Opinione scritta da Belmi
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Riflessioni sulla pena di morte
“L’ultimo giorno di un condannato a morte” è uno di quei libri che non lascia indifferenti, sia per il messaggio che porta sia per l’intensità con cui viene colpito il lettore.
Dalla quinta edizione in poi, pubblicata nel 1832, il libro si presenta composto anche da due parti che precedono il libro. La prima è una prefazione, fatta da Hugo in cui la sua dichiarazione contro la pena di morte è ben argomentata e decisa, con esempi da brividi, “Niente boia dove basta il carceriere”. La seconda parte è “Una commedia a proposito di una tragedia”, in cui Hugo immagina la società del suo tempo, alle prese con la lettura del suo romanzo, in cui tutti i protagonisti sono indignati, ma anche tutti informati.
“Bisogna convenire che i costumi si stanno depravando di giorno in giorno. Mio Dio, che idea orribile! Sviluppare, scavare, analizzare, una dopo l’altra e senza trascurarne nessuna, tutte le sofferenze fisiche, tutte le torture morali che deve provare un uomo condannato a morte, il giorno dell’esecuzione! Non è atroce? Vi rendete conto, signore, che si è potuto trovare uno scrittore per questa idea, e un pubblico per questo scrittore?”
La terza parte è l’opera, anzi il capolavoro vero e proprio. Hugo, sotto forma di diario, ci racconta le ultime settimane di vita di un condannato a morte. Di lui sappiamo pochissimo, ma i pochi stralci che ci regala sono importanti. Molto toccante è la parte dedicata alla figlia e al loro incontro. Hugo condanna la pena di morte e ci da anche un piccolo assaggio di quello che aspetta coloro che invece andranno al bagno penale (grazie a “Papillon” di Henri Charriere ho il quadro della situazione chiaro su questo argomento) e di come la società lì “accoglierà” il giorno della fine della pena.
Tramite il suo protagonista, Hugo ci mostra “una progressione sempre crescente di dolori, in questa specie di autopsia intellettuale di un condannato”. La sensazione che mi è rimasta più addosso e la continua speranza dell’uomo, fino alla fine. Lei è sempre lì e quando si riaccende ogni volta, è più dura da digerire. E poi l’attesa, il non sapere e il popolo, si proprio quest’ultimo ha un ruolo tutto suo.
Dopo la lettura di questo testo, ho deciso di proseguire la lettura di altre opere su questo tema. Un giovane Hugo, che spera di colpire la società, ci mostra qualcosa che purtroppo non è stato ancora bloccato duecento anni dopo.
Lo consiglio a tutti, sia per l’intensità e la profondità dell’argomento sia per la riflessione e il pensiero che rimangono al lettore.
Buona lettura!
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Uno Shakespeare alla portata di tutti
“Molto rumore per nulla” è un’opera di Shakespeare che non conoscevo, ma dopo averla trovata più volte rammentata in altri libri, non ho resistito e curiosa, come solo una donna può esserlo, l’ho presa in biblioteca, l’ho letta e posso confermare di aver fatto bene.
“Molto rumore per nulla” è una commedia romantica in cinque atti. I personaggi non sono pochi, ma sono facilmente riconoscibili. Shakespeare in meno di cento pagine, presenta una commedia che se sotto molti punti di vista è prevedibile, trova la sua peculiarità non tanto nella trama, ma nei singoli personaggi.
Siamo a Messina e due sono le storie che s’intrecciano. Da una parte, il colpo di fulmine fra Ero e Claudio e dall'altro l’amore litigarello fra Beatrice e Benedetto. Ma l’happy end si dovrà scontrare con la calunnia e l’inganno dell’uomo che con il suo zampino cerca di trasformare una commedia in una tragedia.
Se, come dicevo, la storia può sembrare davvero molto banale e prevedibile, i singoli protagonisti di certo non lo sono. Fra i miei preferiti spicca Beatrice, cugina di Ero, che rappresenta, considerato che la commedia è stata pubblicata a fine 1500, una femminista vera e propria. Una donna che difende la cugina, risponde per le rime e soprattutto è consapevole della sua posizione “Non posso diventare uomo solo perché lo desidero, e allora morirò donna perché soffro”. Una donna però che davanti all’amore e al valore dell’altro riesce, anche se non con semplicità, a riconoscerlo e a ricambiarlo.
Una menzione la devono avere anche Carruba, capoguardia della ronda notturna e il suo vice Sorba. Con la loro inettitudine non possono non rimanere simpatici al lettore. L’intento di Shakespeare è molto chiaro, ovvero quello di rappresentare l’inefficienza della giustizia.
Uno Shakespeare che consiglio a tutti, si legge velocemente e per gli amanti dell’autore è imperdibile.
Vi lascio con questa frase:
“non si apprezza il valore di quel che abbiamo mentre ne godiamo, ma appena lo perdiamo e ci manca, lo sopravvalutiamo, e gli troviamo il pregio che il possesso rendeva invisibile, fino a che era nostro”.
Sante parole!
Buona lettura!
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Un argomento non semplice
L'attrice brasiliana Fernanda Torres per la prima volta si cimenta nella scrittura. "Fine" è il suo primo romanzo, ambientato nella sua città, Rio de Janeiro.
Cinque amici di lunga data sono i protagonisti. Troviamo Alvaro l'impotente, Neto il monogamo, Ribeiro sempre a caccia di vergini, Silvio il trasgressivo e Ciro l'infedele. Cinque amici che arrivano alla fine e riflettono sulla vita.
La Torres divide il romanzo in sei capitoli, dedicando i primi cinque a ogni protagonista. I capitoli sono brevi, legati gli uni agli altri e vanno a toccare l'intimità dei personaggi.
Ognuno di loro ha affrontato la vita come meglio credeva, arrivando alla fine e tirando le somme e ricevendo il giusto trattamento per le azioni compiute. Impossibile non far partecipare anche le varie moglie e figli a questo resoconto. La fine ci mostra i risultati.
La Torres utilizza un linguaggio schietto, spicciolo. Mostra una società insoddisfatta, anche nel pieno degli eccessi, sempre incompleta. Alla ricerca di qualcosa che inevitabilmente porta verso il tramonto. Con la domanda che aleggia nell'aria "Chi sarà il prossimo?".
Un libro che non lascia soddisfatti, che mi ha fatto storcere il naso e la bocca più volte. Non per il modo di scrivere, ma per la realtà che rappresenta. Uno scorcio sul mondo maschile che fa male. Su vite portate all'estremo oppure vissute in maniera apatica. In entrambi i casi, il risultato cambia poco, e l'amarezza resta.
La Torres, si è scelta un argomento davvero molto forte. Ha deciso di scrivere sugli uomini e su come affrontano la loro fine, andando a scovare vite che rappresentano in alcuni casi gli estremi della società. Ce ne lascia un'immagine non molto ottimistica. La sua scrittura per tratti ancora acerba mostra però un buono stile. E' diretta, spietata, maschile e riflessiva.
"Non faccio la raccolta differenziata, non riciclo niente, butto le cicche nel gabinetto, faccio lunghe docce calde e lascio il rubinetto aperto per lavarmi i denti. Chi se ne frega dell'umanità. Tanto non sarò qui a vederne la fine".
È una lettura che non consiglierei a tutti. Non è un racconto, è un romanzo diviso in più parti. Un libro tragico, reale e diretto.
Buona lettura!
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Piccole vite in cerca di aiuto
Spesso può capitare di prendere un libro con leggerezza e poi doversi ricredere. Avevo scelto "La libraia" perché dopo una lettura più impegnativa avevo bisogno di qualcosa di leggerino e, la copertina tutta colorata, piena di libri con una ragazza in relax, con un libro in mano, mi sembrava proprio la scelta giusta.
Sono bastate poche pagine per smentirmi. Il libro inizia in una libreria, ma già dopo sei pagine siamo subito in fuga. La protagonista è Lia, una ragazza bella, ribelle e mai soddisfatta. Con una madre che non è mai riuscita a prendersi cura di lei, si ritrova a crescere in una comunità per minori, saltando da una famiglia affidataria all'altra. Un carattere all'apparenza forte, indipendente e ribelle ma che invece nasconde molto altro.
"La stella polare" è per lei e per molti bambini e ragazzini un rifugio, che permette a loro, che non hanno avuto la fortuna di avere una famiglia accanto, di sentirsi almeno al sicuro.
Fulvia Degl'Innocenti è una giornalista che lavora nelle testate della "Periodici San Paolo" e scrive soprattutto sui ragazzi e, infatti, questo piccolo libro di 210 pagine è dedicato a loro. Pur non essendo più una ragazza, ho trovato questo libro molto toccante e purtroppo reale.
Giovani e bambini lasciati in balia del loro destino, che pur non sapendolo, e dimostrando soprattutto il contrario, sono alla ricerca della loro ancora di salvezza. Di qualcuno che creda in loro e che li aiuti a seguire la strada giusta.
Con uno stile semplice, diretto e non infantile, la Degl'Innocenti ci racconta un mondo molto vicino.
Bastano poche ore alla lettura di queste pagine, ma quello che ne rimane nella nostra mente è molto e vale questo piccolo sforzo.
"E lui, il tempo, sa fare benissimo il suo mestiere: va avanti inesorabile sia che tu lo utilizzi sia che tu lo sprechi".
Buona lettura!
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Un romanzo sperimentale
John Fowles nel 1969 pubblicò “La donna del tenente francese”, con l’intento di creare un romanzo sperimentale.
Il libro è ambientato in Inghilterra, un secolo prima della sua pubblicazione. Gran parte del romanzo si svolge a Lyme, dove i nostri protagonisti s’incontrano. Lei è Sarah Woodruff, meglio conosciuta come la donna del tenente francese, una signorina emarginata dalla società (detta anche la donna scarlatta di Lyme); lui è Charles Smithson, gentiluomo ricco in attesa di eredità, paleontologo (molto dilettante), fidanzato con una ragazza borghese.
Fowles con questo romanzo decide di sperimentare qualcosa di nuovo e che personalmente è la prima volta (e spero ultima) che mi trovo a leggere. Questo è, almeno per quanto riguarda quest’opera, un autore che o si ama (per la sua genialità) oppure si odia (per la sua invadenza).
La sua innovazione è legata al ruolo particolare del narratore e al suo continuo andare dal passato al presente. Per presente intendo proprio la sua epoca.
Un narratore perennemente presente e che molte volte ho trovato invadente, che mette in secondo piano i suoi protagonisti e soprattutto che si perde in delle digressioni che hanno reso queste oltre cinquecento pagine un po’ pesanti. Fowles dirige i suoi protagonisti ma li lascia anche liberi di decidere il “proprio futuro”.
“ho già concitato sulla libertà che bisogna concedere ai propri personaggi”.
Un romanzo diverso che mi sento di consigliare a chi voglia leggere uno stile diverso, nato da un’idea innovativa, ma che in quanto a storia in se lascia molto perplessi. Il finale non potrà passare indifferente per l’idea ma non certo per il piacere.
La mia curiosità mi ha spinto a vedere anche l’omonimo film con Meryl Streep e Jeremy Irons. Il regista per ovviare alle difficoltà di Fowles, ha creato un qualcosa di nuovo che però non stona tantissimo con il romanzo. Una delle poche volte in cui ho preferito il film al libro.
Buona lettura!
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“Un inno alla solidarietà femminile"
Finito di leggere “Fiore di fulmine” il primo pensiero è stato quello di ringraziare il destino o meglio la biblioteca per avermelo fatto trovare.
Questo è uno di quei romanzi che quando lo termini, il sorriso non riesce ad andare via dal viso e la tentazione di tornare a rileggere qualche passaggio è troppo forte e invitante per resistere.
“Fiore di fulmine” racconta la storia di Nora Musa, ragazzina sarda di undici anni che un giorno viene colpita da un fulmine e dopo essere “ritornata dagli inferi” diventa una bidemortos, in altre parole è capace di vedere i morti (difficile non pensare subito al film “Il sesto senso”). Il potere di Nora spaventa e viene allontana dalla famiglia e da qui inizia il suo percorso che gli farà conoscere la viscontessa donna Trinez.
Dietro alla copertina del libro c’è scritta una frase che mi ha molto colpita e che per me rappresenta molto bene questo libro. La frase dice “Un inno alla solidarietà femminile”.
La Roggeri crea dei personaggi femminili davvero ben definiti e profondi. Con uno stile che mi ha incantato, l’autrice mi ha portato prima all’interno del mondo delle miniere sarde, per poi andare oltre e conoscere un mondo da cui è difficile non rimanerne incantati e dove niente è come sembra. Con descrizioni dettagliate, ma mai pesanti, sarà difficile non immergersi in questa storia dal sapore italiano.
Una storia in cui la sofferenza è palpabile, in cui la speranza viene meno ma che poi pagina dopo pagina ritorna più forte e prepotente di prima.
“”Ti prego, non mentirmi: è doloroso morire?”...Nora rinnovò la stretta e si sporse lievemente in avanti per rispondere. “Vi assicuro che certe volte vivere fa molto più male””.
Affascinante è anche la figura di Giaime Alagon. Un alone di mistero ruoterà intorno ai nostri protagonisti e le loro azioni non saranno mai così limpide come invece vorrebbero sembrare.
Un’autrice che continuerò a seguire e di cui a breve leggerò anche il suo primo romanzo visto che questo mi ha completamente conquistato.
Lo consiglio vivamente.
Buona lettura!!
