Opinione scritta da silvia71
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Un volto per Romolo
Due neonati strappati dalle mani crudeli di uno zio tiranno che vuole ucciderli così come fece con la bellissima madre.
Sono Romolo e Remo, adottati da una famiglia di pastori e cresciuti con amore e dignità.
Sono due gocce d'acqua fisicamente, ma agli antipodi caratterialmente, tanto che la vita li porterà a percorrere strade diverse, tanta aggressività e irruenza per Remo, razionalità e ponderatezza per Romolo.
Le terre laziali sono disseminate di piccoli regni in perenne lotta; tanta violenza e sopraffazione, re-tiranni e schiavi-pastori, villaggi e tuguri malsani, predoni e morte.
In questo sfondo così fosco e cruento, un giovane uomo si distingue per valore, intelligenza e lungimiranza, tanto da competere con la vecchia guardia dei re del territorio e divenire il fondatore di una nuova urbe il cui nome sarà Roma.
La vita e le imprese di Romolo sono il primo appuntamento della collana “Historica” edita da Mondadori per ridare voce e lustro ai sette re di Roma.
Finalmente un Romolo dal volto umano, depurato dal mito che lo vuole generato dal un dio assieme al gemello.
Un tentativo pregevole di fornire sembianze ed un pensiero al fondatore di Roma, seguendolo dalle origini alla massima realizzazione come guerriero e capo popolo.
Lungi dal voler assumere le vesti del romanzo storico didascalico e certificato, questo scritto si colloca nel segmento della grande divulgazione, prestandosi alla lettura da parte di un vasta platea, catturando l'attenzione di lettori desiderosi di avvicinarsi ai mitici sette re in maniera snella e piacevole.
Il narrato è improntato in prevalenza sui dialoghi tra i personaggi, più rapide e concise le parti descrittive, per un risultato discreto.
Un lavoro che utilizza come fondamenta la conoscenza storica, integrandone i gap con una fantasia asservita alla verosimiglianza dei tempi e dei costumi.
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La determinazione di Jane
Una brughiera selvaggia, desolata e coperta da fitte nebbie è lo sfondo principe destinato ad accogliere la voce narrante dell'esile ma tenace Jane Eyre.
Un destino segnato quello della protagonista, rimasta orfana in tenerissima età, conosce presto umiliazioni e vessazioni da parte dei parenti, da cui non riceve un briciolo di affetto ma viene vissuta solamente come un peso di cui liberarsi.
Jane ha un'indole di ferro, non si piega alla fame, alla miseria e alla soverchieria di tutti gli animi crudeli che incontra in quasi vent'anni di vita.
Un'anima ostinata con un bisogno spasmodico di cibarsi di amore prima che di pane.
Una bella storia narrata in prima persona dalla voce delicata di Jane, un racconto che lega la protagonista ed il lettore fino all'ultimo rigo, che appassiona e commuove, che irrita e fa gioire.
Un romanzo dal sapore antico per la rappresentazione della società british ottocentesca, per le dettagliate e godibili descrizioni delle dimore dell'epoca, per il realismo visivo che tutto pervade e infine per le riflessioni sulla vita e sui sentimenti che ci trasportano in una dimensione lontana nel tempo.
Personaggi intensi, percorsi da disperazione e speranza, in lotta col destino, chiamati a scegliere la strada da percorrere, molto spesso soli, senza il conforto della famiglia e degli affetti.
Una storia datata, cristallizzata come una vecchia pellicola in bianco e nero, che è piacevole visionare per evadere un po' da questa nostra epoca moderna, dove tutto è rapido e scontato.
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Innamorarsi di una palma
Vita dura quella del botanico.
Attraversare il globo terrestre alla ricerca di nuove specie, per approfondire la conoscenza del mondo vegetale. Un mondo immenso e misterioso di cui ad oggi se ne conosce una piccola parte a dispetto di quanto possa pensare un profano.
Responsabile dell'Erbario di Parigi, Marc Jeanson è botanico per passione come riesce a raccontare in questo godibile memoriale. Ascoltarlo ripercorrere tutte le fasi della sua crescita professionale, dall'illuminazione ricevuta da un palma africana alle numerose spedizioni di ricerca e studio, è davvero affascinante.
Un'attività che non può prescindere da uno spirito vagabondo, da curiosità e dalla grande capacità di adattamento per poter affrontare viaggi scomodi e spesso pericolosi.
I luoghi più inaccessibili della terra, sono quelli che conservano ancora tanti misteri da svelare e che gli uomini di scienza come Marc bramano di poter varcare.
Dopo la scoperta di una nuova specie, si passa alla fase della catalogazione; un'attività per addetti ai lavori di cui poco si conosce, le cui tecniche conservative adottate nei secoli scorsi sono state nettamente implementate e arricchite dalla scienza moderna.
Il breve saggio alterna capitoli dedicati alla vita del francese ad altri che ripercorrono in maniera sommaria gli esordi della figura del botanista, riproponendo i volti dei primi uomini che si avventurarono nei territori più lontani e inospitali del pianeta; a posteriori furono definiti botanici, spesso si trattava di avventurieri, missionari, navigatori e mercanti che durante i loro soggiorni raccoglievano piante, fiori e frutti sconosciuti all'Occidente. Imprese rischiose dove la prima vittoria consisteva nel salvare la pelle, schivando febbri tropicali, insetti velenosi, attacchi di indigeni e naufragi.
Una lettura agevole e stuzzicante che non ambisce ad assurgere a saggio scientifico, ma vuole solo dare la voce ad un uomo che è riuscito a fare della sua passione una professione.
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Dimmi dove abiti
Talvolta a proposito di eventi accaduti all'interno di una abitazione, si suol dire “.. se quei muri potessero parlare..”.
La case sono un elemento importante per l'essere umano, sono una pietra miliare, sono memoria, sono un pezzo di dna.
Quanti episodi della vita viene spontaneo associare ad un ambiente della casa, in cui si è pianto si è riso, si sono fatti progetti e prese decisioni vitali, in cui si amato o detestato qualcuno, in cui si è costruito o distrutto.
Partendo da questo incontrovertibile legame tra abitazione e uomo, Bajani costruisce un'architettura narrativa sui generis, ripercorrendo le tappe salienti dell'esistenza di un signore qualunque, a cui non serve neppure associare un nome di battesimo.
Il protagonista è il frutto di tutti gli eventi accaduti in ogni ambiente domestico vissuto; la nascita, l'adolescenza in una famiglia tormentata, la scoperta dell'amore e della sessualità, la vita adulta, tutto scorre ma resta associato ad una cucina, ad un tavolo, ad un letto, ad un giardino.
Contenuto narrativo che mescola realismo a sprazzi visionari, strutturato con capitoli brevissimi che alternano decine di case senza seguire il filo temporale ma viaggiando avanti e indietro nel tempo, in parallelo agli ultimi quarant'anni di storia italiana che viene catapultata all'interno delle mura domestiche dal tubo catodico del televisore.
Un romanzo dall'impatto destabilizzante, occorrono un po' di pagine affinchè il lettore possa districarsi nel labirinto immobiliare e abbandonarsi ad un racconto fatto di immagini.
Interessante prova di scrittura che tenta di rompere gli schemi classici per raccontare un uomo, una famiglia e un paese.
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Una famiglia
Da un piccolo barchino per commerciare spezie lungo le coste calabresi ad un impero con investimenti che spaziano dalle compravendite di merci alle tonnare, dalle produzioni vinicole alle flotte di navi per gestire i trasporti.
Un colosso economico per il secolo XIX, costruito sul suolo siciliano con la ratio del sacrificio e del sudore prima, con il fuoco dell'orgoglio e dell'arrivismo in seguito.
Una scalata sorprendente quella della famiglia Florio, partita in sordina e con titubanza, osteggiata e derisa dai possidenti palermitani, una fortuna raggiunta grazie all'ostinazione dei capostipiti, uomini dal carattere duro e inflessibile.
Una ricostruzione sicuramente romanzata di una grande saga familiare, un percorso di tre generazioni che copre oltre sessant'anni.
La contestualizzazione storica è buona, numerosi i rimandi alle vicissitudini politiche dell'epoca che influirono sullo sviluppo economico e sociale dell'isola; l'inserimento di un sintetico proemio storico-politico ad ogni capitolo, si rivela un ottimo strumento nelle mani del lettore.
La narrazione della Auci è rigogliosa e a tratti un po' barocca per la capacità di insistere sui particolari e arricchire le pagine con profumi, colori, arredi, abiti, manufatti; un'esplosione di dettagli che trasportano il lettore in quei luoghi e in quei palazzi, respirando profumo di zagare e gelsomini, senza scordare il lezzo nauseabondo della lavorazione dei tonni e l'aria malsana delle abitazioni più umili.
Convincente la rappresentazione sociale, l'atavica acredine tra aristocrazia e borghesia, due pianeti separati da un muro duro da abbattere. Tema cardine su cui ruota l'intera storia della famiglia e a cui l'autrice conferisce tutta l'importanza dovuta.
Se in alcuni momenti la penna avesse indugiato meno su dettagli rosa, il romanzo avrebbe assunto una veste più sobria. I protagonisti sono talmente forti e ben caratterizzati che non necessitano di calamite passionali per catturare l'attenzione del lettore.
Nel complesso una lettura trainante e piacevole.
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Parlami della guerra soldato
Adagiato sulla sedia a dondolo all'ombra del suo portico, il vecchio veterano è pronto ad affrontare un viaggio nel passato stimolato da una giovane ricercatrice per ripercorrere alcuni degli episodi più cruenti e controversi della sanguinosa guerra civile americana.
Mentre le mani tremanti sorreggono un bicchiere di limonata per smorzare la calura degli stati del sud, la memoria di Dick pur vacillando sul presente, comincia a ricordare con lucidità le decine di compagni d'armi, le avanzate nei boschi, i guadi nelle paludi melmose, la fame, la malattie e le ferite, insomma tutti i volti di un conflitto che ha portato solo morte e disperazione nella totalità delle case.
I ricordi del veterano sono un fiume in piena, pronto ad abbandonare gli argini e a travolgere colei che ascolta alla ricerca di uno scoop giornalistico ed in secondo luogo il lettore.
Si tratta di un racconto fatto di immagini forti, per nulla edulcorate dalle nebbie del tempo.
Le violenze legate al razzismo e alla resa in schiavitù di esseri umani si legano a filo doppio allo scempio della guerra.
Nefandezze, soprusi e bestialità predominano su umanità, fratellanza e giustizia.
A cavallo tra verità storica e romanzo, lo scritto di Barbero è strutturato come un minuzioso flusso di coscienza, per contenuto e veste stilistica. Discorso diretto e indiretto si fondono in un unicum inestricabile che ingoia il lettore costringendolo ad una maratona di lettura dai ritmi serrati.
Una folla di nomi e visi equiparabile ad un intero reggimento viene riesumata dalla memoria del reduce e prende vita attraverso la penna di Barbero.
Uno scritto dal carattere stilistico marcato, frutto di una scelta dell'autore ponderata e voluta; intenso senza dubbio ma a tratti straniante.
Per chi saprà seguire la voce del vecchio combattente fino all'epilogo, le sembianze dell'odio prenderanno forma davanti agli occhi.
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Ricominciare dai capelli
Tre sono le parti che compongono una treccia.
Tre sono le donne protagoniste, accomunate da una ciocca di capelli neri e vellutati.
Tre storie di vita al femminile che si snodano in modalità parallela in altrettanti continenti; inconsapevoli l'una dell'altra sarà il destino a collegarle utilizzando una parte del corpo destinata a conservarsi nel tempo e a mutare sembianze, ossia i capelli.
Le condizioni di vita in un sobborgo agricolo indiano sono aberranti tra malnutrizione, malattie e vessazioni, l'esistenza è appesa ad un filo eppure ci vuole coraggio per reciderlo e abbandonarsi nelle braccia buie dell'ignoto.
