Opinione scritta da Vincenzo1972

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    15 Marzo, 2015
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Miseria e nobiltà... d'animo

"Avanzava, scalciando la neve profonda. Era un uomo disgustato. Si chiamava Svevo Bandini ed abitava in quella strada, tre isolati più avanti. Aveva freddo e le scarpe sfondate. Quella mattina le aveva rattoppate con dei pezzi di cartone di una scatola di pasta. Pasta che non era stata pagata. Ci aveva pensato proprio mentre infilava il cartone nelle scarpe."

Chi è Svevo Bandini? Un muratore, di origini abruzzesi emigrato in Colorado, tra americani "purosangue", padre di 3 figli e sposato con Maria, una moglie "con grandi occhi neri, follemente accesi dall'amore, occhi maliziosi, capaci di spiargli in bocca, nelle orecchie, nello stomaco e nelle saccocce.. che occhi, per una moglie!
Vedevano tutto ciò che era e che sperava di essere, ma non vedevano mai la sua anima."

Il maggiore dei tre figli, Arturo, è quello che più assomiglia al padre nel temperamento, accomunati entrambi dal desiderio impetuoso di dare una svolta alla loro vita, l'impaziente attesa di quel giorno che non sarà più identico ai precedenti ma migliore, il giorno in cui anche loro potranno godere delle piccole gioie della vita sinora negate da un destino di povertà e privazioni che sembra voler accanirsi contro loro.
Questa è la tanto attesa primavera per i Bandini, così come lo è per tutti noi.. perchè tutti, chi più chi meno, attendono la propria primavera, quando il calore del sole interromperà la triste monotonia dei giorni più freddi e nevosi in cui lo sconforto, la rassegnazione e le difficoltà della vita sembrano allontanare drasticamente ogni possibilità di riscatto, di cambiamento.
Ma la primavera prima o poi arriva, bisogna solo saper aspettare.
Un romanzo positivo, quindi, seppur calato nella tragicità di un contesto familiare fragile in quanto duramente minato nelle fondamenta dai colpi di un'esasperante povertà.
Ed è mirabile la capacità di John Fante nel raccontarci l'inverno della famiglia Bandini, attraverso i pensieri e le tribolazioni dei singoli componenti della famiglia, tratteggiati in modo superlativo, senza alcuna manipolazione 'stilistica'; i loro sentimenti, la loro rabbia, le loro azioni sono estremamente realistiche, umane.
E personalmente non ho potuto fare a meno di affezionarmi ad Arturo, il figlio maggiore... sarà perchè anche io come lui ho frequentato la scuola elementare dalle suore, non c'era suor Celia dall'occhio vitreo ma c'era suor Giovanna dalle sberle d'acciaio; anche io soffrivo per le incomprensioni tra mio padre e mia madre, patteggiando ora per uno ed ora per l'altra con l'unico desiderio che non s'allontanassero; anche io ero innamorato follemente di una mia compagna di classe, Rosa anche lei, che il destino - complice la mia timidezza ed uno stronzo di nome Stefano - mi ha portato via; ed anche io ero fermamente convinto di potermi guadagnare, non dico il Paradiso, ma almeno un posto d'onore nel Purgatorio purificando la mia anima con la confessione almeno una volta al giorno, pure due nei periodi di tempesta ormonale (tanto che Don vincenzo era diventato ormai come un barista per me: 'Quali peccati vuoi confessare oggi?' - mi chiedeva - ed io: 'Il solito.. don Vincenzo, il solito.').

"L'adulterio. Non se ne parlava in quarta elementare durante il catechismo. Suor Mary Anna l'aveva saltato per soffermarsi a lungo su 'Onora il padre e la madre' e 'Non rubare'. Così era accaduto che, per qualche inesplicabile ragione, Arturo aveva sempre associato l'adulterio alla rapina in banca. Tra gli otto ed i dieci anni, quando faceva l'esame di coscienza prima di confessarsi, saltava sempre quel 'Non desiderare la donna d'altri' perchè non aveva mai rapinato una banca."

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    11 Marzo, 2015
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Milano come Sin City...

Ho adorato Rosso Italiano, una sorpresa, una lettura piacevolissima quanto la visione di un film di Tarantino o Rodriguez, i miei registi preferiti.
Ma se in Rosso Italiano l'autore tinge di 'pulp' la sua storia senza farsi prendere troppo la mano, educatamente direi, quasi come se lui stesso si fosse imposto una sorta di censura, in Chiamami Buio le catene si rompono, le tinte pulp sfociano nel trash-splatter estremo non certo adatto a lettori facilmente suscettibili.
Anche la trama ne risente, meno curata e più scarna rispetto a quella di Rosso Italiano, e porta in primo piano in un crescendo di volgarità ed oscenità le nefandezze perpetrate in uno scorcio della periferia milanese, la 'discarica', dove gli unici esseri viventi dotati di un minimo di umanità sembrano essere i cani randagi.
E questa sporcizia morale dilaga ovunque, infetta chiunque, anche il protagonista Buio, poliziotto corrotto, cocainomane e puttaniere la cui vita si basa su tre regole fondamentali:
"Prima regola dello sbirro che vuole arrivare alla pensione: fatti i cazzi tuoi.
Seconda regola: non ti distrarre e continua a farteli, che stai andando bene.
Terza regola: se non hai seguito le prime due, la terza non ti serve più a una madonna perchè sei già crepato da un pezzo."
E la sporcizia dilaga anche tra le pagine del libro, il turpiloquio abbonda, ogni singolo periodo è infarcito di parolacce, bestemmie, spesso colorite e fantasiose.
Coooomunque... sapete cosa vi dico.. a me è piaciuto, cazzo.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    07 Marzo, 2015
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E' tornato affinché nessuno dimentichi...

Osservate la copertina, è la prima cosa che mi ha incuriosito: credo che Lui sia una delle poche persone riconoscibili con pochi centimetri di inchiostro nero su sfondo bianco.
E' innegabile dunque che Lui abbia lasciato un segno troppo forte nella memoria di tutti noi che difficilmente potrà essere cancellato, anche per chi come me ha avuto la fortuna di nascere diversi anni dopo la sua scomparsa.
Ed è forse anche per questo che tra tanti "Lui" che sarebbero potuti risorgere dal passato, l'autore abbia scelto proprio Lui.
E fa quasi pena vederlo girovagare per le strade della sua città, Berlino, completamente spaesato, incredulo dinanzi alla metamorfosi subita dal suo popolo e alla scomparsa dei solidi princìpi che aveva inculcato con tanta fermezza.
Geniale anche la sua trasformazione: il dittatore violento e feroce che risorge e conquista progressivamente una nuova popolarità come cabarettista, fa sorridere ora, in contrapposizione alle tante lacrime che ha fatto versare durante la sua prima vita, quella reale.
Peccato per il finale: diventa noioso, il sarcasmo e l'ironia che dominano i primi capitoli si affievoliscono verso la conclusione e gli ultimi discorsi del Fuhrer possono essere compresi in pieno ed apprezzati solo da veri cultori della storia tedesca, considerati i numerosi riferimenti alla politica di allora e di oggi che nemmeno la ricca appendice 'lo sapevate che...' a fine libro può illustrare in modo efficace.

La frase:
Devo dire però che quei due stanno meravigliosamente bene insieme e quando si guardano negli occhi so che tra diciannove, vent'anni verranno fuori alcuni robusti granatieri: materiale genetico perfetto per le SS e più tardi per il partito.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    28 Febbraio, 2015
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Ogni gioco è bello quando dura poco...

Uno dei pochi libri di King che non avevo ancora letto e che mi è capitato, quasi per caso, tra le mani in biblioteca.. e ne ho approfittato.
Anche perchè dopo le sue recenti produzioni letterarie, a mio parere di scarso valore, fa piacere riscoprire lo stile e la genialità delle sue opere più datate.
Perchè sono pochi gli scrittori che come King possono riuscire a costruire un romanzo di circa 400 pagine ambientato in una camera da letto, con una sola protagonista che vi giace nuda, ammanettata per quel gioco voluto dal marito Gerald che per lui si conclude tragicamente sin da subito e per lei si trasforma invece in un incubo, in una lotta disperata per la sopravvivenza fisica e mentale.
I suoi nemici non saranno solo la sete, la fame, i crampi ed il dolore determinato dalla sua 'crocifissione a letto' ma anche i ricordi del passato, tenuti sino ad allora ben nascosti in un angolo della sua mente in cui neanche lei ha il coraggio di accedervi ma che ora riaffiorano violentemente superando tutte le barriere sino a quel momento erette che crollano nella precarietà di quella situazione.
E con grande maestria King genera tensione dalle paure di questa donna, dagli spettri della sua mente che sembrano quasi materializzarsi nelle ombre della notte... l'orrore reale dovuto al cane affamato (per fortuna solo affamato e non 'arrabbiato' come Cujo) che dilania il corpo del povero Gerald è niente confrontato al terrore per la 'morte' incombente che gradualmente si concretizza nella sua mente.
Ecco, un consiglio per le appassionate di giochini erotici... quando vi fate ammanettare non serrate troppo le manette e tenetevi sempre un cellulare a portata di .. naso.
.

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I grandi 'classici' di King...
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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    20 Febbraio, 2015
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Di Erotico c'è solo la copertina...

Ci sono fenomeni inspiegabili, talmente incomprensibili per la ragione umana che probabilmente sono destinati a rimanere tali in eterno: non so, immaginate per esempio il mistero che avvolge la nascita dell'universo, il bing bang, le enormi forze di gravitazione generate dai buchi neri, la particella di Dio e chi più ne ha più ne metta...
Ma quello su cui sicuramente nessuno scienziato al mondo, vivente o di prossima generazione, troverà mai una spiegazione logica è: perchè migliaia e migliaia di donne hanno comprato e apprezzato '50 sfumature di grigio' ? E, non soddisfatte, hanno persino riempito le sale cinematografiche di mezzo mondo per rivivere in 2D l'avventura erotica che vede coinvolti Anastasia Steele ed il famigerato Mr.Grigio, al fine di cogliere meglio tutte le sue sfumature, forse non troppo evidenti sulla carta..
E se vi chiedete cosa c'entri in questo commento il romanzo di E.L. James, per gli amici Erika, ahimè, purtroppo un collegamento c'è.. perchè quel romanzo ha contagiato come un'epidemia la quasi totalità del genere femminile occidentale e, come la più temibile delle pestilenze, non solo infetta la mente delle povere malcapitate ma genera anche untori.
Come la nostra Sara Bilotti, untrice.. ehm scusate, scrittrice al suo esordio (se si esclude una serie di racconti) col romanzo L'oltraggio, che sappiamo già essere il primo di una trilogia.. eh già, perchè analogamente al ceppo virale delle sfumature, anche questa variante nostrana si diffonderà in tre ondate successive.
Ma non vorrei soffermarmi sull'autrice, la cui scaltrezza nell'approfittare dell'onda mediatica scatenata dal successo della collega Erika è quasi ammirevole, a mio parere.
Vorrei invece soffermarmi sulle lettrici, per capire, se possibile, come si possa rimanere affascinati e farsi coinvolgere da tali romanzi.
Ho sempre ritenuto estremamente difficile scrivere un romanzo erotico, non è affatto semplice sollecitare quelle corde della psiche (e non solo) facendo uso esclusivo delle parole e senza scadere nella volgarità. Richiede una scelta accurata dei termini, richiede una profonda conoscenza dell'animo umano e delle sue reazioni, al maschile e al femminile, saper raccontare una storia che sia in grado di generare una 'tensione' erotica. A pensarci bene è sicuramente più semplice suscitare sensazioni di paura, terrore, forse perchè più 'comuni' e meno legate alla sensibilità individuale.
Ho sempre immaginato però che la chiave del successo per romanzi di questo genere sia nella costruzione di una trama in cui la lettrice (escludo volutamente i lettori, perchè statisticamente poco interessati a questa categoria letteraria) possa calarsi come in un sogno e viverlo come tale, dando libero sfogo alla sua fantasia; non è quindi fondamentale l'ambientazione, potrebbe anche essere fantastica, surreale, è importante a mio parere la caratterizzazione dei personaggi che dev'essere quanto più possibile vicino alla realtà.. ed in questo forse gli autori giapponesi rappresentano l'eccellenza.
Per questo mi chiedo come possa aver ricevuto tanto successo un romanzo come "50 sfumature di grigio", in cui la protagonista Anastasia si presenta come una studentessa americana di 21 anni, bellissima e vergine... vergine?!? a 21 anni, in America, Washington, vergine?!?! E già per questo sarebbe da inserire nel guinness dei record..
Ma come se non bastasse, Anastasia sembra quasi del tutto analfabeta in materia sessuale.. insomma una vera 'rincoglionita' .. perdonatemi il termine .. al cui confronto persino la compianta Lucia Mondella degli sposi promessi sembrerebbe Moana Pozzi.
E per finire, cosa fa Anastasia? S'invaghisce del belloccio, ricco ed impenetrabiile Mr. Grey che le sottopone alla firma un contratto di schiavitù sessuale...
Allora io mi chiedo: come può una donna immedesimarsi in Anastasia? Come può trarre piacere o un qualsiasi altro tipo di sensazione, che non sia ribrezzo, da una storia simile?
Il romanzo di Sara Bilotti segue la stessa scia: la protagonista femminile, Eleonora, è una donna 'ovviamente' attraente, che dopo l'ennesima delusione amorosa si rifugia presso villa Bruges, nell'agro fiorentino, dove dimora l'amica di infanzia Corinne col suo compagno Alessandro, il signor Grey di turno, che di sfumature ne ha davvero tante essendo reduce da un trauma infantile molto grave.
A ciò si aggiunge anche Emanuele, fratello di Alessandro, ancor più sfumato di lui e quindi altrettanto seducente. Potete quindi immaginare le difficoltà di Eleonora nel districarsi tra tante sfumature mascoline, tanto più che la nostra Eleonora, onore all'Italia, a differenza di Anastasia Steele, non è certo una verginella.. anzi sembra continuamente sollecitata da desideri sfrontati che farebbero impallidire la ninfomane più accanita.
Ad onor del vero, devo quindi ammettere che nell'Oltraggio di Sara Bilotti non stona tanto l'assurdità dei personaggi (nonostante io faccia immensa fatica ad immaginare, per esempio, una donna con la personalità di Corinne, o meglio dovrei dire assenza di personalità) ma si avverte una carenza di stile, il racconto molto spesso è piatto e ripetitivo e non coinvolge neanche nei momenti più 'caldi'.
Dubito che i due sequel mostreranno maggiore spessore letterario, quindi rinuncio nel prosieguo della storia consapevole che rimarrà così insoddisfatta la curiosità di scoprire come evolveranno gli intrecci amorosi in villa Bruges (anche se, tenendo conto che si tratta di una trilogia e che la protagonista Eleonora già mostra una particolare predisposizione per i triangoli erotici, un pronostico sarebbe facilmente ipotizzabile).

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    08 Febbraio, 2015
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Pericolo alta tensione

Ci sono libri che fanno riflettere, molti altri che insegnano o spiegano teorie aprendo la mente, ce ne sono diversi che lasciano indifferenti e ce ne sono alcuni, alquanto rari direi, che generano emozioni.. emozioni di tipo diverso, passione o paura o rabbia, ma tanto intense da sembrare impossibile che un libro possa avere tale potere; in fondo un libro è solo un oggetto materiale, un susseguirsi inanimato di parole, manca persino dell'impatto visivo che può suscitare un film ad esempio.
Il romanzo di Smith rientra senza dubbio in questa categoria.
Sicuramente un ottimo thriller, trama ben svolta e coinvolgente nel suo evolversi, con un'impostazione classica che prevede un 'prologo' il cui prosieguo si concretizza solo nei capitoli finali. Tale impostazione rende, quindi, abbastanza semplice intuire 'chi sia l'assassino' ma la storia coinvolge così tanto da rendere ininfluente tale aspetto.
Perchè non è l'indagine poliziesca il punto di forza di questo romanzo; se fosse così, Bambino 44 non emergerebbe e non si distinguerebbe nella miriade di romanzi simili.
L'indagine poliziesca sembra quasi un pretesto per raccontare la metamorfosi di un uomo, Leo Stepanovic Demidov, la cui coscienza è stata annullata e plasmata a servizio del regime stalinista diventando membro del MGB, ufficialmente un dipartimento di polizia per la sicurezza di Stato ma che in realtà si avvale del suo potere per eliminare con l'accusa di spionaggio chiunque rappresenti un ostacolo o un pericolo per il raggiungimento del sogno sovietico, l'utopia comunista.
Ma quando quello stesso regime che Leo ha sempre onorato gli si rivolta contro mostrando le sue profonde contraddizioni, Leo reagisce, si ribella e lotta, non solo contro chi cerca di reprimerlo ma soprattutto contro se stesso per infrangere quello strato di ghiaccio che ha avvolto la sua ragione ed il suo cuore, congelando i suoi sentimenti e la sua dignità. Ed è proprio nella descrizione di questa metamorfosi, profonda, drammatica e dai risvolti angoscianti che l'autore mostra la sua notevole capacità di coinvolgimento emotivo.
Non voglio paragonarlo al capolavoro di Orwell '1984', ma leggendo Bambino 44 ho provato le stesse sensazioni, tanto forti quasi fossero reali, quasi fossi io il protagonista della vicenda; quella sensazione di rabbia che ti stringe lo stomaco, ti rode dentro per l'odio che genera, il desiderio di vendetta, di ribellione verso le ingiustizie subite e la spietata malvagità di uomini contro cui è impossibile agire, resi impotenti a causa di un sistema, di un regime senza giustizia, in cui si cercano le colpe e non le prove di innocenza.
E' la capacità dell'autore di rendere tangibile questo senso di rabbia e di vendetta che anima il protagonista, sino a trasmetterlo al lettore in modo così nitido, la vera forza di questo libro.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    31 Gennaio, 2015
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Un commento... fallace

Vi prego, perdonate questo mio commento un pò fuori dalle righe ma il romanzo in questione, che comunque ho apprezzato quanto meno per la sua originalità, mi ha alquanto scosso e poichè la trama verte su misteriori e bizzarri pacchi regalo contenenti peni recisi - sulla cui provenienza sono chiamati ad indagare l'ispettrice di polizia Petra Delicado (che tanto 'delicata' non è ..) ed il suo vice Garzon (con la passione per le canzoncine improvvisate) - non meravigliatevi se anche questo commento sia alquanto indecente, quasi 'fallico' oserei dire.
Perchè, come dicevo, questo libro mi ha scosso, molto scosso. Stavo pensando di sconsigliarne vivamente la lettura a qualsiasi uomo ma se lo facessi sbaglierei.
Perchè riflettere aiuta, aiuta a capire quanto sia importante apprezzare e ringraziare il creatore per tutto quello che ci ha donato.. e che spesso ci sembra scontato solo perchè ce lo portiamo sempre dietro, cioè davanti, sempre con noi, vive con noi, soffre con noi e si diverte con noi...
non ce ne rendiamo conto perchè siamo abituati ad averlo sempre tra i piedi, cioè tra le gambe, e ci siamo come assuefatti alla sua onnipresenza.
Per questo vi dico, uomini, leggete questo libro.. e pensate cosa sarebbe la vostra vita senza lui.. senza la sua costante ed assidua presenza.. come vi sentireste a saperlo in giro per il mondo come se fosse un pacco regalo?
E a Petra Delicado che solo alla fine della storia rivela la sua vera natura esasperatamente femminista, atroce e crudele (forse pure lesbica, anche se non se ne rende conto), vorrei dedicare questa 'canzoncina del cazzo' (cit.), da me composta ma degna del suo fedele vice-ispettore Garzon esperto in materia:

Vagando senza meta per lidi virtuali
lessi di un libro un pò qui un pò lì
e nel giro di qualche dì
tra le mie mani finì.
Ma il libro maledetto
era un inganno perfetto
un thriller impeccabile qualcuno lo aveva eletto
godibile e adorabile, un vero diletto.
Ma, ad onor del vero, va anche detto
che una cara amica me l'aveva predetto
che a gambe strette io l'avrei letto
perchè sono un maschietto
e come ogni ometto
son molto geloso del mio tesoretto
gli porto rispetto
lo curo e lo riassetto
perchè è il migliore amichetto
sembra un furetto quando è eretto
ma se dorme è un angioletto.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    22 Gennaio, 2015
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Un salto indietro nel tempo

Devo esser grato a Benni per questo suo romanzo, perchè ogni volta che sfogliavo le sue pagine era come se il mondo intorno a me si dissolvesse, tutti i pensieri, i problemi, gli impegni, le persone.. tutto cancellato, per lasciar posto a Saltatempo, al suo mondo, alla sua vita.
Lo stile con cui Benni descrive le vicende vissute dal protagonista, partendo dalla sua infanzia in un paesino immerso nei boschi sino alla prima gioventù maturata in città mentre ovunque si manifestano i primi segni della 'rivoluzione' del 68, lo stile è tale da far scaturire un sorriso, se non addirittura una risata, ad ogni pagina.. e non perchè Benni sia un comico, ma solo perchè riesce a presentarci i personaggi o le situazioni, anche quelle più tragiche, con sottile ironia evidenziandone le contraddizioni, esasperandole all'inverosimile e trasformandole quindi in una serie di racconti intrisi di un umorismo mai banale, intelligente ed efficace.
E a quelli come me, troppo giovani per aver vissuto il 68, allora avevo (-)4 anni, ma non abbastanza giovani da dimenticarne le ripercussioni più immediate, sia politiche sia di costume, questo libro di Benni non può lasciare indifferenti... perchè inevitabilmente fa riaffiorare quelle irripetibili sensazioni vissute durante la nostra adolescenza, momenti di sano divertimento, di ingenue paure, di sogni allora 'proibiti' che oggi invece farebbero sorridere persino un bimbo di 8 anni.
Ma quella era la nostra vita.
Quelle erano le nostre gite scolastiche:

"Ma come dimenticare quel ritorno in corriera, alla luce della luna... Sogno di giovani vite nelle sicure mani di Fangio, che timonava pacato, con la Zaini che lo guardava adorante. In un angolo alcuni spaiati dormivano, altri cantavano a voce bassa. Ma sugli altri sedili, l'eros corrieristico celebrava il suo trionfo. Realtà e finzione si mescolarono di poi nel racconto di quei 60 chilometri. Si dice che Gancio smutandò la gemella rossa e accadde di tutto. Che l'altra gemella resistette agli attacchi di Osso, ma alla fine gli permise di tenerle una mano sulla coscia e Osso si allagò. Persino la Rospa, complice l'ultimo cremifrutto, riuscì ad esplorare i pantaloni di Baco. Altre coppiette si sbaciucchiavano. Ma io e la Venerelli eravamo perduti in un mare di risucchi e saliva, baci interminabili, lingue che saettavano, per me fu un corso accelerato da cui trassi esperienza e benefici tutta la vita. E premendo contro le sue epiche tette, e rimbalzando indietro, e di nuovo allacciandomi respinto ma non troppo, provai piaceri e stupori che ancora mi commuovono. Poi, alle prime luci della città, dopo un ultimo duello di papille, io la vidi di profilo, bellissima, sudata, accalorata, con un ciuffo sull'occhio ed il golfino di lana che le lasciava scoperta una spalla.
- Ti amo - le dissi.
- Ma sarai scemo? - rispose. "

E quelle erano le nostre feste di compleanno:

"Un'ora dopo la festa era al culmine. Domineddio, insieme alla fidanzata borchiata che rimbalzava come una palla, insegnava il rock a tutti ed aveva già spaccato due sedie. Carpaccio aveva già massacrato le balle a metà dei presenti. Il gatto Teo si era palesato, aveva miaodetto ma che cazzo di miaocasino sta succedendo e se n'era andato. Osso era già alla settantesima pizzetta. Verdolin continuava a ballare il lento con la Schiassi anche quando mettevano su il rock. La Bottoni succhiava Nosferatu. Gentilini si era attaccato a Lisa, le riempiva il bicchiere di aranciata con solerzia da cameriere. e rideva qualsiasi cosa lei dicesse. Io facevo la conoscenza di un sacco di gente, bevevo moderatamente ed ogni tanto tenevo una mano a Selene. Capivo che ero abbastanza considerato, anzi qualcosa di più. Se ha portato due pupe così, pensavano gli uomini. Se ha portato due pupe così, pensavano le donne. In tutto questo Selene e Lisa erano considerate non molto più di due valigie, mancavano sei mesi e nove giorni al femminismo.
Insomma ero lì e stavo bene. Avrei potuto pensare, ma che storia è questa, prima ero niente, e poi perchè ho portato due belle fighette ecco che sono diventato un grand'uomo, cosa c'è da bearsi idi questo, ecco cos'è essere conformisti. Ma allora non lo pensavo, ci sono momenti nella vita che uno non si rende conto di essere ridicolo e sciocco, non puoi cancellarli dal curriculum, poi ti risveglierai, li ricorderai con un pò di vergogna, ma la vergogna è qualcosa che ci attacchi dopo. E se il merito era di Selene, bè che c'era di male? Lei non era solo bella, era luminosa. E io sapevo che era anche ironica, intelligente e viziata. La guardassero pure, solo io sapevo chi era davvero, non ero geloso."

E quelle erano le nostre sofferenze alimentate da una gelosia incontrollabile e che doveva essere pure trattenuta all'interno, determinando spaventosi crampi allo stomaco, perchè un vero uomo non doveva mai far capire alla sua donna quanto lei fosse unica e la sola per lui:

"Soffrivo come Otello, o come uno stronzo. Ci fu un altro lento, Georgia (R. Charles), e gli amanti diabolici non si staccarono, anzi lei gli aveva messo ben due mani allacciate al collo, la troia, io mi alzai barcollando e mi versai dell'aranciata ma non andò giù, la glottide era bloccata, mi domandai come facevo a respirare. Mi misi su una sedia da solo e pensavo: Selene no, per favore non farlo, ma lei non mi sentiva e sorrideva a lui, e R. Charlse non collaborava."

E quello era il nostro Dio, che devo dire non è cambiato granchè in questi anni, sempre lo stesso dispettoso di sempre:

" - Dio, Dio, non vedi come sono buono, come sono solo e come sono generoso, ridammi Selene. E subito sentii una lingua sul collo. Era Rufus (il cane). So interpretare i segni divini. Perciò andai a letto."

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    17 Gennaio, 2015
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E' cieco chi guarda solo con gli occhi

Cecità è un incubo, non saprei come definirlo meglio.. la sensazione che lascia una volta terminata la lettura è la stessa che si prova quando ci si sveglia da un incubo, di quelli peggiori pure, di quelli che ti fanno balzare col cuore in gola per quanto sono tremendi, perchè ti mettono con le spalle al muro, non hai vie di scampo se non quella di svegliarti... e quando ti svegli solo la consapevolezza che si sia trattato di un sogno (o di un libro in questo caso) può allentare la paura, la tensione generata.
Così come nel Vangelo secondo Gesù Cristo, Saramago riesce a rendere plausibile la sua versione 'alternativa' dei fatti accaduti a cavallo dell'anno zero, allo stesso modo in quest'opera, l'autore, col suo stile inconfondibile, riesce a rendere estremamente realistico il terrore, lo sgomento e lo stato di totale abiezione in cui cade il genere umano, qui rappresentato da abitanti non meglio precisati di una non meglio precisata città, colpiti da una strana forma di cecità, tanto improvvisa quanto incurabile, e che contagia tutti, indistintamente, tutti tranne una donna, unica testimone oculare delle conseguenze della cecità collettiva.
Saramago non usa nomi propri per riferirsi ai suoi personaggi bensì ce li presenta come la moglie del medico (oculista, per la precisione.. ironia della sorte..), la donna dagli occhiali scuri, il vecchio con la benda nera sull'occhio, il bambino strabico, il primo cieco e persino il cane che asciugava le lacrime... a cosa servono effettivamente i nomi in un mondo di ciechi? ogni appellativo però ha un legame con gli occhi, quasi a voler sottolineare come ciascuno di noi non sia nessuno se non ci sono occhi altrui che ci vedono.. noi siamo solo ciò che gli altri vedono di noi.
Ed è facile immaginare come la cecità, diffondendosi a macchia d'olio, determini uno scenario ai limiti dell'apocalisse, prima confinato tra le pareti di in un istituto, un manicomio abbandonato, in cui il Governo decide di rinchiudere i primi contagiati e quelli sospetti di contagio, nella vana speranza di bloccare l'epidemia, e poi esteso alla città, al mondo intero... ed il linguaggio usato da Saramago, il suo stile, l'intensità delle immagini e la durezza dei termini, contribuisce a rendere ancor più crudo e realistico questo incubo...
E quando ti svegli, comprendi:
'Perchè siamo diventati ciechi?... Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.'

La cecità di Saramago è una rivelazione, un'illuminazione... non è un caso che si presenti agli occhi di chi la subisce come una luce bianca, folgorante... il contrario della cecità descritta in tutti i manuali di oculistica e che si mostra sotto forma di buio totale.. quella di Saramago è una cecità che rivela la vera natura dell'uomo, fatto metà di indifferenza e metà di egoismo.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    10 Gennaio, 2015
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Urgono ripetizioni di matematica...

Se questo libro fosse una favola si concluderebbe con 'E vissero tutti tristi, soli ed insoddisfatti'...
E quando scrivo 'tutti' intendo proprio tutti... non solo i due protagonisti Alice e Mattia ma anche tutti coloro che ruotano intorno a loro.. e non s'intravede alcun spiraglio di luce, per nessuno.
Beh.. io sinceramente ho sempre immaginato i numeri primi in modo diverso, proprio per la loro particolarità, proprio per il fatto di essere numeri speciali, consci della loro singolarità, li ho sempre immaginati come dotati di una 'personalità' forte, decisa, autorevole... e non invece come 'numeri' che sentono il disagio di questa loro diversità tanto da isolarsi ed allontanarsi da tutti gli altri... anzi, se potessero, lascerebbero volentieri dei buchi, dei salti nella progressione dei numeri e fuggirebbero via al riparo da tutto e tutti per vivere la loro eternità in completa solitudine, magari all'ombra di una rassicurante radice quadrata...
Così come accade appunto ad Alice e Mattia; d'accordo, entrambi sono stati 'segnati' sin dall'infanzia da una brutta vicenda le cui ripercussioni si dilatano negli anni seguenti: Mattia si autocolpevolizza per la scomparsa della sorellina gemella avendola incautamente lasciata sola in un parco e ne sopporta poi il 'peso delle conseguenze' con la sua tendenza all'autolesionismo, Alice invece colpevolizza il padre per l'incidente che le ha praticamente paralizzato una gamba, rendendola una 'storpia' agli occhi degli altri, ma soprattutto ai suoi, e a cui cerca di 'porre rimedio' rifiutando il cibo e sfociando nell'anoressia.
Due numeri primi, quindi, nell'accezione del termine imposta dall'autore, due persone sole, ciascuna con la propria 'particolarità' che non vogliono condividere con nessuno perchè nessuno può comprenderli, nessuno è come loro... ed ogni volta che cercano di avvicinarsi, ogni volta che avvertono forte il desiderio di abbandonarsi l'uno nell'altro interviene sempre un pensiero, un dubbio, un'indecisione che fa perdere l'attimo, l'istante decisivo.. perchè è vero che "le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante".
Però, diamine, ci vuole pure una gran sfiga, eh! Perchè per quanto il destino sia in genere tendenzialmente avverso e mai favorevole, non può sempre andare tutto storto... più che numeri primi, siamo di fronte a numeri sfigati, come il 13 e il 17.. che neanche a farlo apposta sono pure numeri primi..
Sarà che poi non sopporto le persone poco reattive, cioè chi si lascia trascinare dalle difficoltà della vita senza mai reagire, senza neanche tentare di opporsi, di prendere una decisione in modo autonomo piuttosto che accettare passivamente tutto ciò che gli capita davanti... per questo non riesco a provare neanche simpatia verso i due protagonisti, in particolare Mattia.
In definitiva, un libro che si lascia leggere in modo abbastanza scorrevole ma che non lascia un messaggio degno di nota in chi legge, almeno nel sottoscritto.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    05 Gennaio, 2015
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Malinconicamente ... Vincenzo

Vincenzo Malinconico: già il fatto che porti il mio stesso nome m'ispira un sentimento d'istintiva empatia nei suoi riguardi per la disgrazia che ci accomuna sin dalla nascita e contro cui (almeno io, non so lui) non ho potuto ribellarmi visto che, nel momento in cui i miei genitori hanno pronunciato all'unisono 'Vincenzo' al ginecologo che mi ha portato alla luce, nessuno dei presenti in quel luogo
è riuscito a tradurre dal ueè-ueèese le mie urla disperate nel loro vero significato, ossia 'Ma che diamine di nome mi state affibbiando, ma vi rendete conto? Ma ci pensate al mio futuro? E perchè non scegliete.. che so Mattia, o Joe.. già, Joe.. breve, conciso, affidabile e serio.. un nome, una garanzia.. è statisticamente provato che uno che si chiama Joe fatica il 90% in meno di uno che si chiama Vincenzo per conquistare una donna.. e allora cosa volete? che rimanga scapolo a vita? ecco, è questo che volete?"
Solo l'ostetrica di turno sembrava aver intuito qualcosa nel mio pianto.. chissà quanti ne aveva sentiti.. ma non intervenne, la stronza.
E potrei raccontare molto altro in proposito, potrei scrivere un libro sulla disgrazia di chiamarsi Vincenzo.. ma sarebbe una digressione troppo ampia, ben più ampia delle innumerevoli digressioni presenti in questo libro di De Silva. Anzi direi quasi che il libro è una raccolta di digressioni intervallate da una storia; divagazioni piacevolissime, mai noiose, che spaziano dalla musica alla camorra, dall'amore ai panini di Burger King, rese ancor più gradevoli dall'umorismo dell'autore che seppur non dotato della carica cabarettistica di un Benni, per esempio, riesce spesso e volentieri a strappare un sorriso.
Si chiama patologia del narratore incoerente:

"Il fatto è che io sono un narratore incoerente. Non si può fare affidamento su di me. M'interessano troppo le chiacchiere incidentali che ti portano da un'altra parte. Quando racconto, sono come uno che cerca una bolletta nel cassetto delle ricevute. Prima tasto un pò, tanto per prendere confidenza con il materiale organico, poi pesco a casaccio, sperando di prenderci. Ovviamente non prendo, e comincio a raspare. Mescolo. M'incanto. Faccio mucchietti. Scopro bollette che non c'entrano e ci penso sopra. Guardo la data stampigliata su una ricevuta di ritorno, riconosco la calligrafia di quand'ero più giovane (avete notato come mostrano gli anni, le calligrafie?) e cerco di ricordarmi dov'ero e cosa facevo quando l'ho spedita. Se stavo meglio o peggio. Se mio figlio era già nato. Che odore aveva casa nostra. Chi erano i miei amici. Mi piace rivedermi negli avvisi di ricevimento. Penso che siano più attendibili delle foto. Tutto questo per dire che ho una cattiva tenuta di strada dei pensieri. Infatti credo che la mia patologia, in fondo, non sia altro che un saltuario collasso di questa inclinazione naturale. Mi prendo parecchie scappatelle dai discorsi che faccio, ecco."

E la storia? La storia è quella di un uomo, avvocato e marito senza successo, che trascina la sua esistenza sotto i colpi di un destino avverso ed alla mercè dei capricci della moglie..
sino alla svolta, quella che il destino ti offre quando meno te l'aspetti e che va presa al volo, senza troppe esitazioni... ed allora riacquisti dignità, speranza, quello scatto d'orgoglio a lungo represso e mai assecondato.

"Vaffanculo, penso. Ecco quello che penso. E' questa la parola che viene spontanea quando capita che ti senti inaspettatamente felice, tutt'a un tratto."

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    02 Gennaio, 2015
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Una farfalla pesante come un elefante...

Mi dispiace ammetterlo, ma dopo due libri di De Luca che mi hanno letteralmente stregato ('Non ora, non qui' e 'I pesci non chiudono gli occhi'), sono rimasto alquanto deluso dalla lettura de 'Il peso della farfalla'. Forse perchè avevo già aspettative molto alte, forse perchè ero sicuro, certo, che avrei apprezzato quest'opera di De Luca allo stesso modo, se non meglio, delle altre già lette.
Ma non è stato così... ed è una brutta sensazione.
Se non ci fosse stata la firma di De Luca su questo libro probabilmente non sarei rimasto così deluso; per carità, non mancano momenti di pura poesia 'narrativa', periodi in cui si riconosce il 'tocco magico' di questo scrittore che riesce a dipingere un paesaggio o uno stato d'animo con parole tanto armoniose che solo la musica potrebbe fare meglio:
"E' novembre, l'uomo sente calare la saracinesca dell'inverno. Nelle notti che il vento strappa dalle radici gli alberi più esposti, la pietra ed il legno della capanna si sfregano tra loro e mandano una nenia. Il fuoco schiocca baci di conforto.
L'aspro di fuori dà spallate, ma la fiamma accesa tiene insieme legno e pietra. Finchè brilla nel buio, la stanza è una fortezza".

