Opinione scritta da mariaangela
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Mastrantonio/Guerrieri…solo nella mia mente però.
Guido Guerrieri...mi manchi...Vicequestore Mastrantonio , piacere di conoscerla.
Il Vicequestore Mastrantonio, IV sezione antitruffe della squadra mobile, questura di Roma, con la mente è già in vacanza. Ma il suo odiato capo, (odio reciproco), il commendator Antonio Cammelori, che a sua volta aspetta da sempre la nomina a capo della polizia, gli affida uno strano caso, dietro al quale potrebbero celarsi combattimenti tra cani e scommesse clandestine. Come se non bastasse, alcuni omicidi particolarmente efferati, vengono a completare il quadro già di per se alquanto intricato.
Così il nostro simpatico poliziotto, con il suo fedele e troppo chiacchierone autista ispettore Camuzzi inizia ad indagare un pò in giro e a fare qualche domanda...
Questo brevissimo poliziesco italiano mi ha fatto compagnia per poche ore, tante bastano per leggerlo, ma è stata una compagnia davvero piacevole, certo senza grandi pretese, almeno non da parte mia.
Il fatto di citare così spesso e con grande competenza particolari tecniche di combattimento, (l'autore è, realmente, cintura nera di karate e istruttore di tai ki kung, arti marziali che pratica fin da bambino), l'ho trovato molto originale nonchè interessante.
Una pecca però c'è: mi ha fatto tanto pensare al mio Guido Guerrieri, l'avvocato di Gianrico Carofiglio,....tanti sono i tratti in comune...questo un pò mi ha dato fastidio, mi è sembrato un figlio di un Dio minore, questo... Oppure l'autore si è semplicemente ispirato al più fortunato avvocato?
A parte ciò, tempo e soldi davvero ben spesi.
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Dimmi.Cosa?Come sono gli altri e come siamo noi.
Una storia fatta di lavoro e di amicizia, sofferenza e sfruttamento, ingiustizia ed emarginazione sociale, ma anche di controllo e sorveglianza da parte di George, buono e intelligente, su Lennie, fisicamente forte e gigante, ma con mente e cervello piccoli, incapace di misurare e capire le potenzialità della sua forza fisica, capace di trasformare le sue carezze in carezze di morte. Lavoratori inseparabili anche per obbligo e convenienza quindi, sognano un giorno di poter avere una propria fattoria e allevare animali, soprattutto conigli, la passione di Lennie, che lui ama tanto carezzare.
Ma la realtà è diversa e i sogni difficili da realizzare.
Nonostante le raccomandazioni di George siano continue, il povero Lennie continua a sbagliare.
E' molto triste il dialogo che Lennie ha con "la propria testa", sotto forma di signora zia Carla, che gli parla con la sua voce, con la voce di Lennie, e che lui vede davanti a sè come una vecchietta piccola e grassa; questa sorta di coscienza lo rimprovera duramente, e con grande disappunto e disapprovazione gli rammenta che combina solo guai e che non stà mai a sentire nessuno. Che non pensa a George che sacrifica la sua vita per lui, gli fa continuamente piaceri e si priva di qualunque cosa pur di donargliela. George, che invece avrebbe potuto godersi la vita in una casa oppure all'osteria a giocare a biliardo, se solo non avesse dovuto badare a lui.
Solo alla fine ho capito che l'autore voleva trasmettere un messaggio. Che l' amicizia può manifestarsi sotto varie forme.
Nel romanzo ne viene mostrata una, a mio parere la più completa e la più difficile da manifestare, la più disinteressata, la più altruistica, la più pura . Certo non il modo “classico”. Ma ne esiste forse uno?
Il romanzo l'ho trovato un po' lento, nei dialoghi e nello stile, mostra l'età che ha; inizialmente non ho capito dove l'autore volesse portarmi e quindi sono rimasta davvero di stucco. Premetto che non conoscevo affatto la storia.
Questo gesto di così grande umanità mi ha davvero commossa. Ho condiviso pienamente la scelta dell'autore, cioè lo scegliere volontariamente George per compiere l'azione lo trovo la manifestazione più alta a cui l'amicizia possa arrivare. Perchè lui vuole veramente bene a Lennie e quindi vuole che sia lui, che sia ben fatto, subito, in un istante , mentre il vento passa e Lennie lo stà ascoltando.
"Dì ancora, George. Non vai più in bestia?
No, disse George.
Allora posso andarmene, disse Lennie. Andrò sulla collina e troverò una grotta, se non mi vuoi più.
George si riscosse un'altra volta. No, disse. Voglio che tu stia qui con me.
Lennie disse con scaltrezza: Allora dimmi come dicevi prima.
Dimmi cosa?
Come sono gli altri e come siamo noi.
George disse: Gente come noi non ha famiglia.
Raccolgono una paga e poi la sprecano. Non hanno nessuno al mondo che gli importi di loro...
Ma noi no, gridò Lennie felice. Dì come siamo noi, ora.
George tacque un istante. Ma noi no, disse; Perchè...
Perchè io ho te e ...
E io ho te. Ci siamo tutti e due, e c'importa qualcosa di noi, ecco perché, gridò Lennie trionfalmente.
“Lennie gongolò dalla felicità.
Lennie volse il capo.
Tutti ti tratteranno bene.
Non ce l'ho con te. Non ce l'ho mai avuta. Voglio che tu lo sappia Lennie.
Io e te“
"Disse Slim: Dovevate, George. Vi giuro che dovevate. Venite con me.
Curley e Carlson li guardarono andarsene. E Carlson disse:
Che cribbio hanno secondo voi quei due?"
Fine
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Tu sei il miomiglior amico ilmio amico perla pelle
Questa terribile favola racconta l’amicizia tra due bambini uguali per età e per data di nascita, diversi per corporatura e peso, capacità di sopportare il freddo e il caldo, gioie e dolori, fame e sete, e infine uguali anche per destino.
Quando Bruno con la famiglia deve lasciare la sua bellissima casa di Berlino per trasferirsi in quella triste e piccola casa ad “Auscit” perché il papà è stato promosso dal Furio per un importante lavoro, il nostro piccolo amico è disperato. Le giornate si susseguono tutte uguali, senza nulla e nessuno con cui giocare. Inoltre c’è quella strana vista dalla finestra della sua camera, tutte quelle persone, anziani, donne, bambini, vestiti tutti uguali. Sente crescere una strana inquietudine impossibile da razionalizzare. Allora, nonostante i divieti, il suo spirito esploratore ha la meglio, ed è proprio durante una di queste esplorazioni che fa amicizia con quello che diventerà il motivo di affezione per quel luogo così tanto detestato.
Nasce un’amicizia che durerà per sempre.
Il piccolo Bruno non capirà mai del tutto, e resta sorpreso nel trovare il suo amico in casa propria a pulire i bicchieri di cristallo; perché ho le dita molto sottili gli spiega l'amico, ed effettivamente Bruno nota quanta differenza ci sia tra le loro mani, tra le loro dita....sarà in questa occasione che Bruno tradirà l'amico, dopo avergli offerto una fetta di torta non avrà il coraggio di difenderlo dall'accusa mossagli dal terribile tenente Kotler di averla rubata e anzi negherà perfino di conoscerlo. Bruno non sa perdonarsi, Shmuel lo perdonerà subito, nonostante le percosse che subirà dal tenente.
Il tedesco e l’ebreo rompono i confini dell’identità, non quelli del reticolato che li separa durante tutti i loro incontri. O quasi. Perché il piccolo Bruno manterrà fede alla promessa fatta al suo amico del cuore, e in un giorno di pioggia, incurante del pericolo dei tuoni, dei fulmini, del fango, percorrerà nuovamente la strada per raggiungere Shmuel, indosserà il pigiama a righe uguale a quello del suo amico e così, senza capelli, rasati precedentemente a causa dei pidocchi, passa dall’altro lato del reticolato per aiutarlo a cercare il papà che l’amico non trova più.
Adesso sono veramente amici, anzi io li vedo fratelli, e si tengono per mano, per sempre.
“Durerà molto la marcia?... Non lo so. .. Non ho mai più visto le persone che sono andate a marciare.”
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LA COLPA VIENE PRIMA, LA COLPA E’ NELL’INTENZIONE.
Non so se vergognarmi, mi vergognerei di più se non lo ammettessi, ma questo romanzo l'ho trovato terribilmente noioso. E più procedevo nella lettura e più questa sensazione invece di scemare si accentuava. O forse non l'ho capito. O non mi è arrivato. Ma l'ho trovato molto freddo.
La storia narrata è molto bella, ed è narrata in un modo tale da suscitare una forte curiosità, non mi sarei mai aspettata la piega che poi invece ha preso. Ma lo stile eccessivamente lento me lo fa giudicare alla fine noioso.
Bella la storia della loro amicizia, il racconto delle giornate trascorse sempre insieme condividendo ogni momento e ogni emozione.
Molto toccante il racconto che Konrad fa all’amico, dei sacrifici che i suoi genitori affrontano per lui, privandosi di tutto per dare a quel figlio ciò che a loro evidentemente è mancato.
Sorprendente come una storia di immensa e straordinaria amicizia possa invece nascondere sentimenti di invidia, desiderio di essere diversi da ciò che si è. E' quanto di peggio possa capitarci. "L’unico modo per sopportare la vita è quello di rassegnarci a essere ciò che siamo ai nostri occhi e a quelli del mondo. Questo è il segreto. "
Tuttavia Marai rende giustizia a questo sentimento, lo riscatta, lo innalza al di sopra di tutto, non lo banalizza mai, l'amicizia vera, forte, pura, unica, immensa, disinteressata, perché esiste, e può durare una vita intera, lunghissima, come nel caso di Nini ed Henrik...ed è un'altra storia.
“Il generale la osservava incuriosito, col busto ancora proteso. Le due vite fluivano assieme, con lo stesso lento ritmo vitale dei corpi molto anziani. Si conoscevano a fondo, più di quanto si conoscano madre e figlio, più di due coniugi. La comunione che univa i loro corpi era più intima di qualsiasi altro vincolo. Forse a causa del latte. Forse perché Ninì era stata la prima a vedere il generale nell’attimo della sua nascita, coperto dal sangue impuro in cui vengono al mondo gli uomini. Forse a causa dei settantacinque anni che avevano trascorso insieme, sotto lo stesso tetto, mangiando lo stesso cibo, respirando la stessa aria stantia della casa, con la stessa vista sugli alberi davanti alle finestre - avevano condiviso ogni cosa. Nessuna parola poteva definire il loro rapporto. Non erano né fratelli né amanti.
Esiste qualcosa di diverso, e se ne rendevano oscuramente conto. Esiste una fratellanza particolare che è più stretta e più profonda di quella che unisce i gemelli nell’utero materno. La vita aveva mescolato i loro giorni e le loro notti, ciascuno dei due era consapevole del corpo e dei sogni dell’altro.”
E’ strano leggere parole così intense non dette tra innamorati. Ma l’amore ha mille volti e mille sfaccettature. Siamo noi che lo banalizziamo.
I FATTI NON SONO LA VERITA’.
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Voglio decidere io per me..con te.
Sono in difficoltà.
Leggo di Lou, della sua giornata lavorativa, delle azioni che con la stessa tranquilla routine ogni giorno si ripetono, uguali e confortanti, e poi della perdita del lavoro, delle difficoltà e delle ansie legate a questo difficile momento e sento su di me tutte le sue angosce; perché sono molto ben raccontate, e la sua vita semplice potrebbe essere la mia.
Poi l’incontro con Will, il suo nuovo lavoro. Lui è il suo nuovo lavoro.
E parte un altro racconto, una storia d’amore, certo, straziante e dolce come solo un romanzo sa immaginare e raccontare; è dolcissimo leggerla, ma più vado avanti nella lettura e più la lettura si sdoppia, leggo due storie, due emozioni parallele, o forse sono io che voglio dargli a tutti i costi un significato in più.
E’ che il tema trattato mi stà così a cuore, lo sento così fortemente, che ci penso e ripenso e mi sento confortata nel leggere un comportamento che potrebbe essere il mio. Will sono io, le sue parole sono le mie e anche le sue emozioni e la sua paura, perché io la penso esattamente come lui. E questa possibilità che a tanti è stata negata, mi fa rabbia. Mi far rabbia e paura al tempo stesso il non poter scegliere. E anche se la storia è bella, io torno sempre all’altra storia, penso a quella scelta che ci vogliono negare.
