Opinione scritta da Emilio Berra TO
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Elogio del gatto
Adriana Zarri (1919-2010) teologa, giornalista e scrittrice, visse gli ultimi 35 anni della sua lunga vita in una canonica dismessa, nella campagna piemontese, in uno stile di vita eremitico, per un più vivo contatto con Dio e con la natura.
E' in questa dimensione materiale e spirituale che scrisse gli articoli qui raccolti, cadenzati lungo un periodo temporale di oltre un quarto di secolo.
Si recepisce facilmente un'evoluzione dai primi scritti, puntati a sostenere battaglie in favore degli animali tipiche del tempo, agli ultimi di carattere più privato. Fra i primi, forti prese di posizione contro la schiavitù dei circhi ed il "museo degli orrori" : i metodi d'allevamento finalizzati alla produzione del paté di fegato d'oca, le corride, l'uso di cavie per testare prodotti di bellezza. Gli articoli degli ultimi anni parlano invece, con grande affetto e tenerezza, soprattutto di gatti per i quali l'autrice aveva una vera e propria predilezione.
Rileva, come dato basilare, "la vastità e la cosmicità del disegno di Dio, il quale stabilisce un patto con l'intero creato". La visione teologica di A. Zarri evidenzia quindi come tutti gli esseri viventi siano compresi nell'abbraccio divino. L'uomo pertanto deve rispettare ogni creatura e prendersene cura per la conservazione e lo sviluppo del mondo.
Torniamo ora al gatto, che lei considera, con il cavallo, l'animale più bello in assoluto : "ogni movenza del gatto è una danza e ogni posa è una scultura". Ne ammira fierezza, indipendenza, libertà; perciò non può piacere a chi vuole esercitare autoritarismo e potere.
Il gatto avverte se c'è tensione intorno, fino a nevrotizzarsi. In condizioni normali tende invece a donare, con le sue fusa,un effetto rilassante; anzi, prima di esse,"emette degli ultrasuoni che non sono udibili dall'orecchio, ma vengono percepiti a livelli inconsci : una sorta di messaggio subliminale con effetto benefico".
La scrittrice poi si fa testimone di comportamenti sorprendenti, ma non così rari: durante una riunione in casa sua, in un momento di grande intensità, la micia le saltò in grembo e le fece una carezza quasi "umana"; ad un'amica affranta il gatto andò ad 'asciugare' le lacrime leccandole il viso; un ospite, fortemente scosso da un fatto accadutogli, venne consolato dal felino di casa che gli rimase in braccio per l'intera serata.
La gatta che accompagnò l'estrema vecchiaia dell'autrice si chiamava Arcibalda, "un nome che portava con estrema dignità". Le dedicò anche il suo ultimo scritto, pubblicato appena qualche giorno prima di morire ultranovantenne.
Diceva che questa magnifica gatta nera aveva la "macchia della Madonna". Tale chiazza, che rende il pelo non uniformemente nero, veniva così chiamata perché, al tempo della caccia alle streghe, quando anche i gatti neri erano cacciati e uccisi, ne salvò parecchi dalla strage. Ebbene, Arcibalda aveva un ciuffo di peli bianchi sotto la gola.
Chi vuole conoscere meglio Adriana Zarri, può leggere la sua affascinante testimonianza di vita, raccontata nel libro, molto bello, "Erba della mia erba".
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I prodigi dell'amore
La svedese Selma Lagerlof è una scrittrice grandissima. E' stata la prima donna ad essere insignita del Premio Nobel per la Letteratura. "L'imperatore di Portugallia" è successivo all'alto riconoscimento ricevuto, ed è un libro imperdibile, un monumento all'amore paterno, o meglio all'amore in assoluto e ai suoi prodigi.
Il rude Jan sperimenta per la prima volta l'amore, uno stato di grazia, quando prende in braccio la neonata figlia : "non avrebbe mai immaginato che ci si potesse estasiare a voler bene a qualcuno".
L'ambientazione è il tipico paesaggio rurale svedese al confine con la Norvegia, fatto di alture, boschi e limpide acque lacustri, proprio i luoghi natii dell'autrice, che qui vengono rappresentati in tutta la loro suggestione : l'inverno innevato percorso da slitte, la chiesetta e le case sparse nella campagna, il lago col battello che conduce lontano...
L'atmosfera è fiabesca : miti nordici, leggende, significati reconditi...
La narrazione, inoltre, è come pervasa di misticismo e saggezza, ricca di simboli, alcuni dei quali rimandano alle Sacre Scritture e contribuiscono a conferire al testo un livello autenticamente semplice ed elevato e ad offrire un senso cosmico al messaggio poetico, come talvolta accade nei momenti più alti della produzione letteraria di Alda Merini.
Quando la figlia ormai diciottenne si allontana e il padre intuisce che qualcosa non va, allora il rifugio diventa per lui una sapiente follia, il regno fantastico di Porugallia : "quando uno abita nelle Valli della Nostalgia non si accontenta più delle cose terrene, ma è costretto ad andare in cerca delle stelle".
L'anziana moglie ne è consapevole : "Jan non è matto. (...) Il Signore gli ha posto uno schermo davanti agli occhi, così che non veda quello che non sopporterebbe di vedere. E di questo non si può che essere riconoscenti". Il lettore procede nella storia fra incanto e stupore per giungere a un finale meraviglioso ed emblematico.
La scrittrice, che ha rappresentato così bene l'amore genitoriale, non è mai stata madre. E' stata però figlia molto amata di un padre che è morto dopo che si era allontanata, contro il volere di lui, per raggiungere Stoccolma. Rimase convinta di avergli abbreviato la vita. Nel discorso per il Nobel lo ricordò in modo toccante. Successivamente scrisse il romanzo di cui ci occupiamo.
Quale omaggio sarebbe stato migliore di questo libro bellissimo ?
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"La memoria, il futuro"
Diciamo subito che questo libro su Sciascia è molto interessante, ma non raggiunge la qualità della biografia di Pirandello, dello stesso biografo Matteo Collura, intitolata "Il gioco delle parti".
Ciò, secondo me, perché sono state qui usate quasi esclusivamente fonti pubbliche, in quanto Sciascia non ha lasciato dietro di sé scritti privati, appunti, diari. Tant'è che l'intera esistenza dello Scrittore ci pare vissuta sotto l'insegna della Ragione, usata come orientamento e forse come riparo.
Fanno eccezione le testimonianze sugli ultimi giorni di vita : davanti allo spettro della morte, la ragione non vuol sentire ragioni.
Se l'aver intaccato la riservatezza di un'agonia ci mette a disagio, occorre però riconoscere che in questo modo ci viene restituita un'immagine umanissima di questo Autore, di cui conosciamo essenzialmente il distacco, almeno apparente, che lo caratterizzava.
In fondo, "la scrittura non è che il trasferimento in letteratura di un modo di essere, di un modo di concepire e vivere la vita". E Sciascia poneva l'impegno civile fra le priorità. Anche per questo ammirava tanto Manzoni : "la scrittura come impegno morale", la profonda conoscenza della Storia, forse il senso religioso non asservito al potere; dimensione, quella religiosa, che il letterato siciliano sempre visse in un ambito interiore e privato.
"I promessi sposi", sosteneva, è un libro che "contiene già tutto quanto noi conosciamo: la mafia, (...) l'ingiustizia, l'emigrazione...". La mafia, appunto. "Questo è un paese di mafia più di atteggiamenti che di fatti; benché i fatti (...) non si può dire che manchino"; e confida: "quando denuncio la mafia, nello stesso tempo soffro poiché in me (...) continuano a essere presenti (...) i residui del sentire mafioso".
Con l'avanzare dell'età e per quanto vedeva intorno, Sciascia diventa sempre più pessimista: "vent'anni fa credevo possibile che il mondo potesse cambiare; oggi non più". Come notava Moravia, i racconti polizieschi del nostro Autore partono spesso dalla chiarezza, ma finiscono nel mistero.
In questo pessimismo, come già avvenne per G. Verga, si fa strada la pietà come valore insostituibile.
Negli ultimi scampoli di vita, emerge uno scrittore che vuole dare un orientamento diverso alla sua produzione: voleva scrivere una storia che fosse un messaggio di speranza, "un atto estremo di ottimismo che dia senso alla sua vita e alla letteratura", dice il biografo. Raccoglieva documenti su una vicenda realmente accaduta nel '45, in cui due uomini di opposta ideologia politica fanno prevalere il sentimento della solidarietà. Il libro che non ci è giunto: non fece in tempo a scriverlo.
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libri di Sciascia
CHE?
"Temo che sia proprio la cattiva letteratura a riempire la testa di sentimenti falsi" (da Sandor Marai).
Se la morte che avanza viene raffigurata con la falce, non stupiamoci se gli ultimi palpiti della vecchia protagonista sono rivolti a un giardiniere.
California, in questi anni.
C'è una residenza per anziani molto particolare, in cui inspiegabilmente si è ritirata l'ottantenne Alma Belasco, artista, ricchissima, di aspetto aristocratico e supponente.
La giovane Irina, "creatura strappata a un racconto nordico", è un'infermiera di ampie mansioni.
L'intesa fra le due donne si afferma progressivamente, svelando insospettati segreti delle loro rispettive vite.
Poi una girandola di personaggi, dentro e fuori, molti dei quali vecchi.
Il testo della Allende è punteggiato di drammi e tragedie, anche se l'atmosfera che si respira può essere piuttosto definita melodrammatica, perché c'è qualcosa di agro-dolciastro che impregna di sé numerose pagine.
Questo libro dal titolo ottocentesco, lezioso fin dalla copertina, appartiene essenzialmente alla narrativa di consumo, d'intrattenimento, rivolta ad un pubblico femminile.
La mentalità di fondo è la stessa di quei salotti televisivi, condotti da donne, che si fondano sugli stereotipi di una visione borghese-laicista-modaiola, di un femminismo alla panna montata, che intravede nel consumismo, volto a soddisfare vanità e immediati desideri, l'orizzonte valoriale ed estetico. Tant'è che le parti più riuscite del testo sono quelle che si sottraggono ai miraggi di tale ideologia e fanno rivivere il ricordo delle durissime condizioni dei Giapponesi che vivevano in America durante la Seconda Guerra Mondiale dopo l'attacco di Pearl Harbor, oppure quelle che manifestano il vissuto di chi, per età, sta perdendo la propria autosufficienza.
Il resto è ben poco verosimile. La nostra romanziera ci mette dentro di tutto : dalla droga all'Aids, dall'ossessione erotica senile al mondo gay; poi l'eutanasia, gli orrori della pedopornografia... Ciò produce una trama incalzante, troppo, con giravolte e colpi di scena poco credibili, da lasciare certamente insoddisfatto chi cerca autenticità, non storie costruite a tavolino.
La scrittura è agile e scorrevole, talvolta gradevole, ma sovente 'posa' , diventa banale, da romanzetto rosa; infatti troviamo "confidenze sussurrate tra un abbraccio e l'altro", "baci interminabili", poi "la passione", "desideri e segreti", "scaramucce amorose"... Siamo insomma ben lontani da ciò che Italo Calvino diceva in Lezioni Americane, cioè che "la letteratura (e forse solo la letteratura) può creare gli anticorpi che contrastino l'espandersi della peste del linguaggio".
D'altronde qui le cadute linguistiche sono solo la veste calzante di una mentalità ormai diffusa e convenzionale.
Inoltre troppo viene detto; il profluvio di parole rischia di travolgere il povero lettore e gli toglie spazi di immaginazione.
L'autrice sa che cosa si aspettano da lei le sue affezionate lettrici, e lei è abile a non deluderle. Intanto si scalano le classifiche, con soddisfazione del mercato editoriale.
Un personaggio del già citato Marai dice che "ormai i libri sono così tanti che sembra non esserci quasi più spazio per il pensiero". Per chi ama la Letteratura, l'alternativa, lo sappiamo, è costituita da quei libri che definiamo 'classici', antichi o contemporanei, sempre attuali, con la loro bellezza e qualche brandello di verità.
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Piccolo giallo veneziano
"Il carteggio Aspern", breve e bellissimo romanzo, venne scritto nel 1887 durante un soggiorno di H. James in Italia.
Lo spunto è tratto da un fatto di cui sentì parlare : un fervido ammirare di Shelley, avendo saputo che l'ormai anziana amante di Byron (e madre di Allegra) viveva a Firenze con una nipote d'età matura, e che le due attempate signore avevano un interessante carteggio epistolare dei due poeti, escogitò un piano per insediarsi nella stessa dimora delle due donne e venire così a conoscenza dei contenuti dell'ambito tesoro.
James ambienta la vicenda nella bella cornice di Venezia, città che ben conosceva : "ogni cosa era avvolta nel fulgore dorato di Venezia", col rumore del "tuffo dei remi che nei canali stretti si faceva più sonoro e più liquido musicalmente", tra il furtivo vagare in gondola per segreti appostamenti.
I personaggi rilevanti sono tre : l'Io narrante (un ammiratore del poeta Aspern, da tempo scomparso) e due signorine: una ultracentenaria, che fu amata dal letterato, e la nipote cinquantenne.
Le due dame americane vivono "segregate in un vecchio palazzo" con delizioso giardino; "timide, misteriose (...), riluttanti a chiedere favori e poco desiderose di ricevere attenzioni".
E' proprio in questa antica dimora che il nostro protagonista cerca di insinuarsi : ci riuscirà e potrà finalmente conoscere la leggendaria padrona di casa.
La vecchissima signora rimane, con la sua veneranda età, l'unica superstite del tempo che fu : della sua epoca, solo "meri echi, fantasmi e polvere".
La parvenza è spettrale : "sugli occhi portava una orribile visiera verde che le serviva quasi da maschera", "la testa avvolta in un vecchio pizzo nero". Si direbbe un bel teschio rivestito (ancora) di pelle.
L'ambito tesoro è ovviamente il carteggio Aspern che si favoleggia custodito e ben protetto dalla vecchia. Ma esiste davvero? E colui che ambisce riuscirà a posare lo sguardo su di esso?
La tensione narrativa è quella del romanzo giallo; ma qui c'è ben di più : una splendida prosa d'autore, una scrittura magnifica che indora di sé l'intero racconto.
Si tratta di un gioiello letterario condensato in poco più di cento pagine.
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La caduta
Libro assai interessante dell'autore svedese Enquist (una sceneggiatura per film) incentrato sulla vecchiaia del grande scrittore norvegese Hamsun, Premio Nobel 1920, amatissimo in patria finché, in tarda età, durante l'invasione nazista, parteggiò per Hitler.
Conclusa la Seconda Guerra Mondiale, venne processato. Quando ormai pareva spento alla letteratura, scrisse l'autobiografico "Per i sentieri dove cresce l'erba", considerato un capolavoro, in cui ripercorre questo buio periodo della sua vita.
Nel testo oggetto del commento, l'anziano letterato, "sazio d'anni e di gloria", rimane affascinato dal sogno hitleriano senza riuscire a scorgere la realtà terribile che vi era insita : non aveva mai letto "Mein kampf "; non condivideva affatto l'antisemitismo. La sua adesione fu essenzialmente in senso antibritannnico : pensava che la Germania fosse l'unica nazione in grado di contrastare l'Inghilterra. Si trattò di un grosso abbaglio da parte di un vecchio uomo coltissimo, il cui mondo però stentava ad estendersi fuori dal perimetro della propria mente entro cui si era, per così dire, ritirato.
