espositiva e scava nell’origine abbandonata di un passato tuttora pulsante, una scrittura vivida rivolta alla propria terra, una storia al femminile che declina in una riflessione psico-relazionale sul senso del proprio cammino.
Certi legami sopravvivono, altri si spezzano nell’indifferenza o nella necessità dolorosa della quotidianità e di un futuro diversi.
L’ incedere del racconto abbraccia sensazioni di una vita intera, gioie, dolori, la struggente bellezza e la turbolenza di un rapporto diverso e complementare nella tragicommedia affettiva del proprio lascito famigliare.
Il dolore è un sentimento difficile da affrontare, a tratti traspare e si sente, la fragilità anche, ma l’insieme non genera un’ armoniosa presenza, con l’ impressione di un percorso balbettante e stereotipato tra intervalli di buona letteratura.
Il seguito de “ L’ arminuta “ ( 2017 ) non sembra possederne impatto, forza e profondità, bensì un’ immagine piuttosto sbiadita di se’.
Alla fine, malinconicamente, emergono l’ accettazione di un reale acclarato, la speranza e la consapevolezza di un futuro possibile, una preghiera poco consolatoria, prima di riprendere il cammino quotidiano, con un certo distacco, senza fretta, in luoghi che sembrano mancare....

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68 Opinione inserita da 68    05 Dicembre, 2020
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Scuola di vita

Un professore di scienze non vedente, novello Omero, un istituto tecnico alla periferia, una classe di dieci studenti con vissuti problematici rapiti e forgiati nella propria essenza, un corpo didattico demotivato guidato da un preside retrogrado e autoritario, l’ inizio di una rivoluzione pedagogica e istituzionale anticonvenzionale che origina dalla definizione di se’, dal desiderio di amare e essere amati, semplicemente di essere.
Questo il nuovo romanzo di Alessandro d’ Avenia, un autore e un pedagogo che sa muoversi con maestria in una terra da lui frequentata e ben conosciuta, quell’universo scolastico e adolescenziale così complesso e complicato, irrisolto e fragile, che pone domande e attende risposte.
La scuola dell’oggi pare essere naufragata, abbandonata a se’ stessa, al buon cuore di pochi insegnanti appassionati, a iniziative personali bocciate o ignorate, in una visione che antepone la persona allo studente ribaltando il senso dell’ appello, rinnovato ogni giorno, un nome proprio con caratteristiche uniche e definenti, una storia da raccontare, non semplice presenza tra i banchi, ribadendo l’insensatezza di un luogo che istruisce senza educare, che pretende e non ascolta, che generalizza senza individuare.
Temi importanti, indispensabili per delineare il futuro occupandosi del presente dopo una lettura attenta del passato. Un amore indiscusso per l’insegnamento che esprima essenze e senso critico oltre ogni semplice nozionismo fine a se’ stesso, un amore incondizionato per la cultura, uno sguardo alla volta celeste, laddove sogni e desideri scrutano l’ infinito.
Singole storie, collaborazione, ascolto, silenzio, condivisione, empatia, un occhio universale, interdisciplinare, scardinando un sistema di pubblica distruzione che insegue programmi e competenze sterili e stereotipati, tralasciando l’ individuo e la sua unicità, incapace di emozionare e appassionare, di coltivare i sentimenti, di accompagnare una crescita umana e personale cuore di essenze e non di semplici competenze.
La scuola magister vitae, luogo di incontro e confronto, anche di scontro, tappa fondamentale nel processo di crescita e di consapevolezza, base forgiante per affrontare la vita, credere in se’ e scovare le proprie inclinazioni, divenire cittadini del mondo.
Un testo di denuncia, di rassegnato ottimismo, una parabola impregnata di indiscutibili verità, sotto gli occhi di tutti.
Citazioni letterarie, poesia, filosofia, matematica, scienze, un cerchio perfetto tracciato da un insegnante che vede senza poter vedere attraverso gli occhi degli altri e da alunni che ne assorbono e trasmettono l’ esempio, rapiti da carisma e saggezza olistica.
Un testo da apprezzare per questi significati, evitando di addentrarci in analisi che poco hanno da offrirci in un senso puramente letterario. Forse che i protagonisti siano vittime del proprio ruolo, semplici strumenti di altro, di un’ utopica presenza che tutto investe e include, di un insegnante con poteri divinatori che insegue e pretende l’ impossibile, che vede e crede dove gli altri non arrivano per negligenza, insipienza e noncuranza, un messaggio corale e messianico per ricostruire la scuola e quindi una società migliore?
Difficile dirlo, di certo il potere delle idee e delle parole resta fondamentale, l’uso che se ne fa anche, e qui abbondano, ma un romanzo dovrebbe esprimere altro, nascere e sviluppare una trama partendo da contenuti intrinseci, sviscerare e sorprendere, essere credibile, esplodere all’interno di se’, prendere vita, oltre i confini pedagogici e la denuncia di quello che obiettivamente non va e dovrebbe essere o limitarsi a una lezione onnisciente e a ripetute citazioni colte .
Sintetizzando, bene il divulgatore, ottimo l’insegnante, non altrettanto lo scrittore, del tutto lecito da un romanzo infarcito di buone citazioni letterarie aspettarsi qualcosa di diverso e migliore.

