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gracy Opinione inserita da gracy    01 Luglio, 2013
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South of the border, west of the sun

…di Nat King Cole

Haijme è un uomo comune, un uomo che vive il suo tempo, ama la musica, la letteratura, si scopre appassionato di Jazz tanto che apre un bar, figlio unico di una normale famiglia giapponese conduce una vita pressoché normale sin da ragazzo, poi all’università, poi da impiegato e poi il matrimonio con la donna che ama e che gli darà due figlie.
Tutto normale, tutto tranquillo, forse un po’ anche banale, sino a quando non compare dopo più di vent’anni Shimamoto, la sua adorata compagna di scuola a fare breccia nel suo cuore, a esigere uno sprazzo di felicità interrotta a dodici anni quando ancora ragazzini erano inseparabili e che per dei motivi legati alle esigenze dei genitori avevano intrapreso scuole differenti perdendosi così di vista. Anche lei figlia unica.

Ma cosa c’è davvero a sud di quel confine?
Una infinità di spazi vuoti da colmare o lasciarli come sono?
E’ possibile tornare indietro e azzerare tutto e ripartire da zero?

…intanto suona Star crossed lovers… di Duke Ellington e Billy Strayhorn
”amanti nati sotto una cattiva stella”

“Gli esseri umani a volte sono destinati, per il fatto solo di esistere, a fare del male a qualcuno.”

Per buona parte della lettura è Haijme il protagonista della storia, con i suoi timori e le sue indecisioni, le sue storie sentimentali e le sue considerazioni lavorative, con dolcezza e con passione si innescano conflitti e desideri tra realtà e fantasia, la realtà dolce con la fantasia dolce-amara.
Un uomo Haijme affascinato dalla bellezza superficiale, quantificabile, ma nello stesso tempo profonda ed assoluta e che ama molto quell’indefinibile sensazione trasmessa delle donne con passione e determinazione. Ma per tutto ci vuole la chiave giusta, Haijme ha tutto ma gli manca la chiave per aprirsi e far esplodere il suo intimo sentimento, fino a quando non tocca il fondo e risalendo il confine non la trova e si apre alla felicità.

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gracy Opinione inserita da gracy    25 Giugno, 2013
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E risposero echi di storie diverse…

L’attesa dell’ultimo romanzo di Hosseini è stata finalmente ripagata!
Pubblicato dopo sei anni dall’ultimo “Mille splendidi soli” che conservo con il ricordo di una preziosa e indimenticabile lettura, “E l’eco rispose” diversamente non ha soddisfatto appieno il mio palato abituato a sentire narrare le storie da una terra lontana, arcaica e ricca di contraddizioni come l’Afganistan. Dopo le storie strappalacrime di violenza sulle donne e sui bambini pensavo di trovarmi un Hosseini più maturo, più eccelso dal punto di vista stilistico, dei contenuti e un maggiore approfondimento delle tematiche legate alla sua Afganistan, praticamente meno impacchettato e infiocchettato.
La lettura di “E l’eco rispose” è molto soave, curata, semplice e molto lenta, parte da una storia del passato dove un cattivo “div” ha stabilito che una famiglia si disgregasse per arrivare all’epilogo di un presente che lenirà le loro ferite con sprazzi di gioia e di conciliante serenità. Nel mezzo della storia iniziale, molto intima, elegantemente descritta senza accoramenti si dipanano le storie di altrettanti uomini e donne che vivono le loro esistenze seguendo dei canoni imposti dalla società e contemporaneamente ad esse si intrecciano le scelte di chi ha voluto soddisfare la propria sete di vita attraverso canoni meno ortodossi, tutte storie legate dall’eco del proprio dolore e dalla stessa discendenza.

E’ il caso di Nila, afgana e francese, emancipata poetessa erotica, alcolizzata e problematica che vive sull’eco delle sue insoddisfazioni.
Oppure la deturpata Thalia (il personaggio che più mi ha commosso) che attraverso Markos vive l’eco della vita che avrebbe voluto vivere.
Abdullah e il padre che vivono l’eco dei loro giorni in balia della perdita di Pari.
Pari cresce e mitiga il distacco della madre attraverso l’eco di amare Julien e l’eco delle sue radici.
Il ricco Whahdati che anela la sua serenità attraverso l’eco della presenza fedele del suo servitore.

“Conosco una fatina triste
Che una notte il vento ha portato via con sé.”

Dunque niente sangue e niente bombe su Kabul, che appare quasi eterea, quasi assente, come se la guerra, la corruzione e la sua ostile avversione verso il mondo è solo il frutto di un ricordo quasi dimenticato e raggiungono le pagine di questo libro come un leggero eco quasi poco percettibile.

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gracy Opinione inserita da gracy    21 Giugno, 2013
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Ti presento Ksenia, la tua sposa siberiana.

" La vendetta è come la caccia. Richiede freddezza. E una paziente strategia. In piú, nella vendetta non c’è limite alla fantasia. Usala."

Che le donne sono vittime degli uomini non è una novità e questa spiacevole affermazione la ritroviamo in ogni angolo di mondo, su ogni stralcio di giornale, su tutti i telegiornali e talkshow…
Che brutta cosa che sto scrivendo! E’ davvero una brutta affermazione e buttata così con parole quasi afone è davvero fastidiosa.
Questo non è l’effetto che mi ha suscitato una volta iniziata e finita la lettura di questo libro.
Mi ha riportato alla memoria le peripezie e le violenze che ha dovuto subire Laila in una lontana e retrograda Afganistan in “Mille splendidi soli”, perché alla fine ha prevalso la vittoria di questa donna e il riscatto alle angherie, grazie alla sua tenacia e alla calda penna di Hosseini. O alle imprese dell’indimenticabile Lisbeth Salander, che da sola tesseva spietate vendette, fin troppo caldeggiate dalla penna di Larsson.

“Le vendicatrici” è un ciclo di romanzi sui soprusi inferte alle donne, Ksenia è il primo romanzo e il riscatto di Ksenia, Luz, Sara ed Eva avviene seguendo una logica raccapricciante, commovente, fredda, scalpitante, agghiacciante, metodica e sorprendente, perché il mostro non è solo l’uomo dominatore che tiene la donna al guinzaglio corto, ma anche la donna, quella forte, ricca, malata, pazza e in questo episodio si chiama Assunta.

Massimo Carlotto e Marco Videtta hanno creato un libro carico di emotività, hanno messo dentro un bel po’ di cronaca nera: una ragazza siberiana venduta a un finto principe azzurro, una bella latino-americana che pur di fare tanti soldi si prostituisce, una moglie frustrata perché il marito ha sperperato il patrimonio alle slot-machine e una misteriosa spygirl tutto fare. Tanta carne al fuoco che ci riporta a storie di sottomissioni, stupri, perversioni da un lato e l’ambizione a rischiare tutto con la vendetta personale dall’altro.
Incredibile narrazione empatica e diretta, dai contenuti violenti che si snocciolano con piccoli pugni nello stomaco e come sottofondo Roma del centro storico e dei quartieri per bene visti da un’altra ottica, quella degli strozzini, degli sfortunati sotto le grinfie dei taccheggiatori più infami…una Roma stupida, beffeggiata, oltraggiata e corrotta.

Carlotto è sempre stato un bravo scrittore quando si è trattato di raccontare le storie più estreme sulla violenza quella profonda, quella dell’uomo visto nell’intimo più oscuro, quello in grado di commettere atrocità alienabili e senza scrupoli, anche questa volta, in un contesto nuovo si è dimostrato di essere all’altezza, mantenendo alto il livello di suspance e di sentimenti autentici come l’amore e l’amicizia, dando voce alle donne deboli destinate ad essere ingurgitate e digerite, che risalgono dagli inferi grazie alla tenacia, ribellandosi agli strozzini con le loro forze, dove le indagini poliziesche si limitano a fare da contorno.

“Prendere le bestie coi lacci, accerchiare coi cani ampie radure…è questo quello che dobbiamo fare.”

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Noir, Carlotto e non solo...
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gracy Opinione inserita da gracy    11 Giugno, 2013
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La colpa è dell’uomo! Libera nos a luame…

Un autore che racconta la sua città è la dimostrazione dell’amore che lo lega alla storia, alle conquiste e alle sofferenze che nel tempo si sono intervallate per la crescita e l’affermazione in tutti i campi della propria gente. Perissinotto è torinese ed ama la sua Torino, la ama in toto e lo fa mescolando storie di torinesi che respirano il profumo dell’aria satura di progresso, rendendola industriale e artificiosa, che con il suo spirito ha cambiato la natura dei suoi abitanti. Una città importante, che è stata amata e odiata nel tempo.
“Le colpe dei padri” credo che rappresenti l’opera più importante di Alessandro Perissinotto, per le sue peculiarità a far incontrare le storie degli operai nel contrasto di una complessa struttura che ha dimensioni mondiali.

La chiave di lettura è la sindrome di Stoccolma, il carnefice è la grande industria che lascia un grande vuoto profondo quando abbandona il lavoratore a se stesso rendendolo vulnerabile e depredato della sua identità, per capire la crisi odierna e il cinismo delle strutture industriali di oggi bisogna ricordare inesorabilmente il passato: il dopoguerra, le rivoluzioni sindacali, gli anni di piombo, il terrorismo e le Brigate Rosse.

La storia privata del personaggio principale Guido Marchisio/Ernesto Bolle si inserisce nella storia sociale in modo molto avvincente e credibile, attraverso un ricordo, un flash-bulb e alcune circostanze fortuite, la vicenda si snoda con una suspance che ti tiene attaccato alla pagina e ti culla con uno stile e una narrazione molto appassionata ed ad alti livelli.
Il padre è la fabbrica che genera il lavoro e la ricchezza, il padre è chi genera figli che diventeranno uomini, entrambi hanno l’indole di fare il bene con naturale istinto, eppure finiranno a far emergere le smagliature e a divenire colpevoli e carnefici, è molto sottile la linea di demarcazione dell’arbitrio tra responsabilità e irresponsabilità.

Guido come Ernesto sono l’antitesi di Torino nella sua essenza: il ricco e il povero, il potere e la lotta….bisogna attendere di leggere le ultime pagine per capire il bene e il male e i loro confini fino a dove possono arrivare e fino a che punto si insediano e muoiono le colpe dei padri.

“Superior stabat,lupus, longeque inferior agnus”

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Tra i dodici finalisti, al momento è il libro più acclamato della critica e domani 12 giugno sapremo se continuerà la corsa per la finalissima del Premio Strega 2013
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gracy Opinione inserita da gracy    08 Giugno, 2013
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Kingland…wonderful!

Apprendere la notizia che a breve esce l’ultima fatica di King è sempre un evento che il lettore vive come un bambino che vuole andare nel magico mondo di Disneyland, nel paese delle meraviglie di Alice, nel nostrano Gardland … oppure a JOYLAND, in balia di trepidazione e aspettative, sapere che in Italia è uscito in contemporanea con gli Stati Uniti, il Canada e la Gran Bretagna, rende l’evento ancora più appetibile.

Benvenuti nel magico mondo di Joyland, che la meraviglia abbia inizio!

Devin Jones, raggiunta l’età senile, racconta l’esperienza vissuta nell’estate del 1973 lontano dal Maine, quando in attesa di frequentare l’università si appresta a cercare un lavoro estivo e trova una collocazione a tempo pieno presso il parco giochi più grande del Nord Carolina sulla costa, Joyland appunto. La storia comincia con una narrazione che subito ha fatto presa, Devin è un personaggio bello, positivo, intelligente e molto vitale, riesce ad entrare in perfetta sintonia con tutti i lavoratori del parco comprese tutte le varie peripezie che lo cambieranno dopo quell’occasionale lavoro stagionale. Aleggia il mistero certamente, ma in maniera quasi palpabile e prevedibile, la componente magica è legata alle profezie dell’indovina rumena della baracca dei tarocchi e alla giostra della casa degli spiriti, niente di più scontato.

Niente horror o scene raccapriccianti, l’adrenalina si smorza e finisci per apprezzare il lavoro della narrazione, almeno è quello che mi capita quando leggo un King-non-solo-horror. Il suo modo di narrare è certamente il punto di forza, ha uno stile inconfondibile, non è un RE solo nel nome lo è anche perché nel suo genere non è secondo a nessuno. King è il maestro delle lunghe narrazioni, lente e a volta anche sfiancanti, ma in questo ultimo lavoro, più breve rispetto ai precedenti, arrivi a metà lettura e pensi “che lento”, poi si ingrana la marcia e si decolla sulle montagne russe. Il tono e gli intrecci che si susseguono rimangono pacati ma succulenti. I personaggi appaiono quasi ovattati e facili bersagli per essere etichettati come deboli, ma non fai tempo a pensare questo che King subito dopo ti bacchetta col proporti la sua sensibilità sulle malattie, sull’amore sincero, sulla positività e la grandezza dei gesti coraggiosi e ricci di sentimento. Non è la sua migliore opera, ma ti lascia il segno dopo averlo finito di leggere. E’un maestro che sa dosare l’orrido e il cuore, l’ironia nelle similitudini sulla Oates, sui Pink Floyd, sui Doors, sui favolosi anni 70 a cui King è molto legato sono ottimi ammortizzatori che tra una storia e un’altra li infarcisce come la senape sull’hotdog, non c’è niente da fare, lui è il Re, anche quando scrive un semplice giallo deduttivo.…diffidate dalle imitazioni.

NOTA. Il traduttore, Giovanni Arduini, che è una persona simpaticissima e che si è molto appassionato alla traduzione è stato molto coerente al testo originale(tradurre un americano con i suoi intercalari non è cosa semplice), quindi appena vedrete il conio della Parlata (citata nel libro) di parole come “frollocconi”, “cacatanto”, non è colpa del traduttore, ma sono espressioni volutamente inserite dall’autore.

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Sono molto di parte, per questo anche uno dei peggiori critici. CONSIGLIATISSIMO A TUTTI
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gracy Opinione inserita da gracy    31 Mag, 2013
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Alice, il Bianconiglio e la corsa contro il tempo.