Il romanzo si legge in una manciata di ore, ma è scritto in modo semplice, forse troppo. Cioè è tutto troppo…un romanzo. Se dico elementare poi forse mi pento…
Alla fine della lettura accanto ai Will ci sono anche io e li sostengo e li appoggio e li incoraggio con tutto il cuore e la solidarietà, perché è ciò che vorrei io per me.
“Alla fine mi sollevai su un gomito e lo guardai. I suoi occhi, così a lungo affaticati e infelici, sembravano straordinariamente limpidi e rilassati.”
“” Presi il braccio di Will e lo strinsi intorno a me, avvinghiandomi con le braccia e le gambe al suo corpo. Gli presi la mano - quella buona - e intrecciai le mie dita con le sue, e lui me le strinse mentre gli baciavo le nocche. Conoscevo così bene il suo corpo. Lo conoscevo come non avevo mai conosciuto quello di Patrick, i suoi punti di forza e quelli più vulnerabili, le cicatrici e gli odori. …”
“Sembrava in pace. E’ l’unica cosa a cui posso aggrapparmi.”
Finalmente sembrava di nuovo...lui.
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"La reputazione è tutto."
Bentornato Nesbo. Fine crisi di astinenza. Beh, non sappiamo ancora nulla di Hole, di ciò che stà facendo ora, però mi conforta che Nesbo abbia finalmente battuto un colpo.
Dei precedenti libri da lui scritti non ritrovo tanto...e non penso sia una nota negativa. Apprezzo negli autori il sapersi mettere in gioco con sfide sempre nuove e non scegliere invece la vittoria sicura e urlata.
Lo stile è sempre deciso e preciso, tuttavia quel graditissimo pathos a cui mi aveva abituata, e che io sua accanita lettrice voglio ritrovare, beh ammetto di non averlo trovato.
E quel desiderio fortissimo di riprendere la lettura spinta dalla morbosa curiosità? Desiderio questa volta non pervenuto. Ecco, questo è l'elemento che non mi aspettavo e che mi ha più delusa.
E il protagonista, Roger Brown professionale, analitico e senza alcun coinvolgimento emotivo. Un perfetto cacciatore di teste, proprio non riesce a farmi simpatia.
Durante la lettura ciò che mi viene in mente è falsità; è tutto un rincorrersi di falsità e di apparire che mi strappano continui sorrisi tristi perchè tutta la storia è una enorme tristezza. Quest'uomo è triste. Nel suo sentirsi al di sopra di tutto e tutti.
Nesbo non ti smentisci mai! Sei sempre cattivissimo. Scene paradossali fino al parossismo.
Ed è sempre notevole la sua capacità di dirti tutto prima, durante il racconto ma alla fine strapparti sempre quel commento di meraviglia quando tutti i nodi tornano al pettine. Sei bravissimo nel districare vicende.
Ma da te voglio di più!!!!!
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il messaggio nascosto
La città ucraina in cui i fatti si svolgono, è divisa in tre aree distinte.
In basso i dannati, fra le tenebre e le fiamme dell'inferno; nella città bassa abita la marmaglia, ebrei infrequentabili, piccoli artigiani e commercianti, vagabondi, frotte di bambini che si rotolano nel fango e parlano solo yiddish, con indosso stracci.
Al centro, a metà strada fra le colline e il ghetto, ci sono i comuni mortali, rischiarati da una luce pallida e quieta. Una zona piatta, in cui convivono borghesi russi, polacchi ed ebrei, divisa al suo interno però da rivalità e disprezzo reciproci.
In alto il regno degli eletti, i ricchi israeliti che vivono in cima alle colline coperte di tigli.
La scrittrice si sofferma dettagliatamente sull'organizzazione della società del tempo, sul desiderio di salire nella scala sociale, dimostrare agli altri ebrei di valere più di loro, di aver guadagnato più soldi, di essere stato più abile nel vendere partite di barbabietole o frumento. Chi nasce nel ghetto ma riesce a mettere da parte un piccolo gruzzolo, può salire di un gradino nella scala sociale, guadagnarsi il rispetto della sua gente, per la quale diventa oggetto di invidia e simbolo di speranza.
La narrazione segue le vicende di Ada, Ben, Harry, legati da uno stesso cognome, divisi dalla vita e nella vita, più fortunata certamente per Harry che sente con terrore il richiamo dei lupi, di quei suoi fratelli selvaggi. Il significato è enorme. Quei due bambini affamati rappresentano per i ricchi ebrei un eterno monito, il ricordo atroce e vergognoso di ciò che erano stati e di ciò che sarebbero potuti essere. O anche di ciò che sarebbero potuti tornare ad essere. Una disgrazia stranamente e sinistramente contagiosa. Come tutti gli ebrei, Harry nutre per i tipici difetti della sua razza un'avversione più profonda, più sentita di quella che potevano suscitare in un cristiano. Quella tenace determinazione, quel bisogno quasi selvaggio di realizzare i propri desideri, quel cieco disprezzo dell'opinione altrui erano tutte manifestazioni classificabili, nella sua mente, sotto una stessa etichetta: “insolenza giudea”.
I cani e i lupi del titolo, non sono due gruppi distinti, ma in tutta la narrazione gli uni tendono a scappare dagli altri, a inseguire gli altri, a trasformarsi negli altri. Forse perché sono la stessa cosa.
Seguiamo le vicende dell'amore sconfinato di lei per lui, tanto che lei “non saprebbe fargli del male neppure in sogno”. Tuttavia questa parte della narrazione resta un po' in secondo piano, alcuni passaggi non sono del tutto raccontati, i fatti accadono e basta.
Ma forse l'autrice aveva semplicemente un altro messaggio da dire. Che a me, penso, è riuscita a raccontare.
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"PAROLE PER ROMPERE IL CONFINE"
Questa giovane scrittrice napoletana, con questa raccolta di poesie inedite, ha vinto il 1° Premio della XXII Edizione del Concorso Nazionale Letterario Garcia Lorca.
Leggo trattasi della sua prima pubblicazione.
Non leggo spesso poesie. Potrei dire mai. Non so bene apprezzarle.
Eppure quando ho avuto tra le mani questo libricino, piccolo nello spessore, grande nei contenuti, ho dovuto ricredermi, perchè molte mi hanno davvero toccato il cuore e l'anima.
La scrittrice ha sicuramente la capacità, in brevi frasi, di racchiudere grandi contenuti e potenti messaggi.
C'è la poesia in cui scivoliamo dolcemente in un ritratto d'autunno, oppure quella in cui leggiamo il significato del potere della parola per chi scrive; veniamo poi trasportati, con poetica crudezza, al racconto di chi non ce la fa e deve lasciare la propria terra in cerca di migliore fortuna.
Mi sembra di leggere, un racconto di vita che la stessa scrittrice napoletana ha forse dovuto affrontare.
Anche in questo caso, la capacità di esprimere emozioni e difficoltà di una vita. In poche, intense parole. Ma che per la scrittrice evidentemente sono tutto.
E lo diventano anche per me che leggo.
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UNA COPPIA AFFASCINANTE
Un thriller che si fa leggere velocemente e con curiosità, ma considerando tutti gli ingredienti messi dentro e le tante pagine a disposizione per raccontare i fatti, ammetto la delusione; non tanta, ma un pò si.
Il ritmo non è serrato come mi sarei aspettata, e tutto sommato non c'è mai stato un momento durante la lettura in cui mi sono sentita davvero sulle spine o preoccupata come avrei invece voluto. Insomma... se azzardo un pò scontato esagero? Tuttavia se è questo l’aggettivo che mi è venuto in mente, forse un motivo ci sarà.
I dialoghi sono a volte ingarbugliati, e mi è capitato di dover tornare a leggere il periodo per capire chi in quel momento stava parlando.
Will Trent e Faith Mitchell, lo sbirro “stupido” e la poliziotta “stronza”, mi sono piaciuti molto, soprattutto perché per una volta non ci troviamo di fronte ai soliti “so tutto io” e le loro debolezze li rendono forse più reali. Mi spiace solo aver cominciato la lettura da questo romanzo e non dal primo (“L’ombra della verità”) dove avrei potuto capire certamente di più riguardo le vite di ciascuno di loro.
Ma ho idea che rimedierò presto.
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IL “SECONDO FIATO” DI BEATRICE E PHILIPPE
"È insopportabile, vanitoso, orgoglioso, brutale, superficiale,
umano. Senza di lui sarei morto di decomposizione.
Abdel m’ha curato senza sosta come se fossi un neonato. Attento
al minimo segnale, presente durante tutte le mie assenze,
m’ha liberato quando ero prigioniero, protetto quando ero
debole. M’ha fatto ridere quando ero a pezzi.
È il mio diavolo custode."
Non ho visto il film “Quasi amici”, film liberamente tratto dal libro.
Se pensate, in questo racconto, di rivederne le scene “divertenti” della trasposizione cinematografica, resterete delusi; conoscerete invece soprattutto la vita, i pensieri, gli accadimenti, le pene di Philippe Pozzo di Borgo, è una sua dettagliata autobiografia. Scandita da due momenti nella sua vita:
“Il 23 giugno 1993 precipito nella paralisi.
Il 3 maggio 1996, giorno di san Filippo, muore Béatrice.
Non ho più passato, non ho futuro, sono un presente di dolore.
Béatrice non ha più né passato né futuro, è dolore sempre presente.
…Béatrice che sei nei cieli, salvami.”
Questa amatissima moglie è la protagonista. Dei suoi pensieri e della sua vita, dei loro tanti tentativi di avere un bambino, che si risolveranno in altrettanti ricoveri e dolorosi aborti, fino alla notizia di un primo figlio che li aspetta a Bogotà: Laetitia, 3 mesi.
Soffriamo le indicibili sofferenze di questa donna, queste gravidanze tanto desiderate, i ripetuti emboli polmonari, che la porteranno a trascorrere in ospedale anni. E poi il tumore al midollo osseo che la porterà via per sempre. Quindici anni di malattia.
E’ di una tenerezza commovente fino alle lacrime, leggere come questa coppia si sia reciprocamente assistita e amata e aiutata nei momenti difficili di dolore e malattia.
“…da quel giorno non ci siamo mai lasciati. Da quel giorno io esisto. … Non respiro se non al ritmo del suo inspirare. Ovunque io mi trovi nel mondo, lei è l’unico universo che conti per me: la sera, l’uno accanto all’altra, nudi nel nostro letto, parlottando dei nostri figli, la certezza di essere amati, la tenerezza dei corpi. Su questa terra percorsa senza sosta, è quel letto la mia unica scoperta.”
Quando Béatrice muore, Abdel riuscirà a risollevare Philippe. In tutti i sensi.
“Le ore, le notti, i mesi sdraiato con lo sguardo inchiodato al soffitto mi svelano una ricchezza di cui, brillante protagonista di una società di paillettes, non m’ero accorto: il silenzio. Nel silenzio risiede la consapevolezza. Mette a fuoco ciò che ti circonda. Nel silenzio emerge la persona. Non c’è rumore a guidarti né sensazione che ti delimiti. … Bisogna farsi minuscoli per ritrovare dentro tale amorfa desolazione elementi di vita. A quel punto osservi l’infinitamente piccolo; …il dito di un’infermiera si raddrizza, una goccia sfugge lungo la tempia da un impacco fresco, si riversa dentro l’orecchio…; una palpebra pulsa frenetica per la stanchezza. Un viso si avvicina: percepisci il rumore ma le parole restano incomprensibili.”
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Per tutti questi motivi ne consiglio la lettura.
L’ESPERIMENTO E’ INIZIATO…
La storia si snoda attraverso la lettura di una cartella clinica che racconta i fatti accaduti nelle "nove ore e quarantanove minuti prima della paura"; più andiamo avanti nella lettura, più scorre il tempo, più ci avviciniamo al tempo zero e anche alla verità.
I protagonisti sono tutti intrappolati nella clinica psichiatrica Teufelseberg, nel pieno di una bufera di neve: è impossibile uscire ma anche entrare; è inutile sperare nei soccorsi. Sono chiusi dentro con il Ladro di Anime. C’è Caspar, un paziente che ha perso la memoria, ma che inizia a ricordare...e ricorda di aver commesso un terribile errore...Greta, altra paziente e brava nel decifrare gli indovinelli, Linus anch’egli paziente con difficoltà ad articolare le parole, la cuoca Sybille Patzwalk, Yasmin e Shadek infermieri della struttura, il dott Bruck e la dottoressa Sophia Dorn, il professor Samuel RaBfeld capo della clinica e Dirk Bachrnann il custode.