Il suo pensiero venne diffuso e strumentalizzato dai Tedeschi, tanto che molti lettori affezionati, in segno di protesta, gli recapitarono i libri da lui scritti, ammassandoli nel giardino della sua abitazione.
Le ricadute dell'infelice scelta si estesero anche nell'ambito della vita privata fino al tracollo familiare : il fragile equilibrio coniugale sfociò in comportamenti i cui effetti furono devastanti; i figli stessi subirono contraccolpi imprevisti.
Terminato il conflitto mondiale, ci fu il processo (egli stesso voleva essere processato). La moglie ebbe una condanna a tre anni di reclusione per essersi prestata, in Germania, a pubbliche letture tratte dai libri dello scrittore : era stata attrice di talento, strappata al teatro dal marito; così aveva trovato nuovamente un palcoscenico.
L'ultima parte del testo è particolarmente bella. Il finale può essere considerato ovvio, ma è ammantato di toccante poesia.
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libri di Hamsun
Un'estate nel Nordland
Hamsun, grandissimo scrittore norvegese Premio Nobel 1920, è un cantore della natura nordica come luogo idilliaco dove l'uomo potrebbe vivere in una condizione di totale armonia, in una dimensione di panismo e sensibilità ecologica.
Il romanzo è ambientato nell'estate del 1857, ma di fatto ciò che si coglie è al di fuori del tempo storico.
Le descrizioni e la rappresentazione della natura sono di nitida bellezza.
Il protagonista, un tenente trentenne, vive in una capanna su un terreno scosceso fra l'immenso bosco e il mare : un ruscello, "uno squarcio azzurro fra le nubi. Non serve di più". Destarsi all'alba significa partecipare a quella gioia che gli animali del bosco tributano al sorgere del giorno; "gli uccelli marini cominciano a svegliarsi giù agli scogli, i loro gridi entrano dalle finestre aperte. Un'ondata di gioia mi percorse", afferma il nostro personaggio.
Pur in una situazione così incantevole, che spesso lo cattura totalmente, egli presenta tratti oscuri, improvvise pulsioni del tutto irrazionali lesive per gli altri o se stesso. Una sua 'vittima' ne coglie vagamente le insondabili e profonde motivazioni : "Perché mai fate questo? (...) Voi avete qualcosa che non va", tanto che il nostro giovane viene sopraffatto "dalla vergogna e dalla disperazione"; pensa che l'amore possa renderlo "più buono".
La capanna in cui abita non è l'eremo di un monaco : due donne alternativamente vi si affacciano : una che si dà, l'altra che si nega. In questioni amorose di questo genere, il negarsi prevale, assume il potere maggiore.
Il libro, scritto a fine '800, non si pone 'scientificamente' sulla linea della psicologia dei comportamenti. Le pubblicazioni fondamentali di Freud verranno qualche anno dopo. Lo scrittore rappresenta, ma la sua acutezza e profondità d'intuizione fanno sì che questo costituisca un pregio a livello letterario : l'inaspettato epilogo (situato a distanza di alcuni anni) getta uno squarcio di luce sui fatti pregressi, che compongono retrospettivamente una parziale chiave di comprensione per ciò che avverrà, senza aggiuntive spiegazioni, dando così maggior respiro all'opera.
La scrittura di Hamsun è magnifica : essenziale, purissima e di grande modernità, come se le parole fossero contornate di silenzio, pertanto più nitide, atte a creare un linguaggio lontano da frastuono e convenzioni, 'ecologico' anch'esso ed in simbiosi con l'incanto della natura rappresentata.
Il libro si legge come se si ascoltasse una sinfonia : dapprima se ne gusta la grandiosa lentezza, poi progressivamente il ritmo degli avvenimenti si fa incalzante, per giungere con impeto agli accadimenti finali.
La natura è meravigliosa, ma qui l'uomo coi suoi abissi interiori non riesce ad armonizzarsi costantemente con essa. E' per lui un'occasione mancata. Ciò costituisce elemento rilevante del dramma. Poi c'è l'enigma dell'amore che a tali abissi non è affatto estraneo.
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letteratura nordica
L' 'eroe' nascosto
Libro pubblicato (a puntate) verso la metà dell'Ottocento, situa le vicende tra l'inizio del secondo decennio e gli anni Trenta di quel secolo, per un'estensione quindi di oltre un ventennio.
La letteratura inglese ha avuto un ampio Romanticismo, seguito da un Realismo meno 'ideologico' rispetto alla Francia e all'Italia. "La fiera delle vanità" può collocarsi in questo percorso di transizione : se intende rappresentare l'alta società del tempo, c'è però da dire che l'autore non rimane affatto estraneo alle vicende, anzi quasi manzonianamente le commenta, induce il lettore a riflettere.
Possiamo cogliervi anche istanze illuministiche nell'uso della satira per rappresentare arrivismo e ipocrisie, perbenismo e raggiro; con un'idea insomma di letteratura che corregga i vizi.
Protagoniste della scena, ricca borghesia e nobiltà.
Diversamente dall'Italia, dove la borghesia arricchita tendeva a vivere come l'aristocrazia parassitaria, in Inghilterra i nobili ambivano a far fruttare i loro beni economici con spirito imprenditoriale borghese, tanto da determinare una certa commistione fra le due classi sociali privilegiate. E' proprio in questo ambito che si muovono i personaggi.
Accanto alle due giovani protagoniste, amiche (si fa per dire), tratteggiate con opposti caratteri, si muove una serie di figure che delineano un quadro di alterne e movimentate vicende, con rapide svolte e colpi di scena. Mi pare che ciò crei un limite all'opera, perché talvolta il mutevole andamento della storia narrata non è abbastanza motivato nella costruzione del romanzo. Altra carenza a livello contenutistico, secondo me, sta nel non rilevante approfondimento psicologico, essendo i personaggi come mossi esternamente dall'autore.
Tali aspetti 'deboli' sono compensati da una capacità di forte rappresentazione socio-economica, da cui emergono stili di vita di un mondo tutto volto agli aspetti esteriori, al successo sociale, colti con acuminata vena satirica, che dà allo stile una vivacità e un'arguzia che contribuiscono a fare del libro una lettura piacevolissima anche per chi, come me, detesta le telenovele. Il tutto raccontato con una scrittura deliziosa, capace di donare alle pagine una lieve patina d'antan, che produce quella gradevolezza ottocentesca che la buona letteratura inglese del tempo sa dare a piene mani.
Lo scrittore ci avverte che nel testo non ci saranno eroi. A mio avviso, non è vero : il personaggio positivo, in qualche modo accostabile a Pierre di "Guerra e pace", emerge gradualmente lungo il racconto. Tale carattere si scopre ben prima della conclusione del poderoso romanzo. E il lettore, ovviamente, fa il tifo per lui.
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letteratura inglese dell'Ottocento.
L'estetica della semplicità
Per chi ama la letteratura giapponese, questo libro è di grandissima utilità, forse perfino necessario.
L'autore, discendente di una famiglia di samurai, visse nel periodo tra '800 e '900. In una prosa molto bella, ci aiuta a comprendere i significati profondi della cerimonia del tè, momento fondamentale della tradizione nipponica.
La cerimonia del tè trova origine nel rituale zen. Lo Zen aspira ad una visione della "comunione profonda delle cose, considerando il loro aspetto esteriore nient'altro che un ostacolo alla chiara percezione della Verità" e mira a far "scoprire nella propria vita il riflesso della luce spirituale".
La ' filosofia del tè ' mostra che il benessere va ricercato nelle cose semplici, e bene si coniuga alla cultura zen che porta a "cogliere la grandezza anche nei minimi eventi della vita".
Il sentiero che conduce alla stanza del tè già rappresenta il primo stadio della meditazione ed ha la funzione di accompagnare al distacco dai legami col mondo esterno : "nella penombra dei sempreverdi (...) e passando accanto a lanterne (...) ricoperte di muschio" si crea una sensazione di serenità e purezza.
Si entra nella stanza tramite una porta bassa, allo scopo "di inculcare umiltà".
Nel piccolo e disadorno spazio interno, estremamente pulito ed essenziale, "niente turba il silenzio all'infuori dell'acqua che bolle nel bricco", sul cui fondo "sono stati disposti alcuni pezzi di ferro, al fine di produrre una melodia particolare. Vi si può sentire l'eco di un acquazzone smorzata dalle nubi; un mare in lontananza che va a frangersi contro gli scogli; (...) oppure il mormorio dei pini sopra una colina lontana". La calma conversazione non deve turbare l'armonia dell'ambiente.
Grande importanza assume il Maestro del Tè che, in un contesto di rara raffinatezza, incarna l'arte stessa. L'estetica ha un ruolo fondamentale; consiste nella bellezza dell'umiltà e della semplicità : "c'è gioia e bellezza anche nell'ondeggiare dei flutti che avanzano verso l'eternità".
Come la vita stessa, anche la letteratura esprime il fascino di questa cultura, impalpabile e ricca di simbolismo.
Chi ha letto il bellissimo "Mille gru" (col suo seguito in "Il disegno del piviere") di Kawabata non fatica a collocare l'opera letteraria nel mondo culturale che l'ha generata.
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letteratura giapponese
"L'intelligenza dell'anima"
Etty Hillesum scrisse i diari, da cui è tratto il libro,nel periodo 1941-43 in piena Seconda Guerra Mondiale, ad Amsterdam, nell'Olanda invasa dai nazisti.
Lei era una giovane donna ebrea (nata nel '14). Mentre annotava avvenimenti e riflessioni, pure una ragazzina, a poca distanza, scriveva il suo Diario : era Anna Frank.
Il libro, dalla prima all'ultima pagina, palpita di vita; in particolare rispecchia una maturazione spirituale capace di colmare l'esistenza della giovane Etty.
Si tratta di una ragazza colta, sensibile e intelligente, molto indipendente, protesa verso l'amore per un uomo con parecchi anni in più, il quale come professione " guarisce le persone insegnando loro ad accettare il dolore" ed ha "un sorriso incantevole, malgrado tutti quei denti finti".
Accanto a questo sentimento, si fa luce una ricerca interiore, che la porta ad "ascoltarsi dentro. Non lasciarsi più guidare da quello che si avvicina da fuori, ma da quello che s'innalza dentro", fino a raggiungere un equilibrio spirituale, sicura che grazie a esso "il resto funziona allora da sé".
La dimensione spirituale, quotidianamente coltivata, fa emergere il meglio della sua persona : una grande forza d'animo, la capacità di donarsi agli altri e un amore inestinguibile per la vita anche nelle più difficili condizioni. Constata che nella "tristezza è già insita una possibilità di ripresa"; e, pur nella consapevolezza che ormai è in atto il progetto di un totale annientamento, scopre che la vita è ugualmente "una cosa buona", bella e "ricca di significato" : a prevalere è la luce della vita interiore che riesce a non farsi contaminare dalle brutture degli accadimenti.
Il testo non ha solamente valore come 'documento umano' in un periodo terribile della Storia. L'alta qualità letteraria lo pone tra le opere che rimangono per se stesse, com'è accaduto con "Se questo è un uomo" di Primo Levi.
Nel libro della Hillesum, stile e contenuto confluiscono in un convinto e convincente messaggio poetico che diventa un inno al senso e alla bellezza della vita : sempre, comunque.
"Esisterà pur sempre un pezzetto di cielo da poter guardare, e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani in una preghiera".
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libri autobiografici
H. James, inglese per scelta
Questo bellissimo libro giunge dall'Irlanda. L'autore, C. Toibin, fra i maggiori scrittori viventi. Protagonista è Henry James, un classico della letteratura, in cinque anni cruciali della sua esistenza (1895-99) quando ha 52-56 anni d'età.
Attraverso il ricordo e la frequentazione, entrano in scena vari personaggi: in particolare i suoi famigliari e gli amici, ma non solo. Alcuni di essi rivestono un ruolo di rilievo e di grande interesse.
Come sappiamo, l'insigne scrittore americano amava moltissimo l'Inghilterra, tanto da trasferirsi in modo permanente a Londra e dintorni.
Il libro si apre con un clamoroso insuccesso di una sua opera teatrale, reso ancor più cocente dal confronto con due commedie, sulle scene londinesi, di Oscar Wilde, acclamatissime dal pubblico, tanto da 'dare alla testa' all'autore, che qui viene rappresentato come arrogante che trascura la bella e intelligente moglie e i due figli per legarsi a un giovanotto, il cui padre lo trascinerà in un processo che lo getterà nel pubblico scandalo e nella rovina.
Un'altra figura che viene ad assumere un crescente rilievo è la scrittrice Constance Woolson, intima amica di James, la quale non stenta a riconoscere in un padre e una figlia, presso una splendida dimora sulle colline di Firenze, due importanti personaggi del romanzo "Ritratto di signora"; anzi, la lussuosa dimora risulta essere proprio quella descritta in varie pagine di quel capolavoro letterario. Sempre a proposito del romanzo citato, veniamo a sapere che la protagonista stessa è stata ispirata da una cugina dell'Autore, orfana e non ricca ma con spiccate doti intellettuali e umane, con ambizioni e desiderio di viaggiare, la cui vita è stata stroncata in giovane età. 'Trasformata' in personaggio letterario, avrà a disposizione un ingente patrimonio, e tutti si domanderanno che cosa una giovane così farà della propria vita.
Il libro che analizziamo non è propriamente una biografia, anche se pare aderisca fedelmente alle numerosissime fonti consultate. Si tratta di una splendida narrazione, in cui C. Toibin compone un grande affresco di sicuro effetto, nel quale l'approfondimento psicologico-esistenziale s'intreccia mirabilmente con la realtà sociale e storica.
Lo stile è a livello d'eccellenza, incisivo e affascinante, dettagliato e 'aperto' all'interpretazione, ottimamente ancorato al soggetto narrato, senza alcuna caduta o minimo cedimento, per cui anche nei momenti di minor spessore non scivola mai nel banale, ed alcune pagine a tensione omoerorica neppure sfiorano i labili confini della volgarità; trovano bensì una dimensione rappresentativa di sobrietà, carattere che impronta di sé l'intera opera.
L'eleganza della scrittura dà forma ad una densità di contenuto e significato da condurre il lettore al termine del testo, per così dire, stordito e pieno di ammirazione.
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opere di H. James
Dai Padri del deserto
Anselm Grun, insigne studioso e monaco benedettino, conduce la sua ricerca indagando sull' "attualità della sapienza dei Padri del deserto", monaci cristiani vissuti tra il IV e il VII secolo.
Il libro, eccezionale per bellezza e profondità di pensiero, collega il sapere di quegli antichi contemplativi con le intuizioni della psicoanalisi, in una visione attualissima sempre.
Essi ci insegnano una spiritualità che parte dal basso : " la via che conduce a Dio passa sempre per la conoscenza di se stessi". Parte da un procedimento verso l'autenticità che porta "a un'amorosa comprensione per tutti coloro che non seguono la medesima strada", e che ci avvia ad una dimensione religiosa " che (...) penetri la vita e il lavoro di ogni giorno".
Primaria importanza riveste l'umiltà, da non intendersi come servilismo ma come capacità di riconoscere e accettare la propria verità, senza maschere auto-consolatorie e con la consapevolezza della morte come destino comune.