Forum “lospaziorosa.com”

Cara Lucedelmattino

Leggere le pagine del tuo libro è stata una delle cose più dolorose che mi siano capitate negli ultimi tempi, il tuo modo di scrivere e narrare un’argomento così difficile, così inspiegabile, così maledettamente intimo, con la naturalezza di chi parla tra le nuvole del proprio inconscio e le trasmette con parole soffocate nei meandri della mente, per poi inghiottirle e metabolizzarle con gli intestini assorbendone a piccole dosi in tutta la loro sostanza.
Non è una cosa semplice mettere a nudo l’intimità segreta, non tutti ne sono capaci, bisogna avere una sensibilità davvero spiccata e la consapevolezza di elaborare i contenuti e le motivazioni delle scelte seguendo un ordine ben preciso di quello che realmente vogliamo e di quello che siamo.
L’aborto è una condizione che fa tremare, fa scuotere le coscienze e fa secernere lividi e perbenismi più bigotti che pensati e viceversa, per carità non entro nel merito specifico e non sentenzio le scelte di nessuno.
Penso che alla base di tutto debba starci il coraggio. E’ il coraggio che spinge ad affrontare le scelte, un coraggio che in entrambe le situazioni lascia lo spiraglio al pentimento, subentra sempre quel “se”; se fosse nato…se non fosse nato… se non avessi fatto quell’esame….. se ho fatto l’esame è perché…

Ecco, perché?

La vita dovrebbe essere la gioia e il rinnovarsi di quello che più ci piace, tenere in braccio un bambino sano è il desiderio di tutti, è naturale , eppure è la cosa più egoistica che vogliamo se ci fermiamo un attimo a pensare che esistono malattie congenite gravi e irreversibili, la perfezione che agogniamo ci ricambia con questi inghippi, queste magagne che si insidiano nelle famiglie e le fagocitano fino alla fine dei loro giorni. Ma la natura ha fatto le cose davvero perfette,la naturalezza di un genitore che ama il figlio è una cosa che nasce da sola e a conti fatti si vive la vita così come sboccia, col dolore e con la gioia assieme…e il tempo intanto passa e noi cambiamo assieme a lui.

“Siamo ancora noi. Frammenti di un mosaico incapaci di incastrarsi ma che in qualche modo restituiscono alla perfezione l’immagine finale.”

Anch’io cara Luce mi sono sentita maciullata, passata al tritacarne e mi sono persa nella nebbia, aspettavo come un ebete una conferma ed ero completamente insicura e spaventata, mi rifiutavo di pensare alla scelta del sentiero ignoto da intraprendere, mentre rimanevo ancorata nell’asfalto preferivo accarezzare il tarlo più che farlo mio, alla fine sono stata accolta tra i privilegiati, ho ricevuto la grazia di non dovere scegliere. E’ nata prematura, ma sana.

-Credevo fosse una cosa naturale?
-Che cosa?
-Fare un bambino.

gracy

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gracy Opinione inserita da gracy    29 Mag, 2013
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Da una lacrima sul viso...

Grazie Chbosky
per aver scritto un bel libro che riporta sicuramente la mente lontana negli anni, quando tutto sembrava un mondo da osservare, da scoprire, da odiare, da amare, dove tutto era infinito.
Mi hai fatto ricordare le incertezze e le debolezze dell’adolescenza, i pensieri e i percorsi che accomunano un po’ tutti quanti, tutti siamo stati giovani e intraprendenti. Chi più e chi meno ha avuto un rapporto difficile tra coetanei, tra i fratelli e i genitori, dove le personalità con le esperienze si sono formate e hanno trasformato i giovani in adulti.
Mi hai ricordato tante cose che anch’io facevo da adolescente e che magari osservavo fare agli altri, vale tra tutti quel bel riferimento della voce dal telefono cordless della madre di Sam che ricordava le mamme dei Peanuts…Wah Wah ….Wuh.

Grazie per aver dato voce a Charlie, che ha scritto tutto il libro sotto forma di diario, un ragazzo geniale, quasi perfetto nella sua diversità, così etereo e intelligente da riuscire a cogliere tutti gli aspetti e le situazioni e a dare vita a una sorta di raziocinio pacato, discreto e mai urlato, attraverso un atteggiamento compatibile con i mezzi a disposizione di un adolescente che vive il suo tempo in balia di forti sentimenti ed emozioni.

Grazie per aver reso godibile e piacevole questa lettura fresca e scenografica, che mi ha ricordato per certi aspetti “Jack” della A.M.Homes che però devo dire mi ha colpito e impresso di più per i contenuti e lo stile.
In confronto Jack vince su Charlie…ma è solo il mio parere per come vanno narrate e vissute le storie dei giovani.

E’ stato un piacere Chbosky averti letto…quando potrò vedrò il film.

A presto.

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...mi viene in mente “Jack” di A.M.Homes
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gracy Opinione inserita da gracy    26 Mag, 2013
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Un posto in panchina anche per me!

Seduto con le mani in mano sopra una panchina ad aspettare il padre misteriosamente scomparso, Malcolm ci proietta in un fantastico mondo fatto di eventi strani, inciuci bislacchi e dialoghi quasi metafisici. L’incontro con l’astrologo Mr Fox, col nanetto Kermit, con un gestore di pompe funebri, con un ex-galeotto, con i coniugi Gerard, con Melba e tutti gli altri personaggi quasi circensi, ridicoli, rapaci e buffi sembra quasi mettere in scena la metafora della ricerca della purezza, dell’autenticità dei sentimenti, della fragilità dei comportamenti nei rapporti interpersonali, utilizzando l’arma della seduzione e del convincimento su basi surreali.

Malcolm è troppo giovane, conosce poco la vita è praticamente inesperto, quindi è un puro, è un ragazzo autentico, solitario, ingenuo e davvero bello fisicamente. E’ una creatura perfetta, quindi è una preda appetibile che tutti vogliono come figlio, come amante, come amico, come compagno, come marito.

Chi non è attratto dalla semplicità e dalla purezza? Chi non può resistere di fronte all’innocenza e alla bellezza?
E’ difficile sottrarsi alla perfezione e a ciò che davvero fa piacere avere accanto.
Gli uomini cercano queste qualità, la bellezza profonda, intesa in senso lato e in senso stretto, perchè è quello che mette armonia, quello che da pienezza e soddisfazione perché rappresenta anche il vuoto che è più facile plasmare a proprio piacimento.
Fino a che punto Malcolm partecipa a queste condizioni di appartenenza? Fino a dove si spinge la sua volontà e la sua acerba personalità? Fino a che punto Malcolm si proietta verso la società che lo svezza per affrontare il futuro?
…..Ma Malcolm è cresciuto veramente?

“Vede, la mia difficoltà è che non riesco ad avere nessuna opinione di me stesso. Mi sembra quasi di non esistere.”

Con Malcolm, James Purdy ha creato una recita teatrale, un burlesque che ha tinte sbiadite, grottesche e divertenti, ma a chiusura del libro ti aspetta al varco e sembra che da una panchina ti osserva facendoti un ghigno, come per dirti “Caro lettore non te lo immaginavi, è qui che ti aspettavo!”

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"Il nipote" dello stesso autore ha un altro spessore.
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gracy Opinione inserita da gracy    23 Mag, 2013
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Per non dimenticare...

“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno.”

Oggi è il ventunesimo anniversario dell’attentato di Capaci e voglio ricordarlo prendendo spunti da questo libro che parla molto dell’uomo che era Giovanni Falcone. Non esistono mafie, soprusi, omertà, prevaricazioni e sfrontati poteri politici di fronte a un uomo meritevole del nostro tempo, che ci ha lasciato una testimonianza che non andrebbe dimenticata.

Per non dimenticare un grande lavoratore capace e ironico.
“Non sono Robin Hood, ne un kamikaze e tanto meno un trappista. Sono semplicemente un servitore dello stato in terra infidelium”.

Per non dimenticare l’ottimismo di un uomo che auspicava la vittoria finale avvalendosi della certezza che lo Stato ha i mezzi per sconfiggere la mafia, ma non lo Stato ideale e immaginario, ma questo Stato, così com’è.
“Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.”

Per non dimenticare un Magistrato da manuale, un servitore dello Stato che dà per scontato che lo Stato debba essere rispettato. Paradossalmente, cercando solo di applicare la legge si è trasformato in un personaggio disturbante, un giudice che dà fastidio, un eroe scomodo. Dotato di una straordinaria capacità di lavoro e di una memoria di elefante, ha saputo sfruttare in modo intelligente la polizia. Si è circondato di persone qualificate. Si è dimostrato rigoroso all’estremo nell’esercizio del suo mestiere di inquirente: senza mai colpire obiettivi vaghi; senza mai imbarcarsi in alcuna iniziativa di cui non si fosse assicurato il successo; senza mai entrare in polemica personale con un presunto mafioso….niente sguardi di intesa, niente rapporti basati su tu, ma nemmeno insulti: devono rendersi conto di trovarsi di fronte allo STATO.

“-Signor Coppola che cos’è la mafia?
-Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia…”

Calati juncu, ca passa la china…

Io non dimentico.
Grazie Giovanni.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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gracy Opinione inserita da gracy    20 Mag, 2013
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Generazione di fenomeni...

I giovani sanno tutto su Guglielmo Scilla, meglio conosciuto come Willwoosh sul canale Youtube che vanta parecchie milioni di visualizzazioni, praticamente una star indiscussa della rete. Noto conduttore radiofonico, blogger, attore ed anche giovanissimo scrittore. Tutto acquisito in poco tempo!

La stesura di questo libro è durato parecchi anni, è stato scritto nell’arco di dieci anni, era praticamente ragazzino quando Scilla ha buttato le basi di una semplice storia che poi ha modificato e plasmato nel tempo dando solidità a tutta la struttura, mantenendo costante il messaggio di fondo sulla morte e sull’amicizia.
La storia è parecchio lunga, abbastanza articolata, concentrata di personaggi e primo fra tutti spicca il sedicenne Daniel, il protagonista che compare prepotentemente fin dall’inizio con la sua bella famiglia allargata. Daniel, assieme ad altri nove coetanei partecipa al Palio delle Fiamme del suo paese, un’avventurosa gara in costume fatta di ostacoli, dove un solo partecipante ne uscirà vittorioso.
Daniel muore, incidente o omicidio?...
Poco importa, perchè il trapasso dalla vita alla morte lo proietterà a Dyuturna, la città dei morti e vivrà in balìa di altre figure fantastiche, mitologiche, tra lucciole che inforcano le maschere di luce, tra giudici bislacchi, tra gargoyle mefitici e sorrisi di Proserpina. Daniel vuole ritornare a vivere sulla terra, ha assistito impotente anche al suo funerale….riuscirà nell’impresa?
Di certo Guglielmo ha veramente tanta fantasia e non gli mancano le parole, che infatti utilizza davvero bene, infarcendo di tanto in tanto anche rudimenti filosofici.
Peccato che però la mia sensazione è quella di aver letto un libro ricco di tante cose che però non mi hanno convinta, un po’ come aver dato tantissimo fiato a un kazoo senza dare la voce alle corde vocali….
Forse i giovani apprezzeranno questo fantasy quasi horror, è una questione di target ed io sono un po’ troppo fuori margine e non ho colto la sua anima e non mi sono lasciata “ingannare”.

“La paura è il metro delle scelte importanti. Se non provi paura, è perché la tua scelta non è importante o non stai scegliendo affatto.”

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Gialli, Thriller, Horror
 
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gracy Opinione inserita da gracy    17 Mag, 2013
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La katana e la poesia

Giappone, sedicesimo anno dell’Imperatore GO-Yozei (1630)

La mia curiosità di scoprire nuovi gialli e nuovi autori mi ha portato a conoscere Dale Furutani, e questa scoperta è stata davvero piacevole, non solo per l’ ammirevole capacità dell’autore di costruire un buon giallo senza pretese, ma di contemplare un Giappone dell’epoca ricco di contenuti legati all’ambiente e alle tradizioni che sicuramente affascinano e non lasciano indifferenti il lettore, specialmente se si ama la cultura e le tradizioni del Sol Levante.
“Agguato all’incrocio” è il primo di una fortunata trilogia.

Partiamo dal giallo…

Il protagonista è Matsuyama Kaze, un Samurai ronin (samurai senza padrone) che va errando per le strade del Giappone alla ricerca della figlia dei suoi signori uccisi dai mandanti del nuovo Shogun, casualmente si imbatte in un cadavere proprio all’incrocio tra quattro strade, gli è bastato osservare le vesti e la manifattura della freccia che ha ucciso il malcapitato per capire che il mistero era legato alle vicende di quella località tristemente nota per la povertà riconducibile ai soprusi di una banda di malviventi, a un magistrato prepotente, a un signore del luogo raffinato cultore ma incapace di governare e alla presenza di fantasmi e demoni menzogneri.
Kaze mi ha ricordato tanto Itto Ogami,il Samurai del noto telefilm “Samurai”, affascinante, intelligente, saggio, elegante, capace di utilizzare come pochi la spada katana. Per temperamento ed educazione, Kaze era dotato di una pazienza superiore alla media e grazie al suo fiuto e all’attenzione a tutto quello che lo circonda, senza test di laboratorio, impronte digitali e intercettazioni telefoniche. La bellezza e la bravura è proprio nelle indagini scrupolose e non scontate.

Arriviamo al Giappone del 600…

“Kaze pensava che l’onore fosse come il vento. E’ invisibile, eppure lo senti dare uno strappo alla tua coscienza e costringi a prendere una direzione diversa da quella che avresti scelto. L’onore non smette di sferzarti finché non ti pieghi al suo volere”

Il giallo di Furutani si tinge di altre tonalità che gli danno più spessore, a partire dagli haiku profetici all’inizio di ogni capitolo, alle descrizioni accurate dei modi di fare dei contadini, dei nobili, riservando uno sguardo alla storia legata alle guerre civili del 600, alla condizione delle donne e dei bambini, fino ad arrivare al linguaggio poetico che cattura i paesaggi ricchi di colori e profumi, tra kimoni, danze noh e i rituali di una spiritualità affascinante.

“La vista del Fuji-san all’alba è lo spettacolo più bello che si possa immaginare. Guarda! Vedi la neve come diventa rossa al sorgere del sole? La cime del monte è tutta avvolta di cremisi!”

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gracy Opinione inserita da gracy    15 Mag, 2013
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Il carosello di Ubique, accorrete comprate Ubik…

Affascinata, ammaliata da questo psichedelico viaggio intorno a un mondo fantastico che mi ha letteralmente rapita e come in uno spot pubblicitario il messaggio subliminale mi ha condotto in un mondo ricco di avventure, una corsa incalzante per superare le trappole mortali, una vera e propria lotta contro il tempo, tanto mordente e tanto stupore per conoscere Ubik.
Un mondo fatto di agi che funzionano solo inserendo monete, di gratis c’è davvero poco.
Da questo momento in poi porterò sempre dietro delle monetine per aprire la porta di casa del mio "condappartamento", per accendere il forno della cucina, per aprire i rubinetti, per usare il tostapane, per guardare la tele e porterò sempre una bomboletta spray Ubik….non si sa mai!