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Due burattinai e molte marionette
“Le relazioni pericolose” è stato pubblicato per la prima volta nel 1782 e se il libro può far ancora scandalizzare, mi posso immaginare cosa può aver suscitato al tempo della sua prima edizione. Il libro, infatti, fu bandito e messo sotto accusa.
Ambientato a Parigi, nel tempo coevo alla sua pubblicazione (in un 17.. non specificato), il romanzo ci racconta di come non c’è niente di più pericoloso, di una donna rancorosa in cerca di vendetta.
Due sono i burattinai e molte le loro marionette. Tutto nasce dalla sete di vendetta della Marchesa di Merteuil che per vendicarsi di un ex amante, decide di chiedere la collaborazione del libertino Visconte di Valmont. Per vendicarsi, il piano è tessuto intorno ad una tela che implicata la presenza di molte persone, che loro malgrado, si ritroveranno coinvolte in un giro di relazioni pericolose. Tra loro spicca l’ingenua Cécile, quindicenne appena uscita dal convento, il cavalier Danceny, innamorato inesperto e la pura presidentessa di Tourvel.
Il libro è una raccolta epistolare che coinvolge la corrispondenza tra i nostri personaggi. Dubbia è la provenienza di queste lettere, l’editore ne vede difficilmente possibile la veridicità.
Lo stile dell’autore non ti permette di “entrare” nel romanzo ma ti fa vivere qualcosa d’insolito. Il lettore diventa lo spettatore di questo teatrino, in cui i burattinai manovrano le loro marionette e gli fanno fare quello che vogliono.
Laclos è davvero molto critico nei confronti della sua società. I suoi due burattinai sono meschini, insensibili, rancorosi e privi di emozioni pure. Non si fermeranno davanti a niente e nessuno, neanche all’ingenuità di una ragazzina il cui unico torto è stato quello di fidarsi delle persone sbagliate.
Un libro che non può lasciare indifferenti, in cui gli intrighi, le bugie e le cattiverie ci mostrano una società francese dissoluta e peccaminosa. L’unico ostacolo possono essere le 175 lettere che ci sono da leggere per arrivare alla fine.
Ho visto anche il film, dove ho potuto apprezzare una Close Glenn e un John Malkovich davvero impeccabili, nei ruoli dei due protagonisti.
Lo consiglio!
Buona lettura.
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Chi ben comincia è a metà dell'opera...?
L'esordio di un autore è sempre un avvenimento particolare; da una parte c'è la diffidenza verso il non conosciuto, dall'altra c'è la curiosità...specialmente se l'esordio è nel mondo del thriller e l'autore è italiano.
Mirko Zilahy, pur essendo un esordiente, ha già fatto molto nel mondo "dei libri". E' stato, infatti, in Italia il traduttore del libro "Il cardellino" di Donna Tartt, una scrittrice molto tosta.
"É così che si uccide", è ambientato a Roma e segue le tracce dell'Ombra, un serial killer che lascia le sue vittime in posti poco conosciuti per i non residenti. Lo scrittore ci fa quindi conoscere una Roma insolita, fuori dai soliti schemi.
Il protagonista è il commissario Enrico Mancini, affiancato dalla sua squadra composta da elementi molto eterogenei fra loro e per questo più interessanti. Mentre l'Ombra opera indisturbata, Mancini oltre a seguirne le orme, sta combattendo una guerra interiore da cui non si è ancora ripreso. Non si sente ancora pronto per tornare "in pista", ma non la pensa così il Questore, che sa che Mancini, con le sue doti e i suoi studi, è l'unico che può fermare l'Ombra.
“Lezione numero dieci. Quando un uomo comincia ad uccidere non può più smettere”. L’Ombra, infatti, è sempre in vantaggio e le descrizioni di Zilahy sulle vittime lasciano poco all’immaginazione.
I personaggi sono descritti in maniera dettagliata e approfondita. L'autore, di ognuno di loro ci racconta uno spaccato che va oltre il lavoro, fermandosi in maniera approfondita sul suo protagonista. Mancini è un uomo che si muove con i guanti, ma nel vero senso della parola “Aveva perso l’abitudine al contatto con le cose. Almeno fuori da quella casa. Fuori dalla sua tana c’era un mondo su cui non avrebbe più posato le mani”.
Se dovessi valutare il libro per le sue prime duecento-duecentotrenta pagine, il punteggio si avvicinerebbe a un cinque. Conquistata, affascinata e immersa nella lettura, la mia curiosità e la suspense erano costantemente alimentate.
Ma ad un certo punto il registro cambia, stiamo parlando di un libro di circa quattrocento pagine, Zilahy si lascia un po’ andare e senza esserne forse consapevole, da troppi elementi che ad un lettore attento non possono sfuggire togliendo un po’ l'effetto sorpresa.
Se da una parte la mia autostima se ne sentiva appagata perché ormai il movente era ben chiaro, dall'altro, il veder confermate le proprie teorie senza più molto da scoprire ha un po’ abbassato il livello di attenzione.
Mancini è davvero una figura ben fatta anche se in alcuni punti la simpatia nei suoi confronti può venire un po’ meno. Molteplici sono le spiegazioni e i metodi scientifici descritti nel dettaglio, aprendoci gli occhi sul mondo criminale e su come operare per fermarlo.
Un libro che comunque consiglio, anche se viste le aspettative della prima parte, può un po’ deludere sul finale. Forse la prossima indagine del "debuttante" Mancini potrà sorprendere ancora di più.
Buona lettura!
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Persone in trasformazione
Non conoscevo Banana Yoshimoto “personalmente”, nel senso che ne avevo sentito parlare, ma non avevo mai letto niente di lei. Quando mi è stato consigliato “Lucertola” ho capito che forse potevo colmare questa mia lacuna.
“Lucertola” è una piccola raccolta di sei racconti racchiusi in poco più di cento pagine, scritti dall’autrice nell’arco di due anni. Tutti ambientati a Tokyo, ci mostrano una città che dorme poco, sempre attiva e viva. Una città in cui i nostri protagonisti affrontano la loro trasformazione, non perdendo mai la speranza.
Sei storie diverse ma tutte con il solito filo conduttore, la rinascita, una nuova possibilità. Fatti e personaggi messi a nudo. La Yoshimoto riesce in poche pagine a farti vedere l’anima dei suoi protagonisti, lei te la presenta, te la fa vedere, diventa quasi palpabile e poi la lascia andare per la sua strada, una strada che si porta dietro molto dolore e voglia di riscatto.
I racconti che personalmente mi hanno più colpito e che ho trovato anche più completi sono “Strana storia sulla sponda del fiume” e “Lucertola” e aggiungerei anche “Sangue e acqua”.
La Yoshimoto, preciso che mi posso basare solo su questa breve raccolta, ha uno stile molto semplice, racconta di persone comuni rendendole però speciali. Una piacevole “conoscenza” che approfondirò sicuramente.
"“Dai che è una bella lettera”, disse Akira continuando a guardare il video, senza girarsi verso di me.
“L’hai letta?” chiesi sorpresa.
“No, ho visto la tua faccia mentre la leggevi” rispose."
Buona lettura!
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La Austen svedese?
Da amante di Jane Austen, venire a conoscenza che “la nuova Austen” è svedese, ha subito acceso il mio interesse.
Simona Ahrnstedt inizia il suo racconto con qualcosa che turba il lettore, ovvero con un piccolo prologo che annuncia: "Aveva una vergine da vendere"; non si sa chi sia la vergine, ne tantomeno chi sia il "venditore" ancora meno "l’acquirente".
Ma voltata pagina ci ritroviamo subito catapultati in Svezia, nel 1880, al Teatro dell'Opera, e dimenticandoci della piccola premessa ci godiamo la conoscenza dei nostri protagonisti. Lei è Beatrice Lowenstrom, giovane ragazza dai capelli rossi, orfana e per questo affidata alle cure del borghese zio, con l'unico conforto, nella sua vita, della presenza della cugina. Lui è il norvegese Seth Hammerstaal, ribelle, ricco, opportunista e inaffidabile. Subito fra i due scatta qualcosa che però può poco contro i progetti che lo zio ha per la fanciulla.
"Il ritratto di donna in cremisi" è un romanzo storico che più che parlare del periodo storico nel dettaglio, punta molto sui personaggi, o almeno sui protagonisti e sui loro sentimenti e caratteri e sui pensieri della società.
Beatrice è una ragazza fuori luogo per il suo tempo, è assetata di cultura, legge libri e giornali ma è costretta a farlo di nascosto, perché per una donna del tempo, l'unica cosa importante è compiacere la famiglia e poi il marito e il fatto di essere anche orfana e con un padre che l'ha istruita rendono la cosa ancora più difficile. Una donna che ha assaporato la cultura non può da un giorno a un altro restarne digiuna, ma non è quello che pensa lo zio e soprattutto la società, una società in cui anche le donne approvano, che il loro unico scopo è quello di non sapere e di far decidere agli altri il loro futuro.
Solo un ribelle come Seth poteva trovare queste caratteristiche di Beatrice invece allettanti. La sua sagacia, la sua ironia e la sua intelligenza sono per lui elementi che la distinguono da quella massa di donne tutte uguali.
Ovviamente il destino per loro ha in serbo molto cose, e la Ahrnstedt ci mette “un bel carico” di emozioni, senza tralasciare niente. Un romanzo storico più adatto a un pubblico femminile e soprattutto alle amanti degli amori impossibili e che non perdono la speranza anche perché qui c'è solo da sperare...
Una Svezia bigotta, fredda, calcolatrice e che non rispetta la concezione della donna, anche se, in primis è la donna che non ne vuole sapere..renderanno questo romanzo sorprendente. Passione, incomprensione, vendetta, riscatto e ingiustizia sono gli ingrediente giusti che mescolati ben ben hanno creato un romanzo imperdibile per le appassionate del genere.
Ritornando all'inizio...voglio ricordare che un diamante non è uno swarovski..possono brillare entrambi ma la luce e la consistenza non si possono neanche avvicinare..con questo voglio dire che la Ahrnstedt è brava, molto brava ma che il suo romanzo e la sua scrittura arrivano ora, quando hanno potuto imparare molto dal passato, un passato in cui un diamante come la Austen è riuscita a brillare non di luce riflessa ma di propria.
Buona lettura!!
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Il Sud raccontato da uno del Nord.
”- Noi non siamo cristiani, - essi dicono, - Cristo si è fermato a Eboli -…Le stagioni scorrono sulla fatica contadina, oggi come tremila anni prima di Cristo: nessun messaggio umano o divino si è rivolto a questa povertà refrattaria”.
Così comincia il romanzo che Carlo Levi scrisse sulla sua esperienza da confinato. Durante il periodo fascista fu spedito in un piccolo paesino della Lucania. Lui, pittore, scrittore e medico, dalla sua Torino, si ritrovò prima a Grassano e poi nell’ancora più sperduto paesino di Gagliano. Un paese in cui gli abitanti si raccontano così: "C'è la grandine, le frane, la siccità, la malaria, e c'è lo Stato. Sono dei mali inevitabili, ci sono sempre stati e ci saranno per sempre. Ci fanno ammazzare le capre, ci portano via i mobili di casa, e adesso ci manderanno a fare la guerra."
Un luogo in cui la vita segue le tradizioni, tradizioni che non permettono a una donna di andare da sola in casa di un uomo e che per la morte dei cari gli fa portare il lutto per anni; tradizioni che vedono lo spazio di un letto diviso in tre strati ("per terra le bestie, sul letto gli uomini, e nell'aria i lattanti") e che oltre alle streghe crede anche che un ritratto sottragga qualcosa alla persona ritratta.
Carlo Levi ci porta in Lucania, un territorio per me molto importante perché le mie origini paterne vengono proprio da li. Levi ci fa conoscere gli usi e la cultura del mondo contadino. Con le sue musiche, le sue fissazioni, i suoi pettegolezzi e l'amore per i propri cari e l'odio per i nemici, l'emigrazione verso l'America e le sensazioni che la guerra porta.
Uno spaccato di vita contadina che ci fa anche male per l'arretratezza e le manchevolezze che ci sono state "Finché gli affari del nostro paese, la nostra vita e la nostra morte, saranno in mano a quelli di Roma, saremo dunque sempre come bestie".
Un romanzo vero, vissuto e soprattutto lento, come la lentezza dello scorrere del tempo per il nostro protagonista.
Un libro che consiglio e che non lascia indifferenti e che ci fa conoscere uno stile di vita molto diverso dal nostro ma anche di quello di molte persone del 1935. Il Sud raccontato e vissuto da uno del Nord.
Buona lettura!
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La Signora del giallo medievale
"La bara d'argento" è il primo libro della lunga serie delle "Indagini di fratello Cadfael" scritti da Ellis Peters. I romanzi sono ambientati nell'Inghilterra dell'anno Mille e sono stati pubblicati fra gli anni '70 e '90. La serie vede come protagonista il fratello Cadfael, un monaco che risulta subito essere fuori dal comune. Cadfael vive nell'abbazia di Shrewsbury, in Inghilterra, con la mansione di erborista, ma il suo passato, prima di diventare monaco, ci racconta molto di lui. Cadfael è stato marinaio e poi crociato, e prima di entrare in monastero ha frequentato diverse donne.
La sua tranquilla vita viene radicalmente cambiata quando in abbazia, ed in particolare il priore Robert, decidono che è giunta l'ora che i resti di qualche santo giungano nella dimora per accrescerne il prestigio. La scelta, dopo vari episodi dubbi, ricade su Santa Winifred, una santa gallese praticamente dimenticata e così i fratelli, incluso il nostro protagonista, partono per il Galles alla ricerca delle reliquie.