Seguono poi varie tappe per 'ritrovare se stessi' : fare i conti con la propria aggressività (" Forse la mia rabbia è il segno che io stesso ho concesso troppo potere su di me agli altri"). Ma "là dove sta il mio più grande problema, li c'è anche la più grande opportunità"; infatti " la rabbia è la forza che ci permette di prendere le distanze dall'esperienza traumatica"; viceversa il sentimento di odio è indice che ancora non ci si è emancipati dall'attribuire all'altro potere su di noi.
Altre negatività che ostacolano il raggiungimento della libertà interiore: il giudicare gli altri, che "è sempre segno che non si è ancora incontrato se stessi"; la sete di gloria, che ci rende dipendenti dal giudizio altrui; la superbia (" Il superbo si è talmente identificato con la sua immagine ideale che si rifiuta di guardare la propria realtà ").
Consigli e interessati osservazioni si susseguono, con citazioni tratte dai monaci che sceglievano di 'sottrarsi al mondo' per una vita interiormente più libera e più elevata attraverso ciò che la psicologia transpersonale chiama " dis-identificazione " ( osservare i propri pensieri e sentimenti, ma non identificarsi in essi ).
Questo percorso verso l'autenticità diventa una via che porta a quella semplicità che lascia sgorgare la fonte spirituale che è in noi e ci predispone all'ascesi.
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' Racconto d'estate '
Von Keyserling, anima baltica, aristocratico di un mondo ormai perduto, nel breve e intenso romanzo "Afa", ci offre un altro dei suoi 'racconti del castello' .
Potrebbe stupirci, eppure anche lassù nelle terre nordiche può accadere talvolta di avvertire l'afa, soprattutto se si vive in un rarefatto stato di angoscia.
Un'estate trascorsa nella loro dimora di campagna : due esponenti della nobiltà, un padre ancora giovane e sicuro di piacere ed un figlio diciottenne che deve recuperare le carenze in matematica.
L'Io narrante è il ragazzo : "Mio padre (...) pareva ignorarmi (...). Di tanto in tanto mi fissava, ma subito inarcava le sopracciglia, cosa che in lui era segno di disprezzo. (...) Mi sentivo piccolo piccolo e molto infelice".
Le risonanze interiori di un difficile rapporto sono delineate fin dall'inizio, con rara perizia psicologica.
La dimora avita presenta subito un fascino particolare: le stanze risuonano dello stridio dei grilli annidati nei muri; la natura intorno, il parco espongono l'incanto dei loro colori : "i gladioli fiammeggiavano come lingue di fuoco"; "una luce rossa, come soffusa d'oro, vibrava nell'aria"; "i gigli rilucevano bianchi nell'ombra del crepuscolo".
Keyserlig è un grande 'pittore' di paesaggi letterari.
Quei luoghi, "dove tutto era adagiato su fresche ombre verdi", paiono ideali per incontri e conversazioni all'aperto. Essi avvengono essenzialmente con le due cugine: la maggiore, enigmatica e tormentata; la più giovane, gaia e ciarliera. Quest'ultima suscita l'infatuazione del ragazzo; l'altra, amazzone altera nelle passeggiate col padre del nostro giovanotto, è scossa da un dolore di cui presto s'intuisce l'origine.
Le notti sono pregne di atmosfere sensuali: "i misteriosi suoni del bosco trascorrevano fra gli alti alberi silenziosi"; il canto di una donna che si disperde nell'aria di "quella morbida oscurità, densa di profumi"...
Le relazioni fra i due protagonisti continuano stranamente altalenanti, anche se l'Io narrante tende a cogliere ciò che più lo umilia : "il suo sguardo mi attraversava senza vedermi"...
L'epilogo presenta un colpo di scena, di cui però già si è colto qualche indizio : il fragile rumore di un piccolo oggetto d'oro, che scivola per terra, apre spiragli che proiettano una nuova luce su molti aspetti e, nel contempo, alimenta altri e inquietanti interrogativi.
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Un té davanti al lago
E' trascorso quasi un trentennio da quando l'allora giovanissima Banana Yoshmoto scrisse "Kitchen" che la fece conoscere in tutto il mondo. Da allora venne pubblicato quasi un libro all'anno, spesso non all'altezza delle aspettative.
Il nuovo romanzo "Il lago" sicuramente rappresenta una gradita sorpresa, capace di non deludere neanche i lettori più esigenti.
Il Giappone conta una tradizione letteraria ricca di scrittori d'alto livello. Questo libro s'inserisce in essa, soprattutto per la leggerezza della scrittura e per la rappresentazione quasi zen della natura e del paesaggio, come luogo essenzialmente da contemplare : "la superficie del lago era increspata da piccole onde"; la fioritura dei ciliegi intorno l'avrebbero "coperto da un velo rosa". Tanta lievità si riverbera sull'approccio esistenziale, effetto riscontrabile in autori grandissimi quali Kawabata, come rispecchiamento dell'essenzialità tipica della cultura nipponica : "era così bello da somigliare alla tristezza. Alla sensazione che si prova quando ci si rende conto che (...) il tempo che ci è concesso su questa terra non è poi così lungo" . La caducità della bellezza che porta a contemplare l'attimo come unico e non ripetibile. Approccio lontanissimo dalle bramosie del consumismo occidentale; anzi con animo di pacata e distesa armonia, come riflesso di una dimensione cosmica.
Protagonisti sono una ragazza trentenne, artista pittrice di murales, e un giovane ricercatore in medicina. Si tratta di individui che portano ferite interiori (in lui, profondissime), uniti da un fragile sentimento, tanto prezioso quanto non omologato agli stereotipi diffusi.
Personaggi 'minori' , ma di forte e duraturo impatto, i due amici della casa davanti al lago, che "custodivano con discrezione (...) la modestia e la grazia", in totale armonia con l'essenza del luogo, tanto da costituire una realtà di riferimento semplice e altamente simbolica.
Le altre figure significative invece appartengono essenzialmente al passato, fantasmi la cui presenza così radicata nell'interiorità permane indelebile in una dimensione ben più profonda della semplice memoria.
La nostra Autrice è bravissima nel cogliere l'indeterminatezza dei frammenti d'ignoto che qua e là emergono; a riannodare esili fili spezzati dell'esistenza; a captare il dettaglio che apre spiragli sulla complessità umana. Non altrettanto a raccontare fatti, avvenimenti, azioni. Ma questi, in fondo, formano solamente la superficie delle cose : lo sappiamo, non costituiscono tutta la realtà, non la più importante, non la più interessante.
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letteratura giapponese e/o letteratura contemporanea straniera
Nello spazio e nel tempo
Si tratta di appunti di viaggio, raccolti con un titolo che allude a una frase pronunciata dal protagonista del romanzo "L'opera al nero" : "Chi sarebbe così insensato da morire senza aver fatto almeno il giro della propria prigione?".
La "prigione" anche per Matguerite Yourcenar era il mondo intero, e lei amava viaggiare.
Verso l'età senile la sua passione diventò l'Oriente. Non casualmente, quindi, gran parte di questo libro riguarda la sua visita al Giappone, la cui cultura e arte (il teatro tradizionale, in particolare) la incantarono. E' di questo che intendo parlare.
La nostra Autrice, ultimamente non frequentava assiduamente i teatri, "stanca delle vanità che stanno troppo strette o troppo larghe ai capolavori". Il teatro Giapponese le restituisce il piacere di guardare la scena.
In particolare, a colpirla sono due tipi di approccio alla rappresentazione e alla recitazione : il Kabuki, che "gioie e dolori (...) li fa seguire come la notte e il giorno nei paesi senza crepuscolo. (...) Sulla scena, un momento prima costellata di cadaveri, dei bambini (...) girano in tondo (...) trascinadoci nella loro gioia : (...) la presa di possesso quasi magica che si impadronisce dello spettatore" la coinvolge totalmente. E annota la grande spontaneità degli attori, che deriva dal 'vivere' anche fuori scena il proprio personaggio, in una fusione quasi indistinta fra vita e teatro.
Ad affascinarla ancor più è il tradizionale teatro ' No ' , un po' teatro di fantasmi evocati a salmodiare : i volti non segnati dal trucco; solo lo spettro è contraddistinto dalla maschera.
Non poteva mancare la visita alla casa di Mishima, autore da lei amatissimo, nel cui studio trova una copia in inglese delle "Memorie di Adriano".
Poi è la volta dei monasteri buddisti, cresciuti in parchi lasciati da alti aristocratici. E i giardini zen : "cascate limpide che precipitano in pietraie"; poggi innalzati "i cui profili aumentano l'effetto del chiaro di luna". "Questi luoghi rigorosi e delicati sono fatti soprattutto per essere contemplati".
Viene infine invitata a tenere una conferenza sul tema del viaggiare.
Per lei il viaggio è quasi un'ascesi, un mezzo per far cadere i pregiudizi. E giunge alla convalida dei punti fermi della sua conquistq 'filosofica' : "uno dei segreti della vita in ogni luogo e in ogni tempo : l'uniformità sotto le varietà delle apparenze; inoltre : "ci troviamo dovunque e comunque di fronte a noi stessi".
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Mann visto da Mann
Questo libro autobiografico è suddiviso in tre parti. La prima s'intitola propriamente "Saggio autobiografico" : contiene ovviamente informazioni sulla vita dell'autore e sulla stesura di alcune opere: ci dice, per esempio, come la scrittura del bellissimo "La montagna incantata" l'abbia impegnato per ben dodici anni, dopo una lunga visita alla moglie nel 1912 a Davos per cure, luogo in cui vennero raccolte "quelle strane impressioni d'ambiente".
La seconda parte è ampiamente la più corposa. Il titolo, "Romanzo di un romanzo. La genesi del 'Doctor Faustus' ", è già esplicativo. L'inquietante opera è, per così dire, nata sotto le bombe; metaforicamente, perché Mann (siamo nella Seconda Guerra Mondiale) si trovava confortevolmente rifugiato in America: La narrazione della composizione del libro è comunque ritmata sui bollettini di guerra: Roosevelt che annuncia l'invasione dell'Europa; la caduta di Mussolini; le terribili notizie sui massacri degli ebrei...
Il progetto del romanzo risale al 1901; trascorrono oltre quarant'anni; la data d'inizio è: maggio '43, dunque nel vortice della furia bellica.
Se l'Autore conduce una vita relativamente tranquilla negli USA, alcuni dei suoi figli sono più esposti, proprio nella lontana Europa in fiamme : Klaus, nell'armata britannica; "Erika era a Parigi e osservava l'incorreggibile atteggiamento della borghesia francese".
Poi, la distruzione di Hiroshima e Nagasaki. Nella vita privata, un grave problema di salute che richiede un pesante intervento chirurgico.
Ad allietare il grigiore, giungono le visite di figli e nipoti: Ed è proprio l'instancabile Erika che concretamente pone a revisione il libro del padre per "liberarlo da prolissità" : "parti di teoria musicale furono buttate a mare; le conversazioni fra studenti furono accorciate (...). Nessuno ne sente la mancanza, nemmeno io", conclude T. Mann.
La terza parte è la più breve : si tratta del discorso tenuto all'Università di Chicago nel 1950, all'età di 75 anni. E' esplicito fin dall'inizio: "Del mio tempo voglio parlarvi, non della mia vita".
Mann ha la sensazione di essere prossimo alla fine (ma, come sappiamo, la tomba dovrà ancora attendere) e termina il discorso come se quasi già non appartenesse più a questo mondo : "augura alle stirpi umane viventi (...) che non tocchino loro in sorte la miseria e l'ignominia dell'imbestiamento, ma pace e gioia".
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libri di T. Mann
'La voce delle cose'
" Essere artisti significa: non calcolare o contare; maturare come l'albero che non incalza i suoi succhi e fiducioso sta nelle tempeste di primavera, senza l'ansia che dopo possa non giungere l'estate. L'estate giunge (...) a chi è paziente e vive come se l'eternità gli stesse innanzi ".
Le lettere contenute nell'agile volumetto, spedite da Rilke essenzialmente negli anni 1903-04 in risposta a sollecitazioni di un giovane poeta, ci danno un pregevole contributo per comprendere il pensiero dell'Autore su letteratura e ruolo dell'artista.
Rilke scrive in un periodo che ha ormai messo in irreversibile crisi il Positivismo e che elabora la concezione dell'arte come intuizione. E' l'epoca della pascoliana teoria del Fanciullino. Rilke non si discosta da questa posizione, ma ne dà una visione più moderna e personale.
Benevolmente rimprovera il giovane poeta di guardare troppo all'esterno e lo invita a rivolgersi "nel punto più profondo del suo cuore". Se così sgorgherà poesia, gli consiglia di non dipendere da eventuali pubblicazioni; l'importante è che i versi prodotti siano "una scheggia e un suono della sua vita".
Non crede quindi che l'arte sia un mestiere, ma una realizzazione che nasce da reale necessità, urgenza interiore.
Gli dice di cogliere la "tremula eco del ricordo" e di leggere "il meno possibile testi di critica estetica" : la critica tramonta con le mode; l'arte rimane a sfidare i secoli.
L'umiltà è virtù da praticare assolutamente per giungere all'autenticità: attenersi alla natura, maturare l'amore per le piccole cose, per ciò "che è invisibile ai più e può d'un tratto farsi grande e incommensurabile" : "allora tutto le diverrà (...) quasi più conciliante (...) nella sua più intima e vigile coscienza, e conoscenza".
Dunque, l'arte come conoscenza; l'artista che 'si fa veggente' , come diceva alcuni anni prima Rimbaud.
Se si legge ad ampio raggio, questa prosa bellissima tende ad essere anche fonte di riflessione per la vita.
Rilke non tratta solamente di arte e poesia, ma dà informazioni sulla propria esistenza errante per l'Europa, sul proprio stato di salute e dialoga perfino su aspetti intimi. In un periodo e in una cultura che tendono a rimuovere problematiche scomode, egli parla di "un mondo sessuale non pienamente maturato e puro, (...) carico degli antichi pregiudizi e orgogli con cui il maschio ha sfigurato e oppresso l'amore". Siamo ad inizio '900 e le prime suffragette sfilano per le vie di Londra, ma la questione femminile è ancora lontana dal diventare argomento di discussione in questi termini, anche se figure quali Lou Salomé e Sibilla Aleramo compaiono già, come scandalose presenze.
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Divagazioni profonde in stile leggiadro
I termini Pellegrina e Straniera ben si addicono a Marguerite Yourcenar, sempre in transito, umile e consapevole, sulle strade del mondo o per i fervidi sentieri della sua immaginazione.
Questo libro contiene scritti vari su personalità dell'arte e della letteratura, indagate nei modi più inconsueti e sorprendenti, spesso attraverso le suggestioni che i luohi emanano, con esiti assai convincenti, tramite una scrittura di un fascino che sempre si rinnova.
Fra i personaggi noti e notissimi, che compaiono in questa galleria delle meraviglie, per ragioni di spazio mi soffermo solamente su Virginia Woolf, incontrata dalla giovane Marguerite in veste di traduttrice in francese del libro "Le onde".
La sua ammirazione per la grande scrittrice inglese porta l'emblema della citazione di un'eroina di Shakespeare: "Quando nacqui, una stella danzava".
La celebre scrittrice, "sfavillante e timida", "delicatamente segnata dalle impronte dei pensieri e della stanchezza", riceve la giovane Marguerite "in una stanza invasa dal crepuscolo". Il ricordo che ne conserva rasenta il mito: "questa donna dai limpidi occhi azzurri, dalla maestosa capigliatura bianca che evoca immediatamente (...) la brina, l'argento, un'aureola - ha dunque visto curve sulla sua culla tutte le fate della letteratura inglese".
