Opinione scritta da Cristina72
229 risultati - visualizzati 201 - 229 | 1 2 3 4 5 |
Corri, Tiger, corri
La canicola spietata che spacca la terra e inaridisce i cuori, in una minuscola contrada pugliese dimenticata da Dio, sarebbe stata lo sfondo perfetto per qualcosa di simile ad una succulenta pagina di cronaca. Ma la felice penna di Ammaniti ne ha fatto qualcosa di più: un romanzo di struggente bellezza, dove cose e persone spiccano con un impatto quasi cinematografico, in un'atmosfera anni Settanta perfettamente riprodotta.
Tra giochi in strada, corse in bicicletta tra campi di grano e schermaglie infantili, lo sguardo di Michele, un ragazzino di nove anni con le ginocchia perennemente sbucciate, registra i fatti senza malizia, con un'ironia involontaria che alleggerisce la narrazione, malgrado la miseria morale e
materiale annidata nell'esistenza di persone “normali”.
La fine delle illusioni, la scoperta che bisogna aver paura degli uomini e che i mostri non esistono (suo padre glielo diceva sempre), ha inizio dal ritrovamento di una pentola dall'aspetto familiare in un luogo sconosciuto e sinistro. Quell'utensile domestico fuori posto parla di bugie, le bugie abiette degli adulti, parla dei mostri veri, quelli che vivono da sempre accanto a te e a cui vuoi bene. Contrasto doloroso, amaro calice che il piccolo protagonista berrà fino in fondo, aggrappandosi a ciò che resta della sua infanzia incontaminata: Tiger Jack, l'eroe dei fumetti che non ha mai paura e che vince sempre sui cattivi. Ma valli a capire i buoni e i cattivi, quando attorno a te non resta che il vuoto di una vita priva di certezze.
Indicazioni utili
Il talento, poveretto
Erezioni, eiaculazioni, esibizioni, recita timidamente il sottotitolo in italiano.
Io aggiungerei evacuazioni, visto che l'autore di questi racconti sente spesso la necessità di metterci al corrente del suo transito intestinale (per la cronaca, la corriera gli causa costipazione, ma niente paura, poi si rifà alla grande).
Il problema è che quello che a tutta prima strappa un sorriso alla lunga stanca, considerando che per buona parte del libro il vecchio Buk se ne sta sbronzo e con le brache calate, dandoci dentro col sesso o col cesso (quando ne trova uno non intasato).
A quanto pare lo scrittore non può fare a meno di impastare letteratura ed escrementi, aggiungendoci tutti gli umori corporei possibili ed immaginabili.
Eppure lo stile non è male, e il talento, poveretto, di tanto in tanto fa capolino con qualche uscita brillante o qualche pagina azzeccata. In compenso occorre sorbirsi la lettura di un discreto numero di depravazioni, e resta pure un po' di spazio per la noia.
C'è qualcos'altro da scoprire dell'arte di Bukowski? Può darsi, ma io ne ho già avuto abbastanza.
Indicazioni utili
“Maledetti bastardi, sono ancora vivo!”
“Robbe', cos'è un uomo senza laurea e con la pistola?”
“Uno stronzo con la pistola.”
“Bravo. Cos'è un uomo con la laurea senza pistola?”
“Uno stronzo con la laurea.”
“Bravo. Cos'è un uomo con la laurea e con la pistola?”
“Un uomo, papà!”
“Bravo, Robertino!”
Suo padre ce l'ha messa tutta per inculcargli un certo modo di stare al mondo, ma Roberto Saviano ha capito da solo che l'arma della parola non è meno potente, e ha deciso di usare quella per sentirsi un uomo.
Il suo libro più famoso, oltre a mettere drammaticamente in luce l'ambiente in cui è nato e cresciuto, dà l'esatta percezione del tempo in cui viviamo. Sensazione a volte fastidiosa ma necessaria, come la verità nuda e cruda.
Lo immagino percorrere chilometri con la Vespa attraverso la sua terra sfruttata, avvelenata, insanguinata, spinto dalla necessità di capire tutto, di conoscere a fondo le dinamiche di un'economia criminale di portata mondiale, che nasce in un territorio “dove la ferocia è annodata agli affari, dove niente ha valore se non genera potere”. Ferocia delle più brutali (ci sono pagine davvero sconvolgenti), mezzo veloce ed efficace per oliare all'occorrenza certi meccanismi inceppati.
“Gomorra” è un libro scomodo, tocca i nervi scoperti di molti e punta il dito contro il volto “pulito” del sistema, quello mondato dal sangue, che si afferma fuori dalle terre di camorra creando sviluppo e lasciandosi la “monnezza” alle spalle.
Perché questa è la logica di fondo del crimine: se qualcuno di camorra ci muore, qualcun altro ci vive, e alla grande. A tutti gli altri non resta che voltare la testa dall'altra parte e cercare di tirare a campare. Ribellarsi, rivendicare la forza della parola contro chi ti impone il silenzio, può costarti caro.
Ma Saviano è uno di quelli che ha scelto di correre il rischio, l'unico modo “per considerarsi ancora uomini degni di respirare”.
Nell'ultima pagina – fra le più intense - riprende le parole gridate a squarciagola da Papillon, l'evaso dalla Cayenna protagonista del romanzo di Henri Charrière e dell'omonimo film:
“Maledetti bastardi, sono ancora vivo!”. Messaggio rabbioso, intrepido grido di libertà.
Indicazioni utili
Sempre meno Pagoda, sempre più Sorrentino
Tony Pagoda invecchia, ma lo fa con stile. Sempre meno Pagoda, sempre più Sorrentino.
Se il primo libro può definirsi un'opera di pancia, quest'ultimo viene invece dal cuore, ed è al cuore che punta dritto.
Pagoda sembra aver fatto pace con Dio e col mondo, o almeno abbastanza da permettere alla malinconia di prendere il posto della rabbia.
Ironia e tristezza si stemperano a vicenda, c'è meno livore, meno turpiloquio, si ride di più e ci si emoziona, ma l'esaltante contatto con una penna intelligente e arguta è sempre lo stesso.