Il Ladro di Anime ha già ucciso tre donne, in modo strano, incomprensibile. La causa del decesso è un mistero. Perché le vittime non riportano lesioni, non hanno subito violenza carnale, percosse o sevizie. Ciò nonostante il loro equilibrio psichico è stato irrimediabilmente minato. Sepolte vive. Murate fino alla morte nel loro stesso corpo.
La lettura scorre molto velocemente per alcuni tratti, rallenta in altri dove si perde un po’ il filo del discorso e anche degli accadimenti. Inoltre l’ho trovata abbastanza cruda e violenta, o forse la sensazione di voltar pagina, e temere di dover leggere indicibili sofferenze, beh non è una sensazione che amo, anche perché è troppo facile, per chi scrive.
Insomma è come se avessi fatto una gran fatica per giungere al termine della lettura, anche se ammetto che l’autore non si smentisce mai, ed è maestro nel sorprendere, almeno a me ha fatto una sensazione del tipo: “naaaaaaaaaaaaaaaa, ma veramente???????” E dunque, come posso non consigliarvelo!!!
Buone pazze letture!!!!
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IO SONO ANNA SPIEGEL
“Dopo mezz’ora capì che non avrebbe mai più rivisto sua figlia. La bambina aveva aperto la porta, lo aveva guardato ancora per un istante, poi si era voltata ed era entrata dall’anziano medico. Josephine, la sua piccola di dodici anni, non sarebbe tornata mai più da lui. Ne era certo. …”
L’incipit è promettente…
Primo romanzo di questo scrittore tedesco che leggo, mi ha incuriosita perché ha avuto un grandissimo successo in Germania nel 2006, arrivando a giocarsi il primo posto nelle classifiche di vendita con Il Codice Da Vinci.
La storia parte con il racconto di Viktor Larenz, importante e famoso psichiatra di Berlino.
La sua vita viene tragicamente sconvolta da un evento: la figlia dodicenne Josy, affetta da una malattia sconosciuta, scompare senza lasciare traccia, improvvisamente, un pomeriggio, durante una visita, nello studio del dottore che l'ha in cura.
Le aspettative non sono rimaste deluse, non mi capita spesso di leggere un thriller così ben congegnato, ingarbugliato, per nulla noioso.
I meandri della mente umana sono l’elemento principale, insomma uno psicothriller che io ho letto in un giorno, un po’ perché avendolo a disposizione l’ho ben impiegato, un po’ per la curiosità e per la difficoltà a staccar gli occhi dalle pagine e dai capitoli così brevi, che vanno naturalmente via uno dopo l’altro.
Unica pecca forse è lo stile, che mi è apparso un po’ “sempliciotto”, forse troppo poco argomentato, il che mi fa tutto sommato sottovalutare l’opera, che invece è degna di tutto rispetto.
Ma ciò che voglio maggiormente sottolineare è l’indubbia capacità dell’autore, di riuscire ad insinuarti il dubbio, il sospetto, l’ansia e beh si, quel pizzico di sana paura che diciamolo, durante una lettura del genere apprezzo tantissimo e che trovo difficilissimo riuscire a infondere.
Insomma, finalmente un po’ di sana ansia durante la lettura!!! Altrimenti che psico thriller è??
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Causa non identificata.
Un giallo irrisolto ritorna violentemente alla ribalta quando, alle coppie di giovani già precedentemente ritrovate in avanzato stato di decomposizione, se ne aggiunge una più famosa, perché lei è la figlia di Pat Harvey, Zarina della droga, coordinatrice di tutte le agenzie federali nella guerra ai criminali legati alla droga.
I casi vengono ribattezzati dalla stampa “Omicidi per due”.
Sono inspiegabili anche per l’Fbi con il suo VICAP, il Programma Verifiche Incrociate Crimini Violenti, fondato su una banca dati nazionale, gestita da un computer in grado di stabilire connessioni fra omicidi in serie, e cadaveri di persone scomparse non identificati.
Anche Kay, capo medico legale, brancola nel buio. Le ossa ritrovate non lasciano alcun indizio sulla causa della morte. Causa non identificata.
Non ci sono segni di lotta, né tracce, né residui organici, nulla che possa aiutare Pete Marino, agente investigativo della Squadra Omicidi di Richmond e Kay che non sanno darsi delle risposte.
Inoltre ritornano a farsi vive persone a Kay molto vicine, Mark James che forse non ha mai smesso di amare, e la giornalista ora sua amica Abby Turnbull...solo coincidenze???
Lettura sempre sempre consigliata, anche se meno avvincente delle precedenti.
Ma il suo stile resta inconfondibile.
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E' COME NUOTARE IN UN MARE DI LATTE
Come reagirei se aprendo gli occhi improvvisamente vedessi tutto bianco?
E se le persone intorno a me inspiegabilmente iniziassero a vedere tutto bianco anche loro?
E se poi tutti noi ciechi fossimo rinchiusi….attenzione…ma qui scatta già il primo sopruso…ho d’istinto scritto rinchiusi. E perché dovremmo essere rinchiusi?? Senza poter uscire, sorvegliati, vigilati pena la morte, con poca acqua, poco cibo, igiene nessuna, cura nessuna, dolcezza nessuna, paura tanta.
Forse perché la forza e la dignità sono solo di chi ha occhi? Ma quali occhi? Occhi di chi? Occhi per cosa?
Forse l’autore vuole, attraverso i suoi occhi, mostrarci fin dove può spingersi l’indifferenza umana, la mancanza di solidarietà e di empatia per arrivare fino alla non cura e abbandono, fino alla violenza e al delitto del più forte sul più debole.
Forse l’autore vuole trasmetterci solo messaggi, solo pensieri a lui cari, perché tralascia tutto il resto, nomi dei personaggi, paese dove i fatti avvengono, come avvengono, come si risolvono se si risolvono.
Perché forse all’autore sta’ a cuore solo portare alla luce il buio nascosto nell’anima di ciascuno di noi, perché quel buio, quell’isolamento, quell’incattivirsi con gli altri e verso gli altri, la luce può guarirlo, perché gli occhi per vedere, per guardare, per osservare, sono dentro di noi. Basta voler vedere, guardare, osservare.
Io ho visto questo.
“Se puoi vedere, guarda.
Se puoi guardare, osserva.”
Vedere. Guardare. Osservare.
"Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono. Ciechi che, pur vedendo, non vedono."
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Perché è la sua bambina primavera.
Non ho ben chiare le sensazioni che questo romanzo mi ha suscitato.
Non è bellissimo, neanche travolgente, poichè ciò che racconta non è certamente nuovo, e anche lo stile, asciutto ed essenziale, mi piace, ma è conosciuto. L’autrice avrebbe potuto dilungarsi in descrizioni inutilmente “pulp”, invece no. Racconta e basta.
La storia è quella dell’infanzia e dell’adolescenza, vissuta troppo rapidamente o troppo lentamente, dipende dai punti di vista, sicuramente troppo in solitudine, dimenticata e anzi volutamente ignorata da chi dovrebbe, almeno all’inizio del difficile cammino della vita, indicarci la strada; e perché no, da lontano essere invisibile occhio, pronto ad intervenire in caso di bisogno, affinché la notte non sia sconvolta da ombre e rumori e mostri da cui dover scappare solo infilando la testa sotto le coperte.
I protagonisti sono tutti ben delineati, li conosci subito, poche righe e sai tutto di loro, dei loro pensieri, delle loro famiglie.
La figura che l’autrice è riuscita perfettamente a rendere nella sua totale alienazione dalla realtà e dagli affetti è la madre di Estefan; in lei è racchiuso tutto il senso del racconto. La Ghinelli riesce naturalmente, senza scrivere particolari accadimenti o soffermarsi troppo sul personaggio, a dimostrare come spesso la famiglia possa essere covo di incubi piuttosto che di sogni, di paure piuttosto che di serenità e tranquillità, di violenza invece che di gentilezza, diffidenza invece che fiducia, indifferenza invece che affetto; non un porto sicuro ma un luogo da cui fuggire sempre. Lei più di tutti, perché totalmente cieca.
E pur tuttavia…amicizia, solidarietà, fiducia, affetto, ci possono salvare. Sempre.
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...e anche l'ultimo nostro incontro Sparks!!!!!
Con questo libro devo proprio ricredermi a fine lettura. Difficilmente i commenti degli amici lettori su qlibri sono così opposti alle mie sensazioni.
I temi toccati dall'autore sono, si magari anche interessanti, ma come non lo potrebbero essere adolescenza, crescita, maturazione, amicizia, amore, il sentir nascere dentro di te quella responsabilità che ti porta a ben agire nei confronti di te stessa e delle persone a cui vuoi bene...ma non può esserci tutto dentro in egual modo e in egual misura!!!! Tutto accade, tutti gli avvenimenti guarda caso avvengono solo per il beneficio della nostra eroina, e il bello è che è ovvio che sia così! Mi cadono le braccia.. e anche il libro! Tutto si risolve come tu ovviamente pensi, l'eroina della prima pagina diventa l'eroina dell'ultima e tutte le cose che potresti desiderare accadono. Certo c'è il momento triste, ma lei è portata sempre in trionfo con sviolinata finale.. neanche nelle favole lette da bambina mi sono imbattuta in simili ovvietà!!!
Un racconto che ha degli ingredienti che potrebbero essere interessanti, possono poi essi stessi diventare ridicoli, se non ben raccontati e selezionati.
Lo stile è non pervenuto, le emozioni manco a dire, la banalità la trama principale.
Mi andava di leggere un romanzo dolce e leggero...ma leggero non vuol dire nulla....
Primo e ultimo incontro Sparks.
Buone altre letture.
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Chi sono? Dove mi trovo?
Non capita spesso che la lettura di un thriller mi induca ad una profonda riflessione.
Quella sull'importanza delle informazioni che la nostra mente racchiude e conserva, per far si che ciascuno di noi sia una persona ben definita, capace di vivere di vita propria, di fare scelte, e soprattutto ricordare ciò che già si conosce e ciò che è già accaduto. Ricordare il proprio nome e cognome ha un significato enorme, significa tutto un bagaglio di conoscenze e fatti e accadimenti e storie a loro volta intrecciati a quelli di altri a formare una rete familiare...Tutto ciò è ovvio e scontato, ma se domani non fosse più così? se domani mi svegliassi addirittura senza sapere chi sono? in che anno sono? quanti anni ho? in che parte del mondo mi trovo? buio totale, e nessun appiglio sicuro per ricominciare. Oppure si.
Come nel caso di Christine. Per lei c'è Ben, il marito, che ogni mattina le ricorda chi è lei, chi è lui, dove si trovano, che sono sposati..ciò si ripete tutte le mattine al loro risveglio. Ma leggendo leggendo, immedesimandomi, un atroce dubbio mi assale: come faccio a sapere se posso fidarmi di te Ben se, non ricordando di averti mai visto, in fondo non ti conosco?? Il lato psicologico si intreccia molto bene con il thriller.
Ciò detto, la narrazione è abbastanza piatta e ripetitiva, anche se la curiosità spinge alla lettura. L'idea è buona ma lo stile sicuramente migliorabile. Cioè, con una idea così poteva essere davvero perfetto.
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L'essenzialità del thriller.
Piacere di fare la tua conoscenza. E non lo dico così per dire.
Ammetto di aver lungamente snobbato questa scrittrice.
Leggendola, ciò che mi colpisce subito è la conoscenza della materia dei fatti che racconta (lei stessa ha lavorato presso l'Ufficio di medicina legale della Virginia) ma anche il saperli raccontare molto bene.
A questo punto dire si legge tutto d'un fiato sembra un'ovvia banalità, ma è così. Perché l'intreccio tra i personaggi e i fatti narrati sono in perfetto equilibrio. Il risultato è un thriller che, dato il genere, molto violento, difficilmente riesco ad apprezzare, e che qui invece trovo molto ben riuscito.
Se a ciò aggiungo uno stile asciutto ed essenziale, beh ha per me un merito fino ad ora quasi unico: mai ripetitiva né banale o scontata non ti annoia mai. Inoltre è sempre molto attenta al particolare.
Conosciamo i primi amici che ci accompagneranno a lungo...