L'ammirazione per la Woolf è anche, soprattutto, per la sua arte: "le gelide pulsazioni di uno stile che fa pensare ora a ciò che attraversa, ora a ciò che è attraversato -alla luce, al cristallo"; la capacità di "trasfigurare la realtà, o di farne cadere le maschere" e di trasmettere al lettore "un senso magico dell'incantesimo delle cose".
La Yourcenar sa, però, che dietro allo splendore delle più belle pagine della letteratura si cela spesso l'estenuante lavoro di scrittori che "si dedicano con pazienza (...) al loro arazzo pieno di fiori (...), senza mai mescolare alle opere il resoconto indiscreto delle loro fatiche, e il segreto dei succhi spesso dolorosi nei quali le loro belle lane sono state intrise".
Ho deliberatamente usato a piene mani le espressioni dell'Autrice, che attestano come la scrittura di M. Yourcenar sia dotata di straordinaria bellezza, oltre alla profondità di pensiero, anche quando si occupa di saggistica.
Indicazioni utili
saggistica d'autore
' TUTTA UNA VITA '
Raramente accade di leggere un libro convincente come "Stoner".
Williams in quest'opera si rivela scrittore straordinario (tra l'altro, William è il nome proprio di Stoner, e come l'autore anche il personaggio è di origini contadine ed insegna per tutto il periodo lavorativo nella stessa Università).
La prosa è magnifica : semplice, scorrevole e senza alcuna enfasi giunge direttamente nel cuore dei sentimenti del lettore : suscita interesse e commozione. Si avverte una disarmante autenticità che non può lasciare indifferenti. Lo scrittore racconta le vicende del suo personaggio con una tenerezza che non ho mai riscontrato altrove. Se posso fare un paragone, mi torna in mente solamente la toccante scrittura della svedese Selma Lagerlof (Premio Nobel).
Stoner, all'università per studiare Agraria, devia il suo percorso, conquistato dal fascino della letteratura : "acquistò una consapevolezza di sé che non aveva mai avuto prima"; "per la prima volta nella vita prese coscienza della solitudine"; per quanto riguarda i personaggi letterari, "li sentiva più vicini dei suoi stessi compagni".
Giunge poi l'innamoramento, che lo condurrà ad un matrimonio azzardato...
L'autore, con profonda pietas e umanità, lo segue nei due ambiti della sua vita: quello privato e quello di insegnante.
L'ambiente universitario viene rappresentato soprattutto nelle sue meschinità, anche se è in esso che il nostro protagonista trova la propria realizzazione.
Intanto scorre la Storia: la Grande Guerra, il proibizionismo, la crisi del '29, la ripresa, Pearl Harbor, e la Seconda Guerra Mondiale, poi il dopoguerra... Tutto osservato, ovviamente, da un punto di vista statunitense.
Al centro della rappresentazione rimane comunque Stoner, personaggio indimenticabile.
Chi coltiva un certo stereotipo della letteratura americana contemporanea sarà felicemente sorpreso da questo libro, certamente uno dei più belli, in assoluto, dell'intero Novecento.
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Al fluire del tempo
"Il tempo, grande scultore" è una raccolta di scritti d'argomento vario, forma di saggistica con l'impronta d'autore, in cui il vasto sapere che Marguerite Yourcenar ha accumulato negli anni è, per così dire, rivestito dallo splendore della scrittura, tanto da destare nel lettore un godimento estetico non inferiore a quello che dona la fruizione dei capolavori letterari.
Per non disperdere l'analisi in tanti rivoli, scelgo di parlare del testo che dà il titolo al libro, non tacendo però che altri scritti contenuti nel volume sono altrettanto ammirevoli.
Non c'è alcuna statua dell'antichità nella condizione in cui i contemporanei la conobbero. Anche le sculture più ammirate hanno subito un processo d'invecchiamento e deterioramento a cui tutti andiamo incontro.
Attraverso gli agenti atmosferici, le varie peripezie a cui esse sono state sottoposte o le sferzate della Storia, il tempo, grande scultore, le ha significativamente modificate.
La nostra scrittrice ci conduce in questo mondo attraverso il quale la creatività del passato e il fluire del tempo ancora ci comunicano emozioni che solo l'arte produce.
Non pensiamo, però, all'azione del tempo esclusivamente in termine di deturpamento. Anzi, "talune di queste modificazioni sono sublimi" ; statue spezzate, dai cui frammenti nasce una forma diversa di bellezza, non immaginata dallo scultore che le ha prodotte : "un piede nudo che non si dimentica (...), una mano purissima, un ginocchio piegato in cui si raccoglie tutta la velocità della corsa" ; i leoni di Delos hanno perduto le loro sembianze feline, per assumere il candore dei fossili, "ossa al sole in riva al mare".
Alcune sculture pare che, proprio grazie alla mano invisibile del tempo, siano diventate emblemi di bellezza : "la Vittoria di Samotracia è diventata meno donna e più vento di mare e dell'aria".
"Certe opere minori (...), abbandonate ai piedi di un platano, sul bordo di una fontana, acquistano nel tempo la maestosità o il languore di un albero o di una pianta; quel fauno villoso è un tronco coperto di muschio; quella ninfa reclina somiglia al caprifoglio che l'abbraccia".
Con queste suggestioni non è difficile immaginare l'Autrice mentre vaga fra i ruderi e le meraviglie della Villa di Adriano, a Tivoli, traendo ispirazione per il suo celebre libro sull'Imperatore.
Indicazioni utili
saggistica letteraria
Una donna in controluce
Olive Kitteridge è una donna complicata e con un brutto carattere: apparentemente logica e razionale (è insegnante di matematica), in effetti risulta alquanto umorale, dominata da impulsi emotivi che rendono la vita non sempre facile a chi le vive accanto: il marito e un figlio.
Ovviamente non vengono dati giudizi sul personaggio; infatti lei è consapevole di provare "qualcosa che a volte si gonfia come la testa di una seppia e spara un liquido nero dentro di me. Non ho mai voluto essere così".
Con un tale carattere, lo scotto da pagare, come si dice in un bellissimo film di Bergman, è la solitudine: "Non aveva mai avuto un amico altrettanto leale e gentile di suo marito: Eppure (...) Olive ricordò che inframmezzati a tutto il resto c'erano stati momenti in cui aveva avvertito una solitudine così profonda che una volta (...) il gesto delicato con cui il dentista le aveva voltato il mento (...) era stato per lei una tenera gentilezza di una profondità quasi straziante".
Per fortuna, il marito farmacista pare rimanere incontaminato; "con la sua ostinazione a restare ingenuo", "attraversava senza dolore la giornata" e "nella farmacia regnava la benevolenza nei riguardi del prossimo": la bontà d'animo, dunque, non è solo una virtù sociale, ma pure un balsamo nell'esistenza personale.
Sarà così anche per il figlio ? Olive sembra premunirsi: " Gli psicologi se la prendono sempre con la madre".
Il libro ha una struttura originale: pare un insieme di racconti in una scansione atta a costituire un romanzo: la vicenda individuale e familiare della protagonista è accompagnata da una serie di fatti e personaggi collaterali che in alcuni capitoli diventano essi stessi protagonisti.
Questo può rendere la lettura, in certi momenti, meno fluida e un po' dispersiva; però tali 'divagazioni' , secondo me, hanno la funzione di scandire e dilatare il tempo, perché intanto trascorrono gli anni, i decenni; le situazioni cambiano, si evolvono.
L'analisi psicologica e relazionale è molto pertinente e rimanda spesso a realtà più profonde. C'è particolare attenzione per i dettagli emotivi e per la loro portata nell'orientare i fatti.
La forma rispecchia l'andamento degli stati d'animo: a volte è brusca e respingente; in altri momenti dolce e gentile.
Anche i riferimenti climatici e stagionali percorrono l'intero romanzo, quasi a ricordarci che un libro così, nel panorama culturale americano, non può che provenire dal Nord-atlantico.
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letteratura americana contemporanea
LACRIME. Pirandello dolente
"Se la portava addosso come una seconda pelle, la tristezza di veder tutto triste".
Questo bel libro di M. Collura è di grandissimo interesse per chi possiede qualche conoscenza delle opere pirandelliane.
L'autore compone una biografia di Pirandello (con particolare attenzione agli ultimi decenni di esistenza) mettendo in evidenza la relazione, talvolta strettissima, fra la vita e le opere del grande scrittore e drammaturgo, usando a piene mani documenti epistolari sia suoi che dei congiunti e di Marta Abba, celebre attrice e sua 'musa ispiratrice' .
Collura, pertanto, poco s'interessa agli aspetti formali, al contesto culturale-letterario e all'analisi psicoanalitica, benché alcuni spunti non mancherebbero. Rimane nel proprio ambito, ma l'approfondimento di esso è ricchissimo e molto ben supportato.
L'immagine che emerge è di un personaggio estremamente dolente, soverchiato nella vita privata e non rasserenato da quella pubblica-artistica, benché non gli siano mancati riconoscimenti.
All'assegnazione del Premio Nobel, scrive: "Non mi sono mai sentito tanto solo e tanto triste", e nel discorso tenuto in Svezia aveva aggiunto di di aver sentito "il bisogno di credere all'apparenza della vita senza alcuna riserva", traendone però "delusioni amare, esperienze dolorose, ferite terribili" : l'"apparenza della vita": notiamo come il rovello di molti suoi personaggi agisse prima ancora nel loro autore.
Il figlio Stefano lo ammoniva: "Tu trascuri cose umili e ciò provoca in te contraccolpi".
Pirandello visse una vita familiare che tanto lo angustiò: la pazzia della moglie portò in casa un clima tesissimo. La signora era addirittura gelosa della figlia, tanto che questa venne allontanata, dopo un tentativo di suicidio. Lo scrittore ricorda di aver "scritto 'Il fu Mattia Pascal' nel momento più tragico della mia vita (...) lavorando giorno e notte, mentre vegliavo la capezzale della mia povera inferma" : ecco il desiderio d'evasione dalle angustie coniugali.
La "povera inferma", da parte sua, scrive in una lettera al figlio Stefano poche settimane prima del ricovero, che di fatto fu definitivo : "E' il fluido della gran parte degli uomini siciliani che mette questa cappa di piombo nella propria famiglia. (...) in Sicilia la donna deve rappresentare 'Mater dolorosa' ". Proprio con questa espressione, Pirandello definirà il personaggio della Madre nei "Sei personaggi in cerca d'autore". Opera che rappresenta un incontro quasi incestuoso del Padre con la Figliastra: probabilmente l'autore elaborò uno degli incubi della moglie relativi alla gelosia verso la figlia.
Nel 1925 avviene l'incontro con Marta Abba: fu un amore essenzialmente platonico che (forse proprio per questo) durò fino alla morte del drammaturgo. Anche tale legame idealizzato fu fonte di cocente dolore: lei era quasi sempre lontana a mietere successi professionali. Lui, precocemente invecchiato, sempre più ripiegato sul proprio pessimismo. Il nipote Andrea avrebbe dovuto portare il nome del nonno, Luigi, ma Pirandello inviò un telegramma al figlio: "Scongiuroti tenere lontana bambino infelicità mio nome".
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Pirandello
A Venezia con languore
Questo libro, scritto da Hemingway a distanza di di dieci anni da "Per chi suona la campana" e venti da "Addio alle armi", è ambientato in una Venezia invernale e rappresenta, ma non solo, la storia d'amore fra un colonnello cinquantenne di precaria salute e una diciannovenne ricchissima e molto aristocratica, "splendente di giovinezza e di slanciata bellezza"; per il nostro protagonista, "bella come un buon cavallo o un proiettile lanciato".
Un dato interessante è che il colonnello ha la stessa età dell'autore al momento della stesura dell'opera. Conoscendo alcuni tratti del carattere dello scrittore, possiamo ben ipotizzare che sia forte l'elemento autobiografico, non tanto per la vicenda amorosa in sé, quanto per la condizione esistenziale dell'autore, che condusse una vita volta all'eccesso, tanto da essere invecchiato piuttosto precocemente. La storia amorosa qui rappresentata può tranquillamente essere definita un amore senile di un vecchio di cinquant'anni, gran bevitore a qualunque ora del giorno o della notte.
Penso che l'aspetto autobiografico possa essere colto, oltre che nella condizione esistenziale, forse anche nell'ambiguità del rapporto con se stesso: " 'Vecchio bastardo' disse allo specchio (...). Lo specchio era la verità e l'attualità". "Hai la metà di cento anni, bastardo che non sei altro".
I riferimenti alla Grande Guerra e ai luoghi di combattimento sono numerosissimi, spesso presenti nel ricordo: il Basso Piave, il Grappa, il Pasubio, dove la vita militare era durissima: "Nel plotone c'era l'abitudine di dividersi i gonococchi di chiunque portati (...) in una scatola di fiammiferi (...) in modo da potersene andare".
Poi c'è la costante presenza di Venezia, dei suoi alberghi e ristoranti di lusso, coi caffé dove trovare riparo dalle sferzate di vento o dall'alta marea.
In questa città fascinosa, diventata emblema del languore della decadenza, non stona affatto la ricerca della casa, affacciata sul Canal Grande, abitata da G. D'Annunzio, dove convalescente scrisse il "Notturno", amorevolmente accudito dalla figlia Renata: lo stesso nome dato da Hemingway alla sua giovane protagonista, che il colonnello chiama "Figlia".
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libri di Hemingway
La Bambina non dimentica
" Anche da adulti portiamo sepolto in noi il ricordo di come percepivamo il mondo da bambini. E non si tratta solo del ricordo: la struttura medesima di quella percezione resta intatta " (P. Auster).
A cento anni dal genocidio del popolo armeno, con oltre un milione di persone trucidate, ci giunge questo gradevole libro della Arslan a ricordarci quella ferita spesso dimenticata, rimossa.
Il testo non tratta in primo piano quel terribile evento, ma le sue risonanze si avvertono vivissime e fanno come da mesto sfondo alle vicende della Bambina, personaggio autobiografico, attraverso le parole del nonno paterno, testimone degli orrori vissuti dal suo popolo : "Non erano più uomini forti e donne gentili (...), erano i resti di un immenso naufragio".
"E da allora quelle storie rimasero dentro di me, nascoste e vigili e protette nel loro cassetto segreto ".
Nella vita pratica, il ricordo si concretizza in qualche ricorrenza: a Venezia, all'isola di S. Lazzaro "dove si va a Pasqua e si mangia il lavash e la marmellata di rose".
Un'altra ferita, questa personale e intima, deriva dal rapporto con la madre, vissuta dalla Bambina come una donna bellissima, volitiva, spesso al centro dell'attenzione, la cui predilezione va all'altra figlia. La Bambina ricorda quando, per una prodezza, si fa male : "Ma quanto sei stupida! Adesso mi tocca lasciar qua tutto e portarti all'ospedale".
Ora, dopo tanti anni, in una recente intervista, l'autrice la ricorda "sicuramente faticosa come madre" e intuisce come piccoli conflitti "hanno però determinato un certo rapporto di estraneità tra di noi". Adesso, da donna ormai matura, dice: "Ho capito che era una persona che non era riuscita a fiorire del tutto, come fosse rimasta (...) un po' sospesa, e in questa luce l'ho sentita più vicina".