In concomitanza, in Sicilia una giovane deve crescere in fretta per prendere il timone della famiglia, operando scelte audaci e contro tendenza.
In Canada un'avvocatessa arrivista è schiava della propria professione, una dedizione totalizzante che assorbe e oscura i valori familiari.
Vite che necessitano una svolta perchè il tempo delle attese è terminato.
Un impianto che non brilla per originalità proponendo una narrazione tripartita con capitoli alternati dedicati a ciascun volto, eppure occorre riconoscere a questo esordio letterario una nota gradevole e incalzante alla scoperta del trait d'union delle storie.
Una penna sintetica che tratteggia con tocchi rapidi dolori, pensieri, pentimenti e speranze, facendo assaggiare al lettore una serie di bocconi amari in piena condivisione con le protagoniste.
Una scrittura un po' acerba ma già empatica, in grado di fotografare le diverse sfumature dell'anima collegate a condizioni esistenziali differenti.
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Paradisi contaminati
Renée Hamon ( 1897-1943) è una donna bretone fuori dagli schemi per l'epoca in cui vive.
La voglia di esplorare il mondo le brucia dentro e la spinge ad imprese estremamente faticose e pericolose.
Un coraggio ed un'abnegazione ai limiti del comprensibile, per noi, comodi moderni viaggiatori, la spingono ad imbarcarsi verso le acque del sud Pacifico.
Ad attenderla isole e atolli collocati nell'apoteosi della natura, tra acque cristalline, baie incontaminate, barriere di coralli, cocchi lussureggianti.
Ma l'occhio di Renée non si fa distrarre dal rigoglio della vegetazione e dalla natura che assume le sembianze paradisiache; lo sguardo va oltre, l'attenzione è captata dai danni arrecati dalla colonizzazione alle popolazioni indigene e ai luoghi.
“Verso le isole luminose” non vuole essere il racconto di un viaggio esotico all'insegna dell'avventura, bensì un reportage di denuncia sui soprusi perpetrati dai paesi invasori, approdati su queste terre alla ricerca di profitto per ingrassare l'economia occidentale.
Vittime dello sfruttamento sono loro, i nativi, decimati dalle malattie, schiavizzati, affamati, sopraffatti dalla furia egoistica “dell'uomo bianco”.
Il quadro dipinto dalla viaggiatrice francese è impietoso, denso di realismo, talvolta naif talvolta noir; la penna è utilizzata come macchina fotografica per immortalare i visi sofferenti di esseri umani, violentati e privati di costumi atavici, costretti a rinnegare le proprie radici culturali, derubati delle poche materie prime che le isole forniscono loro, lasciati morire di filariosi, lebbra e tubercolosi nonostante la possibilità di fornire le cure.
Esigue le parti descrittive, la quasi totalità del flusso narrativo è costituito dalle singole voci di uomini e donne che l'autrice fa confluire in un coro univoco che grida la voglia di riscatto e libertà.
Tanta sofferenza è stata documentata in questo libello, facendo piombare il lettore di oggi in un contesto lontano da tramonti di fuoco a suggere acqua di cocco inebriato dal profumo del tiarè.
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Il pensiero di Zenone
Zenone è un uomo del sedicesimo secolo, marchiato come figlio illegittimo e abbandonato al proprio destino, avviato alla vita ecclesiastica e agli studi teologici.
Ma i confini della città natale di Bruges sono troppo angusti; come pellegrino audace è destinato ad attraversare l'intera Europa esercitando la professione medica di corte in corte grazie ai rudimenti acquisiti.
Dietro la lecita facciata dell'esercizio medico si cela in lui una fame di conoscenza che spazia all'alchimia e alla filosofia.
Un secolo attraversato da forti tensioni religiose, da contrasti e da nuove ideologie; ogni pensiero espresso rischia di essere tacciato come eresia.
Su questo sfondo storico si muove il personaggio immaginario creato dalla Yourcenar, incrociando sul suo cammino una galleria umana in cui si mescolano volti reali e di fantasia, in una ballata vorticosa dai mille fili narrativi che si intrecciano e si sovrappongono per dare forma ad una trama storica ma dai connotati filosofici.
Romanzo dalla struttura complessa che si dipana e prende corpo più che con le immagini con le riflessioni filosofiche e teologiche.
La sostanza descrittiva non è l'elemento portante, poche le immagini di città, mercati, laboratori e taverne; il flusso narrativo segue i ragionamenti del protagonista e di tutte le altre comparse per sviscerare il fermento e le contraddizioni del contesto storico inquadrato.
La tradizione che si oppone al progresso.
La staticità del pensiero contro il dinamismo.
Un ribollire di temi e un pezzo di storia dell'evoluzione del pensiero, elaborati in modo stilisticamente originale e fuori dagli schemi più classici del romanzo storico.
Cervellotico al primo impatto, necessita di una lettura brachicardica per coglierne lo spirito e poter entrare in sintonia con la penna dell'autrice.
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Uno scarafaggio al potere
Una brigata di repellenti scarafaggi abbandona le tenebre umide e maleodoranti dei bassifondi londinesi per insediarsi al governo sostituendosi agli umani politici di professione.
Cosa ne sarebbe della nazione se una blatta vestisse i panni di un capo di governo, portandosi seco i principi che sono consoni della propria natura?
Partendo dalla risposta a questo bizzarro quesito, Ian McEwan imbastisce una novella sagace e pungente, scagliandosi non tanto velatamente contro la brexit.
Una manciata di pagine per strutturare un'invettiva contro una scelta che lo scrittore non condivide, reputandola pericolosa e dannosa per la popolazione.
Una classe politica attuale le cui azioni sono paragonate alla voracità e alle macchinazioni egoistiche di un manipolo di insetti fuori controllo.
Principi avversi e ostativi allo sviluppo economico, sociale e culturale, sono frutto di scelte dittatoriali da parte di esseri senza scrupoli.
Ironia ad una prima impressione, ma nella sostanza un attacco velenoso.
Una lettura rapida e agevole di un testo di cui si avverte la necessità di condivisione da parte dell'autore e la sua preoccupazione per il futuro del paese.
Uno scritto che celebra la libertà di pensiero.
Per gli ammiratori di McEwan è bene affrontare questa lettura sganciandola da valutazioni parallele con la precedente produzione letteraria, perchè ne inficerebbe il giudizio e non sarebbe corretto visto che siamo al cospetto di un genere differente.
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Destinazione Cina
Correva l'anno 1271 quando a soli sedici anni Marco parte da Venezia al seguito del padre e dello zio per intraprendere il più leggendario dei viaggi, arrivare nell'odierna Cina percorrendo mezzo globo.
Un viaggio della durata di ventiquattro anni, un pezzo di vita trascorsa ad attraversare zone insalubri, venendo a contatto con popoli per nulla pacifici, schivando la morte ad ogni passo.
Agli eventi più insidiosi come guerre, imboscate, malattie e sofferenze, si contrappone lo stupore per la visione di una natura sconosciuta all'occidente, per i prodotti della terra, per i deserti sconfinati, per le tante culture incrociate nella lunga traversata.
Vito Bianchi è un docente universitario e questo testo su Marco Polo è un saggio scritto da una mano competente e analitica.
La prima parte dell'opera è dedicata ad un approfondimento geopolitico del periodo medievale trattato. Un excursus certosino su popoli e imperi, su conflitti e strategie politiche dell'intero territorio medio-orientale. La lettura di questi passi è impegnativa, forse poteva essere sfrondata un po', ma una volta superata e digerita, se ne apprezza il contenuto. Un focus grazie al quale il lettore può inquadrare il contesto storico e comprendere più a fondo i rischi di cui si sobbarcavano i mercanti di professione.
La seconda parte del testo è scorrevole e intrigante, ricca di dettagli sui paesi attraversati, sugli usi e costumi dei popoli con cui la brigata veneziana venne a contatto; piacevoli dettagli antropologici ed etnografici aprono le porte dell'antico regno mongolo e delle altre etnie asiatiche.
I volti dai lineamenti marcati, il caleidoscopio delle lingue parlate, i profumi delle spezie, i manufatti pregiati, ci trasportano al tempo della mercatura.
Un ottimo strumento di approfondimento, da affrontare con un pizzico di impegno, ma dal contenuto pregevole e documentato.
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Galeotto il caffè
Dal beccuccio della caffettiera d'argento scende un filo di caffè fumante in una tazza bianca.
Questo rito è propedeutico all'inizio di un viaggio a ritroso nel tempo, seduti su uno sgabello di un angusto bar di Tokyo.
La seduta è il veicolo per tornare nel passato e poter rivivere un rapporto interpersonale liberandosi dal peso del rimorso, del rimpianto, del non fatto e del non detto; la temperatura del caffè scandisce il tempo a disposizione, dettando come limite per il ritorno al presente l'ultimo sorso caldo sorbito dalle labbra tremanti dei protagonisti.
Un romanzo breve che racconta quattro storie di dolore legate alla perdita di un affetto importante; storie di destabilizzazione, di mancata accettazione delle scritture del destino.
Una moglie che stenta ad accettare la fragilità del consorte, una storia d'amore che si sbriciola, un legame tra sorelle scoperto in ritardo, un desiderio di maternità combattuto.
E' una narrativa dal tocco rapido e leggero, l'impianto poteva far nascere una variopinta farfalla ma la magia non è avvenuta; le tematiche sono scontate e appena abbozzate, la malinconia ed il dolore dei protagonisti meritavano un approfondimento, l'escamotage della “macchina del tempo” è debole e già sfruttata.
Stilisticamente una lettura che è figlia dell'odierna letteratura nipponica dai tratti essenziali, onirica ed eterea, dall'andamento composto senza picchi emotivi.
Unica tensione sollecitata al pubblico curioso, sta nell'attesa di scoprire l'esito finale del viaggio temporale, fausto o nefasto che sia.
Un testo che non è destinato a lasciare il segno e in cui non si ritrovano le caratteristiche di miglior esordio internazionale dell'anno 2020 come recita la fascetta gialla che ne cinge la copertina.
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La forza e la fragilità
Le strade di due adolescenti sono destinate a convergere in un mondo dove vige la legge della forza e dell'eroismo, dove il corredo di scudi e lance ti accompagna dalla nascita fino al campo di battaglia.
Eroe chi sopravvive, debole chi soccombe.
Uno dei giovani è l'audace e nerboruto Achille, promettente guerriero, bello ed intraprendente ma predestinato ad un futuro nefasto.
L'altro è Patroclo, costretto ad abbandonare la propria terra da giovanissimo, esile e titubante, lontano dai canoni che stigmatizzano un uomo destinato a gesta valorose.
Due giovani prima e due uomini dopo che sembrano rappresentare l'alfa e l'omega della virilità e del coraggio di cui si nutre l'intera mitologia. Eppure da queste due anime nasce una pianta dalle radici profonde, una connessione fisica e spirituale che solo la morte riuscirà a spezzare.
Quella proposta dalla Miller è una rivisitazione del legame tra i due greci, frizzante e emozionale,
piacevole lettura che va colta con leggerezza.
Una prima parte più avvolgente, ricca di dettagli su quelli che presumibilmente erano usi e costumi, scandita da un buon ritmo narrativo, retta da una tensione emotiva che cresce contestualmente al rapporto tra i due protagonisti; da contraltare una seconda parte dedicata al lungo assedio di Troia, il flusso degli eventi rallenta, predominano scene di battaglia come è giusto che sia, senza tuttavia tralasciare il vissuto finale dei due protagonisti.
Narrativa gradevole per ricordare i volti cardine delle gesta omeriche, per fare un tuffo nel mito lasciandosi trasportare dalla fantasia.
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Dignità a cinque donne
In piena epoca vittoriana un assassino mai identificato ha versato il sangue di cinque donne tra i vicoli bui del malfamato quartiere di Whitechapel di Londra, lasciandole a terra orribilmente mutilate.
Il mostro fu denominato Jack lo squartatore.