Kay, taglia 42, non sopporta i pizzi e i ricami, ama il caffè nero. Tutte le morti violente o comunque inaspettate passano dalla sua supervisione.
Il sergente Pete Marino; ... "il pancione di Marino mi strofinava sgradevolmente il gomito."
Neils Vander specialista in impronte digitali.
Benton Wesley esperto di profili dei sospetti assassini per l'FBI. Lavora nella sede di Richmond e alla National Academy di Quantico per insegnare le tecniche investigative nei casi di omicidio. Impegnato nel VICAP Violent Criminal Apprehension Program, il programma per la cattura dei criminali violenti, è affiancato da Marino che collabora con lui nella squadra regionale come sergente incaricato delle indagini.
Beh che dire...chiudete bene porte e finestre e buona lettura a tutti.
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Siamo arrivati fino a qui.
Sento freddo, tanto freddo. Vedo ghiaccio, tanto ghiaccio. E sento la solitudine. La sento nell'anima e la vedo con lo sguardo se mi guardo intorno. Perché in tutto questo ghiaccio e neve c'è una sola casa. La mia. E c'è una sola persona: io.
“Nella mia vita ho visto molte persone piangere. Quando ero ancora un medico, ho incontrato persone moribonde e altre costrette ad accettare che qualcuno a cui volevano bene era stato colpito da una malattia incurabile. Ma nessuna di quelle lacrime ha mai emanato un odore che ricordasse quello delle lacrime di mia madre.”
Sono cauta nella lettura. Non so cosa aspettarmi da Fredrik Welin, tutto è raccontato in modo così casuale. Ma mi sembra troppo casuale. La prima forte impressione che quest'uomo mi fa è quando leggo “d'improvviso provai il desiderio di chiudere la porta e gettare la chiave. Con il tempo Harriet sarebbe diventata parte del formicaio.”
Il libro è un lungo racconto di ciò che quest'uomo vede e pensa; i suoi pensieri sono il fulcro della narrazione. Il ritmo è inizialmente incalzante, poi tende a rallentare, sembra quasi scritto da due mani diverse o in due tempi diversi; i dialoghi sono lunghi e lo scenario è sempre molto circoscritto; tende forse un po' a cadere l'attenzione, ma vuoi sapere di più, vuoi conoscerli tutti i suoi pensieri.
“Non sono venuta qui per accusarti, ma per chiederti di mantenere una promessa... Voglio che mi porti lassù. … Voglio vederlo. Anche se è coperto di ghiaccio e neve. Per sapere se è vero. ..Voglio che tu mantenga la tua promessa. La vita è navigare con una piccola barca in un flusso di promesse che muta di continuo, senza mai arrestarsi. Quante di queste promesse ricordiamo? Dimentichiamo quelle che vogliamo tenere a mente e ricordiamo quelle delle quali preferiamo liberarci. Le promesse tradite sono come ombre che danzano in cerchio nel crepuscolo. Più invecchiamo, più riusciamo a vederle chiaramente. ...”
“Siamo arrivati fino a qui. Non oltre. Ma fino a qui.”
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ma che noia
Gramellini ti conosco come vicedirettore del quotidiano La Stampa, ti seguo spesso da Fazio e ti trovo sempre giusto e misurato; riesci a raccontare con la stessa delicata attenzione accadimenti leggeri e divertenti e fatti importanti e gravi. Insomma ti lasci ascoltare facilmente. Ma in questo romanzo, proprio non ti ho capito. Ma tanto non ti ho capito che ho difficoltà ad esprimere un giudizio.
Spontaneamente mi vien da dire: ma che libro è? Mi dico devo finirlo perché poi arriverà a un punto e tutto sarà chiaro…ma che fatica! tutti questi capitoletti praticamente identici!
Questa è la sensazione che mi resta. Anche ora che scrivo, ad un giorno di distanza, penso di aver letto pagine e pagine e pagine tutte identiche l’una all’altra. E totalmente campate in aria, senza una logica. Oppure io non ho avuto la sensibilità di capire. Probabilmente questo tipo di romanzo, che forse voleva essere una favola moderna sull’amore, a me non è neanche arrivato come tale.
Inutile. Una lettura totalmente inutile.
“Ho ritrovato un po’ delle cose che avevo perduto”.
“Sono fidanzato con la mia anima.”
”Ora che l’anima hai imparato ad amare, trova la gemella e mettetevi a volare.”
Il tema è anche interessante, ma proprio non sono riuscita ad entrare in sintonia con la modalità del racconto e neanche con la scelta dei fatti.
“Quando ridurrete il maschio e la femmina a un unico essere, così che il maschio non sia solo maschio e la femmina non solo femmina, allora avrete trovato l’entrata del Regno.”
Vangelo di Tommaso, 22
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MIchael Connelly: bye bye
Questo secondo romanzo di Connelly, nonché secondo capitolo de "Il poeta" l'ho trovato non solo più interessante, ma anche meno lento e benché più breve, molto più ricco di fatti e accadimenti. E' come se tutte le ripetizioni e le chiacchiere che non mi hanno fatto del tutto apprezzare il primo romanzo qui siano state tagliate per andare dritto al racconto.
Suspense, colpi di scena (che anche nel primo non sono mancati) sono qui meglio raccontati.
Ma non è il romanzo che consiglierei in prima battuta. E neanche in seconda!!!
Insomma...mi sa che mi fermo qui con questo autore.
Devo dire altro?
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E mo' basta!!!!
Alla ricerca di un thriller da leggere velocemente e soprattutto capace di non farmi staccare gli occhi dalle pagine se non per cause di forza maggiore, una collega mi presta questo; è il primo romanzo che leggo di questo autore e sono carica di aspettative.
Tuttavia durante la lettura mi viene spesso da pensare "si vabbè..ma non vuoi finire mai più????" il che non è certo un buon segnale per me che mi affeziono così tanto a ciò che stò leggendo che al contrario vorrei non finisse mai. Se invece il ritmo è incalzante ma con "molto fumo e poco arrosto", anche un buon thriller può deludermi, e questo un pò lo ha fatto. E' come se mancasse di contenuti, di fatti da raccontare; nonostante le tantissime pagine per un libro di questo genere, non c'è sostanza. E alla lunga stanca.
Certamente ben scritto e anche ben narrato, ma carente di tutti quei piccoli dettagli che mi fanno sentire tutt'una con le scene e le vicende narrate.
Un romanzo raccontato in modo freddo lo definirei.
Ma sarò costretta a leggere il prosieguo se voglio sapere tutto dei protagonisti della vicenda.... furbacchione!!!!
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- sì
- no
“Vorrei poter essere tuo fratello anch’io.”
Quando ho girato l'ultima pagina di questo racconto, anche la mia mente è volata ai ricordi di quando ero bambina, agli odori, ai colori, ai sapori, che, dopo anni sopiti nella memoria, riprendono così improvvisamente vita.
Ambientato in un quartiere operaio di una città industriale del Lancashire, a ridosso della prima guerra mondiale, si raccontano le vite e le vicissitudini delle famiglie di un ghetto in miniatura, che un muro invisibile divide due parti, in cui gli ebrei vivono da una parte e i cristiani dall'altra.
Seguiamo la storia vissuta e raccontata dal piccolo Harry, quattro anni; lo seguiamo durante la sua infanzia, seguiamo la sua crescita e la sua maturità; e quando di se stesso egli parlerà come di uno ormai grande, tanto da poter guardare in faccia sua madre non dovendo più alzare la testa, e potendola seguire per strada non dovendole più trotterellare con fatica accanto dandole la mano, ma anzi, sostenendola lui, nei percorsi più accidentati, Harry ha 11 anni. Non sembra più un bambino. Ma lo è. Sembra passata una vita.
Racconta con occhi e voce di bambino che la morte è tenebra. Ma si può celebrare anche la morte dei vivi, se le scelte fatte sono quelle sbagliate.
E di quella cortina di gelo che torna a calare sui lati della strada, a dividere ciò che sembrava potesse finalmente unirsi. E del problema che incombe in casa: è venerdì, c'è il Shabbat, la signora Green verrà ad accenderci il fuoco e togliere la pentola dal camino per impedirci di peccare? No, non verrà! Ma qualcosa di nuovo accade. Quello spontaneo offrirsi da parte della signora Forshaw, che verrebbe volentieri nella nostra casa a farlo per noi, per non farci peccare, se nostra madre accettasse. E il farlo gratuitamente, come autentico gentile gesto, probabilmente è ciò che inizia a incrinare le ataviche certezze di nostra madre.
Poi altre cose accadono, e tutti si riuniscono, e tutti festeggiano come se non ci dovessero essere più distinzioni, addirittura le acerrime nemiche brindano insieme.
Si, questi fatti accaddero nel corso di quegli anni che a me che leggo apparvero lunghissimi, ma furono invece davvero pochi.
“Hai intenzione di farlo circoncidere?” chiese.
“Mio padre mi ha fatto la stessa domanda” rispose. “Non proprio la stessa, ma simile. Voleva sapere se e quando avremmo avuto un battesimo.”
…
“Suppongo che lei non sappia che cosa sia un battesimo. In un certo senso è molto simile alla circoncisione. Fa entrare un bambino nella sua religione. Il sacerdote spruzza quella che si ritiene acqua santa sulla fronte del bambino, ed è questo rituale a farlo diventare un cristiano.”
L'adulto Harry ha sempre avuto quella strada nel cuore, e quarant’anni dopo con la moglie Ruby ci è tornato. Molte cose sono cambiate e si sono modernizzate. Ma la strada e la casa dove era vissuto con la sua famiglia è ancora lì, vuota e sbarrata, come tutte le altre, perché da abbattere. Tutte tranne una, quella dei Green, dove ritrova una conoscenza di quarant'anni prima, che da lì non si è mai mossa. Ed entrando in quella casa riconosce la sua casa come allora, uguale, e viene sopraffatto dalla nostalgia, perché le stanze sono identiche a quelle in cui un tempo ha vissuto: la stessa carta da parati a quadri, la mobilia trasandata e il camino annerito che occupava gran parte della parete, e il fuoco acceso. L’unica differenza tra quella casa e la sua era il grande crocifisso al muro.
“Ma la strada era ancora lì, viva nella memoria, e io sentii i suoni che ero abituato ad ascoltare all'alba, quando ero un bambino e me ne stavo disteso a letto, nella stanza al primo piano della nostra casa. Era il rumore degli zoccoli di legno che marciavano. Tutto iniziò in modo piuttosto sommesso, quando le prime sparute paia di zoccoli uscirono di casa. Poi il rumore si fece più forte, a mano a mano che la gente confluiva nella strada, fino a diventare simile al movimento di una sinfonia che tocca il suo apice, un crescendo accompagnato dalla simultanea raffica delle sirene che si levavano da tutte le fabbriche. Poi fu silenzio e i miei occhi si chiusero nel sonno”.
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...E COMINCIO' A RACCONTARE...
Mi dispiace dover ammettere la delusione provata dopo le fantastiche recensioni lette.
Normalmente i consigli ricevuti dagli amici lettori di QLibri sposano appieno i miei gusti, ma in questo caso...non posso fare a meno di accostare questo romanzo a tanti altri romanzi letti, belli, certamente, ma senza quel trasposto in più che, indipendentemente dal genere letterario, non sono più semplici parole lette, ma diventano visioni, odori, sensazioni, dolori, gioie, paure, che senti con tutti i tuoi sensi anche tu. Almeno a me succede così, quando mi succede. Sarà che ho ancora troppo vivo il ricordo di un paio di libri letti ultimamente ("Chiamami col tuo nome" e "Avevano spento anche la luna") che in modo completamente diverso si sono presi per sempre qualcosa di me e mi hanno dato in cambio talmente tanto che non so dirlo.
Sarà che forse cercavo ancora qualcosa di quelle emozioni in questo... Forse erano sbagliate le mie aspettative.
Chissà.
La lettura è assolutamente scorrevole, anche molto poetica, ma mi sento di giudicarlo un romanzo prevedibile; e non intendo nel finale. In un romanzo come questo non è quello che conta.
La ricerca delle proprie radici....
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L’inquilino del letto n 7.
Sono in difficoltà nell’esprimermi su questo libro. Non mi è piaciuto.
Se è interessante la narrazione che alterna il punto di vista del paziente e del medico, dunque questa scelta di modalità del racconto, il resto mi lascia fredda e perplessa.