Non si tratta, però, di un libro particolarmente triste: c'è il felice rapporto col padre e coi nonni; ci sono le vacanze in montagna, presso un paesino che si pronuncia con un soffio, Susin di Sospirolo, dove si vendono "gli scarpet comodi ai piedi (...), di soffice feltro". Ma soprattutto ci sono i libri. "I libri sono esseri viventi, per lei" : "non si può vivere senza un libro (...), la porta sempre aperta verso mondi altri, verso l'Altrove".
Per noi lettori, un 'mondo altro' è anche il mondo, perduto e ritrovato, rievocato dall'autrice, anche lei, come dice Modiano, "capace di cogliere, inconsapevolmente, un vago riflesso della realtà", che, in fondo, riguarda un po' tutti.
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I segreti della vecchia Emerenc
" Nella ricerca della verità sii pronto a imbatterti nell'inatteso, poiché essa è difficile da trovare, e, una volta trovata, stupefacente. " (Eraclito)
Questo libro, originale e bellissimo, della più grande scrittrice del '900, Magda Szabò, è da considerarsi il suo capolavoro.
Rappresenta lo straordinario rapporto, nel contempo profondo e sfuggente, fra una celebre scrittrice di mezz'età ed un'anziana donna, enigmatica e particolarissima, nel contesto dell'Ungheria già comunista.
Emerenc, la vecchia, "non si sedeva quasi mai, quando non teneva una scopa in mano potevi essere certo che portasse un piatto dell'amicizia da qualche parte, o cercasse il padrone di un animale randagio".
La scrittrice incontra Emerenc per avere un'aiutante in casa, ma a pretendere le referenze è la vecchia stessa : "Io non lavo i panni sporchi al primo che capita", diceva, determinata a prestare servizio esclusivamente a persone degne della sua stima.
Era infaticabile nel lavoro, e pareva avere facoltà di captare realtà che non erano alla portata delle persone comuni. La sua casa era piena di segreti, un enigma per tutti : a nessuno era consentito varcare la porta d'ingresso.
"Emerenc (...) accompagnava le evoluzioni della storia con commenti sarcastici, disse in faccia agli educatori del popolo che lei non accettava arringhe da nessuno". "Quella donna era priva di coscienza patriottica (...), ma dietro una spessa coltre di nebbia c'era un'anima che brillava luminosa".
Ha ragione P. Auster quando scrive che "seppur possiamo arrivare a conoscere molto parzialmente un altro essere umano, questo vale solo entro i limiti da lui stesso imposti".
Il rapporto fra le due protagoniste del romanzo, con ripercussioni sulle loro rispettive vite, riserva più di una sorpresa.
Ad un certo punto il lettore apprende stupefatto che il nome del personaggio della scrittrice, Io narrante, è Magda, lo stesso dell'autrice : si tratta di una rappresentazione in qualche modo autobiografica?
Il libro presenta una struttura affascinante, capace di coinvolgere progressivamente.
Lo stile è ad un livello altissimo, senza alcuna caduta, con un andamento quasi musicale.
Si scopre come le letterature in lingue o di Paesi 'minori' , per questo spesso poco conosciute, possano offrirci gioielli letterari insospettati.
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Palpiti di una vita
Queste "Lettere ai contemporanei", redatte in una prosa magnifica, rappresentano sicuramente uno strumento indispensabile per conoscere Marguerite Yourcenar, scrittrice grandissima.
Qui emergono i suoi interessi, le preoccupazioni, l'indignazione per la violenza perpetrata sulla natura e in particolare sugli animali, tanto da considerare che "lo sfruttamento senza limiti da parte dell'uomo, il libero esercizio della sua grossolana indifferenza nei confronti di questi esseri impegnati quanto lui nell'avventura dell'esistenza, sia uno degli aspetti del male". Scriveva questo nel '57, periodo in cui certe sensibilità erano ben poco diffuse.
Ancora più esplicita una lettera del '68 all'attrice Brigitte Bardot (anche lei attenta a questo genere di abusi), in cui chiede collaborazione contro "l'orribile massacro annuale delle foche nelle acque canadesi, e soprattutto l'uccisione delle giovani foche (...) che hanno poche settimane di vita (...) con un 'metodo' che consiste nel colpirle a randellate per poi strappare loro immediatamente la pelliccia", con probabilità di scuoiarle ancora vive.
Questa donna dalla cultura vastissima e dalla brillante intelligenza ben riconosceva la ristrettezza della mentalità contingente e degli stereotipi culturali, l'imposizione ideologica e consumistica del piacere, la licenza sbandierata come libertà. Non ci sorprende, pertanto, leggere le parole indirizzate a Natalie Barney, al tempo in età molto avanzata : "...lei ha avuto la fortuna di vivere in un'epoca in cui la nozione del piacere era ancora fonte di civiltà (oggi non lo è più); le sono in parte grata di essere sfuggita alle influenze intellettuali di questa metà del secolo".
Numerose le testimonianze provenienti da viaggi e visite : la cocente delusione avuta (1962) nell'allora Leningrado sovietica : "...un effetto che non mi sarei aspettata: quello (...) di un infinito avvilimento". All'Ermitage vede "gente distrutta (...) . E dappertutto, insidiosi e massicci, il silenzio o la propaganda, ovvero la menzogna, con i suoi luoghi comuni".
Incantata, invece, di fronte al grandioso spettacolo della natura primordiale, durante una mesta ricognizione sul luogo rupestre e solenne dove, nella Guerra Civile Spagnola, venne fucilato Garcia Lorca, tanto da comunicare alla sorella dello scrittore "che ha trovato la morte in questo paesaggio d'eternità" : "...non si potrebbe immaginare per un poeta una tomba più bella".
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libri della scrittrice.
L'Odissea di uno sceneggiatore
Quest'opera pubblicata nel '54, dopo i testi prettamente neorealistici dell'aurore ed ormai al crepuscolo del Neorealismo stesso, se non è il più bel libro di Moravia, sicuramente è quello di maggiore leggibilità.
Viene trattata la crisi del rapporto fra uno sceneggiatore cinematografico (per ripiego economico) e l'amatissima moglie. Sullo sfondo un film da realizzare sull'Odissea, l'ambiguo mondo del cinema e Capri, sempre ammaliante in tutta la sua bellezza.
Lo scrittore, osservatore attento delle interferenze tra fattori socio-economici e meccanismi psicologici, entra nei meandri dei sentimenti di questa giovane coppia e ne analizza, con precisione quasi chirurgica, le dinamiche palesi e recondite, catturando il lettore fin dalle prime pagine e tenendolo poi ben ancorato per l'intera narrazione.
Si inizia dai tempi del pieno innamoramento, quando "...non ci giudicavamo: ci amavamo", con la constatazione che "la felicità è tanto più grande quanto meno la si avverte". Ma la passione non si è trasformata in amore duraturo: l'analisi delle cause è impietosa; le conseguenze formano un dramma che trova rispecchiamento nella tesi del regista, col quale il nostro protagonista dovrebbe collaborare, secondo cui ''Ulisse non voleva tornarsene a casa, non voleva riunirsi a Penelope''; anzi era partito per la guerra proprio per allontanarsi dalla moglie da cui non era più amato. Pertanto ''il suo spirito di avventura (...) in realtà non è che un desiderio inconscio di rallentare il viaggio''.
Moravia, fin dai primi anni '50, ritorna quindi all'acuta analisi dei sentimenti e dei comportamenti, riallacciandosi cosi alle sue prime opere e usando o anticipando intuizioni della semiologia, che vedrà in U. Eco lo studioso più noto. Possiamo dire che supera la crisi del Neorealismo affinando uno strumento per lui non nuovo, ma che pochi scrittori in Italia al tempo possedevano: la psicoanalisi. Questa, però, non si dispiega aridamente, bensì armonizzandosi con le risonanze di una vasta cultura e con l'ambientazione nel mondo del cinema, che l'autore ben conosceva, col ricorrente conflitto fra arte ed esigenze economiche di spettacolarità convenzionale.
La scrittura, rigorosa e analitica, ben si adatta all'indagine intrapresa.
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ESSERE FIGLI, ESSERE PADRI
"...é solo nel buio della solitudine che ha inizio l'opera della memoria".
"...che un uomo muoia senza causa apparente, che muoia solamente perché è un uomo, ci spinge così vicino all'invisibile confine tra la vita e la morte da farci domandare su che lato di esso ci troviamo".
Questo libro è suddiviso in due parti : la prima incentrata sul padre morto improvvisamente; la seconda, invece, sul vissuto del protagonista come genitore e sul rapporto col figlio.
L'Io narrante avverte la violenza e l'imbarazzo che prova nel rovistare fra gli oggetti appartenuti al padre che non c'è più. Sente di interiorizzarne la morte, di elaborare veramente il lutto, solo nell'atto di disfarsi, in modo definitivo, delle sue cravatte, che rappresentano visivamente e simbolicamente vari momenti della loro vita.
Recupera la figura del genitore deceduto tramite la memoria e le sensazioni che emergono, consapevole che, "seppur possiamo arrivare a conoscere molto parzialmente un altro essere umano, questo vale solo entro i limiti da lui stesso imposti" e che "nemmeno i fatti dicono sempre la verità".
Nei "ricordi più remoti : la sua assenza" : "non che sentissi che mi detestava; solo sembrava distratto, incapace di guardare nella mia direzione".
Il nostro protagonista si rende però conto che "quando muore il padre (...) il figlio diviene padre e figlio di se stesso". E' un po' come diventare improvvisamente adulti, tanto che egli inizia a interrogarsi sul proprio modo di essere genitore verso il figlio ancora bambino : "capì che gli si era chiarita la portata del suo essere padre : per lui la vita del figlio contava più della sua". C'è "un solo pensiero che lo sollevi: l'immagine del figlio. E non solo di suo figlio, ma di tutti i figli, le figlie, i bambini di ogni uomo e di ogni donna".
Un libro fortemente introspettivo, che intende andare oltre la realtà apparente. Un libro colto, con riferimenti a vari maestri del pensiero. Un testo molto personale e, nel contempo, di portata ampia, che tocca in qualche modo la realtà esistenziale di tutti noi.
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letteratura americana contemporanea
ANNOIARSI CON CARRERE
"Carrere sulla religione, che delusione"
(IL SOLE 24 ORE)
Il romanziere (non mi sento di chiamarlo scrittore) colloca le vicende di questo libro nel I secolo d.C. (anche se numerose sono le incursioni nel presente e nella biografia dell'Io narrante stesso), tempo in cui inizia a diffondersi il Cristianesimo e nascono le prime comunità di fedeli che cercano di vivere con coerenza il messaggio partito dai luoghi della Terra Santa.
Fra i protagonisti, Luca (l'evangelista Luca) e Paolo (l'apostolo Paolo). L'argomento è di per sé affascinante e molto interessante. Però anche gli argomenti sommi possono essere trattati in modo superficiale, col rischio della banalizzazione. E' proprio ciò che accade in questo romanzo, fose complice un'infelice traduzione. Tant'è.
Pensiamo a quando il lettore, a proposito di Luca, s'imbatte in espressioni come: "A vederlo non gli si danno due lire"; "man mano che si scalda parla sempre più in fretta". A pronunciare tali amenità non è un 'catechista per caso' , bensì un autore i cui libri vengono collocati in vetrina.
Anche su Paolo la creatività letteraria cade a picco: "Quando si è alzato, Paolo non ci vedeva più". Viene narrato inoltre che "Paolo si spazientisce e in quattro e quattr'otto esorcizza la posseduta" ; però "la guarigione della schiava posseduta non va giù ai suoi padroni".
Ci viene anche ricordato che, durante le riunioni dei primi Cristiani, "nessuno va a letto con nessuno".
Pure i riferimenti alla mitologia classica ricordano l'atteggiamento di certi insegnanti che, ingenui e incauti, puerilmente pensano di 'essere moderni' e di sapersi rapportare agli studenti con espedienti di cui non riconoscono la portata involutiva. Leggiamo, infatti, che Dio, per gli ebrei, "non è un donnaiolo come Zeus. Non s'interessa alle ragazze, soltanto del suo popolo". L'autore sembra quasi pungolarci: "Trasponiamo, sceneggiamo, non dobbiamo aver paura di darci dentro. Calipso è (...) quella che ogni uomo vorrebbe farsi".
Abbiamo parlato di linguaggio. In un'opera letteraria in particolare, ma ovviamente non soltanto, 'la forma è il messaggio' : l'aspetto contenutistico ci perviene attraverso la forma, che ne veicola, modificandoli, connotazioni ed effetti.
"Come la circoncisione, anche i pasti erano un punto delicato" : diciamo in modo netto che, per chi ama la letteratura, leggere frasi di questo livello è perlomeno deprimente. Basta così.
A questo punto, mi pare superfluo dire che si tratta di una narrazione esteticamente brutta, artisticamente carente perfino nella parvenza, con una scrittura che colloca questo libro non in un ambito letterario, bensì semplicemente fra la merce che si vende e si compra.
Per correttezza, devo dire che nell'ultima parte si avverte un miglioramento, quando il ricorso alle fonti si fa più consistente. Però il volume ha 428 pagine e, citando Leopardi e non solo, ' tutto il resto è noia ' .
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"...in cammino verso la regione immutabile"
" Qual era il tuo volto
prima che tuo padre
e tua madre s'incontrassero ? "
(K. Zen)
"Care memorie" (con "Archivi del Nord" e "Che? L'eternità") fa parte della trilogia 'biografica' che Marguerite Yourcenar scrisse alle soglie della vecchiaia, ormai acclamata autrice di "Memorie di Adriano".
Il libro è suddiviso in quattro sezioni : la prima e l'ultima incentrate sulle figure del padre e soprattutto della madre, morta quando Marguerite aveva appena dieci giorni di vita; le due centrali, invece, sugli avi del ramo materno e in particolare su due parenti che, per affinità con la scrittrice, ne hanno acceso l'immaginazione, documentata tuttavia da opere scritte da uno di essi: Octave Pirmez. Questo diventa personaggio vibrante di sensibilità verso tutti gli elementi del Creato. Tale aspetto non poteva non piacere all'autrice, per l'attenzione verso gli animali, "questi esseri occupati, come l'uomo lo è, nell'avventura di esistere", per il "suo gusto appassionato di meditare sulla fine delle cose", e la propensione alla solitudine come scelta, in quanto "ci ritroviamo dovunque e comunque di fronte a noi stessi".
Molto interessante e affascinante la rappresentazione dei genitori e del loro mondo, benché la Yourcenar dicesse di non aver mai avvertito la mancanza della figura materna.
Lo sfondo dove far muovere questi personaggi è lo scenario della Belle Epoque; loro sono facoltosi esponenti di quella società che stava scoprendo il piacere dei viaggi e le comodità offerte dai grandi alberghi : il sole della Costa Azzurra garantiva tepore nella stagione invernale, mentre la Svizzera era allettante d'estate per il clima e i bei paesaggi.
"Quelle due persone smarrite, si direbbe, tra la folla del Tempo Perduto", ad un certo punto, devono fermarsi : la gravidanza scoraggia la vita errabonda. Si avvicinano il dramma e il lutto. Poi "le ruote della vita ricominciano a girare".
Si tratta di un libro bellissimo : M. Yourcenar sa raccontare mirabilmente, abbinando semplicità e profondità. E' un'opera che non può lasciare indifferenti, capace com'è di accompagnare il lettore anche nel tempo.
Unica avvertenza : non perdersi fra i rami dell'albero genealogico, che occupa la prima parte della seconda sezione : se ne può fare una ' lettura verticale ' .