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68 Opinione inserita da 68    02 Dicembre, 2020
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La confessione di un padre,Ivan, pittore piuttosto famoso, al cospetto della giovane figlia Maria, terrorizzato dall' idea suicidaria di lei dopo una delusione amorosa, dalla stessa soccorso e accompagnato in ospedale per una caduta accidentale in un improvviso e incredibile ribaltamento di ruoli.
Qui, in attesa di cure, ascoltato da chi richiedeva ascolto, apre il proprio libro della memoria, un soliloquio su vita e sentimenti che lo riporta agli anni '80, ai giorni della propria adolescenza, quando speranze, sogni e desideri cozzavano contro un reale complicato.
E' il periodo delle scuole superiori, delle prime amicizie e dei primi amori, della ribellione, di un desiderio di evasione da una provincia dove poco accade e vince la noia, seppelliti in un buco di paese con un unico cinema. Allora ciascuno cercava di evadere a modo suo, Ivan si divideva tra i disegni, i bar e le partite di pallone, attratto dal fascino metropolitano di un capoluogo,Torino, che prometteva il futuro.
Un giorno, tra i banchi, un' apparizione ne cambierà l’essenza, un colpo di fulmine sfociato in ossessione amorosa, una presenza che tutto cancella e riscrive.
Lei e' Eleonora, giovane supplente di lettere, bellezza trasudante mistero e desiderio, inseguita e ammirata, epicentro di pedinamenti, appostamenti, lettere, telefonate.
Un amore romantico, platonico, disperante e inevaso, da subito rigettato al mittente, che non accetta mezze misure, la differenza di ruolo e di età, e si nutre della propria essenza, quella assolutezza adolescenziale solipsistica e poco comprensiva, cosi' vera e ingenua da sembrare inopportuna.
Anni che egoisticamente contrappongono sé al mondo, anni di ribellione a regole imposte, a genitori autoritari e poco comprensivi, assaporando amicizie discutibili, assorbiti dalla propria acerba presenza.
Maria ascolta, si interroga e riflette su un padre da sempre assente, inavvicinabile, narcisisticamente assorto dalla propria arte, figlio di una generazione lontana e inafferrabile.
Eppure, nel silenzio dell'ascolto, lentamente si intravede uno spiraglio, una possibile comunanza, un’ Epifania generata dal racconto, quel flusso della memoria che diviene empatica presenza, condivisione, accoglienza, trasposizione sentimentale di un microcosmo emozionale tra mondi apparentemente antitetici.
È allora che la storia dell’altro diviene la propria storia, così gli amici, gli amori possibili e improbabili, le speranze e i desideri, e Maria non si sente più sola, vorrebbe trasferirsi da Ivan, assaporando finalmente il gusto di una vicinanza insperata, vera, di situazioni e sentimenti.
Un lungo racconto ben scritto a rappresentare anni apparentemente sepolti ma concretamente vicini nella memoria e nella lontananza per chi li abbia vissuti.
Oltre questo e in questo il respiro di una distanza incolmabile e inconciliabile, aggravata da noncuranza, incapacità, egocentrismo, una difficoltà destata improvvisamente dalla forza di una dolorosa presenza e di un grido vivido.
Ritornano il significato e l' importanza della relazione nella formazione dei sentimenti, nella centralità degli stessi e nella forza di un legame che riscopra le proprie radici, non solo famigliari, pure e semplici emozioni da esternare e condividere.

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68 Opinione inserita da 68    02 Dicembre, 2020
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Quale destino?

Il primo romanzo di Margaret Atwood, edito nel 1969 ( scritto e rifiutato dalle case editrici quattro anni prima ), e' una rappresentazione di un universo femminile indefinito, soggiogato da una società convenzionale, oppressiva, maschilista che la protagonista subisce inconsapevolmente, tormentata da un' accettazione autoimposta che dia un senso al reale e dal desiderio di seguire le proprie inclinazioni.
IL 1969 fu il periodo della nascita del movimento femminista nel Nord America, a cui il romanzo viene ricondotto per temi e contenuti, ma l' autrice nella postfazione ci ricorda che fu scritto nel 1965 e lo considera un testo protofemminista, non avendo lei ...” alcun dono di chiaroveggenza “....
Di certo i temi trattati riguardano la marginalità di un mondo femminile con poche possibilità di eludere un limbo di inutilità e indifferenza relegato a una carriera senza prospettive o al matrimonio.
In tale contesto la progressiva rinuncia al cibo da parte della protagonista, quel " cannibalismo simbolico " che all'epoca attrasse la curiosità della Atwood, si carica di significati.
Miriam vivra' tra realta' e desiderio, apparenza ed essenza, amore e tolleranza, frustrazione e rigetto, circondata da amicizie in via di definizione, un cortocircuito pericoloso e autodistruttivo, imbrigliata nell' ovvio ma con un' indefinita volontà di fuga, crisi di panico, il progressivo rigetto del cibo, inseguendo una collocazione nel mondo.
L' impiego poco gratificante in una multinazionale impegnata in sondaggi pubblicitari da girare al mercato, una formazione scolastica incentrata su altro, cominciano a insinuare in lei un' idea di inutilità, ricercando se' stessa nella vaga speranza di un senso.
È in balia di un fidanzato, Peter, obbrobriosamente convenzionale, uno da villetta e letto a due piazze, programmato per imbrigliarne la liberta' nei confini asettici di un legame che sopravvive ..., sulla superficie in cui galleggiano “..., una relazione oppressiva e insignificante che lei si sforza di mostrare perfetta in una bolla illusoria di amore e convenzionalità.
E poi c'è lui, Duncan, dottorando in letteratura, comparso per caso, indifferente alle cose, diverso, stravagante, anticonvenzionale, allergico agli individui e al superfluo, un giovane che vive alla giornata, insinuandole il dubbio su identità e cambiamento, anche se parrebbe solo un diversivo e una boccata di ossigeno al cospetto di un mondo che continua a richiamarla all' ordine prestabilito e al proprio senso di responsabilità.
Quante domande inevase, sulla propria e altrui identità, un desiderio di fuga che parrebbe riferibile all'es, ma il cambiamento fa breccia nell' io e il percepito pare diverso.
È realmente cambiata dentro, vittima o carnefice all' interno del proprio universo relazionale, quali soluzioni futuribili oltre una liberazione apparente dal proprio male di vivere?
Il futuro riserverà poche gratificazioni all' universo femminile, come sottolinea l' autrice stessa, il romanzo muove i primi passi nel mondo letterario della Atwood, e lo fa in modo piuttosto scomodo. Miriam è ancora una donna in divenire, confusa su quello che sara', non sa come muoversi e il testo dà la sensazione di essere costruito per esprimere un' idea chiara all’autrice, non altrettanto armonico nella rappresentazione e nello sviluppo dei fatti, ne' nella somma delle sensazioni esternate.
I personaggi vivono realtà separate, quasi rappresentassero altro, o solo se' stessi, piccole porzioni di un mondo interiore ed esteriore letterariamente ancora piuttosto acerbo e spezzettato.

