Opinione scritta da pirata miope

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pirata miope Opinione inserita da pirata miope    22 Gennaio, 2012
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BIOGRAFIE IMMAGINARIE

Dal rimescolamento dei generi operato dalla cultura postomoderna nasce la cosiddetta biografia immaginaria di cui l’opera dello scrittore norvegese Larsson è un esemplare perfetto: il protagonista non è mai esistito ma è un personaggio creato dalla fantasia di Stevenson che ne “L’isola del tesoro” ne ha fatto una delle tante suggestive incarnazioni del male che popolano l’immaginario collettivo di tutti i tempi.
Il male nel romanzo di Stevenson è una visione da incubo, apparsa nelle notti di tempesta in sogno al giovanissimo eroe adolescente della storia, destinata a scomparire all’improvviso nel nulla. Un’apparizione al limite dell’onirico alimentata dal mito eterno del pirata, in cui la menomazione fisica denuncia la ferocia: Larsson però gli ha dato un corpo, la complessità e le contraddizione di un carattere, un linguaggio e una dimensione storica lasciandone però intatto l’alone leggendario. Se le favole sono frutto sempre di uno sfondo storico, la biografia di Long John Silver deve necessariamente collimare con il saggio: fedele a tale convinzione lo scrittore ricostruisce con precisione quasi maniacale la società inglese del 700’ con particolare attenzione alle condizioni della marineria, connotata da un brutale e redditizio commercio di schiavi. E’ un universo spietato, di individui “senz’anima”, dove il male e il bene non abitano da nessuna parte: l’abbrutimento ha mille volti e la sola ancora di salvezza è la dignità di una scelta, qualunque essa sia, e di una coscienza. Da qui la rivelazione in Silver della scrittura come strumento di analisi e di verità su se stessi e sulla realtà: i libri si scrivono e hanno senso solo se riescono a farti sentire il fetore degli escrementi nelle stive della navi negriere o l’odore della pece che impregna i moli. Lo scrittore deve fare da filtro all'istinto vitale, alla disperazione e alla paura della morte, ed hanno ovviamente un valore simbolico i colloqui fra Silver narratore e un Daniel Defoe testimone/storico in incognito in una locanda nei pressi del patibolo. Sarebbe riduttivo inserire “La lunga vita del pirata Long John Silver” nel lungo catalogo di romanzi storici che affolla le nostre librerie: è piuttosto la cronaca di un’esperienza tragica dalla quale “il sapere di essere vivi” è l’unica catarsi concessa a tutti, criminali ed onesti, eroi ed antieroi di tutte le epoche.

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Percorsi culturali per cui può essere utilizzato: la figura del criminale nell’immaginario collettivo- il romanzo storico-la pirateria- la coscienza come connotato dell’eroe e dell’antieroe tragico.
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pirata miope Opinione inserita da pirata miope    09 Gennaio, 2012
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SALUTE O MALATTIA?

La verità dei libri non coincide mai con quella della vita? E’ la paradossale premessa del romanzo di Diane Setterfield: Vida Winter, gloria della letteratura contemporanea britannica, affida a Margaret Lea, proprietaria con il padre di una libreria antiquaria, l’incarico di scrivere la sua vera biografia e di sgombrare il campo dalle tante menzogne sul suo conto, fatte circolare ad arte da lei personalmente.. Eppure la cosiddetta verità scaturita dalla voce della anziana scrittrice ha i connotati classici di un romanzo: si racconta di vecchie dimore aristocratiche sperdute nella brughiera, di persone che a cominciare dall’aspetto non hanno nulla di comune, anzi paiono uscite dalle pagine delle sorelle Brontë. Pertanto ne “La tredicisema storia” il lettore si trova immerso in una storia per cosi dire tredicesima dopo altre, ovvero nata dall’intreccio di molte storie romanzesche di cui si recepisce chiaramente l’eco, da “Cime tempestose” a “Jane Eyre” a “Cenerentola”. A tenere insieme il filo della tortuosa vicenda sono la passione fanatica per la lettura di Margaret e della scrittura di Wida: le due coprotagoniste hanno personalità del tutto speculare, la vocazione dell’una non esisterebbe senza la devozione dell’altra. Entrambe sono state irreparabilmente segnate da una lacerazione drammatica: frutto di un parto gemellare, la morte improvvisa le ha divise dalla loro metà. Vivono per questo una condizione di privilegiata emarginazione: non hanno amori, amicizie e neppure interessi, patologicamente consacrate alle loro religione.. La loro stessa esistenza è la brutta copia dei libri prediletti: chissà se le cose raccontate da Vida e trascritte nel taccuino da Lea si sono svolte davvero così o sono una trasfigurazione di eventi insignificanti rimossi? L’attività intellettuale nell’una e nell’altra è una tirannia, capace di escludere ogni altra esperienza e ha radici nei traumi dell’infanzia: si tratta di un processo di compensazione, un surrogato della vita in un “altrove” immaginato nel quale ci si può nello stesso tempo occultare e riconoscere. E’ in questo rapporto ambiguo arte/vita è rintracciabile una chiave di lettura assai meno immediata per un testo che ha l’apparenza di una dozzinale storia gotica di fantasmi orchestrata fra apparizioni misteriose, riconoscimenti tardivi, figli ripudiati, incesti, follia e morti apparenti. La Setterfield, nel rimettere a posto alla fine i tasselli del suo arzigogolato puzzle parrebbe convinta della forza catartica ed ordinatrice della letteratura, ma un lieve malessere smorza fin dall’inizio il godimento in chi legge ed è la contraddizione sempre sottesa e mai risolta: la letteratura è salute o malattia?

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i romanzi delle sorelle Brontë e. Il libro può essere felicemente inserito in un percorso sul rapporto arte vita o sul rapporto malattia/ letteratura.
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pirata miope Opinione inserita da pirata miope    08 Gennaio, 2012
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IN PIENO '800.

"La cattedrale del mare" è uno di quei romanzi che rifiuta di gettere lo scompiglio nell'universo netto che delinea: siamo nella Barcellona del XIV secolo dove le differenze fra il bene e il male sono facilmento individuabili. I nobili commettono soprusi, i poveri li subiscono, i re sullo sfondo determinano il destino dei popoli, come guerre e carestie. La storia è riconducibile allo schema classico della parabola ascendente dell'eroe che riesce con una combinazione di intelligenza, onestà e buona sorte a riscattarsi da un'infanzia di umiliazioni e violenze: simile ai giovani vittima di un incantesimo della fiabe egli si trova immerso in un città che in parte gli è ostile e in parte lo aiuta. La cattedrale sul mare è il simbolo di una protezione quasi divina che fin da piccolo gli indichierà la giusta strada e non gli permetterà di deviare. La facilità del racconto, dotato della semplice virtù della scorrevolezza, impedisce a Falcones di cimentarsi con il saggio storico nella ricostruzione della Barcellona del XIV secolo: la velocità dell'azione, le impennate dell'intreccio impediscono l'analisi. I personaggi stessi, dai maggiori alle semplici comparse, nell'assolvere la loro funzione di motore della vicenda, sarebbero facilmente descrivibili con un epiteto: essi sono chiamati costantemente a partecipare attivamante e rapidamente alla trama e lo fanno in base a passioni elmentari, quali amore, desiderio di vendetta, odio. Con "Cattedrale del mare" siamo in pieno '800: molto feuletton, come se Proust e Kafka fossero ancora in là da venire. Non è comunque detto che questo sia un male.

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Ken Follet "I pilastri della terra". Il libro può essere inserito nel segunete percorso: rivisitazione dei generi nel post moderno: la rinascita del fuelleton
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