Ma Ubik cos’è?

Ubik è un balsamo per capelli, un istituto di credito, un caffè tostato, un elettrodomestico,un germicida, un sacchetto di plastica per cibi,un reggiseno anatomico, un deodorante, un decongestionante….

CAVEAT EMPTOR. Clienti state attenti!

Ubik è…
E’ la quintessenza della merce e dunque il nucleo allo stato puro dell’ideologia capitalistica americana.
E’ la sostanza divina che come l’olio unge il capo è come lo sperma della balena Moby Dick, serve a nascondere la realtà ultima della morte e della distruzione.
E’ la sostanza sfuggente di cui è fatta non solo la fantascienza, ma la letteratura in senso più generale.
E’il demiurgo…è l’ubiquo…

La storia è ambientata nel 1992 e contemporaneamente nel 1939, parallelamente si svolgono una serie di eventi legati al decadimento e alla regressione del mondo, ormai considerato un cespite obsoleto, il presente e il futuro si rincorrono assieme alla vita e alla morte a colpi di talenti e non talenti, di psi, precog, moratorium svizzeri di lusso, telepati, macchine omeodiane, individui inerziali, sbronze di papapot e tanta voglia di andare al Kibbutz di Topeka!

"Da quando in qua hai bisogno di droghe psichedeliche per allucinarti? Tutta la vita è un'allucinazione a occhi aperti."

Non sto delirando è tutto quello che Philip K. Dick ha coniato nel 1969 pubblicando Ubik, per delineare il mondo che nasce dalla percezione legata all’effetto delle anfetamine che andavano di moda in quegli anni. Dick è un genio assolutamente lucido e brillante che ha fatto incontrare la fantascienza con la letteratura postmoderna.

Sono salita sull’astronave “Disfatta II” e assieme a Joe Chip, Al, Pat, Rungiter, Ella e il troll Jory ho vissuto la missione su Luna e assieme a loro ho visto i flashback spazio-tempo e mi sono sempre cosparsa di una spruzzata di buon Ubik d’annata per esorcizzare la morte, li ringrazio tutti infinitamente perché mi hanno fatto vivere un’avventura che difficilmente dimenticherò.

Ubik è…lo scoprirete solo leggendo!

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gracy Opinione inserita da gracy    12 Mag, 2013
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She don't lie, she don't lie, cocaine

Cantava così nel 1977 Eric Clapton, “lei non mente, cocaina.”
Nel 2013, più che cantare ci ritroviamo a fare i conti con la cocaina, lo stupefacente che ce l’ha fatta sull’LSD e sull’eroina, esistita da sempre è ancora sulla cresta dell’onda, a far navigare nell’oro i narcotrafficanti, a mettere a posto i bilanci degli Stati nel mondo e a far naufragare gli uomini nel baratro della dipendenza e della perdizione fino alla morte dell’anima della nostra ingegnosa e avanguardistica società. E’ illegale maledizione, eppure circola e pure tanta e il giro è fitto tra tutti noi, senza esclusione di ceto, di credo, di salotto culturale, basta un tiro e lei scalda il cuore, le menti di quanti si lasciano sedurre da un attimo di felicità, effimera crudele e ignobile morte travestita di felicità.

Da qualche mese in Italia è tornato di moda parlare della droga e della sua ignobile collocazione nella vita quotidiana, da Saviano che ha intessuto il suo ben argomentato reportage fino a tre autorevoli scrittori come Carlotto, Carofiglio e De Cataldo che lo fanno nel modo più straordinario che sanno fare, quello di raccontare storie di fantasia, piuttosto raccapriccianti, che turbano e che fanno riflettere.

MASSIMO CARLOTTO. Ci riprova con un racconto ambientato nel Nordest, nella Padova dei malavitosi con le indagini dell’ispettore Campagna. Corruzione e colpi di scena dal finale aperto che non lascia molti spiragli all’immaginazione. Un Carlotto che non ho trovato al massimo dei suoi livelli. Ma pur sempre sopraffino nell’immedesimarsi in quei contesti che ritraggono uno spaccato poco conosciuto dell’ illegalità.

“Era proprio vero che la droga la sniffavano tutti, ricchi e poveri, laureati e ignoranti. Ma erano le aspettative che facevano la differenza.”

GIANRICO CAROFIGLIO. Credo che abbia creato uno dei più eleganti dialoghi col suo racconto “La velocità dell’angelo.” Scritto divinamente, con pathos e trasporto narra la storia di una donna intelligente che si lascia sedurre dalla perdizione, dalla follia nel nome della droga. Il più bello di tutta la raccolta.

“Non correre più veloce di quanto il tuo angelo custode non sia capace di volare.”

GIANCARLO DE CATALDO. In poche pagine ha racchiuso una rocambolesca storia che vede protagonisti un bel po’ di narcotrafficanti che hanno le loro reti di smercio in tutto il mondo, dalle piantagioni in Messico dei “campesinos” fino ad arrivare in Italia al soldo della ‘ndrangheta’, senza risparmiare nessuno. Avvincente e scalpitante fino all’ultimo bossolo sparato per un prestigioso conto in banca e per il desiderio di un attimo di gioia pura e candida come lei, la signora cocaina.

“Quale sarebbe il vantaggio?
- Entrare direttamente nel mercato europeo.
- L’Europa non conta più un cazzo.
- L’Europa forse no, ma gli europei come noi contano eccome, senor Rubio.”

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gracy Opinione inserita da gracy    10 Mag, 2013
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Le cronache di un uccello-giraviti

Ci sono fiabe che raccontano di uccelli incantatori, uccelli di fuoco, uccelli d’oro, cigni e anatroccoli e c’è la fiaba di Murakami che racconta dell’incantesimo dell’uccello che girava le viti del mondo.
Per più di 800 pagine Murakami, con lo stile mellifluo, cadenzato e coreografico mi ha incantata, è lo stile Murakami, che semplicemente appartiene solo a lui, oserei dire unico nel suo genere, perché penso che finora un autore così originale, per come pone e racconta le storie con una prosa senza pretese e ricca di dedizione, personalmente finora non l’ho letto.
Sfoglio le sue pagine, mi abbandono e ascolto la sua musicalità, senza nessun disappunto.
Leggere questo libro è stato come lievitare, attraversare a piedi nudi e al buio un mondo fantastico, fatto di storie che si intrecciano, buffe, scollegate e improbabili e poi trovarmi nella tela che è stata intessuta e scoprire un mondo fatto di collegamenti e giri di pensieri e parole che hanno un filo logico quasi reale, quasi di appartenenza, di grandiosa ricchezza che a parole non so spiegare.
La lettura scorre soave, semplice e con tutte le perplessità, ma Haruki si sa, ci ha ormai abituati a questi mondi fantastici....orecchie di ragazze pelose, modi di concepire e fare sesso che appartengono ad altre dimensioni, un uomo che si licenzia dal lavoro per motivi che solo un giapponese potrebbe spiegare, un gatto che scompare e che misteriosamente diventa il fulcro di telefonate strambe, una cravatta a pois dimenticata in lavanderia e poi Kumiko che scompare nel nulla.

“Qualcuno chiamava qualcuno.
Qualcuno cercava qualcuno.
Una voce che non si faceva voce.
Parole che non si facevano parole."

Malta e Creta che si incuneano nella vita del vero protagonista Toru Okada, uomo-chiave che trascina tutte le altre storie come incantato, Toru impersona l'uccello-giraviti, perchè ad ogni cinguettio segue una vita che gira e che lo coinvolge nelle storie di questi personaggi quasi eterei, che compaiono e scompaiono senza tanti preamboli e particolari atteggiamenti empatici.
Case abbandonate, May sedicenne sola e in balia di una vita fuori dagli schemi, una vita coniugale senza slancio, un profumo di Dior di troppo, pozzi prosciugati che si intervallano dietro l'angolo della sua casa e in una lontana Manciuria nel corso della guerra e l’abbattimento di uno zoo....coincidenze?

Uccello giraviti….dove sei?

Intanto si ascolta in sottofondo un orchestra che suona ad intervalli “La gazza ladra” e “Il flauto magico”.

“Le lacrime cadevano rumorosamente una dopo l’altra nella pozza di luce bianca della luna, e vi si mescolavano come se in origine fossero venute di lì.
Cadendo,brillavano nei raggi lunari, come cristalli meravigliosi. A un certo punto mi sono accorta che anche la mia ombra stava piangendo.
L’ombra delle lacrime era nitidissima.
Hai mai visto l’ombra delle lacrime,signor uccello-giraviti?”

Ed io rimango lì da sola, in un pozzo che dapprima era prosciugato e che pian piano si è riempito travolgendomi, quasi soffocandomi.

Grazie Haruki.

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gracy Opinione inserita da gracy    08 Mag, 2013
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Prendi una donna trattala male…

Mildred Pierce, pubblicato nel 1941 è il frutto di un’elaborazione di James M. Cain, scrittore giornalista e scenografo statunitense che ha voluto rappresentare, attraverso la tenacia e le vicissitudini di Mildred, il rovescio della medaglia del sogno americano negli anni trenta, un incubo raccapricciante che al risveglio vede in faccia e scruta in profondità i dannati, le vittime della propria intraprendenza e della subordinazione al lavoro di chi vuole sfondare il lunario e migliorare il proprio stato economico e sociale.
Vittime e carnefici che si rincorrono e si fanno male, il male fisico e il male dell’anima.
Mildred è una giovane donna che non si arrende di fronte al tradimento del marito e alla bancarotta, si scalda le mani e si butta nella ristorazione, costruisce quasi un impero e se da un lato i suoi conti aumentano, dall’altro rimane radicata nella sua indole di “donnina” che non riesce ad odiare a piangersi addosso, nemmeno di fronte alla sua consapevole e sofferta presa visione di donna-bancomat come diremmo oggi.
Madre premurosa verso le figlie, soprattutto è legata a Veda la maggiore, ragazza difficile e conturbante che si accanisce sulla madre come un demone, un attaccamento deleterio e morboso che porterà la nostra Mildred a toccare il fondo fino all’apoteosi di una spietata sconfitta.

«Il suo unico delitto, se ne aveva commessi, era di aver amato troppo quella creatura».

Mildred si ama da subito e contemporaneamente commette alcune sciocchezze che verrebbe voglia di scrollarla e cantagliene quattro, è difficile metterla in guardia da un bel po’ di gente spendacciona che le sta accanto e che la ama per quello che ottiene dal sudore del suo lavoro, perché ha belle gambe voluttuose, perché cucina divinamene il pollo fritto con le cialde e sforna la miglior crostata di mirtilli di tutta la California.

Ma Mildred è solo questo?

La lettura è fluida, scorre veloce quasi ipnotica, nella mente mi sono passati molteplici pensieri perché aleggia il sapore della suspense e del dramma imminente, lo sfondo dell’America di Roosevelt e della Depressione sono solo accennati, il punto di forza sono i dialoghi perfetti, quasi teatrali, i personaggi impeccabili nel loro ruolo e naturalmente fino alla fine si tifa per Mildred e per il suo riscatto per una giustizia degna di chi ha sacrificato la propria vita per gli altri.

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gracy Opinione inserita da gracy    05 Mag, 2013
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Un granello di polvere per ogni sogno infranto

Se da un lato l’America del dopoguerra era in pieno fermento “Gioventù bruciata” e Kerouac con la sua prosa on the road sbaragliava l’America della Beat Generation, nel 1982 Brautigan ormai dimenticato dall’America che lo aveva osannato decenni prima e a un paio di anni dal suo suicidio, fa rivivere in un racconto quello che rimane del sogno americano e quello che lascia dentro l’anima di chi è rimasto a costruire l’America di oggi come appare agli occhi degli americani.
E’ attraverso gli occhi dei bambini che nascono i sogni, che maturando sono diventati uomini pensanti che si danno da fare e in seno alla sensibilità dell’età acerba si procreano i migliori pensieri di chi cresce nelle angustie di una vita travagliata fatta di povertà e carenze affettive.
Il "papermoon” dell’America che cresce i suoi figli a pane e polvere, sempre più impegnati a capire come funziona la vita, sempre più poveri e squattrinati ma ricchi di pensieri maturi. Gli indifferenti d’America.

“Prima che il vento si porti via tutto…
Polvere…d’ America…polvere”

Autobiografico e di una struggente e quasi ilare impronta, questo racconto racchiude il sogno americano di chi ha vissuto a cavallo della fine della guerra negli anni quaranta e vive nel sogno di cambiare la propria esistenza attraverso scelte dando la colpa alle sconfitte, ad un hamburger caldo e profumato mai comprato o al sole privo di qualsiasi freschezza o noioso verso il primo pomeriggio.
Poesia e sentimento, creati con l’armonia di chi soffre e che medita a mente lucida o obnubilata dall’alcool di farla finita con quel fucile calibro 44 che un giovane ragazzino impugnava a dodici anni, ma a quel tempo era normale vedere armi ai bambini, era da poco finita la guerra.
Narrarsi e profetizzarsi.
Ma accidenti, bastava acquistare un hamburger con quei soldi e non quella scatola di proiettili per quel fucile e la vita sarebbe stata diversa.
Intanto la vita continua e un jukebox canta una triste e romantica “Blue Moon”.

Ringrazio CUB assieme a Federica78 per avermi fatto conoscere Brautigan, autore quasi dimenticato che merita di essere letto.

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Letteratura americana contemporanea e a tutti!
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gracy Opinione inserita da gracy    03 Mag, 2013
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Quando il carnevale arriva senza avvisare

Il carnevale dei delitti è la prima parte di una trilogia che vede come protagonista il commissario Giordan, uomo pacato, dall’animo malinconico e dall’intuito sopraffino che spesso si avvale della complicità della giovane nipote quindicenne Gabriella, anche lei dotata quasi quanto lo zio di una solida capacità di riflessione innata e di arguti ragionamenti.
Siamo di fronte a un giallo, di quelli agghiaccianti, perché sono diversi gli omicidi efferati che si perpetrano in varie località d’Italia, tutte donne dotate di personalità diverse tra loro, uccise dalla stessa mano in modo semplice e senza tante azioni o elucubrazioni, unico indizio per ogni omicidio è la presenza di una maschera che viene adagiata sul volto delle malcapitate non per caso, ma secondo una perfetta logica legata a un filo conduttore ordinato e ben delineato, una maschera storica per ogni delitto. Abbastanza studiato il killer seriale che, malgrado la sua chirurgica perfezione a non lasciare indizi, mette a nudo la sua instabilità mentale nutrita dalla ricerca di redenzione e vendetta con la sola arma che conosce, la morte.