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68 Opinione inserita da 68    16 Novembre, 2020
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Ritorno all' essenza



Una donna sola, un anno vissuto in montagna inseguendo l' amor proprio, un tentativo di ricostruzione chiedendo di essere dimenticata, lontana dalla incivile civiltà che rincorre il superfluo.
Dietro di se' il deserto dell' anima, dentro la voglia di rifiorire, una fuga per tornare a essere imparando a stare, nessun rimpianto, senza sentirsi continuamente altrove.
La montagna diviene magister vitae, essenza, cura, vita, attesa, silenzio, integrazione nel cuore di un' armoniosa presenza, la donna ne respira i ritmi, tutto si ricopre di senso e riscopre il proprio senso.
Qui si vive di mutualità, fidandosi di chi si ha accanto, ogni individualità diviene parte di un tutto, ogni oggetto, forma animale inconsapevole o umana presenza assume significato nel fluire dell'esistenza.
La protagonista si muove lentamente, in fuga da ciò che non le manca, cambia se' stessa, si adegua e si scopre diversa, abbandona le scorie del passato, si mimetizza e apprende, assorbendo e godendo dell' imperturbabile scorrere degli avvenimenti.
La montagna da' la vita e la toglie improvvisamente, non resta che accettarne e seguirne le regole, assecondarne la volontà cedendo alla paura, vivendo i singoli momenti.
Qui gli esseri umani assumono sembianze indefinite, ..." lo sguardo raccolto dello Straniero, la presenza muta della Guaritrice, la compagnia senza parole della Rossa al tavolo ".... volti scolpiti e trasfigurati, eterni per quello che rappresentano, cosi' umani nelle proprie debolezze.
C'è, in ..." chi abita questo luogo, la necessità di trovare riparo alle anime rotte, l'obbligo di occupare lo spazio che le ferite lasciano nelle persone, la maledizione di sentire il dolore dell'altro"....
I piccoli gesti assumono vita come i lunghi silenzi che predispongono all' ascolto e al senso di comunanza, addentrandosi in un universo di relazioni dove ciascuno fa la propria parte, aprendosi agli altri con grazia, sentendosi amato per quello che è.
La protagonista vive tra le scorie del passato, i mesi e le stagioni la ricondurranno al senso delle cose e delle parole, a una dimensione smarrita e ritrovata, laddove la fatica illumina i singoli giorni.
Qui ha così tanto tempo da condividere con sé stessa per conoscersi meglio, sentendosi parte del tutto e venendo a patti con l'esistenza in una vita che spesso fa resistenza, partecipe del proprio silenzio, un luogo immutabile in movimento, come tutte le creature che la abitano.
La montagna e' passato e presente, mentre le impronte nella neve presto svaniranno ricordandoci che non siamo niente e che l' inverno è il tempo della casa e dei ricordi.
Qui, lentamente, i legami si stringono, cresce la consapevolezza di sé e degli altri, l'ascolto insegna l' accettazione, si vive e non si sopravvive, riuscendo ad abitare il dolore.
Nella sofferenza della perdita la donna riscoprirà il senso delle piccole cose che abitano in lei, curando chi cerca cura, stringendosi attorno alle proprie paure, abbandonando la fretta.
E allora, con gioia, apprezzerà la sacralità della vita non consapevole in ogni essere che non sa di esistere e non si sentirà piu' sola, ma sapra' stare da sola.
La fine di un percorso sfocia in una Epifania, il ritorno si scopre diverso quando tutto è cambiato, allora non resta che ascoltarsi e incamminarsi verso il domani.
Poche parole, un cammino salvifico, ecumenico, necessario, distillato di essenza e semplice diario, un viaggio nel cuore dell'esistenza che non prevede ritorno, immersi nella consapevolezza di silenzi parlanti, laddove amore e poesia colorano il senso dell'esistenza.

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68 Opinione inserita da 68    02 Novembre, 2020
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Volontà e destino

L’ incrocio casuale nella romantica Firenze di tre anime diverse accomunate da un’attesa mascherata di altro, figlie della complessità, tra devianze e percezioni distorte, rapite dall’ attrazione reciproca e proiettate in un futuro condiviso ( a New York ) che ne condizionerà l’essenza.
Costanza è una fascinosa Italo-americana, traduttrice di professione, una vita di affetti svaniti, tradita dal proprio grande amore giovanile, il suicidio del padre tuttora avvolto nel mistero, sposata con uno scrittore divorato dalla malattia e con una madre terribilmente egocentrica.
Henry è un medico esperto di fecondazione assistita, figlio del proprio successo professionale, divorziato, con due figli maschi affettivamente lontani che, a modo suo, ama profondamente.
Andrew, figlio minore di Henry, e’ un giovane ancora innamorato e non più corrisposto con un padre che ignora, geloso delle attenzioni rivolte al fratello maggiore, affezionato alla saggezza e simpatia del nonno paterno, talmente rapito da Costanza da sembrarne innamorato.
Le vite dei tre si attraggono e si intrecciano, si cercano e si rigettano, costruendo e annullando un’idea di famiglia allargata che prevederà un nascituro, tra l’eco del passato e le gelosie di un presente assai ondivago.
Esistono segreti ovattati nella sofferenza e verità calate nella paura, un senso di inadeguatezza, seduti scomodamente in un presente apparecchiato da altri, misteri irrisolti e un’ anestetica routine che distoglie da un pressante senso di lontananza e da un vuoto famigliare onnipresente.
Assenza e menomazione accomunano i personaggi e svelano la trama, una logica comunicativa monca e distorta, assorti in una dialogica con sprazzi di soliloquio.
L’ impossibilità di essere genitori per cause fisiologiche e desiderio personale scuote e percuote buona parte del romanzo, una trama che vira in una serie di colpi di scena che riportano alle radici del male.
A un certo punto parrebbe una narrazione votata ai buoni sentimenti, ma così non è, trattasi di una riflessione dialogata e silente con un finale a sorpresa dove tutto si capovolge, introducendo una dimensione poco ortodossa ma necessaria alla contestualizzazione e alla riconversione del proprio microcosmo sentimentale, ridiscutendo i termini di un’ idea di vita e genitorialita’.
La famiglia e le proprie radici riportano come sempre al cuore dell’esistenza, che sia programmata, finta, smembrata, dissolta, di sangue o di relazione, quesiti irrisolti e irrisolvibili, maturati all’ interno del proprio io e delle esperienze, oltre la realtà tangibile.
Ecco l’ intreccio relazionale, sempre più complicato e determinante, che supera gli sconfinati orizzonti della medicina e della scienza, in grado di donare la vita a chi non può concepirla per recuperare la dimensione umana necessaria ad accettare l’ inaccettabile.
Un romanzo non banale anche se con una prima parte poco coinvolgente, una costruzione all’ eccesso in grado di riscattarsi in una seconda parte più credibile, un universo di relazione e sentimenti ben descritto e rappresentato.
Fecondazione assistita, genitorialita’, ebraismo, la complessità famigliare, generazioni a confronto, la ridefinizione di se’ tra pubblico e privato, tradizione e sentimenti, non sempre paiono convincenti nell’esposizione di fatti e luoghi ( tra Stati Uniti e Italia ) piuttosto romanzati, quello che resta è una crescente vivacità narrativa che induce a una riflessione sui temi fondanti.

