Opinione scritta da Emilio Berra TO
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Solitudini
Anita Desai è considerata la più grande scrittrice indiana contemporanea. "Fuoco sulla montagna" , un breve romanzo bellissimo.
Protagonista è un'anziana signora della ricca borghesia che si ritira in una casa di montagna "aperta al soffio del vento", per una "vita (...) essenziale e radiosamente solitaria".
E' stata moglie, madre di numerosi figli, nonna. Ora "voleva essere lasciata sola con i pini e le cicale". "Qui le montagne si confondevano con il cielo, il cielo con la neve, la neve con l'aria". "Il panorama aveva un respiro straordinario, una vasta e sconvolgente profondità". Da lassù "le colline erano onde nere nella notte, e i villaggi e le città sembravano navi illuminate sul mare".
Quella vastità sottostante in effetti brulica di una vita fatta di povertà e arretratezza. Qualche notizia della brutale realtà giunge fin lassù attraverso un'amica d'infanzia, passata dal privilegio all'indigenza.
A queste due figure femminili presto si affiancherà una bambina, una pronipote che l'anziana signora dovrà temporaneamente ospitare.
Con grande finezza di analisi e una scrittura magnifica, le vicende si faranno sempre più incalzanti, sino a giungere a un sorprendente finale, in cui paiono stranamente confluire i destini paralleli di queste tre donne sole.
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romanzi brevi di qualità
Voci d'Islanda
"Può anche essere che il mondo ti dia tutto il meglio di cui dispone: gloria, potere, onore, che altro c'è? Forse palazzi e parchi? O vedove allegre? E poi?"
Laxness è l'unico scrittore d'Islanda ad aver ricevuto il Nobel per la Letteratura (nel '55). "Il concerto dei pesci" però è successivo all'ambìto riconoscimento. La curiosità di leggere i testi che l'hanno preceduto è forte.
Questo 'romanzo di formazione' ci conduce ad inizio '900 in un'Islanda ancora depositaria della propria antica cultura, che tuttavia inizia ad avvertire i sussulti della modernizzazione.
Fra coloro che vivono immersi nella tradizione e con valori di grande dignità c'è il giovane protagonista : la sua vita è semplice nella casetta di torba con le margherite fiorite sul tetto. Il procedere quotidiano s'immerge nell'affascinante armonia della natura.
Un ambiente quasi fiabesco "nelle fredde sale azzurre dei monti islandesi", un luogo dove "soave canta il cigno per l'estate intera" e "gli spiriti risorgono dall'oblio".
"C'è solo un lavoro indegno, ed è il lavoro malfatto".
Nella vicina città, però, irrompe il 'progresso' : la la mentalità borghese e il mondo degli affari paiono inarrestabili. Volendo, il romanzo si presta quindi anche a un approccio di critica sociologica.
Ma i significati vanno oltre e possono essere molto più ampi, tanto più quando giunge nella terra natìa un cantante d'opera diventato famoso nel mondo: personaggio enigmatico e misterioso.
L'atmosfera si colora di essenze pirandelliane.
Un libro bello e interessante, anche se qualche benché lieve sforbiciata, a mio avviso, sarebbe stata utile.
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letteratura nordica
Perdere la bussola
Neppure dei Nobel ci si può fidare. E' infatti la prima volta che mi capita un libro, scritto da un'autrice gratificata dall'ambito Premio, che mi pare assolutamente non all'altezza.
Si tratta di un romanzo che fa sospettare un assemblaggio di racconti con la medesima protagonista.
Per struttura può ricordare "Olive K..." della Strout, ma come personaggio Olive è molto più interessante, una figura drammatica con un epilogo in linea col suo carattere aspro e puntuto.
Qui, invece, Rose viene presentata come una studentessa d'eccellenza, ma la sua presunta cultura e il livello intellettivo proprio non si avvertono. Quale donna irrealizzata è resa come figura banale, una che non può fidarsi di se stessa ; che si crede libera, invece è solo un po' libertina. Tutto narrato senza grandi sussulti vitali, quasi appiattito in una scrittura pur gradevole, ma nulla di più.
Come personaggio che non può fidarsi di se stesso, mi ricorda il protagonista di "Casa" dell'eccellente Marilynne Robinson. Là però lo spessore dell'analisi psicologica e il dramma di un individuo sono resi con una profondità che affascina e sconvolge, che apre a domande di fronte alle quali ci si sente smarriti, come capita leggendo Dostoevskij.
Qui invece nulla di tutto ciò : si respira quell'atmosfera un po' femminilista, che troviamo in certe scrittrici di poco talento, se non addirittura una punta di compiacimento ; una sensazione sgradevole personalmente sperimentata ancor più in "Va' dove ti porta il cuore" della Tamaro.
Non escludo che A. Munro sia una grande scrittrice, ma questo libro non le fa particolare onore.
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Il mistero dell'esistenza
Leggere Marilynne Robinson è sempre un'esperienza emozionante.
Benché mi sia parso "Lila" non ai livelli altissimi e difficilmente raggiungibili di "Casa" e di "Gilead" , gli altri due testi della celebre trilogia, mi rendo conto comunque che con questa scrittrice siamo ai vertici della letteratura americana contemporanea, e non solo.
Gli accadimenti narrati nell'opera si collocano cronologicamente prima rispetto alla situazione ormai stabilizzata di "Gilead", con il figlio già di sette anni e la giovane moglie del pastore d'anime piuttosto integrata nella famiglia e nella comunità del paese.
In "Lila", la protagonista in primo piano è lei : dalla tormentata infanzia alle dure esperienze cui la vita la sottopone ; poi un raggio di luce, e per lei significa una svolta nell' esistenza.
Si tratta di una storia durissima. La stessa Lila dice: "Per me la vergogna è un'abitudine, l'unica cosa che provo tranne quando sono sola".
La Robinson, però, non è affatto paladina di certo neo-nichilismo. Anzi, c'è sempre una scintilla ad illuminare, come dall'interno, anche le sue pagine più scure.
Già nella buia infanzia, alla domanda della bambina "E cosa siamo, allora?" , la vecchia Doll le aveva risposto: "Siamo persone, e basta".
L'uscita dal tunnel è graduale e non facile. La giovane e intelligente protagonista "imparò che cos'era il decoro senza che nessuno le spiegasse che esisteva una parola per definirlo" ; "la campagna era sempre stata solo lavoro (...). Ora notò la tenue luce sulle foglie..." .
E scoprire che "a qualcuno importava se restavo o andavo via" non è già il preludio di una specie di felicità?
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Letteratura d'autore ; letteratura contemporanea nord-americana.
Tutto su di lei
Un libro sicuramente molto interessante questa biografia di Natalia Ginzburg scritta dalla Petrignani che ebbe occasione di conoscerla personalmente e di frequentarla.
Avevo letto varie opere dell'autrice di Lessico Familiare, e presumevo di sapere già abbastanza di lei. Ma mi sbagliavo, perché il testo di Petrignani è una miniera di notizie e informazioni, oltre che di qualche pettegolezzo.
Informazioni per me assai utili per comprendere in particolare le sue raccolte di saggi, a mio avviso spesso migliori dei romanzi più conosciuti.
Tra le curiosità della biografia, con sorpresa ho scoperto che Natalia era nipote di Montale : la zia Drusilla Tanzi ('La Mosca'), moglie del grande poeta, era sorella della madre Lidia. Come non sapevo che nel "Vangelo secondo Matteo", bellissimo film di Pasolini, la nostra scrittrice avesse interpretato il personaggio di Maria di Betania.
Ho inoltre appreso che, ebrea di origine, si convertì al Cattolicesimo, ricevendo così il Battesimo.
Sapevo dei tre figli nati dal matrimonio con Leone Ginzburg, non però degli sfortunati figli avuti col secondo marito, Baldini : Susanna, portatrice di gravissime disabilità, che visse con lei per lunghi anni, e un ultimo bambino deceduto in tenera età.
Un ritratto a tutto tondo della scrittrice che è anche il ritratto di un'epoca irripetibile, di un ambiente stimolante, fra scrittori e intellettuali che adesso sono dei classici della nostra letteratura, come Pavese e Moravia, e con amiche quali la grandissima Lalla Romano e l'imperiosa Elsa Morante, due stelle che ora le contendono il primato nella narrativa al femminile del secondo '900.
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biografie e/o libri di N. Ginzburg
'Uomini e no'
L'america profonda, rurale. L'America di cui quasi non si parla, che si pensa 'trumpiana' . Quell'America lontana perfino dalla nostra immaginazione.
Siamo a Holt, con "le casette arretrate rispetto alla strada, con il loro giardinetto striminzito e il prato antistante marrone per l'inverno". Intorno, la "campagna (...) piatta e sabbiosa, con i suoi boschetti di alberi rachitici". Vaste pianure che danno la sensazione di uno sfondo desolante.
I personaggi sono esponenti di questa comunità sfilacciata, senza tradizione, senza valori forti: ognuno nella propria solitudine a condurre una vita non colmata di senso.
Una madre che scaccia di casa la figlia diciassettenne incinta. Teppismo, violenze, bullismo e regolamenti di conti. L'idea di 'farsi giustizia da sé' . Lo Stato ben poco presente. Una scuola orrenda, in tutte le sue componenti. Poi un consumismo sessuale diffuso, licenziosità che ricade talvolta su ragazzine 'consenzienti' ridotte a consumo del dominio maschile.
Lo squallore ambientale ed estetico che fa da cornice a una deprivazione umano-esistenziale deprimente.
Quelle terre, un tempo percorse da dignitosi Indios, ora paiono calpestate da uomini e donne duramente assuefatti.
Ecco però accadere qualcosa di profondamente umano che apre il cuore : un nuovo e inaspettato nucleo familiare si sta formando. Sono i personaggi meno omologati dal nuovo conformismo della 'modernità', che dal loro isolamento tendono una mano, danno un volto alla speranza.
"Canto della pianura" non è un romanzo disperato. Haruf è scrittore che racconta pacatamente e sa cogliere le occasioni dove la scelta va verso la vita, dove c'è prospettiva, progetto, dove il dono si colma di senso.
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Chi è " l'altra " ?
Si tratta del mio primo incontro con l'autrice. Per la verità un incontro non esaltante con un testo ben scritto, in modo essenziale, ma dalla freddezza del marmo di una tomba.
Il libro, verosimilmente autobiografico, parte dalla scoperta della narratrice, quand'era bambina, di non essere la primogenita, come aveva pensato, bensì di essere nata dopo la morte della sorella. L'ha appreso in modo traumatico, durante la conversazione della madre con un'altra signora : "è morta come una piccola santa"; "era più buona di quella lì". "Quella lì" era ovviamente lei.
Di qui la sensazione di non essere buona, di non essere all'altezza.
In effetti però era amata e amorevolmente curata dai genitori, ma continuava a persistere in lei l'implicito confronto con l'altra, "la bambina invisibile di cui non si parlava mai, la grande assente da tutte le conversazioni. Il segreto". Il suo nome non veniva mai pronunciato, ma settimanalmente i genitori, a turno, andavano furtivamente al cimitero con un mazzo di fiori.
Loro tacevano per 'proteggere' la figlioletta viva; il delicato fantasma dell'altra, però, pareva essere presente ovunque, interiorizzato forse per sempre.
Il racconto non contiene rimproveri espliciti; dice comunque che "i genitori di un figlio morto non sanno ciò che il loro dolore fa a quello vivo".
"L'altra figlia" : titolo ben scelto; di un'ambiguità sospesa.
Chi è, in fondo, "l'altra" figlia ? La sorella defunta oppure la narratrice stessa ?
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letteratura autobiografica
Ad una certa età ...
Mc Ewan non è fra i miei scrittori preferiti. I pochi romanzi che ho letto, fra cui "Espiazione", mi lasciano una punta d'insoddisfazione. Struttura convincente, leggibilità scorrevole, non banalità del racconto paiono non bastarmi del tutto.
Forse vi colgo un ingrediente di artificiosità. Mi pare che vi sia però qualcosa di più, anzi di meno. Che si percepisca in essi un fondo di aridità, o meglio un'aridità di fondo ?
Fra le ultime opere dell'autore c'è "La ballata di Adam Henry".
Il romanzo si svolge su due piani solo parzialmente paralleli, perché di fatto le vicende presentano vari punti di contatto, con reciproche influenze.
Una coppia di sessantenni senza figli. Lei con un ruolo di alto prestigio in Magistratura ; lui, docente universitario. Dopo molti anni di serena convivenza, il marito le esplicita: "Voglio farmi un ultimo giro", chiedendo alla consorte di consentirgli una relazione con una ricercatrice ventottenne.