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L'ETA' DELLA CONSAPEVOLEZZA
" Parmi d'osservare, che i soli giorni in cui non m'abbia gran fatto di doler di me stesso, sian quelli, in cui (...) non ho per così dire altro di vivo in me che il sapere che non sono morto ".
Questo agile libretto, che mi è giunto fra le mani, è di grandissimo interesse, non solo per chi conosce l'autore, Vittorio Alfieri, ma pure come semplice e sincera confessione di un giovane che ha il coraggio di guardarsi dentro e non piacersi affatto.
Chi ha letto la sua bellissima autobiografia, la " Vita ", troverà già presenti, in queste pagine della giovinezza, vari elementi capaci di evolversi in ben più solida maturità.
Questo 'diario' , interrotto e poi ripreso, ci offre un'immagine dello scrittore venticinquenne (o poco più), che ha ripreso, questa volta con maggior rigore, lo studio dei classici e già tenta la stesura di qualche opera.
IL non far nulla rappresenta l'attitudine e la maledizione per l'autore, che vagabonda "avendo l'ozio scolpito in fronte, e cercando d'ingannare il tempo, e me stesso". "Per mia fortuna la noia, che tosto succede all'ozio, me lo caccia d'addosso; altrimenti per istinto non farei mai nulla".
L'inettitudine qui non è affatto disgiunta da un forte egocentrismo: "non amo che me stesso; e gli altri per quanto possono contribuire a questo amor proprio". Inoltre, "sapendo esser io pallidissimo per non star bene (...), aveva ribrezzo di farmi vedere in modo sì sconvenevole alla pretesa mia bellezza".
Il confronto con qualcun altro diventa una trappola sempre in agguato: "lodandolo, e sentendolo lodare, sentii movimenti di gelosia per non dire d'invidia". Confessa: "non ebbi altro pensiero che di piacere". Lui, che si presumeva così autonomo, se non 'superiore', come dimostrava invece di essere dipendente dal giudizio degli altri !
In questo individuo (ancora) pusillanime non è assente neppure un fondo d'ipocrisia. Prenderne coscienza non poteva non aumentarne l'amarezza: "...vidi con mio sommo dolore, che gridando tutto il dì contro le corti, e i suoi insetti, io ne sarei, se vi stessi, un de' più sublimi in viltà".
Questo 'diario di formazione' ci fa capire il faticoso percorso di emancipazione e di crescita, di colui che diventerà uno dei maggiori scrittori italiani, nella tappa fondamentale della consapevolezza di sé e degli ostacoli da superare, che talvolta o spesso risiedono soprattutto in noi stessi. Viene ad essere così un libro di vaste risonanze, in cui molti ragazzi e non solo possono rispecchiarsi.
Quale fatica diventare se stessi 'al livello più alto' !
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Un incubo per le nostre paure
Questo libro ha il dono della semplicità.
Un uomo e il suo bambino vagano quasi senza meta in un mondo devastato, dove nulla è rimasto integro, la morte è dominante; un mondo grigio ("Quanti colori invece nei sogni").
Sembra un incubo, dove le nostre paure prendono forma : noi occidentali, che viviamo nelle comodità, nel benessere e consumismo, se apparentemente tutto questo ci pare naturale e stabile, nel profondo avvertiamo invece che tutto è precario, che ordigni micidiali, nascosti ormai in punti innumerevoli sulla Terra, possono produrre una devastazione mai sperimentata nella Storia.
Per questo la vicenda ci tocca particolarmente, tanto più che il personaggio adulto non deve solo provvedere alla propria sopravvivenza, ma è costantemente teso all'amorevole e trepidante protezione del suo bambino, che qui assume progressivamente il ruolo di vero protagonista. Le parti che ho trovato più vibranti sono proprio i dialoghi fra i due :
" Noi moriremo ?
Prima o poi sì. Ma non adesso. (...)
Che cosa faresti se io morissi ?
Se tu morissi vorrei morire anch'io.
Per poter stare con me ?
Sì. Per poter stare con te ".
La storia narrata è piuttosto lineare. Ho però trovato le descrizioni collaterali un po' ripetitive, tanto che in più punti ho avvertito una certa monotonia, benché sempre sostenute da uno stile di grande qualità.
Quando un libro, che si ritiene bello, non ci appassiona nella lettura, forse significa che non l'abbiamo affrontato nel momento giusto.
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letteratura americana contemporanea
La casa sul mare
Opera giovanile del grande scrittore Henry James, questo lungo racconto (80 pagine) non è certo il suo capolavoro, ma contiene già la grazia e la leggiadria che caratterizzeranno i suoi celebri romanzi.
Un giovane ricchissimo, valente pittore per diletto, dopo la rottura di fidanzamento, si reca in una località di mare per dipingere in tutta tranquillità. Trova ospitalità in una graziosa villa di un capitano in pensione, perché "una locanda è soltanto una mezza casa".
E' lì che incontra la figlia pianista dell'anziano signore : "aveva un aspetto straordinario mentre passeggiava sul vialetto del giardino annusando un ramoscello di geranio".
Il testo, scritto sotto forma di diario, mentre dipana la sua storia, è spesso punteggiato di sguardi pittorici sull'ameno paesaggio, capaci di trasmetterci tante brevi emozioni, come ci trovassimo a una mostra di quadri di un dilettante artista di talento. Il suo sguardo incantato, ai bordi dello "sconfinato Atlantico", coglie "onde, rocce, nuvole" e "la luce e la trasparenza dell'aria"; di sera, "non c'è nulla in giro se non l'oscurità blu e l'odore della marea crescente", e di fronte al mare, che sa d'infinito, capta "il mormorio delle piccole increspature verso il cielo aperto".
Quante volte il lettore può sperimentare quella sensazione provata da Ungaretti : "M'illumino d'immenso" !
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Noir d'Autore
Bruxelles. Un giovane squattrinato e una donna, un'entraineuse vestita da gran dama, sono in una stanza d'albergo. In quella attigua c'è un ricco uomo d'affari, con una valigia piena di banconote, diretto alla stazione.
Così inizia la vicenda di questo ennesimo libro di Simenon che, oltre ad essere il padre di una notissima produzione seriale, ha scritto anche molti altri testi, spesso con talento.
L'autore è qui ai vertici delle sue capacità, quasi a livello dei suoi capolavori "Il Presidente" e "L'orologiaio di Everton".
La struttura del romanzo è collaudatissima : tutto trova il proprio incastro e non c'è nulla di superfluo.
La prosa,asciutta ed efficace, si caratterizza per il notevole grado di leggibilità. La tensione è continua. C'è un delitto che porta già con sé il suo castigo; poi una pensione a conduzione familiare con alcuni personaggi appena tratteggiati e contornati di silenzio, qualcuno invece non facilmente dimenticabile, quasi epico.
Spesso sono gli stessi semplici gesti quotidiani a comporre il filo inquietante che percorre ogni pagina, ogni riga. A volte l'atmosfera di un evento viene invece anticipata con una frase ad effetto. "Quel che accadde dopo fu dirompente come un colpo di pistola esploso in mezzo alla folla".
Se qualcuno avesse in mente "Delitto e castigo" di Dostoevskij, il confronto sarebbe a tutto svantaggio di Simenon, perché qui è proprio l'approfondimento psicologico-esistenziale a mostrare carenze. Non che manchi totalmente: ci sono gesti o sguardi rivelatori, ma tutto risulta circoscritto; lo scavo interiore non fa parte di questo orizzonte.
Borges diceva che " la letteratura consiste, non nello scrivere esattamente quello che ci si propone, ma nello scrivere in modo misterioso e profetico qualcosa che va oltre quello che ci si era proposti ". Non possiamo dire che ciò sia avvenuto.
Per gli amanti del genere giallo/noir, penso però che questo libro sia veramente imperdibile.
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" Miele di calabrone "
Ci fosse un premio per l'originalità, sarebbe difficile competere con questo bellissimo romanzo proveniente dall'estremo nord della Svezia.
L'autore, T. Lindgren, è fra i maggiori scrittori scandinavi contemporanei e fa parte dei 18 componenti che assegnano il Nobel per la Letteratura.
La vicenda è tutta incentrata su tre personaggi : una donna e due fratelli. La neve è un'altra protagonista, presenza costante, con candidi fiocchi che scendono copiosi e una coltre bianca che copre la foresta, il lago, il paesaggio intero. Forse solo in alcune pagine dei grandi Russi c'è tanta abbondanza di neve.
Una donna di mezz'età, nubile, scrittrice ed esperta in vite dei Santi, tiene una conferenza in un villaggio sperduto della Svezia settentrionale.
Pernotterà nella casa isolata di di uno scheletrico anziano, gravemente malato.
Il mattino, la partenza è resa impossibile da una nevicata che ha completamente bloccato la strada.
Di fatto sarà costretta a rimanervi per alcuni mesi.
Unica abitazione vicina, ma poco visibile, è quella del fratello di lui, pure anziano e gravemente malato, ma grassissimo e in perenne abbuffata di dolciumi.
I due vecchi vivono in un tormentoso stato di odio-amore, soprattutto odio, tanto da non vedersi mai; ognuno in lotta per sopravvivere all'altro: "Non darò mai a quel demonio la soddisfazione di morire prima di lui. E' questo che mi tiene in vita".
"Era stata l'età adulta a dividerli". Nei loro ricordi emerge una figura di donna, e anche un bambino.
La conferenziera fa da tramite fra i due. Il finale è un colpo di genio: sorprendente e altamente significativo, tanto da rendere possibili diverse interpretazioni, anche di tipo simbolico, da lasciarci perfino azzardare la ' lettura ' di un contrasto fra due opposti estremi di una stessa personalità, come nel testo di I. Calvino "Il Visconte dimezzato".
Il libro, splendidamente tradotto da Carmen Giorgetti Cima, presenta una scrittura che mescola dramma e ironia in modo sempre inaspettato : secondo l'anziano ospitante, il fratello "non era nemmeno malato, ma solo moribondo", e per sé ritiene che "i primi tempi da morto avrebbe solo riposato, poi si sarebbe visto".
In un linguaggio di notevole bellezza, l'autore non ci risparmia momenti, diciamo, indelicati, per cui agli schizzinosi consiglio di leggere ... lontano dai pasti.
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Gli anni del fulgore: ricadute e cadute
Edimburgo, anni '30.
Miss Brodie è un'insegnante di mezz'età, nubile, che crede molto in se stessa e nelle proprie allieve, le quali, ne è certa, portano a testa alta la sua impronta.
Nella scuola, le allieve di Miss Brodie vengono guardate con sospetto perché hanno conoscenze che esulano dal programma curricolare: ancora ragazzine, hanno già sentito parlare di pittori del Rinascimento italiano e conoscono, cosa considerata ai limiti della sconvenienza, il termine "menarca".
Lei sosteneva: "Datemi una bambina a un'età influenzabile e sarà mia per la vita".
Durante le lezioni amava parlare di sé: le sue idee e i suoi stessi gusti diventavano parametri di valore, come una Donna Prassede dei tempi moderni.
"Le mie allieve sono sempre la crème de la crème" , e manteneva con esse, almeno con alcune di esse, rapporti extrascolastici, le seguiva negli anni, cercava di plasmarle ulteriormente.
Diceva: "Voi siete la mia missione. Dovesse presentarsi domani l'araldo del re a chiedere la mia mano, rifiuterei. Gli anni del mio fulgore sono dedicati interamente a voi".
Anche i suoi viaggi pensava dovessero avere una 'ricaduta didattica' : "Voi godrete i frutti delle mie vacanze in Italia"; e mostrava delle immagini: "Questo è un Cimabue. E questi sono i fascisti di Mussolini (...). Stanno facendo cose stupende".
Quando gli esami incombevano, le spronava: "Confido che (...) ce la metterete tutta per essere promosse, sia pure per il rotto della cuffia, anche a costo di imparare il necessario per poi dimenticarlo il giorno dopo".
Con Muriel Spark siamo ai vertici dell'umorismo inglese, per cui "Gli anni fulgenti di Miss Brodie" è un libro che si legge agevolmente, spesso col sorriso sulle labbra.
Le vicende, lungo gli anni, della protagonista e di sei sue exallieve formano un ricamo costruito con arguzia; si avverte, però, la carenza di un approfondimento psicologico e di quel respiro che spesso cerchiamo quando si legge un testo letterario.
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Riscoprire la giovinezza
" ... i personaggi sono tutti veri (...). Ma insieme si può dire che tutto è 'inventato' , nel senso che questa è la mia verità poetica (...). Del resto la verità dell'artista non è verità storica, ma la verità delle impressioni, e queste impressioni nel mio libro sono assolutamente autentiche " ( Lalla Romano ).
" Inventata " anche come colta oltre le apparenze, ad un livello più profondo.
Siamo con l'autrice più proustiana della nostra letteratura e, secondo me, forse la più grande fra gli scrittori italiani della seconda metà del '900.
Lalla Romano, in quest'opera, 'racconta' la propria formazione, come donna e come artista, nella Torino dei tardi anni '20 , dove arrivò dalla provincia (Cuneo) per gli studi universitari, dapprima ospite dello zio, il famoso matematico Peano, poi residente in un pensionato per signorine e signore sole.
Il libro è quindi autobiografico, non per il gusto di raccontare vicende personali, ma perché, secondo l'autrice, la sua vita è tutto quello che ha, è se stessa, e può esprimersi artisticamente solo "nell'eterno presente delle grandi emozioni segrete" e diventare specchio di un frammento universale.
Si tratta di un 'romanzo di formazione' di una ragazza che vuole realizzarsi fuori dagli schemi che all'epoca facilmente incasellavano una donna ; nello stesso tempo c'è un continuo disvelamento delle apparenze, per cogliere la realtà più autentica, anche se talvolta dolorosa.
Lei riponeva molta fiducia in se stessa ("nessuno avrebbe potuto aver ragione di me contro la mia volontà"). Era convinta "che le circostanze esteriori non avessero reale importanza", tanto che considerava "il fascismo soprattutto una buffonata". Ma di fronte a uno scherzo, afferma: "...non avrei mai immaginato che mi seccasse tanto: per la ragione, soprattutto, di doverlo ammettere".
Emergono poi una storia d'amore e una d'amicizia, con un finale di austera bellezza : una lezione di vita.
Lalla Romano fa propria l'idea di Joubert di "mettere un intero libro in una pagina, una pagina in una frase e quella frase in una parola". Per cui lo stile è di affascinante levatura, in armonia col contenuto, essenziale e antiretorico, come per l'Ermetismo, diretto e folgorante.
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Biografia letteraria
Un importante scrittore, Zweig, compone una biografia letteraria di un altro scrittore, Dostoevskij, grandissimo, ai vertici della letteratura di tutti i tempi.
Chi si aspetta un resoconto 'ragionato' e documentato della vita e delle opere del Grande Russo resterà deluso.
Zweig s'immerge totalmente nel personaggio di cui si occupa, lo raggiunge ad un livello essenzialmente intuitivo, un po' come usa fare Pietro Citati.
Quanto ad impatto creativo, noteremo delle analogie fra biografante e biografato.
Qui siamo calati in un clima quasi di 'possessione' ; la prosa, come fosse scritta in un contesto emotivo di grande tensione, sfocia in un lirismo che stupisce in un'opera non prettamente letteraria. Ma quest'opera ha una letterarietà indiscutibile, una forza autonoma a livello artistico.
Tale aspetto, se vogliamo 'paradossale', ha creato in me qualche difficoltà nello scorrere la lettura, nella leggibilità.