Correva l'anno 1888, il suolo anglosassone è attraversato dalla novella spinta industriale, alti comignoli sbuffano fumi nauseabondi, la fatica fisica è un marchio indelebile sulla pelle di uomini e donne, tante bocche da sfamare, condizioni igieniche aberranti, tasso di mortalità esplosivo.
In un simile contesto sociale, le donne diventano l'anello più debole, sfiancate dalle gravidanze e dalla malnutrizione, usate come forza lavoro prima dalla famiglia d'origine poi dai consorti, umiliate e spogliate della dignità di donne ed esseri umani.
Il testo proposto dalla Rubenhold è un affresco storico di grande impatto, ricco e documentato, completo e convincente, lontano dalla superficialità di tanti scritti che vogliono assurgere a romanzo storico senza averne le basi.
L'autrice si propone di ricostruire i veri volti delle cinque vittime ufficiali dello squartatore, portando alla luce in maniera minuziosa l'excursus vitae di ciascuna, dai natali al giorno della morte.
Una narrazione travolgente per il denso realismo, un viaggio nel tempo alla ricerca di luoghi, usi e costumi, un viaggio nel mondo femminile del tardo Ottocento per restituire rispetto e compassione a quelle che furono semplicisticamente etichettate come prostitute.
In realtà dietro questi volti ci sono delle storie di degrado, di sfortuna, di dolore, di violenza.
Un lavoro ben riuscito e certosino capace di assemblare tutte le fonti dell'epoca per rendere giustizia a quelle che furono figlie, madri, mogli e sorelle, prima di essere definite donne perdute dalle cronache di allora e restare così cristallizzate fino ai nostri tempi come esili e indifese farfalle sotto un vetro.
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Il valore delle piccole cose
Il caldo umido del monsone avvolge l'intero paese, il gusto dolce della conserva di mango e banana lenisce la mancanza di affetto mentre i profumi e gli afrori del suolo indiano pervadono ogni quartiere.
Una galleria di personaggi variopinti popola le pagine di questo intenso romanzo della scrittrice Arundhati Roy, che mette in scena una storia familiare che si snoda dagli anni sessanta agli anni ottanta del secolo scorso, in una terra dai mille colori, dove i retaggi culturali secolari si incontrano e scontrano con i venti della modernità.
India, antica culla delle caste, cesura netta e invalicabile tra uomini e donne, marchio indelebile che condanna ogni essere umano a vivere recluso nel proprio microcosmo.
Ogni tentativo di evasione alla ricerca di un briciolo di felicità viene punito dall'intransigenza della legge e dall' ottusità umana.
Un romanzo corale che presta la voce agli ultimi della società indiana, alle donne separate, ai figli senza un padre, ai lavoratori ingaggiati per svolgere le attività più usuranti e umilianti.
Un groviglio di storie che mescolano dolore, crudeltà, discriminazione, ma sulle quali soffia la timida brezza dell'amore, del sogno e della speranza.
L'elemento distintivo da altri romanzi che hanno trattato gli stessi temi, sta nello stile di scrittura, originale, visionario e realistico al contempo, pindarico per i salti temporali, carico di immagini, di dettagli minuziosi, di riflessioni genuine e di visioni fantasiose affidate al racconto diretto dei due bambini protagonisti.
Un mondo complesso filtrato attraverso gli occhi dell'innocenza e della gioia di vivere dell'infanzia che osserva con stupore e curiosità gli eventi circostanti che toccano familiari e conoscenti.
Lettura complicata solo all'apparenza, in realtà un testo che regala forti emozioni e coinvolgimento fino all'ultimo rigo.
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Cercando dodo
Isola di Mauritius, terra di avventurieri e di esploratori, di marinai e botanici, di schiavi e colonizzatori.
Regno incontaminato della Natura, foresta endemica che è culla di tutta la storia evolutiva.
Il mondo vegetale e animale si è cristallizzato nel bozzolo originario, mantenendo esemplari, colori, suoni e profumi antichi come il mondo.
Una terra fatata e d'incanto.
Finchè l'equilibrio viene rotto dalla voracità umana in cerca di lucro, di materie prime, di profitti ad ogni costo.
Scorre sangue e distruzione sull'isola, la bellezza della vita lascia il posto allo sfruttamento delle risorse e degli esseri umani.
Le piantagioni di tabacco e di canna da zucchero stravolgono il volto dell'isola paradisiaca rendendola più simile ad un impianto industriale.
Le Clezio è legato a doppio filo a Mauritius, terra natia del padre, suolo di cui si sente parte e che ha percorso in lungo e in largo alla ricerca non solo di radici, ma di storie e volti da raccontare.
L'autore è un cacciatore di storie, è un viaggiatore che esplora l'essenza dell'uomo in qualsiasi angolo del mondo, la sua penna presta la voce agli ultimi, ai diseredati del progresso e della società.
“Alma” è uno splendido viaggio scandito da diversi piani temporali che si intrecciano con le loro storie di uomini e donne dimenticati, sottomessi, vilipesi, calpestati.
Quella narrata è la ciclicità storica, l'arroganza del potere socio-economico sulla fragilità umana, la cecità di fronte alla sofferenza, l'usurpazione a scapito del rispetto e dell'uguaglianza.
La scrittura di Le Clezio è il risultato di una fusione perfettamente calibrata e studiata tra realismo e onirismo. Dall'osservazione dei visi di oggi, riprendono vita gli uomini del passato, testimoni di un vissuto lontano eppure ancora lucido e doloroso.
Una sinfonia riuscita, per mescolare passato e presente con un sottofondo di note melanconiche e struggenti.
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Una passeggiata all'Inferno
Definirlo un testo di sola e semplice parafrasi, non solo è altamente riduttivo ma significherebbe non riconoscerne il valore storico-letterario.
L'opera è concepita per tendere una mano ad ogni tipologia di lettore affinchè la bellezza della cantica possa essere colta in toto, sul piano linguistico e contenutistico.
La parafrasi è ampiamente superata da un meticoloso lavoro di approfondimento storico; di ogni volto che viene citato da Dante durante la discesa nell'Inferno, ne viene raccontata la storia con dovizia di particolari, permettendo una conoscenza profonda.
Insomma non solo una sequela di nomi ma storie che traggono vita dalle cronache medievali oltre che dalla vita politica ed ecclesiastica.
Per chi non fosse mai riuscito ad apprezzare pienamente il testo originale, Sermonti fornisce lo strumento di piena decodifica, aprendo il sipario ad una delle più poderose rappresentazioni lasciateci in eredità dalla penna di un letterato.
Un testo imperdibile per tutti coloro che sui banchi di scuola non hanno avuto a disposizione i tempi ed i mezzi per andare al di là di un sunto fugace, per tutti i lettori che desiderano sviscerare i contenuti esposti nell'Inferno ed inquadrare con più rigore le gesta dei personaggi citati.
E' un vero regalo questa lettura dell'Inferno, confezionato grazie alla competenza saggistica posseduta da Sermonti, impreziosito da una prosa avvolgente e da un eloquio sontuoso ed elegante.
Per quanto negli intenti iniziali vi fosse quello di rendere Dante accessibile a qualsivoglia lettore, a lavori ultimati la classificazione supera di gran lunga il genere divulgativo, per assurgere ad eccellente “racconto-commento” della cantina sotto il profilo critico- letterario e storico.
Indicazioni utili
L'uomo Dante
Dante è il nostro faro perennemente acceso sul Medioevo, è il nostro dna storico letterario, è un uomo che inconsapevolmente è stato cristallizzato in una eterna fama che da secoli ancora rifulge.
Per celebrare i sette secoli dalla scomparsa del fiorentino, l'esimio storico e saggista Alessandro Barbero ne ricostruisce l'intero percorso di vita, dai natali alla dipartita.
Dante adolescente ed il nucleo familiare d'origine dedito a compravendite e prestiti, più o meno leciti. Dante diviso tra impegno politico ed una crescente passione per il componimento letterario.
Dante e l'amore, dal rapimento prodotto su di lui dagli amori platonici alla concretezza della costruzione di una famiglia propria.
Poi Firenze, dilaniata da fazioni e vendette, invasa da odi e venti guerra, città dove la vita economica e politica del tempo pulsa e infiamma.
Le battaglie, le sconfitte e l'inappellabile sentenza di esilio; una sorta di cesura tra vita precedente e successiva, che porta il poeta ad attraversare il suolo italico bussando alla porte delle corti per trovare rifugio e conforto economico.
Numerosi saggisti hanno affrontato l'ardua ricostruzione biografica di Dante, utilizzando le fonti disponibili. In cosa si distingue questo ennesimo saggio? Quesito d'obbligo per qualsivoglia lettore che accarezzi questa copertina mosso da curiosità ma frenato da lecito dubbio.
Partendo da un dato acclarato ossia dalla grandezza stilistica di Barbero, il cui linguaggio raffinato e colto è un vero balsamo per chi legge, non resta che dissertare sulla impostazione impressa a questo saggio. Il lavoro di esegesi delle fonti e di ricerca bibliografica sotteso alla stesura è talmente capillare e onnicomprensivo che il quadro assume una completezza disarmante.
Nell'affondo della lettura emerge quale sia il fine sotteso all'opera ossia evitare di tracciare un unico solco che il lettore sia obbligato a seguire in maniera pedissequa, bensì fornire tutti gli strumenti di conoscenza per indurlo alla maturazione di un proprio pensiero su tanti lati oscuri e dubbi della vita di Dante che molti storici pretendono di colmare con deduzioni personali, spacciandole per verità assolute.
Una vera lettura di approfondimento che brulica di rimandi alle fonti e seppur scandita da una sequenza di capitoli snelli nella mole delle pagine, tuttavia richiede impegno e passione per il genere letterario incarnato.
Un plauso a Barbero per aver prestato il proprio contributo alla ricostruzione del volto di Dante Alighieri con la consapevolezza che le zone d'ombra sono numerose e difficilmente colmabili, ma una ricerca certosina che nulla escluda, permette al pubblico di oggi di poter godere della conoscenza di quest'uomo eterno.
Indicazioni utili
Voragini familiari
Quando un terremoto rade al suolo il castello familiare
Quando la morte di un padre non provoca lacrime
Quando il presente è segnato irrimediabilmente dal passato
Questi i temi cardine su cui è costruito l'impianto del romanzo, una storia familiare che si compone di piccole tessere fino alla manifestazione del mosaico finale, emblema di quanto più nero possa accadere tra le mura domestiche.
La narrazione è fortemente introspettiva, prende le mosse dalla voce di una figlia, l'incompresa, l'irriconoscente, l'anaffettiva. Etichette apposte dalla madre e dalle sorelle, chiuse in una cecità dettata da regole di convenienza sociale ed economica.
Il dramma vissuto da una delle figlie sembra infastidire l'intera famiglia, per nulla pronta a porgere la mano della comprensione e della vicinanza affettiva ma decisa ad allontanare la fonte del problema.
Segreti taciuti, incubi, rimorsi, esami di coscienza mancati, tante lacrime che solcano l'anima per sempre.
Temi dolenti scoperchiati da tante cronache attuali, di grande impatto emozionale per il lettore, avvolto da una cappa asfissiante man mano che si svelano le carte ed il passato affiora dai silenzi.
Il ritmo del narrato è piuttosto lento, buon mezzo per insinuarsi nelle pieghe più profonde del dolore e della rabbia di una figlia che a distanza di decenni deve ancora elaborare quando accaduto all'interno del luogo più sacro, la propria casa; tuttavia il lento cammino dell'introspezione non dovrebbe cadere nella sensazione di ridondanza. A causa di ciò, il romanzo perde di piacevolezza sul finale, per quell'insistere su concetti già espressi dalla protagonista come sassi gettati nello stagno che disegnano sempre gli stessi cerchi.
Con qualche sforbiciata, l'autrice norvegese avrebbe confezionato un romanzo più incisivo e gradevole.