Puntare i riflettori su personaggi dello star system un po' dimenticati, e tratteggiare luoghi e persone note sfidando i cliché, è una scelta coraggiosa e azzeccata, perché spiazza il lettore.
Mai avrei pensato, ad esempio, che la figura del mago Silvan potesse suscitare il benché minimo interesse, eppure quelle dedicate a lui sono tra le pagine più ispirate: “Sopra la sua testa, il mondo sta morendo, ma lui se ne fotte, ha capito finalmente come far volare un pianoforte e crede che quando porterà questa novità dinanzi al mondo, esso rinsavirà”.
Il baule dei ricordi può riservare molte sorprese, e ogni tanto vale la pena darci un'occhiata, indugiando su vecchie cose che, a ben guardare, vecchie non diventeranno mai, perché vi hanno impresso il loro marchio le emozioni più genuine.
Emozioni di “ragazzi senza pensieri”, forti della capacità di ridere, vivi in un mondo autentico e fugace, lontani dalle ansietà bugiarde dell'età adulta: “Questo è il guaio. Questa è l'inaudita, vergognosa vigliaccata. Farsi adulti. E morire di colpo, continuando a passeggiare di domenica”.
Indicazioni utili
Lui, lei e il resto del mondo
Il romanzo è un brillante affresco di una società conformista e puritana, quella della vecchia New York, dove tutto ciò che è genuino e schietto, fuori dai canoni prestabiliti, viene messo al bando “da gente che temeva lo scandalo più dei malanni, che anteponeva la rispettabilità al coraggio”.
Un sistema implacabile, che con le sue leggi non scritte e la sua gelida affabilità finisce per avere la meglio su un amore audace e struggente, tratteggiato senza un filo di retorica e con grande acutezza psicologica. Un amore di cui avvertiamo tutti i palpiti e che concentra la sua sensualità su sguardi che accarezzano, mani che si incontrano, parole sussurrate.
La figura di Ellen Olenska, misteriosa e civettuola all'inizio, emerge nel corso della narrazione in tutto il suo fascino magnetico, con una personalità intensa che incanta il protagonista.
Per quest'ultimo, significherà uscire dal suo mondo angusto e respirare un'aria nuova, senza cui non sarà più possibile condurre un'esistenza autentica.
Per lei, donna di mondo trasfigurata da una sensibilità nuova, sarà la scoperta di un sentimento puro che potrà sempre contemplare: “Non mi sentirò più sola. Ero sola; avevo paura; ma il vuoto e il buio sono spariti; adesso, quando mi guardo dentro, mi sento come un bambino che entra di notte in una stanza dove c'è sempre una luce accesa”.
Tra di loro, il resto del mondo, e tutta una vita da vivere facendo a meno della vita vera.
Indicazioni utili
La strada del nulla
E' un romanzo che rivela fin dalle prime battute l'impronta dello scrittore di razza, capace di passare senza perdere mordente dal vernacolo a frasi magistralmente cesellate.
Quella di Céline è una scrittura che lascia il segno, originale, intensa e ammantata di menefreghismo.
Il protagonista, Ferdinand Bardamu, ricorda un po' l'Huckleberry Finn di Mark Twain, ma è più cupo, più sarcastico, e certamente più infelice.
Al cinismo del libro fa da contrappunto, fortissima, la percezione del dolore peggiore, quello di creature innocenti, bambini e animali, bersagli perfetti dell'abiezione umana.
Per tutti gli altri resta solo una vaga pietà e un po' di disprezzo.
Si parte dalla paura della morte in guerra, con buona pace di impavidi e patrioti, per arrivare, nelle ultime pagine, al desiderio di diventare almeno “un eroe raccogliticcio” e morire per un' idea qualunque che dia un senso all'intera esistenza.
Impresa ardua per un eroe-antieroe che ha viaggiato inquieto per anni collezionando per lo più un meschino campionario di umanità, stanco di una stanchezza morbosa che provoca insonnia: “Ci basta ormai mangiare un po', farsi un po' di caldo e dormire più che si può sulla strada del nulla”.
L'humour del romanzo sta soprattutto negli ambigui rapporti tra i personaggi, uniti dalle circostanze, compagni nella “notte” ma sempre (non a torto) diffidenti gli uni con gli altri.
Per esempio Robinson, figura controversa (probabilmente l'autore stesso nella sua parte peggiore), ricorre continuamente nella narrazione e finisce per diventare amico di Ferdinand, senza peraltro suscitare in lui un briciolo di affetto.
I baracconi di una fiera, tratteggiati in pagine da antologia, con la loro allegria monotona e posticcia sono il malinconico emblema di una vita che si fa presto a rimettere in piedi dopo un disastro, ma che si trascina ormai senza più illusioni.
Indicazioni utili
Il turno di ognuno
Una ragazza costretta dal padre a sposare un uomo ricco e anziano, un giovane squattrinato rammollito dalla vita di provincia, una donna segregata in casa dal marito morbosamente geloso.
E poi patrimoni dilapidati, rancori mai sopiti, sentimenti ostacolati.
Questo breve romanzo avrebbe tutti gli elementi del dramma, eppure, fin dalle prime battute, rivela un umorismo che strappa più di una risata.
Questo perché Pirandello è specialista nel cogliere il lato comico di certe situazioni tragiche, da un matrimonio contratto con la forza ad una veglia funebre, muovendo le fila dei suoi personaggi come fa il destino con gli uomini. Destino beffardo, che si diverte a scompaginare i piani di tutti, incurante di dolori, gioie e speranze.
Il ruolo dei protagonisti muta inaspettatamente col mutare delle circostanze, dal momento che nessuno di loro è fino in fondo come crede di essere, né come gli altri credono che sia.