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68 Opinione inserita da 68    27 Ottobre, 2020
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Il volto tumefatto della vita

Jude, oggi avvocato di successo, da decenni è affranto da un vortice di insensatezza, dolore e sofferenza, da un reiterato autolesionismo, da un vuoto dell’animo, e a niente sono servite le premure degli amici di sempre (JB, Malcolm, Willem ), sin dall’epoca del college, di un padre adottivo amabile e amorevole ( Harold ), ne’ le cure di un medico sensibile e attento ( Andy ).
Le tormentate e masochistiche stagioni del protagonista sono l’epicentro di un lunghissimo romanzo che, servendosi di una certa fluidità narrativa, svela un’ inimmaginabile crudeltà autoimposta, un presente e un passato nebulosi celati ai più, un dolore vivido che continua a lacerarne corpo e mente, l’assenza di autostima e voglia di vivere, la certezza di un peccato originario che ha trasformato la sua vita in una condanna, un destino perverso in bilico tra la vita e la morte che prevede una fine certa, inequivocabile, già scritta.
Quanto nel cuore di una esistenza apparentemente ricca, piena, vivace, il passato ritorna, puntuale, vivido, sommergendo presente e futuro, quanto la solitudine emotiva e sentimentale è segnata sulla propria pelle e necessaria, quanto il farsi del male può essere l’unica fonte di vita, epicentro di un non sense che tutto avvolge?
Attorno a Jude il brusio della vita e della metropoli, il talento artistico degli amici, più o meno indirizzato a un futuro radioso, un lavoro che lo soddisfa, dentro di se’ l’impossibilità di amare, potere e denaro dissolti al cospetto di una vita preclusa in attesa di altro.
Ci sono così tanti argomenti di cui non ha parlato, neppure alle persone più care, con l’impressione di non avere le parole giuste per farlo, ha provato a scrivere, ma non sa neppure come parlare a se’ stesso di se’.
Vive ogni istante all’ interno di un senso di inadeguatezza, si sente sporco, deforme, non amato, ricoperto da una colpa cucitagli addosso da chi in passato lo ha ripetutamente ferito e violato, luoghi e persone incise nel proprio animo e sulla proprio corpo, un io obbrobrioso e artefatto onnipresente, la condanna alla fuga, da se’ prima che dagli altri.
Questo male di vivere ne annienta momenti, incontri, amicizie, la possibilità di un amore, accarezzando l’idea faticosa di pagine nuove, uniche, perché’, inevitabilmente, tutto ricade nell’ incubo di un inganno, in un’ essenza che supera la semplice malattia, fisica e mentale, le stigmate di ferite autoinferte cucite addosso.
È allora che tutto pare confondersi, estraniarsi, dissolversi, bene e male un unicuum, il masochismo riprende, scorre un fiume di sangue e una barriera separa di nuovo il protagonista dal mondo.
Sarà la forza di un amore costruito sulla presenza e fiducia nell’altro, illimitata, qualitativa, graduale, un’ affinità elettiva nata da una forte amicizia, senza forzature, inganni, secondi fini, a scardinare l’ impossibile, restituendo un nuovo volto, la possibilità del cambiamento, l’accettarsi per quello che si è, la gioia di vivere ed amare. Ci saranno momenti di felicità, sorrisi, progetti, speranze, nascosto faticosamente il fantasma di un passato ancora presente.
Si può convivere con il dolore, controllarlo, sedarlo, circoscriverlo, assaporare qualcosa di più grande, ma non si può lottare contro un destino infausto. È allora che la fine è inevitabile, la vita inaccettabile, ogni rimedio fallimentare, nonostante le apparenze. E’ allora che tutto ritorna all’origine, le risposte svaniscono e il senso insensato ritorna, giorni irrimediabilmente vuoti senza un domani.
Un lunghissimo romanzo che scuote nel profondo la sensibilità del lettore, spingendosi dentro e oltre i confini di una semplice vita. Bene e male, anima e corpo, arte e vita, un lungo percorso esistenziale, la profondità e insondabilita’ del dolore e della malattia, il silenzio e la voce delle relazioni e dei sentimenti, la grandezza di un amore illimitato e atemporale, la difficile ricerca di un senso.
Ci addentriamo in un cammino di dubbi e incertezze, un’ angosciosa presenza che scava nel profondo, restituendoci, attraverso una forte carnalità onnipresente, un senso di essenza spirituale che pare di volta in volta predominare e soccombere, tracciando e delineando i contorni di un protagonista vivido e sfuggente, rabbioso e struggente, teneramente assorto e atrocemente inserito nel cuore dell’esistenza.