Le cose non vanno proprio come aveva previsto il priore e addirittura "ci scappa il morto". Fratello Cadfael dovrà ingegnarsi per risolvere questo caso.
Per essere il primo della serie e quindi risalire agli anni '70, posso dire che la Peters ha fatto un buon lavoro. Poca azione ma molto ingegno caratterizzano lo stile dell'autrice che è riuscita a crearsi un buon seguito visto che la serie è composta da circa una ventina di libri.
Fratello Cadfael è uno di quei personaggi a cui ci si può facilmente affezionare e che con il suo comportamento "un po’ sopra le righe" prospetta molte altri casi intriganti ed interessanti!
Lo consiglio agli appassionati del genere con la consapevolezza che poca azione ma molto ingegno "condiscono" queste pagine e che la Peters ci racconta anche un po’ gli usi e i costumi del tempo senza tralasciare le ambiguità della chiesa.
Buona lettura!
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Sono i nostri
"Per tutto il periodo della lotta clandestina, scrissi ogni sera, su una minuscola agenda, scheletrici appunti in un inglese criptico, quasi cifrato, che mi permettono oggi non solo di ricostruire i fatti, ma anche di rivivere l'atmosfera e lo stato d'animo di quei giorni".
Ada Gobetti, con le sue parole, ci racconta com'è nato il suo diario, che ripercorre i fatti tra il 1943 e il 1945. Fu grazie alla curiosità del filosofo Benedetto Croce, amico dell'autrice, che non riusciva a rendersi conto del vero ruolo della Resistenza e della lotta partigiana, che fecero venire in mente, alla Gobetti, l'idea di un libro sulla Resistenza e chi meglio di lei, che l'aveva vissuta in prima persona, poteva colmare le lacune che molti avevano.
Ada Gobetti ci racconta i fatti, gli uomini e le donne della Resistenza; un diario con pochissime digressioni e che da spazio a tutti: "E non è un caso se in esso trovano parte, alla pari, tanti personaggi famosi dell'antifascismo, quanto uomini e donne e ragazzi che solo nella Resistenza si misero in luce, operai e contadini e montanari che dopo la Resistenza tornarono in tutta semplicità al loro posto di lavoro".
Un diario ricco di storia, di emozioni, di solidarietà..ma non solo. La nostra autrice, nonché protagonista, oltre ad un importante ruolo di collegamento e di divulgazione d’informazioni è soprattutto una madre e una moglie, che vede il suo "piccolo" Paolo e il marito Ettore sfidare ogni giorno i pericoli e le difficoltà che la popolazione del Piemonte stava vivendo in quel tempo.
Fra Torino, Meana, la Val di Susa e tutto il circondario, inclusa la Francia, la Resistenza non si fermerà. A piedi, in bicicletta e con mezzi di fortuna, questa parte dell'Italia, raccontata in queste pagine, ci mostra come la speranza non abbia abbandonato il nostro territorio, anche nei periodi più bui e soprattutto la gioia e il sorriso davanti alle piccole vittorie.
Molto toccante è quando davanti a un morto, la solidarietà delle donne italiane nei confronti di una madre, anche se nemica, che non rivedrà più il figlio, è molto forte; questo ci fa capire come la guerra è sempre una sconfitta e una sofferenza sia per i vincitori sia per i perdenti.
Consiglio questo libro, che risulta adatto anche per i ragazzi delle scuole medie, a tutti. Vi ritroverete narrate le vicende dei famosi, dei meno famosi e degli sconosciuti, che messi insieme "sono i nostri".
"Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito un'idea".
Buona lettura!!!
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Un'inquietudine costante
Leggere "Il libro dell'inquietudine" è davvero un'esperienza insolita, non semplice ma decisamente imperdibile.
Molte volte sono i libri o gli autori a sceglierci e questo è stato il caso di Pessoa; ultimamente questo nome me lo ritrovavo scritto ovunque ed ho deciso di assecondare questo richiamo.
Il libro in realtà è un diario, più precisamente, una raccolta di frammenti in prosa, composti da Bernardo Soares, un eteronimo di Pessoa. Oltre vent'anni per realizzare questa raccolta di fogli volanti che poi sono stati altri ad assemblare in un libro.
É il libro, in assoluto, che ho impiegato più tempo a leggere, anche perché non si può farlo in una volta sola, ho avuto addirittura la necessità di accostare letture leggere per scaricare la mente dagli "assalti" continui dell'autore.
Un autore con una padronanza di linguaggio invidiabile, dove una banale descrizione, con lui diventa poesia, in cui non riesci a capacitarti, come mai quando le parole le scrive lui, non sono mai fuori luogo, ma sembrano fatte apposta per stare li.
“Un raggio di sole, una nuvola il cui passaggio è rivelato da un’improvvisa ombra, una brezza che si leva, il silenzio che segue quando essa cessa, qualche volto, qualche voce, il riso casuale fra le voci che parlano: e poi la notte nella quale emergono senza senso i geroglifici infranti delle stelle”.
Durante la lettura, un'inquietudine costante mi ha "invaso"; oltre alla difficoltà del linguaggio, molto difficile è anche seguirlo perché i frammenti non sono in ordine cronologico, ma seguono la logica del curatore di turno.
Non è una lettura per tutti, e direi che va letta in un momento di tranquillità emotiva. La densità, il linguaggio e i temi trattati non sono dei più semplici. Inquietudine, insoddisfazione, ricerca continua di un equilibrio, tristezza e profondità, accompagnano queste pagine sconnesse, ambientate a Lisbona.
Visto come questo libro mi ha toccato profondamente, non posso fare a meno di consigliarlo a tutti o almeno provateci e leggetene qualche passaggio perché non è facile dimenticarlo e non rimanere affascinati dal rispetto che ha per ogni singola parola che usa, trasformando anche le più semplici, unite nelle sue frasi, in qualcosa d’indimenticabile da leggere. Non mi credete? Vi lascio con qualche piccolo frammento...
“Preferisco una sconfitta consapevole della bellezza dei fiori, piuttosto che una vittoria in mezzo ai deserti, una vittoria colma della cecità dell’anima, di fronte alla sua nullità separata”
“Desidero ciò che non desidero e abdico a ciò che ho. Non posso essere niente e non posso essere tutto: sono il ponte di passaggio fra ciò che non ho e ciò che non voglio”.
Buona lettura!!!
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Tante descrizioni ma poca trama
Può succedere di iniziare un libro, trovarlo un po’ deludente ma arrivare comunque al finale e alla svolta, ed essere felice di averlo letto. Altre volte il libro può essere piatto dall’inizio alla fine e ti rammarichi di aver perso tempo a leggerlo potendolo invece dedicare ad altro. La cosa che personalmente mi delude di più è quando inizio un libro, che mi coinvolge subito, intrigante al punto giusto, tale da innescare aspettative e ad anche pensieri sulla trama, ma già a metà ritrovarmi a chiedermi, dove vuole andare a parare l’autore e alla fine..la delusione è doppia. Tutto questo preambolo solo per dirvi che purtroppo questo libro rientra nell’ultima categoria.
La Kristensen mi aveva subito portato nel freddo polare delle isole Svalbard, alla ricerca di una bambina, Ella, di cui si erano perse le tracce. Un paese in cui la leggenda del sesto uomo incute terrore:
“Dicono che è quello che segue le facce nere in fondo alla miniera, ma nessuno sa chi è… Quando stanno in fondo alla miniera a rompere il carbone. È molto buio, sai, più buio di qui. Ecco, allora, certe volte..magari uno si gira per guardare che fanno gli altri..e vede che ce n’è uno in più”.
Tutta questa magia però s’interrompe presto trasformando qualcosa “allo stile nordico” in qualcosa d’insapore. Se la trama avvincente dopo poco se ne va, quello che rimane è comunque interessante per l’ambientazione. La Kristensen ci racconta una realtà molto lontana dalla nostra, fatta di giorni bui, di freddo polare, di miniere, di violenza domestica, contrabbando e di depressione. In un paese in cui tutti si conoscono, pochi sanno realmente quello che avviene dentro le mura domestiche e chi invece lo sa, fa finta che il mondo vada bene così.
Con una scrittura molto descrittiva l’autrice sa il fatto suo, per quanto riguarda invece la trama poteva impegnarsi molto di più.
Chi anche doveva impegnarsi molto di più è la casa editrice “Iperborea”, il libro è pieno di errori ortografici davvero imbarazzanti.
Consigliarlo? Non saprei, io sarei più per il no, ma fate voi come sempre.
Buona lettura!
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Il venditore di boza
Orhan Pamuk, Premio Nobel per la Letteratura del 2006, ci presenta il suo nuovo libro. “La stranezza che ho nella testa” parla, come ci racconta l’autore, “della vita, delle avventure, dei sogni, degli amici e nemici di Mevlut Karatas, il venditore di boza”.
Pamuk oltre a farci scoprire e vivere la vita del protagonista, ci porta all’interno delle case, nelle vie e nei locali di una città, Istanbul, che cambia, che si trasforma, fino a diventare quella che è oggi. Le tradizioni, i colpi di stato, i furbetti, la famiglia, i matrimoni combinati, l’istruzione e la religione, influenzeranno la vita di un uomo che pur dovendo affrontare molte difficoltà, non perderà mai l’ottimismo.
Ho detto poco sulla trama perché quando l’ho letta io, mi ero fatta un’idea sbagliata e quindi non voglio influenzarvi ma incuriosirvi.
Un’altra cosa che mi ha incuriosito e che dopo aver preso in mano il libro, soppesandolo, avevo valutato (ormai sono come gli intenditori, da uno sguardo di solito capisco il numero di pagine) che poteva essere un libro da poco più di trecentocinquanta pagine, invece sfogliandolo mi sono resa conto che erano ben 560. Non fatevi spaventare da questo; questa è una storia che va letta e assaporata pagina dopo pagina, perché il venditore di boza è un uomo che ha vissuto una vita che può sembrare ordinaria, ma che nella sua ordinarietà è veramente straordinaria.
Una frase per farvi capire qualcosa in più di Mevlut, da molti definito ingenuo e sognatore:
“Mevlut, se avessi vinto il primo premio della lotteria, cosa avresti fatto?..Sarei rimasto a casa con le mi figlie a guardare la televisione, non avrei fatto nient’altro”.
Per quanto riguarda lo stile, è il primo libro che leggo di Pamuk e ne sono rimasta piacevolmente colpita. Particolare è la scelta, oltre a quella di raccontare la storia del protagonista, di dar voce ai vari personaggi, che volta volta, in prima persona, raccontano la loro verità. Davvero singolare. Inoltre in molti casi anticipa quello che poi verrà narrato.
Vi lascio con quest’ultima frase:
“Il collegamento tra le intenzioni del cuore e le intenzioni delle labbra era la fortuna, naturalmente: uno può avere intenzione di fare una cosa, ma finisce per dirne un’altra; la fortuna era il ponte che poteva unire le due intenzioni”.
Lo consiglio, ne sono rimasta affascinata.
Buona lettura!!!
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Una voce fuori dal coro
Conrad, a fine Ottocento, trascorse sei mesi in Africa e ne tornò, oltre che fisicamente, anche psicologicamente distrutto. Questa esperienza è sicuramente rimasta indelebile e indimenticabile per l’autore, tanto da portarlo a scrivere alcuni anni dopo “Cuore di tenebra”.
Marlow, il protagonista, si ritrova una sera a raccontare la sua esperienza in Africa, alle dipendenze di una compagnia commerciale. Un’esperienza che l’aveva portato nel cuore delle tenebre, dove le persone del posto, i veri “proprietari” di quelle terre, venivano trattate come:
“Costoro non erano nemici, non erano delinquenti, non erano più nulla di terrestre ormai”
“Sicuro, - grugnì l’altro – impiccalo! Perché no? In questo paese si può fare tutto – tutto”
“Si potevano contar loro le costole, e le giunture delle membra parevano nodi su di una corda; ognuno aveva al collo un collare di ferro..”.
L’argomento trattato da Conrad è veramente delicato ed è una delle “piaghe” della società che purtroppo in molti ancora non hanno capito e che in alcune parti del mondo è ancora praticata.
Ho sempre sentito parlare molto bene di questo libro e mi è stato più volte consigliato. Ma pur essendo composto da solo 120 pagine, ho fatto davvero fatica a leggerlo. Lo stile di Conrad non è, almeno per me, molto coinvolgente. In alcune parti è stato difficile tenere alta l’attenzione. Ho già letto altri libri su quest’argomento e altri autori mi sono arrivati di più “al cuore”.
Rimane comunque un classico e come tale va letto, ma forse non con aspettative così alte come quelle con cui sono partita io. Sarò una voce fuori dal coro, ma volevo far sentire anche la mia voce.
Il bugiardo che dice la verità
”Come qualunque buon bugiardo sa, una menzogna ha successo soltanto se è impastata con la verità”.
Nel 2005, a ben ottantaquattro anni, Enric Marco viene smascherato e, da esempio per il suo paese, diventa l’impostore, il grande maledetto. Javier Cercas, dieci anni dopo, decide di scrivere (dopo un periodo di riflessione) un libro su di lui. Il suo obiettivo è quello di scoprire fino a che punto le menzogne di Marco sono arrivate e soprattutto perché ha deciso di farlo.