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Ipazia, un volto da ricostruire
Alessandria d'Egitto, quarto secolo dopo Cristo, brulica ancora di filosofi neoplatonici, matematici e astronomi, ultimi baluardi pagani all'avanzata del cristianesimo.
Prende le mosse in maniera prorompente il predominio del culto cristiano, relegando nel buio ogni corrente di pensiero non conforme e in opposizione, scatenando violenze, distruzioni e morti.
I maestosi templi pagani, luoghi votati alla conservazione di testi e all'insegnamento, vengono dati alle fiamme cancellando per sempre un passato detestabile al nuovo sentire.
Tra le vittime mietute dalla cieca ragione dell'intolleranza, una donna divenuta un simbolo: il suo nome è Ipazia. Figlia di un filosofo alessandrino, fin da giovane si nutre di cultura e di scienza, fuggendo le occupazioni tipiche del mondo femminile e sostituendosi all'anziano padre presso le scuole alessandrine.
Una vita spezzata di cui le fonti narrano con efferata violenza forse per dissuadere gli ultimi resilienti pagani.
Per chiunque si accinga a riportare alla luce la vita di Ipazia, la difficoltà è data dalla distruzione di tutte le fonti dirette, come i testi da lei scritti, dovendo pertanto ricorrere a notizie riportate di cui occorre soppesare con cautela il grado di veridicità, sgrossando eventuale patina di enfasi o di invenzione.
Il breve saggio scritto dall'accademica Silvia Ronchey prende vita da un'analisi approfondita di tutto il materiale documentale che ad oggi è giunto a noi; un lavoro complesso e certosino di cui le oltre cento pagine di note esplicative poste a chiusura del piccolo tomo ne sono la prova.
Una lettura di approfondimento piuttosto agevole, il cui fine ultimo non è la pretesa di aver trovato la verità assoluta sulla vita e la fine di Ipazia, ma di fornire al lettore tutti gli strumenti per poter maturare un'idea propria, sfrondando parte della mitizzazione che nei secoli è sorta intorno alla figura di questa eroina.
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biografie
L'erba del vicino è sempre più verde
Una vita del tutto normale quella di Fred, con un lavoro decoroso, una famiglia, l'acquisto di una casa appena concluso. Eppure quest' uomo avverte la mancanza di qualcosa, tanto da far insediare in lui il germe dell'insoddisfazione e dell'invidia profonda verso colui che risulta aver ricevuto un maggior agio dal destino.
Su questo terreno fertile attecchisce rapidamente un'erba velenosa capace di ottenebrare il cuore e la mente del protagonista, pronto a rendersi complice delle azioni più aberranti messe in atto da un “amico” dietro la cui maschera di affabulatore e imprenditore si celano infinite nefandezze.
Un'amicizia di gioventù ritrovata dopo un incontro fortuito diventa una calamita per un animo facilmente deviabile ed una voragine da cui non si potrà riemergere con facilità.
Questo romanzo è un percorso ad ostacoli all'insegna della malvagità umana, tipico frutto della penna di Herman Koch, dove tutto è spinto all'eccesso per raggiungere l'apoteosi della manifestazione del peggior lato oscuro dell'individuo.
Una storia dura, densa di cattiveria e bestialità, blindata all'interno di un costrutto narrativo incalzante che spinge il lettore ad una corsa sfrenata fino all'ultimo rigo, con la speranza che vi sia posto per un minimo di redenzione.
Ennesimo romanzo dell'olandese in cui conferma la sua vena dissacrante e la ricerca di situazioni borderline in cui la rettitudine e la moralità lasciano il passo alle loro antitesi.
Una provocazione audace quella imbastita, destinata a non lasciare indifferente il lettore ma ad avvilupparlo con le spire del male fino alla percezione sulla pelle di un forte sbigottimento.
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Villetta con piscina
UNA NOTTE UN SOGNO
Un sogno entra di prepotenza nella vita di una donna e da quell'istante la vita reale subirà una trasformazione radicale e dilaniante.
Le immagini di sangue e di corruzione delle carni prendono il potere sulle facoltà mentali dell'esile ed eterea coreana, portandola ad un punto di rottura con il coniuge, i familiari e con un mondo circostante di cui non sente di poterne più far parte.
Comincia così un esilio da se stessa e dalla società per la protagonista, un essere schiacciato da sempre sotto il peso del rigore imposto dalla cultura asiatica alla figura femminile, lontana dai venti dell'emancipazione e della libertà nella realizzazione personale.
La fuga dalle carni assurge a simbolo di ribellione a tutto ciò che è imposto in nome di un pensiero, di retaggio culturale o di qualsiasi credo altrui.
Caratteristiche incontrovertibili del romanzo sono l'intensità e la crudezza, spinte ad un punto tale da far deflagrare le pagine in un urlo di dolore che ingabbia il lettore in una morsa letale.
Pur nella sua brevità, lo scritto contiene una sequenza di immagini talmente disturbanti da far trascendere le parole in fotografie, toccando spesso l'eccesso, ma consapevoli che nel costrutto narrativo nulla è lasciato al caso.
Una lettura intrisa di sofferenza e dai contenuti forti in grado di scoprire nervi dolenti di un malessere sociale; un climax nero e macchiato da quel sangue che la protagonista vede sgorgare dalla carne, una flebile voce di speranza nel futuro che il lettore cerca di cogliere almeno nell'epilogo.
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Gli occhi delle vittime
Un urlo segna il giorno della svolta, una lacerazione nella vita di una famiglia.
Ciò che era prima sarà cancellato per sempre.
Addio alla spensieratezza, ai pranzi della tradizione, agli amici, alle risate, al calore vigoroso che ti infonde la tua terra.
Quello narrato è lo strappo dalle proprie radici, vissuto e raccontato dal punto di vista degli adulti e dei bambini grazie alla voce della giovanissima Caterina, colpevole di essere nata in un contesto sociale e familiare in cui si è impiantata l'erba cattiva del sistema malavitoso.
Rosella Postorino racconta al suo lettore la storia di un esilio forzato in cerca di salvezza immediata e successivamente di normalità per un'intera famiglia. Una fuga obbligata per lasciarsi alle spalle venti di tempesta ma con il terrore di dover affrontare un nuovo mondo e di dover costruire nuove fondamenta, portando impresso sulla pelle un marchio indelebile.
Toccante e dirompente il senso di annichilimento da cui sono colti i protagonisti, cariche di emozione le immagini che scorrono tra le pagine, avvolte da un alone funereo e cupo, perchè il sole ha smesso di dare luce a questi volti.
Degno di nota questo romanzo, ben strutturato e dal nervo narrativo delicato, capace di parlare di un tema forte con un linguaggio che trascende le situazioni contingenti ma che vola più in alto, per rappresentare la ricerca del buono e del giusto che alberga nei cuori dei protagonisti..
Un testo che oltre alla voragine causata dalle scelte sbagliate e deviate degli uomini, mostra come sia prorompente lo spirito di sopravvivenza e di rinascita nell'indole di coloro che ne sono vittime.
Empatico e profondo questo viaggio tormentato di un nucleo familiare che diventa il volto sotteso alle cronache che hanno funestato il nostro paese.
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Alla deriva
Leros è un'isola del Dodecaneso, la cui fama rispetto a tante altre località greche non è legata alle attraenti location prese d'assalto da orde di turisti , bensì al fatto di ospitare un celebre istituto psichiatrico, le cui porte durante il golpe dei colonnelli si aprirono anche ai dissidenti del regime.
Leros è un luogo di dolore e aberrazione umana, grigio e tetro come le pareti di quell'istituto, mute testimoni della solitudine e della morte di un numero incalcolabile di persone.
Persone cancellate dalla famiglia prima e dal mondo poi, fantasmi privati di dignità, umiliati e costretti a sopravvivere in una condizione paragonabile ad un girone dantesco.
Simona Vinci ci accompagna all'interno di un mondo di reietti e dimenticati, il mondo del disagio mentale, un pianeta parallelo che viene comodo scansare e allontanare, etichettando ogni volto come irrecuperabile. Invece la penna dell'autrice vuole riportare alla luce volti e storie, scavando nelle polveri dell'oblio per donare dignità e ricordo a questa bolgia di dannati.
Una narrazione divisa tra più piani temporali che si intrecciano senza che ciò vada a discapito della profondità e del coinvolgimento emotivo del lettore. Senza dispersione alcuna, senza falle nel costrutto, ma più fili da cui nasce un disegno.
Un lavoro in cui convergono caratteristiche proprie del romanzo, del memoriale autobiografico e del saggio, abbandonando i solchi di un genere ben identificato e creandone uno dall'impronta personale, perchè i temi trattati varcano le sponde dell'isola di Leros e giungono in luoghi familiari a chi scrive.
Un meritato Campiello nell'anno 2016, un libro che riesce a toccare corde profonde, ferendo fortemente, una voce che sa raccontare i sentimenti propri e delle creature rappresentate squarciando i veli dell'ipocrisia e della retorica.
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Il lato oscuro della bellezza
Tre donne le cui vite si sono intrecciate in maniera indissolubile durante l'adolescenza.
Un periodo della vita che ha posto un marchio su ciascuna, destinato a imprimersi nel corpo, nell'animo e a comandarne per sempre le esistenze.
Livia, una ragazza talmente bella esteticamente da fermare lo sguardo a quello splendido guscio che la racchiude; nessuno capace di coglierne i lati oscuri che ne lordano il cuore, nessuno pronto ad allungare una mano per salvarla. Nessuno capace di oltrepassare il muro della bellezza.
Federica, una sorella vittima di un contesto familiare, divisa tra spirito di rivalsa, necessità di attenzioni o semplice desiderio di evasione.
E poi, lei, la voce narrante, la scrittrice in prima persona: prima un'adolescente minata da complessi fisici e contrasti familiari, corrosa dalla ricerca dell'accettazione da parte del prossimo, poi una donna che non ha ancora appianato i conti col passato, che lotta ancora oggi come ieri per trovare un punto di equilibrio con gli altri e con se stessa.
Numerose, importanti e dolorose, le tematiche che trovano linfa da questo flusso narrativo a briglia sciolta, un viaggio introspettivo su due piani temporali, una lenta e tagliente presa di coscienza giunta alle soglie dei cinquant'anni.
Il tempo presente come frutto maturato dalle scelte del passato, un frutto irto di spine che non si possono più estirpare ma con cui bisogna convivere.
E' un'analisi impietosa e senza i veli del perbenismo quella proposta dall'autrice, una voce graffiante che tenta di espellere anni di rancori, di desolazione, di mancanze, di lacerazioni, per portare alla luce quella adolescente sepolta da strati di infinita incomprensione e inadeguatezza.
Una scrittura a scatti che non presta il fianco al fronzolo narrativo, che rispecchia la durezza dei pensieri e delle immagini che emergono dall'oscurità.
Una storia che grida voglia di liberazione ma con la lucida consapevolezza che la strada richiede un lungo e tortuoso percorso.
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Una storia dimenticata
L'ambientazione in una desolata landa polacca ricoperta da boschi e campi a bassissima densità abitativa, fa da sfondo alla ricostruzione di una pagina di storia di cui poco si conosce.
Quella narrata è una storia che corre in parallelo all'ascesa del Fuhrer e alla sua consuetudine ad alloggiare in bunker segreti disseminati in zone rurali e remote.
Le protagoniste sono donne “selezionate” dietro compenso per assaggiare i prelibati manicaretti destinati ad imbandire la tavola di Hitler. Egli non può rischiare l'avvelenamento, occorrono cavie da sacrificare in nome della sua salvezza.
Il confine tra costrizione e accettazione di questo ruolo folle e crudele è un filo sottile che l'autrice si propone di indagare, rendendoci un quadro realistico, tentando di mettere a nudo le anime di queste creature che sono immagine di solitudini, i cui compagni sono impegnati al fronte oppure già defunti.
Ogni succulento boccone per quanto agognato dai poveri stomaci stremati dalla fame, può essere strumento di una atroce morte, può essere un attimo di luce prima di sprofondare nel baratro.
