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siti Opinione inserita da siti    23 Febbraio, 2015
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Solo se

Versilia – Forte dei Marmi.
Il mare, le ville dei nuovi ricchi russi, l’atmosfera del paesaggio marino fuori stagione.
Protagonisti il quarantenne Sandro e i suoi amici, tutti inesorabilmente fuori stagione. Vivono di espedienti - Sandro fa il supplente solo per audacia materna - e rappresentano una generazione fallita.
Serena, altra quarantenne, madre di due figli è la declinazione al femminile.
I ragazzi, compreso un bielorusso reduce da Chernobyl, hanno invece chi per un verso chi per un altro caratteristiche che dovrebbero richiamare la diversità: Luna è albina, Luca ha doti intellettive e caratteriali straordinarie, Zot ha un passato e un presente fuori dal comune.
Il mare porta nelle loro vite le onde e unisce i loro destini.
Ho letto faticosamente tutto il romanzo la cui trama cerca di intrecciare i fili di queste esistenze attraverso un alternarsi di punti di vista che riescono veramente genuini solo, a mio parere, nell’ottica maschile di Sandro. Il linguaggio è scurrile e accompagna il vuoto delle esistenze tristi e meschine rappresentate, la lingua italiana è l’abdicazione della norma a favore della lingua parlata caratterizzata da negazione assoluta del modo congiuntivo, da risoluzione di ogni subordinata affidata al che completivo e da un lessico di base.
Ho apprezzato l’ironia dell’autore nella rappresentazione di tale realtà e confesso che mi ha strappato qualche sorriso, non ho apprezzato invece le deboli metafore (dall’onda in giù) che reggerebbero l’impianto e in effetti non ho colto proprio l’impianto narrativo in sé, non ho nemmeno amato i personaggi.
Ne consiglio la lettura solo se:
- si ama Genovesi
- si cerca una lettura scanzonata
- si apprezza un’ironia pungente, alternativa
- ci si ritiene uno spirito libero.
Non mi ci ritrovo affatto ma ciò non toglie che per altri lettori potrebbe essere una lettura gradevole.

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siti Opinione inserita da siti    18 Febbraio, 2015
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"Spesso il male di vivere..."

Ho trovato un tesoro prezioso. Vivo la sensazione di una scoperta inattesa e ricca. Ho scoperto “La veranda”: è il suo destino essere scoperta. Nel 1981 giaceva, forse dimenticata, tra le cartelle di uno dei sommi giuristi di fama europea che la Sardegna, generosa, ha saputo donare. Giaceva adagiata fra scritti di altra natura ai quali il suo autore si era poi dedicato. Alla sua morte è emersa, salvata dal destino che il suo autore le aveva riservato:” L’ho distrutto”. Salvatore Satta, non apprezzato all’esordio con la sua proposta al Premio Viareggio, scartato il suo primo lavoro, abbandonò il mondo dei letterati ma non certo quello della letteratura. Lo si ricorda oggi per il suo più famoso “il giorno del Giudizio” (1977) e per il “De profundis” scritto nel ’48 una profonda meditazione sull’Italia postfascista e del dopoguerra .

Ambientato in un sanatorio o meglio nella sua veranda, per le famose pratiche già elevato a dignità letteraria nel ’24 da Thomas Mann ne “La montagna incantata”, l’opera ha per protagonista un giovane avvocato che, malato di “tuba”, tra una “pipa” (termometro) e una “bomboniera” (sputacchiera), osserva un microcosmo e lo rappresenta restituendocelo come lirica metafora dell’umanità.
La veranda è luogo personificato: ingloba con i suoi accadimenti il bene e il male.
La veranda è una cassa di risonanza dove ogni parola detta o taciuta, paradossalmente, si amplifica, dove non risuonano conversazioni ma “parole che rompono dal mondo”.
Gli ospiti sono nominati come i luoghi dai quali provengono, ma oltre il Po “gli uomini diventano regioni ché paesi e città non hanno risonanza negli animi di questi comunardi, e il muro e la fossa sono rimasti nel loro spirito”.
La veranda è la metafora dell’ ”adattamento animalesco” alla vita e a tutto ciò comporta :“nell’affetto e nell’amicizia e fin nell’amore noi affondiamo nella consuetudine, come l’albero le sue radici nella terra; e il dolore prima che ogni cosa è una ferita alla consuetudine.”
Le pagine si susseguono una più bella dell’altra e non è la narrazione il fulcro che spinge il lettore a consumar le righe, a voltar pagina, quanto la brama di conoscere il pensiero di un giovane autore emergente che, ricordando la tempestiva genialità dei grandi nomi della letteratura, ti sorprende per la visione della vita e per la lucidità con la quale ce l’ha restituita, sottilmente ispirata al “male di vivere” di montaliana memoria.
A voi scoprirla l'opera, se gradite.