Al culmine della crisi coniugale, la delicata attività lavorativa della donna presso il Tribunale Minorile la conduce di fronte a un caso di coscienza : un ragazzo quasi maggiorenne, dunque ancora minorenne, affetto da malattia gravissima, non accetta di sottoporsi a trasfusione di sangue perché Testimone di Geova, con pieno appoggio dei genitori.
Gli sviluppi si presentano interessanti e si rivelano piuttosto imprevedibili, su entrambi i fronti.
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letteratura contemporanea
'Uomini o caporali'
J. Cercas, scrittore spagnolo, si è messo in evidenza con questo interessante romanzo.
Nel 1994 un giornalista intervista uno scrittore, che gli racconta la singolarissima vicenda del proprio padre, tra i fondatori della falange, 'fucilato' nella zona dei Pirenei dove, verso la fine della Guerra Civile Spagnola, molti Repubblicani fuggivano verso la Francia con un carico di prigionieri. Lui sopravvisse e si nascose nella boscaglia. Fu scoperto da un miliziano : lo fissò e se ne andò. Così ebbe salva la vita.
Di qui parte la vicenda, come sospinta dalla curiosità per questo individuo, Sanchez Mazas, bravo ma non grande scrittore, e per l'accaduto nel contesto del sanguinoso evento bellico.
Ne emerge uno spaccato del terribile fatto storico. Ma, come spesso succede nella Letteratura di qualità, il discorso diventa più ampio e coinvolge temi che pongono questioni sempre attuali : su come si possa essere "uno scrittore di buon livello pur essendo una pessima persona (o una persona che appoggia o fomenta cause pessime)" ; come "è incredibile quanto si possa imparare in quei pochi istanti prima dell'esecuzione". C'è poi il tema, caro alla letteratura di tutti i tempi, della scrittura che perpetua il ricordo di uomini che non sono più fra noi : "sebbene siano morti da sessant'anni, non sono ancora morti del tutto proprio perché lui si ricorda di loro. O forse (...) sono loro che si aggrappano a lui per non essere del tutto morti" .
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Letteratura contemporanea e romanzo storico
' Gilead dei girasoli '
Il vecchio padre : "La chiamano tutti casa, ma nessuno si ferma".
Siamo qui nella campagna americana, nella "rurale Gilead, Gilead dei girasoli".
Nella casa del vecchissimo pastore d'anime, dei tanti figli solo Lucy torna per accudire il padre : una donna di 38 anni provata dalla vita.
Ecco giungere anche uno dei fratelli, Jack, un quarantenne dalle molte sconfitte, un uomo che non può fidarsi di se stesso, che ha perduto persino la speranza ; "un uomo della sofferenza, intimo del dolore, e uno davanti al quale gli uomini distolgono il viso". Ed ora "eccolo qui (...), macilento e provvisorio, con ben poche tracce della sua giovinezza tranne quell'elusività, quella reticenza divertita".
Un libro meraviglioso, non riesco a trovare altro termine più appropriato.
L'autrice, Marilynne Robinson, è capace di una profondità che incanta, talvolta sconvolge, assuefatti come spesso siamo alla superficialità : in una mentalità come la nostra che pretende di dare una risposta a tutto, abituata a sociologizzare, storicizzare e quant'altro ancora, lei ci pone di fronte a un personaggio scomodissimo perché infrange la troppa fiducia riposta nella ragione.
Un grande romanzo d'amore e di conflitto, con una donna che "prendeva tutto a cuore" e che "aveva paura di arrabbiarsi, e questo la faceva arrabbiare" ; e Jack, gentile e controllato, ma dai dettagli imprevedibili , usa l'ironia e l'intelligenza forse per proteggersi, forse per fuggire da se stesso. Poi il vecchio padre, i cui silenzi "non erano mai solo silenzi".
Ma "che cosa significa tornare a casa?".
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Una comunità a Gerusalemme
"Finché il tuo cuore sarà legato alle cose terrene, rimarrà legato al dolore".
Selma Lagerlof, grandissima scrittrice svedese (Premio Nobel 1909), scrisse questo libro dopo un viaggio in Palestina, compiuto nel 1899, per visitare una comunità religiosa d'impronta americana, che si era là stabilita per vivere più intensamente il Cristianesimo, e che era stata seguita da una trentina di Svedesi piuttosto abbienti, i quali lasciarono la Svezia dopo aver venduto all'asta i loro beni.
"Jerusalem" venne pubblicato in due volumi (ciò è ben percepibile nella struttura dell'opera) in data 1901/02, e fu subito bestseller.
L'autrice notò certamente la grandezza d'animo di questi pellegrini, ma fu pure colpita dai forti dissidi fra le varie comunità dai diversi orientamenti, protese a contendersi le anime, in un periodo in cui il dialogo interreligioso non era affatto in auge. Così che possiamo leggere come, accanto all'austera Gerusalemme storica, sia sorta quella moderna : "qui i cattolici dicono male dei protestanti, i metodisti dei quaccheri, i luterani dei riformati, i russi degli armeni. Qui s'infiltrano l'invidia e la gelosia (...) qui non c'è posto per la misericordia, qui tutti si odiano".
E' sempre bello leggere Selma Lagerlof, così capace di farci uscire per un momento dalle strettoie della nostra contemporaneità, in modo poi di rientrarci un po' rinnovati e più liberi, come emancipati rispetto alla martellante attualità, perché questa scrittrice eccellente pare saper scegliere sempre il sentiero che conduce alla fonte delle cose.
C'è nel libro qualcosa di fiabesco che incanta e c'è qualcosa di epico che infonde una speciale grandezza a queste numerose pagine improntate dal tocco poetico conferito dal dono della semplicità.
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Selma Lagerlof
Il grande camminatore
Dal 1929 al '56 , quando morì all'età di 78 anni, lo scrittore R. Walser trascorse la propria esistenza in clinica con una generica diagnosi di 'disturbi mentali' . Sulla gravità di essi non sappiamo, ma dal ritratto che ne emerge da queste lunghe "Passeggiate", distribuite nell'arco dell'ultimo ventennio di vita compiute con C. Seelig, possiamo avere parecchi dubbi. L'ambito intellettivo risulta essere sicuramente integro e la memoria pare aver conservato ben viva la cultura accumulata ed elaborata nel tempo.
Durante le numerose escursioni intraprese insieme, si cammina molto e in qualsiasi stagione o condizione atmosferica. Si fa tappa con un lauto pranzo, qualche sosta diventa occasione per bevute o visite in pasticceria. Ma più interessante è il dialogo fra i due, con le acute osservazioni dello stesso Walser.
Le frecciate in campo artistico certamente non mancano : "Di fronte a quegli scrittori che eccellono nell'azione e si servono del mondo intero per i loro personaggi, io sono diffidente a priori: le cose di tutti i giorni sono abbastanza belle e preziose perché se ne possano far scaturire scintille di poesia".
La saggezza pare salda : "Volersi opporre a leggi eterne è un segno d'immaturità spirituale".
Per quanto concerne la propria vita, risulta essere un uomo quasi felice : "Quando uno cerca il bello, il più delle volte gli viene gentilmente incontro" ; "In clinica ho quel che mi occorre, la pace", e "la vecchiaia (...) può essere così prodiga di gioie!".
Per chi ama la scrittura di Robert Walser, un libro imperdibile.
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' Una donna tutta sola '
Irlanda, metà anni '50. Inizia questa vicenda che vede la giovane MaryLuise e il più attempato Elmer unirsi in matrimonio; un'unione vantaggiosa per lei da un punto di vista socio economico, essendo lui proprietario di un'avviata attività commerciale, in città, che gestisce con due sorelle nubili più anziane.
Si tratta di una coppia non ben assortita che, per giunta, deve vivere con le due zitelle di fatto 'padrone' di casa.
Nei dintorni abita, con la madre, un cugino di lei, suo coetaneo, malato fin dall'infanzia.
Questo ancora ragazzo e la nostra protagonista trovano un progressivo affiatamento leggendo, in un cimitero abbandonato, i libri dei grandi scrittori russi, in particolare di Turgenev. Di qui il suggestivo titolo del romanzo.
Il libro è strutturato a capitoli alternati, seguendo al contempo questa vicenda e quella di MaryLuise una trentina d'anni dopo : un parallelismo legato da leggeri ma resistenti fili sotterranei.
Si tratta di un'opera di avvincente lettura, a metà strada fra racconto realistico e rappresentazione psicologica-esistenziale a forte connotazione romantica.
La scrittura di Trevor, molto bella, delinea con pochi tratti i personaggi in tutte le loro sfumature.
MaryLuise è incantevole : ricorda le delicate e sognanti figure femminili dei primi film di Fellini splendidamente interpretate dalla giovane moglie Giulietta Masina : Gelsomina, Cabiria...
Di fronte alla durezza della realtà, lei aderisce ad un mondo in cui prevale l'immaginario : "il presente non c'è quasi; il futuro non esiste. Solo l'amore conta, nei frammenti di vita di una persona".
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' Tre donne intorno al cor... '
Primo romanzo di Rebecca West, allora (1918) ventiquatrenne. Un libro che ha la freschezza e l'incanto dell'età 'cui si addice la primavera' , anche se coi limiti di un'opera concepita quando si è ancora lontani dal vertice della maturità. Una scrittura fiorita ed emozionante che rappresenta l'innamoramento con un trasporto di cui solo gl'innamorati sono capaci.
Al centro, un caso d'incidente di guerra che riguarda un giovane uomo, Chris. Intorno, tre donne : la moglie, la cugina (voce narrante) e un'altra signora. Tutte hanno a che fare col ritorno del soldato.
Il luogo è una meravigliosa dimora dove le due prime figure femminili attendono l'agognato ritorno. Una di loro ci dà un ritratto di se stesse : "eravamo eleganti e squisite: non ci toccavano desideri né passioni, per quanto nobili, e le nostre testoline si chinavano assorte sui bianchi fiori del lusso adagiati nelle acque scure della vita".
Molto diversa l'altra, Margaret, "la cui personalità risplendeva nello squallore, proprio come una bella voce che risuona in una stanza buia"; "passava accanto andando verso il giardino, con le mani protese in avanti, come se portasse doni invisibili".
L'incidente subìto dall'uomo diventa anche l'accorgimento letterario per smascherare la dimensione umana delle protagoniste poste di fronte alla 'prova del fuoco', perché la potenza dell'amore (con la sua componente anche 'materna') giunge dove la scienza non arriva. Ed "è la prima preoccupazione dell'amore salvaguardare la dignità di chi si ama".
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Una storia d'amore
Un romanzo particolarmente bello e progressivamente coinvolgente. Una storia d'amore, praticamente. Piuttosto comune quanto unica e irripetibile, semplice e complessa come tutte le storie autentiche.
uno scandaglio delle emozioni e dei sentimenti che non si era consapevoli di provare, di avere ben nascosti dentro di sé. Un'analisi impietosa per scoprire la pietas.
Il tutto raccontato con grande dolcezza, con profondo rispetto per il lettore. Anche di questo dobbiamo essere grati a Elizabeth Strout, qui eccellente scrittrice.
New York, anni '80.
Io narrante, una giovane donna di qualche ambizione letteraria, già con una propria famiglia. Una lunga degenza in ospedale, vegliata per cinque notti dalla madre che non vede da parecchi anni, apparentemente senza un legame significativo; "una madre che ama sua figlia. In modo imperfetto. Perché amiamo tutti in modo imperfetto" .
Un percorso quasi analitico fatto di dettagli, la cui semplicità li rende ancor più coinvolgenti e sconvolgenti: "è sempre il dettaglio a essere rivelatore" .
"E quella sera, nella stanza dell'ospedale, mia madre era la madre che avevo sempre avuto, per quanto diversa potesse sembrare con quella voce quieta, inderogabile, e la faccia più tenera del solito" .
In fondo ..."abbiamo tutti un'unica storia da raccontare" .
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Racconti del Nord
Provate ad immaginare un camino acceso durante le lunghe notti invernali, magari il lume di una candela, in una casetta sperduta nella campagna svedese. E' forse la condizione migliore per sentire la voce di questi racconti che Selma Lagerlof ha tratto da leggende e fiabe della sua terra.
Solo l'animo aperto al prodigio può lasciar sbocciare il meraviglioso giardino nella notte di Natale in mezzo alla foresta e cogliere i germogli della 'rosa di Natale' i cui petali bianchi ancora rallegrano gli orti d'inverno.