Bruno Elpis prima di essere uno scrittore è anche un appassionato lettore, si percepisce sin dalle prime pagine la sua sensibilità verso tutto quello che lo circonda e che abbraccia con lo sguardo in sintonia con i sensi ed è riuscito a trasmetterlo con tanta grazia e sentimento. Bellissime le descrizioni del lago di Como e dei paesaggi naturali di una delle zone più evocative che la nostra letteratura ci ha inculcato, sono descritte con perfetta armonia come pennellature di un acquerello, forse un po’ troppo semplice anche per l’animo di un tranquillo commissario lacustre che si avvale soprattutto della sua deduzione ed avalla ogni ragionamento ai rudimenti del sapere scientifico. L’auspico è di assistere ad una graduale maturità e personalità del commissario Giordan nei prossimi appuntamenti e di farci provare l’ebbrezza di un giallo più scalpitante dal ritmo più serrato e meno prevedibile.

Buona la prima!

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gracy Opinione inserita da gracy    01 Mag, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

…E le paturnie mie e di Cate!

Caterina è una ragazza diciassettenne obesa, dai lineamenti facciali carini, ma obesa, lo dice lei stessa parlando in prima persona, come se stesse scrivendo un diario, un requiem o un vademecum, con un linguaggio semplice, sciolto e quasi stilisticamente ricercato, come per coniare un nuovo modo di scrivere i pensieri delle non-persone, degli invisibili, delle presenze auto-cancellanti, degli obesi…di se stessa, di Caterina.

“…Papà è già da un pezzo ai fornelli e il caffè macchia di un odore forte l’aria come un cane dalmata.”

Per poi scivolare in un linguaggio comune:
“Mi piacerebbe essere un a lumaca e portarmi sempre dietro la casa. Oppure un riccio per chiudermi in me stessa.”

Caterina sa di essere derisa per la sua stazza, di non avere amiche perché è grossa. E' grossa lei, la mamma, il padre, la nonna, i fratelli e Caterina appare tutt’altro che dolce, affabile, amorevole, ce l’ha con tutti e col mondo intero, si chiude e rimugina pensieri che non si possono non condividere, Caterina si descrive con tutto l’astio che ha addosso e Caterina finisci per odiarla! Altro che commozione e simpatia. Caterina in mano all’autore diventa un’arma a doppio taglio, provoca dapprima una ferita e poi un affondo, ci vuole davvero un poco di attenzione per capire e non cadere nei luoghi comuni e comprendere chi è davvero Caterina, che improvvisamente si schiude dal riccio e si ritrova nell’allegra fattoria, dove lei per prima sembra dirmi:
“Ehi, mi ero sbagliata, ricomincio tutto da capo…”
Caterina è un adolescente, vive i problemi della sua età e non è solo obesa.
Penso che aver messo dentro alcune figure come l’amica “Anna l’annoievole” poco credibile perché fin troppo perfetta o la professoressa “Mazzantini” che ostenta una collocazione scolastica tutt’altro che reale, abbiano dato il colpo di grazia al caso editoriale, fra i dodici finalisti del premio Strega 2013.
Mi chiedo una volta finito il libro …ma Cellini cosa avevi da raccontare che ancora non sapevamo sugli adolescenti?

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gracy Opinione inserita da gracy    24 Aprile, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

...e un tuffo nella vita degli altri…

Avete presente il Bignami che si usava a scuola? Poche parole per spiegare il tutto, la panacea che confortava gli studenti poco avvezzi all’approfondimento e allo studio costante...Beh John Cheever, incarna un pò il Bignami…sto delirando, nel Bignami manca l’anima!
Daccapo…avete presente un breve racconto? C’era una volta un principe che diventa ranocchio e che col bacio della principessa…bla bla bla, John Cheever ce li racconta in punta di piedi e ci serve su un vassoio d’argento storie dove non ci sono principi e regni da favola.
Anima, John Cheever ha anima da vendere…è l’anima il motore dei suoi racconti. Cheever racconta storie brevissime, geniali che hanno dentro la linfa, l’essenza della vita, della quotidianità, della collettività nel suo insieme e lo fa mettendo la sua anima, quella di scrittore capace di vedere oltre il suo naso, oltre l’apparenza, oltre la facciata delle famiglie americane della metà del secolo scorso. Pennellate di vita raccontate senza fare giri di parole e senza elucubrazioni filosofiche, lo fa con la sua semplicità di uomo che ha sbattuto la faccia contro la società del suo tempo, con l’alcool, il successo, la depressione. Cosa ci si poteva aspettare da Cheever, amico di Carver, che si fa espellere dall’accademia come Fitzgerald e che ama Bellow e Malamud? Solo cose grandiose, piccoli sprazzi di verità nascoste dietro il cinismo e le bugie che fanno parte del nostro finto quieto vivere, come fa per certi aspetti Yeates, ma con minore angoscia.

Questa raccolta Fandango contiene tre racconti.

Il NUOTATORE che impersona le paure e le sofferenze dello stesso autore, che scriveva le sue opere in boxer, un uomo che decide di nuotare nelle piscine degli altri per esorcizzare il suo triste passato e lo fa in costume, denudato, privo di corazza e con l’orecchio teso all’ascolto dei salotti che attraversa, mistificando il suo fallimento, quasi macilento e affamato di gin.

UN GIORNO QUALSIASI punto di forza i dialoghi dei ricchi e dei loro servitori, la capacità di cogliere certe sensazioni quando gli altri sono completamente presi da altro o perché hanno troppo.

UNA RADIO STRAORDINARIA credo sia il migliore di tutti e tre. Una radio che parla e le sue interferenze fanno conoscere ad Irene un mondo completamente diverso dei suoi tranquilli vicini di casa, del suo bel condominio signorile e distinto. Irene rimane delusa dalle apparenze che finora l’hanno ingannata e la buttano nello sconforto…ma lei è come loro? E’ più felice, più appagata? Solo un genio come Cheever poteva dare una calibratura emotiva e perfetta a quell’Irene che si nasconde in ciascuno di noi.

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gracy Opinione inserita da gracy    22 Aprile, 2013
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Quando la vita accanto è anche un bell’anatroccolo

Ho iniziato a leggere questo libro un po’ per caso, ne avevo sentito parlare molto qualche anno fa e poi l’avevo lasciato nel dimenticatoio fino a quando ieri sera sfogliandolo iniziai a leggere il primo capitolo e non l’ho più mollato fino alla parola fine.

“Una donna brutta non ha a disposizione nessun punto di vista superiore da cui poter raccontare la propria storia. Non c’è prospettiva d’insieme.”

Rapita….ecco cosa ha fatto la storia e la pungente penna della Veladiano, mi ha rapita e tenuta ostaggio assieme a quella figura orripilante che nessuno voleva, che nessuno amava, che suscitava pena e sconcerto a tal punto da causare morte e far insediare la tristezza. Si, il dolore a volte è così potente che può spingere gli uomini dove non si vuole davvero andare.
Brutta…è brutta Rebecca è di una bruttezza rivoltante, una bruttezza innata, sbrecciata, indicibile. E’ il Belfagor, è l’Elephant man che solo pochi amano e che gli altri rigettano con l’atteggiamento dell’indifferenza, come consueto modus operandi della società che desidera avere accanto solo quello che fa bene alla percezione dei sensi e dove la bellezza è visibile e godibile.
Per Rebecca era una grazia l’invisibilità.
Una presenza ingombrante quando si parlava dell’inserimento a scuola e invece Rebecca silenziosamente era una bambina intelligente, o quando doveva fare le prove per entrare al Conservatorio, Rebecca suonava il piano meravigliosamente, ma solo per pochi, solo nelle quattro mura domestiche. Crescere incompresa e schivata era il punto di partenza del suo amore per la vita, fatta di silenzi e di ampi spazi, come quelli che immaginava tutte le volte che apriva le finestre per respirare l’aria pura, che era l’ unica cosa che rigenerava la sua triste vita. L’aria che era capace di entrare nei polmoni e a fare attecchire l’edera più insidiosa e incontrollata, che copriva il male di vivere che non vedeva dentro di se, ma dentro gli altri. Crescendo, Rebecca matura l’idea che finora ha abitato in una casa che sembrava un sacchetto di bonbon scaduti, che le cose andavano capite diversamente e che le risposte puntualmente arrivavano dall'esterno di quella cappa familiare che le aveva inculcato il concetto che nascere brutta è come nascere con una malattia cronica che può solo peggiorare con l’età.
Rebecca pensa, Rebecca si ama e Rebecca sceglie di vivere.

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gracy Opinione inserita da gracy    19 Aprile, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Gli incubi esistono solo nella vita…

“Nel quale non esiste verità che non porti con sé la propria amarezza…”

Con Miles Davis che suona Solea si conclude la trilogia noir di Jean Claude Izzo, scrittore marsigliese di origini italiane scomparso precocemente a soli 55 anni. Giunge la parola fine con l’amaro in bocca con uno spiazzante urlo di dolore, di rabbia e affetto per il protagonista Fabio Montale, che impersona l’essenziale, con le sue paure, le sue angosce, i suoi dubbi e che vedrà svanire nel corso della sua vita, gli amori, gli amici e la sua carriera di poliziotto. Lo stile di Izzo, è semplicemente divino in Solea, ho trovato molta poesia e molto sentimento a fior di pelle intrisi di tristezza, quello che non ho sentito appieno nei precedenti episodi. La sensibilità dell’autore è davvero commovente quando parla dell’amicizia, della quotidianità degli italiani emigrati in una Marsiglia variegata che fa da sfondo come una bella donna, una città che appartiene al mondo, aperta a tutti con i suoi profumi, il mare, il cielo, senza risparmiarsi il male della malavita e dei malavitosi senza scrupoli. E’ come se Izzo facesse abbracciare il sud della Francia col sud dell’Italia, abituandoci a sentire il profumo del pesto, del basilico e a inebriarci di pastis e lagavulin.

“Si, amo questa vita con abbandono e voglio viverla in libertà. Insh’Allh, Montale.”

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E' la conclusione della trilogia "Casino totale" "Chourmo" dello stesso autore.
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gracy Opinione inserita da gracy    18 Aprile, 2013
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Ottime referenze Mrs May!

Non potevo aspettare l’estate per leggere questo racconto così intrigante e intriso di sex appeal….
I personaggi di questo piccolo romance sono tutti avvocati intraprendenti, non solo professionalmente ma anche in termini di compiacimento sessuale.
Alice Charlus ha trent’anni e molte qualità, laureata in legge lavora presso uno studio legale dove da tutta se stessa per adempiere al meglio all’espletamento dei contratti che le capitano sottomano, grazie alla sua preparazione professionale e alle sue specialità nei vari settori forensi, è pure bella e vergine.….
La nostra eroina, finirà presto per convincersi che bisogna dare via anche quella “cosa” così intima e personale per raggiungere determinati scopi negli affari, pertanto avvalendosi del manuale “101 modi scientificamente testati per fare centro al primo colpo” pensa di sovrapporre l’utile e il dilettevole.
Il bel Fersen si lascerà scappare la bella preda che le si presenta sopra un piatto?

“Piatto ricco? Mi ci ficco!”

……..Lo scoprirete solo leggendo.

Alice e Fersen sono i classici personaggi che con la loro passione e la loro leggerezza rendono il mondo davvero romantico e senza pretese, vanno letti col cuore , senza soffermarsi su quello che coincide o meno con la realtà e i rigidi standard che la vita ci impone. Sono esilaranti e innocui e poi diciamoci la verità…nei romance i protagonisti, supponenti o arroganti alla fine amano per davvero.

S. M. May in questo racconto manifesta tutta la sua passione di donna romantica e inguaribile lettrice di romance e attraverso le storie di Alice non si risparmia l’ironia, quella che davvero ti strappa un sorriso, che non aspetti di finire di ridere per una battuta che già ne trovi altre durante la lettura….rido ancora per quella sulle trivelle in Texas, il petrolio, a Dallas, J.R. con il cappello bianco e il sigaro in bocca!
….E ora Mrs May, non vedo l’ora di leggere un romanzo più completo, di quelli tosti, dove si osa tanto e non si risparmia su nessuna espressione erotica, la fantasia di certo non ti manca….ci siamo capite Mrs May?

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Narrativa per ragazzi
 
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gracy Opinione inserita da gracy    16 Aprile, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Ammaestratori e ammaestrati…

Questo piccolo gioiellino mi è stato prestato dalla mia cara amica Chiara,è una vecchia edizione Salani per ragazzi ingiallita del 1995, e mi disse “Leggilo assieme a tua figlia”.
Così un pomeriggio cominciai a leggerlo assieme a lei rannicchiate sul divano. Ammetto di avere letto solo le prime 50 pagine ad alta voce e dopo non ho potuto continuare perché erano i singhiozzi che predominavano, non ho retto alla storia triste della vita dei cani randagi, quindi accettai il consiglio di mia figlia dodicenne che mi disse “mamma forse è meglio che lo leggiamo per conto nostro.”

“Uno crede di portare fuori il cane a fare pipì mezzogiorno e sera. Grave errore: sono i cani che ci invitano due volte al giorno alla meditazione.”

Credo che “Abbaiare stanca” sia uno di quei piccoli libri che dietro la facciata di lettura per ragazzi celi un intendo che è rivolto agli adulti che spesso dimenticano i principi di amicizia, di rispetto, di amore per il prossimo e per la natura oltre alla salvaguardia degli animali. L’assenza di questi principi e la predominanza della gelosia, dell’astio, la prepotenza e la cattiveria pesano nei comportamenti in generale nella vita degli individui rendendola davvero una vita vuota e complicata….in questo caso abbaiare stanchi tanto quanto vivere.