Le immagini del refettorio sono ben rappresentate, con una carica di pathos che riempie di rabbia e dolore il cuore del lettore, fin quasi a percepire la disperazione e la tensione morso dopo morso.
Rosella Postorino sviluppa uno spunto cronachistico che ben si presta all'approfondimento ma cozzando contro la scarsità di informazioni cui attingere, utilizza la sua penna per ricamare una trama che intreccia fili brillanti ad un tessuto che vira troppo al colore rosa, perdendo di credibilità storica lungo il tragitto.
Il prodotto finale è un lavoro di narrativa lontano dai canoni rigorosi del romanzo storico, una proposta letteraria di intrattenimento dalla prosa lineare e fruibile.
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UNA MANCIATA DI POLVERE
Mentre sul fronte europeo imperversa la seconda guerra, un giovane italo-americano è impegnato a sbarcare il lunario in cerca di sostentamento economico sfruttando le proprie velleità letterarie.
Arturo Bandini coltiva il grande sogno di poter essere riconosciuto come buon scrittore e quindi di potersi riscattare ogni occhi sia dei familiari sia della società.
Quella narrata è una vita ai margini, scandita da espedienti, miseria economica e degrado sociale.
Una carrellata di volti devastati da droghe e alcol, un mondo di dannati in cerca di resurrezione e di liberazione da una voragine buia che li ha ingoiati.
Uomini e donne senza via di scampo, corrosi dai propri vizi, assuefatti ad una esistenza infelice dove gli affetti stentano a trovare terreno fertile per attecchire.
Un romanzo breve, le cui pagine a tinte forti scorrono veloci tra le mani del lettore, mosso quest'ultimo dalla curiosità di poter conoscere il responso del destino alla frenetica ricerca di redenzione del protagonista.
Uno spaccato americano senza veli, che fotografa un periodo storico ed un substrato sociale lontano dai fasti e dalle glorie, una nicchia di dimenticati.
Quello di Fante è un filone letterario già percorso da autori a lui contemporanei che ha il pregio di aver ritratto con estremo realismo il novecento del continente d'oltreoceano.
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La scelta di essere feroci
Il corpo di una giovane donna giace a terra senza vita.
Un macabro ritrovamento che non è corretto etichettare come suicidio. Troppe zone oscure colorano la storia della famiglia Salvemini.
Una pentola che ribolle di ipocrisie e corruzione, chiunque metta mano al coperchio sarà responsabile di dare la stura a decenni di condotte moralmente ed eticamente scorrette, in nome del dio denaro e del successo, ma non solo.
Quello rappresentato dall'autore è un magnifico castello di carta, un impero costruito su fondamenta destinate a crollare sotto il peso della verità e della giustizia.
Uno spaccato sociale dei giorni nostri di cui conosciamo dinamiche e ramificazioni grazie alle cronache quotidiane, ma l'abilità di chi narra consiste nel dare volto e anima alla storia, attraversando le superfici patinate per coglierne la linfa interiore.
Lagioia si impone di scavare nell'essenza di un società votata all'arrampicata socio-economica, unico scopo di una intera vita, quest'ultima spesa alla ricerca di un benessere materiale a discapito di una serenità conquistata con onestà.
Questa è una narrazione dalle tinte fosche, dove il seme della perdizione viene ben coltivato tanto da produrre i suoi frutti malsani.
Numerosi volti che la penna inclemente dell'autore centrifuga in un vortice di miserie e sconfitte, toccando nervi scoperti e debolezze, fino alla caduta delle maschere e alla conta delle vittime e dei carnefici.
I lettori si troveranno di fronte ad una scrittura secca, costruita su frasi brevi che devono rendere immagini e sensazioni rapide, senza filtri, senza pause.
Un ritmo serrato che impone concentrazione fino all'ultimo rigo che trasporta in una girandola emotiva che mette in comunione diretta con i protagonisti rendendo partecipi di una discesa senza ritorno.
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un uomo sommerso
Usciti dal giardino ovattato dell'adolescenza e varcate le soglie dell'età adulta, viene naturale spostare il focus da se stessi e sentire la necessità di approfondire la conoscenza di chi ci ha generato, tentando di accedere all'io più profondo per captarne similitudini o divergenze.
Questo istinto diviene ancora più radicato in coloro che sono cresciuti in prevalenza sotto l'ala
di un solo genitore, amati e confortati, ma mancanti di un pezzo portante.
Marta Barone è una giovane donna che dopo la scomparsa del padre matura la consapevolezza di non aver conosciuto veramente l'uomo che le ha dato la vita.
Le lacune, trasformatesi in vuoti, si sono prodotte prevalentemente dalla volontà dell'uomo di creare una sorta di barriera tra la figlia e l'intenso percorso della sua vita.
Una vita complicata, un uomo pregno di ideali e colmo di interessi, un uomo al contempo misterioso e sfuggente, impegnato in un'esistenza ad ostacoli che lo vede partecipe ai moti sessantottini prima e poi vicino ad ambienti temibili di quello che fu il fosco periodo degli anni di piombo.
Il testo nasce dai tanti tasselli raccolti dall'autrice per ricostruire il vero volto del padre, attraverso un laborioso lavoro di ricerca che si avvale di documenti dell'epoca e di racconti di persone che furono a lui vicine.
Una narrazione minuziosa, a tratti certosina per dare forma ad uomo, al suo pensiero e alle sue azioni. Il grande assente da queste pagine è “il giudizio”, lasciato fuori di proposito.
Tra queste pagine si cerca un uomo, non si cerca di processarne le azioni.
Una penna giovane che denota ottime capacità espressive e riesce a dare forma ad un genere narrativo dove occorre bilanciare con sapienza elementi oggettivi e soggettivi, dati di cronaca e riflessioni personali.
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Un uomo solo
Se la solitudine potesse avere un volto, sarebbe quello di Liborio Bonfiglio.
Il volto di un uomo giunto al termine del lungo e tortuoso sentiero della vita, disseminato di perdite e delusioni, di incomprensioni e vuoti mai colmati.
Liborio è un'anima pura, mossa da pensieri e desideri semplici e genuini, cui la vita ha riservato poca fortuna come lui stesso ci narra in prima persona, regalandoci una cavalcata nel suo passato che coincide con le tappe più significative della storia del nostro paese dal dopoguerra alle soglie del ventunesimo secolo.
Il protagonista di queste pagine è un “vinto” dalla vita, è un bambino che ha subito l'abbandono del padre, è un ragazzo che viene sradicato dal piccolo paese di provincia per servire la propria patria durante la guerra, è un giovane uomo che varca le soglie di una realtà chiamata “fabbrica”, è un adulto quando un groviglio di concause gli apre le tetre porte di un edificio bianco chiamato manicomio.
Un plauso all'autore, Remo Rapino, per aver creato un volto a rappresentazione degli “ultimi”, di coloro che vivono alla periferia di una società sorda e cieca oltre che restia a porgere la mano in loro soccorso.
Un esempio di esclusione e mancata integrazione che brucia forte come sale sulla ferita, un lungo monologo di un vecchio rassegnato ma con fotogrammi lucidi confitti come chiodi nel cuore ferito.
Meritato Premio Campiello 2020 per l'excursus narrativo, per la cura dedicata alla costruzione del protagonista che culmina con la scelta coraggiosa di coniare un linguaggio nuovo alle orecchie del lettore, una miscellanea dialettale e gergale a tratti complessa da masticare ma che è l'arma vincente e innovativa per far esplodere tutto il realismo di questa storia.
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UNA DONNA DI NOME PLAUTILLA
Nuova linfa per nutrire i cultori del romanzo storico, grazie alla penna di Melania Mazzucco che con questo testo ritorna ad un genere letterario a lei congeniale.
“L'architettrice” è un lavoro pienamente riuscito nel costrutto narrativo, nella ricostruzione puntuale e vivida del periodo storico rappresentato e nella galleria dei volti dipinti.
Pagine pregne di colore ci accompagnano per la strade di Roma e dentro i focolari domestici, prendendo le mosse dalla storia di una donna “anomala” per il tempo in cui visse.
Siamo nel 1600, lei è Plautilla Bricci, bimba curiosa e attratta come una calamita dai disegni che vede sul tavolo dal padre tra le povere mura abitate dalla famiglia, dalle storie che lui le narra e di cui lei si ciba anno dopo anno, fino ad essere investita di un ruolo eccezionale, divenire unica erede del sapere tramandato dal vecchio genitore.
Un'eredità fuori dagli schemi per l'epoca, un percorso di crescita culturale impensabile per una donna, un esempio di vittoria sul pregiudizio, un'ascesa memorabile nel campo artistico.
Un romanzo godibile per il flusso narrativo rapido e per la caratterizzazione dei personaggi che forano le pagine con il loro carico di pene e speranze, per la tensione emotiva sviluppata che lega a doppio filo il lettore alla narrazione.
Un testo prezioso per ricordare e approfondire un pezzo di Storia del nostro paese, per celebrare il percorso umano prima che artistico di una donna caparbia e tenace che ha dedicato l'esistenza alla passione per il sapere e per l'arte.
Un bel viaggio nel tempo a ritroso di secoli, accompagnati da una delle penne più esperte nell'odierno panorama letterario.
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Quattro vite per diventare uomo
Uno dei romanzi più attesi dell'anno che sta volgendo al termine, definito dai critici “il capolavoro di Paul Auster” o “una poderosa autobiografia”.
La mole è importante, non passano inosservate novecento pagine e la lettura richiede tempo per la numerica delle righe e tanto impegno per entrare nella ragnatela narrativa.
Non una vita narrata, bensì quattro possibili vite, quattro strade che il nostro giovane protagonista avrebbe potuto percorrere.
Un racconto che si dipana dalla soglia degli anni Cinquanta percorrendo un ventennio, il tempo che racchiude infanzia, adolescenza e giovinezza di un ragazzo americano come tanti, entrando all'interno delle dinamiche familiari e formative, facendole specchiare continuamente con la situazione socio-politica del periodo.
Il piccolo Archie, nasce, cresce e si forma attraverso tutte le vite che Auster gli cuce addosso, in una continua corsa ad ostacoli tra le beffe del destino e le difficoltà del vivere cui nessuno è esente.
Aspirazioni e delusioni, amori e solitudini si fondono in tutte le vite possibili.
Niente sconti forniti dalla sorte, l'essere umano si deve guadagnare ogni traguardo.
Lo schema narrativo è supportato da un contenuto florido e straripante di dettagli di nomi, luoghi, fatti, persone, opere letterarie, che portano talora allo sfinimento.
D'altronde l'autore deve dare la misura al suo lettore della formazione di un giovane nato nel 1947, in pieno periodo post bellico, in una America con numerose problematiche interne da risolvere, con conflitti sociali da gestire e da sanare.
Tanto lo spazio dedicato alla formazione scolastica, all'ingresso nel mondo variegato dei college, all'incontro con il mondo della scrittura sia essa vena poetica, giornalismo oppure narrativa.
Giunti al termine del labirinto dopo tanto viaggiare tra la marea di pagine, viene difficile pensare che Auster non abbia ritratto un pizzico di se stesso, soprattutto in quell'insistere sulla vocazione per la scrittura, presenza costante di tutte le vite del protagonista, oltre a rappresentare un periodo da lui vissuto.
Si percepisce fortemente che la penna che scrive era presente ed ha vissuto là e in quel tempo, lasciando nel romanzo un'impronta personale e palpitante.
Al termine del lungo viaggio è naturale interrogarsi se il costrutto complesso sia del tutto necessario ai fini dell'economia della narrazione o se una sapiente sfrondata lo avrebbe reso più agevole e più appetibile. Detto ciò e lasciando aperto l'interrogativo, il romanzo è senza dubbio frutto di un grande lavoro di scrittura, volutamente prolisso in alcune parti, una narrativa che abbraccia la storia senza perdere di vista il percorso psicologico dei protagonisti. Un percorso che si divide in un quadrivio, per confluire nell'esemplificazione della vita di un uomo, tra vita e morte.