Il giovane Pepè Alletto per esempio, ce la mette tutta per apparire dignitoso ed elegante agli occhi del paese, ma è spesso preso alla sprovvista dagli eventi. Chiamato “pulcinella” da un tizio nel corso di una lite “d'onore”, per reagire non trova di meglio che prendere l'avversario a colpi di bastone. Ironia sottile e spietata, quella di Pirandello, che fa compiere al “giovane d'oro”, proprio nel momento in cui avrebbe potuto mostrare un po' di coraggio, il gesto tipico della famosa maschera.
Pepè vedrà il suo sogno realizzarsi, anche se a prezzo di amari disinganni, quando ormai ci aveva rinunciato. Solo un personaggio, nel libro, si ribella a ciò che la sorte ha in serbo per lui e non accetta di piegarsi al corso degli eventi. Ma alla fine diventerà più ridicolo degli altri, spingendo la sua forza fino all'autodistruzione.
Non abbiate fretta, non affannatevi, sembra dire lo scrittore: il vostro turno, se deve arrivare, arriverà. Ma non sarete voi a decidere quando, né come.
Un dolore che viene da lontano
“Tutto è sbagliato. Stare fermi, camminare, guardare, ascoltare, toccare, pensare.. tutto”.
Questo libro è il diario di un dolore che viene da lontano e che diventa un aguzzino, imponendoti le sue regole illogiche e ferree e negandoti la vita.
Un dolore che vuole essere ascoltato e che fa capolino persino nella punteggiatura, in quei puntini di sospensione che sono due anziché tre. Il numero 2 è “il dubbio continuo”, quello in cui ci si dibatte in preda al disturbo ossessivo-compulsivo, ma anche, con un filo di speranza, “una possibilità di scelta”.
Già, i numeri, l'ordine matematico che dà momentanea sicurezza, insieme ad altri rituali compulsivi, come le preghiere rivolte a Dio, ma forse non a Dio: a “Lui”, a quell'entità tiranna che non lascia spazio alla volontà.
Quando si è preda di paure malate che ti impongono l'immobilità, metterle nero su bianco diventa una sfida e un atto catartico. Ed è così che la giovane autrice, con un flusso di coscienza che rivela un groviglio di sensazioni, un grumo di angosce, ci guida nei meandri del suo mondo interiore, spinta dal bisogno di comunicare e di dare speranza a chi, come lei, è stato avvolto dalle spire di un disturbo psichico.
Diviso in brevi paragrafi, ciascuno con un suo titolo, il libro riporta diverse citazioni letterarie e cinematografiche, perché ogni forma d'arte possiede un potere salvifico e riesce, raccontandola a suo modo, a dare un senso alla sofferenza.
Belli i versi dedicati alla psichiatra che ha avuto in cura Giulia, un distillato d'amore per chi, “con mano calda e sicura”, l'ha guidata verso una rassicurante consapevolezza di sé, confortando il suo cuore assiderato.
Indicazioni utili
"Efix rammenti, Efix rammenti?"
E' un romanzo di misteri arcaici e verità inconfessabili, denso di atmosfere che la scrittrice tratteggia usando le parole come un pittore i colori.
Quella raccontata dalla Deledda è la Sardegna più autentica, un paesaggio di rocce, ulivi e fichi d'India, tenebroso e a tratti mistico, popolato nelle notti di luna da spiriti, nani e piccole fate che suscitano paura e rispetto negli abitanti.
Ma lo sguardo sui personaggi è concreto e quasi impietoso, penetra nelle pieghe più riposte dell'animo e tocca corde comuni a tutti gli esseri umani, raccontando vicende di respiro universale.
La figura del servo Efix, indole inquieta e appassionata non meno delle sue padrone, nobildonne ridotte in miseria, acquista sempre più intensità nel corso della narrazione e finisce per rappresentare l'Uomo per antonomasia, con un cammino di gioie e dolori da percorrere, di errori da espiare.
Condividiamo i suoi tormenti, comprendiamo le sue colpe, proprio come le canne sopra il ciglione, non lontane dalla sua capanna, che mosse dal vento sembrano sussurrargli parole di saggezza:
“Chi si piega e chi si spezza, chi resiste oggi ma si piegherà domani e posdomani si spezzerà.
Efix rammenti, Efix rammenti?”.
E' il vento del destino, è la volontà divina, ed Efix vi si sottomette, senza però trovare la stessa rassegnazione negli occhi “cattivi pieni di lagrime” della padrona Noemi, intensa e tormentata figura di donna.
C'è un legame doloroso e sublime tra cielo e terra, ben rappresentato dalla statua del Redentore che domina il paesaggio nuorese dal monte Ortobene, ed è questo che il servo capirà tornando a casa dopo mesi di angoscioso vagabondare.
Indicazioni utili
La fiera della mediocrità
Avevo deciso di concedere un'altra chance alla Maraini, dopo che “Voci”, letto molti anni fa, non mi era sembrato un granché. Ma la lettura di quest'altro sforzo letterario non ha smentito l'opinione che mi ero già fatta.
Su dodici racconti, uno solo, “Muri di notte”, sembra abbastanza originale, dal sapore vagamente pirandelliano. Tutto il resto è banalità e banalizzazione, prosa mediocre, verbosità quando sarebbe il caso di sintetizzare, eccessiva brevità quando si dovrebbe invece approfondire.
Le soluzioni dei casi sembrano, a tinte più fosche, quelle del commissario Gattapelata della Settimana Enigmistica.
Dà fastidio il frequente riferimento a congedi di maternità per puntare il dito, tra le righe, sul malfunzionamento della macchina burocratica. O l'episodio della suora incinta, che poco ci manca ringrazi il suo stupratore per averla resa madre. La tragedia nazista è trattata in maniera imbarazzante, la violenza sulle donne con superficialità. Del tutto inadeguata, poi, è la descrizione dello stupro di una baby prostituta. Insomma, suscita più emozione un resoconto giornalistico di cronaca nera.
Se si decide di romanzare temi a forte impatto drammatico come quelli trattati in questo libro, bisognerebbe anche avere la capacità di svilupparli degnamente. Altrimenti, meglio tacere.