Ma manca un fine.. sembra quasi un esercizio di stile. La storia, nella sua brevità, non ti solca l'anima, non graffia. E non per colpa della brevità, ci sono favole ancora più brevi ma tanto intense da rimanere scolpite nella memoria.. mi vien da pensare, per esempio, al racconto dell'isola sconosciuta di Saramago. In questo libro, però, non sono riuscito a cogliere neanche il senso delle metafore, sempre ammesso che ce ne siano ... perchè non voglio pensare che il tutto si riduca ad una .. battuta di caccia.
Magari mi sbaglio, magari non sono nello stato d'animo giusto per apprezzare quest'opera.. forse in un altro momento avrei elogiato l'immagine della farfalla bianca 'impressa' sul corno del camoscio quasi a memoria della madre assassinata dall'uomo cacciatore, quella stessa farfalla che col suo peso (leggero come un soffio di morte) ricongiungerà i destini dell'assassino pentito e della sua preda, vera vincitrice morale dell'eterno scontro uomo-natura.
.. ma qui non siamo ne 'Il Cacciatore', qui non ci sono gli occhi di De Niro ed i primi piani sul cervo a dare pathos alla storia.
C'è la montagna, sì... e si sente, la puoi quasi toccare. Ma personalmente, anche da questo punto di vista, preferisco De Luca quando racconta il mare.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    27 Dicembre, 2014
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Leibniz docet

Provate a pensarci un attimo, fermatevi, rilassatevi seduti sulla vostra poltrona e riflettete: avete idea di come potrebbe cambiare la vostra vita se un giorno foste colpiti da una nube radioattiva vagante il cui unico, irrefrenabile ed incurabile effetto fosse quello di ridurre la vostra altezza tre millimetri al giorno? E tutto il vostro corpo si rimpicciolisce in proporzione, tre millimetri ogni giorno...
Provate a pensarci.. prima le conseguenze più evidenti: dopo 10 mesi, supponendo che siate alti 190 cm quanto il protagonista Scott, vi trovereste sulla stessa poltrona su cui siete seduti ora con le gambe penzoloni come quelle di un bimbo di 4 anni che dondola su un'altalena, e dopo altri 10 mesi dovreste abbandonare quella poltrona, sempre ammesso che riusciate a calarvi giù sul pavimento, altrimenti rischiereste di rimanere soffocati tra i glutei del primo 'gigante' di passaggio che decida di occupare la vostra poltrona senza rendersi conto che è già occupata.
E questo è niente: come pensiate possa sentirsi un uomo come Scott dinanzi agli occhi di sua moglie, che lo osserva rimpicciolirsi giorno dopo giorno, senza poter far nulla, senza poter evitare che il suo uomo, il pilastro della famiglia scompaia progressivamente nel nulla, lasciandola sola con la figlia e praticamente senza soldi e lavoro? E Scott come può resistere alla frustrazione, alla vergogna, al senso di impotenza , di lenta e progressiva emarginazione dal mondo che lo circonda.. come può sentirsi amato dalla moglie se vede riflessa nei suoi occhi l'immagine di un bambino di 6 anni anzichè quella dell'uomo che ha sposato?
E come può sentirsi padre? Come può educare e crescere sua figlia di 4 anni se lei stessa, nella sua inconsapevolezza, cerca di proteggerlo da un gatto stringendolo in una mano come fosse una bambola e quasi soffocandolo per la stretta?

"Scoprì che l'autorità del padre dipendeva in larga misura da una semplice differenza fisica. Un padre per il suo bambino è grande e forte; è onnipotente. Un bambino ragiona in modo semplice. Rispetta la grandezza e la profondità della voce. Ciò che fisicamente lo sovrasta, quasi sempre lo rispetta o almeno ne ha paura. Era semplicemente una condizione di base che dipendeva dal fatto che lui era alto un metro e novanta e sua figlia soltanto un metro e venticinque.
Quando era sprofondato alla sua altezza, e poi ancora più sotto, quando la sua voce aveva perso in profondità ed autorità ed era diventata uno stridio del tutto inefficace, il rispetto di sua figlia era andato scemando. Semplicemente, non riusciva a capire. Dio solo sapeva se avevano provato a spiegarglielo - in continuazione. Ma non era una cosa che si potesse spiegare, perchè nel background mentale di sua figlia non c'era niente di paragonabile ad un padre che rimpiccioliva.
Di conseguenza, quando lui non fu più alto un metro e novanta e la sua voce non fu più la voce che lei conosceva, lei non lo considerò più come suo padre. Un padre era immutabile. Ci si poteva contare, non cambiava mai."

E come poter biasimare Scott per essersi innamorato di una nana, un fenomeno da luna park, per aver voluto trascorrere una notte con lei, provare ancora la sensazione che l'amore ed il corpo di una donna potevano offrirgli, una donna come lui, sola come lui, l'unica in grado di capire il suo stato d'animo.
Ed è proprio il racconto di queste tragiche 'conseguenze' del rimpicciolimento il punto di forza di tutto il romanzo, per la magistrale capacità di Matheson di scavare a fondo nell'animo del protagonista portando alla luce ogni minimo dettaglio dell'angoscia e della mortificazione che lo pervade e descrivendoli con intensa carica emotiva. E tutto sembra molto realistico, molto plausibile, quasi ci si dimentica che si tratta di un romanzo di fantascienza; è un genere di fantascienza molto 'borderline'.. non per niente, la sceneggiatura dei migliori episodi della serie 'Ai confini della realtà' è stata scritta da Matheson.
Unica nota negativa del libro è il racconto degli ultimi tre giorni di Scott, dai 9 millimetri in giù, che rappresenta la trama principale del libro, inframmezzata dai racconti di cui sopra, ma a differenza di questi risulta molto noiosa, ripetitiva e lenta.. neanche la presenza di un ragno assassino contribuisce a renderla più interessante, forse anche a causa delle eccessive e prolisse descrizioni dell'ambiente circostante visto dal 'basso' dei 10 millimetri e che risulta talmente fuori dal comune da essere anche difficilmente immaginabile: una sedia a sdraio vista dagli occhi di Scott sembra persino più complicata dal punto di vista 'architettonico' della cattedrale di Notre-Dame...
Ma vale sicuramente la pena resistere sino alla fine, superando questi cali di tensione... anche perché sin dalle prime pagine la domanda sorge spontanea ed è tanta la curiosità di sapere cosa accadrà l'ultimo giorno, dopo gli ultimi tre millimetri .. ed il finale, nella sua ovvietà, è geniale...

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    23 Dicembre, 2014
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L'occhio per occhio non rende felici, solo ciechi

Breaking News!! Edizione straordinaria! - direbbero nei tg made in Italy, molti di noi avranno ancora vivo il ricordo delle agghiaccianti edizioni straordinarie ascoltate e vissute negli anni '90 durante la prima guerra del Golfo.
Ed effettivamente quella guerra fu un evento straordinario, la prima vera guerra in cui molti di noi diventavano spettatori, per fortuna solo 'mediatici', di una guerra non più raccontata sui libri di storia ma attuale, tragicamente reale e che coinvolgeva, più o meno direttamente, diversi Paesi dell'Europa.
Nell'ultima fatica di Schatzing la guerra è la protagonista assoluta, una guerra però che ha origini molto più antiche rispetto alla guerra del Golfo, potremmo quasi dire che è nata con l'Uomo e con l'uomo forse cesserà, visto che ad oggi è ancora in atto: il conflitto in Medio Oriente tra arabi ed israeliani.
Una guerra che non è per noi così 'straordinaria' come lo è stata quella del Golfo, perchè probabilmente le atrocità che la caratterizzano sono divenute così frequenti da renderla 'ordinaria', decine se non centinaia di uomini, donne e bambini, molto spesso innocenti, vittime del caso prima ancora della guerra, che muoiono sotto gli attacchi suicidi di fanatici religiosi o attacchi mirati di missili punitivi... sangue che scorre da anni, secoli ma che ormai non è più degno per noi di un'edizione straordinaria.
"L'aldilà ha sempre avuto la sua importanza."
"Può darsi, ma non può essere una giustificazione per devastare l'aldiquà."

E devo dirvi la verità, a costo di sembrare poco obiettivo nel mio commento, se ho apprezzato questo libro è stato anche perchè Schatzing, a suo modo, ha richiamato la mia attenzione su questa tragedia che non dovrebbe mai essere dimenticata, dovrebbe sempre essere in prima pagina, nel rilievo che meritano le .. breaking news.
Il resto rientra nello stile tipico di Schatzing: come già ne Il quinto giorno, dove l'autore arricchisce il suo romanzo con descrizioni minuziose e dettagliate di fenomeni scientifici e nuove tecnologie al fine di rendere più realistica e coinvolgente la trama fanta-apocalittica, così in Breaking News l'autore incastra una spy story nel contesto della guerra arabo-israeliana ... ma le proporzioni sono alquanto sbilanciate.
Infatti a fine lettura si ha la sensazione che il racconto delle peripezie in cui s'imbatte il giornalista d'assalto Tom Hagen, braccato da spie e feroci assassini, sia solo una piccola parte di una trama che in realtà si snoda su un arco temporale di quasi cento anni, dal 1929 ad oggi ed in modo non lineare con frequenti salti in avanti e indietro (come dimostrano i titoli dei singoli capitoli), e che riprende e rivisita tutti gli eventi salienti del conflitto medio-orientale.
Definirlo quindi un thriller o una spy story è a mio parere alquanto limitativo: Breaking News è un'opera imponente che prende spunto da episodi realmente accaduti e che rappresentano la Storia di Israele e Palestina, raccontati sin nei minimi dettagli con lo stile fluido di Schatzing e 'leggermente alterati' per divenire scenario plausibile di un complotto terroristico, ben più tragico e distruttivo di quelli reali sinora verificatisi... e che, speriamo, rimanga sempre circoscritto tra le pagine di questo libro.
Naturalmente, molti potrebbero rimanere delusi dal romanzo di Schatzing che sconsiglio vivamente a chi necessita di una carica di adrenalina ogni due pagine: l'adrenalina c'è ma è molto, molto diluita nelle mille pagine che compongono il libro.
Consideratelo piuttosto come un romanzo 'storico', per la meticolosa ricostruzione della Storia del movimento sionista e dello Stato israeliano, in cui però alcuni eventi sono stati manipolati dall'immaginazione dell'autore ma in modo così abile da non poter più distinguere cosa è vero da cosa è inventato: a titolo di esempio, la vita di Ariel Scheinermann, meglio noto come Ariel Sharon, viene narrata sin dall'inizio ed in modo dettagliato senza tralasciare il contesto sociale in cui è vissuto e che ha plasmato la sua personalità; vengono descritti tutti gli avvenimenti salienti della sua carriera politica, le decisioni e le scelte difficili e le ripercussioni sul popolo ebraico, sino alla morte avvenuta nel 2006 a causa di un'emorragia cerebrale; almeno secondo le fonti ufficiali, si sarebbe trattata di emorragia cerebrale, Schatzing invece manipola leggermente le fonti ufficiali presentandoci una versione alternativa che rende ancora più credible la sua spy story.
Ovviamente anche la versione che l'autore ci presenta di Sharon (così come di altri personaggi di spicco della politica israeliana) è assolutamente personale e forse anche politicamente condizionata, spetta al lettore decidere se condividerla o meno:
"Io convivo col fatto di essere odiato per il mio modo di agire. Altri, invece, sono amati per il loro modo di non agire. Non fanno niente, non prendono decisioni, trovano belle parole solo per ciò che tutti applaudono. E' meglio così, forse? Sicuramente è più facile. Ma questa non è la mia strada."

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    12 Dicembre, 2014
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L'abito non fa il monaco...

Lo confesso, ho sempre avuto un debole per le donne giapponesi.. purtroppo non ho mai avuto modo di conoscerne una 'dal vivo', la mia passione per loro è di natura puramente 'chimerica' perchè nata e coltivata grazie al cinema e ai numerosi film ambientati in Giappone che ho visto.
Ed ovviamente non mi riferisco alla donna giapponese in genere, perchè naturalmente non sono tutte uguali, anche in Giappone esistono diversi esemplari di donna, un pò come dappertutto credo...
C'è il modello 'manga', una sorta di velina con bollenti pruriti adolescenziali, c'è il modello 'geisha', c'è il modello 'imperiale', donna austera con notevole propensione al comando, fredda e razionale nelle decisioni, estremamente rispettosa delle regole e dei principi morali e, naturalmente, non manca neanche l'onnipresente modello 'lombrico', donna viscida, stupida, invidiosa ed approfittatrice.
Ma quello che mi affascina maggiormente è il modello 'double face', donne plasmate con ferro e seta, altro che da una costola di Adamo.. perchè dietro un visino angelico, una carnagione pallida, quasi eterea, un'apparente innocenza, nascondono un impeto, una combattività ed una volontà di reagire che quando esplode diventa incontrollabile.
Come Yayoi, una delle 4 casalinghe, giovane, bellissima, moglie fedele e madre coscienziosa, che stanca di sopportare il comportamento depravato del marito, lo uccide, con fermezza, senza il minimo ripensamento o esitazione, ritenendo quella la giusta 'punizione' per un uomo che continuava a sperperare tutti i suoi risparmi nel gioco d'azzardo e con le prostitute, senza alcun rimorso e vergogna nei confronti della moglie e della famiglia (piccola precisazione: nel titolo del libro si parla di casalinghe, forse per mettere in risalto che si tratta di donne 'comuni', nella norma, che proprio tra le mura domestiche compiono gesti di un'efferatezza fuori dalla norma; ma in realtà svolgono un lavoro da operaie nel turno di notte in una fabbrica di prodotti alimentari.. definirle casalinghe mi sembra poco appropriato, soprattutto se paragonate alle 'casalinghe' disperate del mondo occidentale...)

Poi c'è Masako, la 'mente' del gruppo, razionale, calcolatrice, si presta sin da subito ad aiutare l'amica nell'occultamento del cadavere del marito scegliendo l'unico metodo più 'sicuro': farlo a pezzi e sparpagliarlo qua e là nei cassonetti della spazzatura della città.
Solo una donna come Masako avrebbe potuto accettare un simile 'lavoro'.. non lo fa per amicizia, non lo fa per Yayoi, ma lo fa per se stessa... perchè vede in quell'occasione una porta aperta verso un altro mondo, un'altra vita, la possibilità di rivincita verso il mondo che la circonda e che l'ha umiliata, costringendola ad abbandonare un lavoro in cui credeva, in cui era la migliore, ma in cui la sua intelligenza e le sue abilità urtavano l'orgoglio dei capi, uomini poco disposti a farsi prevaricare da una donna. Per questo Masako smette di lottare, si chiude in se stessa, isolandosi da tutto e da tutti, persino dalla sua famiglia.
Sin quando Yayoi non le chiede aiuto e lei accetta senza esitare; con la fredda razionalità che la contraddistingue, organizza tutto nei minimi dettagli, coinvolgendo nelle 'attività di smaltimento' le altre due protagoniste del romanzo, Kuniko e Yoshie, le più deboli ed inaffidabili, guidando le loro azioni con la sua acuita capacità di percezione e valutazione. Del mondo, ma non di sè.

Si tratta quindi di una storia tutta al femminile, quello dell'omicidio è quasi un pretesto che la scrittrice usa per offrire al lettore uno spaccato della vita e della condizione della donna nella società giapponese, un ambiente metropolitano inquinato nell'aria ma anche dentro, negli individui che lo popolano, ciascuno con un'ombra cupa, personale, che li tormenta, che nascondono all'esterno ma che si allunga e s'infittisce nel loro animo, fin quando non prende il sopravvento manifestando tutto il loro male di vivere.
E nelle donne da sempre costrette - per un retaggio culturale vecchio di secoli - ad un atteggiamento remissivo e di totale sottomissione all'uomo, questo disagio, questa solitudine interiore accompagnata dal desiderio lacerante di opporsi, di cambiar vita, di trovare una via d'uscita (da qui il titolo originale 'OUT' del romanzo, secondo me molto più appropriato), è ancora più marcato ed evidente.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    09 Dicembre, 2014
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.. e rendersi conto che è meglio rimanere cattivi

E' il secondo libro che leggo di Hornby ed è stata una seconda gradita conferma dell'irresistibile verve umoristica di questo scrittore.
Ancora una volta la sua scrittura fluida e leggera diventa un valido supporto al talento che lo caratterizza, alla sua capacità di raccontare le stranezze, le contraddizioni e le assurdità della nostra vita quotidiana con intelligente ironia ed una punta di sarcasmo.
Per questo credo che questo libro possa essere maggiormente apprezzato da chi ha già vissuto o vive tuttora la grande avventura della vita matrimoniale, e non mi riferisco certo ai primi anni, tutti rose e fiori, baci ed abbracci, trottolino amoroso du du du da da da..
mi riferisco ad una vita matrimoniale, consolidata da almeno 5 anni, di 'stronzo/stronza' seguiti da una raffica di 'vaffanculo' urlati da una camera all'altra, di telefonate del tipo 'ti odio, ma quanto ti odio? ti faccio a pezzi, in quanti pezzi ti faccio a pezzi?', di musoni e lunghi silenzi in attesa che uno dei due si decida a fare il primo passo verso un tentativo (il meno palese possibile) di scuse, cercando magari di ricordarsi a chi è toccato farlo l'ultima volta in modo da disporre di un pretesto valido per non farlo di nuovo, sino al tanto auspicato armistizio con annesso trattato di pace siglato a letto e che sarà inevitabilmente violato il giorno dopo o, nel migliore dei casi, dopo due giorni...
Avrete quindi capito su quale spinoso argomento verte questo libro di Hornby: la vita matrimoniale, una delle tante, descritta da una certa Katie Carr, la moglie, alle prese con la classica crisi depressiva indotta proprio dalle continue diatribe e guerriglie familiari col marito David e che, ahimè, non trova conforto nè con l'arrivo di un amante nè con l'affetto dei due figli.
Voi direte, tutto qui? Sì, tutto qui: ma per me è comunque tanto, sia perchè, pur trattandosi di una tematica trita e ritrita, Hornby l'affronta in modo obiettivo, intelligente e divertente, senza mai cadere nella banalità; sia perchè fa sempre molto piacere 'leggere' su carta le sensazioni che vivi ogni giorno: ti fa capire che non sei tu l'unico a subire tutto ciò, non sei l'unico disgraziato sulla terra ad essere stato ingannato da una donna che nel primo anno di convivenza ti sembra una dea e subito dopo rivela la sua vera natura infernale (ovviamente, lo stesso discorso può essere ribaltato per le donne, ma questa è la mia recensione quindi consentitemi lo sfogo... )
E soprattutto, da uomo, devo ammettere che è esemplare il tentativo da parte di David, del marito, di evitare la sorte comune di ogni crisi matrimoniale, ossia la separazione. David decide di 'diventare buono', di imporsi una svolta caratteriale così radicale da lasciare confusa ed intontita persino la moglie che essendosi ormai abituata alla 'cattiveria' del marito perde quasi un punto di riferimento, una certezza della sua vita e cade ancor più in crisi...