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68 Opinione inserita da 68    19 Ottobre, 2020
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Microcosmo affettivo

Due vecchi amici, Davy e Joe, oggi sessantenni, un viaggio nei bar di Dublino, alcol in quantità, un flusso ininterrotto di parole su vita, famiglia, problemi coniugali, una misteriosa donna riemersa dopo decenni, il dubbio su realtà e immaginario, una miscellanea di passato e presente che sembra ogni volta interrompersi e rinnovarsi, riaffermando una nuova verità, fino a ora celata, anche a se’ stessi, in parte dimenticata, o completamente inventata, chi lo sa.
C’è un padre ricoverato in attesa di una morte certa che lo sottragga all’atrocità del dolore e della malattia e una resa dei conti per tutto quello che poteva essere e non è stato.
Joe inizia a raccontare, Davy, di fronte a lui, ascolta la sua versione, l’ unica, e a sua volta ricorda un possibile e improbabile amore giovanile, la ragazza del violoncello ( Jessica ), un tempo visione utopica e celestiale, oggi ingombrante presenza riemersa quasi per caso.
Allora i due amici avevano poco più di vent’anni, intorno a loro un nuovo e inaspettato corso della vita, diretti verso un’ età adulta che non sembrava essere niente male, chiusi in una bolla di evasione, per vivere, o provarci, all’altezza della musica che amavano, dei libri che leggevano, cercando donne in grado di intuire, capire, accoglierli, elevarli.
Joe e’ certo di avere amato Jessica da sempre, anni nella menzogna di un matrimonio oggi disintegrato ( con Trish ), per ritornare ogni volta dalla moglie tradita, Davy proviene da una casa silenziosa, la morte della madre ha distrutto la vita del padre, la sua sconvolta e reindirizzata dal sorprendente umorismo della moglie Faye.
Oggi è a Dublino al cospetto di un padre malato, assaporando il piacevole gusto di sentirsi dublinese, avendo deciso di farvi ritorno un paio di volte l’anno anche dopo la sua morte.
Il dialogo prosegue incessante, del resto l’alcol rende tutto più facile e sincero, lentamente riemerge il vecchio accento e quel ragazzo dublinese di quando videro Jessica per la prima volta.
Prende corpo un racconto nel racconto, due amici che si leggono dentro, che poco ascoltano per ascoltarsi e quello che l’uno dice di ricordare non corrisponde a quello che l’altro ricorda, che attingono ai vuoti della memoria altrui inscenando una parte che ne prevede un’altra, più intima e profonda, il senso di un’ esistenza.
È qui che lentamente si scrosta la muffa di una vita intera e ci si domanda, al cospetto della rigenerata confusione altrui, che cosa si intenda per casa. Per Davy casa sono le quattro mura, Faye e i ragazzi, gli anni passati lì, l’ intero percorso a dispetto di un trapassato nebuloso che avrebbe previsto un’ amicizia esclusiva ed escludente, un legame unilaterale che ne avrebbe indirizzato i sentimenti.
E qui, più che su eventi possibili o improbabili, si focalizza il senso di una vita, imbrattata di errori, assenze, ritardi, colpevolezza, ma anche di certezze, stabilità, presente e futuro.
Un romanzo intrigante, più chiavi di lettura che scavano nell’ incertezza dei fatti, lasciandoci un senso di intimità all’apparenza preclusa, un autore che sa muoversi all’interno delle parole e attraverso una fitta rete dialogica ricostruisce una complessa trama di sentimenti, mai banali, nel cuore di una riscoperta e ricostruzione che pare finalmente scardinare il proprio microcosmo affettivo.

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68 Opinione inserita da 68    10 Ottobre, 2020
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Memoria lucente

Queste pagine non costituiscono la biografia della sorella Margherita, scomparsa prematuramente di un male incurabile nel 2016, ma, come ci ricorda l’autrice, sono solo appunti sulla elaborazione di un lutto di cui l’amata sorella ne è la protagonista inconsapevole, lei che non ha mai preteso di esserlo.
Cento giorni di un lutto autoimposto, un dolore onnipresente, ricordi, parole, immagini di un’ infanzia condivisa, cinque sorelle legate indissolubilmente, la forza dell’ origine, la separazione da una terra amata, i viaggi, la persecuzione, l’esilio e il ritorno, anche solo per un abbraccio.
Chi è stata e continua a essere Margherita, cresciute nella dimora di Los Remolinos, anni importanti, forgianti il carattere e le passioni di una vita, tra letteratura e racconti, tradizioni famigliari e socialità, politica e cultura, sapendo che un giorno o l’altro sarebbero ...” finite prigioniere degli obblighi e dell’autocontrollo “..., e con essi... “ avremmo forgiato le nostre maschere...”.
Nel dopo Margherita diventerà giornalista, si sposerà , avrà’ dei figli, vivrà fuori dal Cile, crescerà , come tutte loro perdendo la propria ..” indole selvaggia “... e quegli ...” ...artigli da pantera “... , una giovane entusiasta della vita, aperta, vivace, divertente, carismatica, senza alcuna vanità, a suo agio in ogni dove, a differenza della quieta e remissiva Marcela, un legame conflittuale e profondo, il loro, incredibilmente vero.
Forse, citando Faulkner, ...” il passato non muore mai e non è nemmeno passato “..., il lutto non esiste, continua a esserci, perennemente, e Marcela non vuole smettere di soffrire, se succedesse le sembrerebbe di tradire la sorella morta e dimenticarla.
Le parole prendono forma, inserite nella memoria, quelle prime settimane trascorse senza Margherita sembrano offuscare e arrestare qualsiasi cenno, movimento, essenza.
Marcela non riesce a leggere, a scrivere, inizialmente pensa di inserirsi in una socialità curativa, accenna a rituali magici e consolatori, ripensando a un corpo che non ha avuto sepoltura ( perché cremato ), insieme al pensiero del dramma e dell’ ingiustizia subita da tanti corpi scomparsi e mai restituiti al dolore dei propri cari ( il dramma di una nazione intera ).
Storia, cultura e letteratura, anni riemersi e mesi che scorrono, mentre i cento giorni di lutto stanno per scadere senza che niente sia successo.
Margherita ha negato a lungo l’eventualità di poter morire, ne’ l’ idea della morte le incuteva paura, ne era semplicemente scocciata. Marcela ha paura della fisicità, del contatto con la malattia e del disfacimento corporale, non riesce ad avvicinarlo e a descriverlo, al contrario di Philip Roth.
A piccoli passi cerca di ritornare alla vita, agli aspri diverbi con la sorella su vari argomenti, domandandosi quanto l’altra avesse la chiara percezione del posto che occupava tra loro, non sospettando di lasciare un vuoto incolmabile: ...” di risate, di facezie, del suo grande fascino, di sapere suscitare intorno a se’ una allegria contagiosa “....
Solo dopo parecchi mesi Marcela finalmente riprenderà a leggere e a scrivere perché ...” il lutto non si può sconfiggere, è semplicemente un modo di vivere diverso “...
Margherita non ha voluto che la lasciasse andare, insieme hanno condiviso un anno di morte e di scrittura, finché avesse scritto lei sarebbe stata viva.