Indicazioni utili
Budda partenopeo
Si vede che Erri De Luca conosce ed ama dal profondo la sua Napoli, si vede dal tono orgoglioso con cui ne parla in questo romanzo.
Lo scrittore ricorda lo spirito indomito della città, che con un'insurrezione popolare riuscì a cacciare i nazisti prima dell'intervento degli americani, attraverso le parole del portinaio don Gaetano, concentrato di saggezza, specie di Budda partenopeo capace di leggere nel pensiero e di prevedere il futuro. Intense le righe che ne tratteggiano la figura: “Perciò sapeva i fatti di tutti quanti, perciò teneva una tristezza pronta al peggio e un mezzo sorriso per buttarla via. Ai lati degli occhi si aprivano le rughe e da lì scolava la malinconia”.
Sarà proprio don Gaetano, tra “pastepatate” che non hanno eguali, caffè e partite a scopa, ad accompagnare per mano il giovane protagonista nel suo passaggio all'età adulta.
E saranno i suoi racconti, “le storie della guerra che mi aprivano le orecchie e mi allargavano il cuore”, ad avvicinare il ragazzo alle sue radici, comunicandogli un senso di appartenenza alla città mai provato fino ad allora.
I passaggi concernenti le origini del “guaglio'” non convincono del tutto, sono un po' superficiali e non privi di qualche incongruenza, e i suoi sentimenti per Anna, donna del destino sognata fin dall'infanzia, non sembrano abbastanza profondi da suscitare la felicità di cui tanto si parla nel corso della narrazione.
Non ne risente comunque lo scopo principale del libro, che è quello di raccontare un pezzo di storia di Napoli e di uno dei suoi figli prediletti, la “roba buona” protetta dal sole che la città lascia andare dopo essere stata saggia maestra di vita.
Indicazioni utili
L'ululato dei coyote
Gran bel romanzo, crudele e ammantato di dolcezza, con personaggi ben delineati e per molti versi antitetici: da un lato un uomo solido, padre e marito esemplare, dall'altro uno smidollato violento; da un lato una donna coraggiosa, pronta a tutto per il bene dei figli, dall'altro un'inetta che finisce per crogiolarsi nel ruolo di vittima. Le loro strade, già legate dalla parentela, si incroceranno fatalmente in un crescendo drammatico.
La storia principale è quella di una famiglia di agricoltori ucraini che fugge dal regime di Stalin ed emigra alla volta del Canada, per cominciare una nuova vita in mezzo a praterie desolate. Malgrado la buona volontà, i sacrifici e il duro lavoro, la fortuna non sarà dalla loro parte e saranno costretti a chiedere aiuto ad alcuni parenti, diventando di fatto bersaglio di disoneste rivendicazioni.
Ci sono pagine che non si dimenticano, struggenti pezzi di bravura che omaggiano la dignità di chi sopporta con pazienza le avversità e si rialza sempre con rinnovata speranza.
Con un sapiente cambio di prospettiva, verso le ultime pagine l'autrice ci fa osservare con altri occhi la casa in legno, robusta e accogliente, costruita dal capofamiglia nel tempo libero dal lavoro nei campi. E sarà un'amara rivelazione sentirla chiamare “baracca” da estranei, annusare tanfo di aglio e muffa al posto del profumo di zuppa, vedere solo bambini denutriti e coperti con abiti rattoppati, così diversi dalle creature piene di gioia di vivere che conoscevamo.
Ma ancora più sconcertante sarà assistere alle conseguenze di una miseria ben peggiore della mancanza di denaro: quella dell'animo umano, che si abbatterà sulle vite di tutti riuscendo a contaminare anche l'innocenza di un bambino.
L'ululato dei coyote percorre tutta la narrazione, presagio di qualcosa che dovrà succedere, che succederà, perché a volte l'amore non basta, i sacrifici non pagano e la vita non è giusta.
Indicazioni utili
"Tu devi amare il Grande Fratello".
La dignità umana passa necessariamente attraverso la libertà fisica e morale. La cosa più pericolosa è abituarsi a non essere uomini liberi, accettando poco per volta, come un dato di fatto, che ci vengano sottratti i nostri diritti e che qualcuno si impadronisca della nostra mente.
E' questo l'insegnamento fondamentale che si ricava dalla lettura del libro di Orwell, che mette in guardia contro qualsiasi tipo di regime totalitario, illustrando lo scenario squallido e apocalittico di un mondo rovesciato e oppresso dalla dittatura del cosiddetto Grande Fratello.
Quando il passato è abolito e ricostruito a discrezione delle alte sfere del potere, quando il presente è organizzato secondo rigidi dettami che ci vengono imposti, allora diventa prezioso qualsiasi pezzetto di libertà si riesca a “rubare” al sistema: mettere nero suo bianco i propri pensieri, condividere vecchi ricordi, amare. Per sentirsi ancora esseri umani e non ridursi alla stregua di "bacherozzi".
Non definirei quest'opera profetica, dal momento che lo scrittore, sia pure con qualche variazione sul tema, trae largamente spunto da regimi reali come fascismo e comunismo, ma sono pagine sicuramente ammonitrici. Perdere di vista se stessi e la propria individualità significa, in ogni epoca, diventare parte di una massa informe, arrendersi alla mediocrità e smettere di essere davvero vivi.
La lettura del romanzo è un po' appesantita da un saggio di una trentina di pagine (ne sarebbero bastate la metà) in cui si illustra l'ideologia del regime, e da un'appendice che approfondisce i principi della Neolingua, arido linguaggio coniato dal Partito.
Quello che colpisce, alla fine, ancor più che la descrizione di soprusi e torture contro dissidenti o presunti tali, è lo sguardo vacuo di chi ha ceduto all'imperativo, implacabile come una condanna: “Tu devi amare il Grande Fratello. Non basta obbedirlo: devi amarlo”.
Il cuore, in effetti, è l'ultimo a capitolare.