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Solitudini
Può la storia bizzarra di un topo “umanizzato” con la passione per la lettura essere il fulcro per la trama di un buon romanzo? Forse più di un lettore si è accostato a quest'opera con un simile interrogativo.
Il professor Sam Savage al suo esordio letterario condensa in una manciata di pagine una storia dai contenuti profondi e per nulla scontati; nessuna favoletta inneggiante ad insegnamenti morali, ma una storia pregna di pathos e sentimenti, ammaliante e coinvolgente.
Tra queste pagine prende forma l'infanzia infelice, il senso di abbandono, la ricerca di affetto e di calore familiare, oltre ad innalzarsi il grido della solitudine.
Sono tutti sentimenti tangibili e taglienti che l'esile e reietto topo Firmino ci trasmette senza sconti, facendoci varcare le soglie del suo mondo, un intermezzo animale-umano, luogo di incontro tra due categorie maledettamente simili.
Un racconto intelligente, perchè il bisogno di amore e di protezione non ha età, genere e forma, ma è un valore universale.
Sono trascorsi un po' di anni dall'uscita del libro ed i riflettori si sono spenti, ma resta un titolo appetibile nel mare delle proposte letterarie.
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UN MONDO SENZA LUCE
Un'epidemia colpisce l'umanità, le pupille si spengono, i colori svaniscono, una nebulosa lattiginosa diviene l'unica visuale possibile.
Questo scenario apocalittico e suggestivo è la culla narrativa predisposta da Saramago per rappresentare un ipotetico percorso dell'uomo dalla luce alle tenebre.
Nonostante l'escamotage narrativo non brilli per originalità, tuttavia le dinamiche messe in scena dall'autore per fotografare i comportamenti dell'essere umano sono ben congegnate e forti.
L'uomo di Saramago si spoglia delle vesti della normalità sociale per indossare le sembianze della bestialità, la ragione lascia il posto all'istinto, affiorano forze brute che scuotono e ribaltano il senso del decoro, della pietà, della morale.
Immagini volutamente audaci scorrono tra le pagine, lame affilate che fanno male al lettore.
L'autore effettua un'indagine sociale portando l'uomo al punto di esplosione, un punto in cui anche le forze più occulte trovano libero sfogo.
Uomini e donne in balia di sentimenti deviati, costretti ad una cattività che mette a nudo il volto oscuro di ciascuno.
Umanità in caduta libera, orfana di valori e dignità.
Un romanzo di grande impatto emotivo che pullula di spunti di riflessione al di là del carattere fantasioso, che mette a nudo l'animo umano, scandagliando gli angoli più reconditi.
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ALLA RICERCA DELL'UOMO
Immergersi nelle tre storie partorite dalla penna di Paul Auster non significa semplicemente passeggiare e respirare l'aria della grande mela, bensì addentrarsi nei meandri più torbidi ed oscuri della psiche umana.
La connotazione di una New York cupa e spersonalizzante è defilata, teatro secondario in cui si collocano tutte le figure che calcano la scena dei racconti. Il cuore pulsante voluto da Auster è l'essere umano, colto nei suoi momenti di maggior smarrimento e avulsione dal mondo, un uomo che si è perduto alla ricerca di sé, percorrendo strade buie e infestate di pericoli.
Il fluire narrativo è disseminato di insidie, in quanto man mano che il personaggio si perde in vortici più o meno reali, il lettore prova un senso di vuoto ed uno sgretolamento dei capisaldi iniziali percepiti.
Non è semplice rappresentare il senso di annichilimento, di insoddisfazione e di continua ricerca che spinge l'uomo ad evadere dai confini della propria vita familiare e sociale, eppure Auster vi riesce nelle sue storie a tratti surreali, strampalate, fuori dai canoni comuni cui potremmo essere avvezzi.
Un'opera rappresentativa dello stile letterario americano di oggi, dove la figura umana è scissa essere e voler essere, tra reale e immaginario, dove il tema morale diviene campo di battaglia tra giusto e sbagliato.
Una lettura impegnativa perchè i percorsi sono complicati ed i messaggi volutamente criptati dall'autore a somiglianza delle infinite interpretazioni cui è soggetta la vita.
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Di legno e di carne
L'ultimo lavoro pubblicato da Fabio Stassi veste i panni del racconto.
Un racconto sui generis che mette in scena esseri inanimati a livello teorico, eppure vivacissimi e pensanti, attingendo al variopinto e storico mondo dei pupi siciliani.
Una storia concentrata sul palcoscenico dove prendono vita e assumono sembianze e sentimenti umani delle semplici marionette, oltre alla presenza di una donna speciale, marchiata come diversa da tutto il paesello a causa delle sue fattezze fisiche e costretta a seguire il carrozzone di un puparo.
L'esercizio stilistico intrapreso dall'autore è degno di nota ed apprezzabile, il filo conduttore narrativo trae spunto dalle epiche vicende di Orlando ed Angelica, protagonisti ariosteschi, rivisitati e condotti tra le genti di uno sperduto paese siciliano, che come per magia diviene scenario di amori, vendette ed imprese di cavalieri e dame.
La suddivisione del racconto è in capitoli brevi, una sorta di micro atti teatrali, per creare una sequenza stretta di volti e situazioni.
Questa brevità stimola da un lato ad una lettura rapida, col rischio di perdere di vista la sostanza dei dialoghi tra i personaggi.
Complessivamente un lavoro lontano dalla completezza di Stassi come romanziere, per chi già lo conoscesse, ma sapendo che si tratta di un primo componimento riadattato e consegnato postumo alle stampe, possiamo valutarlo nella giusta ottica.
Inoltre il genere racconto occupa da sempre un posto defilato nel mondo letterario e necessita di un metro di giudizio consono perchè racchiude in sé caratteristiche di contenuto e di stile sue proprie.
Una visione del mondo di ieri e di oggi e della mescolanza tra immaginazione e realtà.
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Pensieri bambini
Nel più triste e sconfinato appiattimento letterario odierno, è da cogliere come una sana boccata di ossigeno, la lettura del romanzo di Anna Marchesini.
Conosciuta dal grande pubblico come eclettica donna di spettacolo, di cui restano memorabili i personaggi interpretati, caricature formidabili di un'italianità verace, cominciò a dedicarsi alla scrittura forse in concomitanza al suo forzato abbandono delle scene.
Non incappiamo nell'errore di snobbare questo titolo per il solo fatto di essere firmato da un “vip non scrittore professionista”, maturando l'idea preconcetta di trovarci di fronte alla solita trovata di marketing.
E' un romanzo dai contenuti profondi, che ruota attorno ai pensieri di una ragazzina che attraversa il complesso passaggio tra infanzia ed adolescenza, vivendo sulla propria pelle un'insieme “di prime volte”, folgorazioni, conoscenze, emozioni, quesiti e dubbi che la scuotono e la fanno sentire viva ed essere pensante, quasi un po' adulta.
Naturalmente, come è logico che sia in letteratura, la sfera emozionale della ragazzina è caricata ed esaltata, è fulcro del romanzo, tanto da avvolgere in una nebbiolina tutto il contorno familiare e sociale.
Le riflessioni riportate sulle pagine sono talmente forti e pervasive da cogliere inerme il lettore perchè richiedono un assaggio lento e meditato per essere accolte nella loro interezza.
La narrazione non viaggia sui binari di una trama disseminata di soli eventi, ma gli eventi sono lo spunto per scavare nell'io, per entrare in simbiosi con l'anima di una donna in erba.
Nessuna saccenza né inverosimiglianza, ma un'ottima capacità di scrittura, corposa, lirica e ricercata, lontana dai tracciati semplicistici che siamo oramai costretti a percorrere.
Un'autrice che ci ha lasciato un'eredità, prima che la sua mano deponesse la penna e si chiudesse dolorosamente il sipario.
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I volti dell'uomo
Riempie il suo zaino e parte; destinazione Nuova Guinea, una terra remota e tra le più misteriose, il cui nome evoca racconti di cannibali e di natura incontaminata.
Il racconto risale agli anni Ottanta, tuttavia il tempo trascorso non sminuisce il valore di questo scritto, nonostante sia lecito credere che nel frattempo l'insinuarsi della civiltà sia divenuto più radicato in quelle zone.
La dote di Ruggeri sta nella ricerca di genuinità dei luoghi che attraversa, nel porsi in contatto con numerosi nativi che lo conducono presso villaggi sperduti, per approcciare in maniera diretta una cultura ed una civiltà che lo scorrere dei secoli sembra non alterare.
Popoli che rigettano il contatto con lo straniero, chiusi in un equilibrio perfetto con la natura circostante, in sintonia con il mondo vegetale e spirituale.
Sarà proprio la vivacissima cultura degli spiriti ad attrarre l'attenzione dell'autore e a spingerlo a partecipare ad alcuni rituali rimanendone stregato dalle atmosfere, come lui stesso riporta con grande partecipazione nel suo racconto.
“Il canto delle lucciole” è nettamente superiore ad altro diario “Farfalle sul Mekong” per i contenuti e per la buona dimensione etnografica degli stessi.
Con questo testo Ruggeri ci offre la possibilità di assaporare un pezzetto di mondo complicato da raggiungere e da poter visitare. Le descrizioni del percorso affrontato sono vivide e le emozioni forano le pagine. Scorrono i volti di capi stregoni che danzano ancora ornati di splendide piume e che scelgono di fuggire dalle comodità moderne che visi estranei hanno fatto sbarcare sulle sponde della loro terra. In contrasto i volti dei figli che conoscono la lingua inglese e che deposti i copricapi di piume dei padri, indossano jeans e guidano pick up.
Un genere letterario non solo divulgativo ma meritevole di attenzione per il valore documentale e culturale che porta nelle case in cui riesce ad entrare, per lo spessore antropologico, per le riflessioni che accende.
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Nervi scoperti
Il peregrinare attraverso l'immenso territorio cinese dona a Ma Jian le fattezze di un novello Odisseo. Nel corso di qualche anno l'autore girovagò senza una meta precisa, mosso dall'intento di evadere dalla gabbia entro cui era costretto a vivere e a lavorare alle dipendenze del dipartimento della propaganda.
Voglia di fuggire, di rinnegare le ipocrisie e di compiere un viaggio senza agi attraversando tutte le province cinesi.
Fiumi, laghi, deserti, montagne, compagne, boscaglie, risaie. Un'immersione totale in ciascuna delle realtà ambientali e sociali che costituiscono il complesso mosaico chiamato Cina.
Ma Jian lascia Pechino con uno zaino in spalla e pochi indumenti, niente denaro a parte gli spiccioli che è pronto a guadagnarsi per strada con qualche umile lavoro.
La potenza impressa alle pagine non viene dalla liricità della penna ma dai volti scavati dagli stenti, dalle violenze, dalle ingiustizie, dalla cattiveria di un potere cieco e sordo ai bisogni del proprio popolo. Sono ritratte persone incrociate in questo lungo e desolato cammino, descritte con pochissime parole, eppure immortalate in tutto il loro dolore e malessere.
Gli scheletri dell'apparato politico vengono portati alla luce in maniera impietosa, senza veli a coprirne la mancanza di liceità e di umanità.
Il racconto si basa su immagini di vita spicciola e quotidiana, senza necessità di utilizzare enfasi e divagazioni saggistiche, eppure al termine della lettura viene spontaneo considerare che se gli stessi contenuti fossero passati attraverso l'inchiostro di Mo Yan, il valore emozionale del testo sarebbe stato ben altro. Questo inciso senza nulla togliere all'autore, ma è d'obbligo evidenziare come lo stile di scrittura, almeno così come reso in traduzione, appare asciutto e scarno, a tratti freddo e tagliente come le storie raccontate, privo di divagazioni e commenti.