“Abbaiare stanca. La forza non conta niente nella vita. Saper schivare è quello che conta.”…parola di cane

Pennac, attraverso la storia di Il Cane, una creatura che non solo commuove per il suo vissuto ma anche per la sua tenacia, racconta con stile e semplicità l’evoluzione dei sentimenti nel corso della vita degli individui che non sempre hanno le idee chiare sui comportamenti e sulle scelte e lo fa attraverso la voce degli animali, che guarda caso diventano creature determinanti che con le loro azioni riescono a rimettere in riga l’uomo e la sua ragione.
Chi è ammaestratore e chi ammaestrato?

“Non sono uno specialista di cani. Solo un amico. Un po' cane anch'io, può darsi. Sono nato nello stesso giorno del mio primo cane. Poi siamo cresciuti insieme. Ma lui è invecchiato prima di me. A undici anni era un vecchietto pieno di reumatismi e di esperienza. Io ero ancora un cucciolo. Morì. Io piansi.Molto.”

Daniel Pennac

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Romanzi
 
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gracy Opinione inserita da gracy    15 Aprile, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Innamorarsi e sobillarsi…

“L’unico vero possesso dell’uomo è nelle cose che ha perduto.” Franz Werfel

Diego De Silva ci prova sempre a dimostrare le sue capacità di scrittore brillante attraverso i vari generi, dal sentimentale, al sociale, al noir, all’ironico e divertente fino a questo piccolo, fin troppo striminzito vademecum sulle coincidenze amorose. E’ stato un po’ come rivivere il più intenso e coinvolgente “La donna di scorta” per le tematiche sui tradimenti, le disillusioni e gli amori finiti, ma in chiave decisamente minore.
Pensandoci bene in effetti per l’intento del messaggio che De Silva ha voluto lanciare in “Mancarsi” non bastano lunghi racconti o pagine rattoppanti per fare cumulo, ma basta mettere gli elementi essenziali e appropriati e il gioco è fatto.
I personaggi cardine sono Irene e Nicola, separata la prima e vedovo il secondo, un uomo e una donna come tanti, che non si conoscono ma che vivono vicini e per tante casualità non si sfiorano mai, sono due di noi come ce ne sono tanti, frequentano lo stesso bistrot e non si sono incrociati mai fino a quando attraverso quel poster di Buster Keaton…..
Il loro trascorso amoroso e le loro aspettative future sono il punto di partenza per la riprova che la vita va vissuta in seno all’amore, con tutte le sue sfaccettature e le sue debolezze, perché l’amore da tutto all’inizio e poi col tempo si sgretola e diventa un’ istantanea sbiadita senza colori e senza entusiasmo, si fa il conto delle sottrazioni e si arriva all’azzeramento, fino al fallimento. Solo allora si diventa liberi e si ha più tempo dilazionabile e i giorni durano il doppio e dilapidare tutta questa libertà da soli toglie valore e la imbruttisce, questa è la solitudine. Solo chi crede e si fida ancora dell’amore può riscattarsi senza rimpiangere il passato e rivivere incondizionatamente a cuore aperto le emozioni dell’amore.

…aggiungo io “finché dura.”

Eppure in “Mancarsi” manca qualcosa, quel qualcosa di essenziale per il mio gusto personale, come l’empatia e l’emozione, c'è poco slancio nell’immedesimazione della lettura, forse la presenza delle troppe parentesi e i concetti troppo generalizzati che riducono in una bolgia di frasi e aforismi da sottolineare e rileggere nel tempo.

“Vogliamo che la persona che amiamo ci dica d’essersi innamorata di noi perché un giorno, senza neanche pensarci, l’abbiamo toccata in un punto in cui non sapeva di essere sensibile, come certe carezze che arrivano molto in fondo per conto loro.”

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Fantasy
 
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gracy Opinione inserita da gracy    13 Aprile, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Jane Eyre…sorridi e non ti rivoltare nella tomba!

Vi è mai capitato di leggere un libro e immedesimarvi fino al punto di fantasticare con i personaggi e vederli uscire dalle pagine e materializzarsi come per magia accanto a voi o viceversa desiderare di entrare dentro le pagine ed assistere in prima persona alle vicende narrate e magari essere anche i responsabili delle scelte e de relativi finali?
Jasper Fforde ci ha scritto un libro. “Il caso Jane Eyre” è il risultato di un fantasy nel fantasy con le tinte morbide di un thriller e le sottigliezze ironiche su certe disquisizioni e curiosità della letteratura inglese. E’ il mondo ucronico dell’ agente Thursday Next ,anzi più esattamente “detective letteraria” col compito di sorvegliare le opere letterarie, per le OPS (Operazioni Speciali).
Siamo in un distopico 1985, dove il Galles è uno stato indipendente e l’Inghilterra sta combattendo la guerra di Crimea contro i russi, spicca Acheron Hades, un terrorista criminale che compie il furto di Martin Chuzzlewit di Charles Dickens ed immediatamente scatta la corsa all’uomo.
Acheron riesce a depistare le indagini fino a quando non si nasconde nelle pagine di Jane Eyre e la rapisce.
Una perfetta trama per un film d’animazione, con parrocchetti, dodo modificati geneticamente, inventori, personaggi e situazioni di fantascienza.

“Vi ringrazio, Miss Next, dal profondo del cuore! Non sapere se la mia amata Jane sarebbe mai tornata è stato come vivere in un inferno”…parola di Rochester.

Le vicende sono narrate in un linguaggio fantastico e non si risparmia nessun riferimento su Shakspeare, Marlow, Bacon, Poe, a colpi di azione e dialoghi esilaranti, a tratti troppo fuorvianti e davvero strani, dove nel frattempo qualcuno muore, qualcuno ama e qualcuno si sposa e alla fine il classico “…e vissero tutti felici e contenti.”

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I classici della letteratura anglosassone e non solo...
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Classici
 
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gracy Opinione inserita da gracy    08 Aprile, 2013
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Anche i sogni muoiono…

Piccolo racconto immenso…..
Si…immenso, pieno e appagante, dove Dostoevskyij non raccoglie briciole, ti sazia di sentimenti veri e lo fa con garbo e stile, con purezza e genuinità.
Prendi un sognatore, un poeta, una giovane donna ancora bocciolo, un uomo che ama, un uomo che mantiene le promesse, aggiungi un pizzico di luce, un pizzico di buio, un’insana voglia di morire, una sana voglia di vivere, una forte dose di malinconia, di abbandono, di appartenenza, di diniego, di desiderio e di conflitto. Mescola tutto in una Pietroburgo notturna e infervorata del 1848 chiudi gli occhi e trascorri quattro notti in bianco, così…senza riposo e senza tregua perché solo i pensieri danzano e si mescolano nelle menti umane di chi aspetta, di chi non ha perso la speranza di chi si trova a un bivio e deve scegliere quale strada percorrere e poi lungo il tragitto decidere di cambiare rotta, di scegliere un’altra destinazione e comprendere che è quella giusta, la meta perfetta e poi aprire gli occhi, svegliarsi dal sogno e sentirsi appagati anche del crudele sogno infranto …

“Nasten’ka!....oh! Com’è insopportabile un uomo felice in certi momenti!...”

Voci e pensieri così lontani nel tempo eppure così vicini e attuali, legati al pensiero che l’uomo ha dell’amore e della rinuncia.

"…quando tutta Pietroburgo spiegò le ali e se ne andò improvvisamente in campagna. Fu una sensazione terribile rimanere da solo e, in preda ad un profondo sconforto, vagai tre giorni interi per la città, senza capire minimamente cosa mi succedesse.”

L’uomo ha sempre amato e vissuto l’amore le aspettative e le attese con la stessa intensità di sempre, cambiano gli usi, le tradizioni e il mondo che ci circonda, ma l’amore non cambia mai e solo il raziocinio e la rassegnazione rendono l’uomo libero e appagato anche quando è imprigionato nel sogno di un amore impossibile.

“Dio mio! Un minuto intero di beatitudine! E’ forse poco per colmare tutta la vita di un uomo?”

L’amore sofferto, abbracciato, vissuto, respinto e sognato.

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Letteratura rosa
 
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gracy Opinione inserita da gracy    07 Aprile, 2013
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Trippa per gatti

Ormai è noto che per diventare scrittori e intraprendenti cultori dei generi letterari esistono le scuole di scrittura che danno una spinta e quel tocco di qualità in più per chi intende scrivere con maggiore competenza, anche se per me è un cliché per diversi aspetti discutibile, ebbene anche il genere rosa ha la sua e chi gestisce il corso in questo libro è una nota insegnante e scrittrice famosa Leonora Forneris.
Il titolo del corso è “Come scrivere un romanzo rosa in una settimana.”
Non nego che è stato davvero divertente conoscere alcuni trucchi del mestiere e come la gestione delle parole e degli aggettivi messi al punto giusto cambiano completamente interpretazione, basta davvero tanta fantasia e tanto romanticismo che il gioco è fatto, scrivere un Melody ha le sue regole, seriali e stereotipate come una catena di montaggio cinese.

“I Melody non sono tenuti in conto. I Melody e i gialli Mondadori vivono un’esistenza precaria e clandestina sui carrelli, non hanno posto negli scaffali. Non sono catalogati e non hanno schede e i clienti della biblioteca li possono prendere con una certa noncuranza.”

….parola di Olimpia che fa la bibliotecaria.

Se poi nella scuola scocca la scintilla d’amore tra due studenti Olimpia e Nicola è chiaro che il diabete arriva alle stelle, assieme alla noia e al finale, questa volta non scontato.
E’ il primo romanzo che leggo della Bertola, ne avevo sentito parlare bene per la sue storie semplici e ricche di ambientazioni che non sfociano nel banale, purtroppo ho iniziato con il libro sbagliato.
Eppure adesso che scrivo della sua banalità mi viene in mente un pensiero positivo, ben vengano tutti i romance gli harmony i melody del mondo, l’amore marcato, illuso, fantasioso, appassionato, agognato, vissuto e conquistato, insomma l’illusione di un lieto fine, che si consumi in poche ore di lettura a cuore aperto….. anche questa nel suo insieme è la ricerca della felicità.

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a tutti, per chi ama e chi odia i generi romance, harmony in particolare.
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Romanzi
 
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gracy Opinione inserita da gracy    05 Aprile, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Centopercento…autentico

Questa è la storia di una famiglia che non abbraccia un microcosmo bensì una società intera.
La bellezza di questo piccolo romanzo è sicuramente legato ai suoi contenuti, parte da una storiella semplice e quasi insignificante per spiccare il volo man mano che si sviluppa la trama di questa famiglia così legata a quei principi atavici che quasi prepotentemente fanno capolino nelle famiglie: il rispetto, la tenacia, l’orgoglio e i soldi.
Margherita (che per qualche aspetto mi ha ricordato quella famosa “bulgakoviana”) è una donna matura, che da molti anni non intrattiene i rapporti con la sua famiglia di origine, solo dopo aver appreso che lo zio è morto in seguito a una fucilata in pieno viso, si rimette in gioco e va al suo funerale con tutte le intenzioni di dare un seguito a quel passato che sembrava chiuso e sepolto. Ma chi può dare voce agli interrogativi se non chi ha creato le pentole e non ha creato i coperchi? Il diavolo certamente! Ecco che compare lo zio Gianni detto "Diecipercento", sottoforma di alito di vento, di spirito buono, ormai innocuo e desideroso di conoscenze finora a lui sconosciute e lo fa con pensieri e gesti che finora non aveva conosciuto in vita, assaporando lievemente squarci di felicità finora mai provate.
Dare voce a tanti interrogativi nella vita è molto difficile e lo è altrettanto quando siamo noi in prima persona che ci rifiutiamo di colmare le mancanze e sottoforma di dispetti o di veri e propri inciuci creiamo dissapori che solo col buon senso non sarebbero mai esistiti.
Il male c’è e lo tastiamo tutti i giorni, in tutte le sue forme e in tutte le sue sembianze, non sempre esiste un omicida, non sempre la colpa è degli altri e non sempre tutto è come lo disegniamo noi, facile eh….già, basta poco e il male imperniato anche tra un ossicino e un interstizio all’occorrenza salta fuori per creare danni e infelicità.
Antonella è stata brava a creare queste condizioni di dispiegamento di forze, sotto forma di un requiem non accorato, nel senso che in poche pagine ha racchiuso la vita autentica e più vicina al pensare comune, mettendoci molto della sua persona di donna e scrittrice: dall’amore per la natura e gli animali, dai viaggi in terre lontane fino ad arrivare alla destinazione più vicina, quella della bellezza dei rapporti umani ….anche quelli infarciti di presenze vuote e di assenze invadenti.

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Aimee Bender, Claudiléia Lemes Dias
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Classici
 
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gracy Opinione inserita da gracy    03 Aprile, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Annuska Arkadievna secondo Gracyenka...

Mosca 1887- Agrigento 2013

“Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.”

Mi è sempre piaciuta questa frase e ritrovarla proprio all’inizio di questo tomo di più di 800 pagine è stato un buon segno. Ma stiamo parlando di un monumento della letteratura mondiale e non è robetta.

La partenza è brillante, scorrevole, piacevole e ben strutturata. I personaggi sono ben delineati e le storie semplici e routinarie. Eppure c’è qualcosa che si impone nella mia mente, una specie di archivio schematico dei personaggi, gli antipatici da una parte e i simpatici da un’altra, man mano si susseguono gli eventi le mie opinioni cambiano e tra una riflessione e un’altra credo di essere stata una vittima perfetta dell’intento di Tolstoj.

“Le donne sono la principale pietra d'inciampo nell'attività dell'uomo. E' difficile amare una donna e nello stesso tempo concludere qualcosa. Per questo c'è un solo un mezzo d'amare comodamente, senza ostacoli: il matrimonio.”

Ho odiato da subito il damerino e lussurioso Stiva ed ho amato la moglie Dolly, la sorella Anna….Annuska Karenin, si lei la Anna nazionale! Mi ha subito rapita: zia amorevole, sorella e cognata prodigiosa, bellissima, occhi maliziosi, capelli neri, ben vestita, appariscente e poi le sue dita ingioiellate di anelli d’oro (come piace a me)….e mi dico “si, Anna sei la mia Emma, la mia Jane Eyre, la mia Lizzie”….intanto i capitoli scorrono e di lei non c’è più traccia.
Compare Levin, un uomo senza tante bellezze, che con i suoi pensieri, la sua tenacia e razionalità a gestire il patrimonio di famiglia, la sua coerenza politica, il suo romanticismo e la sua perseveranza fino alla sua conversione a Dio scopro che è l’unico personaggio che alla fine ho veramente amato assieme alle scene che lo riguardano, quelle legate alla campagna, alla mietitura, al maggese e alla caccia.
Levin ha completamente eclissato il bellissimo e dubbioso Vronskij (per carità ….ad un certo punto Tolstoj scrive che era diventato stempiato) e persino Anna.