Anche la rappresentazione, da un lato del cinico mondo ospedaliero, fatto di gelosie, indifferenza, carriera e invece di affetto e solidarietà, di missione dall’altro è, nel modo di raccontare, così banalmente semplice, quasi affrettato direi.
Superficiale, ecco l’aggettivo che più mi viene in mente.
Io che a questi temi sono molto sensibile, mi aspettavo qualcosa di completamente diverso. Forse fatti e storie realmente accaduti? Dove i pensieri espressi erano davvero i pensieri pensati dal malato? Forse si.
Voglio conoscere le testimonianze vere. Come quelle di Beppino Englaro opp di Mina Welby.
Non mi interessa, anzi trovo assurdo che chi scrive, si arroghi il diritto di sapere cosa il paziente tracheotomizzato pensi in quella terribile situazione. Oppure questa riportata nel libro è una testimonianza vera, precisa, di un paziente che lo scrittore ha incontrato nel suo lavoro in ospedale? E se si, perché non lo ha specificato chiaramente? Perché, nel parlare per conto del paziente, nell’attribuirgli pensieri di un certo tipo, viene fatta una scelta ben chiara in tal senso. E questo non mi piace.
Cosa tu, Marco Venturino, pensi di sapere loro pensino, non mi interessa. Con tutto il rispetto per ciò che tu pensi ovviamente, e per il lavoro che svolgi. Questo è fuori questione.
Inoltre si legge facilmente, aiutato dalla leggerezza del tono, e anche questo lo giudico negativamente.
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“Sono come te, ha detto. Mi ricordo tutto.”
Questo libro non può esistere davvero. Non è possibile. E che sono queste lacrime? E se non fosse perchè mi vergogno mi lascerei andare e piangerei ancora e ancora. Per l'emozione, perchè devo liberarmi.
Quel desiderio che senti dentro talmente forte che ti si stringe il cuore dalla sofferenza perchè spesso desiderio e sofferenza sono sinonimi. Quando non riesci a liberarlo e a liberartene ed allora diventa anche dolore fisico.
Mi scandalizza leggere e immaginare un uomo che desidera con tutto se stesso venire nella bocca dell’uomo che ama? Non più di quanto mi possa imbarazzare leggere di un uomo che desideri venire nella bocca di una donna. Questo libro rende normale leggere ciò che si desidera, perché l’amore è un istinto e l’unico desiderio è che sia ricambiato. Solo questo conta per chi ama. Io l’ho sempre pensato. Ora l’ho anche letto.
L’amore, in tutti i sensi, è su quella collina in cui andava con i libri, quel mondo che era il suo, in cui lui andava a rifugiarsi, che voleva mostrargli, ma voleva soprattutto chiedere al proprio mondo di farlo entrare, affinché il luogo in cui si rifugiava potesse conoscerlo, giudicarlo, verificare se c’era spazio anche per lui, accoglierlo, in modo da poter poi tornare lì a ricordare.
“Odiavo me stesso perché mi sentivo così sventurato, completamente invisibile, afflitto, immaturo. Dimmi qualcosa, toccami, non chiedo altro. Se mi guardi abbastanza a lungo, vedrai che ho le lacrime agli occhi. Bussa alla mia porta di notte e forse la troverai aperta per te. Entra. C’è sempre posto nel mio letto.”
“…capire cosa succede quando due esseri umani hanno bisogno non solo di stare insieme, ma di diventare così totalmente duttili che ognuno si trasforma nell’altro. Essere ciò che sono grazie a te. Essere ciò che era grazie a me. Essere nella sua bocca mentre lui era nella mia, e non sapere più se era il mio o il suo uccello che avevo in bocca. Lui era il passaggio segreto che mi conduceva a me stesso…”
“Se potessi, ti abbraccerei e ti bacerei.”
“Anch’io.”
“Capii che in quel preciso istante lo stava assaggiando. Qualcosa di mio era nella sua bocca, e adesso era più suo che mio. Non so cosa mi prese in quel momento, mentre continuavo a fissarlo, ma all’improvviso provai un feroce bisogno di piangere. ..Piangevo perché stava accadendo qualcosa, ma non avevo idea di cosa fosse.”
Devo essere sincera prima di tutto con me stessa. Dopo un bel po’ di pagine ho pensato che “Opus pistorum” non mi aveva fatto questo effetto, si lo confesso, ho pensato che sapevo che in Miller avrei letto pornografia, ma qui non mi aspettavo.., insomma non ho mai letto nulla così…spinto. Poi ho capito, ho capito.
E allora ho sollevato gli occhi dal libro e ho respirato e ho sorriso, ritrovandomi anche io in quella calura di quella indimenticabile notte romana in compagnia di sconosciuti artisti che in un istante non ci sono più, e ci siamo solo noi e quel momento fermo per sempre, perché quando penso a noi, siamo rimasti lì, su quell’antico marciapiede in ardesia, lì è rimasto il mio cuore che batte.
“Quel bacio è ancora impresso laggiù, grazie al cielo. E’ tutto ciò che ho di te”.
“Chi altro sarei mai riuscito a chiamare col mio nome?”
“Sei l’unica persona a cui vorrei dire addio quando morirò, perché solo allora questa cosa che chiamo vita avrà un senso. E se dovessi venire a sapere che sei morto, la mia vita così come la conosco e il me stesso che adesso stà parlando con te smetterebbero di esistere.”
“No, è una vita parallela.”
“Avevamo trovato le stelle, tu e io. E questo capita una sola volta nella vita.”
“Sono come te, ha detto. Mi ricordo tutto.”
“Mi sono fermato un secondo. Se ti ricordi tutto..una volta soltanto, girati verso di me e, come avevi già fatto allora, guardami negli occhi, trattieni il mio sguardo, e chiamami col tuo nome.”
“Cor cordium, cuore dei cuori. Non ho mai detto niente di più vero a nessuno in tutta la mia vita.”
C’è mai stato qualcun altro così capace di esprimere la totale unione di sentimenti, sentire, amare, soffrire? perché come dice Emily Bronte “lui è me più di me stessa.”
Forse è stato anche in questi momenti che tutto è stato chiaro, e mi sono salite le lacrime, perché ero lì con loro, li sentivo, li vedevo, li amavo a mia volta. E dopo tutto questo condividere, si insomma ho ceduto, con le lacrime, perché quel formicolio di tenera eccitazione che ti prende come quando sei molto felice all’improvviso e non te lo aspetti, proprio non potevo tenerlo. E gliel’ho reso, così come Elio e Oliver lo hanno reso a me.
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tante lezioni,un grande insegnamento
Ascoltare Saviano mi piace tantissimo, trova abbia un carisma eccezionale che gli consente di raccontare e catturare l’attenzione anche su temi non proprio leggeri.
Questo suo libro è bello al pari della trasmissione, gli argomenti trattati tutti molto interessanti, ma il racconto della storia di vita, di scelte, di amore di Mina e Piergiorgio Welby non la dimentico mai più, e loro sono per me il simbolo della dignità che vorrei sempre avere nelle scelte che ogni giorno mi trovo a fare, per imparare dalle piccole, a fare le grandi.
Quando si conoscono lui già zoppica, quando si fidanzano lei conosce tutto della sua distrofia muscolare progressiva, quando si sposano lui arriva in chiesa in carrozzina. L’accordo che c’era tra loro era che, se anche lui fosse stato male, lei non l’avrebbe portato in ospedale, ma poi di fronte a quella crisi respiratoria lei non ce la fa, e Piero viene attaccato al respiratore attraverso un’incisione chirurgica sulla trachea per aprire una via respiratoria alternativa a quella naturale. Lei dirà “Ho veramente esercitato un accanimento terapeutico, ma il mio era un accanimento terapeutico d’amore”.
Quando la malattia peggiora Piero vorrebbe una morte dignitosa, nella legalità. Non eutanasia, cioè il procurare la morte in modo indolore, ma chiede la fine dell’accanimento terapeutico, cioè di tutte quelle tecniche mediche che servono a sostenere artificialmente le funzioni vitali di soggetti affetti da patologie inguaribili. Dice il cardinale Carlo Maria Martini “Evitando l’accanimento terapeutico non si vuole procurare la morte, ma si accetta di non poterla impedire”.
Il 22 settembre 2006 Welby scrive una lettera al Presidente della Repubblica Napolitano in cui afferma la sua battaglia per la vita: “Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso. Morire mi fa orrore. Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche.”
Piergiorgio Welby, Luca Coscioni, Beppino Englaro hanno in comune l’aver agito nel diritto. Non farne una questione personale, ma creare una possibilità. Quella di salvaguardare i diritti di tutti.
E quando penso che la chiesa di Roma ha tenuto per lui le porte chiuse, che il suo funerale è stato celebrato con rito civile nel piazzale antistante la chiesa che Mina aveva scelto per salutarlo insieme alla sua famiglia.. perché “la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, contrasta con la dottrina cattolica” beh devo davvero chiudere gli occhi e pensare a Cristo in croce per isolarlo da tutto ciò che lo circonda e che la Chiesa spesso purtroppo rappresenta.
Saviano lo ricorda con queste bellissime parole di Giordano Bruno che sento mie una per una:
“Ho lottato, e molto: credetti poter vincere (ma alle membra venne negata la forza dell’animo), e la sorte e la natura repressero lo studio e gli sforzi. […] Per quel che mi riguarda ho fatto il possibile […]: non aver temuto la morte, non aver ceduto con fermo viso a nessun simile, aver preferito una morte animosa a un’imbelle vita.”
Grazie.
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piacevolmente sorprendente
Sorprendentemente...bello bello!!! Non avevo proprio idea di cosa aspettarmi, poichè il genere fantasy storico è a me del tutto nuovo. Mi ha divertita e tenuta con gli occhi incollati alle pagine.
Ritmo incalzante e fortissimi legami tra i personaggi sono l'elemento vincente. Il carisma di Ian, di Daniel, del Conte di Ponthieu a fare la narrazione.
Girata l'ultima pagina, la sensazione, il ricordo che mi resta impresso nel cuore e negli occhi, è la profonda e incondizionata amicizia che può essere forte come solo i vincoli di sangue, razionalmente pensiamo, possono essere. Invece, essere curati e curarsi dell'altro, affidarsi e fidarsi ciecamente e reciprocamente, rimettere nelle altrui scelte, con sicurezza, la propria vita è possibile, se tutto ciò che si ha in cambio è tutto ciò che si concede. E se questo è possibile, ciascuno di noi è meno solo nel mondo.
Nonostante venga utilizzato uno stile semplice e davvero poco impegnativo il romanzo è tuttavia ben raccontato, nelle ambientazioni, nei costumi, nei paesaggi, negli usi, nei dialoghi, insomma è facile immergersi in quei tempi e luoghi così lontani e questo facilita l'immedesimazione e la condivisione degli accadimenti.
La descrizione della battaglia finale è emozionantissima e, nonostante sia storia (ma confesso non ricordavo quasi nulla in merito, ho dovuto un pò istruirmi), leggi con avidità perchè è interessante sapere come verrà raccontata. Mi sono sorpresa nel leggere queste concitate fasi di guerra con un groppo in gola, come se mi trovassi io lì fuori tempo e fuori spazio, pensando alle tante volte in cui in prove da affrontare nella mia vita ho sentito l'inadeguatezza del compito da svolgere e chiedendomi come sono invece apparsa a chi mi giudicava.
Certo è strano come un romanzo così "leggero" possa farti così riflettere su te stessa. A me è successo.
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per sempre Il Giornalista.
Sono innamorata di questo grande uomo e grande giornalista. Riesce a raccontarti fatti storici e di cronaca accaduti e sepolti nella tua mente, con un linguaggio diretto ed essenziale. E appena apro il suo libro non lo leggo semplicemente, ma lui si siede accanto a me, e con quei suoi rassicuranti capelli bianchi e occhi puliti me li racconta direttamente guardandomi in volto. E io sento la sua compagnia, ed è un grande onore.
"Quello che non si doveva dire” è il libro che Enzo Biagi ha scritto con Loris Mazzetti per raccontare ciò che Biagi avrebbe voluto poter dire se la sua trasmissione “Il fatto” non fosse stata sospesa.
I temi toccati sono molteplici.