Indicazioni utili
Le coniugali vie del compromesso
Un matrimonio appagante, cospicue risorse finanziarie, il desiderio un po' ozioso di lasciare un segno nel mondo della letteratura. Sono questi i presupposti di uno dei romanzi più interessanti di Moravia, dove si rivelano le dinamiche dell'amore e dell'estro creativo. Con lo stile razionale che gli è proprio, lo scrittore dà voce ad un intellettuale con ambizioni letterarie più o meno fondate, che supera i tormenti esistenziali degli anni giovanili per approdare al porto in apparenza sicuro della vita coniugale. La figura della moglie, innalzata dall'uomo al ruolo di musa ispiratrice, è tratteggiata fra luci ed ombre e con la stessa forza plastica di un ritratto d'artista. Bella di una bellezza ineffabile, diventa stranamente ripugnante quando contorce viso e corpo in un atteggiamento “in cui parevano esprimersi paura, angoscia, ritrosia e al tempo stesso una schifata attrazione”. Momenti emblematici, che rivelano un dualismo inquietante, un'eterna lotta tra femminilità soave e istinto selvaggio che porterà alle estreme conseguenze il rapporto di coppia. Il resto lo farà l'euforia accecante ed egoista del marito, convinto di scrivere un capolavoro mentre racconta, traendo spunto da quella che crede sia la realtà, “la storia di un matrimonio”. Il risveglio sarà brusco su tutti i fronti, e per ritrovare l'equilibrio occorrerà passare attraverso le rassicuranti e molto “coniugali” vie del compromesso.
Indicazioni utili
Molta ostentazione, poca sostanza
Baricco non mi ha entusiasmato. C'è qualcosa di non ben amalgamato in questo libro, qualcosa che non torna.
"Se il mare non lo si può più benedire, forse, lo si può ancora dire". Frasi di questo genere danno l'impressione che lo scrittore si diverta a giocare con le parole, buttandole giù secondo l'ispirazione del momento per vedere che effetto fanno. Se suonano bene, ci costruisce attorno un episodio.
I primi capitoli del romanzo sono come una fiaba sussurrata all'orecchio: l'atmosfera è surreale e l'unico contatto con la realtà è l'ironia (a mio parere, la parte migliore dell'opera). C'è la locanda Almayer, luogo-non luogo soffuso di un'aura romantica, dimora di angeli e rifugio di anime inquiete.
A ridosso c'è l'"oceano mare", che incanta, uccide, commuove, spaventa, è saggio, dolce, potente, imprevedibile, e chi più ne ha più ne metta.
Poi si cambia registro, la fiaba si spezza e si conosce "il ventre del mare". Suggestiva la descrizione del naufragio da parte dei due sopravvissuti, il loro lento scivolare negli abissi della disperazione.
Alla fine, il truce si mescola al fantastico, i destini si incrociano e la locanda diventa scenario di un conto da regolare.
Forse mi è sfuggito il profondo significato dell'insieme, ma lo scopo del libro sembra essere più che altro l'ostentazione di una certa prodezza stilistica, con annesso repertorio di svolazzi e frasi ad effetto.
Indicazioni utili
- sì
- no
Un bagliore in mezzo alle tenebre
"Meditate che questo è stato. Vi comando queste parole".
Quello di Primo Levi è uno fra i libri sui campi di sterminio che ogni tanto mi capita di riprendere, perché in qualche modo fa più bene che male e, mentre racconta il buio della ragione, inaspettatamente illumina.
Può capitare all'inizio di un capitolo, alla fine, o nel bel mezzo della narrazione, di leggere una riflessione brillante, o una frase che emoziona, e si ha la sensazione confortante di scorgere un bagliore in mezzo alle tenebre. Allora capisci che essere uomini significa soprattutto questo: riuscire a tirare fuori la luce dall'inferno.
Lo sguardo di Levi si posa su prigionieri e aguzzini con una forza descrittiva e un'acutezza psicologica che si incontrano solo nei grandi scrittori. Per questo il libro è molto più che crudo resoconto di orrore e morte: non c'è speranza, almeno non per chi scrive, ma c'è l'analisi lucida di un'umanità che si muove in un contesto dove ogni regola è scardinata e si lotta solo per la sopravvivenza.
Nelle parole dello scrittore risplende la forza dell'intelletto, che non condanna e non assolve, ma rende magistrale testimonianza "di quanto, ad Auschwitz, è bastato animo all'uomo di fare dell'uomo".
Indicazioni utili
Un sogno sbagliato
Un rapporto irrisolto con le donne, una vita borghese troppo perbene, troppo normale, e all'improvviso la passione per una giovane prostituta. Passione malata, che fa di un architetto di mezza età un burattino patetico e umiliato nelle mani di una ragazza volgaruccia e nemmeno troppo bella. C'è qualcosa in lei, e soprattutto nell'assenza di lei, “quella cosa terribile, come un risucchio di spasimo in corrispondenza dello stomaco”. Da qui la smania di voltolarsi nel fango, la convinzione allucinata di aver trovato un fiore nella melma. Il tormento dell'uomo diventa un lamento monocorde, descritto alla perfezione, è vero, ma un po' ripetitivo. Interessante lo stile, con punteggiatura, tempi e proposizioni d'effetto, lasciati alla discrezione dello scrittore. La tecnica del flusso di coscienza a volte appesantisce la narrazione, ma rende bene lo stato di esaltazione mentale del protagonista. Altri prima di Buzzati hanno affrontato temi analoghi, ma qui l'approccio è particolarmente drammatico, delirante, onirico, un viaggio di sola andata verso “un sogno sbagliato”.
Indicazioni utili
A metà strada tra un buon romanzo e un feuilleton
Ecco un libro che sta esattamente a metà strada tra un buon romanzo e un feuilleton.
E' lodevole aver raccontato al mondo la tragedia della popolazione afgana, passata dall'invasione comunista alla morsa dei Talebani. Poetico è il ricordo dell'Afghanistan in tempo di pace, gli alberi da frutta, la gara degli aquiloni che colora il cielo, il sorriso dei bambini, Kabul imbiancata dalla neve e non ancora sporca di sangue. E profondo - si sente - è l'amore dell'autore per il suo paese d'origine.