"Stasera comunque è diverso. Io prendo il mio libro e David comincia a baciarmi teneramente dietro il collo; poi si rovescia sopra di me e tenta di appiopparmi un grosso bacio delirante sulla bocca, come un Clark Gable orizzontale (e, ammettiamolo, leggermente sovrappeso). E' come se avesse letto l'articolo di una rivista femminile degli anni Ciquanta su come riportare il romanticismo nel matrimonio, ed io non sono affatto sicura di volere riportare il romanticismo nel mio matrimonio. Ero abbastanza soddisfatta del sistema pigia-pulsanti di David, che se non altro aveva il pregio dell'efficienza; adesso mi sta guardando come se fosse la prima volta che andiamo a letto e stessimo per imbarcarci nel più memorabile viaggio interiore della nostra vita.
Lo allontano un pò per poterlo guardare.
"Che cosa stai facendo?"
"Voglio fare l'amore con te".
"Sì, bene, d'accordo. Facciamolo. Non c'è bisogno di tutte queste smancerie."
Mi rendo conto dell'impressione che posso dare, e la detesto, perchè non sono l'intellettuale asessuata del tipo sdraiati-sulla-schiena-e-pensa-all'Inghilterra. Ma la verità è che, se questo fosse il vecchio David, adesso avremmo già finito. Io sarei venuta, lui sarebbe venuto e le luci si sarebbero spente.
"Ma io voglio fare l'amore con te. Non solo fare sesso".
"E questo cosa comporta?"
"Comunicazione. intensità. non lo so".
Ho un tuffo al cuore. I vantaggi del raggiungere la soglia dei quaranta per me comprendono: non dover cambiare pannolini, non dover andare in posti dove la gente balla e non dover essere intensi con la persona con cui vivo.
"Ti prego, fallo a modo mio", mi chiede implorante.
E così faccio. Lo guardo negli occhi, lo bacio dove vuole essere baciato, ci soffermiamo a lungo su tutto e, alla fine (per la cronaca, io niente orgasmo), mi ritrovo sdraiata sul suo petto mentre lui mi accarezza i capelli. L'ho fatto, diciamo, ma non ne vedo la ragione. "

Questo cosa dimostra: che non è facile trovare il giusto compromesso, non è facile capirsi, perchè molto spesso si tende a far ricadere sull'altro la causa della propria insoddisfazione, del proprio malcontento che invece ha motivazioni radicate dentro noi da tempo, tenute sotto terra ma che prima o poi riaffiorano.

"Improvvisamente mi sento disperata, come ci si sente sempre quando da due alternative si passa alla scelta. Voglio tornare indietro di appena qualche secondo, a quando non sapevo che cosa fare. Perchè il punto è questo: quando ci si trova in uno stato di confusione come il mio, il matrimonio è come un coltello nella pancia, e si sa di essere nei pasticci qualunque cosa si decida.
Non chiedere ad una persona con un coltello nella pancia che cosa la renderebbe felice; il punto non è più la felicità. Qui si parla di sopravvivenza: tutto sta nel decidere se estrarre il coltello e morire dissanguati o tenerlo lì dov'è nella speranza che, con l'aiuto della fortuna, il coltello stia bloccando l'emorragia. Volete un parere medico ufficiale? Il parere medico ufficiale è: tenetevi il coltello nella pancia. Davvero. "

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    03 Dicembre, 2014
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Corvi con corvi non si cavano gli occhi...

Libro consigliatomi da un amico, origini pugliesi, come l'autore Luigi Sorrenti.
Luigi, io ho seguito il tuo consiglio.. ho immaginato.
Ho immaginato i corvi, ho immaginato un'invasione di corvi in un piccolo paesino della Puglia, ne ho immaginato le conseguenze, il terrore tra la gente, le inevitabili esasperazioni mistico-religiose, soprattutto se l'arrivo degli uccellacci neri è accompagnato da orribili omicidi ed inspiegabili raptus di follia, facilmente assimilabili a possessioni demoniache, su bambini prima sereni e tranquilli.
E mentre immaginavo, mi rivedevo bambino nel mio paesino natale in Puglia, che tanto assomiglia alla tua Spinosa (nome di fantasia, probabilmente gemellata con la Canosa di banfiana memoria), e quello che può sembrare un racconto di fantasia non mi è parso più tanto .. immaginario.
E ne sono rimasto piacevolmente coinvolto ed attratto.. soprattutto durante i primi capitoli.
Poi però qualcosa è cambiato: mentre girovagavo da spettatore silenzioso tra le strade di Spinosa, mentre ascoltavo invisibile i discorsi della gente nella piazza centrale, come se fossi un loro concittadino e non un forestiero... ad un certo punto il sogno s'è interrotto.
Ed inizialmente non riuscivo a capirne la causa... poi credo di aver intuito cosa 'stona' nel racconto: il linguaggio.
Eh già, Luigi, da pugliese doc dovresti capirmi.. non puoi far parlare un contadino, un umile cittadino di un paesino di campagna, come se fosse un professore universitario o un illustre avvocato; oppure i bambini, per quanto fossero di origini benestanti, sono comunque bambini di 10 anni che vivono in un desolato paesino distante pochi chilometri dal capoluogo ma anni-luce dal mondo ed è poco verosimile che possano esprimersi e ragionare come adulti fatti e vissuti.
... questo, secondo me, è quello che manca.. i dialoghi non sono realistici, non sono cioè calati nel contesto di quella piccola cittadina pugliese, e distruggono l'atmosfera rustica e quasi medievale abilmente costruita nei primi capitoli.
Forse qualche frase in dialetto, magari italianizzato per renderlo più comprensibile, stile Montalbano insomma, avrebbe dato quel tocco in più a tutto il romanzo.
Ed avrei anche evitato le frequenti ripetizioni... non è un teleromanzo, inutile riepilogare le puntate precedenti.
Ma nel complesso una piacevole sorpresa questo libro, con una trama originale ed un'ambientazione inusuale ma efficace e consona allo sviluppo della trama stessa.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    30 Novembre, 2014
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Io no.. ma anche sì, un pò mi rivedo..

Molto, molto gradevole questo breve romanzo di Licalzi. Il primo in ordine cronologico della sua bibliografia e credo anche quello meglio riuscito.
Niente di nuovo, in fondo: si parte con la classica storia di amore incrociato tra due coppie, molto incrociato visto che un lui è il fratello dell'altro lui, una lei è la moglie di un lui nonchè primo grande amore dell'altro lui (oltre che sua cognata) e la seconda lei s'innamora di un lui pur essendo amante dell'altro lui (fratello del primo).
Insomma, per farla breve, tra tutte le possibili combinazioni in cui i quattro protagonisti possono incrociarsi mancano solo quelle omosessuali.
La prima parte del libro, quindi, risulta veramente molto piacevole, scorrevole e divertente; tra l'altro, l'idea di descrivere una stessa situazione, per esempio la cena al ristorante tra i quattro protagonisti, esponendola dal punto di vista di ciascuno di essi evita che il racconto scada nella monotonia.

Laura: "Vaffanculo"
"Perchè le nostre conversazioni finiscono sempre con te che mi mandi affanculo?", chiedo io persino un pò seriamente.
"Me lo tiri per i capelli, e poi tra cognati è così, o ci si manda affanculo o... "
Abbassa gli occhi.
"O cosa?"
"Niente".
Li rialza, mi guarda con tono di sfida, e mentre sta per uscire dalla cucina conclude: "... E comunque tranquillo che non è il nostro caso".
Allora si vede che il nostro caso è quello di mandarci affanculo, meglio così.

A metà libro, però, la storia prende una piega drammatica, così inaspettata che pare forzata; sembra quasi sia stata decisa a posteriori, magari per aumentare il numero delle pagine che altrimenti sarebbero state troppo poche per un romanzo.
Anche perchè trasforma in tragedia quella che sembrava una commedia brillante. Tuttavia questa seconda parte del libro pur non essendo di grande spessore, forse per una certa superficialità nel tentativo di descrivere il dolore sofferto con i suoi risvolti psicologici, e pur trattando in modo forse un pò troppo sbrigativo un tema trito e ritrito come il viaggio alla ricerca dell'io perduto (o forse, in questo caso, mai trovato) riesce nonostante tutto a coinvolgere, a commuovere.
Soprattutto l'epilogo, il finale... potrebbe persino riuscire a strappare qualche lacrima, non dico a me, sia ben chiaro, ma a qualcuno dotato di eccessiva sensibilità...
O forse sarà che quando c'è di mezzo una 'principessa' ed il suo papà non posso fare a meno di immedesimarmi e le mie corde, anche quelle più dure e resistenti, vibrano come impazzite.
"Non piangere Principessa, nessuno può sapere dove vanno le anitre, perchè le anitre hanno le ali, volano via, sono libere di andare dove vogliono, è questa la loro fortuna."

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    22 Novembre, 2014
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Lei, lui .. e la noia.

Sapete cosa scrive Andrea De Carlo sulla prima di copertina?
"LeieLui è una storia d'amore", e già qui ci vorrebbe una sonora pernacchia.... poi bla, bla, bla, presentazione della trama e conclusione:
"Credo che per una lettrice o lettore sia quasi inevitabile identificarsi in uno dei due personaggi, e che questo possa suscitare in certi casi una strana alternanza di partecipazione e rabbia. A me è successo, con lei e con lui."
Invece a me sapete cos'è successo? Che l'alternanza c'è stata, ma di sbadigli incessanti con nervosismo incalzante. Perchè questo libro quando non annoia per la sua estrema lentezza, per la stupidità dei dialoghi, per l'assurdità di certe situazioni allora snerva, ti provoca un crescente senso di agitazione, quasi malessere direi, un desiderio irrefrenabile di vendetta, di tortura da perpetrare nei confronti dell'autore ripreso in bella posa sul retro della copertina.

Ma sapete cosa m'ha infastidito maggiormente in questo libro? la supponenza, la presunzione di saper definire l'amore, come se l'amore fosse qualcosa di realmente definibile, teorizzabile.
Perchè se De Carlo si fosse limitato a raccontare una storia d'amore, poco male.. l'hanno fatto in tanti, chi meglio chi peggio, al più sarebbe stata una storia come tante altre.
Lui però no, lui riempie pagine e pagine con presunte spiegazioni e deduzioni di natura filosofica ed antropologica sulle ragioni che spingono gli uomini e le donne a cercarsi per poi inevitabilmente odiarsi e respingersi, più o meno celatamente, col passare dei giorni.

E la pochezza di contenuti si riflette anche sui protagonisti, del tutto insignificanti, privi di spessore, di anima, vuoti, completamente vuoti, che si dilettano in dialoghi e battibecchi ridicoli ai limiti della stupidità, oltre che monotoni, logorroici, ogni pensiero anche il più banale viene ripetuto all'inverosimile cambiando la disposizione dei termini ma lasciando del tutto inalterato il senso; per non parlare dell'odiosa e stancante pratica dell'autore di accompagnare ogni aggettivo con un elenco lunghissimo di sinonimi.

A tutto questo aggiungiamo una "storia" d'amore del tutto scontata e prevedibile, con un lui uomo di mondo, figo, cupo, depresso ed in crisi d'ispirazione letteraria (guarda caso fa lo scrittore...) ed una lei fidanzata con un avvocato fighetto milanese, figlio di mammà, che decide di convivere con la nostra lei mandandola così in crisi esistenziale, la solita crisi trita e ritrita che potrebbe essere sintetizzata in un solo periodo ma che, ahimè, viene ripetuta in varie salse per oltre 500 pagine:

"Pensa che sarebbe un delitto rischiare di mandare in malora un percorso con un uomo affidabile conseguente di cui conosce bene qualità e difetti, per inseguire le sensazioni confuse che le ha suscitato uno di cui non sa quasi niente ma che comunque la inquieta, finire con lo schiantarsi contro un muro di delusione quasi certa...
E' convinta che la soluzione di gran lunga più giusta sia lasciar passare la turbolenza di stati d'animo che Daniel Deserti le ha smosso, aspettare che svanisca per conto suo. Le sembra semplice, anche se triste: un processo di archiviazione abbastanza naturale. Per forse venti secondi di seguito si sente quasi serena, quasi saggia, quasi in pace con la sua coscienza.
Subito dopo pensa che il vero delitto sarebbe lasciar passare l'occasione di un possibile incontro di anime, rinunciare all'intensità che ha sempre inseguito in ogni romanzo che ha letto ed in ogni canzone che ha ascoltato per rassegnarsi alla ragionevolezza della prevedibilità e della ripetizione, dell'assenza di rischi. E' ancora più inquieta di prima, attraversata da impulsi ancora più contraddittori; le sue convinzione vanno e vengono, si rende conto di non poterci fare il minimo affidamento."

Condiamo il tutto con qualche idiozia sparsa qua e là nella storia: vi pare mai possibile che una donna dopo aver mandato a monte la sua vita, dopo aver scoperto che l'uomo di cui si era follemente innamorata è in realtà un adulatore sciupafemmine, decide di mollare tutto e tutti, fugge via e all'aeroporto cosa fa? Trova un libro che le pare interessante e si mette a fare le divisioni:

"C'è anche il saggio di una psicologa dell'università di Harvard secondo cui ci vogliono almeno diecimila ore per riuscire a capire davvero qualsiasi questione o argomento. Vale per tutto, apparentemente, da un mestiere ad una lingua a qualunque altro campo dell'interesse umano. Lei si sforza di calcolare a quanti giorni corrispondono diecimila ore, ma continua a confondersi. Prova a scrivere la divisione sul quadernetto nero che ha nello zaino: sono quattrocentosedici giorni virgola qualcosa."

Detto ciò, signori e signore, vi auguro di cuore di non identificarvi mai in questo lui o in questa lei.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    16 Novembre, 2014
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R.I.P.

Non so perchè mi sia deciso a leggere questo libro. Eppure sapevo a cosa andavo incontro dalle varie recensioni che ho sbirciato, come faccio sempre, prima di scegliere un nuovo libro da leggere.
Sapevo benissimo che il tema trattato avrebbe alterato in modo drastico la mia routine.. in che senso, direte voi? Nel senso che, sin da ragazzo, ho cercato di basare la mia vita sulla filosofia dei 'compartimenti stagni',immaginando cioè ogni singolo giorno come una stanza con due sole porte, quella di ingresso e quella di uscita, la prima da varcare alle 00.01 di oggi e l'altra da varcare alla stessa ora di domani.. e non sono ammessi salti nè in avanti, perchè è inutile pensare di "progettare" la realtà come piace a noi, nè indietro, perchè:
"è impossibile rifare la realtà, devi prendere le cose come vengono. Tener duro e prendere le cose come vengono".
Ed ero certo che questo libro m'avrebbe costretto ad aprire, anzi sfondare, in anticipo (molto in anticipo), diverse porte che invece avrei dovuto varcare tra diversi anni, almeno una trentina spero...
Perchè questo libro, a parte tutte le varie metafore ed allegorie che se ne possono trarre (molto azzeccato, per esempio, il contrasto tra la passione che il protagonista nutre sin da bambino nello smontare e rimontare gli orologi nel negozio paterno e la necessità di farsi impiantare meccanismi di ogni genere, stent, defribrillatori e bypass, per poter ancora vivere il suo 'tempo'), è un libro dedicato alla morte, a quella meta comune a tutti gli uomini (everyman), anche a quelli che come me vivono a compartimenti stagni nel tentativo, quantomeno, di allontanare il pensiero del suo arrivo visto che è impossibile impedirne l'arrivo.
E se qualcuno pensasse di consolarsi ritenendo che in fin dei conti la morte è solo l'ultima delle porte, prima possono essercene molte altre da aprire, si sbaglia di grosso: perchè Roth, con uno stile maledettamente lucido, implacabile e spietato nella sua inequivocabile esposizione, ci accompagna a ritroso attraverso tutte le porte che precedono l'ultima e che riportano sulla targhetta la parola "vecchiaia".
E la vecchiaia, inutile illudersi, "non è una battaglia: la vecchiaia è un massacro": il senso di solitudine estrema, di inutilità, di emarginazione, i rimpianti ed i rimorsi, le conversazioni tra coetanei che andavano "invariabilmente a girare intorno agli argomenti della malattia e della salute, perchè a questo punto le loro biografie personali erano diventate identiche alle loro cartelle cliniche, e lo scambio di informazioni mediche escludeva tutto il resto".

Ecco perchè odio questo libro, pur ritenendolo un piccolo capolavoro: perchè ora mi costringe a richiudere tutte le porte che non dovevano ancora essere aperte... soprattutto quelle che mi spaventano maggiormente, quelle che racchiudono all'interno giorni da vivere nel ricordo e nella nostalgia di ciò che si è avuto e non si potrà più avere:

"Correva a casa a piedi nudi, bagnato ed incrostato di sale, ricordando la forza di quel mare immenso che gli ribolliva nelle orecchie e leccandosi un braccio per sentire il sapore della pelle rinfrescata dall'oceano e cotta dal sole. Insieme all'estasi di un'intera giornata trascorsa facendosi sbatacchiare dall'oceano fino a rincretinirsi, quel sapore e quell'odore lo inebriavano talmente da spingerlo quasi al punto di affondare i denti nel braccio per strapparne un bocconi di se stesso e sentire il sapore della propria carnale esistenza."

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    12 Novembre, 2014
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L'amore. Esiste, e basta.

Leggendo la trama sembrerebbe alto il rischio di ritrovarsi tra le mani uno dei soliti polpettoni nel più classico stile Harmony: la storia di una passione travolgente vissuta da una donna, Stella Raphael, moglie di uno psichiatra di origini benestanti, moralmente integro e consacrato al lavoro, verso Edgar Stark, scultore e uomo con una personalità forte ma ambigua, disturbata, detenuto per uxoricidio nella stessa struttura in cui lavora il marito di Stella.
Sin dalle prime pagine, però, s'intuisce la qualità e lo spessore di questo romanzo: l'autore affida alle parole di un altro psichiatra, collega del marito di Stella ed amico di famiglia, la narrazione e l'analisi 'medica' della malattia di Stella, una malattia chiamata amore.
Che l'amore possa essere distruttivo, che possa degenerare in follia, è noto a tutti... storie simili sono all'ordine del giorno.. in genere però si raccontano solo gli effetti, la tragica conclusione.
In questo libro, invece, ne viene mostrata la causa e ne vengono descritti i sintomi in modo chiaro, dettagliato, con rigore scientifico... e nella scienza, nella psichiatria, si confida anche per la ricerca di una cura.
Ma come si può curare con la razionalità qualcosa che nasce e s'alimenta nell'irrazionalità?

Stella è una donna bellissima, affascinante ma l'unica valvola di sfogo per il suo cuore è il figlio Charlie; il marito, troppo dedito al lavoro, a malapena la guarda. Il cuore di Stella, però, brucia... arde di una passionalità a lungo trattenuta e sul punto di esplodere.
Per questo motivo quando incontra Edgar, paziente in quello stesso manicomio che il marito di Stella ambisce a dirigere raggiungendo così l'apice della sua carriera, pur conoscendo il suo passato di uomo violento, turbato, che uccise la moglie a colpi di martello abbagliato da una gelosia immotivata, Stella non riesce comunque a frenare il suo desiderio di calore, di passione, di vita.
E poco alla volta, tutto per Stella diventa vacuo, futile, secondario.. tutto tranne Edgar. Persino il figlio, prima unico contenitore del suo amore, diventa ora un ostacolo, quasi odiato perchè riflette l'immagine del marito, di una vita senza illusioni e di una morte prematura dell'anima.
Non voglio dilungarmi ulteriormente sulla storia, ma gli spunti di riflessione sono veramente tanti. E credo che i sentimenti, gli stati d'animo descritti in questo romanzo siano condivisibili da molti, perlomeno da coloro che hanno vissuto una storia d'amore intensa, particolare, fuori dagli schemi.