Per chi non avesse sentito parlare di questo scandalo, nel 2005, Enric Marco viene smascherato e le sue menzogne vengono alla luce. Per molti anni si era fatto passare per un internato nel campo di Flussenbürg e per antifranchista, quando in realtà non era mai stato nessuna delle due cose.
Cercas si è scelto un compito non facile, in primis perché il caso Marco ha fatto fare brutta figura a tantissima gente (autorità, giornalisti, politici e colleghi), secondo e non meno importante, va considerato che Marco è un grande bugiardo e come tale si può correre il rischio di cadere nella sua “rete”.
Sulle tracce di un uomo che ha come principale colpa quello di aver fatto parte della maggioranza e di aver detto sempre “SI”, quando in realtà si è fatto spacciare per uno della minoranza che diceva “NO”.
La domanda sorge spontanea, come ha fatto a fare tutto questo? Semplice, Marco aveva scoperto che il potere del passato domina il presente ed il futuro; il nostro protagonista si era reinventato nel momento giusto, aspettando i tempi giusti e soprattutto “condendo” le sue bugie con parte di verità.
Cercas ha fatto un buon lavoro. È il primo romanzo che leggo di quest’autore spagnolo ed anche se all’inizio ero un po’ perplessa sullo stile e la linea scelta dall’autore, pagina dopo pagina mi ha coinvolto e mi ha fatto porre molti interrogativi.
Uno dei momenti più toccanti è quando l’autore, dopo aver smascherato molte bugie di Marco, gli chiede la verità su un fatto in particolare su cui non è riuscito a trovare documenti, ed un uomo con più di novant’anni gli risponde con: “Per favore, lasciami qualcosa”.
È un libro che consiglio, anche se non è per tutti. Non è leggero, è particolare e riflessivo. Appena finito, ho avuto bisogno di una lettura leggere per rilassare il cervello!
Buona lettura!
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Il mondo delle api
Dopo “Il sentiero dei profumi”, Cristina Caboni torna con un nuovo romanzo. Se già nell’altro si poteva notare l’amore per i profumi e la natura, in questo l’autrice da proprio il meglio di se.
La Caboni vive in Sardegna e si occupa dell’azienda apistica di famiglia. Leggendo le sue pagine si percepisce l’amore dell’autrice per la sua terra e per il suo lavoro che si potrebbe benissimo definire una passione.
La sua protagonista, Angelica, è, infatti, sarda e si occupa di api, ma non lo fa come molti, lei è una custode, una dote di famiglia che si tramanda da generazioni. Lontana ormai da molti anni dalle sue origini, Angelica viene “richiamata” dalla sua terra e dalla sua infanzia. Ad attenderla, oltre alle nuove responsabilità, ci sarà Nicola, suo primo amore, ritornato anche lui “in patria” per riacquisire un po’ di umanità persa per strada.
La Caboni ci trasporta in una piccola realtà sarda, in cui il passato non si dimentica, in cui nelle difficoltà ci si unisce e che ci insegna che non tutto il male viene per nuocere. Descrittiva come poche altre, riesce a portarci in quei patri, in quei boschi, davanti quel mare. Ogni capitolo inizia con una tipologia di miele diverso, accompagnato dall’aiuto che può dare, ad esempio il miele d’erba medica è ideale per il buonumore e la giovialità.
Non così scontato, molto attuale e con un pizzico di magia che non guasta, questo romanzo è sicuramente una conferma per l’autrice che si “adagia” in quel genere che sta fra la letteratura rosa e il romanzo.
Lo consiglio principalmente ad un pubblico femminile, ricordando che è un romanzo molto piacevole, anche se ha un inizio un po’ lento.
Vi lascio con questa frase:
“Le piaceva la vecchiaia, era il modo migliore che Dio aveva di rimettere tutti allo stesso livello. Non si salvava nessuno, e questo la soddisfaceva profondamente”.
Buona lettura!
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Utile solo per spunti
101 è il numero che la Newton Compton ha utilizzato (e probabilmente utilizza ancora) per una collana di libri. Una collana molto variegata che affianca a questo numero, storie, personaggi, cose da fare, gol, misteri ecc..
Le autrici Scaraffia e Galeotti, hanno cercato di inserire, in questo volume, le 101 biografie di donne che hanno dato il loro contributo per rendere grande l’Italia. La scelta è delle più variegate, troviamo donne che si sono occupate di sport, cinema, politica, giornalismo, architettura, musica, lavoro femminile e così via.
Tutto questo può sembrare molto bello solo se non consideriamo alcuni punti. Il primo di tutti è la lunghezza, personalmente trovo davvero impossibile rendere il dovuto onore e importanza a 101 donne in solo 205 pagine (ovvero ad ognuna è toccata al massimo una pagina e mezzo). Inoltre, a mio avviso, la scelta infelice di scegliere l’ordine alfabetico invece di quello cronologico. Sarebbe stato molto piacevole vedere quelle donne che hanno vissuto i soliti anni vicine invece di trovarsi “Raffaella Carrà” e subito dopo “Caterina da Siena”.
Comunque all’interno ho trovato molti spunti di lettura, specialmente delle partigiane che mi sono già appuntata e che leggerò prossimamente.
Vi lascio con la frase di Anna Magnani:
“Al suo truccatore che voleva coprirle le rughe, Anna Magnani replicò: “Lasciamele tutte. Ci ho messo una vita a farmele””.
Buona lettura!
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Un russo poco conosciuto
Fëdor Sologub, nome d’arte di Fëdor Kuz’mic Teternikov, è un autore pietroburghese purtroppo poco conosciuto in Italia. “Il demone meschino” è un capolavoro e il titolo non ti può preparare al contenuto romanzo. Ero convinta di trovarmi qualcosa di mostruoso o di fantasioso, invece mi sono trovata Peredònov.
Peredònov è un insegnante del ginnasio, tra le sue caratteristiche più salienti, oltre ad un bell’aspetto, risaltano: l’essere paranoico (ai massimi livelli), volgare, stupido, irrispettoso nei confronti dei polacchi, ingiusto, cattivo, superstizioso e spesso affiancato dal demone Nedotykomka. Pur avendo tutte queste “doti”, il nostro protagonista è conteso da molte donne del paese.
Sologub presenta, in maniera sublime, le vicende di un piccolo paese russo (il romanzo è stato pubblicato nel 1905), dove le persone sono bigotte, invidiose, pettegole e religiose. Poco tempo fa ho letto “L’esclusa” di Pirandello e nel piccolo paesino russo ho trovato anche “un po’ di Sicilia”.
I personaggi sono molti, ed i nomi russi non aiutano, ma pagina dopo pagina sarà sempre più semplice riconoscerli. Inoltre Sologub di ognuno di loro ci lascia una descrizione minuziosa e dettagliata. C’è Volòdin che sembra un montone, Varvàra sciatta ed imbrogliona, la Verìga calcolatrice e spavalda, le signorine Rutilov civette e spensierate, la Grusina pettegola e maligna e il giovane Sasa, ingenuo e timido.
Tutto ruota intorno a Peredònov ed alla sua voglia di diventare ispettore.
Sologub ci presenta un’opera completa e geniale, dove possiamo trovare realtà e fantasia, satira e grottesco, commedia e tragedia. Spero di avervi convinto ad avvicinarvi a questo autore, io ne sono rimasta incantata.
Lo consiglio vivamente sia agli amanti dei russi sia a chi avesse intenzione di avvicinarsi a questi autori.
Buona lettura!!!
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Per non dimenticare
Ho letto molte biografie e autobiografie. Quando le leggi sai già cosa ti puoi aspettare; ci possono essere delle curiosità non conosciute o delle parti così toccanti che non potevi pensare di trovare, ma in linea generale ti trovi un racconto di una vita. Quando ho deciso di leggere “Persepolis” invece quello che mi sono trovata davanti non potevo minimamente immaginarmelo.
Marjane Satrapi è nata in Iran nel 1969 ed oggi vive a Parigi. Ha deciso di raccontare la sua storia per rendere giustizia al popolo iraniano perché per colpa di una parte degli estremisti, tutto il suo popolo è stato catalogato come “terrorista”.
Fin qui sembra tutto nella norma, quante persone hanno un trascorso simile al suo, ma, non ho ancora spiegato il lavoro di questa donna. La Satrapi è un’illustratrice ed ha deciso di rendere la sua vita un fumetto. Non amo i fumetti, ho solo un bellissimo ricordo del mio “Topolino” che leggevo da piccola, per il resto non mi sono mai appassionata al genere. Inizialmente scettica, mi sono invece trovata a leggere e sfogliare le pagine con voracità; quello che leggevo ma soprattutto vedevo mi ha colpito.
Satrapi affronta il cambiamento del suo paese, come nell’arco di poco tempo la libertà di ognuno è stata diminuita e la donna si è ritrovata in un mondo “nuovo”. In cui intere famiglie fuggono oppure per offrire un futuro ai figli li mandano all’estero. In cui oggi hai tutto e domani non hai niente. In cui pensi che il male sia uno e poi invece capisci che non era quello. In cui una bambina, poi diventata donna ha dovuto affrontare tutto questo.
L’intento dell’autrice, che come dicevo prima ha realizzato anche i disegni, è quello di “Si può perdonare ma non si deve dimenticare” e che “di tutta l’erba non si fa un fascio”.
Sono molte le edizioni di questo romanzo, io ho avuto la fortuna di leggere l’ultima ovvero quella del 2014 che è la nuova edizione integrale. Coinvolgente, forte e riflessivo. Lo consiglio sia per l’idea originale dell’autrice sia per la portata del suo messaggio.
Buona lettura!!
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Non la migliore Torregrossa
Dopo aver letto quattro libri di quest’autrice, posso dire che un pochino la conosco e ne riconosco il suo stile. Il suo ultimo libro è appunto “Il figlio maschio”, un romanzo che ci racconta la vita della famiglia Cavallotto per quasi un secolo. Tutto ha inizio con Concetta Russo, la moglie di Turiddi Ciuni che nei primi anni del Novecento decise di mandare tutti i suoi dodici figli (sia maschi che femmine) a scuola. Il marito li voleva per la terra lei li voleva per i libri.
Questo amore per i libri, in una maniera o nell’altra, ha “infettato” tutta la generazione che piano piano ha fatto dei libri la loro vita.
Come ogni romanzo di questa autrice, la donna ha come sempre un ruolo cardine. Il dialetto è usato liberamente e rispetto agli altri, sul fondo non ho trovato “la traduzione” quindi qualche dettaglio (ma proprio pochi) me lo sono perso.
La Torregrossa ci racconta la sua Sicilia e come il suo “volto”è cambiato nell’arco di un secolo. La fase pre-guerra, la guerra e il dopoguerra e le sue conseguenze; la vita siciliana, con i pettegolezzi, le invidie, gli sciacalli e il pizzo. Come una donna senza un uomo non è ben vista e di come i tempi cambiano e la donna sa riscattarsi.
“Solo la felicità riuscivano ad affrontarla singolarmente, la difficoltà la vivevano in comunione”.
“Non è più il tempo che una fimmina trova un marito e si sistema. È necessario tenere conto delle loro aspirazioni”.
Ho iniziato la mia recensione parlando dello stile dell’autrice, c’è un motivo perché l’ho fatto, perché questa volta mi sono trovata davanti qualcosa di diverso da quello che solitamente mi aspetto dalla Torregrossa. Continui cambi di scena e di anni (trovati anche in altri libri ma qui proprio netti), si salta ad esempio dal 1945 al 1954 in dieci pagine. Ogni capitolo inizia poi con un personaggio diverso, alcuni già conosciuti altri no. Ti stai appassionando alla vita di qualcuno (Concettina Ciuni è la mia preferita) e voltata pagina l’hai perso.
Insomma questa cosa mi ha spiazzato e non riconoscevo la mia tanto amata autrice della “La miscela segreta di casa Olivares”, poi tutto si è fatto chiaro. Giuseppina Torregrossa ha scritto sì un romanzo, ma non farina del suo sacco. L’autrice si è presa un bel compito, quello di raccontare le vicende della casa Editrice Cavallotto e per farlo si è fatto raccontare i fatti dalle dirette interessate ovvero dalla moglie e dalle figlie dell’editore siciliano.
Non è facile rendere giustizia ad una storia che parte così da lontano e che va raccontata in così poche pagine. Ora comprendo il suo saltare da un personaggio all’altro, per dare a tutti la giusta importanza e mostrare il contributo che hanno dato, ma per me che non conoscevo la storia è stato davvero difficile, non stargli dietro, ma gustarmi tutte le emozioni e il vero significato delle azioni, solo alla fine sono riuscita ad assaporarle.
Mi dispiace Giuseppina Torregrossa ma ti preferisco quando la farina è tutta del tuo sacco e proprio lì che sai dare il meglio di te. Comunque è sempre bello leggere qualcosa scritto da lei, sempre ironica, divertente, tragica e sicula al 100%.
Non mi sento di consigliarlo vivamente, come invece farei con altri di lei.
Buona lettura!
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Espulsa e condannata senza remissione
Con uno stile molto Pirandelliano inizia "L'esclusa". Un inizio un pò ironico e in alcuni tratti divertente, celano quello che diventerà una vera e propria tragedia. La tragedia di Marta, espulsa e condannata senza remissione.
Siamo in Sicilia, Rocco Pentàgora scopre che la moglie Marta riceve ormai da alcuni mesi le lettere di un innamorato. Anche se la questione non va oltre questo, ovvero l'aver solo accettato e risposto a queste lettere (senza averlo detto al marito), e pur non avendo mai incontrato lo spasimante, il marito Rocco si sente comunque tradito e decide di buttar fuori di casa la moglie, la quale viene bollata come adultera.