Questo approccio intuitivo ha però reso indubbie e insospettate possibilità nel cogliere, a livelli profondi, la personalità di Dostoevskij e la complessità delle sue opere.
La stessa esistenza del grande scrittore, così provata a vari livelli (economico, discriminatorio, di salute...), viene posta alla base dei capolavori prodotti. In particolare, l'epilessia "lo ha innalzato a stati di coscienza concentrati come non è dato raggiungerli a chi ha sentimenti normali". Gli stessi protagonisti dei suoi libri, scritti in situazioni di forte disagio, "arrivano sempre col loro sistema sensitivo fin giù ai profondi problemi primordiali", per cui "sentiamo (...) nella sua opera la misteriosa profondità di tutta l'umanità". Egli "va dritto all'uomo universale che è nell'uomo".
Il suo "realismo intuitivo", ben lontano da quello "programmatico" (come in Zola), "ci ha fatto conoscere l'anima russa quale frammento (...) dell'anima del mondo"; e la profonda ed intuitiva capacità di scomporre i sentimenti ha contribuito non poco alla conoscenza di elementi basilari della psicologia umana.
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" OH CHE BEL CASTELLO ! "
" Quando mia madre mi portava nel bosco la mattina (...) per me era la felicità ".
Eduard Von Keyserling (1855-1918) apparteneva a quella nobiltà baltica, tedesca per lingua ma che viveva in territorio russo. Questa particolarità forse influenzò quell'aristocrazia, quasi certamente lo scrittore, nel sentirsi come sospesa, poco radicata.
Ciò si riflette nelle opere del nostro autore. "Principesse" è, infatti, ambientato in un castello di campagna, fra quelle atmosfere evanescenti e cieli chiari, che caratterizzano il Nord-Est europeo.
Protagoniste una principessa vedova e le sue tre figlie già in età da marito.
"Le principesse hanno la loro strada già segnata, devono muoversi come su rotaie; e se escono dalle rotaie sono perdute".
Le due figlie maggiori ben presto adeguatamente si sposano e si trasferiscono lontano, cosicché la più giovane, Marie, viene ad occupare un grande spazio, benché il libro abbia una certa coralità di personaggi minori ben incastonati nella vicenda.
L'ambiente ricorda un po' le atmosfere di Cechov : personaggi, ' dilettanti del vivere ', fra qualche rimpianto e qualche speranza, che conducono un'esistenza oziosa, con momenti frastornati da forti emozioni, che eventi producono talvolta in modo inatteso.
L'autore, ormai un classico della letteratura europea (una vera sorpresa per chi ancora non lo conosca), adegua magnificamente lo stile al mondo descritto. Inoltre può essere definito come grande 'pittore' di paesaggi letterari : la rappresentazione del succedersi delle stagioni penso catturi ogni lettore: quella natura nordica, con "muschio verde e rosso", con mirtilli e lamponi, "cespugli di ribes e di uva spina", si trasforma con l'incedere dell'autunno, quando "gli alberi del parco si tinsero di giallo e di rosso", per inoltrarsi poi nei rigori dell'inverno, quando "nevicava quasi ininterrottamente, e ogni mattina gli alberi del parco, il giardino e il castello erano come avvolti in grandi onde di mussola bianca". Poi giunge la primavera: "quando un soffio di vento sfiorava gli alberi, sugli invitati cadeva una pioggia di fiori bianchi".
Non c'è ovviamente solo questo: "tutto il castello con la sua vita solenne era pieno di porte chiuse dietro le quali le persone ballavano di nascosto", e la giovane Marie, di salute cagionevole, sogna una vita propria, vuole amare ed essere amata, non vuole sentir dire che "le principesse non si emancipano".
Ma che cosa significa emanciparsi ? Quali ulteriori responsabilità questa prospettiva comporta ?
Forse aveva ragione Cesare Pavese quando sosteneva che "la maturità è tutto".
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Lettere dal crepuscolo
"... l'amore o la vecchiaia : ci si trova ciò che vi si porta" (M. Yourcenar).
Il racconto di questo curioso libretto è tratto da 21 lettere (e altri documenti), destinate al maggiordomo e mai spedite, che Casanova scrisse nel periodo vissuto a Dux, in Boemia, nel castello di Waldstein, dov'era stato assunto come bibliotecario e dove trascorse gli ultimi 13/14 anni di vita. "Ognuna di quelle missive (...) è un grido di dolore e di rabbia. Ma è un grido silenzioso".
I primi anni vissuti a Dux sono nell'agiatezza; però ben presto c'è la rovina economica, perché Casanova scrive molto e pubblica a proprie spese, ma senza neanche un po' del successo sperato.
Gli anni più tristi sono quelli (1790-93) in cui il Conte di Waldstein è assente dal castello. "L'ultima, grande battaglia che Casanova combatte nel mondo dei vivi non è quella contro se stesso giovane, o contro i fantasmi del passato (...). E' una lite di condominio, e che lite!".
Egli, che conosceva il latino e parlava più lingue straniere, non era in grado di comunicare in tedesco, parlato in quella piccola corte. Questo contribuiva al suo isolamento; ma il personaggio che esce da queste pagine è un uomo permaloso, sospettoso, supponente, che si atteggia a filosofo, con una grande considerazione di sé. Ciò che sicuramente non gli giova. Certamente sapeva come rendersi antipatico.
Di qui una serie di liti, dispetti, denunce, culminanti in un fatto increscioso: il frontespizio di un libro, col suo ritratto, usato come carta igienica ed esposto nelle latrine. Tanto da far intervenire perfino la madre del Conte, con una lettera,dalla sua residenza viennese : "Un uomo qual voi siete, signore, è al di sopra dei dispettucci di simile canaglia; disprezzateli, e saranno abbastanza puniti". Ma l'umore del Veneziano, "un avventuriero a corto di avventure", non cambia. In una lettera scrive di essere "come un nobile destriero che la sfortuna ha costretto a vivere in mezzo agli asini". L'avanzare del decadimento fisico fa il resto.
Solo col ritorno del Conte, come nelle fiabe, la situazione trova un nuovo equilibrio; e anche Casanova deve accettare il compromesso.
Ormai pure nel paese di Dux trova una specie di tolleranza : "è ' l'italiano ' ,a cui bisogna permettere di comportarsi in modo teatrale; sennò, che italiano sarebbe ?".
Lo scrittore Forster forse l'avrebbe definito un "essere che può rivelare abissi di stranezza, se non di pensiero".
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Contrattempi in famiglia
Memphis, "un posto 'orientato alla proprietà terriera' ", immerso nella "cultura del profondo Sud fluviale". Nel nucleo storico della città, "tutti conoscono tutti e sanno quello che succede a tutti - soprattutto dopo il tramonto".
Anni '70. Protagonista, un agiato uomo di mezz'età, in crisi con la propria compagna, viene coinvolto dalle due sorelle che vivono lontano, appunto a Memphis, per una questione molto particolare.
Queste due bizzarre donne ultracinquantenni, nubili, dalla doppia o tripla vita, aggiornano il fratello sull'ottantenne padre rimasto recentemente vedovo: "qualsiasi idea sbagliata avesse di sé e del mondo, il vecchio gentiluomo sapeva senza dubbio quali vestiti gli stavano bene". E raccontano, con ironia, come egli dapprima fosse frequentemente invitato a cena da compassate signore sue coetanee. Poi come avesse cominciato a frequentare donne più giovani in locali dai nomi pittoreschi.
Si allarmano, però, quando l'anziano decide di sposare un'adeguata signora. Dicono pertanto, al nostro protagonista, che si rende necessario un suo urgente ritorno a Memphis.
A differenza di altri scrittori americani contemporanei, spesso alle prese con storie scioccanti o vicende estreme narrate con un linguaggio particolarmente elaborato o al limite della volgarità, Taylor qui rappresenta la normalità di una famiglia, benché un po' complicata, nei suoi avvicendamenti. Il linguaggio non tende a creare stupore o sensazione, ma fluisce con piacevole naturalezza, velato qua e là da un sottile umorismo.
Il libro non contiene pagine 'da antologia' , né frasi memorabili. Il risultato d'insieme ne fa però un romanzo di buona letteratura, in cui si possono ricostruire percorsi di indagine sia socio-culturale che psicologica ed esistenziale. Sotto un'apparente semplicità si può individuare una complessità che pone, al lettore attento, impliciti interrogativi.
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Una vita in bilico
Può contenere spoiler.
Sebald è considerato forse il migliore scrittore tedesco degli ultimi decenni.
Dopo aver letto con piacere e ammirazione il breve testo "Il passeggiatore solitario", sulle tracce di un altro grande, Walser, mi aspettavo qualcosa di diverso da questo libro, "Austerlitz", salutato dai critici come un autentico capolavoro, il cui protagonista è un docente di Storia dell'Architettura, studioso solitario, spesso in viaggio per l'Europa, visitatore di luoghi particolari e, benché non in primo piano, alla ricerca delle proprie misteriose origini.
Qui non c'è quella lievità di scrittura che mi auguravo di trovare, bensì una prosa densa e corposa che procede come un fiume in piena, con un ampio periodare e lunghe frasi che si concatenano, in un continuo fluire compatto: 315 pagine con un solo 'punto a capo' , fortunatamente corredate da meravigliose fotografie in bianco e nero pertinenti al testo. Talvolta anche le note cromatiche sono adeguate all'effetto complessivo: "...due cigni candidi su un corso d'acqua scura"; "dai prati saliva bianca la nebbia".
Questo libro sfavillante di cultura ci regala anche alcune brevi e fulminanti immagini di personaggi che conosciamo: Schumann salvato "nelle acque gelide del Reno"; oppure Casanova, ormai vecchio e canuto bibliotecario del castello di Dux, tra uno sfarfallio di libri.
La dimensione più congeniale al protagonista è quella austera e solitaria ricca di suggestioni, in cui "prendere le distanze se qualcuno mi veniva troppo vicino", e non veder "altro intorno a me se non misteri e segni".
Una sala di lettura, "percorsa da leggeri mormorii, fruscii e colpetti di tosse", può essere un luogo consono, con l'incerta sensazione di essere "sull'isola dei beati o, al contrario, in una colonia penale". Oppure il cimitero, con "statue di angeli, perlopiù senza ali o comunque mutilate, che parevano impietrite proprio nell'atto di spiccare il volo". E a Parigi, su una tomba lungamente ricercata, scorge i nomi di due persone morte nel '44 ("morts in deportation"), dissolte "nell'aria grigia".
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letteratura tedesca contemporanea
TROVARSI
Questo libro è ricavato da parti di appunti, annotazioni, riflessioni di un diario tenuto per oltre un ventennio, fino al 2003.
In esso emerge la graduale evoluzione degli ultimi decenni di vita di un grande giornalista e scrittore, ma soprattutto di un uomo alla ricerca di significato e, in definitiva, di se stesso.
Chi ha letto i suoi ultimi libri non si sorprenderà del suo cammino interiore intrapreso, della scoperta che "nel viaggio della vita non si può essere solo autostoppisti".
Quest'uomo innamorato dell'Oriente deve continuamente constatare la durezza della Storia e il crollo delle illusioni ad essa legate. Pur subendo il fascino della Cina, annota: "Poveri comunisti cinesi (...). Senza relazione col passato, vagano verso il futuro".
Meglio l'India che, nonostante la sporcizia che non manca di annotare, irradia una essenza di spiritualità, percepibile in vari luoghi.
Il Giappone lo delude assai.
Affiora, intanto, la sua condizione di depresso; dice di tendere al passato e al futuro, "ma il presente mi annoia".
Il giornalismo non lo interessa più; unico punto fermo rimane l'affetto familiare.
Una svolta decisiva giunge nel '97, quando gli viene diagnosticato il cancro.
Comincia ad interessarsi sempre più alle varie forme di spiritualità orientale ed è proteso alla stesura del suo ultimo libro.
Un personaggio di Potok dice che "la conoscenza del dolore è importante (...): distrugge la nostra arroganza, la nostra indifferenza. Essa c'induce a constatare quanto siamo (...) fragili".
Terzani sente sempre più acutamente la verità delle cose: "L'adrenalina del successo (...) dura solo qualche ora. Poi subentrano il vuoto, il silenzio" ; "Incomincio ad abituarmi all'idea (...) di non avere un'identità legata a qualcosa che è fuori di me".
Prende la decisione di ' sottrarsi al mondo ' : trascorre lunghi periodi di solitudine in una piccola costruzione in pietra, a 2300 metri di altitudine, davanti all'Imalaya, dove "ci sono mille ragioni per non fare, perché si scopre il bel piacere dell'essere" : "...rifletto su chi sono e per la prima volta sento forte che non sono il mio corpo".
L'aspirazione ora riguarda, come scriveva M. Yourcenar, "il sentimento che riunisca il sacro, la bellezza e la felicità della vita".
Ed è proprio su questo presupposto che, al matrimonio della figlia, pronuncia il bellissimo discorso, la cui traccia è posta a chiusura del libro.
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qualche libro dell'autore
" MIDNIGHT IN PARIS "
"Per me non c'è mai stato né presente né passato. Tutto si confonde".
Uno scrittore percorre le strade di Parigi, con molti ricordi risalenti a decenni prima, agli anni '60, ai suoi vent'anni.
Tra i vari personaggi, ormai poco più che fantasmi di un ambiente equivoco, spicca l'immagine di una giovane donna, già sfuggente allora, mai più rivista.
"Con il tempo le loro figure sono diventate sfocate, le loro voci impercettibili". Il tema della memoria è dominante ("Non recidere, forbice, quel volto, / solo nella memoria che si sfolla", scriveva Montale; ancora : "Ed io non so chi va e chi resta").
Siamo nella Parigi degli Esistenzialisti: non certo in quella turistica da cartolina; bensì su strade solitarie dove i passi risuonano e perfino il parco è disadorno, rifugio di gatti randagi. Le giornate trascorrono perlopiù nella morta stagione, con un grigio dominante, quasi che i vividi colori fossero qualcosa di troppo per quelle anime che prediligono la notte, come protette dal buio appena rischiarato da rari lampioni che diffondono una incerta opalescenza.
"Un orologio batteva i quarti"; "una musica jazz proveniente da una libreria". Non ci stupiremmo di intravedere, dietro una vetrata, la silhouette elegante di Juliette Greco, rigorosamente vestita di nero.
Anche negli interni "la luce era un po' velata, come se le lampadine ricevessero un voltaggio insufficiente", con l'impressione talvolta di essere catapultati dentro un quadro di Toulouse-Lautrc.
In queste atmosfere rarefatte aleggia, però, l'ombra di un delitto.
Qualcuno ha detto che tutte le arti tendono alla musica. Effettivamente qui la scrittura sobria, uniforme, senza alcuna caduta di stile, ha l'andamento di un sottofondo musicale, che riveste discretamente il contenuto ovattato, volto a "cogliere, inconsapevolmente, un vago riflesso della realtà".
D'altronde, diceva Hella Haasse, "l'arte, che non mira ad altro che a riprodurre la bellezza percepibile dai sensi, non basta a sedare la fame dell'anima".
Questo libro non è il capolavoro di Modiano, ma ha la bellezza delle opere minori, che sono tali non perché più imperfette di altre; solamente non esigono di lasciare un segno indelebile con cui identificare un autore. Si tratta però di un tassello importante del grande mosaico poetico di un artista, perché in fondo "uno scrittore crede di parlare di molte cose, ma quel che lascia, se ha fortuna, è un'immagine di sé" (J. Borges).