...” Negare la morte? Il mondo è dei vivi e di come si affratellano, di come si legano con i morti. L’ unica cosa importante è lei tra i viventi, la sua memoria. La morte, dove sta la morte? Dov’è la sua vittoria? Non regalerò la vittoria alla morte, continuerò a scrivere”...

Un racconto doloroso, intenso, vero, che rifiuta l’inaccettabile percorso di una semplice elaborazione condivisa, preferendo la strada dell’unicità e della vita, cui la morte continua ad appartenere.
Un percorso della memoria e del silenzio, dell’ intimità, della scrittura, intesa anche come semplice calligrafia, la vivida presenza di lei e delle sue parole, oltre che del suo nome, qui, tra i vivi, ieri, oggi e domani, per sempre...

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68 Opinione inserita da 68    07 Ottobre, 2020
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Ricerca sentimentale

Un passato che mostra il proprio fallimento affettivo, un presente di rimpianti e solitudine autoimposti, il futuro un’ enigmatica assenza non preventivata.
I giorni di Lucy sono questi, noiosamente regolamentati, nessuna certezza, se non il proprio ruolo di insegnante di lettere e madre di due figlie, una quarantenne trascinatasi nella confusione postuma di un fallimento matrimoniale che continua a perseguitarla.
Oggi, da single, che cosa potrebbe desiderare se non stimoli intellettuali e attrazione sessuale, e se non può averli allora non ha bisogno di nessuno. Gli uomini l’hanno costantemente delusa, spingendola fuori strada, a cominciare dal marito Paul, un ex alcolista cocainomane, a lei non resta che un senso di colpa latente, domandandosi se l’alcol non sia stato una conseguenza matrimoniale e non un segno del destino e della genetica.
A Lucy non resta che un cambio di rotta, la ricerca di una stabilità affettiva e di un amore vero, con l’incertezza degli anni che passano e dell’ inaffidabilità della controparte.
Ecco la discutibile attrazione per Joseph, ventiduenne macellaio e babysitter a tempo perso, un nero cresciuto nella vivida concretezza del quotidiano, lontano da astruse teorie accademiche, una inclinazione inspiegabile e forse per questo più autentica, estranea al piccolo mondo ovattato di Lucy, un viaggio sensoriale senza l’obbligo di mantenere una recita poco gratificante.
Attorno a lei gravita Michael, uno scrittore snob e autoreferenziale, ma con lui è solo amicizia, anche se sembra non capirlo.
Il passato rivive in una ragazza che è stata la prima della classe, poi l’università, il matrimonio, i figli, le promozioni, tutti ostacoli superati con relativa facilità, il presente è una donna fuori strada per colpe altrui, prima Paul e ora Joseph, che non sa come rimettersi in pista ne’ dove possa finire.
I suoi sentimenti per Joseph sono così inaffidabili, che cosa se ne fa di un ventiduenne e dove la trascinerà? All’ inizio è felice, come in una bolla, una storia che esiste solo quando condividono la stessa stanza, ma persiste la propria fragilità e un mondo superficiale pronto a giudicare l’apparenza.
Per Joseph lei e’ davvero speciale, lo trascina dentro il presente, pur incerto sulle donne bianche con cultura universitaria.
La vita ripropone una circolarità che riporta Lucy al giorno delle sue nozze, alla felicità e infelicita’ del matrimonio e, nel nuovo presente, le pare assurdo avere trascorso tanti anni con qualcuno che l’ ha trascinata così in basso.
Attorno continua ad aleggiare l’ossessione per la Brexit, “ leave o remain “, in un paese anch’esso decisamente infelice.
L’ incertezza del presente e dell’ intero romanzo, l’ossessione di un passato ingombrante e di una possibile felicità negata da una forza autodistruttiva tuttora presente, sfociano in un percorso temporale di crescita sentimentale e personale, di accettazione dell’ ineluttabile, il mistero dei sentimenti, vivere in quel momento, con quelle persone, in quel posto.
Ed allora ....” Non c’erano più ostacoli, adesso dovevano camminare e vedere quanto sarebbero andati lontano” ....
L’ ultimo Hornby viaggia nella crisi del presente, tra forze separazioniste ed escludenti, incertezza sentimentale e frammentazione famigliare, un caos generalizzato che devia in una ricerca autogratificante che non sia semplice apparenza, vuoto esteriore, diseguaglianza sociale e razziale, ma accettazione, condivisione e accoglienza.
Il piano personale, come sempre, la fa da padrone, anche se non supportato da vivide presenze e dialoghi sferzanti, insufficiente per mostrare la complessità del presente, ingabbiato da un‘apparenza stereotipata.
Di certo non il miglior romanzo dell’autore, per temi e contenuti, ripetitivo nel proprio ossessivo mostrarsi, con il dubbio che sia una voluta rappresentazione di un presente fragile desolatamente narcisista, impaurito, dissolto, che trova rifugio nella speranza utopica dei buoni sentimenti.