E "sentite un po' come avvenne" che un violinista presuntuoso guarì dalla propria arroganza in una sola notte camminando lungo un tortuoso ruscello gorgogliante. O come l'imperatrice Maria Teresa aiutò il popolo delle dune. Oppure in che modo la vecchia Agneta trovò "una ragione per vivere", pur sola nella sua capanna ai piedi della montagna, non potendo certo "fare le calze agli stambecchi, né preparare il letto alle marmotte".
Poi ditemi se non è vero che "tutti i pensieri umani sono vanità".
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racconti e fiabe
Silenzi sul lago
Paesaggio nordico. Una casetta in riva al lago: ci vivono Mattis, 37 anni con l'handicap di un deficit intellettivo, e la sorella quarantenne.
La straordinaria scrittura del norvegese T. Vesaas conduce la vicenda al di là dei limiti storici e geografici: fa vibrare nel lettore corde segrete sentinelle del rimosso ; s'insinua nelle ferite che pensavamo da tempo rimarginate ; ci fa sentire più umani.
Il romanzo "Gli uccelli" sprigiona significati simbolici ; evoca immagini semplici e suggestive cui l'austerità affascinante del paesaggio nordico fa da sfondo, a tutto conferendo qualcosa tra il realistico e il fiabesco : un lago solitario, il bosco, il volo degli uccelli... Sottrae alla mera realtà l'aspetto superficiale, conferendole profondità e incanto.
Mattis va oltre le convenzioni del vivere, benché ne senta il peso e l'inquietudine. Si apre al mondo dell'immaginario che sorprendentemente si salda col mondo della natura, degli animali, la cui misteriosa complessità non comprende il raziocinio.
"Doveva andare nel bosco, seguire quella striscia invisibile nel cielo. Era la sua strada quella, la strada della sua gioia".
Tendeva a caricare di senso il linguaggio degli uccelli e delle cose mute : "Leggera va la mia beccaccia sugli argini, quando è stanca del cielo" ; coglieva il lato poetico delle "impronte di zampe. Gli pareva che fossero passi di una danza".
Spesso sulla nostra autostima attribuiamo troppo potere agli altri. Quando invece potremmo essere, semplicemente essere ; lasciarci pervadere dalla gioia di esistere, grati per la fortuna di vivere.
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letteratura nordica
Doppio giallo sulla fine di Leoprdi
Scorrevole libro d'indagine ben documentata sulla morte e sepoltura di Leopardi a Napoli, dov'era ospite di Antonio Ranieri.
Ranieri, intellettuale laico e liberale, esiliato e ritornato in seguito a un indulto, portò con sé l'amico Giacomo Leopardi, che per sette anni visse fra Napoli e 'Villa delle Ginestre' alle falde del Vesuvio.
Ranieri scrisse, in vecchiaia decenni dopo l'accaduto, che il Poeta morì per presunta indigestione, quasi improvvisamente tanto che il frate, convocato per amministrargli i Sacramenti, giunse proprio al momento del decesso.
Per evitare la fossa comune alla salma (si era in tempo di colera) venne escogitata una macchinosa traslazione notturna per la sepoltura in una chiesa.
I dubbi riguardanti l'eventuale conversione di Leopardi e la sua sepoltura rimangono aperti.
Quando, vari anni dopo, per una ricognizione sui resti del celebre defunto, ci fu una rilevante sorpresa : la bara conteneva solo alcune ossa in un ammasso di terriccio, e non vi era alcuna traccia del cranio. A chi appartenevano tali resti?
Sull'aspetto religioso, D'Orta ha esaminato le due lettere che Ranieri scrisse al padre del Poeta nei giorni successivi al decesso, in cui si afferma "...non senza essere munito, e antecedentemente e allora stesso, dei più dolci conforti della nostra santa religione".
Poco dopo, la famiglia Leopardi chiese ragguagli alla contessa I. M. , loro parente che si rivolse alla Nunziatura di Napoli, di cui era segretario un Recanatese, il quale scrisse alla nobildonna che il Poeta era morto "assistito e consolato dalla Religione".
Abbiamo inoltre l'ultima lettera che Giacomo scrisse al padre, in cui varie volte si fa riferimento a Dio.
Il frate, convocato al capezzale di Leopardi, quando giunse dunque?
Chi ora a Napoli passeggia nel Parco Virgiliano, faccia una sosta alla tomba che attualmente conserva i presunti (?) resti dello Scrittore di Recanati, tomba non distante da quella di Virgilio che, dell'autore dell' "Eneide", è quasi certo non contenga proprio nulla.
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G. Leopardi
Una donna
Nora, recentemente vedova di un marito molto amato, un professore stimato per cultura umanità ed equilibrio.
Ora si trova sola con quattro figli : due ragazze in cerca di indipendenza, un preadolescente e un bambino.
Il romanzo è ambientato in Irlanda verso fine anni '60/inizio '70 . Sullo sfondo le aspre lotte nel Nord fra Protestanti e Cattolici, che come sappiamo avevano motivazioni che esulavano dall'aspetto prettamente religioso.
A proposito di Nora, una sorella confida: "Era una ragazza impossibile. Non ho altro da dire"; e aggiunge: " poi conobbe Maurice. Dalla prima volta che uscì con lui, diventò un'altra persona. Non un agnellino. Ma cambiò".
Adesso, rimasta senza la persona con cui condivideva tutto, è anche alla ricerca di se stessa, consapevole di "vedere tanto separate la sua grigia vita quotidiana e lo splendore della sua immaginazione".
L'autore, C. Toibin, è da annoverare fra i grandi scrittori della nostra contemporaneità.
Il libro è davvero molto bello, con una prosa semplice, quasi minimalista, che ben si addice alla realtà rappresentata. Una scrittura diversa da quella sontuosa e affascinante usata in "The Master".
Il personaggio di Nora emerge progressivamente nelle sue molteplici sfaccettature : nella ruvidezza, che ricorda la Olive Katterige della Strout, e nella nascosta vulnerabilità.
La seconda parte del libro, bellissima, è come accompagnata della scoperta del balsamo con cui la musica lenisce le ferite; in particolare risuona il "Trio dell'Arciduca", sublime composizione di Beethoven, la stessa che accompagna il romanzo "Kafka sulla spiaggia" di Murakami.
Il finale, semplice e simbolico, è particolarmente riuscito.
Toibin ha saputo rappresentare un percorso umanissimo, a volte doloroso, e cogliere quel raggio di sole che filtra anche nelle fredde atmosfere nordiche.
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Su Grazia Deledda
Erano anni che non mi succedeva di leggere un libro di autore italiano contemporaneo così bello. E' capitato ora ; infatti "Quasi Grazia" di M. Fois è quasi un capolavoro ; è un'opera imperdibile per chi ama la Deledda.
Si tratta di un testo teatrale, ma si legge come un romanzo.
E' incentrato su tre momenti particolarmente significativi per la grande scrittrice sarda.
Dapprima siamo a Nuoro, nel 1900, quando la ventinovenne Grazia decide di lasciare definitivamente la Sardegna per trasferirsi col marito a Roma.
Poi a Stoccolma, nel '26, in una lussuosa camera d'albergo, in attesa di partecipare alla cerimonia in cui riceverà il Premio Nobel per la Letteratura.
Infine a Roma, in uno studio medico, dove apprende l'esito radiologico che evidenzia la malattia che l'anno successivo la porterà alla morte.
Oltre alla protagonista, pochi i personaggi essenziali : il premuroso marito e la madre ; questa, in carne ed ossa nella prima scena, poi misteriosa presenza, un fantasma immutato nel tempo, nelle due scene successive.
Grazia campeggia sempre, con il suo carattere forte, ma pure con le sue fragilità ; con le ambizioni letterarie e un sentimento poco espresso verso la Sardegna, che si palesa però essere una dichiarazione d'amore.
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qualcosa della Deledda
Un giardino d'estate
Non siamo di fronte a un capolavoro; ma per chi ama la natura e sa assaporare la solitudine questo libro è assai godibile.
Il testo può essere considerato la continuazione di "Il giardino di Elizabeth".
Qui la vicenda si svolge fra maggio e settembre : intenzione della protagonista è "restare da sola per l'intera estate, e giungere all'essenza della vita. (...) Là fuori (...) tutto è silenzio e dove c'è silenzio, ho scoperto, c'è la pace" .
Non proprio "sola" : nella dimora contornata dall'ampio parco ci sono il marito, L'uomo di Rabbia, e le tre deliziose bambine che portano i nomi dei mesi della primavera, Aprile, Maggio, Giugno.
Per quanto ho letto dell'autrice, la Von Armin non mi pare scrittrice di trame e intrecci. Riesce meglio, come qui ,in sfumature biografiche, non ingombrata da troppe vicende e non attorniata da molti personaggi.
Ama gli spazi aperti che lascino aleggiare tra le pagine, lieve, la brezza primaverile. Sicuramente è donna di fiori, sensibile com'è ai colori e profumi che la natura ci offre. Troppo intelligente per non sapere che "la felicità viene da dentro, e non dall'esterno" , e "l'amore per i libri è una vera benedizione".
La scrittura si presenta particolarmente bella, dotata di una leggerezza profonda e non priva di un umorismo 'molto inglese' : la signora, che ama sdraiarsi "sull'erba a guardare le nuvole" e sentirsi "contenta di essere viva", desidera solo che tutto proceda senza sussulti, convinta com'è che il marito non veda l'ora di pronunciare "quel commento tanto prezioso per il cuore di una donna sposata : 'Mia cara, te l'avevo detto' "!
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Lettera al figlio
Secondo me, questo libro è un dono, assolutamente non compensabile con denaro o diritti d'autore. Un lettore può domandarsi se è meritevole di avere tra le mani un testo così ; ma la saggezza impone ancora maggiore umiltà : "alla grazia si deve rispondere con la gratitudine", per usare una frase del The Boston Globe.
Marilynne Robinson è perla rara nel panorama dell'attuale letteratura americana contemporanea. Ha saputo emanciparsi dagli stereotipi mentali e linguistici diffusi. E' giunta a quella libertà di non essere né conformista né anticonformista, ma di essere semplicemente se stessa al livello più alto.
"Gilead", titolo che allude al luogo d'ambientazione del romanzo, presenta la struttura di una lunga lettera-testamento che un Pastore d'Anime scrive al proprio bambino per quando sarà grande, perché lui ha ormai 76 anni ed è malato ; il figlio, appena sei.
La scrittura, bellissima, ha una delicatezza e una dolcezza, i cui riflessi possono richiamare alla mente la prosa di "Stoner" (di Williams).
E' un testo traboccante d'amore, senza enfasi alcuna, nel quale pensieri, ricordi, riferimenti a storie profondamente umane si alternano e si compenetrano in un fluire sereno e rasserenante. Vi compaiono le vicende del padre e del nonno ; grande rilievo hanno la giovane moglie e una famiglia amica, personaggi che saranno protagonisti degli altri due romanzi che compongono la trilogia.
L'amore paterno è una presenza costante; una forza e una tenerezza che confortano : "sono certo che diventerai e spero tu sia un uomo eccellente, e se non lo sarai ti amerò senza riserve" ; "se mai ti chiederai che cosa hai fatto nella vita (...), ebbene, sei stato la grazia di Dio per me, un miracolo (...). Se solo riuscissi a trovare le parole per dirtelo".
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"Tutto come dentro un sogno"
Recentemente è stato pubblicato in Italia "Tocca l'acqua, tocca il vento" di Amos Oz, grandissimo scrittore israeliano.
Si tratta di un'opera dei primi anni '70, agl'inizi carriera dell'allora giovane autore. Il grande ritardo della nostrana operazione editoriale non mi stupisce affatto in quanto siamo di fronte a un testo minore che solo parzialmente soddisfa le aspettative di chi ama gli scritti di Oz. In queste quasi duecento pagine succede poco; si filosofeggia "sul rapporto fra male politico e male metafisico" e su altre questioni più o meno filosofiche, senza però scendere in profondità inesplorate, benché qua e là si possa raccogliere qualche perla di saggezza, come "Il vero pericolo è sempre interiore" , capace di farci riflettere.
Aleggia un'atmosfera fiabesca, tanto che si può appunto parlare di 'realismo fiabesco', definizione basata su un paradosso linguistico (in campo artistico, le frontiere giungono persino al 'realismo isterico' di certa letteratura americana).
Questa scelta però non mi pare del tutto riuscita perché sembra annacquare una vicenda che inizia in un momento fra i più tragici del '900 , non l'invasione tedesca della Polonia, e si dipana fin oltre il dopoguerra, con digressioni fantasiose che smorzano la scorrevolezza della lettura. Diciamo che è riuscito meglio R. Benigni nel cinema con "La vita è bella".