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letteratura straniera
Sulle tracce di Dora
"Altri, (...) proprio prima della mia nascita, avevano patito pene di ogni sorta per consentire a noi di provare soltanto piccoli dispiaceri" (P. Modiano è nato nel 1945).
L'Io narrante è scosso, dopo oltre mezzo secolo dalla pubblicazione, da una piccola inserzione su "Paris-Soir" di fine '41, in cui dei genitori ricercano la figlia quindicenne, Dora Bruder, evidentemente scomparsa o fuggita.
Eccoci dunque sulle tracce di Dora, alla ricerca di informazioni, documenti, percorrendo le strade di Parigi che si pensa lei abbia percorso : "si dice che se non altro i luoghi serbano una lieve impronta delle persone che li hanno abitati".
Il tempo ' indagato ' è focalizzato essenzialmente negli anni '41 e '42 : periodo terribile per la Francia e per gli ebrei (fra questi la nostra protagonista) che vi abitavano : infuria la Seconda Guerra Mondiale, coi nazisti invasori, fra resistenza e collaborazionismo.
L'interesse e la profondità del libro, però, non derivano tanto dalle ricerche ' pratiche ' , quanto dall'insieme di risonanze e ' corrispondenze ' interiori, intuizioni : aspetti che varcano la mera ragione ed aprono verso più ampie prospettive, che coinvolgono sia noi lettori che chi scrive e il suo mondo : fra il tempo di Dora e quello della scoperta delle sue tracce, passano momenti in cui ' quei ' luoghi sono stati vissuti dall'Io narrante con sensazioni premonitrici : "quel pomeriggio, senza sapere perché, avevo la sensazione di camminare sulle tracce di qualcuno"; oppure, "Ricordo che allora, per la prima volta, avevo sentito il vuoto che si prova davanti a ciò che è andato distrutto, raso al suolo. Non sapevo ancora dell'esistenza di Dora Bruder". C'è la sensazione di "essere il solo a reggere il filo che colloca la Parigi di quell'epoca a quella di oggi".
Si tratta dell'attitudine dell'artista alla ' veggenza ', alla capacità di captare realtà che altri ' non vedono ' , secondo la lezione dei Simbolisti, ma qui in modo nuovo.
Oltre a Dora, l'autore che cosa cerca ? Sicuramente si avvertono risonanze che lo riguardano nel profondo.
Lo stile di Modiano è di livello altissimo : lieve e preciso (qualità che tanto piacevano ad Italo Calvino); capace, con la sua semplicità e assenza di artifici, di coinvolgere e commuovere il lettore, senza alcuna concessione a facilonerie o stucchevoli colpi di scena : la verità basta a se stessa.
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Itinerari per diventare adulti
"... ci sono molti animi buoni in mezzo a loro. Aiutano a tenere vivo il mondo" (C. Potok).
"La scelta di Reuven" è esattamente la continuazione di "Danny l'eletto".
L'autore, C. Potok, ebreo di New York (città dove sono ambientati i due libri), pare immergersi talmente nelle storie narrate, da non riuscire facilmente ad allontanarsi dai suoi personaggi. Capita in più opere da lui scritte il destino di proseguire oltre.
Qui i due giovani protagonisti ormai sulla soglia dell'età adulta (siamo nei primi anni '50 del XX secolo), con i loro talenti e l'impegno profuso, stanno realizzando scelte lungamente ambite: Reuven come rabbino e insegnante di testi ebraici; Danny avviato all'attività di psichiatra (sottraendosi così alle aspettative che la tradizione familiare riponeva in lui).
Tra di loro una giovane donna, studiosa di letteratura inglese.
Fra questi personaggi si aggiunge un adolescente intelligente e fragile, emotivamente disturbato, figlio di un famoso intellettuale ebreo su posizioni di laicità. Quasi a controbilanciare, nel variegato mondo ebraico americano, c'è un insegnante di Reuven, giunto dagli orrori dell'olocausto, la cui severa ortodossia trova una motivazione nella scioccante perdita di tutte le persone di riferimento: "Rav Kalman sta cercando di salvare quel po' che è rimasto del suo mondo. (...) I campi di sterminio distrussero assai più degli ebrei d'Europa. Distrussero la fede dell'uomo in se stesso".
I percorsi di vita dei due amici s'intrecciano mirabilmente, e il giovanissimo Michael (terzo vero protagonista del libro) diventerà, via via, un tramite fra di loro e porrà una scomoda domanda, a cui i due non potranno esimersi dal dare una risposta.
Ognuno vede compiersi il proprio destino, ma le porte del futuro restano aperte.
Il libro è bellissimo, superlativo assoluto che si attribuisce con una certa parsimonia. Qui, però, siamo di fronte ad uno dei migliori scrittori che la contemporaneità ci ha offerto.
Il lettore viene condotto, con mano quasi protettiva e in un clima avvolgente, nei meandri della storia socio-culturale e non solo, ma ancor più nel profondo dell'essere umano, dei suoi segreti e delle sue responsabilità.
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"Danny l'eletto"
L'isola incantata di M. Yourcenar
L'autrice di questo bel libro è sulle orme di sei scrittrici, visitando le loro case, per trovarvi il fuoco, non la cenere.
Si va da Karen Blixen alla Deledda, da Virginia Woolf ad Alessandra David-Néel (una sorpresa). A titolo esemplificativo, non casualmente scelgo Marguerite Yourcenar, la cui dimora è effigiata in copertina.
La tesi di Sandra Petrignani è che "una casa dice la verità su chi la abita". Quella abitata da M. Yourcenar, "Petite Plisance", "è il contrario di un sacrario o di una reggia. E' una casa tenera, avvolgente, femminile. Un posto impregnato di sentimenti".
Si trova sull'isola di Mount Desert, nel Maine, non lontano dalle coste canadesi.
Subito siamo avvolti dagli intensi colori autunnali: "foglie marroni e rosse, gialle e arancio, i colori cotti dell'estate indiana" (che dura fino a metà novembre). "Intorno l'Atlantico, profondo azzurro popolato di balene".
La casa è vicina al borgo di Somesville, nel cui cimitero sono sepolte la celebre scrittrice e la sua amica, per decenni compagna di vita, Grace.
"A un certo punto, in mezzo all'erba smeraldina coperta di foglie gialle accartocciate, la casa appare. E' lucida e bianca, di legno, con tanti abbaini". Nel giardino, "casette per gli uccelli sono sparse un po' dappertutto"; nel folto degli alberi si scorgono le tre piccole tombe degli amatissimi cani.
Per un caso fortuito (ma nulla avviene per caso), Petrignani ha il privilegio di "sedersi a prendere il té nel salottino di Marguerite, davanti al caminetto, poter sfiorare i suoi scialli buttati sulle poltrone, sfogliare i suoi libri".
La casa profuma d'Oriente, con gli oggetti acquistati durante i viaggi da questa donna "molto spirituale": un Buddha "corroso dal tempo"; un pugnale di legno intagliato tibetano "per uccidere l'ego"; pietre di malachite per la meditazione... Poi libri ovunque, in tutte le stanze, ordinati con un personale (forse simbolico) criterio: i classici nell'ingresso; in camera da letto i testi di Mishima, lo scrittore giapponese per cui aveva una particolare predilezione; le opere di Borges sono nello studio...
Fra descrizioni e annotazioni, Petrignani è prodiga di aneddoti: in tanti consideravano la Yourcenar "come un monumento", ma lei sorprendeva: chi veniva ad intervistarla magari la trovava vecchia e dimessa, ma poco dopo, davanti alla telecamera, si presentava elegante e quasi civettuola. I Francesi, che la immaginavano lontana, una specie di eremita, la videro nella famosa trasmissione televisiva "Apostrophe" arguta e brillante, a 77 anni, capace di tener testa alle provocazioni dell'intervistatore.
D'altronde, lei diceva: "La mia personalità è come la mia casa, apertissima".
Indicazioni utili
libri delle scrittrici citate.
DELIRIO A NEW YORK
" Che l'infelicità occidentale venga dal fatto che noi abbiamo sempre voluto cambiare il mondo ? " (T. Terzani).
Ambientato nell'anno 2000. Il mese di aprile.
Un giovane uomo ricchissimo e ben introdotto nei meandri del potere attraversa su un'iperaccessoriata limousine, in una caotica giornata di traffico, la metropoli per andare a farsi fare un taglio di capelli. In questo viaggio, dilatato nelle lunghe ore di percorso, accade di tutto, dalla buffonata alla tragedia.
In questo libro di De Lillo, molto bello e piuttosto noioso, c'è una rappresentazione inquietante ed implicitamente parecchio critica della realtà americana contemporanea, con una scrittura di vetro e acciaio, che ben si adatta al paesaggio urbano della metropoli, ed un linguaggio che evidenzia la pochezza umana e la volgarità della realtà descritta; linguaggio talvolta in bilico, sul filo di lama, a rischio di diventare esso stesso portatore di quella volgarità. Lo stile dell'autore, però, regge; anzi diventa un meccanismo letterario collaudato, in cui spesso è possibile gustare il piacere estetico emanato dall'architettura del discorso, dal concatenarsi delle frasi: per me lettore, unica piacevolezza che questo libro consenta.
Qui De Lillo è scrittore strettamente ' americano-americano ', erede di Fitzgerald . Mentre, però, nel romanzo "Il Grande Gatsby", pur percependosi una rappresentazione implicitamente critica, c'è il fascino del ' sogno americano ' , qui emerge quasi esclusivamente lo svelamento di personaggi che han perduto se stessi.
La pienezza di significato del libro sta proprio nella rappresentazione dell'assenza di significato nella dimensione esistenziale di questi personaggi, dove "la vita è troppo contemporanea" , "la città mangia e dorme rumore" e ci si chiede "perché morire quando puoi vivere su disco ?".
Si avverte il disorientamento di uno spaccato di società senza radici, senza una consolidata tradizione a cui attingere, totalmente carente di interiorità spirituale; la ragione, poi, non è quella illuminista, bensì di derivazione positivistica fatta di tecnicismo e aridità.
Il potere capitalistico-finanziario pare aver un dominio agghiacciante: l' "andamento dello yen (...) potrebbe annientarci nel giro di qualche ora" e "il denaro parla a se stesso", "l'unica cosa che importa è il prezzo che paghi".
A questo punto l'immagine emblematica che resta è "la grande, sparsa bellezza dei bidoni della spazzatura rovesciati".
Quale saggezza nel nostro buon Manzoni che scriveva: "Non tutto ciò che viene dopo è progresso" !
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letteratura americana
UN INVERNO IN BILICO
Gerusalemme, inverno 1959-60. Un ragazzo universitario di 25 anni, alle prese con una ricerca, che non riesce a concludere, intitolata "Gesù visto dagli ebrei". Il giovane, "barbuto (...), timido, sensibile, socialista, asmatico, propenso tanto all'entusiasmo quanto alla precoce delusione", recentemente lasciato dalla ragazza, è affascinato dalla figura di Gesù ("perché gli ebrei non hanno voluto accoglierlo?") e ossessionato da quella di Giuda. Il tema del tradimento affiora spesso fra le pagine.
Un annuncio sul giornale: "A studente celibe (...) dotato di competenza storica, offronsi alloggio gratis e modesto stipendio mensile in cambio di cinque ore serali di compagnia a settantenne invalido, colto ed eclettico (...) bisognoso di conversazione".
Nella casa, oltra al vecchio, vive una donna con tutti i suoi segreti che, almeno in parte e con gradualità, si sveleranno.
Questi tre personaggi, con le loro ossessioni, paiono bastare al racconto; gli altri stanno sullo sfondo: qualcuno vivo, qualcuno morto.
Ovviamente c'è la questione israeliana (come potrebbe essere altrimenti?): la nascita dello Stato ebraico e gli scontri con gli Arabi, a contendersi quel territorio di vitale importanza non solo economica, ma politica, religiosa, culturale, simbolica.
La vicenda è ambientata oltre mezzo secolo fa, ma il libro è recentissimo (in Italia è uscito da pochi giorni, nella pregevole traduzione di Elena Loewenthal): si avverte la problematicità attualissima di quella terra in cui l'autore è nato e vive tuttora.
Amos Oz, lo sappiamo, non è in posizione neutrale sulle questioni del suo Paese, anzi ha scritto pure testi di saggistica sull'argomento, per cui le sue idee sono ben conosciute: è un teorico del "compromesso", del "cercare di incontrare l'altro a metà strada"; insomma è un pacifista. Non si pensi, però, che questo libro sia un saggio di idee volte in narrativa; anzi..., in un'intervista, lo scrittore sostiene un presupposto letterario, che attribuisce a Lawrence: "per scrivere un romanzo bisogna saper presentare con uguale credibilità cinque o sei punti di vista diversi". E ci riesce, anche se i protagonisti sono solo tre.
L'autore è un maestro di stile, qui ad un livello altissimo: una scrittura austera, cioè priva di fronzoli o leziosità; scrittura che procede senza sforzi, anche se sappiamo, come dice A. Piperno, "non c'è niente di meno spontaneo della spontaneità letteraria. Anzi, la spontaneità è una conquista", degli artisti autentici, diremmo noi.
In questo romanzo di interni, i dettagli si fanno penetranti. Anche gli splendidi squarci di paesaggio, semplici e solenni, offrono emozioni che toccano qualcosa di profondo e indelebile, talvolta con "una luce di miele (...) la luce che accarezza Gerusalemme nelle giornate d'inverno", oppure "luce invernale, luce di pini e pietra"; "i neri cipressi oscillavano come in quieta devozione" e nel silenzio "si sentono quasi respirare le pietre".
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letteratura israeliana
MARE DOLCEAMARO
Un sessantenne segue i ricordi di un'estate di cinquant'anni prima.
Non si tratta certo di un testo di memorialistica in senso tradizionale. Il libro si colloca piuttosto sulla scia di quella letteratura contemporanea ' proustiana ' , che in Italia ritengo abbia il suo massimo esponente in Lalla Romano.
L'accostamento a questa grandissima scrittrice, che ha frequentato con parsimonia i salotti televisivi e poco si è concessa ai servizi giornalistici, vale anche per la scelta stilistica antiretorica, con frasi brevi e una ricerca espressiva puntata sull'essenzialità.
Mentre, però, nella Romano l'esito formale raggiunge vertici in cui le parole diventano musica, poesia, folgorazione, in De Luca la resa letteraria si colloca ad un livello più modesto, per giunta con vistose cadute ("Settembre è una rinascita del naso"; "... il viaggio del boccone fino ai denti"; "L'isola a settembre è una mucca da vino"...). Si aggiunga, poi, il ripetuto mancato ricorso al modo congiuntivo, i cui effetti estetici negativi vanno al di là della mera questione di normativa linguistica.
Se si trattasse di un autore straniero, si potrebbe pensare a carenze di traduzione. Qui suppongo si tratti forse di un non sufficiente ripensamento del testo, soprattutto quando (non so se sia il caso del nostro scrittore) si deve produrre un libro all'anno e dedicarsi 'anima e corpo' , per mesi, alla sua promozione sui 'media' .
Va comunque riconosciuta una fedeltà alla scelta stilistica, che fa di questo romanzo un testo compatto, con un marchio d'autore. Si percepisce, inoltre, un'onestà di fondo nel percorso della ricerca di autenticità.
La scarsa piacevolezza provata nella lettura è, invece, un elemento in gran parte soggettivo.
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