Sembra poi che la famiglia di Rocco non sia nuova a questo genere di cose:
"Fece con una mano le corna e le agitò in aria.
-Caro mio, vedi queste? Per noi, stemma di famiglia! Non bisogna farsene".
Marta si ritrova ad essere esclusa, abbandonata dal marito, evitata dal padre al quale ha portato disonore, è calunniata dal suocero e da tutto il paese. Una donna perduta che grazie alla sola forza in se stessa tenterà di andare avanti. Solo la madre, la sorella Maria ed un'amica le resteranno vicine. Senza considerare poi che le disgrazie non vengano mai sole.
"Sentiva penetrarsi dal convincimento che lei sola era l'esclusa, lei sola non avrebbe più ritrovato il suo posto, checché facesse; per lei sola non sarebbe ritornata la vita d'un tempo".
Un giovane Pirandello ci porta in una Sicilia spietata, pettegola e che non perdona, in cui si da più credito alle voci che hai fatti, una Sicilia in cui una donna sola deve affrontare mille battaglie per sopravvivere e che a volte non sono neanche sufficienti.
Un personaggio femminile molto forte e indipendente, con qualcosa di rotto dentro davvero difficile da risanare.
Visto i tempi che corrono e le notizie che si sentono, forse i temi dell'esclusa non sono poi così lontani da noi.
Lo consiglio.
Buona lettura!
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Ma chi sono i veri barbari?
Coetzee, Premio Nobel per la Letteratura nel 2003, è uno scrittore sudafricano bianco. "Aspettando i barbari" è stato scritto e pubblicato nel 1980, in piena Apartheid, di cui lo scrittore era uno dei maggiori oppositori.
Con questo testo, Coetzee, ci porta a riflettere ed a domandarci: ma quali sono i veri barbari?
"Aspettando i barbari" ci racconta la storia di un magistrato bianco, il cui lavoro consisteva nell'amministrare un piccolo paesino di frontiera. La frontiera che divide l'impero dai barbari.
Dopo tantissimi anni di pace, dalla capitale arriva la Terza Divisione, una delle più spietate, con a capo il Colonnello Joll, che porta la voce che i barbari cominciano a premere lungo la frontiera e con la missione di fermarli.
Questa sembra proprio una buona motivazione per torturare tutti quelli che trovano.
Coetzee con questa opera ci lascia una vera e propria lezione di vita; gli occhi ci vengono aperti con l'intento di guardare oltre le apparenze al punto da chiedersi da che parte della frontiera sono i barbari.
Il suo protagonista inizialmente viveva nell'opacità, ma arriva ad un punto, "nel silenzio di quel chiaro mattino scopro un sentimento oscuro annidato ai confini della mia coscienza", in cui decide di stravolgere la sua vita ed attuare una propria ribellione.
E' un libro che consiglio, non è una lettura semplice, è molto intenso e riflessivo e bisogna interpretarlo con l'idea e le emozioni che l'autore viveva e provava in quel determinato periodo. La crudeltà, l'indifferenza e il "credere alle voci", sono gli elementi caratterizzanti di quest'opera.
Vi lascio con questa frase:
"Su tutte le facce che ho intorno, perfino su quelle sorridenti, vedo la stessa espressione: non c'è odio, né sete di sangue, ma una curiosità così intensa che sembra prosciugare i corpi, lasciando vivi solo gli occhi, organi di un nuovo, sconvolgente appetito".
Buona lettura!
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Alice il triangolo no!
Quinto capitolo della serie Alice Allevi (ovvero l'allieva) dell'italiana Alessia Gazzola. La nostra (ormai dopo cinque libri inizia a diventare davvero familiare) specializzanda in medicina legale sta diventando un'investigatrice sempre più brava, di cui ormai l'ispettore Calligaris non riesce proprio a farne a meno.
Bistrattata dai suoi capi, in particolare dalla Wally, si ritrova anche a dovere fare da tutore ad una nuova allieva.
Questa volta il mistero da risolvere è davvero interessante. Le indagini ruotano intorno al ritrovamento di un cadavere nascosto all'interno di un teatro, da ben 25 anni. Un cold case davvero difficile considerato poi che alla vicenda si aggiungono anche altri episodi presenti.
La cosa che come sempre provoca grandi "grattacapi" alla nostra Alice, oltre all'indagine, è l'amore ed il duetto diventa quasi un triangolo.
Il medico legale Claudio è diventato CC, Arthur è l'innominabile ed ora si aggiunge anche l'antropologo forense Sergio Einardi. Sempre più incasinata!
Fra pasticci, trovate geniali e la strepitosa nonna Amalia, non vi annoierete a leggerlo. Dopo "Le ossa della principessa" che avevo trovato un pò fiacco, sono felice che la Gazzola con questo si sia riscattata.
Ogni volta che mi ritrovo a leggere un suo libro non posso far a meno di ridire e passare del tempo in maniera davvero rilassata e piacevole.
Per gli amanti di gialli e thriller voglio avvertirli che questo è un giallo, ma con sfumature di rosa!
Lo consiglio, anche se prima andrebbero letti gli altri.
Buona lettura!
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L'uomo delle limonate
Durante la lettura di questo testo mi sentivo come un'osservatrice che dall'alto valutava tutto quello che Pereira sosteneva. Per tutta la lettura, ma direi anche giunta alla fine, una sensazione di perplessità mi accompagnava. Avevo letto così tanto bene di questo libro e poi mi ritrovavo a leggere la telecronaca indiretta dell’uomo delle limonate.
Finché dopo un paio di giorni, dalla conclusione della lettura, è come se davanti ai miei occhi si fosse diradata la nebbia e si fosse presentato il vero messaggio dell’uomo delle limonate.
Pereira, come avrete capito, pur essendo un tantino fuori forma, non riusciva proprio a rinunciare a una buona limonata fresca con tanto zucchero. Siamo a Lisbona, nel 1938 e da poco il nostro protagonista è diventato il direttore della pagina culturale del “Lisboa”, un giornale del pomeriggio. E’ un uomo solitario, parla con il ritratto defunto della moglie e la sua vita va avanti intervallata da omelette aromatiche e ovviamente limonate. Pereira sostiene di definirsi così:
“sono solo un oscuro direttore della pagina culturale di un modesto giornale del pomeriggio, faccio qualche ricorrenza di scrittori illustri e traduco racconti dell’Ottocento francese, di più non si può fare….
Gli venne in mente la bizzarra idea che lui, forse, non viveva, ma era come se fosse già morto. Da quando era scomparsa sua moglie lui viveva come se fosse morto”.
Finché un incontro con la morte, con l’anima, con un uomo, una donna o un dottore, cambiano definitivamente la sua vita.
Tabucchi ci racconta con gli occhi di Pereira come il popolo portoghese si stava preparando alla seconda guerra mondiale e come seguiva le vicende della Spagna. La censura, le soffiate, la diffidenza e la “follia” di un uomo che rinuncia alla normalità per tornare a vivere.
Un libro molto riflessivo, a cui tuttora penso, che non mi ha subito preso ma che una volta diradata la nebbia mi ha proprio conquistata.
Lo consiglio.
Buona lettura!!
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Un buon esordio
La vita di Rachel sta andando a rotoli, ancora legata al suo passato, di cui non riesce a liberarsi, vive nella menzogna e "naviga" nell'alcol. Le uniche soddisfazioni della sua vita, al momento, consistono nel chiamare e disturbare il suo ex-marito, ormai risposato con Anna, e guardare ogni giorno dal finestrino del treno.
Aspetta sempre che il treno rallenti per potersi godere lo spettacolo e tenere d'occhio la coppia della villetta accanto alla sua ex casa. In loro cerca quello che non può più avere, finché un giorno proprio da quel finestrino vede quello che non avrebbe mai voluto vedere.
Paula Hawkins ci presenta un thriller interessante, con un inizio davvero molto lento, tanto dal chiedermi se abbandonarlo o meno, per poi invece continuarlo e ricredermi.
Le tre protagoniste dei tre diari non sono proprio un bel trio. Rachel è una donna distrutta che beve così tanto da arrivare al punto di dimenticarsi le propri azioni; Anna è una donna che dopo aver rubato il marito ad un'altra, sta vivendo la maternità e la sua nuova vita non proprio al meglio ed infine Megan, bella, malinconica e sempre alla ricerca di "altro" al di fuori dal matrimonio.
Tre donne, tre vite ed un solo finale. Sinceramente tutte non molto simpatiche e per me è stato impossibile preferirne una all'altra.
"La ragazza del treno" è un libro che vi coinvolgerà, a volte vi disgusterà ma sicuramente non vi lascerà indifferenti. Lo stile è da migliorare, ma con un esordio così, l'autrice è già a un buon punto e sicuramente sentiremo ancora parlare di lei.
Lo consiglio.
Buona lettura!
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Tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti..
Siamo negli anni '50 e Calvino decide di iniziare il suo romanzo come se fosse una fiaba, ma al posto del "C'era una volta.." decide di partire con "C'era una guerra".
Infatti tutto comincia quando il visconte Medardo di Terralba decide di combattere contro i Turchi al servizio dell'Imperatore e ne ricava:
"Gli spararono una cannonata in pieno petto. Medardo di Terralba saltò in aria...a farla breve, se n'era salvato solo metà".
Il visconte "era vivo e dimezzato", una parte cattiva e l'altra buona; due parti contrapposte che in ognuno di noi esistono e coesistono ma che separate possano davvero dire la loro.
"Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo".
La storia/fiaba ci viene raccontata dal nipote del visconte in cento pagine. L'intento di Carlino ovviamente è molto importante e direi anche filosofico, vi lascio con una frase, dell'autore, che rappresenta quello che ci voleva trasmettere:
"Avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell'uomo tagliato in due, dell'uomo dimezzato, fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l'altra".
Ovviamente lo consiglio, il testo come avrete capito è un pò fantasioso ma molto divertente e anche riflessivo. A volte il cattivo è troppo cattivo, ma anche il buono che è troppo buono può nuocere.
Buona lettura!
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La tigre azzurra
Nicolas Barreau ha il dono di riuscire, tutte le volte che si legge un suo romanzo, a trasmetterti la voglia di tornare o di andare a Parigi. Già la copertina e il titolo sono evocativi.
Quest’autore è bilingue (madre tedesca e padre francese); è pubblicato in tedesco e parla sempre di Parigi nei suoi romanzi, con un colpo solo riesce ad accontentare tutta la famiglia.
"Parigi è sempre una buona idea" è il suo ultimo romanzo, ambientato appunto a Parigi. Tutta la storia ruota intorno ad un libro per bambini intitolato "La tigre azzurra".
I protagonisti sono tre: Rosalie, l'illustratrice, proprietaria di una cartoleria, è davvero intraprendente, testarda e sognatrice; Max Marchais, è il famoso l'autore del libro e Robert Sherman di New York, insegnante di letteratura, è convinto che il libro non sia di Marchais.
Barreau continua a cambiare i suoi personaggi e la trama, ma il suo stile è riconoscibile, tanto che, dopo averne letti altri di lui, direi anche prevedibile.
Ho riscontrato che l'autore è molto descrittivo, soprattutto nella parte iniziale e centrale del romanzo, ma quando si arriva sul finale, tende sempre a tirare via..come se non avesse più tempo o spazio per scrivere.
Va bene che Barreau è abbastanza giovane, ma da un autore che ha già pubblicato ben sei romanzi, mi aspettavo qualcosina in più, specialmente sul finale.
Lo consiglio, il libro è leggero, si legge velocemente ed è molto carino.
Buona lettura!
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E' l'insieme che non mi convince
Pedro Chagas Freitas è portoghese, insegna scrittura creativa ed è originale. Le case editrici di tutto il mondo si sono contese il suo romanzo, addirittura con aste agguerrite.
"Prometto di sbagliare" si presenta con una copertina ed una trama che non rispecchiano molto il contenuto dell'opera.
Freitas sa scrivere, su questo non c'è dubbio, ma la sua scelta stilistica mi ha molto spiazzato.
Mi è capitato di leggere dei libri che pur non essendo dei capolavori, erano comunque riusciti nell'insieme a lasciarmi qualcosa; questo romanzo è invece completamente l'opposto. La singola pagina vince sulla totalità. Stargli dietro non è semplice, ogni 2/3 pagine l'autore mette un punto e ricomincia. Pensate in circa 400 pagine quanti piccoli "paragrafi" ci possono essere.
E' facilmente comprensibile quindi la geniale trovata pubblicitaria della Garzanti, che consiste nel pubblicare piccoli estratti del romanzo e farli circolare sui social...difficile dopo averli letti non essere tentati...
Io comunque, quando leggo un libro ho la necessità di viverlo e di immaginarmelo. In alcuni paragrafi ero convinta che chi li avessi scritti fosse un uomo, per poi nel bel mezzo della lettura, ritrovarmi qualche riferimento puramente femminile (es. mi sono innamorata) che mi disorientavano. Questo non aiuta il lettore..
Sulla trama non mi pronuncio, posso solo dire che non si segue molto bene e che alcune volte mi sono "persa".
Insomma, con questo romanzo sono sempre "rimasta con i piedi per terra";: sulla singola parte non ho niente da ridere, ma visto che non è né un racconto, né un'enciclopedia sull'amore... molto poco è quello che mi è rimasto.