Il problema sta nella trama, fin troppo prevedibile, nel continuo rimpianto dei bei tempi andati e degli errori commessi, che alla lunga stanca, e in certi episodi un po' stiracchiati. Il protagonista, di fatto un rammollito, imparerà ad esserlo meno alle soglie dei quarant'anni, in un arco di tempo che va dagli anni Settanta al 2001, anno della caduta delle Torri Gemelle. Dopo poco più di duecento pagine, le prime avvisaglie di noia: ci si chiede che altro ci sia da dire e come si arriverà a quasi quattrocento. Si arriva, allungando il brodo con piccoli prevedibili colpi di scena, ma il finale, per quanto ben scritto e tra le parti più ispirate del romanzo, non è in sostanza molto diverso da quello che ci si aspettava.
Indicazioni utili
- sì
- no
La guerra, tragica e sporca avventura
Il libro, allegato ad un settimanale, era dimenticato in uno scaffale da anni. Ogni tanto gli lanciavo un'occhiata distratta, ma il titolo mi sembrava un po' melenso, perciò lo ignoravo. Le recensioni scritte su questo portale mi hanno incuriosito e ho deciso di leggerlo.
E' un romanzo denso, con personaggi forti e ben delineati, che si muovono sullo sfondo della guerra civile spagnola. La guerra, tragica e sporca avventura, la Spagna, paese generoso e sanguinario, fascisti e repubblicani, avversari che si macchiano di delitti efferati: tutto viene racchiuso e raccontato da Hemingway nello spazio di tre giorni, giorni che si dilatano perché vissuti intensamente dal protagonista, il volontario americano Robert Jordan, “l'Inglés”.
Gli ordini sono quelli di far saltare un ponte, e l'appoggio dei guerilleros locali, accampati in una caverna, è di fondamentale importanza per la riuscita di un piano che si rivelerà sempre più difficile, se non disperato. Nella caverna, tra stufati e tazze di vino, in un'atmosfera un po' da Far West, dove è sempre consigliabile tenere un'arma a portata di mano, l'americano trova l'amore della sua vita, qualche alleato fidato e qualche canaglia.
Ci sono pagine che non si dimenticano, come la sfilata di civili fascisti, o presunti tali, dati in pasto ad una folla inferocita che li massacra a bastonate (sembra davvero di sentire l'odore nauseante di sangue e sudore). La curiosità che suscita il racconto della vicenda nell'americano, che vorrebbe “scrivere quello che abbiamo fatto noi, non quello che gli altri ci hanno fatto”, è probabilmente la stessa dell'autore, che non vuole dimenticare l'importanza della pietà verso qualunque essere umano.
“Qué puta es la guerra”, ripetono da entrambe le parti, ma con un pensiero di fondo: uccidere è necessario per la causa e solo i codardi si sottraggono al loro dovere.
“Morire era niente e El Sordo non aveva dentro di sé una visione chiara della morte né la temeva. Ma vivere era l'immagine di un campo di grano che ondeggia al vento sul fianco di una collina. Vivere era un falco nel cielo. Vivere era una giarra di terra piena d'acqua nella polvere della trebbiatura, col grano lanciato in aria e la pula che vola. Vivere era un cavallo tra le cosce e un fucile sotto una gamba e una collina e una valle e un fiume fiancheggiato d'alberi sulle rive, e l'estremo della valle e le colline al di là”. Pensieri di un combattente repubblicano accerchiato da soldati fascisti, estremo e toccante inno alla vita.
L'idea della morte e la necessità di combattere, resistere, amare finchè si resta in vita percorre l'intero romanzo, e le pagine finali trasmettono l'ansia che precede il combattimento. Si sta dalla parte di personaggi divenuti ormai familiari e di cui conosciamo le aspirazioni più profonde, ma a qualcuno toccherà soccombere.
Emozionante osservare con gli occhi di uno di loro il sorgere dell'alba e sentire gli ultimi battiti del suo cuore.
Indicazioni utili
Discendere la china e restare puri
Può una giovane donna, che sogna di diventare madre e moglie felice, essere al tempo stesso una prostituta per vocazione? A quanto pare sì, soprattutto se esce dalla penna di uno scrittore come Alberto Moravia, maestro nel tratteggiare personaggi con luci ed ombre.
La caduta di Adriana, protagonista del romanzo, ha inizio dal “sentimento di complicità e intesa sensuale” che prova nel ricevere denaro da un uomo, dopo un atto sessuale estorto quasi con la forza. A questo punto, tra miseria, amicizie dubbie e pressioni conniventi della madre, discendere la china diventa facile, soprattutto dopo che il suo sogno d'amore va in frantumi.
La scoperta di essere in fin dei conti tagliata per la prostituzione la rende più forte e consapevole, e quella che avrebbe dovuto essere la camera della sua prima notte di nozze diventa la stanza dove ricevere i clienti. Non c'è più posto per l'ingenuità, ma l'animo di Adriana resta in qualche modo puro, mentre il “mestiere” diventa routine.
Ed è un Moravia meno distaccato del solito quello che fa inginocchiare la donna al grido di “Cristo, abbi pietà di me”, nei momenti in cui percepisce il vuoto dell'esistenza sua e di tutti gli esseri umani, “degni di compassione, non fosse altro che perché vivono”.
Con uno sguardo al noir, varie situazioni si intrecciano e ogni genere di uomo passa dal letto della donna, ma uno solo, il più indifferente alla sua bellezza, conquista il suo cuore. L'amore appassionato di Adriana per Mino, personaggio complesso e tormentato, rimette tutto in discussione, con un finale che chiude dolorosamente il cerchio.
Indicazioni utili
Amore e tradimento
“Non so perché in quel momento mi voltai”. Cosa passa per la testa di un traditore seriale?