Un orologiaio ebreo appassionato di matematica e di musica fugge dalle atrocità della Storia, lasciandosi dietro la moglie. Lui scappa fra boschi e foreste fino a raggiungere le agognate terre d'Israele (un po' com'è realmente successo al grande scrittore Aharon Appelfeld). Lei parallelamente vive altre peripezie. Non raccontiamo altro, meno che mai il finale.
Il vero pregio del libro è la scrittura, melodiosa ed evocativa, che già preannuncia la bellezza dello stile del miglior Oz, la sua capacità di cogliere poeticamente la realtà e di spalancare porte tramite l'intuizione di immagini colte nelle loro autenticità nel descrivere qui "la potenza della musica o la quiete dei boschi", nell'aggiungere "silenzio al silenzio". "Tutto come in punta di dita. Tutto come dentro un sogno".
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letteratura israeliana
'Racconto d'inverno'
Dall'Islanda ci giunge questo intenso racconto : sono solamente 88 pagine, ma di spessore.
G: Gunnarsson è una delle perle della letteratura nordica, e "Il pastore d'Islanda" risulta essere un'opera assai significativa di quel mondo affascinante e molto particolare.
Come ormai da parecchi anni il protagonista, la settimana che precede il Natale, parte col proprio cane e il fidato montone per andare alla ricerca delle pecore smarrite in lande petrose nel freddo e tra bufere di neve : "occorreva trovarle e ricondurle a casa sane e salve prima che la grande festa portasse la sua benedizione sulla terra, e pace e gioia nel cuore degli uomini di buona volontà". In fondo, questi ovini "erano pur sempre esseri viventi", e "che cos'è un uomo senza le sue pecore ?" .
Lui "era già un uomo anziano di 54 anni. Alla partenza veniva assalito da una specie di vaga nostalgia : "era perché doveva abbandonare per qualche giorno le terre abitate o perché a ognuno di quei commiati lo assaliva il pensiero che un giorno avrebbe dovuto separarsene per sempre ? ".
Come vediamo, ben presto la narrazione assume un 'respiro cosmico', diventa quasi parabola esistenziale in cui ognuno può rispecchiarsi 'a prescindere'.
In questo viaggio così concreto e così simbolico, fra descrizioni suggestive ed 'ecologiche', il nostro personaggio sperimenta "una grande quiete" in se stesso e intorno, nel silenzio delle montagne. "Sotto quella luna si poteva quasi vivere di sola aria".
Le sue riflessioni accolgono serenamente la precarietà della condizione umana : " Chi poteva dire di aver di meglio? Bisognava essere davvero ingrati per pensare di essere stati maltrattati dal destino".
La meravigliosa pacatezza, il sentimento di gratitudine e la scoperta di senso, che emanano queste pagine, ci consegnano una saggezza profonda, capace di farci toccare con mano l'inconsistenza e la superficialità di stereotipi come la 'felicità subito' , imperativo di moda della cieca dittatura del piacere immediato : "la forza che fa crescere la vita è l'abnegazione. E una vita che non è sacrificio nel suo nucleo più profondo è arrogante e sacrilega e conduce alla morte".
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letteratura nordica
' Ad occhi aperti '
Libro pubblicato nel '51, quando M. Yourcenar aveva 48 anni, l'età giusta da cui attendersi il capolavoro.
La scrittura di quest'opera costituirebbe già di per sé un romanzo : un baule che nel Dopoguerra dall'Europa attraversa l'Atlantico; dentro, carte dimenticate: la scintilla di un rinnovato entusiasmo, ma quasi tutto è da rifare ... Qualche anno di intenso lavoro di ricerca e documentazione, quindi la stesura definitiva.
Poi un successo editoriale e di critica : Marguerite entra fra i Grandi della Letteratura. Ogni opera successiva sarà un evento, spesso ben meritato. La Yourcenar diventa un mito per tanti lettori.
In questo libro, l'Io narrante è l'imperatore Adriano, ormai sessantenne e malato, che racconta la propria vira intessendovi riflessioni di carattere esistenziale.
Chi conosce l'Autrice, però, può scorgervi molte convergenze di pensiero. Anche lei, infatti, sapeva come la gloria e gli averi siano una vile moneta, da far dire al protagonista: "Tornai a casa coperto di onori, ma ero invecchiato, e pone in risalto la figura di Plotina, vedova del predecessore Traiano, che "si dedicava ai piaceri austeri della meditazione e dei libri. (...) Scendeva soavemente nell'ombra ; quel giardino, quelle stanze chiare diventavano ogni giorno di più il recinto di una Musa". Così diversa da molte donne di quell'epoca di decadenza, per certi aspetti molto simili alle signore omologate di oggi e di ieri; modelli femminili da cui la nostra scrittrice volle con tutte le sue forze emanciparsi : "l'amore di cui parlavano continuamente, a volte mi sembrava fatuo (...) un gioiello alla moda, un accessorio costoso e fragile; e sospettavo che si dessero la passione insieme al rossetto (...). Avrei desiderato molto di più : la creatura umana spoglia, sola con se stessa". "Un uomo che legge, o che pensa (...) appartiene alla specie, non al sesso (...). Ma le amanti pareva si facessero una gloria di non pensare se non da donne; lo spirito, l'anima, che cercavo non era anch'essa che un profumo". "Ritrovavo la visuale limitata delle donne, il loro duro senso pratico, il loro cielo grigio non appena cessa di ridervi l'amore".
La narrazione, pur sorretta da una documentatissima base storica, ha un taglio prettamente esistenziale, con riflessioni sulla caducità delle cose di questo mondo, sull'aspetto enigmatico e profondo dell'amore, con una propensione alla contemplazione della natura.
Lo stile possiede la bellezza di una scrittura capace di sorprendere sempre, e l'intelligenza sovente vi brilla come diamante.
Splendida la traduzione della latinista Lidia Storoni Mazzolani.
"Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori (...). Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più... Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti".
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Letteratura d'Autore
Proust privato
Per chi ha qualche interesse verso l'opera di Proust, questo libro è imperdibile, oltre ad essere un testo affascinante e bellissimo in sé.
Ceeste Albaret è stata per anni la governante dello scrittore, giorno e notte, una presenza costante; la donna che raccolse confidenze e su cui posò l'ultimo sguardo.
"Monsieur Proust" è un resoconto, pur tratteggiato con molto rispetto e grande discrezione, meticoloso e preciso della dimensione privata e quotidiana del grande Autore francese, sempre impegnato nella costruzione della propria poderosa opera, "ora vicinissimo per la sua bontà e delicatezza, ora lontanissimo nel riflesso del suo pensiero".
Nella sua camera nessuna luce entrava, nessun rumore : "gli occorreva quel silenzio per udire solo le voci che voleva udire, quelle che sono nei suoi libri"; doveva "mettersi al di fuori del tempo per ritrovarlo".
Celeste lo ricorda sempre gentilissimo, con la sua voce dolce, calda e virile : "aveva la suprema eleganza di essere quello che era, semplicemente".
La malattia poteva servigli per sottrarsi agl'inviti, alla mondanità. Usciva pochissimo, quasi esclusivamente per verificare qualcosa che intendeva descrivere, rappresentare letterariamente. Si trattava essenzialmente di ricevimenti serali in lussuose dimore: "c'era un mondo che aveva conosciuto, tutta una società e un modo di vivere che si sgretolavano (...). Lui l'aveva capito".
Lei era sempre lì ad attenderlo: "Non m'importava di vivere nella notte. Quando rincasava era, per me, come la gaiezza del giorno nascente". D'altronde, la notte era per Proust anche il momento preferito per scrivere, per evocare il 'tempo perduto' : "i ricordi, per lui, non erano mai cose morte: al contrario, erano sempre la sua esaltazione, per non dire la sua gioia".
Nonostante l'ammirazione assoluta che Celeste aveva per lo scrittore, questo libro non ha nulla di agiografico, meno che mai vi alberga il sentimentalismo. L'obiettivo dell'opera è sfatare le dicerie e smentire le falsità che cominciavano a circolare sul celebre letterato.
Dietro alle rimembranze di Madame Albaret, si percepisce la bella anima di una donna speciale, con una dignità e un'integrità rare.
Monsieur Proust aveva ben capito che si trattava di una presenza semplicemente insostituibile.
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Le diversità complementari
E. Nevo, scrittore israeliano, è un valido esponente della nuova generazione degli autori di talento.
"La simmetria dei desideri" è ambientato in Israele nel periodo 1998-2002. Protagonisti, quattro amici intorno ai trent'anni (coetanei dello scrittore stesso) che, durante la finale dei Mondiali di calcio, scrivono in segretezza tre desideri per l'immediato futuro, la cui realizzazione dovrà essere verificata quattro anni dopo (cioè ai successivi Mondiali).
Si tratta di un'amicizia nata nell'adolescenza fra ragazzi molto diversi fra di loro. E' la diversità a creare complementarietà, oppure a reggere è il rapporto di fratellanza che non bada a divergenze?
Yuval, la voce narrante, si definisce "una persona sola che ha molti amici" e pensa di non essere "stato abbracciato abbastanza" durante l'infanzia. Si porta dentro un senso di colpa per un'azione che vuole tener segreta.
Churcill ha una bramosia di vivere un po' sospetta, "un bisogno disperato di riflettersi negli altri" .
Ofir, pur con grande talento, ha scarsa autostima. Vive il gruppo come "la cosa più simile a una famiglia".
Infine Amichai, già sposato e padre di due gemelli, pare il più defilato ma desterà sorprese.
Non mancano le figure femminili nei ruoli di fidanzate e mogli.
A una più attenta analisi, però, emerge come di fatto questi giovani uomini si portino dentro l'ombra lunga dei padri, un Super-Io che ne condiziona, anche pesantemente, sensibilità, atteggiamenti e comportamenti : è ben triste credersi liberi ed essere succubi di lontani fantasmi, anche quando apparentemente con essi non c'è condivisione alcuna.
Eppure questi ormai stagionati ragazzi costituiscono un eloquente e disarmante campionario della nostra modernità, fragile frutto e specchio di una società superficiale e omologata.
Nevo sa raccontare : lo stile è fluido, perfino accattivante. Solo verso la fine ho colto titubanze, trascinate per qualche decina di pagine, quasi l'autore non riuscisse a trovare adeguata conclusione (talvolta basterebbe mettere un punto). Poi la scrittura si riprende, ed esce un finale inaspettato eppure emblematico.
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Contorni nella nebbia
F. Durrenmatt (1921-90), svizzero, autore fra i principali del '900, molto conosciuto da chi ama il Giallo. Essendo un grande scrittore, non è però incasellabile in un sottogenere letterario : i suoi brevi e intensi romanzi si estendono ad un raggio ben più ampio : casomai l'uso del Poliziesco diventa una modalità, una chiave per aprire spiragli sulla realtà che ci sta intorno.
"La panne", poi, è un libro molto particolare . Verso sera la bella auto di un uomo piuttosto ordinario si arresta : è in panne. Egli trova ospitalità in una casa circondata da ampio giardino; viene bene accolto dall'anziano proprietario, che lo invita a rimanere a cena a cui convengono alcuni vecchi 'colleghi' . Si ritrova in effetti con quattro vegliardi, ognuno dei quali aveva avuto un ruolo nel settore della Giustizia : chi era stato avvocato, chi giudice, chi pubblico ministero : ogni tanto si ritrovano a cena per giocare 'al tribunale'. Il quarto omino, taciturno, ha avuto una mezza carriera come boia in uno Stato vicino, interrotta per l'abolizione della pena di morte.
Unica figura femminile presente, la cuoca-cameriera coi suoi piatti pantagruelici.
Solitamente amavano rifare famosi processi storici, come "il processo a Socrate" ; ma "era il massimo diletto se si giuocava con materiale vivo" come talvolta accadeva, e quella sera "il ruolo di imputato era ancora libero". Ciò "divertì il viaggiatore di commercio" accolto per la notte. "Disse che era per lui un onore assumere la parte vacante dell'imputato".
Che cosa si scopre durante quel gioco strano, seduti a gozzovigliare prelibatezze e bere i vini più ambiti ?
In fondo "c'è sempre qualcosa da confessare". "Chi fra noi può dire di conoscere se stesso, chi conosce i propri misfatti, le proprie colpe segrete ?".
Questa sì che è una sorpresa per il lettore : seduto alla tavola imbandita, sente che potrebbe esserci lui stesso; forse, in qualche modo, 'c'è' lui stesso.