Interviste ai ragazzi di Locri e alla battaglia che conducono contro la mafia. E un pensiero ai tanti uomini caduti sotto i colpi di Cosa Nostra: Piersanti Mattarella, Giovanni Falcone, Libero Grasso, Peppino Impastato, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Rosario Livatino, Pio La Torre... E si indigna Biagi al pensiero che la nostra società non cambierà mai. Ricorda le parole del padre del pool Antimafia, Antonino Caponnetto, che all'indomani della morte dei giudici Falcone e Borsellino commenta “E' tutto finito”.
Il 25 aprile, tema sempre a lui molto caro.
“Il periodo della mia vita di cui vado fiero non è stato quando facevo il direttore e neanche quando mi premiavano per il lavoro, ma sono stati i 14 mesi in cui ho fatto il partigiano. ”
“Ho scritto spesso della guerra partigiana, della Liberazione e ho raccontato storie di donne con un coraggio da leone che hanno sfidato nazisti e fascisti, anzi una di loro l'ho amata molto, ma conosciuta solo attraverso una fotografia, si chiamava Irma Bandiera, nome da partigiana Mimma, ed è morta per la nostra libertà. Fu catturata il 7 agosto 1944 dalle SS tedesche. Era cresciuta coltivando ideali democratici, studiava all'università. Quando l'Italia entrò in guerra poteva sfollare come fecero in tanti in attesa della fine del conflitto. Lei no, rimase e cominciò a frequentare gli ambienti antifascisti e dopo l'8 settembre 1943, quando bisognava decidere da che parte stare, lei scelse quella della libertà, della giustizia sociale, di lottare contro i nazisti che occupavano l'Italia e contro i fascisti che li aiutavano a tenerla occupata. Fu staffetta e combattente con i partigiani di Bologna. Le avevano ordinato, in caso di cattura di non parlare e non rivelare i nomi dei compagni. E lei non parlò per sette giorni, nonostante le sevizie e le violenze dei nazifascisti.”
La Cina, sempre più vicina e il Tibet sempre più oppresso, guidato da Tenzin Gyatso, quattordicesimo Dalai Lama, premio Nobel per la pace nel 1989, che nonostante le indicibili sofferenze inflitte al suo popolo lotta per la liberazione del Tibet attraverso la non violenza.
La fine degli anni di piombo, merito di un generale dei carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa, partigiano nel 1943. Riuscì a catturare i capi storici delle BR, Renato Curcio e Alberto Franceschini. Fu nominato prefetto di Palermo, dopo che la mafia aveva assassinato Pio La torre, il deputato comunista, che aveva lottato contro la mafia. Dalla Chiesa era stato mandato in Sicilia per combattere Cosa Nostra senza poteri e senza uomini. Il 3 settembre 1982, dopo cento giorni, fu assassinato, in pieno centro, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all'agente della scorta. Poche settimane prima aveva detto a Giorgio Bocca durante una intervista: “Da quando sono qui nessuno mi telefona. Tutti mi scantonano. Mi hanno lasciato solo. Lo scriva Bocca, e lo faccia sapere.”
Un intero capitolo è dedicato all'era berlusconiana, e qui non mi va di dire nulla.
Per concludere, Enzo Biagi:
“Io ricordo che diventai balilla perchè mia nonna faceva la maestra e ricevette la disposizione per cui bisognava iscrivere i ragazzi, allora lei, poveretta, non trovò niente di meglio che iscrivere i suoi nipoti: me e mia cugina Pina.”
“Non sapevo niente dell'antifascismo, non sapevo che c'erano i giornali clandestini, l'unico nome di antifascista, che avesse un grande significato e che conoscevo era quello di Giacomo Matteotti: mi ricordo ancora una vecchia Domenica del Corriere con la copertina che riproduceva il suo omicidio.
Arrivederci Biagi, al suo prossimo racconto.
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Illusione e Disillusione
“Dio mio! Un intero attimo di beatitudine!
Ed è forse poco, seppure nell’intera vita di un uomo?”
Questo brevissimo romanzo sentimentale di Dostoevskij è per me tutto racchiuso nella citazione di cui sopra.
Scarno nelle descrizioni, del protagonista che parla in prima persona, non sappiamo il nome, né che sembianze abbia, né come veste, ma sappiamo che è un sognatore e un solitario, dunque lo conosciamo; lo conosciamo attraverso le sue passeggiate nelle strade di San Pietroburgo, attraverso i palazzi e i ponti che incontra e prendono vita nelle sue lunghe camminate, perche con essi dialoga. Tutto si ripete un una identica monotonia.
E poi, improvvisamente l' incontro con Nasten'ka, e parlare, confidarsi, lasciarsi andare, finalmente, con un altro essere umano, questo sentirsi meno solo, forse capito…ricambiato?
Il rifugiarsi nel suo mondo immaginario e poi questo insperato contatto fa dolorosamente capire l'entità della rinuncia alla vita, e che, ciò che è perso, è perduto per sempre.
In una Pietroburgo deserta, avvolta dal chiarore delle notti bianche, quattro notti di illusioni e speranze. Ed al risveglio, al Mattino, resta la disillusione.
“...Sia sereno il tuo cielo, sia luminoso e calmo il tuo caro sorriso, e tu sii benedetta per il minuto di beatitudine e di felicità che desti a un altro cuore solitario e riconoscente!”
Contrariamente a ciò che mi aspettavo, ho trovato il romanzo “asettico”, quasi non coinvolgente, freddo, nel senso di troppo breve, troppo poco, troppo non detto, troppo non successo, non volevo che quell'ultima pagina fosse l'ultima, come se mi mancasse qualcosa. Ed è evidente che, tutto ciò, ne fa l'assoluta eccellenza.
Mi incuriosisce conoscere gli altri scritti dell'autore, poiché, con un po' di imbarazzo, confesso che questo è il suo primo romanzo che leggo.
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Il sacco è una buona idea
“Il rimedio all’imprevidibilità della sorte, alla caotica incertezza del futuro è la facoltà di fare e mantenere le promesse." Hannah Arendt.
Nonostante questo romanzo di Carofiglio sia quello che mi è piaciuto meno, la sua capacità di coinvolgimento, nei sentimenti e nei pensieri è per me tale che va oltre la narrazione. Ci sono libri che mi coinvolgono per la storia, dove la storia è indiscussa protagonista, ti prendono, e li leggi in trepidante attesa della pagina successiva; e altri che ti prendono per tutto il resto, per la perfetta costruzione dell’ambientazione e di tutto ciò che in essa si muove, per la capacità di raccontarla così nei dettagli eppure nell’essenziale. Intimo e sincero.
Mi piace il suo provare rabbia nella quotidianità. E mi piace la descrizione dei posti.
Mi piacciono le sue citazioni, e resto stupita rendendomi conto che rispecchiano il mio pensiero mentre leggo. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda.
…“Il modo migliore per realizzare i propri sogni è svegliarsi” Paul Valéry
…“Rimanemmo un istante a guardarci. C’era qualcosa di più complicato della timidezza, negli occhi di quell’uomo. Come un’abitudine alla paura, una disciplina per governarla, sapendo che era e sarebbe stata sempre lì, in agguato. Nei miei occhi credo ci fosse stupore. Mi chiesi se avessi mai letto qualcosa di Valéry. Non ne ero sicuro. […] Non so se agli altri capita la stessa cosa, ma io ho voglia di condividere quello che leggo. …”
Anche in questo romanzo ritroviamo il nostro Guido sperduto nella sua solitudine, ma non del tutto. C’è sempre il sacco, il suo amico sacco. Un sacco a cui tirar pugni per sfogarsi anche con le parole. A cui raccontare liberamente, perché lui ti ascolta. Insomma un amico vero. Sempre lì. Ad attenderti quando rientri a casa.
“Adesso, invece, tutto andava al suo posto in una misteriosa sincronia di immagini, suoni, odori, nomi e oggetti concreti. Tutto insieme.
Il mangiadischi, il mottarello, le penne a quattro colori, Pippi Calzelunghe , le magliette Fruit of the Loom, …, Hit Parade, …, la graziella cross gialla e arancione con il sellone, il subbuteo, …, i ghiaccioli che lasciavano la lingua colorata, Paperinik, Sandokan, Tarzan, …, la gomma pane, il club di Topolino, il flipper, il biliardino, …, i cappelli con i copri orecchie, il lego, il monopoli, giocare con le figurine dei calciatori, il primo canale, il secondo canale e basta, la tv dei ragazzi, il latte della centrale, la luce fioca della cucina dei nonni, i sussidiari, la pasta al forno dai nonni la domenica.
La luce che filtrava attraverso la porta socchiusa della mia cameretta, i rumori della casa sempre più attutiti e per ultimi, sempre, i passi leggeri di mia madre mentre mi addormentavo.”
Grazie Carofiglio.
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L' "osteria del caffèlatte"
"Per potersi realizzare i desideri devono essere colorati."
..."E mentre diceva queste cose io smisi di ascoltarla, tutta la scena prese la consistenza irreale di un negativo fotografico, e così rimase piantata nel mio ricordo."
Questo romanzo, al pari degli altri, segue le vicende legali ben precise dei protagonisti di turno, sempre con quello stile chiaro, preciso, che non lascia nulla al caso. E durante la narrazione, continuamente, ritorna il Carofiglio che amo, che mi racconta per farmi conoscere, sapere, sentire e vedere. Quanto mi piace questo alternarsi di fatti raccontati e sensazioni suscitate.
Ho già detto e ridetto quanto apprezzo la sua capacità di farmi ridere, non sorridere che è diverso, ma proprio ridere, cioè emettendo suoni ben riconoscibili. E questo romanzo, non dimentichiamoci, è, perchè lo è, un romanzo giallo. Allora, Guido Guerrieri va all'inaugurazione di una mostra, in un posto molto alternativo, dove trova gente molto alternativa. Gli si avvicina un ospite mai visto prima...
"Tu sei il ragazzo di Piero?
...No guarda, amico, il ragazzo di Piero - chiunque cazzo sia questo Piero - sarai tu. No signore, temo che si sbagli. Deve avermi scambiato per qualcun altro.
Ah.
Lo disse con un sospiro che poteva significare di tutto. Poi, dopo avermi squadrato, proseguì.
Ti piace il lavoro di Cazo?
Cazo?
Katso - nome dall'ambigua pronuncia - era l'artista, ma mi ci vollero tre o quattro drammatici secondi per fare mente locale.
Mi spiegò di avere ideato il titolo dell'esposizione e di essere l'autore dell'introduzione critica al catalogo.
Ah, ottimo. Ci ho dato un'occhiata e non ho capito una sola parola."
Continua in modo altrettanto divertente...ma forse letto così, in modo estemporaneo, non rende....
Ma esisterà davvero l'"Osteria del caffèlatte", libreria a Bari, in pieno centro, che apre alle 22 e chiude alle 6 con tre tavolini e un piccolo banco bar dove puoi bere o mangiare una fetta delle torte preparate dal proprietario; e il sacchetto che ha da un lato il disegno di una tazza di caffèlatte fumante, azzurra e senza manici, con il nome della libreria, dall'altra, stampate sulla plastica, una pagina di romanzo, una poesia, una citazione da un saggio. Cose che piacciono al libraio e che lui vuole consigliare ai suoi notturni clienti.
Si carofiglio è anche questo.
Insomma, avete ragionevoli dubbi per non leggerlo? :)))
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E' un piccolo viaggio
"Se non c'è un Dio per te, non c'è un Dio neanche per me."
Carofiglio presenta un caso di grande attualità, lo stalking: ne delinea in modo chiaro e leggero i punti fondamentali, ti porta con lui in quell'aula di tribunale dove si dibatte il caso di questa giovane vittima, e ti ritrovi seduto lì, in silenzio e in ascolto, talmente coinvolto che alla fine ti chiedi se è a te che stà chiedendo verdetto. Non sei più solo un passivo lettore, ma un attento esaminatore dei fatti e delle testimonianze. Sei anche tu, lettore, protagonista del romanzo che leggi.
Tutto ciò perfettamente integrato con il racconto della sua Bari, così ben descritta nei suoi spazi e odori, e se anche non ci sei mai stato, un pò la conosci anche tu; ma più che i luoghi conosci le sensazioni, le ansie, le paure, le gioie, le soddisfazioni, in una parola i ricordi che affiorano quando, passeggiando di notte per le strade vuote, senti solo la compagnia dei tuoi passi che rimbombano sul cemento, e pensi alla tua vita, trascorsa e vissuta nella tua città.