Sono sicura che ad altri può piacere, l'autore è bravo e spero di poter leggere qualcosa di lui diverso da questo genere.
Personalmente non lo consiglio, poi fate voi!
Buona lettura!
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- sì
- no
Un uomo che non sa parlar di donne
Non è mia consuetudine iniziare una recensione così, ma per questo testo voglio fare un'eccezione.
Secondo la casa editrice Neri Pozza:
"Gilbert Sinoue ci regala il ritratto di alcune donne straordinarie che, anche a distanza di secoli, appaiono ancora come le più stupefacenti e attuali delle eroine".
Chi un pò conosce le mie recensioni, sa come adoro i libri che parlano di donne; quindi tutta felice inizio a leggere le "dodici monografie essenziali" di queste eroine.
Gilbert Sinoue è nato in Egitto e vive a Parigi. Mi sono trovata a leggere altri libri che parlano di donne, scritti da uomini e li ho trovati piacevoli. Non è il caso di questo.
Sinoue non conosce le donne, lo si può facilmente capire dal suo linguaggio. Non ha sensibilità, né accortezza e soprattutto è completamente privo di buongusto.
Le "sue" eroine non vengono trattate da lui come tali. In molte monografie hanno addirittura un ruolo marginale, senza considerare i riferimenti storici a cui si è attenuto, come ad esempio:
Cleopatra: "A morte la puttana del Nilo";
Teodora (moglie di Giustiniano): "Quest'essere insozzato dalle più grandi laidezze";
Kahina: "A questa maledetta regina occorre una sepoltura immonda".
Sono andata sul leggero, molti altri commenti sono ancora più offensivi.
Sinoue non ci ha proprio capito nulla. Mi sorprende che una casa editrici come la Neri Pozza abbia accettato di pubblicarlo. Mi dispiace ma ci vuole più rispetto, più approfondimenti e meno maschilismo.
Potrei consigliare all'autore di cambiare genere, ma ho visto anche altre recensioni su di lui e forse è altro quello che dovrebbe cambiare...
Sono arrivata fino alla fine solo per poterlo recensire e sconsigliare. E' la prima volta che mi trova a dare 1 ad un libro.
Buona lettura, si, ma di altro!
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"Eccola, la vecchia Russia!"
"Memorie di un cacciatore" è una raccolta di 25 racconti, pubblicati da Turgenev a metà Ottocento.
Pur non essendo amante dei racconti, mi sono avvicinata a questo testo perché chi me lo aveva consigliato, era una persona di cui mi potevo fidare..."Difficile scrivere dopo di lui" diceva Tolstoj.
L'ispirazione per questi racconti, viene da esperienze vissute direttamente dall'autore.
"Uno dei principali vantaggi delle caccia, miei cortesi lettori, sta nel fatto che essa vi costringe a passar di continuo da un posto all'altro, cosa che per un uomo disoccupato è molto piacevole".
I suoi non sono semplici racconti per intrattenere i lettori, ma sono delle vere e proprie denunce nei confronti del sistema russo in cui "quel che era vecchio è morto e quel ch'è nuovo non nasce!".
Turgenev racconta le cattive condizioni di vita dei contadini servi e dei piccoli proprietari terrieri. Ogni personaggio è diverso dall'altro, ognuno con il suo carattere e con le sue storie. Sono racconti brevi ma completi.
La vecchia Russia, immersa in tutta quella campagna sconfinata, con le sue tradizioni, i rapporti tra contadini e possidenti, in una nazione in cui:
"Vivendo allora come molti vivono in Russia, senza un quattrino, senza stabile occupazione, campava poco meno che di manna dal cielo".
Turgenev con la sua scrittura conquista il lettore; è così attento alle esigenze dei suoi "sostenitori" da rivolgersi molto spesso direttamente ad esso.
Descrittivo, realista ed incisivo, ha conquistato le persone del suo tempo, ma direi anche quelle del nostro. Alcuni affermano che grazie anche al suo contributo, che ha colpito molto la popolazione russa, si sia giunti all'abolizione della servitù della gleba.
Lo consiglio.
Buona lettura!!
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Il ritratto di una voce
Una Margherita Yourcenar strepitosa, ci racconta, anzi ci fa raccontare direttamente dall'Imperatore Adriano, le sue memorie.
"Mi dicevo che a Roma mi attendevano due soli affari importanti: uno era la scelta del mio successore, che interessava tutto l'impero, l'altra era la mia morte, e concerneva me solo".
Un uomo che dopo una vita vissuta appieno, decide di lasciare le sue memorie ad un giovane Marco Aurelio, ma soprattutto le scrive per "conoscersi meglio prima di morire".
Quello che l'autrice ci presenta è considerato da molti un capolavoro e posso dire che anch'io lo ritengo tale. Tra finzione e molta realtà (la Yourcenar, basta vedere la sua biografia, è sempre stata una donna che prima di realizzare un'opera si è sempre documentata in maniera approfondita), l'Imperatore ci viene presentato oltre che come uomo storico, con le sue vittorie e conquiste, soprattutto come essere umano, con il suo carattere, le sue debolezze, i suoi amori, la sua forza e il suo spirito.
Per realizzare questa opera, l'autrice ci ha impiegato quasi trent'anni; iniziato da lei ventenne, venne ripreso più volte.
"Comunque, ero troppo giovane, ci sono libri che non si dovrebbero osare se non dopo i quarant'anni".
La cosa che colpisce è lo stile con cui ha deciso di scrivere questo testo; la Yourcenar ce ne spiega la sua scelta:
"Se ho voluto scrivere queste Memorie di Adriano in prima persona è per fare a meno il più possibile di qualsiasi intermediario, compresa me stessa. Adriano era in grado di parlare della sua vita in modo più fermo, più sottile di come avrei saputo farlo io".
Lo consiglio vivamente. Uno di quei libri che almeno una volta nella vita vanno letti.
Buona lettura!
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Il vecchio imballatore
Hanta da trentacinque anni lavora con la carta vecchia. Il suo lavoro consiste in "una strage degli innocenti"; ogni volta con la forca deve prendere la carta ed i libri che nessuno vuole più e li deve buttare nella pressa che li trasformerà in dei pacchi compatti.
Ma Hanta non è solo un imballatore, lui è un "vecchio imballatore", un uomo che quel lavoro lo fa con amore e dedizione.
Ama così tanto i libri da non riuscire a non salvarne sempre qualcuno, al punto che in casa sua non c'è più spazio libero.
Hanta lavora a mani nude per gustare sulle dita la carta.
La sua vita scorre così per trentacinque anni, in "una solitudine troppo rumorosa", con i suoi continui monologhi con gli autori che legge, parla anche con Gesù e Laozi.
Il suo stile di vita è però a rischio a causa della modernità e dei cambiamenti
Hrabal con il suo stile originale, ci racconta il suo protagonista. L'amore per i libri e la letteratura "condiscono" questo romanzo.
Ma Hrabal soprattutto ci fa vedere la nuova società ceca. I giovani che diventano "i nuovi imballatori", facendo diventare un'arte solo un semplice mestiere.
"pacchi di libri accatastati fin sopra le sponde, carichi interi che finivano direttamente al macero, senza che neppure una pagina imbrattasse occhi umani o mani o cervello umani o cuore".
Fra passato e presente, in periodo post-bellico, in neanche cento pagine, con topi, presse e libri, vi troverete immersi in una lettura singolare, non leggera e molto profonda.
"con un libro in mano apro gli occhi su un mondo diverso da quello dove appunto stavo, perché io quando incomincio a leggere sto proprio altrove, sto nel testo, io mi meraviglio e devo colpevolmente ammettere di essere stato in un sogno, in un mondo più bello, di essere stato nel cuore stesso della verità".
Buona lettura!!
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Quando la favola diventa un incubo
Marcia Grad è specializzata in psicologia. Con "La principessa che credeva nelle favole", l'autrice, ci fa seguire "un percorso" che purtroppo molte donne (ma direi anche gli uomini) si trovano a vivere, senza riuscire a liberarsene.
Victoria è una principessa e come tale cresce nella convinzione che un giorno arriverà il suo principe azzurro e grazie a lui, la sua favola comincerà e da quel momento in poi vivrà per sempre felice e contenta.
Ma come spesso succede, la favola diventa invece un incubo. Il principe non è poi così "azzurro".
Con leggerezza (noi ci ritroviamo a leggere proprio una favola), la Grad ci fa affrontare un percorso psicologico che porta a riflettere. La principessa Victoria si ritroverà a dover affrontare quello che molte donne si ritrovano a vivere nella vita reale e si impegnerà con tutte se stessa per uscirne, ci riuscirà?
Fra le frasi più belle:
"Ci sono cose che occorre vedere ma che gli occhi non sono in grado di percepire"
""Ma nelle favole non dovrebbe esserci un principe azzurro?"
Si, certo, lo trovi nelle storie che si leggono la sera ai bambini, prima di andare a letto. In quelle che si svolgono nella vita reale il lieto fine c'è anche se manca il principe"".
Per me alcune cose erano delle vere e proprie ovvietà, ma comunque ho apprezzato il contenuto ed anche se lo stile è "particolare" può essere uno strumento d'aiuto.
Lo consiglio a chi vuole affrontare un percorso psicologico legato ad amori non troppo fortunati ed anche alle persone che hanno poca fiducia in se stessi a causa di compagni/fidanzati/mariti.
Buona lettura!
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Secondo capitolo della saga Codice Millenarius
“L’abbazia dei cento delitti” di Marcello Simoni, è il secondo romanzo della saga “Codice Millenarius”.
Mi sono ritrovata immersa in questo libro senza aver prima letto il precedente, ma grazie a tutti i riferimenti di Simoni, sono riuscita a seguire molto bene la trama.
I personaggi sono molti e si trovano sparsi fra Ferrara (e dintorni) e Francia (Avignone e Reims).
Il romanzo è ambientato fra il 1347 e il 1348. Tutto ruota intorno al segreto del Lapis Exilii. In molti sono a cercarlo, fra i più agguerriti troviamo il valoroso cavalieri francese Maynard de Rocheblanche e il cardinale Du Pouget.
Fra gli altri personaggi risaltano l’abate Andrea, il giovane Gualtiero, la giovane Isabeau, Eudeline, sorella di Maynard e il marchese Obizzo d’Este.
Fra intrighi, ricatti e continui colpi di scena, Simoni ci riporta nella Ferrara di un tempo, alla corte degli Este, senza farci dimenticare la peste che devastò l’Europa in quegli anni e la corruzione della chiesa.
Un libro che si legge velocemente, in ogni pagina succede qualcosa. Nessuna digressione, solo fatti. Forse qualche dettaglio in più l’avrei preferito; a volte ero così intrigata da un passaggio che però, dopo neanche dieci righe, era finito e mi ritrovavo già da un’altra parte.
Un grande scrittore di storici medioevali, che per le sue ambientazioni ed i suoi contenuti, mi ha ricordato un po’, sia Ken Follett (anche se le stupefacenti descrizioni storiche di Follett sono un po’ difficili da eguagliare) che Dan Brown.
Lo consiglio.
Buona lettura!
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L'unica ragazza nei boschi
1995, Cheryl Strayed è arrivata ad un "punto di non ritorno"; decide di dare una svolta alla sua vita.
La sua svolta si chiama Pacific Crest Trail (PCT).
"Un mondo che pensavo avrebbe potuto fare di me la donna che sapevo di poter diventare e al tempo stesso risvegliare la ragazza che ero stata una volta. Un mondo che misurava sessanta centimetri di larghezza ed era lungo 4260 chilometri".
A ventisei anni, con zero esperienza di trekking nella natura selvaggia, Cheryl si incammina con mostro (così chiamerà il suo zaino a causa del peso) ed a piedi e in solitudine attraverserà la California.
Con la compagnia della natura, degli animali, dei pochi trekker incontrati e soprattutto dei libri, la protagonista (anche autrice del libro) proverà a ritrovarsi.
Questo viaggio le insegnerà molte cose. Fra le prime che "la paura, in gran parte è figlia di ciò che ci raccontano e quindi io avevo scelto di raccontarmi una storia diversa da quella che narrano alle donne". Non solo, ma il PCT gli ha insegnato a conoscere i suoi limiti, l'umiltà e la forza di non arrendersi.
"Il PCT mi aveva insegnato cos'era un chilometro, ero umile davanti a ciascuno di essi".
Con una scrittura davvero eccellente e coinvolgente, la Strayed ci racconta la sua esperienza di "ragazza dei boschi". I suoi momenti no, le sue soddisfazioni, le sue paure e i suoi traguardi. Sono così sentite queste emozioni, da risultare anche un pò nostre.
Sono un'amante dei racconti di viaggio, specialmente quando riguardano le donne e questo mi ha veramente colpito. Un viaggio affrontato negli anni in cui internet era ancora poco sviluppato..
Schietto, avvincente e profondo; è una lettura che consiglio vivamente. A breve guarderò anche il film uscito da poco.
Buona lettura!!!
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La "zecca" con il miglior naso
Può la persona con il miglior olfatto al mondo non riuscire a percepire il proprio odore?
Sembra un paradosso, ma Grenouille, nato a Parigi nel 1738, è l'uomo con l'olfatto più sviluppato mai visto prima (riesce anche a sentire l'odore del pomello della porta), ma è anche l'unico uomo a non aver nessun odore.