La struttura del romanzo è un meccanismo straordinario. La scrittura di Durrenmatt è davvero bella. Della trama è opportuno non svelare altro.
Lasciamo i conviviali e usciamo in punta di piedi. "Fuori c'era lo spettacolo d'una tarda luna, una falce sottile, un lieve stormire fra gli alberi, e per il resto silenzio".
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Gondola nera per Constance
" ... era la più dolce e tenera delle donne (...). Ma era vittima di una malinconia morbosa , e l'amicizia per lei era sempre per metà apprensione. " (H. James)
Mi sono accostato a Constance Woolson e a questo libro tramite il bellissimo "The Master", in cui l'irlandese C. Toibin ricostruisce, documentatissimo, cinque anni di vita europea del grande scrittore H. James. In tale opera emerge anche la figura della scrittrice, amica intima di James, il quale definì il gesto suicida della donna (a Venezia, nel 1894) "un atto di follia certa".
Queste "Visioni veneziane" furono pubblicate postume dalla nipote della Woolson : annotazioni della zia nei suoi ultimi mesi di vita.
" ... vidi una vela con una grande testa perforata da due pugnali" : dalle solitarie passeggiate in barca, spesso lontano dall'animato centro veneziano, l'autrice ci offre le personali impressioni : vele che scivolano sull'acqua, seppur in piccoli gruppi, ognuna avvolta dalla propria solitudine, coi loro colori netti che non riescono a fondersi in armonia cromatica.
Le parole scorrono nitide in questa bella prosa, dove il simbolismo assume forme già novecentesche, in un linguaggio modernissimo che non lascia indifferenti: una prosa frantumata e ricomposta, fortemente poetica.
Venezia qui non ha sapore languido e decadente. E' un luogo dell'anima alla ricerca di se stessa.
"La nebbiolina color colomba" restringe e dilata gli spazi lagunari. Diventa un 'luogo' dove perdersi per poi forse ritrovarsi ; per lei, 'trovarsi soli', come avrebbe detto, qualche decennio dopo, L. Pirandello.
Talvolta si ha la sensazione di un'emotività che non risponde : la solitudine delle statue. E' in questa raggelante assenza il contesto di quell' "atto di follia certa" ?
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H. James; C. Woolson. Per chi ama Venezia.
Il professore associato
" Ormai i libri sono così tanti che sembra non esserci quasi più spazio per il pensiero "
(Un personaggio di Marai).
Un professore associato accompagna in auto un ex docente ultracentenario a Locarno per "una specie di congresso" , "un convegno di scienziati. Chimici" di livello internazionale, tenuto più o meno segreto.
Questo è l'avvio di questo romanzo giallo, o meglio mezzo giallo.
Gli sviluppi non sono grandiosi. Vari momenti paiono non sfruttati al meglio. La tensione del lettore va e viene; ma, prima di giungere alle parti finali, soprattutto va.
Carente risulta l'approfondimento. L'aridità di fondo, poi, su di me produce un effetto...deprimente.
Personaggi come il vecchissimo ex docente e la sua decrepita ma arguta consorte risultano abbastanza riusciti; però sono quasi esclusivamente loro ad emergere dalla nebbia noiosetta che avvolge la narrazione.
La scelta di uno 'stile' antiletterario neoconformista, con termini specialistici immersi in un lessico 'qualunquista' , apporta un grave danno alla qualità della narrazione : si passa da "enontiomeri" e "catalissi" a numerose e varie mezze volgarità di bassa televisione, tali da conferire all'Io narrante (il professore associato) un degrado estetico, certo ben poco confacente all'ambiente scentifico internazionale.
Ho trovato urtante questo aspetto, tanto più perché non vi si scorge un distacco moraviano dell'autore. A risentirne è il buon gusto. Non so se sospettarne connivenza, ma certo il clima prodotto, nell'insieme, è piuttosto volgarotto.
Per fortuna, qua e là, c'è qualche colpo d'occhio descrittivo del paesaggio che rincuora in questa, per me, faticosa lettura.
Non so quanto ci sia di autobiografico. Però aspetti professionali e ambiente lavorativo dello scrittore e della voce narrante paiono coincidere.
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I MANN : ONORI E LUTTI
Libro assai interessante (ancor più nella seconda parte) per i lettori di T. Mann e/o dei testi prodotti dai suoi sei figli : Erika, Klaus, Golo, Monika, Elisabeth e Michael.
Il contesto è la Storia internazionale del '900 : le vicende coprono davvero l'intero secolo, essendo l'ultima figlia deceduta nel 2002. Anche l'ambiente geografico è alquanto esteso : naturalmente la Germania, poi gli USA, l'Inghilterra, l'Italia, la Svizzera...
Con l'ascesa del nazismo, come sappiamo, il grande scrittore trova ospitalità negli Stati Uniti, sistemazione confortevole ma non senza problemi; soprattutto con il maccartismo la famiglia diventa 'sospetta', in particolare la vivace primogenita per il suo attivismo durante la II Guerra Mondiale, conflitto che vide la partecipazione attiva del fratello Klaus.
La tensione del clima politico americano è incentivo per il ritorno in Europa. T. Mann e la moglie infatti si stabiliscono in Svizzera, nei pressi del Lago di Zurigo; con loro l'ormai inseparabile figlia Erika, diventata aiutante del padre nelle sue attività intellettuali e curatrice della trasposizione cinematografica delle opere del genitore (di fatto scriveva lei le sceneggiature).
La numerosa prole eccelle in vari campi : letterario (Klaus); saggistico e non solo (Erika), storiografico (Golo); musicale (Michael); delle scienze marine (Elisabeth, diventata moglie e presto vedova dello scrittore Borgese).
La figura che ho trovato più affascinante è, però, Monika, non tra i figli più amati. Lei, pianista e scrittrice, è l'erede, col fratello Klaus, del talento artistico-letterario di famiglia. Si salva quasi per miracolo, dopo il siluramento bellico della nave su cui viaggiava; naufragio in cui perde la vita il giovane marito. Si trasferisce in Italia, dapprima a Bordighera e a Roma, per poi stabilirsi per oltre trent'anni sull'isola di Capri, da cui invia articoli a prestigiose riviste culturali. Alla morte del padre scrive un libro di memorie, che ottiene il successo commerciale ed il plauso della critica, ma scatena le dure critiche della madre e della sorella Erika, che già non ammirava affatto le sue pubblicazioni giornalistiche e che ora si trova 'in concorrenza' con un proprio libro analogo, appena edito, sul padre.
Monika pare non essere toccata dalle polemiche. Lei forse è quella, tra i figli Mann, ad aver percorso le vie più difficili e scomode dell'emancipazione, che però conducono all'obiettivo più bello : l'emancipazione da se stessi.
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biografie e/o libri di T. Mann
' Pellegrina e straniera '
"...Ho il dono di rallegrarmi con poco : la natura che mi circonda, il silenzio, sedere accanto al fuoco, leggere... Compiere i gesti quotidiani quasi come un rito." (M. Yourcenar)
L'autrice di questa bellissima biografia di Marguerite Yourcenar conobbe la celebre letterata quando la intervistò, ormai molto anziana, per il giornale Le Monde : ne nacque una frequentazione, quasi un'amicizia, che durò fino alla morte della grande scrittrice franco-belga.
Ciò la introdusse anche nel piccolo mondo dell'isola di Mount Desert, nel Nord-Atlantico, dove la Yourcenar viveva da lunghi decenni : "In questa piccola isola (...) sto, insomma, negli Stati Uniti come non ci fossi", scriveva. Abitava in una casa in legno, tutta dipinta di bianco, circondata da un ampio terreno, in cui poteva provare il piacere di "leggere il greco sotto i meli in fiore".
La giornalista, dopo la morte di Marguerite, fu pertanto facilitata nella raccolta di testimonianze dirette, particolarmente preziose e attendibili.
Il libro, documentatissimo, si basa inoltre su diari, taccuini, lettere, interviste, documenti pubblici e privati di ogni sorta.
Tanta ricchezza di documentazione, unita a professionalità ed equilibrio, l'hanno condotta ad un imparziale lavoro di scavo e di approfondimento, senza alcun cedimento di tipo agiografico.
La scrittura altamente divulgativa rende la lettura assai gradevole, direi accattivante.
Si tratta insomma di una delle biografie più belle che sia dato di leggere, una biografia che si scorre come un romanzo avvincente ; ma non c'è nulla di romanzato : la vita di M. Yourcenar è stata già di per sé eccezionale, in tutti i sensi.
Marguerite, orfana di madre ad appena dieci giorni, viene allevata dal colto e piuttosto anziano padre, che la conduce con sé in giro per l'Europa, fra permanenze nel castello di famiglia e nei lussuosi alberghi della Costa Azzurra. Tra viaggi, letture, visite ai musei, l'educazione della bambina non è affidata ad alcuna scuola : il padre come precettore, un'istitutrice, poi passi da gigante come autodidatta.
La passione per la lettura, l'arte e i viaggi prosegue per la vita intera, fino all'estrema vecchiaia. Amava trarne elementi di riflessione : "uno dei segreti della vita in ogni luogo e in ogni tempo: l'uniformità sotto la varietà delle apparenze"; e ancora: "ci ritroviamo dovunque e comunque di fronte a noi stessi".
Ci sono poi, ovviamente, i suoi libri, il successo letterario, la celebrità quale una delle maggiori scrittrici del mondo intero e come donna di vastissima cultura e acuta intelligenza, sensibile ai problemi del mondo e all'ecologia, fino ad essere considerata un punto di riferimento di saggezza, quasi un mito.
Indicazioni utili
biografie e/o libri di M. Yourcenar
Quale follia !?
Kross, deceduto alcuni anni fa, viene considerato non solo il più grande scrittore dell'Estonia, sua patria, ma il maggior autore baltico, ed è stato per più anni candidato al Nobel.
"Il pazzo dello zar", ambientato nel 1827-37 (il capitolo di chiusura, nel '59), è stato pubblicato nel 1978, periodo in cui l'URSS era ancora una realtà politica capace di estendere il controllo sulle Repubbliche Baltiche. Le sue violenze, lo sappiamo, non furono affatto minori rispetto a quelle perpetrate in epoca zarista. Kross stesso ha trascorso otto anni di reclusione nei gulag siberiani.
Il libro è un romanzo storico, la cui voce narrante è Jacob, cognato del brillante aristocratico Timo von Bock, uomo di idee illuministiche, che sposò una giovane contadina, dopo averla fatta istruire per anni insieme al fratello Jacob, tanto da renderla più colta e signorile delle dame nobili per nascita.
Timo, amico personale dello zar, venne richiuso per nove anni nelle carceri russe, poi benevolmente lasciato in libertà vigilata presso la sua tenuta di campagna, con la motivazione ufficiale di 'pazzia' : aveva scritto una lunga lettera con argomentate 'verità' assai scomode . L'averla spedita allo zar in persona non può essere abbastanza plausibile come prova di follia certa ?
Romanzo storico, dunque. Il diario di Jacob, intanto, esiste veramente ; lo scrittore ha condotto rigorose indagini storiche sulla veridicità delle vicende annotate, come ha letto scrupolosamente le carte scritte dallo stesso Timo von Bock. C'è, insomma, alla base di quest'opera, un lavoro accurato di ricerca su documenti pubblici e privati.
Ne emerge un grandioso affresco non solo di una singola realtà, bensì di un'intera epoca, con una felice fusione di ambiti, individuale e collettivo.
La figura dell'aristocratico "pazzo" rimanda alla drammatica rappresentazione di noti presunti o finti folli della letteratura : da Amleto di Shakespeare all'Enrico IV pirandelliano.
La scrittura di Kross è magnifica. Doris Lessing l'ha definito "uno srittore meraviglioso che avrebbe meritato il Nobel".
"Vede, io sono pazzo e di conseguenza posso dire la verità".
"Tutto quello che Timo scrive è la pura verità (...). Ma l'arditezza di Timo è stata, con tutta evidenza, una vera pazzia".
"Ma dite un po' , che cosa si può rispondere a un pazzo...!?".
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romanzi storici
Fenoglio pubblico e privato
Per chi ama Beppe Fenoglio, questa biografia è un testo imperdibile.
L'autore del libro proviene da Alba, la stessa piccola città dell'importante scrittore piemontese. Pertanto, non solo ha potuto raccogliere dati su tutti i fronti disponibili, ma ha avuto l'opportunità di ascoltare le testimonianze di una miriade di persone . Inoltre ha perlustrato la cittadina e le colline circostanti, le Langhe, fin negli angoli reconditi, come solo chi è del luogo ha la possibilità e le adeguate conoscenze per compiere un'indagine tanto minuziosa.