"Già, l'amore" dissi. "Parliamo di questo sentimento che non riuscivi a dominare. Come lo descriveresti?". Qui Stella fece un'altra pausa. Poi, con voce stanca, riprese:
"Se non lo sai non posso spiegartelo."
"Allora non si può definire? Non se ne può parlare? E' una cosa che nasce, che non si può ignorare, che distrugge la vita delle persone. Ma non possiamo dire nient'altro. Esiste, e basta."
"Queste sono parole, Peter" mormorò Stella.

Già... parole, solo parole. E' da stupidi cercare di spiegare, di capire, di studiare, di curare l'amore. Può essere solo vissuto. Ed è significativo l'epilogo, inaspettato ed impensabile come ogni conseguenza dell'amore: la follia di Stella 'contagia' persino i 'luminari', studiosi di quella mente che non sempre è in grado di sovrastare e dominare gli istinti del cuore.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    09 Novembre, 2014
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Noir 'de noantri' ... assolutamente niente male

Cazzuto!
Si può scrivere? Va bene, lo scrivo, perché non mi vengono in mente altri aggettivi per definire meglio questo thriller tutto italiano, prima opera di Costantini e primo di una trilogia che a questo punto non mancherò di completare.
Il suo punto di forza è nel realismo della storia, non ci sono supereroi e superdetective dai poteri soprannaturali, il protagonista è un certo commissario Balistreri, uomo dalla gioventù movimentata, estremamente movimentata, visto il suo carattere ribelle, insofferente, alla ricerca di un valido ideale a cui aggrappare la sua vita, usando spesso la lotta per il suo raggiungimento come pretesto per sfogare la sua rabbia interiore,
Col passare degli anni, crollano gli ideali, gli spiriti si placano, almeno quelli più nobili, mentre s'infiammano quelli meno nobili e Balistreri si trasforma in uno sciupafemmine senza scrupoli, pronto ad appagare subito e senza troppi rimorsi ogni suo desiderio e piacere, restio ad ogni tipo di legame affettivo duraturo ed impegnativo e che non si esaurisca nel giro di una notte, massimo due.
Tutto questo sotto le apparenze 'borghesi' di un commissario di polizia, veste guadagnata in modo poco onorevole grazie alle raccomandazioni dell'onorevole fratello, sinceramente desideroso di garantirgli una 'vita' più tranquilla ed ordinata.
Ma il senso di giustizia, il suo innato desiderio di lottare contro qualsiasi forma di sopruso e prevaricazione, non si spegne mai:
"Onore, lealtà e coraggio erano ancora lì, ma come vecchi ricordi sfumati nella viscosità del reale."

E quando una giovane ragazza muore, assassinata ed abbondonata nel Tevere, gli occhi spenti e rassegnati dei suoi genitori impotenti dinanzi a questo crudele destino che ha sottratto loro l'unica figlia, accendono in Balistreri il senso di colpa per non aver dato il giusto peso a quella scomparsa ed il desiderio di non lasciare impunito quel delitto.
Questo è quanto raccontato nella prima parte del romanzo... quello che accade dopo, a distanza di anni, è un susseguirsi di eventi ben congegnati in una trama fitta ma senza facili scappatoie, e soprattuto inserita in un contesto, che è quello della capitale nei primi anni del 2000, specchio efficace e veritiero della condizione politica e sociale di quel tempo, a cavallo di tangentopoli e con i problemi sempre più pressanti legati all'integrazione degli extracomunitari.
Ed il finale, avvincente ed in crescente tensione, non è assolutamente da meno al resto del romanzo.

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A chi almeno una volta nella vita si è fermato in macchina sul lungomare vicino al pontile di Ostia in pieno inverno a parlare del più e del meno col suo migliore amico sino all'alba in attesa degli storici ed immortali krapfen alla crema...
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Gialli, Thriller, Horror
 
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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    06 Novembre, 2014
Top 100 Opinionisti  -  

Terapia intensiva post-traumatica

Agghiacciante. Un crescendo di orrore che sfocia nella follia più assurda ed atroce.
Josy, una bambina di 12 anni, scompare. Il padre, famoso psichiatra, abbandona il suo lavoro e si dedica anima e corpo alla sua ricerca, animato dalla speranza che sia ancora viva e dalla visita inaspettata di una donna misteriosa che sembra conoscere la verità.
La speranza può diventare una malattia per la mente; ma se la mente è già malata la speranza può esserne una terapia, una cura seppur momentanea e non definitiva.
Chi ha preso Josy? Nelle ultime venti pagine si susseguono uno dopo l'altro quattro possibili colpevoli con altrettanti plausibili moventi... ma la verità, la tremenda verità, emergerà solo alla fine.
Molto coinvolgente.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    05 Novembre, 2014
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L'arma del delitto? Un tridente

E' il primo libro che leggo di questa autrice e se, come si dice, il buongiorno si vede dal mattino allora c'è da sperar bene.
Perchè ritengo ci sia qualcosa di ... magnetico nel modo di scrivere di questa donna, soprattutto nel modo in cui delinea il profilo dei suoi personaggi, buoni o cattivi che siano; l'autrice infatti non indugia molto sulla loro caratterizzazione fisica quanto su quella psicologica, ma lo fa talmente bene che i lineamenti del viso e del corpo si materializzano di conseguenza.
E poi i dialoghi, lo scambio di opinioni, di riflessioni, le frequenti divergenze di pensiero.. sono tutti ben curati e costruiti, mai banali e mettono in risalto le caratteristiche peculiari della personalità dei singoli personaggi, dalla congenita tendenza del commissario Adamsberg a disassociarsi, ad abbandonarsi cioè a voli pindarici tra le nuvole della sua mente alla ricerca di quegli indizi o deduzioni altrimenti difficili per lui da individuare con i piedi per terra (come se dall'alto si vedesse meglio, riuscisse ad ottenere una più limpida visione d'insieme), sino alla logica ineccepibile e ferrea razionalità del vice Danglard, saldamente legato alla realtà dei fatti e che rifiuta categoricamente qualsiasi tipo di volo, sia della mente sia aereo...
Insomma, concludendo, mi ripropongo di leggere altre opere di Fred Vargas perchè, in fin dei conti, mi piace il suo stile.. certo il commissario Adamsberg si discosta un pò troppo dal mio modello preferito di poliziotto, quello cupo e tenebroso, sia nello sguardo sia nell'anima, propenso alla giustizia ma violento ed irascibile quando brucia dal desiderio di vendetta.. Adamsberg, invece, è quasi snervante quando si chiude in se stesso, isolandosi da tutti e tutto, seguendo la scia delle sue congetture, al riparo dai 'mostri' che imperversano sulla terra e che tentano di sbranarlo, sopraffarlo.
E poi, ho dovuto digerire faticosamente la presenza alquanto frettolosa ed azzardata di una hackeressa ultra sessantenne, stile robin hood che ruba ai ricchi per dare ai poveri... la cara Lisbeth della trilogia Millenium aveva un suo perchè, una sua storia che si dipanava ed arricchiva su ben 3 libri, oltre che l'età giusta... ma una nonnina in vestaglia e pantofole capace di 'bucare' fbi, banche e quant'altro... beh, non esageriamo.
Simpatico invece lo slang quebecchese.. m'ha ricordato Giù al Nord, versione francese originale di Benvenuti al Sud.
Ah dimentivavo.. la trama in 5 parole: poliziotto cerca serial killer cattivone.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    02 Novembre, 2014
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A catechismo con Harry Potter e Morpheus

Era da tempo che desideravo fare conoscenza con lo scrittore Paulo Coelho, considerati i pareri alquanto contrastanti che le sue opere suscitano.
Per il primo approccio ho scelto questo romanzo, uno dei primi da lui scritti e forse quello che ha riscosso maggior successo di critica.
E posso ben capire ora il motivo per cui Coelho genera opinioni così diverse tra i suoi lettori: Coelho è un predicatore, diffonde una religione personale anche se riprende e rielabora princìpi e concetti delle correnti più diffuse.
E come ogni religione, anche il 'vangelo' secondo Coelho influenza e catalizza a sè quelle persone che sono già emotivamente predisposte; come ogni religione, fa presa su coloro che hanno bisogno di 'promesse', di una guida, di una luce che possa illuminare il buio della loro esistenza e mostrare loro la strada verso la felicità di una vita serena e tranquilla, il 'tesoro', la propria 'Leggenda Personale' come viene definita.
Una religione, quindi, positiva ed ottimista che esalta l'individuo come unico responsabile del suo futuro:
"Qual è la menzogna più grande del mondo?", gli domandò, sorpreso, il ragazzo. "E' questa: che ad un certo momento della nostra esistenza, perdiamo il controllo della nostra vita, che comincia così ad essere regolata dal destino. E' questa la menzogna più grande del mondo."

E' l'uomo l'unico fautore della propria vita, tutto dipende dalle sue decisioni, dalla sua capacità di interpretare i segnali del mondo che lo circonda e che non è ostile al raggiungimento della felicità individuale, essendo essa una parte infinitesimale dell'armonia universale.
E l'uomo dev'essere consapevole delle difficoltà insite nel viaggio alla scoperta della sua 'leggenda personale' e che potrà superare solo entrando in sintonia col suo cuore, l'unico che potrà suggerirgli le scelte corrette, la strada giusta ad ogni incrocio. Anche quando sembrano scelte assurde o pericolose, e questo perchè:
"Soltanto una cosa rende impossibile un sogno: la paura di fallire".

Non siamo quindi di fronte ad una religione severa, rigida e dogmatica ed è inevitabile che faccia tanti proseliti; le parole di Coelho riscaldano lo spirito, colpiscono direttamente quelle corde dell'animo umano che hanno bisogno di vibrare per infondere energia positiva e calore, soprattutto per chi vive un periodo di stasi, di insoddisfazione e rassegnazione.
E' una religione che incanta come una favola, una storia da mille e una notte, rasserena e rilassa con la stessa dolcezza di una buonanotte sussurrata dal padre al figlio.
Ma ahimè.. non tutti si lasciano attrarre. C'è chi, come me, per quanto innegabile sia la potenza espressiva di Coelho ed il coinvolgimento emotivo che ne suscita, rimane 'ateo' nel momento in cui l'omelia di Coelho si scontra con la cruda e fredda realtà di tutti i giorni.
Ben venga come favola della buonanotte e come preambolo di dolci sogni e sicuramente meglio del catechismo cristiano, triste, cupo, popolato da demoni e peccatori mentre in quello di Coelho regna la natura, il sole, i re ed i loro tesori, il mistero della pietra filosofale e la magia delle pietre Urim e Tunim, che tanto mi ricordano le pillole blu e rossa di Matrix..
ma si tratta pur sempre di una favola, anche se per adulti, ricca di parabole calate in un'atmosfera magica e rilassante, che dal mio punto di vista forse eccessivamente pragmatico poco alletta chi decide di vivere con i piedi per terra e cerca di rimanere in piedi nonostante le difficoltà quotidiane.
Amen.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    29 Ottobre, 2014
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Una situazione fottutamente assurda...

Avete presente la serie cinematografica Scary Movie, film-parodia dei più celebri successi horror degli ultimi anni? Bene, in questo romanzo di Moore si 'respira' la stessa atmosfera canzonatrice e beffarda di quei film, tale da stemperare la tensione emotiva tipica di un racconto horror ribaltandola persino in un'esibizione di sano ed intelligente umorismo (a differenza di quei film che sprofondano molto spesso nella demenzialità).
Anzi, a dirla tutta, più che una parodia di un romanzo della letteratura horror (non saprei, infatti, individuare dei riferimenti con altre opere.. forse qualche richiamo a It di Stephen King, se non altro perchè il male sembra gradire le fogne ed i tombini), credo che Moore si diverta a burlare la Morte, quella dipinta di nero e con falce affilata, con i due compari che generalmente seguono la sua scia, Dolore e Disperazione.
E secondo me, c'è un messaggio serio, nobile e 'forte' nascosto in modo subliminale tra le righe di questo romanzo: le avventure tragicomiche di Charlie, il protagonista, come neo-assunto mercante della Morte sono solo una copertura, quasi come se fosse meglio non farsi scoprire dal datore di lavoro..
Moore vuole spronarci a non temere la morte, quella vera; a non crollare prima del tempo, ad accettarne la sua ineluttabilità con fierezza ed orgoglio, come grandi guerrieri: 'Solo preparandoti alla morte, puoi vivere veramente', dicevano i buddhisti.
Soprattutto per chi con la morte deve combattere ogni giorno, per chi sente il suo soffio sempre più vicino e preferirebbe abbassare le difese ed arrendersi, per non soffrire più, per non prolungare la propria agonia fisica e quella 'emotiva' di chi lo ama e condivide la sua sofferenza.
E quando Moore descrive il dolore che segue la perdita di una persona cara, amata, dismette per un attimo i panni da impudente umorista e sceglie le parole più dolci, toccanti e soprattutto 'sentite', sofferte: si tratta di poche righe, ma intense, brevi ma commoventi parentesi in cui Charlie ricorda i momenti più belli trascorsi con la moglie prima della sua morte prematura o con la madre a cui era molto legato.
Ma, come dicevo, Charlie ha un dovere ben preciso e non può fermarsi: evitare che le tenebre, la paura della morte, possano spegnere in ogni uomo la luce della vita...
Ed in quest'ottica, è esemplare la temerarietà ed audacia del guerriero Charlie che non soccombe e resiste coraggiosamente ad una pugnetta furente e travolgente perpetrata nei suoi confronti dalle sapienti mani di un'arpia arrapata e ninfomane, seppur poco allenate dopo millenni di inattività..
E si badi bene, Charlie non è un super-uomo, anzi è un tipico rappresentante del maschio beta:

"Il maschio beta è quasi sempre un buon papà. Tendenzialmente è equilibrato e responsabile, il genere di uomo che una ragazza (se fosse decisa a fare a meno di un salario a sette cifre o di uno sportivo con un'elevazione di novanta centimetri) vorrebbe come padre dei propri figli. Naturalmente preferirebbe non doverci andare a letto perchè questo accada; ma quando sei stata presa a calci da più di un maschio alfa, l'idea di svegliarti tra le braccia di un uomo che ti adora, se non altro perchè ti è grato per il sesso, e che ci sarà sempre (anche quando tu non sopporterai più di averlo tra i piedi), è un facile compromesso."

Quindi, se c'è riuscito Charlie, può farcela chiunque...

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    22 Ottobre, 2014
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Chiedetelo a Baricco...

Ho l'impressione che tra me e questo libro si sia instaurato un rapporto strano, ambiguo, difficile da definire.. 'sento' che mi è piaciuto ma non saprei dire perchè, non saprei individuarne la ragione.
Non so se sia dovuto alla lettura discontinua e forse poco attenta che ho avuto del libro o se sia invece un effetto tipico generato dallo stile di Fante...
certo è che sono un pò confuso, le parole non riescono a seguire i pensieri perchè sono troppo sfumati, troppo nebbiosi... Un pò come se fossi reduce da una sbronza.
E allora che dirvi? Volete sapere com'è Chiedi alla polvere? Chiedetelo a Baricco.. già, perchè da 'sobrio' trovo strepitosa la sua recensione del romanzo di Fante che fa da prefazione al libro stesso, un'analisi approfondita ed accurata la cui validità ed efficacia è ancor più evidente una volta completata la lettura del libro.
E ritengo ci sia veramente poco da aggiungere al commento di Baricco.
Personalmente ho amato molto Arturo Bandini adolescente, quello di Aspetta Primavera, mi sono rivisto in lui, nei suoi pensieri, nei suoi sogni e nelle sue paure...
in Chiedi alla Polvere Arturo è cresciuto, vive da solo in una semplice e piccola camera d'albergo, lontano dalla famiglia e dalla madre, soprattutto, a cui ancora si rivolge quando gli ultimi centesimi rimasti non gli consentirebbero di sopravvivere, e attende..
attende ancora la sua primavera, che questa volta arriva ma non senza qualche temporale... anzi, ci sarà addirittura un terremoto.
Un terremoto di nome Camilla che sconvolgerà ancor più la già traballante esistenza di Arturo Bandini, finalmente autore (seppur non ancora universalmente riconosciuto) di piccoli capolavori, primo fra tutti Il cagnolino che rise, una storia che comunque non parla di cani.
Chiedete, chiedete a Camilla perchè lo ha fatto, perchè ha ridotto in polvere le speranze del giovane Bandini, perchè lo ha illuso che poteva funzionare tra loro, perchè è tornata da lui confidando nella sua amicizia, sfruttando la sua amicizia, pur sapendo che per Arturo lei era tutto, non solo un'amica.
E chiedete, chiedete ad Arturo perchè non l'ha abbandonata al suo destino, lei non è il suo tipo, lei è completamente diversa, un altro mondo, lei non ha la sua sensibilità, lei è lontana ed è di un altro.. lei vuole passione, tu Bandini sei solo desiderio...
Arturo Bandini era innamorato.. ecco perchè.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    18 Ottobre, 2014
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Just a man and his will to survive...

C'è una canzone di qualche anno fa, Eye of the tiger dei Survivor (famosa anche perché parte della colonna sonora di Rocky 3 e 4), che recita: "Just a man and his will to survive".
Ecco, nel romanzo di Mankell, non c'è la tigre bensì il leopardo.. ma lo sguardo rimane lo stesso.. e mentre scorrono le pagine del libro, man mano che ci si addentra nel cuore del romanzo, si avverte sempre più la sua presenza, invisibile, silente ma sempre in agguato.
E' uno sguardo magico, forse perché assorbe la magia, il mistero e la forza primordiale di cui il continente africano è intriso, incanalandola poi nell'anima di chi si scontra con quello sguardo provocando una scossa ed una trasformazione incisiva nella personalità, come mai sarebbe stata possibile in altri luoghi o altre circostanze.
Il romanzo di Mankell racconta proprio questo: la metamorfosi radicale subita da un giovane ragazzo svedese, Hans Olofson, che per una serie di circostanze si trova catapultato in un mondo ostile ed affascinante allo stesso tempo come solo il continente africano può essere.
Premetto subito che ho amato questo libro di Mankell per due motivi principalmente: primo perché leggendolo ho provato spesso la sensazione di ... volare, concedetemi il termine: ero praticamente lì, con Hans, a suo fianco, sia quando ancora ragazzo vagava tra le foreste svedesi alla ricerca di se stesso sia quando, raggiunta la maggiore età, decideva di estendere la ricerca oltre oceano: la descrizione di quei luoghi è talmente precisa ed efficace da renderli tangibili, potevo vedere e sentire quello che lui vedeva e sentiva.
Poi perché penso sia impossibile non provare istintiva empatia per Hans Olofson: ciascuno di noi, infatti, chi prima chi dopo, ha vissuto quel senso di estraneità, di non appartenenza al mondo che lo circonda, di insoddisfazione e malcontento verso tutti e tutto tipico dell'età adolescenziale e che spesso sfocia in un desiderio incontenibile di evasione, senza una meta in particolare purché sia il più lontano possibile dal luogo in cui è vissuto sino allora, improvvisamente divenuto troppo angusto, quasi asfissiante, una gabbia opprimente che paralizza ogni ambizione tramutandola in velleità, in un sogno irrealizzabile:
"Oggi, la mia vita è un'escursione in giorni colorati d'irrealtà. La vivo come se non fosse nè la mia, di vita, nè quella di un altro. Non riesco e non fallisco in quello che mi prefiggo di fare."