Questa caratteristica gli ha sempre provocato molti problemi; oltre alla diffidenza che riceveva dagli altri ("Non riuscivano a sentire il suo odore, Avevano paura di lui"), la sua infanzia è tutto un susseguirsi di abbandoni; la maggior parte delle persona da lui incontrate, non vedeva l'ora di liberarsene. Tutte queste cose hanno fatto in modo e maniera che il piccolo Grenouille crescesse in maniera anormale:
"Era tenace come un batterio resistente e parco come una zecca, che se ne stava quieta su un albero e sopravvive con una minuscola goccia di sangue succhiata anni prima. Per il suo corpo aveva bisogno di un minimo di cibo e di abiti. Per la sua anima non aveva bisogno di nulla".
Vista la difficile infanzia non sorprende che il basso, zoppo e grottesco Genouille si metta in testa di creare il miglior profumo al mondo, senza fermarsi davanti a niente e nessuno per realizzarlo...
Suskind crea una storia ed un personaggio davvero originali. L'autore ti avvisa, sai benissimo quello che sta per succedere, ma quando arriva ne rimani comunque impressionato, sbalordito.
In alcuni punti è inevitabile provare un pò di "disgusto", ma il suo stile e la sua ricercatezza non lasciano sicuramente indifferente il lettore. Molti sono i temi toccati, che con una lettura superficiale possono sfuggire, ma per un lettore più attento risultano di facile comprensione.
Profumi così dettagliati hanno risvegliato in me sensazioni particolari; un libro che difficilmente si può dimenticare.
Lo consiglio, è un libro molto particolare, una lettura insolita.
Buona lettura!
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Cara Premoli mi chiedo perché??'
Cara Signora Premoli, devo dire che sinceramente mi sento un pò oltraggiata dal suo pensiero sul mondo femminile.
Partiamo dal presupposto che ho letto altri suoi romanzi che, anche se non sempre tutti originali, li ho comunque trovati piacevoli e divertenti.
Ma durante la lettura di questo romanzo, molte volte ho riso, ma molte altre ho storto il naso.
La protagonista è Kayla, praticamente mia coetanea, forse questo è anche uno dei motivi del mio risentimento. Torniamo a noi, Kayla, giornalista incaricata di raccontare la vita notturna della Grande Mela, viene "spedita", per un'indagine riservata, in un paesino dell'Arkansas, a Herber Springs, dove la ragazza tra l'altro ha la sorella della nonna ad aspettarla. Qui in questo paesino, incontra Greyson, "il figo di turno".
Fin qui tutto nella norma, ma ecco che da questo punto, la Premoli ci presenta le caratteristiche "salienti" della sua protagonista: necessità di avere un tacco 12 ai piedi; scarse capacità di orientamento; incapacità "culinarie" (non sa neanche come si apre un uovo); punta a storie di sesso e non a rapporti seri; è convinta che per far cedere un uomo serva un vestito aderente e scollato invece che il cervello ed infine la sua convinzione, che senza zumba non si possa sopravvivere.
Come giustifica queste splendide caratteristiche? Accennando, ma proprio accennando, che la povera Kayla è così a causa di un abbandono.
MI dispiace ma noi donne siamo molto di più.
Comunque c'è anche un lato positivo. La scrittrice mette a confronto la vita cittadina con quella delle piccole realtà, facendoci capire quello che ci perdiamo.
Il punteggio dello stile e della piacevolezza è legato al fatto che, a parte il contenuto, la Premoli sa scrivere molto bene, si legge piacevolmente ed apprezzo la sua ironia (anche se forse in questo romanzo ha esagerato un pò con le frasi fatte).
Consiglio all'autrice di puntare di più sul contenuto, perché se un libro è nella categoria "letteratura rosa" non vuol dire che il suo pubblico sia meno esigente.
I precedenti sono più convincenti.
Buona lettura!
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Un magnetismo insolito
Questo è il primo romanzo che leggo di questa autrice ungherese, venuta a mancare nel 2007.
Considerata una notevole "scrittrice" del secolo passato, mi sono decisa a leggerla, incuriosita anche dal titolo dell'opera.
Una sala da ballo, due persone mascherate e molte cose da dirsi, sono la base del romanzo. Visto che le cose da raccontarsi, fra la giovane Kristi e la sua insegnante Eva, sono molto intime e personali, entrambe decidono di parlare e raccontarsi in terza persona.
Una scelta che può un pò sconcertare il lettore o almeno è stato così nel mio caso.
Inizialmente non ne vedevo l'utilità ed anzi non riuscivo ad "immergermi" totalmente nel libro.
Se qualcuno durante la lettura mi avesse chiesto: "Ma com'è il libro che stai leggendo?"; io gli avrei risposto che in fin dei conti non era male, ma niente di che, nella norma.
Solo che dopo tutte queste cose, non riuscivo a smettere di leggerlo; ero insolitamente attratta da un libro che non mi aveva colpito ma che mi attraeva. Infatti l'ho finito in pochissimo tempo.
Solo alla fine sono riuscita a capire ed a comprendere la scelta di stile dell'autrice. Spesso parlando di noi in terza persona riusciamo a raccontare, di noi, anche la parte più intima del nostro essere.
Comunque è un libro che mi sento di consigliare, soprattutto per gli argomenti trattati; ci troviamo in un paese, l'Ungheria, post conflitto mondiale, in cui molti bambini sono dovuti crescere senza un genitore ed in cui la solidarietà fra piccoli ci ricorda che aiutare gli altri non ci costa niente e ci fa stare meglio.
Vedremo se nel prossimo libro che leggerò di questa autrice lo stile sarà il medesimo.
Buona lettura!
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Un Tolstoj senza peli sulla lingua
Arrivati alla conclusione di questo testo, a primo impatto, molti potrebbero definirlo un libro che si odia o si ama. Questi sentimenti potrebbero scaturire dalla concezione “molto” forte di arte da parte di Tolstoj che non accetta scappatoie e vede la sua idea come unica.
Questo saggio è stato pubblicato nel 1897, ed è stato preparato nel corso di più anni, tra cui è intercorsa anche la crisi spirituale che colpì l’autore agli inizi degli anni ’80 dell'ottocento.
Per Tolstoj, l’arte è solo e unicamente espressione della coscienza religiosa dell’uomo.
Forse se mi fossi fermata anch’io a questa considerazione, probabilmente, avrei odiato questo libro o l’avrei considerato parziale.
Ma come si può ben capire dal titolo di questa recensione, qui Tolstoj si mostra diretto, “senza peli sulla lingua” e non le manda a dire a nessuno, ci pensa lui.
Critico, spietato e risoluto. Ho apprezzato tantissimo il fatto che non si sia messo a criticare fra le righe ma che invece abbia messo nomi e cognomi dei vari autori e colleghi da lui disprezzati e ovviamente senza dimenticare di elogiarne altri.
Chi non ha superato il suo “esame” è stato letteralmente massacrato. Fra gli altri non ho potuto non ridere sulle sue opinioni sui poeti maledetti, la mia insegnante delle superiori mi ci fece stare mesi…
Altra cosa che ho apprezzato tantissimo è che prima di tutto quando parla di arte, si riferisce ad essa, come all’insieme di tutte le arti (pittura, musica, scultura, poesia ecc..) senza distinzione fra minori o maggiori.
E’ il suo attacco diretto agli autori (senza escludere nessuno, neppure lui medesimo) è esilarante e divertente:
"Tutti i versi di questi autori sono ugualmente incomprensibili, oppure si capiscono solo in parte e a prezzo d'un grave sforzo"
“E’ perciò affermare che un uomo non capisce la mia arte perché è ancora troppo sciocco significa peccare e scaricare le proprie colpe addosso agli altri”.
Inoltre inneggia l'arte popolare, quella che non ha bisogno di spiegazioni ma che è subito compresa da tutti.
“Ma un’opera d’arte si distingue da ogni altra attività spirituale proprio perché il suo linguaggio è comprensibile per tutti, perché trascina tutti senza distinzioni”.
Ho avuto la fortuna di leggere un’edizione del 1978 che riporta in copertina Tolstoj nel ritratto di Repin del 1887.
Lo consiglio agli appassionati di arte (non vi fate trascinare dalla sua ottusità e anche se vi venisse da storcere il naso continuate la lettura) ma anche a chi volesse vedere un Tolstoj in “veste” diversa dal solito.
Buona lettura!!
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L'adolescenza
"La disubbidienza" fa parte di quel ciclo di opere "tematiche" che caratterizzano l'opera di Moravia. Dopo aver letto "Il disprezzo" e "Gli indifferenti", posso dire che personalmente questo romanzo non è paragonabile agli altri due.
Pubblicato nel 1948, ci ritroviamo al cospetto di una famiglia borghese (la borghesia è una "categoria" a cui Moravia riesce difficilmente a rinunciare nelle sue opere...) composta da padre, madre e l'adolescente Luca.
L'adolescenza è una fase molto importante della vita ed ognuno di noi la vive in maniera molto personale. Quella di Luca diventa una vera e propria fase di ribellione. Abituato ad assecondare sempre il desiderio degli altri, dopo un episodio che segna particolarmente la sua vita, si ritrova a dover dare una svolta alla sua esistenza.
Per lui la rinuncia, la negazione e di conseguenza la disubbidienza diventano una condizione di vita necessaria. Da adolescente modello, con buoni voti a scuola, sempre disponibile nei confronti dei genitori e molto affezionato alle cose materiali, decide di cambiare tutto.
Ma non lo fa in maniera subito manifesta ed evidente, no, la sua disubbidienza è qualcosa che va al di là, che lo segna interiormente e ne porta poi le conseguenze esteriormente.
"Spesso si domandava perché mai si comportasse in quel modo; e si accorgeva di non poter trovare altro motivo che un puntiglio oscuro, arido, ingrato, del tutto negativo e però quasi insostenibile. "Perché faccio questo?" si domandava. Tra questi contrasti, intanto, il tempo passava."
Un Moravia per me insolito, meno piacevole rispetto agli altri ma pur sempre molto riflessivo. Inoltre ho notato un barlume di speranza che finalmente riesco a leggere in lui.
Leggere Moravia non è mai una perdita di tempo, ma sicuramente gli altri sono di un livello superiore.
Lo consiglio.
Buona lettura!
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Loro sono desaparecidos
Massimo Carlotto ci racconta qualcosa di cui si è sentito parlare molto poco; una parola che, spesso nel gergo comune, ci troviamo ad utilizzare senza pensarci, ma che dietro si porta un mondo. Quante volte sorridendo, dopo tanto che non vediamo un amico, gli abbiamo detto: ma eri desaparecidos.
Carlotto ci racconta fatti e personaggi reali. Ci racconta un'epoca che molti vorrebbero dimenticare ma che altri invece vogliono portare fino in fondo...ci racconta di una generazione che la desapariciòn ha cancellato.
Come avrete ben capito, questo romanzo è ambientato in Argentina. Il titolo completo è "Le Irregolari. Buenos Aires Horror Tour".
Ma chi sono le Irregolari?
"La società argentina fingeva di non accorgersi di noi perché non ci comportavamo come tutte le altre donne. Eravamo considerate, come dire, irregolari, perché avevamo deciso di non accettare la morte dei figli e il rapimento dei nipotini".
Le Madri e le Nonne, sono due associazioni che tuttora si battono per la verità; sono le donne di Plaza de Mayo, donne che per la propria famiglia non si sono fatte fermare davanti a niente. Donne che hanno visto sparire nel nulla figli e nipoti e che tuttora cercano.
"Trentamila solo i desaparecidos, ma è una cifra puramente simbolica perché non tutte le famiglie hanno fatto denuncìa di scomparsa: qui la gente ha ancora paura".
Carlotto con il suo Buenos Aires Horror Tour ci fa rivivere le tappe principali della "guerra sporca", la metodologia della desapariciòn, quello che dovevano subire sia quelli che venivano considerati pericolosi per lo stato sia le loro famiglie. Non stiamo parlando di chissà quanti anni fa, questi erano gli anni 70-80 del Novecento.
"Scendendo mi fermai sul secondo gradino:"Quanto è lungo questo tour?".
Il conducente alzò le spalle "Non ti basterebbero tutte le notti della tua vita. Buenos Aires non finisce mai".
Un romanzo molto interessante che però dal punto di vista stilistico non mi ha completamente convinto.
Una storia di sottofondo che poteva essere un pochino più chiara, probabilmente le emozioni in gioco e il sentirsi coinvolto in prima persona hanno influenzato le scelte dell'autore.
Anche sull'horror tour ho qualche pensiero. Probabilmente l'obiettivo dell'autore era quello di sconvolgere e impressionare il lettore (cosa che tra l'altro gli è riuscita molto bene), ma il suo stile così diretto e quelle informazioni gettate li, una dietro l'altro, come pugni in pieno volto (letteralmente parlando), potevano essere gestite, a mio modesto avviso, un pò meglio. Se però come ho detto il suo obiettivo era unicamente quello allora ci è riuscito.
Il grande merito di Carlotto è quello comunque di aver affrontato un argomento davvero poco trattato e di averci messo il cuore.
Lo consiglio.
Buona lettura!
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Un'avventura sulla pelle
Questo libro nasce per caso. Può succedere, di sentir parlare o leggere qualcosa e subito ci viene la voglia di raccontare la nostra esperienza?
Così succede ad Henri Charrière, che per caso si ritrova a leggere le avventure di una donna che ha raccontato la sua vita ricca di fughe e prigioni; sentitosi colpito in prima persona, immediatamente pensa che se l’ha potuto fare lei, figuriamoci lui che ne ha molte di avventure da raccontare.