Ha rovistato nell'infanzia, notando un fatto significativo: l'allontanamento del piccolo Beppe dalla famiglia, presso i nonni, ad appena un anno di vita e per un tempo non breve, a causa della nascita del fratello, cogliendovi così un indizio sulle origini del carattere chiuso e non sempre facile del futuro scrittore.
Il periodo della Resistenza viene indagato in modo particolare: ci aiuta a capire come la non-monumentalizzazione e l'assenza di enfasi della rappresentazione partigiana nelle pagine di Fenoglio derivi anche dalle sue scelte ed esperienze personali in quel momento storico e successivamente: nel Referendum del '46 votò per la monarchia; anche se dopo le sue simpatie politiche si spostarono altrove, mai si spinsero in direzione 'rivoluzionaria' .
Con grande uso di documenti epistolari viene analizzato il lavoro letterario ed il rapporto non molto lineare con le case editrici e gli intellettuali che vi lavoravano (Italo Calvino, Vittorini, P. Citati...).
La vita privata non risulta mai passare in secondo piano: le amicizie, l'amore, la dolcezza dell'esperienza di padre, purtroppo breve per la morte avvenuta a soli quarant'anni. Straziante la lettera alla figlia allora in tenerissima età : le scrive che il papà non l'abbandona. Come non pensare al vissuto della propria prima infanzia? In fondo, tutto torna.
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L'ambiguità dell'arte
Questo libro molto interessante di U. Eco è di grande utilità per accostarci consapevolmente ad un'opera letteraria e all'arte in generale, consentendoci nuove prospettive di interpretazione.
Mi pare che l'autore accolga sostanzialmente il rilevante contributo di B. Croce, per il quale l'arte abbraccia il tutto e riflette in sé il cosmo, pur partendo da un'esperienza individuale.
Su questa base, Eco sviluppa un discorso innovativo attingendo alla propria vastissima cultura e rielaborando idee, i cui esiti lo portano ad affermare che ogni opera, che raggiunga livelli artistici, è un' "opera aperta", tanto "che ad ogni fruizione non risulta mai uguale a se stessa" ; "aperta" quindi sempre a nuove possibili interpretazioni, anche da parte del medesimo fruitore. Fondamentale risulta pertanto il concetto di 'ambiguità' dell'arte.
Diviene evidente la netta differenza fra il 'messaggio poetico' , caratterizzato dalla trasmissione anche emotiva, derivante da una data 'forma' inalterabile (la cui eventuale modifica muterebbe il messaggio stesso o lo annullerebbe a livello artistico), e il semplice 'messaggio informativo' (tipico della saggistica e del giornalismo), totalmente basato sulla trasmissione univoca di un contenuto, non alterabile dal mutamento espressivo.
Solo nell'arte, quindi, forma e contenuto rimangono totalmente inscindibili.
A mio avviso, U. Eco è altresì debitore verso la critica sociologica per lo stretto collegamento fra produzione artistica e e contesto socio-culturale, tant'è che l'arte viene intesa come espressione di un'epoca : "l'opera d'arte (...) medievale rifletteva una concezione del cosmo come gerarchia di ordini chiariti e prefissati", mentre il dinamismo barocco, condizionato e disorientato dalle nuove concezioni astronomiche e dalle scoperte geografiche, ha spostato l'attenzione dall' 'essere' all'apparenza soggettiva. i Simbolisti, poi, riflettono "un nuovo travaglio della cultura, che sta scoprendo orizzonti inaspettati".
Ogni opera d'arte, però, è comunque un'opera aperta, perché fruibile da più prospettive e da sensibilità soggettive, che la rendono mai univoca, anche se originata da una concezione culturale fondata su modelli prestabiliti.
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saggistica letteraria
Una donna in bilico
Lutero, che come sappiamo non aveva recepito la Confessione come Sacramento, raccomandava però l'importanza delle 'conversazioni private' .
Questo romanzo, molto bello, è ritmato su sei di queste 'conversazioni' .
L'ambiente è quello del clero protestante, che il grande regista I. Bergman conosceva bene (era figlio del Pastore della Casa Reale di Svezia). Si dice che vi si rispecchino lontane riminiscenze autobiografiche.
Protagonista è una giovane donna sposata con un Pastore d'anime in ascesa di carriera ma dalla personalità piuttosto vulnerabile. La coppia ha tre bambini. E' stato un matrimonio d'amore, ma da tempo è in crisi.
Lei seduce un riservato e riluttante studente di teologia e ne fa il suo amante.
In una 'conversazione privata' col proprio consigliere spirituale parla di questa situazione. Viene convinta a comunicare tutto al marito per una riappacificazione. La donna, benché perplessa e titubante, accetta.
Prende così inizio questa storia, narrata in modo assai convincente con uno stile scarno, diretto, 'cinematografico' .
Il valore letterario attribuito a Bergman non deve stupirci : è lo splendido autore delle sceneggiature dei propri film, alcune di particolare bellezza. Ricordo "Il posto delle fragole" e "Il settimo sigillo", ora pubblicate da una nota casa editrice specializzata in letteratura nordica.
In questo libro l'autore non giudica; rappresenta in tutta la sua realtà un dramma familiare. C'è un'acuta analisi in particolare del personaggio femminile, attraverso le sei 'conversazioni' . L'ultima di queste è collocata vari anni prima, e contribuisce a dare maggior completezza all'enigma della personalità di questa donna.
* Il rischio comprovato di un giudizio superficiale di certe lettrici pseudofemministe (ovviamente non quelle di questo sito), per cui tutto è scusabile in una donna, sminuirebbe fortemente la portata e la complessità del libro : penso che la banalizzazione sia non solo deprimente, ma rappresenti sempre un'involuzione.
Indicazioni utili
letteratura nordica
FIABA IN NERO
" La saggezza dei grandi pensatori consiste non nel soddisfacimento ma nella eliminazione del desiderio ".
( Beckett )
"Un giovane di buona famiglia (...), ricco (...), un giorno decise di lasciare la società caotica e confusa (...) e ritirarsi in una baita di montagna". Così il fiabesco incipit. La "baita", però, era una lussuosissima villa, ma non gli bastava comunque : lui voleva il sole, molto sole, sempre più sole ; per questo voleva far abbattere i picchi, le rocce che gliene toglievano un po'.
L'ultimo e recentissimo libro di Mauro Corona, lo scrittore-montanaro che non disdegna i palchi televisivi, è stata composta in poco più di tre mesi. E purtroppo si nota.
La storia si dipana lungo questi ultimi quarant'anni, periodo che gode i frutti del boom economico, col mito del benessere, anzi della ricchezza, in cui i figli crescono viziati e supponenti in piena crisi di valori e in una società in cui il denaro e la corruzione hanno ricadute pesantissime sull'ambiente e sull'ecosistema. Il trionfo del consumismo e dell'irresponsabilità.
Il testo di Corona si pone come denuncia di tutto questo ; una volta sarebbe stato definito 'd'impegno civile'. Procedendo nella lettura, ci si accorge che coinvolge anche l'aspetto esistenziale dell'uomo, la dimensione del senso. Insomma, si tratta di un libro scritto con le migliori intenzioni.
Però ... l'opera letterariamente non è riuscita.
Probabilmente un'affrettata stesura ed esigenze editoriali forse pressanti hanno contribuito a non perfezionare una scrittura spesso molto carente : convenzionale, piena di 'luoghi comuni', ad un livello basso-televisivo, per cui si parla di "un padre (...) che non arriva a fine mese", di "imprenditori senza scrupoli" e di "politici prezzolati e senza scrupoli" ; poi si dice che "un tizio coi suoi soldi può comprarsi mezza Sardegna" e "le famiglie sono spesso la rovina dei figli". Il peggio è che ad usare questo 'stile' non è il protagonista del racconto; bensì il narratore stesso, che possiamo identificare con l'autore!
Talvolta però, quando si descrive l'amato paesaggio di montagna, succedono momenti di grazia narrativa : il linguaggio diviene gradevole, perfino poetico. C'è anche da aggiungere che la seconda parte del romanzo è percettibilmente migliore della prima. Ogni tanto c'è una citazione tratta da autori noti : qualche perla di saggezza che scivola fra gli accadimenti.
Si tratta dunque di una fiaba, per cui non tutto deve essere verosimile. E, come tutte le fiabe, presenta un finale volto a far riflettere, finale che ovviamente non vogliamo svelare. Non possiamo però sottrarci dal ricordare una frase emblematicamente lapidaria dello scrittore americano De Lillo, che qui ci pare significativa, secondo cui "il denaro parla a se stesso".
Il pittore dei morti
Kaniuk (1930-2013) , importante scrittore israeliano, ha praticato anche la pittura : un dato importante per comprendere l'ultimo libro che ha scritto, "Sazio di giorni".
Questo autore, la cui famiglia si era trasferita in Palestina già nel 1909, era ossessionato dalla morte, come ricorda E. Laowenthal : un altro elemento da tenere in considerazione.
Il racconto in questione si presenta come un lungo dialogo fra un pittore chiamato a ritrarre un ricchissimo signore appena deceduto e l'enigmatica vedova del defunto. Dal dialogo emergono frammenti di vita di entrambi.
Un pittore che nei morti vuole captare l'essenza della loro vita. Ciò contribuisce a fare del protagonista un personaggio, nel contempo, realistico e simbolico.
Benché egli consideri la morte "come un vuoto che lascia il corpo privo di anima", sostiene che un buon dipinto, a differenza di una fotografia che coglie l'immagine superficiale, "vede quel che sta dietro l'espressione (...), il segreto nascosto negli occhi, nei solchi sulla fronte di un uomo".
Il testo procede con frasi che richiamano la transitorietà di questa vita o che tendono ad evidenziare la forza dell'arte : "un giorno tutti noi saremo momenti dimenticati senza nome" ; eppure l'arte perpetua "l'eterno presente" ; ma "un'opera d'arte ha valore quando non può essere diversa, solo così è giustificabile".
Tante parole, però, non riescono a captare l'insondabile e ad esprimere l'ineffabile ; il nostro pittore, infatti, ammette : "Ho dipinto un mistero in forma di uomo".
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letteratura israeliana
GIALLO D'AUTORE
W. Collins viene considerato il padre del romanzo poliziesco, e "La donna in bianco" il suo capolavoro.
Non dobbiamo però pensare che questo libro sia semplicemente inseribile in un sottogenere letterario o possa essere bollato come testo 'di consumo' benché la sua pubblicazione sia avvenuta 'a puntate' su una rivista (nel 1859-60) ; ma essa era diretta da Dickens!
Il successo fu travolgente. La sua leggibilità è infatti straordinaria : le oltre 700 pagine volano in breve tempo ; la rigorosa struttura della lunga vicenda è eccezionale, tanto da tenere desto in chi legge il desiderio costante di procedere : riesce ad essere quasi sempre stupefacente (un solo enigma è scoperto dal lettore prima del susseguirsi dei fatti, ma ci si accorge che si tratta di un dettaglio che non riveste il rilievo che ci si aspettava) . Poi c'è la scrittura, di piacevole eleganza, sulla scia della grande tradizione inglese.
La giovane donna in bianco, che compare di notte o al crepuscolo col suo alone di mistero, non rappresenta l'unico elemento d'inquietudine, perché la sua vicenda s'intreccia con quella di numerosi altri personaggi, dando vita a molteplici accadimenti collegati fra essi da una ramificazione di fili sotterranei.
Possono venir in mente facili accostamenti al romanzo gotico e a "Cime tempestose" di E. Bronte. L'antico castello, la natura selvaggia, il lago d'inquietante cupezza, il cimitero... : ci sono tutti gli elementi d'impronta romantica, ma così ben assortiti in una mescolanza anche di realismo e d'intrigo razionalistico, da contribuire a formare una stupefacente 'macchina narrativa' (d'altronde siamo oltre metà '800).
Il romanzo è strutturato in modo originale e accattivante : narratori sono alcuni personaggi quali 'documenti' di preziose testimonianze in un processo : tappe volte al progressivo svelamento della verità dei fatti.
"...vidi stagliarsi solitaria la figura di una donna, vestita di bianco (...), che mi scrutava con espressione grave, e con la mano indicava la nuvola scura sopra Londra".
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OLTRE LA MASCHERA
F. Mauriac, scrittore grandissimo, Premio Nobel per la Letteratura 1952, annotava : "Non credo di aver mai scritto niente che superi o anche solo eguagli la storia dei fidanzamenti mancati di Rosa Revolu".