Anna…...

L’incontro con Vronkij non è stato ricco di suspence e di romanticismo come mi aspettavo, me li ritrovo amanti che fornicano sotto gli occhi del marito Karenin cornuto consenziente senza tanti giri di valzer, lei completamente innamorata diventa fredda verso il figlio Serëža, anche quando partorisce la figlioletta è apatica, nemmeno un cenno di dolcezza…
Anna, ma cosa ti è successo?
Anna è solo innamorata persa, vede solo l’amore e la disperazione che l’amore estremo e insano può arrecare. L’amore, la gelosia e l’impossibilità di non potere riscattare la sua completa libertà attraverso quel travagliato divorzio la inducono al gesto folle e plateale di non ritorno, dettato da una vendetta incontrollabile verso tutti e verso la propria persona, sensibile e indifesa.

“Hanno inventato il rispetto per nascondere il posto vuoto dove dev’esserci l’amore.”

Anna alla fine mi ha fatto troppo tenerezza e sono arrabbiata con Tolstoj che ha giocato bene le sue carte.
Ho letto a tappe, con intervalli lunghi questo libro, come leggendo le puntate dei settimanali…e devo essere sincera, non vedevo l’ora di finirlo, mi ha sfiancata, era diventato un pò l’appuntamento con la corazzata Potëmkin…

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Romanzi storici
 
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gracy Opinione inserita da gracy    02 Aprile, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Quel fiordo....o non fiordo....

Kim Leine col suo fiordo dell’eternità, ha forse voluto rompere gli schemi tipici della letteratura scandinava, non è un giallo, non è un thriller, nessun psichiatra o giovane killer seriale, bensì una lunga, monotona storia datata che abbraccia quasi il 1700 per quasi 600 pagine e racconta la società danese e della colonia danese in Groenlandia.

Protagonista della storia è Morten Falk, che sin da giovanissimo aspira a diventare scienziato, si diverte a frequentare i corsi di autopsia, acquisisce conoscenze e poi finisce per diventare prete. Siamo nel pieno dell’evangelizzazione protestante con i suoi pregi e difetti, per una sorta di inspiegabile vocazione cristiana decide di stabilirsi in Groenlandia, abitato dalle tribù di indigeni da convertire. Le storie di vita quotidiana sono molto affascinanti e altrettanto raccapriccianti e si finisce spesso a riflettere e pensare che i veri selvaggi non sono altro che gli uomini dotati di intelletto e infarciti di studi e dottrine che finiscono per diventare i veri antagonisti del buon senso e della dignità, ove la condotta non ragionata ma guidata dall’istinto animale fa evincere la prevaricazione e l’egoismo, altro che evangelizzazione!
L’inizio della storia è sicuramente coinvolgente ed avvincente, poi la lettura prende un’altra piega, diviene di una lentezza avvilente, a volte soporifera, si ripetono le scene di dita infreddolite, di liberi accoppiamenti, di incesti, di malattie e parrucchini incartapecoriti pieni di pidocchi….
Devo dire la verità che la copertina e la quarta di copertina hanno fatto centro, il disegno del fiordo non-fiordo abitato da eretici quasi magici da redimere in un paese abbandonato da dio Thor e il dio di Isacco…..insomma…

Nordici! Faccio un appello: ridateci Pippi Calzelunghe!!

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Romanzi
 
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gracy Opinione inserita da gracy    25 Marzo, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

“In Gossip We trust”

Philip Roth che piaccia o meno è uno dei più grandi scrittori americani contemporanei e forse uno dei pochi cultori che hanno dentro la propria anima la vera America e lo dimostra in questo libro, per le sue ideologie, per la sua grandiosa capacità di scrittore originale, riflessivo,dissacrante e per la sua trasgressione di ebreo fuori dagli schemi.
Un uomo “legno storto” pieno di vizi e difetti.
Anche questa volta, come è successo nella lettura meravigliosa e soddisfacente “Pastorale americana” Roth dà il meglio di sé nel rivoltare come un calzino gli uomini e le loro storie. Anche se in questo ho trovato difficoltà a entrare nel vivo dei personaggi per la narrazione spesso ostica e fuorviante.
In “Pastorale americana” si assiste all’evoluzione umana dello Svedese in “Ho sposato un comunista” assistiamo all’evoluzione di Ira Ringold, della moglie Eve Frame e della figliastra Silphid. Una triade davvero complicata di personaggi ricchi di qualità spesso poco positive e ricche di spessore, che hanno capacità di fornire tanto materiale sull’indole degli uomini in genere. Chi racconta la storia è sempre Nathan Zuckerman (l’alter ego di Philip Roth) e lo fa da anziano, assieme a Murray, fratello di Ira ex insegnante universitario.
Siamo in America poco dopo gli anni 40, Ira è un uomo dai grandi ideali, operaio da giovane e per una casualità si ritrova attore che sposa una celebre attrice, Eve Frame ricca e raffinata, che ha già una figlia Silphid, musicista e irrequieta che odia fortemente la madre e Ira. Chi trascina le loro vicissitudine e le loro scelte è il periodo storico e sociale, a tratti sottoforma di un quadro disperato, quasi urlato, dove l’antisemitismo, il maccartismo, il liberalismo, la democrazia, i sindacati e il razzismo sono raccontati attraverso le storie del dopoguerra con un occhio rivolto all’irrazionalità, al pettegolezzo come variante della verità che fa parte della società attuale e che per certi aspetti è quasi diffusa più di ogni altro credo.

“La letteratura nuoce all'organizzazione. Non perché sia apertamente pro o contro, o anche subdolamente pro o contro. Nuoce all'organizzazione perché non è generale. L'intrinseca natura del particolare consiste nella sua particolarità, e l'intrinseca natura della particolarità sta nel non potersi conformare. Sofferenza generalizzata? Ecco il comunismo. Sofferenza particolareggiata? Ecco la letteratura. L'antagonismo è in questa polarità. Tenere in vita il particolare in un mondo che semplifica e generalizza: ecco dove comincia la lotta.”

.….le stelle sono indispensabili…..

Geniale.

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-la macchia umana
-pastorale americana
...per completare la trilogia
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Gialli, Thriller, Horror
 
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gracy Opinione inserita da gracy    22 Marzo, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Furio Guerri come Heathcliff…vicino alla brughiera

Si dice che gli uomini abbiano una seconda vita. Io sono uno di loro.
Di sicuro sono pochi gli uomini che possono raccontarla. Io sono uno di loro.
Il mio nome è Furio Guerri…. Sono il mostro.

Sin dalle prime pagine sento che Giampaolo Simi con uno stile elegante e meraviglioso sviluppa il tema della famiglia e delle sue contraddizioni e lo fa attraverso le parole cucite ad arte e i contenuti azzeccati, mai banali, attuali. E'semplicemente un autore straordinario, è uno scrittore di razza.

…..Faccio un bel respiro e inizio a leggere.

Chi mi parla tutto il tempo in prima persona, sono un uomo e la sua introspezione, con il ritmo di una giostra che parte molto lenta quasi con un movimento frammentario, poi prende la rincorsa e non si arresta alla forza centrifuga, diventa un turbine che non puoi più controllare.
Furio Guerri è un uomo perbene, uno di quelli affascinanti che veste bene, che abita in una deliziosa villetta in periferia, che ha una laurea, che gode rispettabilità sul lavoro, che è anche canaglia con i colleghi e difende la sua posizione con i denti, che ha il senso degli affari, che ha la moglie più bella e desiderabile del mondo, una figlia che lo adora, che la mattina fa colazione con la sua famiglia in perfetto stile Mulino Bianco e che quando arriva la sera e incombe la notte tutto cambia, si alza un vento inquietante che soffia sottoforma di fantasma. Un vento che sa di sangue, di lividi, di pianti, di follia e tra mille pensieri e il dilemma degli specchi di una Duetto d’epoca 1330 coda tronca, attende il mattino per lasciarsi alle spalle quella felicità tanto agognata che non potrà mai pagare con nessun rimorso, con nessuna punizione, un’illusione lunga una vita, più resistente di ogni verità.
L’invidia non aspetta altro che una provocazione per legittimarsi in disprezzo e se hai una colpa esiste il perdono, mentre se sbagli non si può nemmeno dimenticare,non esiste l’oblio ed è quello che succede a quest’uomo, a questo mostro.
Irrimediabile è il raptus che lo colpisce e gli fa commettere l’omicidio come un incubo liberatorio, a lungo meditato e quasi provocato, quanto rimediabile la sua disperata rinascita, la conquista di quello che sembrava ormai perduto, la sua capacità di amare ancora……

….perchè non si può invecchiare guardando sempre le navi che partono…

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Romanzi
 
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gracy Opinione inserita da gracy    20 Marzo, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Non è l’amore che muore, siamo noi…

"Magari non torna, pensò Clara Laguna, dopo aver svegliato la madre, magari non torna, pensò mentre il sole calava tra le chiome rosse dei pini, magari non torna, pensò sognando i suoi occhi.”

Appena aperto il libro e iniziato a leggere sono rimasta rapita e non l’ho mollato fino alla fine, praticamente la Barrio ha esercitato su di me un incantesimo, trascinandomi nella Spagna della dittatura, della guerra e del cambiamento, anche se il ritmo serrato e piacevole della prima parte perde smalto in seguito, con un finale un po’sottotono e frettoloso, nel complesso è stata una lettura piacevole.
Sin dalle prime pagine si respira aria latino-americana per via della magia che aleggia ad ogni descrizione dei personaggi chiave che ruotano attorno ad una delle più affascinanti case della Castiglia di fine Ottocento ed esattamente quella “casa rossa” che nasce come casa di piacere e che rappresenta la prosperità e l’appagamento in tante cose; conosce fioriture tutto l’anno ed emana profumo di gelsomino, tiglio, menta, stufato di pollo, trippa con crema di fragole e di dolci alla cannella e contemporaneamente di solitudine, di malinconia e di morte. La superstizione e gli incantesimi sono gli elementi trascinanti della storia, lontani dallo splendore narrativo della Allende o di Marquez o di un pomposo Amado, Cristina Lopez Barrio si cimenta nella narrazione di questa storia senza tralasciare nessun particolare sui paesaggi e sulle donne che si susseguono, madri e figlie destinate alla stessa maledizione, quella di amare una sola volta e perdere presto l’uomo che le ha cambiate e vivere sotto la stella del maleficio di donne disonorate fino alla fine, in attesa che arrivi un figlio maschio a rompere questo sortilegio.
Tutto comincia con la strega Laguna, brutta e macilenta che legge il futuro attraverso le ossa di un gatto, la segue la bellissima figlia Clara, poi Manuela, Olvido, Margherita e infine un maschio, Santiago. Ognuno di loro hanno una storia fatta di odio sulle ceneri del perduto amore, la parola d’ordine è amare una sola volta e per sempre, attendendo la vendetta o semplicemente la morte e con Santiago il riscatto.

“A volte l’amore si smarrisce quando si ama troppo, ma rimane pur sempre amore e alla fine può riprendere il proprio cammino”

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gracy Opinione inserita da gracy    18 Marzo, 2013
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...e lei disse "voglio guardare"

Le sensazioni che sono riuscita a provare leggendo “Voglio guardare” è di impotenza, di difficoltà e consapevolezza che alla fine del delitto e delle violenze perpetrate non sarebbe mai arrivata una conclusione sorretta da una motivazione, nemmeno un cenno, un indizio che facesse luce sul perché certe cose si sono perpetrate.
Il De Silva dell’avvocato Malinconico e dello struggente “Una donna di scorta” ci mette di fronte Celeste, una giovane sedicenne perversa e Heller un avvocato penalista senza scrupoli che finiscono per condividere un segreto oscuro, malato, infame e rispettivamente rappresentano l’uno per l’altro quell’anelito di losco e imperfetto legame che li induce a stare vicini e contemporaneamente ad aggredirsi, senza spiegazioni e senza remore, restituendo al lettore una lettura incomprensibile, apparentemente affascinante e sostanzialmente inutile.
L’unica cosa certa è il male comune dei due protagonisti, quello di vivere. E quando vivere diventa un male, l’urlo di un’ossessione sinistra e i silenzi dei gesti segreti emanano rumori sordi e stonati, per nulla comprensibili. Un noir sterile…insolito.

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gracy Opinione inserita da gracy    16 Marzo, 2013
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Alma Mason come Olive Kitteridge….

Elizabeth Strout penso debba molto a questo autore se non tutto.
James Purdy dichiarava in un intervista “Un vero scrittore non sarà mai rispettato, mai, e non sarà mai accettato dai potenti. E’ impossibile.” Riesce davvero difficile capire il meccanismo che determina la notorietà o meno degli scrittori straordinari e interessanti e l’altrettanto meccanismo che ne determina la totale dimenticanza o esattamente l’ignoranza.
Purdy “il fuorilegge della narrativa americana contemporanea”, è semplicemente un genio.
Basta leggere questo piccolo libro, a mio avviso capolavoro, per comprenderne l’alto valore educativo e propriamente profondo del messaggio della vita che ognuno di noi ha di se stesso, dei fantasmi che si aggirano dentro di noi, della difficoltà o paura di capire la propria natura e quella degli altri. E’ il messaggio della speranza, dell’attesa e contemporaneamente dell’assenza e della rassegnazione.

“Ho paura che sia impossibile per chiunque di noi conoscere veramente un’altra persona.”

Alma Mason e il fratello Boyd hanno raggiunto l’età matura, insegnante in pensione apparentemente acida lei e lavoratore incallito lui, vivono a Rainbow Center, una piccola cittadina dove tutti si conoscono e si rispettano e nessuno osa dire male o piuttosto bene l’uno dell’altro malgrado le tante informazioni devianti di ciascuno di loro. La loro vita ruota attorno a quella del nipote Cliff, partito per il fronte durante la guerra di Corea, un nipote giovane e amato in maniera differente dai suoi zii, premurosi e fortemente convinti del suo rientro a casa sano e salvo. A mantenere vivo il ricordo sono le sue semplici e inespressive lettere, fino a quando Alma decide di scrivere un “memoriale” per meglio approfondire la conoscenza di questo adorato nipote scomparso nel nulla. Si schiuderanno tanti corollari, con stile e con commovente abilità descrittiva, dall’alcolismo all’omosessualità, dal fanatismo religioso ai segreti inconfessabili, tutto in una piena armonia, davanti a una fetta di torta deliziosa di una ricetta segreta di famiglia, seduti sul terrazzo per fronteggiare il caldo opprimente e contemplando contemporaneamente un glicine magnifico e confortante che sta di fronte ed ammettere con serenità che conoscere la verità non fa sentire riconoscenti, per quanto siano motivati gli sforzi per esserlo fino alla fine.
E’ l’amore che alla fine vince tutto…tranne la morte.