"Potevo essere tante cose che non saranno, perchè non ho avuto il coraggio di provarci.
Allora apro - o chiudo? - gli occhi, mi alzo e vado incontro alla mia giornata."
Carofiglio mi piace tantissimo, Guido Guerrieri lo conosco, perchè lo sento molto simile a me.
Guido Guerrieri è un altro personaggio che non resta astrattamente sulle pagine che scorrono sotto i miei occhi, ma si è, ancora una volta, materializzato al mio fianco durante la lettura.
E' un piccolo viaggio fatto con lui.
If there is no God for thee then there is no God for me.
Anna Hempstead Branch
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La versione letteraria della musica rock
Sono una nesbiana persa ed è un dato di fatto. Quello che mi sorprende invece è che quando leggo le avventure e disavventure di questo personaggio così dannatamente freddo e distaccato da tutto e tutti, non posso fare a meno di pensare alle sensazioni che mi suscita l’ascolto della musica rock. Ti penetra con la sua fredda dolcezza, riscalda i tuoi sensi, ti esalta e ti commuove allo stesso tempo perché riesce ad evocarti sensazioni uniche, di piena soddisfazione; e senti che il tuo corpo inizia a muoversi al suo ritmo, i battiti del cuore la accolgono e lei ti riscalda. La senti sulla pelle e con tutti i tuoi sensi.
Harry Hole per me è tutto ciò: l’alter ego di questi suoni che io amo. Senti tutto ciò che sente lui: soffri con lui, piangi con lui, rifletti con i suoi pensieri, godi con lui, gli parli, sei nella sua testa; improvvisamente Hole esce dalle pagine e diventa vivo nella tua mente; e smetti di leggere nel senso classico del termine per andare lì dove lui vuol portarti. E non ha bisogno di fare il simpatico, non gli interessa conquistarti, tutto ciò accadrà inesorabilmente. Perchè se la lettura ha anche uno scopo di condivisione, Nesbo questo scopo lo raggiunge avvolgendoti in paesaggi e atmosfere che riesce senza fronzoli a raccontarti e che se pur di ghiaccio non ti fanno sentire freddo.
Si, è proprio come il più intramontabile dei brani rock.
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…e dentro un’etica civile, sociale, politica…
Matteo Renzi è il mio sindaco…ma io non sono fiorentina.
Un politico che ammette che il proprio mestiere non è vero sia una gran fatica, se fatto con passione e cuore e volontà.
Il libro è molto scorrevole, racconta molto di lui come persona, come politico, come sindaco, come padre di 3 figli.
Racconta fatti successi e fatti che si vorrebbe succedessero; forse un po’ autocelebrativo? Forse si, ma che ben venga se ciò che leggi lo condividi e leggi pure che una parte è stata realizzata e che c’è l’impegno di andare avanti per il bene comune .
Mi piace questo politico che senti vero, non si esprime in politichese; ciò che pensa te lo dice, ma ciò che più conta e che te lo fa anche chiaramente capire!
Qualche esempio?
No alla concertazione se deve significare valutare, riflettere, disquisire; solo un modo per rimandare le decisioni. Amministrare significa servire.
Rottamazione, questa odiata parola che altro non significa se non ricambio generazionale; dopo 3 mandati in Parlamento…ciao ciao!
L’obiettivo più importante è raggiungere lo scopo, indipendentemente dal colore politico, ciò che conta è la qualità delle persone.
A proposito, avete notato che in una delle capitali storiche del centrosinistra il vincitore è un outsider tiratosi fuori dal derby pluridecennale dalemiani-veltrioniani? Non sottovaluterei questo aspetto.
Patti chiari: ci dice e lo scirive che, se avessero vinto le primarie avrebbero cambiato Firenze; ma se le avessero perse lui avrebbe cambiato mestiere. Niente scialuppe di salvataggio, tipo candidarsi alle europee, né consigli di amministrazione di qualche azienda pubblica, ma sarebbe tornato a lavorare nel privato, nell’università, nel sociale.
Obiettivi concreti, piccoli impegni tutti verificabili: abbassare il numero degli assessori della giunta del Comune di Fi da 16 a 10, tutti scelti alla prima esperienza; e le donne sono la metà della giunta. Nominare i vertici delle municipalizzate a prescindere dalla tessera di partito. Andare una volta a settimana nelle scuole. Investire per collegare più di 100000 abitanti di Firenze al depuratore , che funziona tra l’altro molto bene. Nel primo anno sgombero di tre grandi strutture abusive occupate da anni; senza forza pubblica e Digos ma solo con la Polizia Municipale e con i servizi sociali, facendosi carico di individuare soluzioni a situazioni di piena emergenza. Sotto la sua guida, Firenze è stata la prima grande città italiana in cui è stato approvato un Piano strutturale a Volumi Zero.
Certo non un libro appassionante per dirla tutta, ma certo molto interessante; ti dice cose che forse già sai, ma è sempre utile tenersi svegli e all’erta.
Lo consiglio, sicuramente si, a chi ama leggere di attualità e politica in genere.
ottimo...sai anche far ridere!
Carofiglio è simpaticissimo. Sembra banale detta così, ma, per chi lo ha letto, forse è chiaro ciò che intendo, e condivide. Racconta situazioni, dialoghi, in modo così "quotidiano" che potresti pensare che è alle prime armi, invece ti sorprende capire che vuole proprio parlarti così, in modo assolutamente diretto, come se tu fossi lì davanti a lui.
Sarà che quando leggo un romanzo che mi convince, mi ritrovo per magia catapultata lì, con i protagonisti, come un arbitro invisibile che tutto vede e sente. Sono parte della storia; e mi diverto un sacco.
Ho davvero riso alla descrizione di "uno con la canottiera"!!!! Ma tante sono le scene divertenti e ben raccontate.
Il tema del romanzo è forse scontato? Se pensate di si, la ricostruzione della vicenda, di cui ovviamente non voglio dire nulla, vi lascerà sempre più basiti; l'evolversi della storia e le spiegazioni, semplici ma efficacissime, proprio dal punto di vista legale, del diritto, (e scusatemi, ma questo è poco?) le ho trovate geniali e per nulla ovvie, al punto da farmi definire questo, davvero un ottimo giallo.
E poi lo ammetto...amo domande del tipo...i tuoi tre libri preferiti? e i tre film invece? E se ti invitassi a cena da me stasera? E restare in macchina a parlare per ore e ore, di notte, mentre fuori è tanto freddo ma tu non lo senti? Si, Carofiglio è anche tutto questo.
Incuriosita dalla sua citazione, come sottofondo ho scelto Simon and Garfunkel "Sound of Silence in Central Park"...per coccolarmi durante la lettura, ed ho proseguito con Patti Smith e Pink Floyd.
Guido Guerrieri è "normale e imperfetto", ma ha un grande carisma.
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Il giornalista: Enzo Biagi
"Avevo diciassette anni quando ho iniziato a scrivere i miei primi articoli, era il 1937, e a ventuno ero giornalista professionista. Sono entrato nel mondo della stampa dalla porta principale. Non lo dico per orgoglio, ma non conoscevo proprio nessuno che potesse aiutarmi."
Questo, per me, è Enzo Biagi, nato nel 1920 a Pianaccio di Lizzano in Belvedere.
Questo grande giornalista va semplicemente letto. "Io c'ero" non è un romanzo, è una accurata cronaca di avvenimenti da lui vissuti e dunque raccontati in prima persona dal dopoguerra ai giorni nostri, perché, come lui esordisce: "Sono un vecchio cronista e ho passato gli ottanta. So che non mi attendono molte primavere. Ho vissuto, e raccontato, molte vicende del secolo che è appena passato: dal Vietnam a Sarajevo, ho navigato sul Mississippi e sul Mekong, ho visto cadere un regime e la sagra dei voltagabbana. Mi sento un pò come certi reduci: io c'ero."
E' difficile racchiudere in poche citazioni la quantità di notizie, fatti, emozioni; ma ci provo sperando di non essere troppo prolissa.
1996 Mastroianni, un amico che non c'è più
Oltre a Federico Fellini ho avuto anche un altro amico nel mondo del cinema, Marcello Mastroianni.
..."Alla nostra età è giunto il momento dei bilanci. Cosa vedi dietro di te?" "Io vedo un lungo film. Che è cominciato nel 1949."... "Nel film di Ettore Scola, "Che ora è?" c'era un punto in cui io raccontavo a Massimo Troisi la storia dei bombardamenti; ... Sai si faceva a chi arrivava primo al rifugio. Questa era la forza della gioventù. E, allora, questi ricordi sono quelli che hanno segnato di più la mia vita: molto più del cinematografo, del successo, della popolarità, dei soldi, delle piscine. Quando mi guardo indietro penso alla scuola, anche ai balilla, ai campeggi, a mia madre, a mio padre, a mio fratello e alla guerra."
2004 Pubblico, privato e l'incerto confine.
Ci sono alcune cose che mi uniscono al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Siamo tutti e due vecchi ragazzi classe 1920 e l'8 settembre 1943 decidemmo di entrare nei partigiani di Giustizia e Libertà e poi per tutta la vita ci siamo portati dietro quello che abbiamo imparato sui monti, lui della Toscana, io dell'Emilia, il rispetto per gli altri, qualunque fosse la loro opinione, e la giustizia sociale.
2006 Un consiglio ai giovani colleghi
...A Conselice, Bassa Romagna, è stato inaugurato il Monumento alla Libertà di Stampa. ... Durante la Guerra di Liberazione le stamperie erano più che altro clandestine. Il monumento è dedicato a quei 140 tra donne, uomini e ragazzi che, rischiando la vita, portarono avanti la loro guerra di libertà. Il primo numero uscì il 22 dicembre 1944; accanto al logo della testata, dove oggi viene messa la pubblicità, scrissi: Esercito Partigiano, Divisione Bologna. L'editoriale portava come titolo "Perché l'Italia viva". Cominciava così: "Ciò che hai fatto non sarà dimenticato. Né i giorni, né gli uomini possono cancellare quanto fu scritto col sangue. Hai lasciato la casa, tua madre, per correre alla montagna. Ti han chiamato bandito, ribelle; la morte e il pericolo accompagnavano i tuoi passi. Scarpe rotte, freddo, fame, e un nemico che non perdona. Sei un semplice, un figlio di questo popolo che ha sofferto e che soffre: contadino o studente, montanaro od operaio. Nessuno ti ha insegnato la strada: l'hai seguita da solo, perché il cuore ti diceva così. Molti compagni sono rimasti sui monti, non torneranno. Neppure una croce segna la terra dove riposano. ... Anche tu vuoi che da tanti dolori nasca un mondo più giusto, migliore, che ogni uomo abbia una voce e una dignità. Vuoi che ciascuno sia libero nella sua fede, che un senso di umana solidarietà leghi tutti gli italiani tornati finalmente fratelli. ... Non avrai ricompense, non le cerchi. Sarai pago di vedere la patria, afflitta da tante sciagure, risollevarsi. Uno solo è il tuo intento: perché l'Italia viva."
..."Dietro a me non c'è altro che la mia coscienza: nei miei programmi futuri, ..., soltanto la tomba. Che vorrei, è ovvio, lontana, e con una lapide: Scrisse quello che poteva, mai quello che non voleva. Amen."
E.B.
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E se un tabù resta davvero ...un tabù??
Se hai letto il primo hai letto già tutto. Diciamolo francamente...anche per l'autrice sarebbe stato difficile escogitare nuovi dialoghi e nuovi amplessi. Ma a ben pensarci....anche lei ha il suo tabù!!! Voi che lo avete letto che dite? Quello è il vero tabù; insuperabile anche per questa coppia che....tra pinze e strumenti vari beh...non si fa spaventare da nulla.
La "piacevolezza" della lettura non scompare, ma tutto è ovvio e scontato; anche la scrittura!
Purtroppo già so che leggerò anche il terzo...uffa...se esiste un sequel io non posso fare a meno di continuare nella lettura.
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- sì
- no
dipende..cosa ti aspetti?
Vabbè...devo essere ipocrita oppure dire ciò che davvero penso nell'intimo??....la seconda che hai detto ;))...