Polvere rossa è a tutti gli effetti una grande opera di denuncia, un nervo scoperto che duole, un catalogo di atrocità su cui l'attenzione di un mondo civile deve posarsi.
Impossibile non tributare un grazie al coraggio di chi ha deciso di parlare del proprio paese con consapevolezza e lucidità.
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Il ritorno
Semplicemente bello, amaro, struggente, incisivo.
L'ultimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio brucia come sale su ferite aperte, parla di figli e di genitori, di incontri ed abbandoni.
Lei non possiede un nome di battesimo ma è detta da tutti i paesani “arminuta”, la ritornata.
Scaricata come una merce da chi ha sempre considerato genitori, passata dal calore della propria casa al gelo di un focolare sconosciuto, catapultata in un mondo aberrante per lei, tredicenne vissuta tra coccole, agi e serenità.
La nuova casa è popolata da persone diverse, che parlano solo dialetto, che lottano ogni giorno con un demone chiamato miseria, che si azzuffano per due rigatoni al sugo, che condividono pochi metri quadri tra odori nauseabondi e grigiore.
Quello narrato dall'autrice è un salto nel vuoto come solo può essere lo sradicamento di un'adolescente, un evento complesso da immaginare e da rendere a parole; eppure l'effetto prodotto dalle immagini dipinte è poderoso, tanto da provocare uno stillicidio doloroso dalla prima all'ultima pagina.
La voragine emotiva narrata è generata dall'intreccio dell'assenza improvvisa e immotivata di coloro che ti hanno cresciuto e amato e dall'apparire altrettanto veloce di due persone che scopri averti generato e ceduto e di fratelli e sorelle estranei.
E' complicato parlare di temi forti e scottanti di questo tenore, sottolineando gli stati d'animo di ogni personaggio e delineando le infinite sfumature legate ad uno sguardo, ad una lacrima, ad un gesto quotidiano.
Grande prova di scrittura dell'autrice abruzzese, dotata di una penna affilata e tagliente come una lama, una scrittura sintetica che riesce ad intrappolare su di un rigo emozioni, lacerazioni e sogni infranti.
Un tema pesantissimo, come il mondo che crolla sulle fragili spalle di un'adolescente, scopre altri nervi scoperti, come le dinamiche familiari ambientate negli anni Settanta in un contesto rurale e genuino. Altro merito dell'autrice è di aver fotografato un pezzetto di Italia, contestualizzando la storia nel suo natio Abruzzo, riportando alla nostra memoria immagini in bianco e nero di una nazione tra crescita e difficoltà, dove non tutti potevano permettersi una giornata in spiaggia ed un piatto di frutti di mare.
Un'Italia di braccianti e di operai che fatica a portare il pane a tavola, che appare arida e priva di sentimenti, ma sotto una scorza dura ci sono cuori che battono per le disgrazie ed i dispiaceri che la vita porta sempre con sé.
Tante le lacrime eppure tanta dignità nel corso di tutta la narrazione, evitando la ricerca di sensazionismo ma facendo assaporare genuinità e naturalezza, senza artifici.
Un romanzo senza vincitori, c'è chi ha scelto e chi ha subito, ma tutti insieme ingrossano le fila dei vinti.
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Homo vs Natura
“Le isole del paradiso” porta la firma di un autore che ha scritto tanto ma abbastanza sconosciuto nel panorama letterario, parliamo di Stanislao Nievo. Il cognome ci porta ad un'associazione diretta con l'Ippolito de “Confessioni di un italiano”, l'esimio prozio.
Stanislao si è dedicato a studi di natura più scientifica, come zoologia, etnografia e biologia, che lo hanno portato in giro per il globo e reso cultore e appassionato delle specie offerte dal mondo vegetale, animale e non ultimo umano.
Questo testo del 1987 sancito vincitore dalla giuria dello Strega, nasce dal desiderio di raccontare uno spaccato di storia di fine Ottocento che vede gli europei in fermento e competizione per accaparrarsi fette di nuovi continenti. Terre dove sembra regnare un'eterna primavera, vegetazione rigogliosa e acque cristalline. Insomma un paradiso da conquistare a tutti costi.
Il tentativo di colonizzazione delle isole della Melanesia da parte di francesi e britannici, è un evento realmente accaduto a cui Nievo nella prima parte dell'opera dona una veste romanzata.
Porta sulla scena una galleria di personaggi di buon spessore, dai capitani delle flotte agli armatori europei, dai “candidati” coloni ai nativi locali.
Incisive le immagini dell'incontro-scontro tra le due umanità, quella evoluta che vuole sottomettere e quella primigenia, regolata da ritmi e qualità di vita impensabili e lontani anni luce alla civiltà occidentale.
L'autore fa emergere la diversità degli uomini con forza e crudezza, un incontro che non porta nulla di buono, un tentativo di conciliare due civiltà che si spegne come un tizzone inondato di acqua.
L'arcipelago della Nuova Guinea da sogno diventa incubo per questo esercito di colonizzatori, una masnada di uomini e donne tra cui un nutrito gruppo di italiani, mossi dall'illusione di trovare un pezzo di terra da coltivare per sfamare la propria famiglia.
Purtroppo bisogna fare i conti con i vulcani, con malattie mortali, con un clima torrido, con stregoni e cannibali.
Dopo la prima parte descrittiva e di stampo narrativo, se ne apre una dalla veste prettamente saggistica, dove Nievo mette in campo le sue doti di documentarista e naturalista descrivendo quanto rilevato durante i suoi viaggi nelle stesse isole su cui sbarcarono i nostri predecessori, spingendosi alla ricerca delle tracce lasciate dai volti a cui ha dato voce.
La cesura è netta e rende il lavoro un ibrido per contenuti e stile di scrittura, tanto che la parte saggistica si percepisce come appendice e approfondimento, cui avrebbe giovato una sforbiciata su qualche pagina.
Nel complesso si tratta di una lettura gradevole, di un autore avvezzo all'uso della penna che ci ha lasciato la sua visione di un connubio esplosivo, quale riesce ad essere UOMO e NATURA.
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I volti dell'infelicità
E' la provincia di Taranto la culla da cui trae fonte di ispirazione il romanzo di Desiati già trasposto in pellicola cinematografica.
Taranto con le sue ciminiere e l'aria satura di veleni, le terre circostanti madide di scorie depositate dall'aria densa, eppure il mostro siderurgico è dispensatore di pane sulle tavole di tante famiglie.
Non solo la città ma anche la provincia vive di riflesso e ruota attorno alle possibilità di lavoro offerte dalla città grigia e maleodorante.
Siamo negli anni Ottanta, i ragazzini giocano a pallone coltivando il sogno di diventare grandi campioni e poter lasciare quei campetti sterrati di paese, evitando un futuro tra le braccia del siderurgico come i padri, gli zii ed i cugini.
I giovani vivono di sogni e di espedienti, la vita spensierata di bambini finisce presto e lascia il posto ad una crescita accelerata verso un mondo difficile, tra illeciti e speranze.
Un paese che sembra dare i natali ad infelici predestinati, siano essi uomini o donne.
Una rappresentazione forte e incisiva, che non fa sconti e non tinge le pagine di futilità, la penna di Desiati sa scrivere e sa raccontare, con tratti lirici degni di nota.
Le immagini talora appaiono crude e senza veli, ma non si avverte mai il desiderio di stimolare pena in colui che legge o di fare sensazionalismo spicciolo.
La narrazione appare sincera e palpitante, frutto di eventi vissuti da vicino e conosciuti, soprattutto denota piena coscienza del substrato culturale e sociale di cui si scrive.
Una storia la cui veracità si mescola ad un sentimento più elevato, per parlare di rapporti umani e delle strade offerte dalla vita.
Una storia che immortala volti sopraffatti dal destino, dalla fatica, dalla colpa.
Una fetta di Italia che dalle pagine della cronaca giornalistica conosciamo ma di cui è interessante leggerne la visione narrata dall'autore, lasciandosi trasportare all'interno delle storie dei suoi bambini cresciuti in fretta, delle sue spose infelici e dei suoi uomini insoddisfatti.
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A ciascuno la propria verità
Orhan Pamuk è il cantore per eccellenza della terra turca, tutte le sue opere traggono ambientazione e linfa dalle tradizioni e dalla cultura di cui lui stesso esprime tutte le sfaccettature.
L'ultimo romanzo porta in scena padri e figli, mutuando il tema dai testi classici del mondo occidentale e da quello orientale, intrecciando la vita reale con quella fiabesca e leggendaria come solo la penna di questo autore riesce.
Padri e figli uniti e divisi dal destino, si ritrovano e si perdono al ritmo di una danza crudele, illusione e consapevolezza come due facce di una medaglia, vendetta e tragedia, disgrazia accidentale o cecità fatale.
L'incursione nella narrazione dei miti letterari di tutti i tempi non può mancare, con l'apporto di una carica di magia e di saggezza, con tante immagini che ben si adattano alle epoche moderne.
Lo strano scherzo del destino riservato ad un padre e figlio della Turchia del ventesimo secolo, sembrano ricalcare le orme di un passato tragico condiviso da altri protagonisti che la mano di Pamuk porta sulla scena con estrema naturalezza, creando un'amalgama passato-presente, leggenda e realtà, consona e tangibile.
Il costrutto narrativo è ottimamente congegnato e nonostante la prima parte del romanzo sia scandita da un ritmo lento, esplode poi in una cavalcata di intrecci ed eventi che donano pathos e legano il lettore alle pagine fino all'epilogo, dove tutto prende forma e significato.
Belle ed intense le pagine pregne di riflessioni e paralleli sui rapporti umani, siano essi uomo e donna, madre e figlio, padre e figlio.
Ancora una volta Pamuk ha dato un volto alla sua terra, anzi più di uno, cantando la vita dell'ingegnere Cem diviso tra essere figlio alla ricerca di un padre ed essere un padre alla ricerca di un figlio; eppoi lei, la donna dai capelli rossi, amante e madre, gioia e dolore, lacrime e sorrisi, figura enigmatica inizialmente destinata a svelarsi con intensità struggente.
Pur non raggiungendo le vette de “Il mio nome è rosso”, questo è un buon romanzo, dai molteplici contenuti e spunti di riflessione per chiunque cerchi sostanza in una lettura.
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NEL CUORE DELL'AFRICA
Cominciamo senza ombra di dubbio col dire che il saggio di David Van Reybrouck sul Congo è un lavoro stupefacente e di gran valore storico, sociologico e documentaristico.
E' incredibilmente giovane l'autore e questo dato ne costituisce un ulteriore punto di forza, perchè la mole sorretta da questa penna costerebbe fatica ai giornalisti e agli storici più consumati.
La ricostruzione delle vicende del gigante Congo parte dalle origini e si dipana attraverso un lavoro certosino che abbraccia e ripercorre l'intera storia del paese fino alla data in cui il testo è stato dato alle stampe; ciò significa raccontare secoli.
L'impianto contenutistico scelto da David lo allontana dalla apaticità e dal rigore di un saggista che si limita a registrare dati ed eventi; il testo profuma di umanità, assume le sembianze dei volti ritratti, è un racconto palpitante pagina dopo pagina.
Gli anni trascorsi soggiornando in Congo sono serviti per parlare con la gente, per poter condividere ricordi, per raccogliere storie di vita.
Con certezza si può dire che nessun reportage televisivo o giornalistico in generale ha mai portato alla luce in maniera limpida e non faziosa quanto si legge in questo testo.
Un testo scritto da un belga, ma una mente lucida ed imparziale, che ha scelto di scavare nelle pieghe della storia di un paese complesso, sfruttato, violentato, derubato, usato; una terra di confine che per tanti decenni della storia recente ha vissuto eventi che il resto del mondo preferiva scansare.
Le immagini di violenza che segnano ogni pagina di questo testo sono forti e fanno malissimo a chi legge, come è giusto che sia; la corruzione, la violenza cieca, l'annullamento dei diritti umani, il genocidio, la morte.