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gracy Opinione inserita da gracy    14 Marzo, 2013
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Mater anima mea

“La vita non deve essere buttata, anche quando non è quella che vogliamo.”

Come nel suo precedente Pozzoromolo, Luigi Romolo Carrino ci stupisce con un’altra prova di scrittura creativa, delicata, prorompente, violenta, cupa, claustrofobica, dolce, sinuosa, allarmante, impudica, sconfortante, poetica e destabilizzante e lo fa attraverso la malattia mentale.
Libro di difficile lettura, da rileggere ad ogni tavola, perché c’è sempre qualcosa che nella lettura precedente è sfuggito e per questo diventa un libro notevole, di uno spessore che non sta nel raccontare una semplice storia di personaggi, ma nella rielaborazione e narrazione della mente umana, una mente malata certo, ma che fa della malattia un resoconto della vita chiaro e netto, tra spruzzi di Haldol, Rivotril e le tavole di Rorschach, tra le sorridenti pubblicità di un rumoroso Carosello di un televisore in bianco e nero e una maglia fatta a mano mai terminata. Sono i dieci esercizi mentali che dettano dieci madri diverse dove il pensiero e l’angoscia di un bambino e il ricordo annebbiato e contorto di un adulto mettono a nudo una vera ed autentica rivelazione, quella intima, quella di uno stupro, di una amore rubato, bruciato, di sentimenti primordiali, antichi come quello che ci lega al cordone ombelicale. Quando il vagito di un neonato non è mai una vita che nasce ma la continuità della vita di una madre e di conseguenza la ribellione al di là di ogni immaginazione per riappropriarsi della propria vita, della propria identità, del proprio respiro con l’unica certezza quella dell’abbandono, dell’amore e dell’oblio.

“Quanto tempo è tutto il tempo che aspetto?”

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"Pozzoromolo" dello stesso autore
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gracy Opinione inserita da gracy    14 Marzo, 2013
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Laura come Biancaneve, Giulietta o Laura Palmer…

“A volte nell’indagine di un omicidio è importante osservare le facce.”

Un gradevole giallo a camera chiusa, datato anni 40 e confezionato sapientemente con uno stile elegante e a tratti teatrale. E’ stato commesso un atroce omicidio, una donna giovane muore a colpi di fucile in pieno viso, si scava nella vita dei quattro personaggi principalmente coinvolti; Walbe, scrittore snob e uomo maturo dall’acume spiccato; Shelby, giovane, bello innamorato delle frivolezze e degli agi; Mark, detective dall’aria misteriosa e dall’atteggiamento ostile verso la classe newyorkese arricchita che quasi con timore si innamora di lei, Laura, una donna bellissima ed intraprendente, ricca di grazia e raffinatezza. Il fulcro è l’omicidio commesso che ruota attorno alla figura di Laura e che assumerà diverse sfumature nel corso delle indagini, talvolta anche marcate e prevedibili, spiccherà soprattutto la paura dei protagonisti che si difenderanno attribuendo agli altri le proprie motivazioni.

“Il male sopravvive all’uomo, mentre il bene cala con lui nella fossa.”

Vera Caspary, autentica donna moderna, ha dato vita ad un bell’affresco di ricercata innovazione non ancora apparsa negli anni 40.

“…considero il romanzo giallo solo un condensato di ‘urlo e furore’, vale a dire nel migliore dei casi, la risposta a un selvaggio bisogno di aggressività e spirito di vendetta insito nella pavida orda dei lettori.”

Attraverso le sue opere teatrali, commedie musicali o che si trattasse di un giallo metteva in prima linea la donna lavoratrice e il suo diritto all’indipendenza, considerando l’inizio del ‘900 come il secolo del cambiamento.

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gracy Opinione inserita da gracy    09 Marzo, 2013
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I privilegiati

“La povertà è spaventosa” disse Adam. “Il pensiero di non avere ciò di cui si ha bisogno è terrificante. Per questo la gente fa di tutto per evitarlo”.

Chi sono i privilegiati?
Treccani.it:
privilegiato - che gode di privilegi, cioè di particolari favori, riguardi, facilitazioni, vantaggi, persone, classi, categorie privilegiate…

Ecco spiegato tutto il senso di quest’ opera di Jonathan Dee, i privilegiati hanno una marcia in più, hanno tutto il mondo ai loro piedi, hanno ricchezze, hanno potere, insomma hanno un aurea diversa dagli altri.
J. Franzen lo ha definito “un romanzo arguto e seducente..” la mia amata Elizabeth Strout “una storia di ampio respiro con uno stile mirabilmente efficace”, io a lettura ultimata non ho capito il messaggio che voleva dare, ho faticato ad entrare nell’animo dei personaggi, ho faticato nella lettura perché a tratti noiosa e scontata. Ecco è stata una lettura scontata, troppo facile parlare delle ricchezze materiali e spirituali delle persone quando nel loro insieme non salta fuori niente di eccezionale, come parlare della felicità e dire che un ricco è felice e poi sappiamo che così non è per certi versi, che un ricco si può permettere di morire in una clinica a 5 stelle, che un ricco non sa come spendere più i soldi perché ne ha così tanti. A proposito di felicità non ho capito alla fine se questa famiglia di privilegiati è una famiglia felice, di certo li ho trovati una famiglia ricca piuttosto normale, come tante altre senza scorgere alcun contenuto così straordinario da renderli speciali, forse l’unica cosa speciale era l’amore duraturo e costante tra Cinthya Adam, sposati appena ventenni e innamorati come il primo giorno, bellissimo lui, bellissima lei (privilegio innato), forse salvo anche il figlio Jason che non vuole dimostrare di essere un giovane rampollo e frequenta l’ambiente universitario mischiandosi con gente comune, oppure la figlia April che trova piacere a frequentare ambientacci e drogarsi fino allo sfinimento con la totale consapevolezza di farsi del male. Insomma storie che abbiamo letto in altri testi, quasi somiglianti per contenuti e intensità, per questo lo boccio e per la totale “asetticità” che mi hanno lasciato questi personaggi così sicuri e scontati e poco calorosi, distaccati e freddi, forse l’obiettivo dell’autore era proprio questo, raccontare una storia fin troppo normale senza accanimenti nello sfarzo del troppo lusso.

"Restarono abbracciati finché scese il buio. Adam si sentiva invincibile come un martire, come un guerriero sacro. Come aveva fatto a non capirlo prima? Non esisteva niente di sbagliato, se non quello che lo era agli occhi di lei."

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gracy Opinione inserita da gracy    01 Marzo, 2013
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La storia nel romance o il romance nella storia?

"Il mare non sa niente del passato.
Sta lì, non ci chiederà mai di spiegargli nulla.
Le stelle, la luna, stanno lì, e continuano a illuminarci, brillano per noi.
Che cosa vuoi che importi, a loro, quello che è successo? Ci fanno compagnia e ne sono felici."

Di fatto è che Falcones è un avvocato forgiato e ben preparato sulla storia del diritto civile e della Spagna dal periodo che va dal 1320 al 1384, cioè il tempo necessario per costruire una cattedrale e di far lievitare un personaggio di spicco come Arnau Estanyol, nato servo della gleba e diventato eroe a colpi di storie agghiaccianti e truculente che continuamente si perpetravano nella società dell’epoca.
Parola d’ordine: sopruso.
I soprusi agli schiavi, ai servi, alle donne, agli ebrei. La nobiltà bigotta e impoverita che odia i borghesi ricchi e quest’ultimi che auspicano di comprare titoli nobiliari senza averne la stoffa. L’assurda inquisizione e i sovrani incompetenti, insomma tanti dati storici Falcones li ha fatti rivivere in un gran calderone di personaggi che catalizzano il lettore per certi contenuti e annoiano per molti altri, tanto che mi sono ritrovata a saltare qualche pagina e finire il libro come una liberazione, perché va bene tutto ma un finale ammosciato da tante elucubrazioni storiche e fuorvianti mi hanno fatto dimenticare l’inizio scoppiettante e ruffiano.
Ho riflettuto sul concetto di libertà, se oggi siamo liberi dobbiamo ringraziare quegli uomini che hanno lottato attraverso un insieme di complicati e sanguinosi eventi, mi ha fatto ricordare che dietro alle grandi opere d’arte ci sono stati grandi uomini e i Bastaixos certamente non li dimenticherò, ma tutto il resto si beve come acqua fresca.
Peccato.

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gracy Opinione inserita da gracy    26 Febbraio, 2013
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Guerriero, monaco...poeta

I nostri amati libri vanno letti al momento giusto, ci sono momenti in cui la nostra vulnerabilità ad abbandonarsi tra le parole e le scroscio delle pagine è al massimo del desiderio di volersi far cullare e abbandonare liberamente senza indugi e altri momenti meno felici, quando fin dalle prime pagine non cogli l’amore del messaggio e allora non cogli l’essenza. Se avessi letto qualche giorno fa questo piccolo “assaggio di narrativa” l’avrei buttato nel camino e avrei storto il naso per la pochezza delle parole.
Io sono fatta così.
Oggi “Neve” mi chiamava dallo scaffale, era arrivato il momento giusto per lasciarmi abbracciare dalla sua purezza, a piedi scalzi e braccia tese mi sono messa a camminare sul filo sottile che separava il mio mondo dal mondo candido da scoprire che Maxence Fermine apriva ai miei occhi.
Respirando a pieni polmoni l’aria di un Giappone lontano ho letto:

“Neve limpida
Passerella di silenzio
E di bellezza”

Ad un tratto chiudo gli occhi e mi ritrovo sospesa come una funambola.
Mi passano davanti le vite appassionate di Yuko, del maestro Soseki, di Fiocco di Primavera e di lei Neve. La neve bianca è poesia, la poesia è come neve, la neve è l’haiku, l’haiku è bellezza sottile e triviale, la bellezza è una pittura, la pittura è arte, l’arte è la magia dei colori dove la luce bianca sta fuori e il colore è dentro gli uomini i veri custodi del calore.
Neve che si scioglie sotto il calore dell’amore…

“E si amarono
l’un l’altro sospesi
su un filo di neve”

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gracy Opinione inserita da gracy    20 Febbraio, 2013
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Quando l’amore è l’ombelico del mondo.

Ernest van der Kwast dopo avermi fatto divertire con “Mama Tandoori” inebriandomi dei profumi speziati delle pietanze indiane è uscito da poco nelle librerie con questo piccolo scrigno contenente odori di casa nostra:il profumo di fiori, del bucato steso all’aperto, dei limoni, della salsedine delle spiagge pugliesi e contemporaneamente ci apre gli occhi agli squarci di panorami mozzafiato del sudtirolo, del verde sconfinato delle valli, del ronzio delle api e il profumo delle mele mature e inebrianti.
Con delicato stupore e con spiazzante semplicità ha raccontato una candida storia d’amore che sboccia nell’estate assolata del 1945 in una spiaggia pugliese e che vede protagonisti il giovane romantico Ezio e la giovane ribelle Giovanna che per puro caso sfoggia il suo ombelico quando ancora il bikini non aveva fatto il suo ingresso nella moda. Ezio, un po’ come l’eclettico Florentino Ariza di Marquez, ama quella giovane in maniera definitiva e vive fino alla vecchiaia nel ricordo di quell’estate nella spiaggia di San Cataldo, non dimenticando che partendo da quell’ombelico, i loro corpi si sono sfiorati, accarezzati, odorati, esplorati, poi abbandonati e allontanati per circa sessant’anni.
Nostalgico, romantico e sensuale. Ernst stupisce con il linguaggio comune e con il suo tocco originale di fare danzare le parole rendendole sognanti e dolci.
E’ un inno all’amore, quello inesauribile, che tiene legato gli uomini e che li culla giorno dopo giorno aiutandoli a vivere senza spiragli e quando tutto sembra statico e immobile si ritorna a riprendere le redini dell’esistenza dove tutto era finito, con una piccola valigia in una stazione ferroviaria.
Anche se ormai non è più opportuno parlare di ombelichi e bikini al sole!

«Ci sono giovani che diventano uomini quando vanno a letto con una donna, altri quando abbattono un cervo o distruggono una macchina a furia di spingere sull’acceleratore. Ma ci sono anche giovani che diventano uomini su un treno, piegati in due, con la mano di un uomo sulla spalla.»

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gracy Opinione inserita da gracy    20 Febbraio, 2013
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Once upon a time....

C’era una volta il pirata John Long Silver, il temibile uomo dei mari con una sola gamba, protagonista de “L’isola del tesoro” di Stevenson…..ma questo è il sequel, che lo fa rivivere nel 1742 ormai vecchio a narrare le sue confessioni-memorie sotto forma di rocambolesca e trascinante storia.
Punto di forza del libro è la capacità descrittiva di Larsson di narrare in maniera straordinaria un gran libro di avventura e lo fa con passione, facendo rivivere dialoghi esilaranti con Dafoe e Jim Hawkins in una confessione che trabocca di fascino. Long John Silver, da ragazzino di Glagow per bene, si trasforma in mozzo, marinaio, contrabbandiere, quartiermastro, schiavo e alla fine dei suoi giorni pirata, quando ormai è leggenda.
E’sicuramente la personalità carismatica di John, burbero, coraggioso, cinico, trucido, tenero, rispettoso e sensibile che trascina il lettore ad affezionarsi e a fare il tifo per lui. E’ palpabile il forte messaggio che trasmette sul perché delle scelte che facciamo e sulle storie che ognuno di noi in fondo raccontiamo a noi stessi.
E’ stato molto interessante conoscere le regole di navigazione che vigeva all’epoca, la gestione della tratta degli schiavi, la vita dei bucanieri, dei marinai e di come ammainare la bandiera e sopravvivere alle rivolte al largo dei mari del Sud o delle due Indie.
Anche se scorrevole e piacevole ho trovato un po’ ripetitivi certi passaggi e alla fine 500 pagine finiscono un po’ per annoiare.