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68 Opinione inserita da 68    22 Settembre, 2020
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La famiglia che non c’è

Un romanzo a metà tra lo psico-pedagogia e la struggente storia d’ amore, alla ricerca di una famiglia ideale. Due Protagonisti, la giovane Izzy Poole e il dottor Preston Grind, incompleti, insoddisfatti, traumatizzati, addolorati, costantemente rivolti al passato, che inseguono un piccolo angolo di mondo nella fuga dal mondo, un nuovo corso sperimentale ( i dieci anni di durata della famiglia infinita ) vero, vissuto e sofferto, tra variabili sentimentali, frequentazioni assidue e desideri respinti all’ interno di una cerchia ristretta.
Un destino duale condiviso, quello di Izzy e di Preston, il proprio fallimento famigliare, sofferenze e dolorosi distacchi, la solitudine del presente, la scarsa consuetudine alla socializzazione.
Che cos’è la famiglia infinita se non un esperimento sociale a scopo pedagogico, finanziato dalla benevolenza filantropica di una anziana miliardaria, come capo uno psicoanalista reduce da un’ infanzia particolare, il dottor Preston Grind?
Un uomo indotto dai propri genitori, due famosi psicologi dell’ infanzia ( morti suicidi ), a un’ educazione innovativa all’ interno delle mura domestiche, il cosiddetto metodo della frizione continua, una serie di ostacoli esterni posti sul cammino del loro unico figlio per renderlo attivamente consapevole delle difficoltà e imprevedibilità del mondo circostante, pur mantenendo nei suoi confronti una certa vicinanza affettiva.
Un metodo abbandonato agli inizi del nuovo secolo, aspramente contestato dallo stesso dottor Grind, a sua volta impegnato in un nuovo esperimento, la famiglia infinita, nato dall’ idea che alcune famiglie disadattate con figli possano vivere per dieci anni all’ interno di una comunità condivisa, rinunciando al singolo nucleo famigliare in nome di un bene comune e di un nuovo modello educativo per i propri figli.
Izzy Poole è una madre single, il padre del proprio figlio, Hal, suo insegnante d’ arte al liceo, si è suicidato, vive con un padre alcolista, completamente assente, dopo la perdita della moglie e questa possibilità le pare il giusto angolo di mondo dove garantire un futuro a se’ e al proprio bambino.
L’ esperimento durerà alcuni anni, una sorta di villaggio globale in cui condividere tutto, persino i propri figli, un luogo appartato dove fare ritorno, un progetto che rigetta egoismo e particolarismi, tra collaborazione e regole comunitarie in un’ etica condivisa, la possibilità di accedere all’ esterno solo per studio e lavoro.
Ma il tempo destabilizza e a prevalere saranno i desideri individuali, intrecci amorosi destabilizzanti, gli psicologi coinvolti dibattuti sul reale senso dell’esperimento, i discendenti dei finanziatori desiderosi di ottimizzare il denaro devoluto, il dottor Preston Grind combattuto tra un passato in cui ha perso tutto ( moglie e figlio ) e un presente in cui non può cedere all’ evidenza ( l’ attrazione per Izzy ).
È così che un esperimento socio-pedagogico declina in un tormentato intreccio amoroso e in un impossibile legame a due, pena la fine di tutto. Ma ogni fine può non essere definitiva, la famiglia infinita ha donato alle nuove generazioni benefici indiscussi, il dolore vissuto diventa una ripartenza, addentrandosi nei misteri di una nuova vita da condividere.
Un romanzo lieve, che a fronte di un incipit impegnato e preamboli di un certo spessore, naviga in superficie, rigettando qualsiasi significato sotteso. A fronte di una certa scorrevolezza e gradevole colloquialita’, ci si addentra in ripetizioni e scene già viste, nel caotico incedere di teoria e pratica, passato e presente, faticando a capire il reale senso e intento di questa comunità’ che stenta a reggere individualismo esasperato e desiderio di altro, se a prevalere sono questi ultimi, a partire dal tormentato, traumatizzato e irrisolto ideatore dell’esperimento .

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68 Opinione inserita da 68    22 Settembre, 2020
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Attesa protratta

Un pianista menomato da un incidente, una meraviglia architettonica costruita sul mare, una donna misteriosa a essa legata, l’attesa di un evento, travolto da tristezza e solitudine, imbevuto di sonno e di sogni, logorato dai fantasmi di una vita che possiede molteplici facce.
Arte e vita, musica e architettura, amore e morte, intrecci poetici che riflettono un racconto vissuto intensamente, monologo interiore protratto, le voci di una esistenza, giorni svuotati di senso e il luogo dove egli si è trasferito.
Quel grande cubo bianco che si leva dalle rocce su sottili pilastri, quasi a simboleggiare la vittoria della architettura sulla natura, la casa per lo studio sull’acqua, tra nitide forme e geometria pura, suscita in lui un sentimento che somiglia all’ amore ma che non lo e’, privo di slanci e del desiderio di essere amato.
Rinchiuso in una casa arrampicata sulla scogliera senza vedere l’ oceano, in attesa del ritorno della moglie Mim, che un giorno se ne e’ andata, ne segue le tracce, un quaderno contenente pensieri vaghi e dissolti, ascolta voci che gli parlano, infreddolito dall’aria che oltrepassa una grande finestra frantumata, accostandosi a quel pianoforte che ormai ha perso l’essenza del suo talento.
Al risveglio, avvolto in un sonno prolungato, non è triste ma lo diventa sentendosi terribilmente stanco, una stanchezza interiore accompagnata dal desiderio di dormire e di mangiare.
È allora comincia a ricostruire i pezzi della propria esistenza, in quella casa che ha assorbito l’ aspetto di una presenza femminile, Hannah Kallenbach, moglie dell’architetto che l’ha costruita, la cui voce continua
a risuonare nella sua testa, con la sensazione che in momenti diversi lei sia lì, a guardarlo, e gli stia parlando.
Comincia a seguirla senza motivo, terribilmente attratto da lei, un gesto che gli restituisce una sensazione di piacevolezza e di rilassatezza, un’ infatuazione che diviene ossessione, tra il reale e l’ immaginario.
Nasce una storia, del loro tempo insieme, una storia sul tempo, impermeabile al trascorrere dello stesso. Le fa visita di nascosto, un gesto ripetuto e irresistibile, sempre lo stesso, una routine che assomiglia alla sostanza di cui è fatta la sua vita.
Hannah Kallenbach ha alterato il suo senso del tempo, organizzato secondo il sonno e la veglia, adesso segue la ripetitività di un gesto. Vive per vederla, tutto il resto è attesa, pensa a lei in ogni istante, ne spia le strane conversazioni con un misterioso individuo, la sua bellezza lo riporta al senso di un amore giovanile, con una componente tragica.
Che sia sogno o realtà, idea o consapevolezza, il pianista, attraversata un’ esistenza intera, si riappropria di un senso, a cominciare da se’ stesso, da quel buco interiore che non è semplice vuoto, ma assenza da colmare, chiedendosi quali siano le cose in cui valga la pena investire tempo e sentimenti, piccole cose per cui continuare a vivere.
Un romanzo dalle intense connotazioni poetiche, un legame tra spazio e percezione dello stesso in relazione con l’ arte, in particolare la musica, che sappiamo essere un campo di studio caro all’ autrice, la sudafricana Katharine Kilalea.
Di certo la prospettiva del protagonista è interessante e peculiare, la relazione e permeabilità tra forma e sostanza, architettura e musica, la ricerca di un equilibrio tra interiorità ed esteriorità , realtà’ e sogno, volontà e desiderio, di difficile definizione, e collocazione, in una costruzione a tratti eccessivamente teorica e vaga, ma di sicuro valore letterario.