E' un thriller dei sentimenti quello raccontato da Mario Soldati, un tradimento che ha inizio davanti all'altare, poco prima della pronuncia del fatidico sì. Lui, lei, l'altra, quando l'altra, terribilmente attraente, è la migliore amica di lei. Le dinamiche del rapporto amoroso e del matrimonio sono analizzate dalla voce narrante di Edoardo, intellettuale italiano che vive in America. La sua è un'analisi obiettiva fino al cinismo, portata avanti attraverso una serie di flashback, e che arriva ad una considerazione di fondo: amore e tradimento sono due facce della stessa medaglia e l'uno si nutre dell'altro. Il destino e la debolezza umana fanno il resto, lasciando poco spazio, almeno nel breve periodo, a rimorsi e rimpianti. Non sono pochi i lettori che potrebbero identificarsi con uno dei tre protagonisti, o riconoscere una storia accaduta nella realtà. C'è un realismo perfino irritante nel libro, soprattutto per quelli che non rinunciano a credere nel potere salvifico dell'amore.
Indicazioni utili
Il lato oscuro della Sicilia
Il romanzo ha tutti i connotati del giallo, ma dopo le prime pagine si capisce che c'è qualcosa di più. C'è, innanzitutto, una verità taciuta che va cercata nei dettagli: silenzi, mezze parole, sguardi di intesa, la bellezza provocante di una vedova che fa da contrappunto al suo ostentato dolore.
E poi c'è la solitudine del protagonista, il professore di italiano Paolo Laurana, che si improvvisa investigatore con entusiasmo donchisciottesco. Una solitudine che in un contesto sociale come quello siciliano può diventare pericolosa, perché non c'è nessuno che ti avverte che più in là di così non è lecito andare, che è stupido, oltre che inutile, continuare ad indagare per scoprire l'acqua calda, che con l'acqua calda ci si può scottare di brutto. “Proverbio, regola: il morto è morto diamo aiuto al vivo. Se lei dice questo proverbio a uno del Nord, gli fa immaginare la scena di un incidente in cui c'è un morto e c'è un ferito: ed è ragionevole lasciare lì il morto e preoccuparsi di salvare il ferito. Un siciliano invece vede il morto ammazzato e l'assassino: e il vivo da aiutare è appunto l'assassino”. Il lato oscuro della Sicilia è magistralmente fotografato da Sciascia attraverso una narrazione spietata, che con un'ultima fulminante battuta non concede allo sconfitto neppure l'onore delle armi.
Indicazioni utili
Più di cento anni ma non li dimostra
Non lasciatevi ingannare dal titolo, non è una fiaba né un racconto per ragazzi. E' un romanzo-diario con molti spunti autobiografici, pieno di spirito e intelligenza, il primo di una saga divisa in quattro parti (Claudine a scuola, Claudine a Parigi, Claudine si sposa, Claudine se ne va). Ambientato in un villaggio francese di fine Ottocento, il libro rivela fin dalle prime pagine il talento di una scrittrice eccentrica e decisamente anticonformista. E' divertente immaginarsi la faccia scandalizzata dei benpensanti del tempo alla lettura di un'opera piena di insospettabili “insidie” (probabilmente c'è cascata anche la zia che mi regalò la collezione completa quando ero una ragazzina). Il tema dell'omosessualità è trattato con naturalezza, senza falsi moralismi, come parte integrante dell'educazione sentimentale di Claudine, un'adolescente curiosa, impertinente, forse un tantino folle. Ma sarebbe riduttivo parlare solo di questo. Nelle pagine spicca l'arguzia, che spesso sfocia nel canagliesco, con cui Claudine descrive le compagne, per lo più perfide o stupidine, e si fa beffe delle insegnanti, spesso in tutt'altre faccende affaccendate. Candore e malizia, oltre ad una buona dose di ironia, sono dispensati in egual misura in un libro piuttosto spassoso, che ha più di cento anni ma non li dimostra.
Indicazioni utili
"Qualcuno doveva aver calunniato Joseph K."...
Con lo stile semplice che gli è proprio, quasi con noncuranza, come se narrasse una piccola disavventura capitata ad un uomo qualunque in un giorno qualunque, Franz Kafka racconta l'incubo, l'angoscia, i passi insidiosi e inesorabili di qualcosa che si impadronisce della vita di un promettente impiegato di banca. Quello che all'inizio sembra essere solo uno scherzo di cattivo gusto, col passare del tempo si rivela un peso opprimente da cui è difficile liberarsi e che suscita vergogna. E' un dito puntato contro, un'accusa non meglio specificata contro la quale Joseph K., il protagonista, deve difendersi. Il tribunale che tratta la sua causa - lo stesso imputato non osa dirlo ad alta voce - si trova in un solaio, a cui si accede attraverso un labirinto di corridoi dall'aria irrespirabile. Nessuna certezza su ciò che è giusto o sbagliato fare, nessun appiglio che dia garanzie di affidabilità. Così, pur professandosi innocente, K. appare sempre più rassegnato al destino che giudici sconosciuti hanno deciso per lui. Nel libro c'è l'assurdo tipicamente kafkiano, che a volte fa persino sorridere, ci sono personaggi (fino a che punto coinvolti non è dato sapere) che se ne escono a sorpresa con frasi inquietanti, lasciando intravedere una verità che aleggia fin dalle prime pagine: la condanna, se non è già scritta, è quasi certa. Il finale è agghiacciante, un autentico pezzo di bravura. Qualcuno ha visto in quest'opera una premonizione della Shoah (lo scrittore boemo apparteneva ad una minoranza ebraica di lingua tedesca), ma è solo una delle chiavi di lettura di un romanzo che mette implacabilmente in luce le paure più profonde dell'essere umano.