“Se si vuole prendere qualcuno per il naso, bisogna stare alle regole del gioco. Ed è meglio trovarsi le proprie parole che cercare di servirsi di quelle altrui”…

....che il diavolo ti porti John Silver!

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Libri di avventura che vanno oltre.
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gracy Opinione inserita da gracy    12 Febbraio, 2013
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Vola vola… Little Bee!

La semplicità di questo libro è sotto gli occhi del lettore sin dalle prima pagine, Chris Cleave con un linguaggio quasi gioviale e mai accorato ha saputo creare un piccolo gioiello intinto di verità sugli uomini, gli è bastato mettere assieme una giovane nigeriana e una donna inglese in carriera, due “cose” così diverse per raccontare un dramma di vaste proporzioni come la guerra civile in Nigeria. Una guerra dichiarata e portata avanti con crudele ferocia per il dominio del petrolio, per il potere che poi sarà appannaggio dei paesi industrializzati e “sviluppati” che lo utilizzeranno. Little Bee è vittima della guerra, l’unica colpa è quella di vivere con la sua gente in un villaggio africano a coltivare manioca, a giocare con la fantasia, fingendo di avere un frigorifero o simulando di fare la giornalista dietro la carcassa di un televisore e a esultare se la radio trasmette la musica degli U2, troppa semplicità disturbata dal petrolio che giace sotto la terra che calpesta. Il petrolio ha il profumo della morte e quando si è morti non si ha più fame di manioca, solo di compagnia e come un’ape smarrita scappa alla ricerca del suo alveare dove trovare pace, dentro una nuova razza umana e sa che sarà l’Inghilterra il suo rifugio, perché è a Sara e ad Andrew che la sua vita appartiene, due giornalisti che per fatalità hanno legato i loro destini a lei, col silenzio, senza parole, lei una piccola insignificante sedicenne nigeriana, con un nome buffo…Piccola Ape.

“Per quanto a lungo la luna scompaia, prima o poi deve brillare di nuovo.”

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Romanzi
 
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gracy Opinione inserita da gracy    05 Febbraio, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Le vite umane, delicate come stoffa…

... potevano essere tagliuzzate capricciosamente dalle lame di momenti casuali di egoismo.
Quante volte ci siamo sentiti dire l’espressione “somigli a tua madre” e come una sorta di appartenenza molto intrinseca la sentiamo nostra per davvero e finiamo per prenderla buona come per dire che la mela non cade mai lontano dall’albero. Amy e Isabelle sono rispettivamente figlia sedicenne apparentemente tranquilla e madre discreta apparentemente perfetta, che vivono il loro rapporto in un conflitto fatto di parole non dette e di vuoti come per tentare di trovare una collocazione in mezzo all’indefinito plancton di corpi che le circondano da ogni parte.

...“Amy non parlare con la bocca piena” “Amy non masticare la gomma quando stai parlando “Amy togli i piedi dal divano” Amy stai dritta con la schiena”...

Elizabeth Strout esordisce con questo grandioso romanzo di formazione al femminile, che ricorda per molti aspetti narrativi e descrittivi il suo Pulitzer “Olive Kitteridge” e per la profondità dei temi e del linguaggio ci riporta nei meandri di un doloroso Yates o Carver o anche la opprimente Oates, una penna che scava per bene nell’animo di queste due donne e di alcuni personaggi di una scolorita cittadina americana Shirley Falls (città di fantasia) apparentemente tranquilla e chiusa nella sua stereotipata routine, dove si consumano tradimenti, malattie, morti improvvise, riconciliazioni, avvistamenti Ufo e violenze inaudite.
L’amore era davvero difficile per le due donne, amare significava sofferenza e attesa insieme, delusione e tanto coraggio di affrontare i drammi un giorno per volta, magari cercando le risposte in una semplice poesia o attraverso le pagine di uno scolorito Reader's Digest, con la speranza inesauribile di ritrovare un giorno ognuno la sua strada.

“Perché se tutte finiamo per assomigliare a nostra madre, allora che senso ha?”

“L’unico modo per mangiare un elefante è un boccone per volta”

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Purdy, Carver, Oates, Yates...o anche no
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Gialli, Thriller, Horror
 
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gracy Opinione inserita da gracy    29 Gennaio, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Questa è l’Italia…benvenuti!

Finire di leggere questo libro proprio oggi quando tutti i tg danno la notizia che la Strage di Ustica, consumata 32 anni fa, è stata causata da un missile e che che i radar civili e militari all’epoca non sono stati in grado di garantire la sicurezza nei cieli, è davvero una sorprendente coincidenza. Complimenti Stato Italiano, hai saputo dimostrare di essere per davvero “senza confini”.
Prendi il periodo che va dal 1954 al 1972, metti la strage di via Fontana, il caso Mattei, il Commissario Calabresi, la mafia siciliana, la mafia americana, la mafia irlandese, gli USA e Cuba, ancora prima dell’entrata in vigore della legge Basaglia e con gli anni di piombo che incalzano, vedrai che molotov si scatena.
E’ così che Sarasso ha costruito un “rapporto” dettagliato ed epistolare molto avvincente, dell’Italia sconosciuta, dell’Italia fantasmagorica, quella che non viene insegnata nei libri di scuola e che a nessuno piace ricordare, quella del dolore palpabile e insostenibile, l’Italia dei Misteri sullo stile Lucarelli, l’Italia sull’orlo di un colpo di stato, quella degli attentati consumati tra le fiamme della dinamite, tra i fumogeni delle dimostrazioni di piazza, tra gli acidi asfittici e le manganellate.
Per molti aspetti stilistici ci riporta ai precursori di Q dei Wu Ming, la narrazione dai ritmi serrati e truculenti sotto gli effetti di droghe, alcol e sesso spietato ci ricorda Ellroy.
Molto borderline.
I nomi sono fittizi, spicca in primis il terribile Starling, ma le dinamiche di molti eventi narrati ricordano gli inciuci dell’Italia del nostro tempo, grandioso.
Come è “grandioso” il gusto amaro di sapere che molte vite sono state spazzate via con violenza, oggi quasi dimenticate, che inutilmente attendono da decenni giustizia nei vari tribunali italiani .
Si…la giustizia… che tristezza.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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3.3
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gracy Opinione inserita da gracy    18 Gennaio, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Quel gran genio del mio amico Big Joe!

Ma si può iniziare i primi capitoli della sesta serie di Hap&Leo e ammazzarsi dalle risate? E continuare a leggere avidamente, anche se la trama è debole, senza mordente, prevedibile e sotto tono rispetto a “Mucho Mojo” e “Il mambo degli orsi”?
…..Joe ti potevi impegnare di più.
E pensare: ma il trucco dov’è? Ma si, i dialoghi sono il punto di forza, sono lo tsunami, la dinamite, un gelato al cioccolato, un wafer alla vaniglia, il sudore sotto il sole texano, una maglietta unta, un pickup scassato, un armadillo domestico e le bestemmie tra il duo di amici stratosferici meglio assortito della letteratura, Hap Collins uomo bianco sfigato donnaiolo, un perfetto naif dal cuore grande e Leonard Pine uomo nero macho gay, saputello, gradasso e determinato. I nostri eroi sono alle prese con scazzottate e ammazzatine pulp e truculente, come al solito scanzonati e irriducibili canaglie che malgrado le loro buone intenzioni si trovano in mezzo ai guai. Hap è il vero protagonista della storia, eroe per caso incassa un premio, si concede assieme a Leo una crociera che si rivelerà peggio della Concordia e poi una donna, tanto sesso, tanti morti e tanti “cazzo” e “vaffanculo”e anche quelli sono il corollario determinante che fanno la differenza, Alfredo Colitto è un bravo traduttore e ha saputo maneggiarli bene senza creare nessun disturbo all’anima, non si offenderebbe nemmeno il lettore più puritano.
Accidenti a te Joe, mi mancano gli ultimi due della serie e poi vengo a cercarti in Texas col macete se non sforni un altro Hap&Leo cazzo!

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I primi 5 Hap&Leo in ordine di uscita
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Classici
 
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gracy Opinione inserita da gracy    16 Gennaio, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

"Preferisco essere una creatura viva piuttosto che

......un angelo".
Accostarsi a Jane Eyre e respirare le sue pagine è come leggere un manuale su come migliorare la condotta degli uomini e Jane Eyre parla in prima persona con tutta la sua naturalezza di creatura eterea, ottimista, quasi sublime, quasi perfetta, quasi “santa”.
Quel “caro lettore” che compare spesso in ogni episodio narrato, racchiude tanta bellezza e tanto sentimento, con grazia sbriciola e schiude tutte le sue sofferenze, le sue angosce e lo fa senza cadere in agonia ma con grande determinazione senza perdersi nella disperazione, ma pregando, ringraziando e non abbandonando mai la Fede in quel Signore meraviglioso che la sostiene in tutte le sue difficoltà e la ripagherà di tutte le sofferenze subite sin dalla nascita, da orfana, povera, sola e incompresa prima, a creatura matura successivamente, intelligente, amata, desiderata e soprattutto pronta per dare agli altri tutto il suo calore, la sua amorevole dedizione senza ripensamenti, solo seguendo la condotta dell’amore, quello vero, quello puro.

“Lo amavo tanto, più di quanto io stessa potessi ammettere, più di quanto potessi esprimere a parole.”

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Gialli, Thriller, Horror
 
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gracy Opinione inserita da gracy    06 Gennaio, 2013
Top 50 Opinionisti  -  

Elementare Watson...ma non sempre!

“Ho deciso di uccidere un uomo. Non so chi sia né dove viva, non ho idea di che aspetto abbia. Ma lo troverò e lo ucciderò.”
…Caro lettore non sei che una convenzione….Dal Diario di Felix Lane.

Inizia così il romanzo di Nicholas Blake, pseudonimo di Cecil Day-Lewis, sotto forma di un diario rivelatore, un agghiacciante confessione-rivelazione di un uomo che ha subito un torto, la morte del figlioletto per mezzo di un pirata della strada, che reo di avere stroncato l’unica ragione di vita di Frank Cairnes padre apprensivo e vendicativo, diventa l’obiettivo di morte e pertanto è lui la bestia che deve morire.
La tecnica narrativa, l’accuratezza dei particolari, l’introspezione dei personaggi rasenta quasi la perfezione del classico giallo deduttivo a camera chiusa. Scritto nel 1938 è considerato dagli amanti del genere uno dei migliori gialli mai scritti, Nicholas Blake scrisse una ventina di libri con protagonista il raffinato e colto investigatore Nigel Strangeways.
Il signor Polillo lo ha ristampato nella sua classica collezione “I bassotti” che raccolgono i migliori gialli narrati da oltre 150 anni e leggerlo oggi mi ha trasmesso quel carisma che riconosco di averlo già provato leggendo altri libri che gli somigliano ma che sono molto più recenti. Penso che bisogna dare merito a opere come queste che hanno aperto la strada al thriller moderno e che tutti gli appassionati di thriller, gialli e noir non debbano perdersi certe chicche del passato, magari molte sono lente e noiose, ma questa è geniale e imprevedibile per davvero.

"Dubita sempre di ciò che sembra probabile e comincia a credere a ciò che sembra incredibile" Cit. Gaboriau

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Romanzi
 
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gracy Opinione inserita da gracy    18 Dicembre, 2012
Top 50 Opinionisti  -  

“Io voglio essere felice adesso.”

Sofia si veste sempre di nero perché il nero le sta a pennello, è il colore della contestazione, dell’anarchia e anche dell’amore contrastato. E’ cresciuta nella bambagia e poi si ritrova ad amare il padre, ma prima aveva amato la madre, dopo ama la zia, dopo ha amato la sua vita fino esortarne la fine, poi ama il teatro, poi la cucina, poi ama qualcuno, poi sparisce come ingoiata dal mare, rapita dai pirati o ingoiata dai fantasmi. Il nero come le foto in bianco e nero ingiallite dal tempo e come la sofferenza.

“L’amore è la zona di autonomia più temporanea che ci sia.”

“L’amore è nella pancia, l’amore è un cane cieco che ti manca da quando sei andata via di casa.”

“Non gli venne mai in mente la possibilità opposta, cioè che avere due donne fosse come non averne neanche una.”

Bella prova di scrittura, le parole sembrano danzare tra le pagine, poco meno di duecento, le storie si susseguono brevemente eppure raggruppano tanti pensieri, tante situazioni che si aggregano nella mente del lettore, tanti frammenti che ricompongono quarant’anni di storia d’Italia e degli italiani, e tanti episodi che raccontano di Sofia e delle donne che le appartengono per tanti motivi, gli uomini sono satelliti e lei si muove con modi dolorosi e sicuri, con inquietudine e bellezza, portando dentro tutto un mondo femminile così ricco di attimi di rara felicità e di ricerca, dove nascere è come una nave che parte per la guerra e il senso della vita non sta nelle cose che fai, ma negli esseri umani che incontri.
Un libro di straordinaria forza emotiva e grande capacità descrittiva, mi sono ritrovata a Roma , Milano e New York come guardando un film da premio e ringrazio un caro amico per questo viaggio magnifico e indimenticabile.

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gracy Opinione inserita da gracy    10 Dicembre, 2012
Top 50 Opinionisti  -  

...dolcemente complicate

“Ti immagini Ana, come sarebbe sovversivo che le donne smettessero di desiderare gli uomini?”

Storie di donne, storie di destini che vivono le loro esistenze con sofferenza e determinazione seguendo l’istinto e colmando le loro vite con l’inesauribile bisogno d’amore. Sono 4 donne cilene, Maria, Ana, Sara e Isabel le protagoniste che si vogliono bene e che in un decennio hanno attraversato vicissitudini davvero determinanti per il loro futuro, dalla lotta politica alla condizione di donna ai tempi della dittatura di Pinochet, dall’inserimento nel campo lavorativo alla condizione sociale vigente in quegli anni. Donne inquiete, donne innamorate, illuse e disilluse, dove l’uomo ha una collocazione quasi “cattiva” di uomo innamorato, combattente e passionale. Si trascina così con molta lentezza e pacatezza quasi confusionaria tutta la lettura del libro, con il classico tocco degli scrittori latino americani, che non si risparmiano a sviscerare con calore ed emozione tutte le storie profonde e segrete di queste donne che un po’ ci appartengono per l’intimità del difficile universo femminile.

“Non esiste una vita trasparente, Ana. Ogni donna ha un segreto, pur piccino che sia. Tutte ne hanno almeno uno.”

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