Ma non tutti hanno il coraggio e la forza di evadere, molti soccombono, si annullano, si adeguano.
Hans invece no, non potrebbe mai farlo.. per lui l'evasione non è una possibilità, è una necessità.
Figlio di un marinaio, un avventuriero che ha trascorso la sua gioventù solcando oceani e respirando a pieni polmoni aria ricca di iodio, ha ereditato dal padre quella passione viscerale per il mare, il calore del sole e terre lontane disperse nell'immensità degli oceani, terre che sinora ha potuto visitare soltanto facendo scorrere il dito sulle cartine e mappe che il padre gelosamente conserva.
Ma Hans non ha nessuna intenzione di seguire il destino del padre che, ironia della sorte, si è ritrovato a vivere come boscaiolo in un paesino sperduto nel cuore delle fredde foreste svedesi e passa il giorno segando alberi, quasi nella speranza di scorgere il mare, quegli orizzonti azzurri che non potrà mai dimenticare: "Il mare. Un'onda verde-blu che si muove verso l'eternità."
Hans sin da piccolo sogna di sradicare l'abitazione in cui vive, togliere gli ormeggi e spingerla lungo le rive del fiume con la speranza che possa sfociare prima o poi nel mare.. e non appena l'età glielo consente non può esitare: fugge, evade.. gli basta un pretesto, assurdo a pensarci bene, il sogno non realizzato di una sua amica che diventa ora il suo sogno, la sua meta, sconosciuta, lontana ma circondata dal mare. L'Africa.
E sono queste, a mio parere, le pagine più belle di tutto il romanzo: quelle in cui si respira l'afa e la calura ed i sensi sono invasi dagli odori e colori del continente africano. Mankell riesce in modo impeccabile a farci vivere il viaggio di Hans in prima persona, le sue paure, i suoi dubbi, il senso di smarrimento inevitabile che avverte nel momento in cui sbarca dall'aereo che lo ho portato sin lì, in un mondo completamente diverso da quello in cui viveva ed in cui non è facile adattarsi, perché è un mondo abbandonato a se stesso, senza un ordine, senza un'organizzazione, dove la civiltà sembra congelata in uno stato primitivo e lui, uomo bianco nella terra dei neri, non può fare a meno di sentirsi odiato, additato, discriminato.
"Qui va tutto per il verso contrario, pensa. Se qualcuno pulisce, lo sporco si diffonde ancora di più."

Per questo le convinzioni di Hans traballano, quella che prima gli sembrava una necessità, quasi un obbligo nei confronti di se stesso, l'unico modo per crescere e costruire il suo futuro, adesso gli sembra una pazzia.
Poi un giorno, per una combinazione di eventi, Hans incrocia gli occhi del leopardo.. ed allora assume la consapevolezza di come il suo destino sia quello di vivere e morire in quella terra.
Non può fuggire, non può arrendersi perché se lo fa ora lo farà per sempre.. si rialza, rinasce e costruisce la sua nuova casa e la sua nuova vita, nel cuore del continente africano, dove gli ultimi coloni bianchi sentono sempre più forte il desiderio di indipendenza dei neri e di cui ne avvertono le sfumature sempre più marcate di odio, insofferenza e quasi vendetta per la condizione di schiavitù sino ad allora subita.
Ha paura, Hans, per la sua vita ed il suo futuro.. solo in un paese ostile, accecato da anni di soprusi e che non può dimenticare l'umiliazione a lungo perpetrata... a poco servono le buone intenzioni di Hans, il suo desiderio di ridare dignità e non solo libertà ad un popolo allo sbando, del tutto incapace di gestire l'indipendenza acquisita almeno sulla carta.
Ma la metamorfosi è compiuta ormai e guardandosi allo specchio Hans vede riflesso lo sguardo del leopardo.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    15 Ottobre, 2014
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Ci sono frasi non dette nel cuore degli uomini...

Una volta, da piccolo, avevo circa 8-9 anni, fui rimproverato da mia madre.. in realtà accadeva spesso ma ricordo ancora bene quest'occasione.. perchè fu un rimprovero veramente ingiusto.
Mio fratello, un anno più piccolo di me, aveva volutamente rimosso la sedia mentre mia nonna si stava sedendo provocandone una caduta inesorabile, per fortuna attutita solo dal suo sedere ben in carne e quindi sufficientemente elastico..
Tuttavia, la povera nonnina accusò il colpo e quando mia madre tornò dal lavoro, già inviperita per fatti suoi, apprendendo la tragica notizia si precipitò nella mia cameretta e mi rimproverò sonoramente con sberla annessa ben calibrata senza neanche darmi il tempo di dire 'buongiorno mamma, com'è andata la giornata al lavoro?'
Questo perchè la cara nonnina, nel suo resoconto dei fatti, aveva genericamente indicato il colpevole come 'Quel delinquente di tuo figlio !!'
E mia madre, che di figli ne ha 3, dopo averne giustamente rimosso uno dalla lista degli indiziati perchè essendo duenne a malapena si reggeva in piedi, concluse erroneamente che l'artefice della malefatta fosse il sottoscritto data la mia propensione verso atti così scellerati e considerata la natura angelica del fratello secondogenito.
Ignorando che, talvolta, anche agli angeli spuntano le corna e la coda.. come troppo tardi ammise anche la cara nonnina.
Ricordo, però, benissimo che in quell'occasione io rimasi in silenzio.. non cercai di difendermi neanche con la frase canonica "Non l'ho fatto apposta" sin quando mia madre non venne a conoscenza della verità per poi scusarsi a modo suo con la solita frase 'Vuol dire che questa punizione vale per la tua prossima marachella'... già, perchè nella nostra famiglia non si buttava via niente, neanche le punizioni ingiuste..
Dopo aver letto questo libro, ho rivissuto quel momento come fosse avvenuto ieri... perchè sono rimasto colpito dalla precisione ed accuratezza con cui l'autore spiega quel silenzio, il silenzio di un bambino vittima come me di un rimprovero non meritato da parte della madre, e che potrebbe avere tante sfumature, tante giustificazioni tra cui la seguente:
"Una volta mi accusasti a torto ed io non riuscii a replicare. Non fu solo la sorpresa, non solo l'inciampo della balbuzie che raddoppiava consonanti sotto il palato. Passato l'istante di sgomento continuai a tacere, a non discolparmi. Mi feci schermo del difetto fisico per conservare quella strana emozione d'amor proprio che consisteva nell'innocenza segreta. Non mi incitò il tuo errore ma la circostanza sconosciuta di essere in un rimprovero ingiusto. Non mi augurai che venisse fuori la verità, come accadde poi, ma che durasse la estraneità interiore che si rafforzava col tacere.
Si cresce tacendo, chiudendo gli occhi ogni tanto, si cresce sentendo d'improvviso molta distanza da tutte le persone."

E credo consista in ciò la forza di questo romanzo: tutti da piccoli siamo stati rimproverati dai genitori; tutti abbiamo detto "Non l'ho fatto apposta".. ma quanti sono in grado di raccontare il motivo di quella risposta, una risposta che sembra scontata, quasi automatica direi, ma che può nascondere una miriade di motivazioni, di sentimenti, di frasi non dette e soffocate nel silenzio di un broncio.
Considero eccezionale la capacità dell'autore nel descrivere questi stati d'animo, così fuggevoli, tanto difficili da limitare in un recinto di parole: De Luca invece ci riesce in modo magistrale e lo fa con uno stile narrativo, con un linguaggio che arriva dritto al cuore.
Impossibile non rimanerne affascinati.
Io credo che l'autore di questo libro abbia un dono, un potere speciale: riesce a 'congelare' (per poi analizzarle dettagliatamente) quelle sensazioni e quei pensieri che in genere scorrono rapidi nella nostra mente e che condizionano nell'arco di un istante il nostro comportamento. Molti di questi passano e non lasciano tracce, altri rimangono sotterrati come radici in quegli eventi che da essi sono scaturiti e che sono diventati poi ricordi nella nostra mente.
Ma anche nel ricordo, difficilmente riusciamo a focalizzare la nostra attenzione su quel pensiero scatenante; perchè quasi sempre è un impulso, un lampo scatenato dall'istinto, non certo dalla più pacata e lenta razionalità.
De Luca, invece, è in grado di catturare anche quell'impulso, portarlo alla luce, dilatarlo e soprattutto descriverlo.. per questo il racconto di un'infanzia diventa straordinario nelle sue mani, anzi nelle sue parole. Ed accade che singoli episodi, poche immagini della sua memoria si dilatano espandendosi a ritroso sino a scoprire quel pensiero, quell'impulso.
E' una capacità che invidio tantissimo: De Luca parte da un'immagine, una fotografia, per rielaborare, ricostruire e spiegare il rapporto tra un bambino, schivo, balbuziente ma dotato di una particolare sensibilità, e la madre, presenza costante ed autoritaria nella sua vita, amata ma nello stesso tempo giudicata incapace di capirlo, di vedere in lui il figlio ricevuto e non quello desiderato.

Non posso fare a meno, quindi, di considerare quest'opera di De Luca come un piccolo capolavoro: perchè trovo estremamente difficile dare luce a tali stati d'animo che rimangono spesso sepolti in un angolo buio della nostra mente e del nostro cuore ma certamente De Luca ci riesce in modo magistrale.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    12 Ottobre, 2014
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Facciamo l'amore, non la guerra...

Mi chiedo: cosa sarebbe stato questo romanzo se non fosse stato scritto da un dominicano ma da un russo, per esempio? Una tragedia, credo, una storia dai toni tristi e cupi.. eh sì.. perchè dovete sapere che la vita di Oscar Wao è stata certo breve come recita il titolo ma tutt'altro che favolosa, una vera e propria odissea che solo un dominicano può giudicare come 'meravigliosa' e descrivere di conseguenza senza sfociare mai nel vittimismo... forse perchè i dominicani, un pò come i brasiliani, hanno nel sangue la gioia di vivere, l'ottimismo, la musica, il mare e .. perchè no.. scopano, selvaggiamente ed allegramente, senza troppi pensieri..
E allora sì che la vita di Oscar Wao diventa favolosa, "una meraviglia": pur essendo un personaggio inventato, la sua storia potrebbe essere comune a quella di molti altri dominicani vissuti nello stesso periodo, ossia verso la fine degli anni '60 quando Santo Domingo è sotto la dittatura di Trujillo, subendone così le ingiustizie, i soprusi e la violenza spesso gratuita ed ingiustificata.
Una dittatura che s'impone eliminando con la forza ogni tentativo di ribellione, spoglia i poveri rendendoli ancor più poveri, privandoli di tutto, persino dei loro sogni nel momento in cui la speranza di un futuro migliore s'infrange contro il muro di terrore con cui Trujillo fortifica il suo potere isolando la repubblica dominicana dal resto del mondo ... tanto da rendere la fuga da quella fortezza l'unica ancora di salvezza, l'unica possibilità di cambiamento.
Non è facile vivere in un mondo come questo... in fondo il problema di Oscar è il minore tra tutti, lui teme solo di rimanere l'unico dominicano a non aver mai assaporato il toto (*).. ma provate a leggere le vicende che hanno segnato la vita di tutti i componenti della sua famiglia, la sorella Lola, la madre sino ai suoi nonni... sembra quasi che il fukù (**) si sia abbattuto su quella famiglia, ma non è il fukù... è solo la vita di tutti i giorni a Santo Domingo ai tempi del jodido (***) Trujillo.
Però sono dominicani loro, resistono, soffrono ma non demordono perchè amano troppo la vita, la libertà ed inseguiranno sino alla fine i loro sogni.
Una grande lezione di vita, direi.
Per questo consiglio vivamente questo libro; effettivamente risulta un pò ostico nella prima parte, forse perchè abbondano le espressioni in lingua madre non sempre tradotte nelle appendici finali ed i frequenti riferimenti a giochi di ruolo e fumetti fantasy di cui Oscar è un grande appassionato. Ma credetemi, vale la pena leggerlo sino alla fine.

Glossario:
(*) toto: fica
(**) fukù: sfiga, malocchio
(***) jodido: fottuto

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A chi da piccolo vedeva gli Erculoidi in tv... incredibile, ma li trasmettevano anche a Santo Domingo...
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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    07 Ottobre, 2014
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.. e nessuno provi a spegnere la luce...

La chiave di lettura di questo romanzo credo sia proprio tra le sue pagine: "il buffo è l'unico modo veritiero di raccontare una storia triste".
All'inizio ci si lascia coinvolgere dall'umorismo e dalla strampalaggine dei protagonisti: il giovane Alex in qualità di interprete, suo nonno in qualità di autista ed una cagna in calore e scorreggiona assunti dal giovane scrittore americano Jonathan Safran come guide in un viaggio nei meandri dell'Ucraina alla ricerca di una donna ritratta in una foto e che lo scrittore vorrebbe conoscere e ringraziare per aver salvato suo nonno durante un attacco dei nazisti.
E il racconto è a tratti esilarante sia perchè affidato al vocabolario eccentrico del giovane interprete Alex con ambizioni da scrittore sia per la stravaganza che caratterizza i personaggi la cui convivenza 'forzata' durante i primi giorni del viaggio dà sfoggio a dialoghi molto spassosi.
Poi però il viaggio nel presente s'intreccia col viaggio nel passato; la meta è la stessa, il villaggio in cui è vissuta la donna della foto, ma mentre i tre (anzi quattro con la cagna) si avvicinano a destinazione seguendo i passi lenti e quasi funerei dell'ultima superstite, l'altro viaggio procede parallelo nel passato per spiegare a tutti - illuminare le menti - il motivo per cui quel villaggio ora non esiste più, completamente cancellato.
Perchè ogni cosa DEVE essere illuminata, non è giusto oscurare alla memoria i ricordi, anche quelli più laceranti, della propria vita nella speranza che questa cecità della mente possa alleviare il dolore dell'anima.. più si cerca di non ricordare il passato, più il passato spinge per riaffiorare. Vero, verissimo.
Ma se continuo così questo commento rischia di diventare troppo serio e cupo e non sarebbe certo di gradimento per il buon Alex anzi, come direbbe lui, potrebbe indurre molti a 'fabbricare tante zeta' o 'cacare mattoni' (mi fanno impazzire questi modo di dire, è chiaro cosa significhino, vero?)

Mi permetto solo di dare un consiglio a chi sia intenzionato a leggere il libro di Foer: non soffermatevi troppo sul perchè, cercate piuttosto di apprezzare cosa e come viene scritto: indubbiamente non è un libro facile da portare a termine soprattutto quando, giunti a metà, il viaggio nel passato e quello nel presente sono ben avviati ma sfuggono i legami, le possibili relazioni e gli eventuali punti di incontro. Insomma è facile perdersi, rimanere spaesati... proprio come accade ai protagonisti quando sono a pochi chilometri dalla destinazione.

Ho quindi preferito pensare che i due viaggi fossero due racconti distinti, senza sforzarmi di trovare nessi tra i due ma lasciandomi emozionare dalla poesia di alcune pagine, dal potere devastante dei ricordi che affiorano e delle parole che li raccontano, talmente evocative da non richiedere alcuna punteggiatura, alcun freno alla loro travolgente intensità.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    03 Ottobre, 2014
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Gli italiani non si smentiscono mai....

Non perde smalto Enrico Pandiani nella difficile impresa di dare un seguito degno di nota alla saga de 'Les Italiens', forse una delle migliori nel panorama del genere noir all'italiana.
Ritroviamo quasi tutti i componenti 'storici' della Brigata Criminale di Parigi, denominata Les Italiens, per l'origine che li accomuna e per il loro temperamento tipico del nostro bel Paese.
Naturalmente non poteva mancare il commissario Jean-Pierre Mordenti, che in questa avventura dà ampio sfoggio delle sue doti di dongiovanni imperterrito e della sua maestria nell'arte seduttoria più che del suo istinto investigativo.
Tanto più che la 'preda' femminile di turno si mostra alquanto reticente e diffidente oltre che esperta conoscitrice dei limiti della specie maschile:
"A voi uomini il buon dio ha dato la testa e l'uccello ma non sufficiente sangue per far funzionare entrambi."
Ma la simpatia ed il savoir faire del commissario sono armi troppo affilate che riescono a far breccia anche nella corazza più resistente.
Allo stesso modo con cui l'umorismo sfrontato e le metafore fantasiose con cui Pandiani arricchisce il suo racconto risultano sempre vincenti, riuscendo a rendere piacevole e mai noiosa la lettura del suo romanzo.
A questo si aggiunge una trama ben ideata, incentrata su una serie di omicidi, in primis quello del senatore Vigoureaux, eroe della Resistenza, seguito da altre vittime apparentemente non legate tra loro ma che nel corso delle indagini si riveleranno invece unite da un patto criminale architettato diversi anni prima, ai tempi della seconda guerra mondiale. Un patto le cui atroci conseguenze hanno lasciato un segno indelebile nella memoria e nell'anima di 'Babar', un killer feroce temprato dalla guerra ed assetato di vendetta.

In conclusione, tutto ciò costituisce un ottimo pretesto per non lasciarsi sfuggire queste 'pessime scuse per un massacro'...

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    30 Settembre, 2014
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C'era una volta in Libia...

Interessante secondo capitolo della trilogia noir di Roberto Costantini iniziata con 'Tu sei il male': trama alquanto complessa e ricca di intrighi di ogni tipo, passionali, religiosi e persino politici con infiltrazioni mafiose... insomma ce n'è per tutti i gusti.
E quando c'è troppa carne sul fuoco è facile che si bruci troppo e l'arrosto non sia più saporito... Fortunatamente, invece, la prima parte del romanzo di Costantini, ambientata nella Libia degli anni '60 ed incentrata sul racconto della vita adolescenziale del protagonista, il futuro commissario Mike Balistreri, funge da ottimo prologo per le vicende di cronaca nera descritte nella seconda parte del libro, amalgamando bene tutti gli ingredienti tipici del genere noir con un risultato sicuramente soddisfacente.
Tra l'altro la prima parte del romanzo, condita da un'accattivante descrizione di Tripoli e del paesaggio nord-africano, un continuo alternarsi di sabbia e mare, caldo e pioggia, bene e male, rappresenta forse il punto di forza di questa seconda opera di Costantini che altrimenti sarebbe stata sin troppo simile al primo capitolo della trilogia; offre, inoltre, al lettore la possibilità di conoscere più a fondo il commissario Balistreri, portando alla luce gli episodi drammatici che hanno segnato la sua adolescenza, sino a renderlo quell'uomo cinico e disinteressato, come già conosciuto in 'Tu sei il male'.
Una curiosità per concludere: anche se forse è solo una mia impressione, leggendo la prima parte del romanzo mi è sembrato di rivedere alcune scene del capolavoro di Sergio Leone, C'era una volta in America: i 4 amici, il loro patto di sangue e di eterna amicizia, i soldi conquistati anche con mezzi poco leciti, il potere, le donne, l'ambizione... c'è persino il salto in mare dal pontile, questa volta non in macchina ma in moto: "Ci facciamo un bagno?"