Indicazioni utili
Un treno che si ferma a metà strada
“E allora?”. E' la prima domanda che si pone il lettore subito dopo aver letto l'ultima riga di questo romanzo, un treno che si ferma a metà strada. Lo stile c'è, la trama pure, i personaggi sono tratteggiati con efficacia, e tutto all'inizio sembra filare liscio. L'occhio impietoso del protagonista, un italiano arrivato a Los Angeles in cerca di fortuna, ci offre un interessante spaccato della città e diverte perché mette a nudo il ridicolo di alcuni personaggi, che vivono alla giornata in attesa della grande occasione. Del resto la smania di sfondare non risparmia neppure lui, che nel frattempo sbarca il lunario con lavoretti, ma ha sempre l'aria di pensare: “A differenza di queste schiappe, io ce la posso fare”. La storia perde mordente verso la fine, proprio quando il nostro eroe incontra Marsha Mellows, famosissima attrice, e sembra imboccare la strada giusta per realizzare i suoi indefiniti sogni di grandezza. Riesce a entrare nell'agognato ambiente hollywoodiano, conquista tutti con il suo spirito, ma smette di conquistare chi legge. Chi si aspettava ulteriori approfondimenti di quel mondo dorato, magari qualche tirata contro lo star system (il nome zuccheroso della diva lasciava ben sperare), resterà sicuramente deluso.
Indicazioni utili
- sì
- no
Una perla della letteratura
Vorrei dire la mia su questa autentica perla della letteratura, dal momento che condivido solo un paio delle recensioni pubblicate.
E' la storia del fallimento esistenziale di una donna che non riesce a scendere a compromessi con la mediocrità, condannata a raccogliere solo le briciole di una vita che immaginava come un lauto banchetto. Soffocata dalla routine della provincia, affamata di emozioni, di incontri brillanti, d'amore, Emma, che non è donna da mezze misure, finisce per divorare se stessa. Flaubert si fa acuto osservatore della vicenda, spostando la sua attenzione ora sulla protagonista ora sui personaggi che la circondano. Ne escono fuori degli antieroi talmente inadatti ai sogni di grandezza della signora Bovary, e descritti con un tale realismo, da risultare persino buffi. Così, se da un lato partecipiamo alle pene della protagonista ritrovando in noi stessi le sue fragilità, dall'altro, per lo stesso motivo, ne ridiamo. Rispetto alla poverina, del resto, abbiamo una visione più obiettiva - quella dell'autore - che ci rende consapevoli dei retroscena (spassosissima è la lettera con cui il suo secondo amante la scarica). Alla fine non sono le lacrime dell'ottuso marito ad emozionare, ma quelle di un adolescente segretamente innamorato, inginocchiato in piena notte sulla sua tomba. E' al suo giovane cuore che Flaubert affida l'immagine di un sentimento puro, che non ha avuto il tempo di fare i conti con la realtà.
Indicazioni utili
Paragonarlo al Gattopardo è un'eresia
Non lo definirei un romanzo noioso, alcuni personaggi sono ben delineati, c'è una trama ben dipanata. Ma paragonarlo alla bellezza e purezza del Gattopardo è un'eresia, lo dico da lettrice e da siciliana. La protagonista non mi sembra "vitale e scomoda, potentemente immorale secondo la morale comune", ma semplicemente affetta da ninfomania e perversione sessuale. Sentire il bisogno di portarsi a letto qualunque essere umano un po' interessante ti capiti a tiro, uccidere candidamente chi non appartiene alla predetta categoria e dedicarsi a pratiche onanistiche per celebrare l'evento, potrebbe andare ancora bene per un personaggio cattivo a tutto tondo. Ma lei invece deve anche indugiare sull'elegiaco, esaltare l'amicizia, soffrire per amore, mostrarsi impavida e generosa. Il che suona falso, ipocrita, stucchevole, come se una vecchia signora ti toccasse il sedere mentre ti racconta la sua lunga e intensa vita. Nei suoi momenti migliori ricorda un po' la Claudine di Colette, ma non ha niente a che vedere con i capolavori siciliani.
Indicazioni utili
Saggezza all'insegna del politicamente scorretto
La prima metà del libro (prima, cioè, della partenza del protagonista per il Brasile) a mio parere è la migliore. Poi si scivola un po' nel banale, nella nostalgia dei bei tempi andati, nella depressione. Mi sono piaciute le frasi politicamente scorrette, provocatorie, espresse con un certo stile (Sorrentino di buone letture ne ha fatte e si vede), pillole di saggezza che vorresti tenere a mente. Non mi è piaciuto un certo modo maschilista di considerare le donne (tranne mammà, tutte tendenzialmente puttane o casalinghe frustrate), la banalità di certe osservazioni all'insegna dell' in-che-schifo-di-mondo-viviamo e il gusto per l'iperbole, che si fa sentire soprattutto nella seconda parte. Comunque, prima di aprire il libro mi sono spesso chiesta: "Vediamo che ci racconta oggi Tony Pagoda", il che depone a favore della sua qualità. Sarebbe interessante leggere un giorno l'autobiografia di Sorrentino, che credo abbia preferito apparire a tratti dietro il suo personaggio.
Indicazioni utili
Con una trama più semplice sarebbe un bel romanzo
Il romanzo mi sembra un'occasione mancata. Smilla è una figura di donna toccante che non passa inosservata. Diffidente e aggressiva con i suoi simili, lotta con tutte le sue forze per arrivare alla verità sulla morte apparentemente accidentale di un bambino eschimese, che trascurato dalla madre alcolizzata l'aveva scelta come amica. Il ricordo struggente del suo piccolo e unico amico e dei momenti di tenerezza silenziosa condivisi con lui, la forza e il coraggio della donna, la neve, sua alleata nell'indagine, sono la parte migliore del libro. Peccato che fin dall'inizio si ha come l'impressione che si cerchi qualcosa che si conosce già, un percorso già tracciato che si rivelerà fin troppo arzigogolato. E poi l'autore si perde nei sensazionalismi e nel linguaggio tecnico, snocciolando ogni venti righe cifre che lasciano a bocca aperta più per gli sbadigli che per lo stupore. Alla fine sembra di guardare un videogioco, con la protagonista che riceve botte da tutte le parti e si rialza sempre. Avrei gradito una trama più semplice e descrizioni di ambienti meno dettagliate.
Indicazioni utili
- sì
- no
229 risultati - visualizzati 201 - 229 | 1 2 3 4 5 |