Inorridito e sconcertato è il lettore che chiude l'ultima pagina, immensamente grato all'autore per essere riuscito nell'impresa prefissa e consapevole che oggi questo genere letterario è un mezzo insostituibile per conoscere la Storia del mondo.
Da ultimo, stilisticamente il lavoro è di qualità, considerata la numerica della pagine, vi si trova armonia della scrittura e omogeneità tra tutte le sue parti.
Lettura adatta a qualsiasi pubblico, anche a coloro che non amano la saggistica, perchè tra queste pagine c'è l'UOMO.
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Vita da pittore
Impossibile non definire “Vortici di gloria” l'ennesimo capolavoro siglato dalla penna di Irving Stone.
L'ulteriore conferma che da quando l'autore ci ha lasciato, i generi letterari del romanzo storico e della biografia romanzata si sono spenti insieme a lui.
Affermazione forte, eppure per gli estimatori del genere, è arduo trovare in circolazione qualcosa di simile.
Questo romanzo è dedicato al mondo degli Impressionisti, ne analizza la nascita ed il prendere forma come corrente, cesellando i volti e le singole personalità degli artisti, più noti e meno noti, tratteggiandone il pensiero e lo spirito creativo, seguendoli in un percorso di ascesa seminato da stenti, delusioni, insuccessi e caparbietà.
La grandezza di Stone sta nell'altissimo grado di veridicità storica, in una ricostruzione figlia di ricerca accuratissima di documenti dell'epoca, fino a calare in toto il lettore negli eventi e nelle immagini.
Nulla è lasciato al caso, le veraci descrizioni delle pietanze servite sulle tavole, i vicoli di Parigi, i fumosi e affollati cafè, eppoi la minuzia dei paesaggi , dei modelli, dei soggetti ritratti da questa nutrita schiera di pittori detti “impressionisti”.
Enorme spazio dedicato alle relazioni familiari e interpersonali tra gli artisti, per evidenziare come quelli che noi consideriamo geni della pittura le cui opere oggi vengono battute all'asta per cifre da capogiro e sono contese dai musei più famosi del globo, ai tempi venivano diseredati dalle rispettive famiglie, vivevamo nell'inedia con la pancia spesso vuota ed un cappotto rattoppato infinite volte e soprattutto lottavano per poter vendere una tela e farsi accettare dalla critica.
Lo spessore psicologico dei personaggi è eccellente, punta di diamante della narrazione di Stone, evidenziando le sfumature caratteriali di ciascun artista, le lacrime per le sconfitte, la tensione emotiva, la perseveranza nel portare avanti un ideale, la tenacia e la debolezza di qualcuno.
Un lavoro ricco e completo, che vede la fusione di storia e narrativa in un'amalgama ben congegnata. Destinato a imprimere negli occhi e nell'animo del lettore un pezzo di Storia e dei volti, cosicchè al cospetto di uno dei quadri citati, ammireremo la tela in maniera differente.
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AFFRESCO AMERICANO
A cinquant'anni dalla sua stesura, il romanzo di Truman Capote è ancora un bel pezzo di letteratura da leggere e apprezzare.
L'autore coglie lo spunto fornito da una triste e abominevole notizia di cronaca, ossia lo sterminio di un'intera famiglia avvenuto in un tranquillo contesto rurale del Kansas.
Questo tipo di narrazione realistica costò una pioggia di critiche al signor Capote per la lucidità descrittiva di un evento efferato. Oggi, simili appunti ad un genere siffatto, fanno sorridere, considerato a quante e quali immagini siamo avvezzi a partire dalla cronaca televisiva e giornalistica, il tutto recepito abbondantemente dal mondo letterario.
A prescindere dal turpe massacro familiare che costituisce il fulcro del romanzo, la lettura è davvero piacevole per l'impostazione narrativa e per lo stile di scrittura.
Lontano anni luce dalla freddezza di un resoconto giornalistico, il romanzo delinea volti e caratteri di tutti i protagonisti, entrando nelle pieghe del privato, dei sogni, degli errori, camminando tra zone di luce e di ombra.
La storia narrata, nel rispetto della cronaca di quanto accaduto, porta sulla scena ulteriori elementi oltre alla colpa inesorabile; esiste la solitudine, l'abbandono, il disamore per la vita e per il prossimo, la follia cieca e la cattiveria ragionata, esiste la famiglia luogo di amore e di crescita e la famiglia terreno di rancori ed indifferenza.
Quello che rimane dipinto tra queste pagine datate è un affresco impeccabile, uno spaccato sociale complesso che fotografa un' America genuina fondata su famiglia, lavoro e rispettabilità ed un'America che genera e nutre famiglie sbagliate.
Un romanzo che non cerca il nome dell'assassino ma scava nei “perchè” con profondità utilizzando la penna di un abile narratore e non la freddezza di uno scienziato, tuttavia non serpeggia mai tra le pagine la condanna o l'assoluzione.
Il lettore viene lasciato libero di maturare la propria opinione, dopo aver avuto modo di raccogliere tutti gli elementi strada facendo, senza ricevere soluzioni preconcette dalla voce del narratore.
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Il viaggiatore ed il turista
Corrado Ruggeri è un giornalista ed ha all'attivo diversi racconti di viaggio, tra cui Farfalle sul Mekong, frutto di un percorso tra Thailandia e Vietnam negli anni Novanta.
Tra queste pagine non vi è la pretesa di esaustività né descrizioni generaliste dei paesi attraversati, bensì la voglia e la necessità di fissare con la penna le impressioni ricevute ed i momenti più curiosi ed emblematici.
Ruggeri non veste i panni del classico turista, ma quelli del viaggiatore, avvezzo a qualche disagio, lontano dai circuiti stellati e dotato di tanto spirito di adattamento.
Il resoconto dei momenti salienti vissuti nei due paesi è piacevole e genuino, senza prosopopee e banalità.
La scrittura è avvolgente, figlia di un professionista senza dubbio, lontana dalla freddezza di taluni diari prodotti da non addetti ai lavori.
Opera paragonabile ad un antipasto letterario che stuzzica l'appetito ma non sazia la conoscenza, quindi è basilare approcciarlo consapevoli di non poter trovare tra queste pagine tutta l'essenza del Vietnam e della Thailandia, ma solamente qualche immagine, qualche viso, qualche costume e qualche accenno storico.
Sicuramente un genere letterario che è nato in sordina e si sta evolvendo, un utilizzo della penna intelligente e divulgativo, in cui è possibile trovare una finestra affacciata su territori del pianeta che non sempre potremo visitare; un genere che diventa mezzo di trasporto per catapultarsi in ogni parte del mondo ed arricchire il proprio bagaglio.
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Cani neri
Per chi conosce McEwan da altri titoli, la lettura di “Cani neri” non risulta propriamente dello stesso livello.
Pur approcciandolo esenti da pregiudizi di sorta e predisponendosi all'ascolto incondizionato, tuttavia si giunge al capolinea con una sensazione di non detto, di non riuscito, di vaghezza e inconcludenza.
Il tema predominante vuole essere un'analisi politica che tocca alcuni aspetti storici, dai drammi prodotti durante il regime nazista al consolidarsi delle idee marxiste fino alla caduta del muro di Berlino. Ora, citati questi argomenti “colosso”, la carne al fuoco su cui costruire un romanzo appare tanta, invece, anche se duole affermarlo, la materia non prende mai consistenza nell'intero arco narrativo, limitando la penna ad un vacuo abbozzo di eventi e situazioni.
Possibile che un autore come l'inglese sia scivolato su un errore banale come quello di costruire un' opera senza gettare le fondamenta e senza seguire il disegno di una trama ben congegnata?
Oppure McEwan temeva di appesantire la narrazione con messaggi politici troppo evidenti?
Lo definisco uno scritto anomalo, che ci priva dell'anima graffiante dell'autore, dello scandagliare nei recessi dell'animo umano, del saper disegnare personaggi dai volti comuni ma capaci di risvolti imprevisti.
Manca la tensione emotiva, il gelo che la penna sa creare.
Non può essere la lettura indicata per chi deve approcciare l'ottima penna di McEwan per la prima volta, perchè a parte il darne la misura stilistica, ne provocherebbe la delusione contenutistica distogliendo da altre opere che sicuramente meritano.
Un'occasione mancata, un bocciolo destinato a non fiorire, una trama sociale e politica tracciata con una matita che lascia un segno sbiadito.
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E' tempo di Pulitzer
E' valso il premio Pulitzer nel 2011 alla scrittrice Jennifer Egan tradotto in Italia con il titolo “Il tempo è un bastardo”.
E' un romanzo acclamato dalla critica come capolavoro della letteratura moderna, come opera di grande sperimentazione, come scritto che vola verso nuovi lidi letterari.
Le premesse sono importanti e ne condizionano l'approccio.
Il romanzo vuole rendere la misura dello scorrere del tempo materiale e interiore mettendo in successione tante storie, tanti momenti, tanti volti che danno forma ad una coralità disomogenea la cui intenzione ultima sarebbe quella di tramutarsi in flusso omogeneo.
Davvero complicato nell'intenzione e nel risultato.
Partendo dalla considerazione che altre penne hanno cercato questo genere di rappresentazione, non penso che il salto temporale utilizzato dalla Egan brilli per innovazione.
I flashback non sono strumenti nuovi alla letteratura e neppure le narrazioni alternate polifoniche.
La sensazione prodotta da una simile lettura è ibrida, la cesura tra i capitoli è abbastanza rigida e destabilizzante, trascinando chi legge in un vortice confusionale.
Contribuisce ad una sorta di freddezza emotiva il tema attorno a cui ruotano gli eventi, ossia il mondo dell'industria discografica e dello spettacolo, una gabbia dorata dove le quotazioni salgono e scendono mutando le sorti di tutti coloro che vi traggono linfa.
Quella fotografata è la società americana di oggi o meglio un pezzetto di quella, una classe sociale ben delimitata che non può e non deve assurgere ad identificare il mondo intero.
La particolarità del romanzo lo condanna inevitabilmente ad essere apprezzato o meno, a seconda della sensibilità del lettore, dell'affinità ad un tale registro stilistico, alla capacità di entrare in sintonia con lo scorrere degli eventi.
Insomma va capito e amato questo genere di narrativa, non è per tutti, richiede impegno e voglia di staccarsi dai canoni più classici del romanzo.
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Viaggio tra profumi e follia
Un romanzo pervaso di aromi, di solitudini, di follia; un connubio tra realismo e fantasia.
Definito uno scritto geniale da tanta parte della critica, sicuramente lo è, in particolare nella creazione del protagonista, un reietto della società, un essere che non emana odore umano e non sembra avere sentimenti.
Ciò che colpisce di Jean Baptiste è la sua incomunicabilità col mondo, un'unica passione-malattia per i profumi e quell'aura di tristezza.
Un personaggio cupo, decadente, con tutte le caratteristiche giuste per essere odiato dal lettore nel momento in cui le sue idee strampalate portano ad azioni turpi; invece tra le mille sfumature psicologiche create dalla penna dell'autore, fa capolino la malinconia e la vicinanza a questo giovane, la comprensione per il percorso di vita subito che è sfociato in un qualcosa di anomalo e cattivo.
Quanto è cattivo il cuore di Jean? Possiede un cuore dentro a quel corpo che non emana odori?
E' nato con un'anomalia oppure le condizioni in cui è stato dato alla luce ed abbandonato lo hanno reso un mostro?
Suskind non propone una soluzione all'enigma, bensì un percorso, fatto di sensazioni, di volti, di morte, di ingiustizie.
Un romanzo dal sapore del fiele, un intreccio sapiente tra moralità e pazzia, per raccontare i risvolti dell'animo umano.
La scrittura è avvolgente, il dettaglio descrittivo approfondisce le immagini, i paesaggi, le atmosfere, i colori ed i profumi naturalmente, tema principe, scandagliato con un realismo da far trasudare le pagine sfogliate.
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