La giovane Rose è di fatto la protagonista del romanzo dal bel titolo enigmatico "Le vie del mare", anche se contornata da personaggi che le fanno da corona e che indicare come secondari sarebbe sminuirli, tanto l'autore è stato capace di infondere ad ognuno di loro una personalità e una complessità interiore da renderli vivi e palpitanti, senza prolissità alcuna. Questo è il genio degli artisti veri !
Lo scrittore qui si dimostra capace di un approfondimento analitico veramente 'spietato' e, nel contempo, di mantenere un'aura di pietas che pervade l'intero racconto, perché la 'spietatezza' consiste solamente nella ricerca della verità senza infingimenti, quella verità che si nasconde dietro a cortine di compostezza, deboli baluardi di malferma difesa di ciò che stride o abbrutisce sotto i veli della presentabilità.
Ciò che è vile e meschino come si veste di decoro !
Certo, anche altri autori (pensiamo a Pirandello) hanno usato l'arte per far cadere le maschere, ma forse nessuno come Mauriac ha saputo farlo con tale ricchezza di calore umano e con tanta grazia.
In fondo, "nessuno nella vita è più disarmato di quei ragazzi che si credono aquile".
La stessa Rose, che non vogliamo includere fra essi, "non si chiedeva mai : 'ma è questo l'odio!' . Non pensiamo mai a chiamare le nostre passioni col loro vero nome".
Le passioni e gl'interessi spesso dominano. Ma gli interessi molte volte si coniugano con la meschinità, e le passioni, come ci suggerisce l'etimologia, si subiscono. Lo scrittore ungherese Marai fa dire a un personaggio che "la passione non ha niente di festoso".
Eppure la salvezza a volte è veramente a portata di mano, quando c'è l'umiltà di disarmare la nostra miseria interiore, per poter così percorrere la via del riscatto.
Da segnalare la bella traduzione di M. Bontempelli.
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" FORSE DOMANI "
Protagonista, un quarantenne ex insegnante con un piccolo podere nella solitaria campagna svedese e un buon numero di alveari.
La sua vicenda è ricostruita in base ad alcuni taccuini ritrovati.
Per disturbi di salute, si sottopone ad analisi mediche; ma, quando giunge la lettera con la diagnosi, decide di di non aprirla e di bruciarla.
Vive così tra alti e bassi, con momenti di intenso dolore fisico alternati a giorni di calma.
Nei mesi di isolamento 'recupera' parti salienti del proprio passato.
Secondo me, è proprio tale aspetto a rendere più interessante questo testo, redatto con una scrittura bellissima, essenziale, talvolta evocativa.
Il suo dolore relativizza i piccoli dispiaceri della vita. Sente che "ora si potrebbe cominciare a costruire nuovamente una qualche scala di valori" .
Trova conforto nel ripensare ai luoghi dell'infanzia. Poi riflette su "quella strana, quieta malinconia dell'adolescenza", deducendo di poter "ben passare attraverso un'altra adolescenza, allora". La relazione stessa con le figure femminili si ammanta di nuova consapevolezza.
Interessanti le riflessioni sul proprio modo di essere: "ho sempre avuto una così netta sensazione di 'essere al di fuori' , di essere in fondo un asociale, benché abbia sempre pagato le tasse (...). Persino il mio modo di reagire alla malattia è naturalmente asociale". E scopre che il bisogno di non aver a che fare con gli altri ha alla base "il rifiuto di accordare loro un certo genere 'di controllo' ".
Quella vita, che gli pareva trascorsa in modo scialbo e incolore, aveva avuto dunque uno scorrere sereno, a volte lieto, con una sua singolare pienezza.
Doveva toccare momenti estremi di sofferenza per accorgersene?
Comunque sia, "si può sempre sperare".
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letteratura nordica
Paradossi della contemporaneità
T. Lindgren, scrittore svedese contemporaneo, da anni fa parte della commissione che assegna il Nobel per la Letteratura. E' autore di questo libro molto bello e di lettura gradevolissima.
Protagonisti sono un giovane uomo, "l'unico corniciaio intellettuale di tutta la Svezia", e Paula, dapprima bambina-prodigio come pianista e cantante, poi celeberrima rock-star.
Il protagonista è uno dei più bei personaggi maschili della letteratura contemporanea : amante dell'arte e spirito contemplativo, richiama alla mente in chiave moderna il Principe Myskin del romanzo "L'idiota" di Dostoevskj.
Libero da ogni attaccamento al denaro, riesce fortunosamente ad avere un dipinto dal valore inestimabile che rappresenta l'immagine della Madonna, quadro che ama smisuratamente,
La sua unica amica, in un legame che dura dall'infanzia, è Paula, la cantante di notorietà internazionale : quanto ai suoi spettacoli, scrive un giornalista, nel Regno di Svezia non si è mai visto nulla di simile.
Il tema di fondo, attualissimo, riguarda i meccanismi del successo e l'ambiguità fra autenticità e falsificazione, aspetti spesso strettamente legati, come nel caso di Paula costretta a vivere in un mondo in cui "niente esisteva di per sé, tutto rappresentava qualcos'altro", in una vita di smarrimento, di sola apparenza.
Le cose si complicano anche per il colto corniciaio, la cui intelligente ingenuità ci offre vari momenti di involontario umorismo.
Che la falsificazione sia l' espressione che più connota la nostra smarrita epoca contemporanea? E come recuperare l'autenticità per chi si è perduto?
Il romanzo è a lieto fine, ma il percorso per giungervi è rocambolesco e scandito da situazioni paradossali che alimentano in chi legge risonanze non superficiali e salutari riflessioni.
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Un terrazzo sul Baltico
Questo bellissimo libro di J. Brokken è un viaggio nel tempo e nello spazio attraverso Lituania, Lettonia ed Estonia, le tre Repubbliche baltiche, scoprendone i paesaggi memorabili, lo spessore culturale, soprattutto la travagliata Storia, che le ha viste martoriate dalla guerra e da invasioni e deportazioni russo-sovietiche e naziste . Gli abitanti sono stati più che decimati (la Lettonia, nel periodo della Seconda Guerra Mondiale ha perso un terzo degli abitanti!). Parte della borghesia è stata deportata in Siberia. Gli ebrei hanno subìto sorti spaventose.
L'autore ci racconta tutto questo attraverso il vissuto di personaggi famosi e di persone quasi anonime, in questo caso con vicende ancora più toccanti, che talvolta ci rimangono impresse anche solo per qualche dettaglio, tant'è sconvolgente, come per la ragazza travolta da uno dei carrarmati inviati dall'ultimo ideologo comunista a sedare una protesta : con una gamba amputata dai cingoli, rivolge ai medici le sue ultime parole: "Potrò ancora sposarmi? Potrò ballare alle mie nozze?".
Appaiono poi le vicende di personaggi noti : il cineasta Ejzenstejn ; l'intellettuale Hannah Arendt, originaria della città di Kant, la prussiana Konigsberg, diventata la Kalingrad russa, "per diventare a fine secolo una città di banditi" ; poi lo scrittore von Keyserling e la baronessa Alexandra che sposò Tomasi di Lampedusa e trovò rifugio a Roma dove fu la prima psicoanalista italiana ; e ancora il pittore Rothko emigrato negli USA ed il compositore di musica spirituale Arvo Part.
Non minori protagonisti sono le popolazioni e i luoghi, reduci da percorsi storici spesso devastanti. Tra il 1914 e il '21, la città di Vilnius passò da una potenza all'altra, cambiando sovranità otto volte!
Non si tratta però solo di un testo sugli orrori subiti da queste terre, ma è anche un libro che trasmette sia il fervore culturale e umano, che si respira in questi luoghi, sia l'incanto della natura baltica. "Sotto la neve appena caduta, betulle, pini e querce emanano la calma maestosa delle statue (...) : è un paesaggio che impone la contemplazione".
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Un castello in Curlandia
E. von Keyserling, aristocratico baltico, scrisse questo breve romanzo nel 1907 a Monaco di Baviera, lontano dal suo castello in Curlandia, nell'attuale Lettonia.
Sappiamo che era già praticamente cieco; perciò risulta commovente leggere le belle descrizioni del paesaggio invernale nordico, splendido e riposante durante le nevicate notturne che imbiancano sentieri e boschi : le conservava nell'animo e le riviveva nella scrittura.
J. Brokken, in "Anime baltiche", ne parla come di un Proust nordico : "Descrive gli abeti, le spiagge candide, i laghi incendiati dal sole della sera come fossero le sue belle innamorate di gioventù, i parchi dietro i castelli come fossero il ritratto di sua madre".
Il romanzo, con una trama incalzante, rappresenta il mondo della nobiltà baltica nella fase di decadenza. Per questo l'autore è stato accostato a T. Mann e a J. Roth, anche se ritengo che i suoi libri non raggiungano i livelli dei grandiosi romanzi "I Buddenbrook" e "La marcia di Radeztky".
Siamo in un castello, con tre uomini (il marito, un barone delle vicinanze e un pastore d'anime) che ruotano attorno ad un'affascinante figura femminile.
Lo scrittore rappresenta quel mondo in decadenza, che sarà presto travolto dall'ondata della Storia, non come colui che ne fa parte, bensì senza compiacimenti o nostalgie. Sa cogliere l'aspetto umano dei personaggi, il disagio esistenziale, per cui quelle figure letterarie si animano vive e toccanti : il lettore resta spettatore commosso.
Il senso di solitudine e isolamento diventa palpabile; lo scorrere del tempo è tangibile nella sua dimensione crepuscolare : "Ah, tutto corre così velocemente, tutto passa così in fretta, come le immagini di una lanterna magica"; "camminiamo affettuosamente nella luce del tramonto e uno racconta amichevolmente all'altro le sue bugie". "Si crede di essere fortemente e dolorosamente legati a qualcuno, di essergli molto vicino, e poi ognuno va per la sua strada senza sapere che cosa è accaduto nell'animo dell'altro. Al massimo uno saluta l'altro dall'intimo della sua solitudine".
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L'esteta dell'inganno
Questo libro pubblicato incompiuto nel 1954, un anno prima della morte dell'autore, ha avuto una 'gestazione' lunghissima e, pare, controversa.
Venne iniziato nel 1910, più volte lasciato per la stesura di altre opere, nuovamente ripreso per essere di nuovo accantonato, quasi che il protagonista del romanzo non fosse così importante per l'autore da esigere un periodo di dedizione completa; d'altronde neanche tanto evanescente da essere definitivamente lasciato cadere nell'oblio.
Dopo oltre un quarantennio di alterne attenzioni, il testo vide la pubblicazione come opera incompiuta: lo si percepisce chiaramente dai tanti rimandi a situazioni previste successivamente ma mai redatte, anche se una conclusione posticcia ce l'ha, certamente non un'idea grandiosa.
Chi ha ammirato Thomas Mann nei bellissimi romanzi "I Buddenbrook" e "La montagna incantata" non si aspetti qui i livelli di affascinante scrittura e di creatività là incontrati.
Per la verità, c'è uno stile comunque ragguardevole; è piuttosto la vicenda narrata a mostrare carenze.
Lo scrittore pare abbia tratto ispirazione da un libro di memorie, pubblicato in lingua tedesca nel 1905, da un avventuriero rumeno il quale, simulando un'identità di aristocratico, frequentava alberghi di lusso e rinomati stabilimenti termali europei, praticando la truffa e il furto di gioielli.
T. Mann segue il proprio protagonista dalla sfortunata infanzia fino alla giovinezza, facendone un individuo di innata eleganza, bello e desideroso di scalare la società, anche a costo di rischiosi compromessi.
A mio avviso, questo romanzo incompiuto è collocabile, per impronta culturale, non nel periodo in cui è stato pubblicato, quanto piuttosto nell'epoca che ne vide l'abbozzo di progetto, fra i cascami del Decadentismo al tramonto e della Belle Epoque.
Il personaggio, infatti, può essere colto come potenziale esteta che esercita l'inganno con gusto elegante e raffinato, capace di captare ogni stimolo culturale ovunque gli capiti.
Nei pregiati alberghi frequentati dall'autore, quando la Grande Guerra già si avvicinava ma nessuno pareva avvedersene, forse non era improbabile imbattersi in qualcuno del genere, mescolato fra i tanti ospiti, tutti coi loro bauli di raffinatezze al seguito.
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Sulle tombe dei Grandi
" I passi sulla ghiaia si mutano in musica funebre per vecchi cimiteri ".