Il libro è davvero "ridicolo", ridicolo in qualsiasi dialogo,personaggio o descrizione di una ambientazione. Mentre leggi un passaggio che dovrebbe essere, anzi è, perchè lo è, assolutamente spinto, ecco lì quella parolina che non c'entra proprio nulla, fuori posto, ma proprio...boh??? mi fa ridere e dico spontaneamente...ma che c'entra???? ma è scemaaaa!!!????? perchè sarò come dire...terra terra? ma di tutto possiamo parlare fuorchè di una trama, un racconto che abbia una logica, protagonisti a cui ti affezioni...no. Si legge per morbosità, perchè dobbiamo essere sinceri almeno con noi stessi e avere il coraggio di ammetterlo; si è scorrevole, divertente, ma è la curiosità la protagonista di tutto. Perchè non è ben scritto nè ben raccontato. Ma il punto fondamentale è un altro: è evidente che non è questo l'intento della scrittrice; se vuoi leggere un buon romanzo ceramente non scegli questo.
Forse l'intento è...liberiamoci una volta per tutte dai tabù??? Non vergogniamoci? Lei certamente si libera dai suoi. Complimenti.
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basita...
Ciò che più mi ha incuriosita è stata la trama del libro; praticamente la leggi e sai tutto!!!! non è il massimo per un un giallo....tuttavia si fa leggere, perchè Lucarelli è così...essenziale come lo conosciamo in tv. Non cerca di costruire storie impossibili e complicate, racconta una storia e tutto ciò che le ruota intorno.
Sono indecisa...ma leggerò certamente il prosieguo.
E' un genere tutto suo. Non riesco a paragonarlo a null'altro.
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- sì
- no
Davai! Krasivaja.
Ona, Sigra Rimas, Andrius, cattivissima Uljuska, guardia bionda Kretzskij, il calvo, Signor Lukas (l'uomo che caricava l'orologio), signa Grybas, sigra Arvydas, scorbutica e figlie, Janina e la sua bambola Liale: vi conosco, vi vedo, vi sento, vi rispondo, con gli occhi, le orecchie, il cuore, le lacrime. Vi voglio tanto bene, in modo atavico e con tutta me stessa. Vi sento madre, sorella, fratello, amica, nemico, odioso conoscente...e vi amo tutti.
La storia narrata è quella della famiglia Vilkas: Elena, Lina, Jonas e tanti altri esseri umani che in un giorno qualsiasi si ritrovano ad essere bestie, ma nell'animo veri partigiani della solidarietà umana. Un racconto straziante e bellissimo: è possibile.
14 giugno 1941: "Mi portarono via in camicia da notte". "Jonas corse nella mia stanza. Si era vestito per andare a scuola, con la divisa e il cravattino, e teneva in mano la cartella. I capelli biondi erano accuratamente pettinati con la riga da parte. Sono pronto mamma, disse con la voce che tremava."
"Uljuska si alzò dal suo pagliericcio e latrò qualcosa alla mamma.
Smettila di gridare. Ce ne andiamo le dissi.
Lei cominciò a dare alla mamma patate, barbabietole e altro cibo che aveva messo da parte. ... Non potevo crederci. Perchè ci stava regalando quelle provviste?"
"La sigra Rimas si inginocchiò di fianco a noi. Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla, iniziò a recitare.
Mamma, gridò Jonas.
Le lacrime mi rigarono le guancie.
Aveva uno spirito bellissimo, disse l'uomo che caricava l'orologio.
Janina mi accarezzò i capelli.
La sigra Rimas continuò: Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perchè tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei amici.
Ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca.
Si, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni.
Amen."
Il calvo aveva lo sguardo fisso nel vuoto e, per una volta, non disse nulla.
...Io e Jonas camminavamo davanti, la signora Rimas e l'uomo che caricava l'orologio al centro, e il calvo chiudeva il corteo. Janina si trascinava di fianco a me. Persone che non conoscevo si unirono a noi....Kretzskij stava parlando con le guardie sotto il portico. Ci vide e smise di parlare."
Non ho parole per dire....leggetelo. Raramente un racconto vi arricchirà di conoscenza e amore.
Davai! significa sbrigarsi, sempre sbrigarsi.
Krasivaja significa bella, ma con forza. Unica.
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quando si dice... essenzialità!
Sono un po' basita...incerta...sicuramente rispecchia il Lucarelli che vediamo in tv, asciutto, essenziale, senza fronzoli nè inutili giri di parole. Insomma breve, conciso e preciso.
Ciò che più mi ha colpito, è stata la capacità di dare "occhi" al protagonista non vedente; attraverso la sua cecità riusciamo a vedere e capire tutto ciò che accade. Vediamo e sentiamo ciò che lui vede e sente. Interessante, ma non abbastanza da voler correre a casa con l'unico desiderio di riprendere in mano il racconto. E invece il libro per me deve creare dipendenza, fisica e mentale.
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"il treno è una buona idea."
Pochi romanzi riescono così bene ad evocare tanti diversi sentimenti; pochi riescono davvero a creare quell'empatia con i protagonisti a un punto tale che alla fine vuoi capire, ricostruire gli accadimenti a prima vista così ingarbugliati e complessi da farti dire...ma allora..? quindi..? ma non ho capito io, oppure...E quell'oppure ti opprime, ti fa rabbia e senti tutto il peso della disperazione e dell'incolmabile solitudine. Perchè è proprio lei la protagonista di questa narrazione. La ritrovi in ogni passo.. "Rientrando, gettiamo nell'erba alta che costeggia la strada le mele, i biscotti, il cioccolato e anche le monete. La carezza sui capelli è impossibile gettarla."
E alla fine del racconto, "il treno è una buona idea" mi aiuta; non dovrebbe essere così invece lo è, perchè vuoi liberarti da quella disperazione che senti. Perchè giunti alla fine è tutto chiaro, tutto lineare, logico, in fondo l'unica verità possibile. E anche io penso senz'altro che, per fortuna, "Il treno è una buona idea."
...."Il bambino dice: Non crescerò, lo sai bene. L'ha detto il dottore.
Hai capito male....Crescerai. Meno rapidamente degli altri bambini, ma crescerai.
Il bambino chiede: Perchè meno rapidamente?
Perchè ognuno è diverso, Tu sarai meno alto degli altri, ma più intelligente. L'altezza non è importante, conta solo l'intelligenza."
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McEwan non si smentisce mai
McEwan è sempre una sicurezza; sei sicuro che quello che ti accingi a leggere è certamnete un libro ben scritto e solo questo giustifica pienamente l'acquisto e la lettura. A ciò aggiungi pure che ogni romanzo è sempre assolutamente diverso dall'altro, ogni storia assolutamente originale.
Solar è un romanzo che mi è piaciuto un pochino meno, è meno "profondo", ma molto molto divertente! nonostante tutto non puoi non voler bene al protagonista così assurdamente "assurdo"; e tutto ciò che accade se non fosse McEwan a raccontarlo in modo così credibile..non potrebbe essere raccontato.
E il finale...in ogni caso non ti delude mai.
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viscido è l'aggettivo che mi viene in mente
Io l'ho trovato assolutamente viscido e fastidioso. Sarò considerata un'intrusa rispetto alle entusiastiche recensioni fin qui lette, ma devo dire di più: il più brutto libro che ricordo aver letto, l'ho finito perchè avevo la curiosità di vedere fin dove questa assurda storia voleva spingersi. Non ho trovato nulla di costruttivo così come letto in altre rece; se il protagonista fosse distrutto nell'animo perchè ama, desidera, ma condannato a vivere nell'oscurità allora forse...ma lui non desidera nulla di tutto ciò, non conosce neanche l'esistenza al mondo di alcun sentimento o sensazione che non sia quella di costruirsi l'odore più fantastico possibile, ma solo per se, è solo fine a se stesso. E poi ogni capitolo assolutamente identico al precedente, tutto ricomncia e anche il racconto non cambia per pagine e pagine interminabili.
E il finale....ma che....si penso proprio a quell'aggettivo!!
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se ti piace McEwan, questo romanzo fa per te
Certamente un romanzo "difficile" da leggere, lo devi voler leggere, perchè non è di quei romanzi che non vedi l'ora di ripendere in mano, in una parola non è "appassionante". E' un libro difficile da definire; ti rende subito partecipe ai fatti narrati; che sono difficili da digerire, vorresti che le cose andassero diversamente e covi dentro una forte rabbia per la piega che l'autore vuole dargli.
Ma come sempre ciò che più colpisce leggendo McEwan è la capacità di raccontare in modo così coinvolgente storie che se non così ben narrate potrebbero invece sembrare già lette e rilette. Che non hanno nulla di più da dire. Forse non è il racconto in sè in questo libro a meritarsi una convinta approvazione, quanto il saper raccontarla e in modo così poetico.
E alla fine non te lo aspetti, ma il finale...riesce a sorprenderti (ma come è possibile??!!)e...non posso dirlo!
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una puntura nell'anima
Un lungo viaggio compiuto con Gemma, Pietro, Diego, Gojko,Aska...talmente ben narrato che entri in ciascuno dei loro cuori e dei loro pensieri, soffri e gioisci con loro, concordi ora con l'uno ora con l'altro...perchè riesci ogni volta a sentirti ciscuno di loro, quell'emozione la vivi anche tu che leggi. E realmente piangi con loro e per loro.
Non solo il racconto in sè, ma soprattutto la capacità di narrare in modo così struggentemente vicino e vero ogni singola situazione rende questo romanzo davvero "reale". E poichè la realtà non è sempre piacevole, la scelta se leggerlo o meno va fatta prima di iniziare, perchè poi forse vorresti smettere perchè senti un nodo in gola, un dolore che ti stringe il cuore, o una grande gioia perchè chi ti aiuta può nascondersi anche in una sconosciuta stazione di servizio...
Un perfetto connubio di "poesia del racconto" e accadimenti; e non sempre queste cose riescono a camminare insieme.
Insomma...davvero bellissimo.
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un romanzo semplicemente meraviglioso
Che dire che non sia già stato detto nelle altre recensioni....in fondo è proprio tutto vero anche per me.
Primo libro in assoluto letto, e poichè non mi è bastato l'ho letto nuovamente e ancora riletto. Esistono romanzi nella vita di ciascuno che segnano il tuo cammino o quello che vorresti il tuo cammino diventasse. "Piccole donne" per me è tutto questo ed altro ancora; e non riesco ad esprimerlo. Ancora oggi a distanza di tanti anni ricordo perfettamente le sensazioni e le forti emozioni, la stanza con il pianoforte, la famiglia riunita in cucina, la soffitta...il viso di tutta la famiglia quando jo torna con i capelli corti...
E' davvero magnifico, non riesco a dire quanto sia ben scritto, trascinante; è un dovere scolastico leggerlo. E' come ascoltare "Stairway to Heaven" dei Led Zeppelin o "Angie" dei The Rolling Stones o... insomma quelle poesie che ti entrano nel cuore e non ne escono mai più. Non pensare che ormai sia passata l'età per leggerlo, anzi ritieniti fortunato di poterlo ancora scoprire.
Ti fa compagnia per sempre.
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un passo indietro nel tempo
E' il primo romanzo che leggo di questo autore e davvero non sapevo cosa aspettarmi.
Mi ha sorpreso che il libro sia stato scritto solo nel 2003, perchè sembra scritto mentre i fatti accadono, non sembrano semplicemente raccontati; insomma non sarei rimasta meravigliata se il libro fosse stato scritto e pubblicato una cinquantina di anni fa, all'epoca dei fatti narrati.Se voleva portarti davvero a quell'epoca per me è riuscito nell'intento.
In ogni libro c'è sempre qualcosa che mi commuove o che mi rende felice di averlo letto; in questo sono queste brevi righe che per me dicono tutto e mi fanno tristemente sorridere:
"La seppellii alla periferia della città, nello stesso cimitero in cui riposano i miei, proprio nel cimitero in cui, fino a trent'anni prima, solo i bianchi potevano essere sepolti. E le feci mettere una pietra tombale grande come quella dei miei genitori. Dio la benedica".
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Scarpetta/ Brennan: 10 a 1
Lo boccio perchè avendo letto Patricia Cornwell il paragone è impossibile da non fare e saltano agli occhi le differenze enormissime di stile, linguaggio, descrizione, paesaggi, personaggi...qui si trascende forzatamente nel macabro e anche se le vicende raccontate sono ugulamente forti e spesso raccapriccianti in Reichs i racconti mi hanno spesso infastidito; ciò non succede invece con l'altra scrittrice. Insomma una è maestra, l'altra è appena allieva. Agli amanti del genere dico...leggete Cornwell e poi mi direte...
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