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68 Opinione inserita da 68    18 Settembre, 2020
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Doppia vita

...”:Giacché, ormai, io sono morto per ben due volte, la prima per errore, la seconda sentirete “...

Mattia Pascal, un giovane uomo costretto a fare i conti con un passato e un presente controversi, affranto e sfinito dagli accadimenti, la morte dell’ adorata madre e dell’ unica figlioletta, dopo la recente perdita dei beni aviti.
Un giorno decide di congedarsi dalla vita e di costruirsi un nuovo io, d’altronde che cosa può capitargli di peggio di quello che sta soffrendo, sopraffatto da una noia che lo sta mangiando dentro?
Vorrà essere il solo artefice del proprio destino, una vita nuova, niente moglie, suocera, debiti, legami, finalmente libero, una sfortuna fortunata, senza il fardello del proprio passato, una nuova educazione da acquisire con amore e pazienza tanto da potere affermare non solo di avere vissuto due vite, ma di essere stato due uomini.
Ecco il nuovo che avanza, Adriano Meis, la costruzione di un altro io, un’ invenzione ambulante calata nella realtà, un mondo fantastico in cui vivere.
Vivrà con se’ e di se’, quasi esclusivamente, liberato delle umilianti afflizioni della prima vita, senza nome e passato, solo relazioni superficiali. Un altro io, anche all’ apparenza, occhiali, niente barba, capelli lunghi, costruito per gli altri, un modo per non toccare se’ stesso.
Ma basta poco per sentirsi stanco di quel girovagare solo e muto, convivendo con il desiderio istintivo di avere un po’ di compagnia, di vivere libero senza poterlo essere, e se negli oggetti si investe una parte di se’ e l’ anima e’ formata dai propri ricordi, la cruda verità riporta un Adriano Meis che rimarrà per sempre un forestiero della vita.
Una esistenza afinalistica da spettatore solo sperduto tra la gente, trasformato in un filosofo, estraneo agli altri e a se’ stesso.
Ma, in fin dei conti, chi vorrebbe essere realmente, Adriano Meis o Mattia Pascal, in un reiterato monologo con se’ stesso, senza libertà, morto per finta, nella speranza di diventare un altro?
Eccolo, suo malgrado, scaraventato nel cuore dell’esistenza, un bacio, una giovane donna da amare ma inaccostabile a chi non può in alcun modo dichiararsi e provarsi vivo, ma di che uomo si tratta? Non è che l’ ombra di un morto, ancora vivo per la morte e morto per la vita, accompagnato da noia e solitudine.
Di Mattia Pascal poco rimane, un cuore che non può amare e una verità che gli pare incredibile, una favola assurda, un sogno insensato, un’ ombra simbolo e spettro della propria vita.
Ha vagato seguendo un’ illusione oltre la morte e, già morto, non deve più uccidersi, ma porre fine a quella folle e assurda finzione che per ben due anni lo ha torturato e straziato,
quell’ Adriano Meis condannato a essere un bugiardo, un vile, un miserabile.
Non gli resta che una morte congelata e condivisa per due giorni, fare il morto non è una bella professione, ma una compagnia ingombrante e gravosa soprattutto quando gli altri si sono rifatti una vita.
La realtà lo porrà al cospetto della propria tomba, la tomba di un morto ancora vivo, o di un vivo ritenuto morto, sopravvissuto a se’ stesso, al di fuori di una legalità e all’ interno di una comunità che lo considera ancora morto, nonostante tutto, lui che voleva solo vivere, costretto a una nuova dimensione del presente, il “ fu Mattia Pascal”.
I temi del romanzo sono noti, permane un senso di inquietudine e angosciosa presenza di un’ anima piccolo borghese che cerca una fuga impossibile e improbabile, che si assenta, attende, osserva, vive, rimugina, rimpiange, ritorna, un viaggio che inizia laddove finisce e riprende laddove lo si era lasciato, cacciato dapprima da se’ stesso, poi dalla società, acclimatata in una legalità che oltrepassa l’umano sentire.
Realtà e apparenza, la frammentazione dell’io, la fuga da una società invivibile, il dialogo con se’ stesso e le proprie molteplici facce, una solitudine poco condivisa e condivisibile, l’ attesa di una vita nella speranza di viverla, bloccata dal proprio non essere, e da un desiderio che non potrà mai compiersi.

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