Foscolo, nel poema Dei Sepolcri, rievoca la figura di Vittorio Alfieri che accorreva alle tombe dei Grandi, presso la chiesa di Santa Croce a Firenze, per trovarvi conforto.
Forse non ha tanta intensità la spinta emotiva che ha condotto lo scrittore olandese C. Nooteboom in giro per il mondo, accompagnato da S. Sasson valente fotografa, a cercare nei cimiteri le tombe dei poeti e pensatori amati. Sicuramente, però, alla base c'è una suggestiva motivazione : "mentre stiamo lì in piedi davanti alle loro tombe siamo circondati dalle loro parole".
Gli scrittori visitati sono davvero molti, posti in ordine alfabetico, ognuno con la fotografia del proprio monumento funebre, e per ciascuno un commento, un'impressione, un brano tratto da un'opera. Ma come lettore mi aspettavo di più.
Ci sono particolari, evidentemente recati da visitatori ben diversi, che lasciano parecchio sorpresi : sulla tomba di Oscar Wilde al Père-Lachaise di Parigi "hanno coperto il suo nome sulla lapide di ardenti baci al rossetto"; oppure, a Berlino sulla tomba di Brecht, "ci sono scritti degli insulti (...), un segnale che la fonte dell'orrore non si dissecca mai". E pensare che il posto dovrebbe indurre alla pietas e, come afferma l'autore in un'intervista rilasciata a Repubblica, il cimitero è un luogo "in cui anche gli opposti possono convivere. Penso a Brodskij e Pound, così ideologicamente lontani, che diventano vicini di casa dentro il cimitero di San Michele a Venezia".
Non tutti hanno voluto un monumento a loro memoria. Virginia Woolf ha predisposto che le proprie ceneri venissero sparse in una parte del giardino di casa, a Monk's Hause. Paradossalmente però, con la voluttuosa fioritura lussureggiante di colori e profumi, che caratterizza questo luogo nella stagione propizia, "non ci si può immaginare una tomba più bella".
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Sulle tracce della donna bionda
"Incidente notturno" è l'ultimo libro di Modiano che ci è giunto in traduzione.
Ogni testo del grande scrittore francese è in sé compiuto, ma le ambientazioni e le sfumate atmosfere parigine sono quelle che caratterizzano un po' tutte le sue opere, tanto che ciascuna di esse è come un tassello del grande mosaico della sua intera produzione, che in fondo è la sua personale 'Recherche'. Tale caratteristica, unita alla dimensione proustiana che le connota, lo accomuna all'opera di Lalla Romano, come anche il linguaggio essenziale e profondo, con l'intersecarsi di diversi piani temporali.
Qui l'Io narrante è un uomo maturo che rievoca un incidente accadutogli quando era ventenne. Ci fa sapere che "era successo in tempo per permettermi di dare alla mia vita un nuovo inizio"; "mi permetteva di riflettere su cosa era stata la mia vita fino a quel momento".
Egli, ferito, viene portato in ospedale con una giovane donna bionda, che era alla guida dell'auto che l'ha investito: l'atteggiamento benevolo quasi protettivo di lei lo induce a rievocare un'analoga disavventura di anni prima, con la donna bionda (la stessa?) anche allora al suo fianco : realtà o fantasma della memoria ?
Sulla scena compare anche un uomo, figura inquietante, che all'uscita dall'ospedale gli lascia una busta contenente una cospicua somma di denaro. Chi è ?
Non ancora ristabilito, vediamo il protagonista alla ricerca della donna bionda partendo dai pochi dati di cui è in possesso. In un clima da romanzo giallo, vaga per i quartieri di Parigi, ambienti colti in suggestive immagini preferibilmente notturne, come in un film d'Autore girato in bianco e nero.
La bellezza dello stile di Modiano ha modo di esplicare tutto il suo fascino, in particolare nella seconda parte del libro : la scrittura è tersa ed evocativa, senza mai un cedimento; i diversi piani narrativi fluiscono e si intercalano con naturalezza; le sapienti pennellate fanno emergere vari elementi e ne celano altri. Analogie e sottili ambiguità quasi oniriche producono sensazioni di "eterno ritorno".
Più che in altri testi, s'intravede una conclusione, anche se nell'autore molte porte restano sempre aperte a interpretazioni possibili.
L'arte di Modiano, come avviene per gli scrittori veramente grandi, pur partendo da vissuti individuali ben delimitati, ci offre la possibilità di scorgere un 'afflato cosmico' che coinvolge il lettore, qualunque lettore, nel destino comune, in cui palpitano "tanti visi colti per un istante che brilleranno nella memoria con uno scintillio di stelle lontane per poi spegnersi il giorno della nostra morte senza aver rivelato il loro segreto".
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altri libri di Modiano
Tutto su sua madre
Herman Bang, una vera celebrità letteraria della Danimarca, è considerato insieme ad Oscar Wilde il più grande scrittore dell'Estetismo nordico.
A differenza degli altri Grandi del Decadentismo, quali G. D'Annunzio, Huismans e lo stesso Wilde che hanno fatto della loro poetica quasi un'ideologia, Bang presenta una scrittura lieve, avulsa da fardelli ideologici o autocompiacimento.
"La casa bianca", pubblicato nel 1898, è un libro di stampo autobiografico e di stile Belle-Epoque.
Personaggio centrale è la figura della madre, giovane donna dal temperamento artistico, musicalmente e vocalmente dotata, spesso china sui "tasti arpeggianti" del pianoforte. Pare voler soffocare la propria visione pessimistica della vita tramite una brezza di follia che aleggia in ogni pagina.
Lo scenario è una bellissima dimora col grande parco e i dintorni, colti in momenti suggestivi, magari quando "i campi silenziosi dormivano" e "mute navigavano le stelle sopra di loro".
La contemplazione della natura, secondo la madre "bella cornice" al dolore esistenziale, offre sovente immagini splendidamente rese dalla penna di uno scrittore capace di cogliere il fascino ovunque si trovi. Persino le passeggiate crepuscolari o notturne nel piccolo cimitero del villaggio diventano lievi pennellate nel terso affresco che è questo romanzo, tanto che si è parlato di stile impressionista proprio come accostamento alla pittura francese dell'epoca. A mio avviso, talune atmosfere possono anche richiamare il floreale Liberty, ma come attenuato da uno spirito un po' gozzaniano, anche se qui non ci sono "le buone cose di pessimo gusto", perché tutto è della massima raffinatezza.
Ciò contribuisce a quella leggiadria senza posa o affettazione che fa di questo libro una lettura molto gradevole, riverberata ma non abbagliata dallo splendore della scrittura.
Oggi la protagonista potrebbe essere analizzata come un interessante caso depressivo-maniacale. Ma, quando è stato scritto il libro, i testi famosi di Freud non erano ancora stati nemmeno pubblicati. Lei, pertanto, con le sue danze volteggia nelle pagine semplicemente come personalità affascinante e imprevedibile, certo un po' particolare, comunque ancora del tutto libera dalle interpretazioni cliniche. Una figura, poi, filtrata dalla memoria figliale, fatta per muoversi, se non ci fosse l'ombra di qualche cupezza, in una "vita coi lampadari sempre accesi".
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Elogio dello studio
Questo è un libro che tutti gli insegnanti (e possibilmente anche i genitori degli studenti) dovrebbero leggere.
Paola Mastrocola parla con competenza ed esperienza dei mali che affliggono la Scuola e pone il problema fondamentale, essenziale : la carenza di studio. Molti, e a vari livelli, parlano di scuola, della sua centralità, delle strutture, delle innovazioni e sperimentazioni; ma se manca lo studio tutto queto è 'aria fritta'.
Ho parlato di libro per insegnanti e genitori, perché sono loro che devono riflettere. Gli studenti non fanno altro che adeguarsi a ciò che si esige; in fondo sono le vittime, seppur spesso compiacenti, del lassismo diffuso. Come fa, poi, un insegnante a motivare allo studio se in prima persona non è convinto del suo valore o addirittura se non l'ha mai sperimentato in modo serio e profondo ?
La seconda parte del libro è incentrata proprio sulla bellezza e sull'impegno assiduo (le "sudate carte" leopardiane) intrinseci allo studio, questa "passione ribelle" perché oggi essere studiosi richiede una buona dose di anticonformismo.
La fatica è un aspetto "necessario e inevitabile" non tanto per 'diventare qualcuno' , "ma per essere" ad un livello alto di consapevolezza, come opportunità di emanciparsi dalle mode e dai luoghi comuni dell'imperante neoconformismo consumista carente di etica e di senso, tipico delle civiltà moribonde, senza più risorse interiori.
Studiare è un'attività creativa. Non significa solamente immagazzinare conoscenze e nozioni (anche, ovviamente); richiede bensì rielaborazione : con lo studio "ri-organizziamo il senso", "lo facciamo nostro"; esso "ci mette in relazione con l'atto di pensare" ("intelligere" significa "collegare"). Inoltre ci dà la disciplina necessaria per crescere, diventare veramente adulti :ci insegna a non accontentarci delle gratificazioni immediate, ad essere capaci di attendere, a progettare. Senza contare la sua funzione sociale-culturale di "sottrarre le cose alla loro caducità", portare avanti criticamente il patrimonio della civiltà che costituisce il fondamento della nostra cultura.
Studiare significa "rivoluzionare il nostro modo di vivere", sottrarci a confusione e rumore per scegliere il più confacente e mentalmente ecologico silenzio. Significa imparare a stare con se stessi, anche per relazionarsi meglio con gli altri.
Lo studio è a portata di mano : basta volerlo veramente. A tutte le età.
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Vita nel kibbutz
E' trascorso quasi mezzo secolo dalla pubblicazione di questo interessante romanzo. Ora è giunta la sua prima traduzione italiana (di E. Loewenthal).
L'allora ventisettenne Amos Oz diede alle stampe questo libro scritto 'a caldo', quando anche molti giovani del mondo occidentale sentivano il fascino della vita quasi comunitaria del kibbutz.
Quello rappresentato dall'autore è posto in zona di confine, a qualche chilometro dai territori arabi. Formato da un piccolo villaggio e terreni circostanti, resi fertili da moderni sistemi tecnologici, è animato da uno spirito tipicamente ebraico-socialista, con una modalità di organizzazione particolare: ad ogni famiglia è assegnata un'abitazione, ma tutto viene deciso collettivamente. I pasti vengono consumati nel refettorio comune; i giovani vengono ospitati a parte; perfino i neonati hanno la loro specifica dimora.
L'Io narrante è un personaggio del posto ed esprime un punto di vista interno. Protagonisti sono i componenti di tre famiglie, o ciò che rimane di esse; gli assenti rientrano nella narrazione attraverso il ricordo: c'è chi è morto in uno scontro armato, chi schiantato dal lavoro, chi è fuggita per fulminea passione, presenza che ancora s'intravede ad agire dietro le quinte.
Il racconto presenta però una coralità che ricorda, con le dovute e ovvie differenze, il verghiano "I Malavoglia".
"Il pettegolezzo (...) ha qui un ruolo di primo piano e a suo modo contribuisce all'impresa di riformare il mondo" : "qui tutti sono giudici e tutti sono giudicati". "Qui vivono persone ansiose di migliorare il mondo, che lottano contro le debolezze umane", e le debolezze umane esistono come altrove. In questi casi, niente accuse pubbliche: "Bisogna chiacchierare con i singoli. Bisogna scegliere degli interlocutori con molta cura". Si coglie infatti un'atmosfera di grande rispetto reciproco, un atteggiamento di autentica solidarietà e senso di eguaglianza, anche se c'è chi afferma che "in kibbutz tutti sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri".
Il romanzo ha una grande capacità di rispecchiamento/rappresentazione di una realtà sociale, che è stata (è?) storicamente rilevante per lo Stato d'Israele, proprio attraverso le vicissitudini dei personaggi, gioie e sofferenze, secondo gli auspici della critica letteraria d'impronta sociologica, diffusa in Italia tramite la pubblicazione dell'opera di G. Lukacs.
L'approfondimento psicologico è quasi altrettanto curato, capace di esplorare con delicatezza le sfaccettature relazionali di carattere privato, le antiche ferite e l'irrompere di sentimenti nuovi.
Come succede nella narrativa d'Autore, molte zone d'ombra rimangono tali, e qualche caso di inquietante ambiguità mette in allarme un po' tutti, personaggi e lettore. Le sfumature rendono più complessa l'opera, perché nella realtà notiamo caratteri esteriori, comportamenti, fatti. Ma neppure questi elementi ci danno per intero la verità.
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