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    27 Settembre, 2014
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Non stuzzicate il pesce che dorme...

"Poi DIO disse: «Brulichino le acque di moltitudini di esseri viventi, e volino gli uccelli sopra la terra per l'ampio firmamento del cielo».
Così DIO creò i grandi animali acquatici e tutti gli esseri viventi che si muovono, di cui brulicano le acque, ciascuno secondo la propria specie, ed ogni volatile secondo la sua specie. E DIO vide che questo era buono.
E Dio li benedisse dicendo: «Siate fruttiferi, moltiplicate e riempite le acque dei mari, e gli uccelli si moltiplichino sulla terra».
Così fu sera, poi fu mattina: il quinto giorno. "

Questo era nella mente di Dio tanto tempo fa... poi però Dio ha creato anche l'uomo che, da gran maleducato, non solo ha invaso spazi che non erano destinati a lui ma ha anche contaminato, inquinato ed avvelenato ciò che di buono Dio aveva creato.
E Schatzing nel suo libro, dal chiaro stampo apocalittico, ci racconta cosa potrebbe accadere se gli abitanti del mare, da quelli più noti a quelli meno noti e catalogati, decidessero di rivendicare i loro diritti di esseri viventi al pari dell'uomo, anzi forse addirittura superiori a quelli dell'uomo visto che essi sono stati creati .. un giorno prima.
In effetti, ho ridotto ai minimi termini una trama che si dipana su più di 1000 pagine e che comunque affronta diverse tematiche da quelle più strettamente connesse al degrado ambientale a quelle più 'filosofiche' legate al ruolo che l'uomo occupa nell'universo, inteso non solo come spazio intergalattico ma anche come abisso sottomarino.
Già, perchè a pensarci bene, l'ignoto non è solo oltre le frontiere mai raggiunte dall'Enterprise ma è anche a 20000 leghe sotto i mari... e l'uomo sarebbe pronto a considerare come essere 'intelligente' un'alga o un batterio unicellulare al pari di quanto potrebbe fare con ET? Per non parlare poi dei risvolti sulla faccenda di carattere teologico: se l'uomo non è più al centro dell'universo e non è solo, come potrebbe la Chiesa spiegare che esiste un solo Dio, quello degli uomini ed in cui gli uomini dovrebbero credere? E Gesù sarebbe morto sulla croce per i peccati degli uomini o anche per quelli di ET?
Insomma, "Il quinto giorno" non è un semplice romanzo di fantascienza: seppure siano evidenti durante la lettura i riferimenti, neanche tanto celati, a film come Contact o Abyss, l'autore arricchisce il suo racconto con spiegazioni molto dettagliate ed approfondite di diversi fenomeni e teorie, dalla biologia alla genetica, dalla meccanica alla geologia, tanto da far sembrare il tutto molto scientifico e poco 'fantascientifico'.
Certo, molti potrebbero annoiarsi ed abbandonare quest'avventura sin dalle prime pagine in quanto la tensione raggiunge l'apice solo verso la fine; io stesso, per esempio, ho trovato troppo ed inutilmente dispersivi i capitoli dedicati alla descrizione di alcuni personaggi e delle loro 'vicende personali'...
Ma, in compenso, gli amanti del mare ne rimarranno affascinati.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    25 Settembre, 2014
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Chi è il lupo e chi l'agnello?

Che delusione!
E' anche vero che c'era ben poco da attendersi da questo Saramago ormai quasi novantenne che rispetto a quello settantenne, autore del Vangelo secondo Gesù Cristo, ne ha mantenuto intatto solo lo stile narrativo, caratterizzato sempre da periodi molto lunghi e con un uso quantomeno originale della punteggiatura, ma sempre molto ben costruiti, accurati e ricercati nella scelta dei termini.
Perchè in quest'opera, che nella trama ripercorre alcuni degli episodi più famosi dell'antico testamento, c'è solo cattiveria, rabbia, odio verso un Dio ignobile e crudele che sembra quasi godere della sua malvagità, spesso gratuita ed insensata, perpetrata verso gli uomini.
Anche nel vangelo la 'figura' di Dio veniva rivisitata e ribaltata, rispetto a quella sponsorizzata dalla chiesa cattolica, di padre severo ma buono; ma nel vangelo Saramago esponeva il suo punto di vista in modo più lucido, più cauto, sollevando dubbi ed offrendo spunti di riflessione.
Qui invece no; Saramago, nella persona di Caino, sputa fuori tutto il suo disprezzo verso quel Dio che egli non ama e non accetta ed al cospetto del quale non vuole sottomettersi, quello stesso Dio che per un suo capriccio costringe Caino a macchiarsi dell'omicidio del mite fratello Abele, che tanto mite però non era, lo stesso Dio che nella sua furia distruttrice travolge Sodoma e Gomorra con tutti i bambini che ci abitano la cui unica colpa è quella di dimorare nello stesso luogo in cui vivono i loro padri dalle strane tendenze sessuali. O lo stesso Dio che si diverte a far scommesse col diavolo puntando sulla rettitudine di Giobbe solo per il piacere di dimostrare la sua superiorità al suo pari-grado.
Ho letto esclusivamente un intento dissacratorio in quest'opera, una blasfemia questa volta gratuita e banale che ne sminuisce molto il valore, a mio parere.
Sembra quasi il grido di rabbia di un uomo che ormai sente vicina ed inevitabile la fine dei suoi giorni e chissà... forse ha paura di ciò che ci sarà dopo.

Anche la descrizione ai limiti del pornografico delle prestazioni da macho di Caino, sembrano eccessive, inutili e fuori luogo nel contesto narrativo... altro sintomo di senilità galoppante?

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    24 Settembre, 2014
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Tienes mi alma en tus manos..

Il potere del cane ha travolto anche me... ne sono rimasto letteralmente sopraffatto. Un'opera grandiosa, dalle tinte marcatamente noir, che attraverso una trama ben congegnata e complessa si snoda nel tempo e nello spazio coprendo diversi anni e diversi luoghi dell'America, dalle strade di New York a Città del Messico, sino al Brasile ed alla giungla amazzonica. Una storia di violenza, di malvagità, di corruzione, di avidità e di potere, il potere del cane appunto.
Non è facile districarsi tra la miriade di personaggi che vengono presentati e tra le vicende storico-politiche, le rivoluzioni e le guerriglie civili che fanno da sfondo alla lotta senza tregua e senza scrupoli di un poliziotto americano, Art Keller, contro il traffico internazionale di droga ed in particolar modo contro il suo principale rappresentante Adan Barrera, prossimo erede al trono dei narcos messicani.
Ma lo stile di Winslow è talmente coinvolgente ed immediato che le pagine di questo libro (e non sono poche) scorrono nella mente con la stessa velocità dei fotogrammi di una pellicola, leggendo il libro si ha come la sensazione di guardare un film, un mix tra Scarface e Traffic, adrenalico, violento, indimenticabile.

"L'Hotel Golden West. RSC - Residence con Servizi in Comune. Raccatta i tuoi Stracci Coglione.
Ultima fermata prima del foglio di cartone in strada, o del tavolo all'obitorio.
Perchè all'Hotel Golden West le pensioni di vecchiaia e di invalidità, gli assegni della (Im)Previdenza Sociale, i sussidi di disoccupazione, si trasformano in stanze d'affitto. Ma appena finiscono i soldi, Raccatta i tuoi Stracci, Coglione. Spiacenti, nonnetti: vi aspetta la strada, il cartone, il tavolo dell'obitorio. I più fortunati crepano nella loro stanza. Non hanno pagato l'affitto, oppure il lezzo della decomposizione filtra da sotto la porta sino a soverchiare quello del disinfettante, e così un riluttante addetto alla reception si copre il naso con un fazzoletto ed apre con il passepartout. Si chiama l'ambulanza che compie il solito percorso, senza fretta, ed un altro vecchio fa il suo ultimo viaggio in barella, perchè ormai il sole della sua vita è tramontato per sempre al Golden West. "

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    16 Settembre, 2014
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Ai confini della realtà

Devo confermare la stessa impressione che ho avuto leggendo 'Cortesie per gli ospiti': questi romanzi sembrano episodi di 'Ai confini della realtà', una serie televisiva di qualche anno fa caratterizzata da storie che nascono nel mondo reale, in un contesto del tutto normale e quotidiano, per poi subire un'evoluzione progressiva verso una condizione al limite della follia, dell'orrore.
E la similitudine è ancor più evidente considerando la brevità di questo romanzo: così come quegli episodi riuscivano a concentrare in 30 minuti la potenza espressiva di un intero film, così Mc Ewan in poco più di cento pagine riesce a condensare in modo mirabile una storia ai 'confini della decenza', depurandola da inutili fronzoli ed incanalando una sensazione di crescente depravazione e morbosità nei gesti quotidiani e nei dialoghi asciutti ma efficaci tra i protagonisti di questa torbida vicenda.
Ecco.. torbido è l'aggettivo giusto per definire questo romanzo, torbida come diventerebbe l'acqua di un acquario se da un giorno all'altro nessuno si prendesse più cura dei pesci all'interno.
Una famiglia, come tante altre, un padre, una madre e quattro figli: Tom, il più piccolo, Sue, Jack e Julie, la figlia maggiore ormai adolescente.
Ma già dalle prime pagine si percepisce qualcosa di strano, di anormale nei loro atteggiamenti.. sensazioni che l'autore lascia solo intuire, volutamente non dettaglia oltre, non approfondisce.. ed il mondo esterno fa solo da cornice, un panorama desolato e triste con edifici crollati, rovine disabitate quasi a preannunciare il destino di quella che sembra l'ultima famiglia superstite sulla faccia della terra.
La morte di entrambi i genitori per malattia è l'evento che trasforma l'esistenza dei quattro ragazzi rimasti orfani in un'inesorabile discesa verso l'abiezione, la perversione, il sudiciume fisico e morale.
Come quattro pesciolini abbandonati in un acquario.
E l'autore accresce questa sensazione creando un'atmosfera claustrofobica, fetida e nauseabonda che avvolge i protagonisti e la casa in cui vivono.

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Sconsigliato a chi crede che la famiglia del mulino bianco esista davvero ..
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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    14 Settembre, 2014
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Mai fidarsi delle apparenze...

Ottimo.. quando l'autore di un thriller riesce a spiazzare in questo modo il lettore, a mio parere, merita senza dubbio un giudizio a pieni voti.
Tanto più se la trama per nulla banale e scontata viene esposta con uno stile molto efficace nel mantenere sempre alta la tensione e soprattutto adeguato nella presentazione dei diversi personaggi del romanzo, la cui personalità è tratteggiata in modo essenziale, senza inutili divagazioni, ma completo e tale da renderli 'vivi' (o forse sarebbe meglio dire 'in carne ed ossa', perché non molti rimangono vivi a lungo...)
Ogni dettaglio ha la sua importanza e nessun particolare nel racconto è lasciato al caso.
Alex, la protagonista, ha diverse 'sfaccettature' (consentitemi il termine ma non è facile esprimere un giudizio su questo libro evitando di svelare aspetti importanti della storia), mille volti, mille nomi e tanto dolore alle spalle.
E' impressionante come il sentimento di chi legge verso Alex possa mutare progressivamente man mano che si procede verso il finale.
Parallelamente cambia anche la percezione del lettore verso la violenza e la brutalità delle 'torture' descritte: prima si prova ribrezzo per la crudeltà con cui Alex viene picchiata e rapita, quei calci e pugni nello stomaco si sentono e fanno male sulla propria pelle, poi tale violenza diventa quasi legittima, una giusta punizione si potrebbe pensare; segue un altro colpo di scena e la violenza diventa ancora una volta spregevole quando perpetrata senza alcun apparente motivo ed in modo 'seriale', per poi essere nuovamente giustificata se non addirittura condivisa: la violenza come unico mezzo per ottenere una giustizia insperata, per arrivare là dove la legge non potrebbe spingersi e per infliggere quella punizione che nessun tribunale potrebbe mai garantire.
Insomma, una violenza eccessiva ma non gratuita, non fine a se stessa... rientra nell'inganno costruito dall'autore.. mai fidarsi delle apparenze, mai giudicare a freddo, perché il ruolo di 'vittima e carnefice' si confondono e si intrecciano in una spirale di atrocità, tanto da non poter più distinguere l'uno dall'altro.
Almeno sino al finale, davvero magistrale.

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Uomini che odiano le donne
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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    12 Settembre, 2014
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Sogno o son desto?

Chi è il sognatore? Non è colui che sogna, che subisce passivamente i sogni, incoscientemente, tanto da perderne ogni traccia il mattino dopo al risveglio; il sognatore è colui che costruisce sogni, ad occhi aperti, perfettamente cosciente. E' quello che oggi, in certi contesti, potrebbe essere definito un architetto virtuale.
Il sognatore prende spunto da un piccolo particolare, uno sguardo, una frase, un'immagine ed edifica sopra un mondo parallelo, e lo popola con i fantasmi della sua mente, ombre con sembianze tratte dalla realtà ma con un'anima plasmata dai suoi desideri o dalle sue paure e con cui egli potrà interfacciarsi per appagare le sue voglie o per placare la sua angoscia.
Ma tragico e crudele è il destino di un sognatore: perché quel mondo effimero che gli dona felicità e conforto inevitabilmente crollerà con la stessa velocità con cui è nato, lasciando nel sognatore ferite profonde, vuoti sempre più difficili da colmare mentre la realtà, quella vera, gli sembra sempre più lontana, più estranea. E la sua anima soffre, vuole di nuovo evadere, è una dipendenza incurabile:

"Frattanto l'anima chiede e vuole qualche altra cosa! E invano il sognatore fruga nelle sue vecchie fantasticherie, come nella cenere, cercando in questa cenere non fosse che una piccola scintilla, per ravvivarla, e con una fiamma rinovellata riscaldare il cuore intirizzito, e risuscitare in esso tutto ciò che vi era prima di così bello, che toccava l'anima, che faceva ribollire il sangue, che strappava lacrime dagli occhi e ingannava con la sua magnificenza!"

E' veramente impeccabile, direi quasi scientifica, la descrizione minuziosa che l'autore offre del sognatore... ed è incredibilmente attuale.
Ritieniti fortunato (o forse no), caro Dostoevskij, per essere vissuto nell'Ottocento... non è facile la vita di noi sognatori nell'era di internet... prova ad immaginare cosa la nostra mente possa costruire sopra i pilastri di un avatar, una foto o (perché no?) una frase, un commento su facebook per esempio..
E quando chiedi:

"Lo credereste, guardandolo, che in realtà egli non ha mai conosciuto colei che tanto ha amato nelle sue esaltate fantasticherie? Ma è mai possibile che l'abbia vista soltanto tra i suoi seducenti fantasmi e che questa passione se la sia soltanto sognata? E' mai possibile che non abbiano trascorso con la mano nella mano molti anni della loro esistenza: soli, loro due, dopo aver respinto da sé tutto il mondo e avere riunito ciascuno il proprio mondo, la propria vita con la vita dell'altro?"

io ti risponderei "SI", diamine, ci credo e ti assicuro che dopo circa 200 anni questo è ancora possibile.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    11 Settembre, 2014
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Un'agopuntura di stelle sulla pelle...

"Conoscevo gli adulti, tranne un verbo che loro esageravano ad ingrandire: amare."
Quanto è vero! Lo ingrandiamo e ne facciamo un uso smodato, ne abusiamo svilendone poi la forza e l'intensità. Io per primo.
Mai però avrei pensato di rivolgerlo ad un uomo, neanche fosse mio padre. Dopo la lettura di questo libro, invece, potrei benissimo affermare: io amo Erri De Luca.
Non saprei, infatti, trovare un verbo migliore per esprimere quello che provo verso l'autore di questo libro straordinario; vi sembrerà un'esagerazione forse, ci sono tanti altri verbi a disposizione, ammirare, adorare, apprezzare.. ma non è così, non sarebbero altrettanto efficaci.
Perché solo il verbo 'amare' è sinonimo contemporaneamente di gioia e sofferenza, di passione e tormento, racchiude gli antipodi e per questo è l'unico in grado di scuoterti dentro, di solleticarti le budella per poi torcerle con spasmi e fitte di dolore..
"Non è una serenata al balcone, somiglia ad una mareggiata di libeccio, strapazza il mare sopra, e sotto lo rimescola."
Ed è proprio questa la sensazione che ho provato leggendo e rileggendo le pagine di questo libro: un susseguirsi tumultuoso di piacevoli ricordi, dolci sogni di un tempo ormai lontano, repentinamente sfumati dall'onda impetuosa che trascina con sè la tristezza degli eventi più dolorosi della nostra vita, cicatrici che ognuno di noi si porta dietro.
Anche il protagonista della storia nuota in questo mare di emozioni: ripercorre con la mente di un adulto e rivede con gli occhi di un uomo ciò che ha vissuto cinquant'anni prima, nel corpo di un bambino di 10 anni. In particolare, l'incontro con una ragazzina, la prima con cui ha potuto confermare la sua predilezione per il verbo 'mantenere':

"A dieci anni era il mio verbo preferito. Comportava la promessa di tenere per mano, mantenere. Mi mancava. Papà s'infastidiva in città a prendere per mano, per strada non voleva, se provavo si liberava infilandosela in tasca. Era una respinta che mi insegnava a stare al posto mio."

e la prima con cui ha capito la valenza e le implicazioni del verbo 'amare'.

I dialoghi tra il bambino e la bambina e le riflessioni che li animano non sono chiaramente tipici della loro età.. mi piace pensare (forse perché capita spesso anche a me) che l'autore abbia rivissuto quelle scene, quei ricordi, alterandoli con la sua visione da adulto, con quello che avrebbe voluto dirle in quell'occasione ma non ha fatto perché ancora imprigionato in un corpo da bambino, nonostante la testa cercasse in tutti i modi di uscirne fuori:
"Avevo raggiunto i dieci anni, un groviglio d'infanzia ammutolita. Dieci anni era traguardo solenne, per la prima volta si scriveva l'età con doppia cifra. L'infanzia smette ufficialmente quando si aggiunge il primo zero agli anni. Smette ma non succede niente, si sta dentro lo stesso corpo di marmocchio inceppato delle altre estati, rimescolato dentro e fermo fuori. Tenevo dieci anni. Per dire l'età, il verbo tenere è più preciso. Stavo in un corpo imbozzolato e solo la testa cercava di forzarlo."