Così trent’anni dopo, si ritrova a raccontare la sua vita con l’umiltà di inviarlo ad un editore con la seguente nota: “le mando le mie avventure, le faccia scrivere da qualcuno del mestiere”. Ma il suo scrivere che è “come te lo racconta” conquista subito l’editore che lo lascia praticamente intatto.
Henri Charrière, detto Papillon (a causa di un tatuaggio sul petto fatto a forma di farfalla), francese, di venticinque anni, viene condannato dall’Assise colpevole di omicidio (pur essendo innocente) e spedito “al bagno” in Guiana Francese, dove dovrà scontare la sua pena per tutta la vita (ergastolo).
Ma Papillon (chiamato Papi dagli amici) è un uomo che “non abbandona mai la partita”; un uomo che non è capace di arrendersi, in cui la speranza non si spegne mai. Pur sapendo che ad ogni evasione c’è il rischio della punizione, lui non si ferma.
Non si è neanche fatto fermare dalla “mangiauomini” :
“Esamino la cella nella quale mi hanno fatto entrare. Non avrei mai potuto supporre né immaginare che un paese come la Francia, madre della libertà nel mondo intero, terra che ha dato la luce ai Diritti dell’uomo e del cittadino, possa disporre…, di una installazione così barbaramente repressiva”
“nessuno, assolutamente nessuno, nemmeno gli spessi muri, né la distanza di quest’isola sperduta nell’Atlantico, niente, assolutamente niente di morale o di materiale impedirà i miei viaggi tinti del rosa della felicità quando parto nelle stelle”.
Questo libro è un’avventura continua, pur sapendone già la fine, sei sempre lì in attesa, ad aspettare “il dazio” che questo uomo ha dovuto pagare.
Niente digressioni, qui si parla di fatti, fatti vissuti sulla pelle. Colpiscono molto la solidarietà fra detenuti, la non distinzione di nazionalità e la gentilezza delle persone incontrate durante le sue fughe che gli insegnano, che anche se il sistema non lo crede possibile, loro sono convinti che anche un evaso possa essere riabilitato.
Lo consiglio.
Buona avventura e buona lettura.
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La fabbrica di voti
"Posso dire che, per scrivere una cosa così breve, ci ho messo dieci anni, più di quanto avessi impiegato per ogni altro mio lavoro."
"La giornata d'uno scrutatore" è un romanzo breve (o racconto di 84 pagine), così realista, riflessivo e d'impatto che solamente una persona che in prima persona ha provato, sulla propria pelle, quelle emozioni, poteva scrivere.
Il romanzo è ambientato al "Cottolengo" di Torino ("tutti sappiamo la funzione di quell'enorme ospizio, di dare asilo, tra i tanti infelici, ai minorati, ai deficienti, ai deformi, giù giù fino alle creature nascoste che non si permette a nessuno di vedere"), luogo che Calvino ha visitato per la prima volta come candidato del Partito Comunista (1953) e poi come scrutatore nel 1961.
Le immagini e l'esperienza di quelle due giornate hanno segnato tanto l'autore che ha avuto bisogno di metabolizzare quelle emozioni, per altri due anni, prima di creare questo romanzo.
Il protagonista è Amerigo Ormea (alter ego dell'autore) che viene mandato come scrutatore in una sezione del "Cottolengo". Il luogo è per eccellenza una "fabbrica di voti" per la Democrazia Cristiana, dove suore e preti "aiutano" le persone incapaci a votare e in cui Amerigo da buon comunista deve farsi valere.
Questo è un romanzo più di riflessione che di fatti. In una sola giornata, Amerigo si ritrova a dover rivalutare il suo pensiero e a rendersi conto che non è più l'uomo che era al mattino.
"A tutto ci si abitua, più in fretta di quanto non si creda."
Un libro riflessivo, d'impatto e tristemente reale. Un Calvino insolito, che ci racconta la fase di crisi che stava vivendo nei confronti della società e della politica.
Non risulta fra le sue opere principali, ma sicuramente questo libri merita una lettura, anche per leggere bene fra le righe quello che l'autore stava cercando di dirci.
Lo consiglio.
Buona lettura!
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Il fascino del brutto
Con “Storia della Bruttezza” si conclude il ciclo iniziato con “Storia della Bellezza”.
La Bruttezza è un argomento molto interessante, che spesso viene solo considerata come l’antitesi della Bellezza, ma in realtà dietro c’è molto di più.
Eco (con la sua solita maestria) è un narratore eccezionale, che non stanca, ma anzi che ti incuriosisce e ti porta ad approfondire ulteriormente l’argomento (ho annotato vari titoli presi da lui come riferimenti). Anche perché non si limita solo ad “un’arte”, ma ne fa interagire più di una.
Letteratura, arte, fotografia e cinema ci raccontano come il brutto è cambiato nei secoli, dal mondo classico fino ai giorni nostri.
Una Bruttezza che cambia in continuazione, mutevole, che viene influenzata dalla società, dai tempi, dalla cultura e che in ognuno di noi, scatena qualcosa di difficilmente spiegabile. Quello che era brutto ieri può diventare il bello di domani.
Quello che è sicuro, è che ci colpisce dal punto di vista psicologico:
“ciò che è triste, terribile, perfino orrendo ci attira con un fascino irresistibile e che da “scene di dolore e di terrore noi ci sentiamo respinti e con pari forza riattratti”, per cui divoriamo con avidità vicende di spettri capaci di farci rizzare i capelli.”
“Per esempio nelle arti delle memoria, sin dall’antichità, per poter ricordare parole e concetti, si consigliava di associarle a diverse stanza di un palazzo o a diversi luoghi di una città dove apparivano statue orripilanti, difficili da dimenticare.”
Con una carrellata di immagini e di riferimenti bibliografici, il concetto di Bruttezza assume contorni più delineati. Anche questo volume, come l’altro, si presenta come una piccola enciclopedia. Il linguaggio è molto ricercato, curato e colto, non semplicissimo ma fattibile anche per chi non è esperto o appassionato di arte.
Rispetto all’altro, alcune immagini sono molto forti e “dure” da digerire, ma basta voltare pagina velocemente che il resto merita tutto.
Anch’io ho ceduto al fascino del brutto, fin dagli studi delle scuole medie, durante le lezioni di mitologia, quelli che mi ricordavo meglio e che mi affascinavano di più era i mostri (medusa, minotauro, arpie e centauri) che ricordo tuttora.
Una piccola chicca, una pagina del volume è completamente dedicata a: per loro erano brutti (pag 393). Vi lascio qualche curiosità di questa stupenda pagina:
“Quel ragazzo non ha il minimo talento (Manet a Monet su Renoir)”;
“Non sa recitare, non sa cantare ed è calvo. Se la cava un po’ con la danza (dirigente della Metro dopo un provino di Fred Astaire, 1928)”
“Moby Dick è un libro triste, squallido, piatto, addirittura ridicolo..Quel capitano pazzo, poi, è di una noi mortale (The Southern Quarterly Review, 1851)”
C’è speranza per tutti allora..
Lo consiglio, è una lettura che arricchisce.
Buona lettura!
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Basta con "i belli che non ballano"
Cyrano de Bergerac è un’opera teatrale composta da cinque atti. Avendone già letti altri di questo genere, all’inizio ero un po’ perplessa. L’opera si apre con “il teatro nel teatro”; non è un gioco di parole, la prima scena si svolge proprio in un teatro, con numerosissimi personaggi che ti lasciano disorientata al punto da renderti difficile immaginare la scena rappresentata.
Ma Rostand riesce a mettere chiarezza quasi subito ed a farti entrare nel vivo dell’opera presentandoti e delineandoti bene, i personaggi principali.
Primo fra tutti Cirano, cadetto di Guascogna (gradassi e mentitor senza vergogna), impavido, orgoglioso, fedele e soprattutto poeta. Un uomo, Cirano, perdutamente innamorato della bellissima cugina Rossana, a cui però non si è mai dichiarato a causa del suo aspetto (Voi…voi…avete un naso eh..molto grande). Rossana, oggetto del desiderio di molti uomini, è una donna incline alla bellezza ma che cerca anche la sostanza. Cristiano, appena diventato guascone, è un uomo con un aspetto felice, ricambiato dalla bella Rossana ma che ben presto capisce che senza l’aiuto di Cirano (e delle sue parole) può far ben poca cosa. Molti altri sono i partecipanti all’opera davvero ben fatta.
Rostand ci lascia con la sua opera, una lezione molto importante. Non solo ci fa capire l’importanza dell’amicizia e delle fedeltà, ma soprattutto ci apre gli occhi su un tema molto in voga oggi. Un uomo che è “bello ma non balla” ovvero che oltre alla bellezza non ha altra sostanza, è veramente un uomo di poco conto. Ci insegna l’importanza e la potenza dei sentimenti e di come le parole possano scaldare il cuore.
Un’opera sentita, ricercata e coinvolgente che non può deludere il lettore appassionato di teatro, di poesia e di storie di un tempo.
“..Ahimè, che strano pizzicore mi sento nel petto! O bacio, o convito d’amore il tuo Lazzaro io sono! Quaggiù di te mi scende una briciola; io sento che un poco il cor ti prende. Poi che su quella bocca le sue labbra tremanti baciano le parole ch’io dissi poco avanti.”
“La casta Penelope, anche lei, non sarebbe rimasta a ricamar tranquilla sotto il suo tetto, se Ulisse avesse scritto lettere come te. Ma per cercarlo avrebbe, al par d’Elena insana, mandato a spasso i suoi gomitoli di lana.”
Lo consiglio.
Buona lettura!!!
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A volte bisogna rischiare
Dopo la piacevole sorpresa di “Le ho mai raccontato del vento del Nord” ero un po’ diffidente verso il continuo. Non sono un’amante delle serie in generale, anche perché è sempre molto difficile replicare il primo e spesso alcuni autori riescono a rovinarti anche il ricordo di quello.
Visto che Daniel Glattauer mi aveva impressionato con la sua semplicità e piacevolezza, ero un po’ preoccupata per questo secondo e conclusivo capitolo, ma dopo aver controllato le recensioni, quasi tutte positive, mi sono “gettata” in questo romanzo.
“La settima onda” non ha tolto niente al primo, anzi, lo ha completato.
Per chi non conoscesse la storia, i protagonisti sono sempre Emmi e Leo. Sempre galeotta fu l’e-mail che li fece incontrare. Ormai sono due anni che va avanti questo scambio epistolare tecnologico. Le situazioni cambiano, ma loro restano sempre li, davanti a quel computer.
Con una Emmi sempre più ironica e diretta (mentre leggevo le sue risposte ridevo da sola, per fortuna in casa sanno che quando ho un libro in mano sono in un’altra dimensione) e un Leo più conservatore ma anche volubile e sempre affascinante, non mancheranno le “scintille”.
Un botta e risposta esilarante che non vi farà annoiare (rispetto al primo c’è da fare un po’ più di attenzione alle date delle e-mail, si può correre il rischio di perdersi qualcosa).
Questo romanzo ci ricorda che spesso quello che scriviamo può essere frainteso dal destinatario ed essere interpretato in maniera diversa da quella desiderata. Senza vedere il volto del mittente è davvero difficile valutare in che “spirito” sono state scritte le parole e spesso proprio il nostro umore del momento può rivoluzionare tutto.
Lo consiglio.
Buona lettura!
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Non siamo solo angeli del focolare
"Generalmente quando si parla di popolo in sommossa si tende a pensarlo con la solo componente maschile come se le donne facessero parte di un altro universo, quello che le vuole esclusivamente angeli del focolare."
Maria Grazia Colombari non ci racconta una storia diversa dalle altre; ci racconta una storia che va a rendere più completa il quadro generale della Grande Storia. Questo libro ci presenta la "Storia di donne" scritta dalle donne.
La donna per molti era considerata solo "l'angelo del focolare"; colei che un tempo (e purtroppo alcuni lo pensano ancora oggi) veniva etichettata "pari ai bambini e agli invalidi"; donne costrette a vivere accanto ad uomini che combattevano per i cambiamenti ma che nei loro confronti erano "rivoluzionari in piazza e fascisti in casa".
Le prime rivendicazioni dei diritti delle donne, ci racconta l'autrice, risalgono al periodo della Rivoluzione francese, per poi continuare con la Rivoluzione industriale e quella sovietica fino ai giorni nostri.
Molte le donne che si sono battute per non essere solo la "costola di Adamo", ma purtroppo solo poche sono quelle ricordate.
Con una scrittura semplice, chiara ed approfondita, la Colombari ci racconta i fatti salienti delle tre Rivoluzioni che hanno segnato una svolta per il "sesso debole".
Mi voglio unire ai ringraziamenti dell'autrice, rivolti alle donne di ieri e di oggi che hanno combattuto per regalarci un mondo più giusto.
Se poi penso che quelle donne hanno combattuto, si sono incatenate o sono morte, per poter dare da mangiare ai propri figli, per ricevere un'istruzione e per avere condizioni di lavoro migliore; inorridisco quando penso che molte donne di oggi per emancipazione intendono ben altro. Tradire, festeggiare l'8 marzo senza saperne il motivo e divorziare davanti alle prime difficoltà, mi fa riflettere e pensare che forse per alcune di loro riscoprire un pò le "gioie del focolare" può fare molto bene.
Scusate il cinismo, ma credo molto nelle donne ed alcune mi trovo in difficoltà a definirle tali.
Sesso debole? Forse la debolezza è la nostra forza.
Lo consiglio.
Buona lettura!
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