Ecco, avrete notato anche voi da queste poche citazioni l'eccezionale abilità di De Luca nel costruire i periodi scegliendo il materiale più pregiato ed incastrandolo perfettamente: le parole, la punteggiatura, tutto è scelto con grande cura e maestria per colpire direttamente al cuore e alla mente; questo libro non si legge.. si sente, si ama. De Luca è un grande ingegnere, costruisce emozioni con le parole:

"L'isola era lontana, un mucchietto di luci. Sdraiato a prua sulla corda dell'ancora, guardavo la notte che girava sulla testa. La schiena oscillava piano per le onde, il petto si gonfiava e si sgonfiava sotto il peso dell'aria.
Cala da così in alto, da un così profondo ammasso di buio da premere le costole. Qualche scheggia precipita in fiamme spegnendosi prima di tuffarsi. Gli occhi provano a stare aperti ma l'aria in caduta li chiude. Rotolavo dentro un sonno breve, interrotto da una scrollata del mare. Ancora adesso nelle notti
sdraiate all'aperto, sento il peso dell'aria nel respiro e un'agopuntura di stelle sulla pelle."

Un'agopuntura di stelle sulla pelle.. bellissimo.. chiunque abbia provato a dormire su una barca in una notte limpida d'estate non può che condividere una simile metafora.
E la forza, l'intensità delle sue parole non è da meno quando riaffiorano i ricordi più tristi:
"Papà l'ho perduto un'alba di novembre. Abitava con me, il suo letto sotto il mio soppalco. Quei giorni non andavo in cantiere, quelle notti gli stavo addosso, non lo lasciavo in pace. In un'alba fui orfano di lui, soffiò un'ultima vocale, la "u" di aiuto, che non gli potevo dare.
Lo incontro nel sonno, dove piango senza lacrime. Il mio lutto per lui è una pozza d'acqua marina prosciugata. Tra gli scogli resta il sale asciutto, dei singhiozzi a secco."

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    09 Settembre, 2014
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Meglio mancarsi prima che lasciarsi dopo...

L'unica persona di cui si avverte la mancanza leggendo 'Mancarsi' è Vincenzo Malinconico... se non avessi letto 'Non avevo capito niente' probabilmente questo libricino non m'avrebbe infastidito così tanto.. ma non riesco proprio a sopportare che dalla stessa penna che ha dato vita a quel meraviglioso personaggio siano stati partoriti i protagonisti Irene e Nicola di questo romanzo, talmente stereotipati da risultare vuoti, insignificanti, quasi irritanti nella loro banalità.
Nicola è solo perchè ha perso la moglie in un incidente stradale, una moglie di cui era completamente succube e che non amava abbastanza, pur non avendo avuto mai il coraggio di ammetterlo, nè a se stesso nè tantomeno alla moglie. Irene è sola perchè è stato sufficiente uno sguardo 'audace' nei suoi confronti da parte del collega del marito durante una cena per farle desiderare di scoparselo senza troppi rimorsi, decidendo poi di abbandonare sia l'amante sia il marito cornuto.
Inoltre, i due tizi sopra citati frequentano abitualmente lo stesso luogo, un bistrot (scusate l'ignoranza, ma esistono i bistrot in Italia?), senza però mai incontrarsi... ed a questo mancato incontro sembra alludere il titolo.
Io però mi chiedo: per quale motivo questi due estranei dovrebbero incontrarsi? Perchè un incontro tra i due dovrebbe dar vita alla coppia perfetta, all'amore eterno? Sulla base di quale teoria due persone sole, ma che sembrano non disdegnare la libertà acquisita, dovrebbero trarre giovamento da un incontro casuale che non si concluda semplicemente con un sano e fugace accoppiamento sessuale ma che si prolunghi in eterno, nei secoli dei secoli, amen?...
Mi dispiace dirlo, ma questo libro manca di tutto, manca di una storia, di un senso, di sentimento.. è una raccolta di riflessioni sull'amore, belle frasi ed anche ben scritte, con cui De Silva cerca di colmare l'aridità dei due protagonisti ma sono riflessioni troppo scontate, ovvie e generalizzate da risultare impersonali.
Sono frasi che descrivono il naturale e fisiologico decadimento dell'energia che lega una coppia e che si degrada col tempo e con la quotidianità, affermazioni che tutti possiamo condividere e che forse De Silva sa esprimere e descrivere meglio di noi altri che spesso preferiamo pure non confidare questi pensieri a nessuno e pertanto rimangono relegati nella nostra mente; e ci fa piacere leggerli in un libro, perchè come dice lo stesso De Silva, è come se finalmente trovassimo il coraggio di parlarne... ma non c'è niente di nuovo, niente che già non sia noto, basta solo guardarsi dentro a fondo.

"Funziona così anche nell'amore, dove si tace molto di più di quanto si dica. Persino nell'amicizia, che dovrebbe essere il luogo dove la parola non conosce inibizioni e divieti. Ci censuriamo continuamente per paura di deludere, offendere, restare soli. Non difendiamo i nostri pensieri e li svendiamo per poco o niente, barattandoli con la dose minima di quieto vivere che ci lascia in quella tollerabile infelicità che non capiamo nemmeno di cosa sia fatta, eattamente. Siamo piuttosto ignoranti in materia d'infelicità, soprattutto della nostra. E' per via di questa reticenza che quando ritroviamo i nostri pensieri nei libri, sembra che ce li tolgano di bocca con tutte le parole. Allora li rivalutiamo. Ci viene voglia di riprenderceli, di difenderli. In un certo senso, cominciamo a parlare."

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    08 Settembre, 2014
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Effetti collaterali: amaro in bocca e senso di sma

Questa è la trilogia del terrore, del dolore e della rassegnazione, nello stesso ordine in cui li ho citati.
L'impatto iniziale è tremendo; ci ritroviamo sin dalla prima pagina catapultati in un paese di frontiera nel mezzo di una guerra qualsiasi, non meglio individuata ma, come tutte, senza vinti né vincitori, solo vivi o morti.
Periodi brevi, gelidi, asettici, completamente ripuliti da ogni traccia di sentimento o di emozione e per questo sicuramente più efficaci nel descrivere le brutture maggiori, le violenze fisiche e psicologiche a cui due gemelli sono sottoposti sin da piccoli durante la loro permanenza in questo paesino, abbandonati dalla madre alla custodia della nonna che li accoglie amorevolmente come 'figli di cagna'.
Uno stile di scrittura duro, senza pietà, così come duri ed aridi diventano i due gemelli che si allenano alla fame, al dolore, all'offesa per non dover più piangere, per non dover più soffrire.
Persino la morte della madre tornata per riprenderli e portarli via con lei non li scuote più di tanto e la scena viene descritta con la stessa freddezza del resoconto di un'autopsia:

"L'ufficiale va a sedersi sulla camionetta ed accende il motore. In questo preciso istante avviene un'esplosione nel giardino. Subito dopo vediamo nostra Madre a terra. L'ufficiale corre verso di lei. Nonna vuole allontanarci. Dice:
-Non guardate! Rientrate in casa!
L'ufficiale bestemmia, corre sulla camionetta e parte a tutta velocità. Guardiamo nostra Madre. Le viscere le escono dal ventre. E' tutta rossa. Anche il bambino. La testa di nostra Madre penzola nel buco provocato dalla granata. I suoi occhi sono aperti, ancora umidi di lacrime'
Nonna dice: -Andate a cercare il badile!
Posiamo una coperta sul fondo del buco, vi corichiamo sopra nostra Madre. Il bambino è sempre stretto a lei. Li avvolgiamo in un'altra coperta, poi riempiamo il buco.
Quando nostra cugina torna dalla città, domanda:
-E' successo qualcosa?
Diciamo:
-Sì, una granata ha fatto un buco in giardino."

Il secondo racconto è quello del dolore: il dolore della separazione tra i due gemelli, il dolore della perdita della donna amata, dell'amico più caro e di un figlio desiderato e mai avuto. Il terrore adesso si è trasformato in angoscia, in paura, in solitudine... gli orrori della guerra, sinora assorbiti con impassibile freddezza, vengono fuori lentamente mostrando il lato più umano e fragile dei protagonisti.
Infine l'ultimo racconto è quello della rassegnazione, pessimistica rassegnazione di fronte alla tragica realtà della vita che nessuna menzogna, nessun tentativo di mascheramento potrà mai celare del tutto:
"la vita è di una inutilità totale, è nonsenso, aberrazione, sofferenza infinita, invenzione di un Non-Dio di una malvagità che supera l'immaginazione".

Nota a margine: il secondo racconto, 'La prova', è una prova anche per il lettore, nel senso che si ha la sensazione di perdersi, di non aver capito, di aver tralasciato alcuni particolari... gli stessi protagonisti del primo racconto, i due gemelli, si confondono, si uniscono per poi dividersi nuovamente... sarà 'La terza menzogna' a chiarire tutto. O quasi tutto.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    05 Settembre, 2014
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Vi presento il mio amico Barney

Ci credereste mai che un ubriacone, cinico, scontroso, irriverente ed individuo politicamente scorretto possa risultarvi simpatico, se non addirittura amabile e di piacevole compagnia?
Ah, no? allora provate a trascorrere qualche giorno, quelli necessari per completare la lettura di questo libro, in compagnia di Barney Panofsky e vi ricrederete.
Ma procediamo per gradi. Anzitutto le presentazioni: settant'anni, intensamente e sregolarmente vissuti, tre matrimoni 'sulle' spalle, il nostro caro Barney viene accusato dallo scrittore Terry McIver nella sua biografia dell'omicidio dell'amico Bernard Moscovitch, detto Boogie.
Accusa infondata, come concluso anche dalla sentenza a suo favore emessa in tribunale, ma da cui Barney intende difendersi e per farlo ci racconta la storia della sua vita cercando così di dimostrarci la sua innocenza.
Ma la narrazione non è affatto lineare, soprattutto nelle prime pagine è forte il rischio di perdersi nel caos di digressioni incastrate in altre digressioni rese ancora più aggrovigliate per la moltitudine di personaggi e luoghi introdotti.
L'impressione che ho avuto leggendo il libro è proprio quella di essere seduto al tavolo di un bar con questo nonnino che decide di raccontarmi la sua vita dopo aver bevuto, tutti d'un fiato, una decina di whiskies ed un paio di cognac.
ops! scusami Barney, lo so che detesti essere chiamato nonno:

"Lo trovo indecente. Dentro di me continuo ad avere 25 anni, massimo 33, tò. Certo non settantasette, con quel che ne segue - la puzza di stantio e di sgoni infranti, l'alito cattivo, le gambe che avrebbero un disperato bisogno di una bella lubrificata. E ora che mi è toccato farmi mettere un'anca in vera plastica, non sono neppure più biodegradabile. Gli ambientalisti mi negheranno il diritto alla sepoltura."

E con inesauribile energia, Barney ripercorre tutte le tappe della sua esistenza anche quelle meno importanti, quelle che si presentano solo come rapidi flash nella sua già labile memoria, sempre più incerta e deformata dal morbo di Alzheimer e della cui frequente fallacia egli stesso ne è consapevole e non manca di farmelo presente:

"Ieri notte, quando finalmente stavo per prendere sonno, mi sono reso conto di non ricordarmi come si chiama il coso per tirare se la minestra. Ma tu pensa. L'avrò usato un milione di volte. Lo vedevo come se ce l'avessi davanti agli occhi. Ma quel cazzo di nome, niente.
Non avevo nessuna voglia di alzarmi dal letto e mettermi a scartabellare fra i libri di cucina che Miriam ha lasciato qui, anche perchè mi avrebbe ricordato qualcos'altro, e cioè che se se n'è andata la colpa è solo mia. Senza contare che mi sarei dovuto comunque alzare più tardi, verso le tre, per la pisciatina di metà notte, e allora tanto valeva aspettare.
Pisciatina, ho detto: non l'impetuoso getto schiumante della Rive Gauche, cari miei, proprio no. Adesso è uno stillicidio, plic plic plic, e hai voglia a scrollare, l'ultimo goccetto ritardatario cola immancabilmente sulla gamba del pigiama."

E' un tipo strano questo Barney, sicuramente sincero, colto, un lettore instancabile, ma anche una persona rude, cinica, facilmente irascibile e spesso intrattabile.
Beve troppo, fuma troppo, ultras sfegatato, manda lettere tremende a quelli che odia e anche a quelli che ama, inveisce ferocemente contro tutti, amici, conoscenti, scrittori, ebrei e canadesi, donne altezzose e donne rifatte:

"Al Lord Byng Manor vantiamo anche un buon numero di divorziate avanti negli anni. La mia preferita, un'anoressica con un caschetto di capelli ossigenati, il seno un tempo piatto come una tavola, e due manici di scopa al posto delle gambe, non mi parla più dalla volta che ci siamo incontrati al suo ritorno da una clinica di Toronto specializzata nel riciclo di carampane, dove era andata a farsi dare una tirata alla faccia ed una gonfiatina alle poppe. La incrocio nell'androne e le stampo un bacio sulla guancia. "Che hai da fissarmi?" mi fa lei. "Niente, volevo solo vedere se resta l'impronta."

Ecco, ma cos'ho fatto? Ho parlato di donne... un velo di tristezza cala sul volto del nostro Barney, e giù un altro whisky.
Eh già, le donne, croce e delizia... o meglio, ho l'impressione che le donne per Barney si dividano in due categorie: Miriam e tutte le altre.
Miriam è l'unica donna che Barney abbia amato veramente, un amore che traspare dalle parole bellissime con cui ricorda i momenti più felici della loro vita coniugale ed in particolar modo il loro primo incontro, il colpo di fulmine:

"Quando mi ritrovavo a passeggiare in quelle stanze nel cuore della notte, con l'ennesimo bicchiere in una mano ed il miliardesimo Montecristo nell'altra, chiudevo gli occhi e ripensavo a Miriam, a come mi era apparsa il giorno delle mie nozze con la Seconda Signora Panofsky. La donna più bella che avessi mai visto. Lunghi capelli neri come l'ala di un corvo. Occhi blu da perdere la testa. Un vestito da cocktail di chiffon azzurro, e una grazia meravigliosa, meravigliosa. Dio, quella fossetta. E quelle spalle nude... Sono tre anni che Miriam se n'è andata, ma continuo a dormire da una parte del letto, e appena mi sveglio la cerco. Miriam, mia adorata Miriam."

Ma Barney è stato capace di perdere anche Miriam, l'unica donna che lo ha amato sino in fondo ed accettato per quello che era.
Beh.. questo è un libro che lascia l'amaro in bocca.. indubbiamente.. è la storia di un uomo che sa di aver trovato un tesoro, l'unica persona con cui valga la pena condividere la vita e con cui riesce a dare un senso alla propria formando una famiglia, dando al mondo dei figli che lo amano e non lo abbandonano nella vecchiaia e nella solitudine... ma che, nonostante ciò, riesce comunque a farsi sfuggire.
Non so quanto ci sia di autobiografico in questo libro... suppongo molto però, per il dettaglio con cui sono state descritte certe situazioni vissute da Barney e per quel poco che ho letto in giro in merito all'autore Mordecai Richler, ma mi piace immaginare cosa abbia potuto provare la 'vera' Miriam leggendo queste pagine; io credo che in questo romanzo Barney non voglia tanto discolparsi della morte del suo amico quanto, piuttosto, dichararsi pentito per aver tradito la fiducia della donna amata... perchè non ho mai letto parole più toccanti ed intense di quelle che usa per Miriam, la sua adorata Miriam.
Questa non è la storia di un uomo perfetto, virtuoso.. Barney ha molti difetti più che pregi.. non è il tipo di super-uomo, extra-terrestre, incolume ed insensibile alle tentazioni terrestri... è un uomo che ha sbagliato, ha perso ciò che di più prezioso aveva nella vita e se n'è reso conto. Forse troppo tardi?.. sì, forse, ma è così che va la vita sulla terra.

"Ma la verità è che nulla mi delizia quanto una biografia da cui apprendo che questo o quel presunto grande in realtà era una vera merda.... Se dei personaggi ci viene mostrato solo il lato migliore, restiamo sconfortati, perchè riteniamo impossibile imitarli in alcunchè. I grandi scrittori descrivono anche le azioni più basse degli uomini, non solo quelle virtuose. E questo sortisce un effetto benefico, perchè risparmia all'umanità la disperazione".

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    04 Settembre, 2014
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L'importanza di un abbraccio

"Se ti abbraccio non aver paura" è la scritta che Andrea porta sulle sue t-shtirt, ben in evidenza.
Perchè Andrea, ragazzo autistico di 17 anni, non può fare a meno di abbracciare il mondo che lo circonda, anche se il mondo spesso lo ignora o lo teme; Andrea, trascinato da un vento impalpabile in mondi paralleli, in universi che solo lui vede, ha bisogno di aggrapparsi a punti di riferimento stabili per tornare, non solo col corpo ma anche con la mente, tra noi.
Per questo motivo deve abbracciare, toccare, sentire fisicamente le persone che vede e considerarle quindi reali, di questo mondo, del mondo a cui apparteneva sino all'età di 3 anni, prima che iniziasse il suo viaggio.
Il libro racconta questo viaggio... il viaggio che porta chissà dove la mente di Andrea, un viaggio triste fatto di solitudine, in posti che Andrea non vorrebbe visitare perchè gli sono del tutto estranei e perchè non c'è nessun altro con lui... ma quando il vento arriva, Andrea non riesce ad opporsi ed è straziante il suo grido silenzioso di aiuto, il suo desiderio di uscirne e l'impotenza, l'amara constatazione di non potercela fare, da parte sua e di chi lo ama.
Il libro però racconta anche un altro viaggio, quello che Franco - papà di Andrea - ha organizzato per se stesso e per suo figlio, un'avventura on the road in lungo e largo per l'America, con lo stretto necessario per sopravvivere ma senza dimenticare la bacchetta magica di Andrea e l'elastico invisibile con cui mantenersi agganciati, per non perdersi mai.
E questo è un gran viaggio per Andrea, è felice perchè non è solo stavolta, c'è suo padre a condividere con lui il nuovo mondo che gli si presenta dinanzi, a volte ostile, a volte perdutamente immenso, altre volte sfarzosamente luminoso e spesso tragicamente povero.

Non sono molto informato sull'autismo, so che può manifestarsi in diversi modi e 'gradazioni', ma credo sia abbastanza evidente nel racconto di Ervas che alcune manifestazioni della malattia di Andrea (e di conseguenza le azioni correttive del padre) siano state troppo enfatizzate e 'rielaborate'.
Anche il racconto degli ultimi giorni di vacanza in Brasile mi sembra poco realistico.
Tuttavia, è un libro che consiglio perchè, per quanto romanzato possa essere, fa emergere comunque il coraggio e la forza di un padre che ama il figlio più di qualsiasi altra cosa e lotta come può per non lasciarlo solo, un rifugio per tutte le volte in cui l'uragano cerca di trascinarlo via.

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