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siti Opinione inserita da siti    13 Febbraio, 2015
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Varianti

Il romanzo d’esordio di Mauresing, apparso nel 1993, è esso stesso una variante.
Il titolo sta a nominare una mossa messa a punto in un preciso momento storico e in un preciso luogo da un maestro di scacchi. Rappresenta inoltre un corollario dell’intima essenza del gioco che, fin dal sua nascita, pare sia stato strettamente legato alla perdita della ragione evolvendosi poi in un stretto sodalizio con la morte.
È una variante in sé perché il romanzo gioca sull’impianto narrativo de “ La novella degli scacchi “di Stefan Zweig arricchendosi però di altre citazioni letterarie da “Il mercante di Venezia” in su e di un epilogo storico che la novella dell’austriaco non avrebbe potuto narrare per una questione meramente cronologica. In realtà le numerose somiglianze (gioco come morte, gioco come dipendenza, gioco come riscatto, astensione forzata dal gioco, scacchiera realizzata con materiali di recupero, l’ uso della tecnica del flashback, l’ariano contrapposto all’ebreo...) tendono via via ad assumere una loro originalità ben studiata nell’economia generale del romanzo.
La storia è quella di un omicidio-suicidio in seguito ad una partita a scacchi giocata in differita e nella quale un giocatore ne rappresenta un altro. La Storia è una partita a scacchi e viceversa la partita a scacchi è una storia. Il gioco ammette la patta per concessione , la Storia si nutre di sconfitti e il romanzo mette in equilibrio vinti e vincitori con una vendetta lenta come una mossa delle più studiate.
Il romanzo è gradevole, interessante anche per chi non ha mai giocato, ha il potere di rappresentare i simbolismi connessi a questa pratica, di richiamare grandi nomi e di rappresentare un periodo storico preciso.
L’ho trovato meno incisivo rispetto alla novella di Zweig nella capacità di indagare e rappresentare la psiche umana e frettoloso nell’ultima parte dove avrei gradito una rappresentazione più incisiva a livello emotivo. Complessivamente un buon libro da apprezzare e da conoscere.

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E.A.POE
ZWEIG
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siti Opinione inserita da siti    11 Febbraio, 2015
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Un insegnamento prezioso

Con il linguaggio semplice della fiaba, con la sua istintiva e recondita anima pedagogica, con il suo insegnamento per la “brava gente”, alternando lettere ai figli a storie della sua infanzia sarda e a racconti di grandi autori, Gramsci parla.
Parla anche se qualcuno sentenziò che fosse meglio farlo tacere mandandolo prima al confino e poi in carcere salvo scarcerarlo, malato, poco prima della morte.
Nel libro sono raccolte molte lettere scritte ai figli Delio e Giuliano, alcune alla cognata e alla moglie, altre alla sorella e alla madre. Le lettere sono intervallate da preziose letture: racconti di Puskin, Kipling, Tolstoj e altri.

Nonostante sia lui in carcere, è palpabile in ogni riga la preoccupazione per i suoi cari: la famiglia in Russia e quella originaria a Ghilarza, in Sardegna. È una preoccupazione che non è mai autocommiserazione ma sempre, seppur velata da dispiacere e disappunto, la preoccupazione di un babbo.
Trapela in ogni missiva la volontà di tenere agganciata la sua famiglia e soprattutto di trasmettere ai figli, lui bambino figlio di un carcerato percepito come assenza, la sua presenza. Si firma per lo più Antonio: il primogenito lo ha conosciuto per brevi periodi , il secondogenito non lo ha neanche mai visto di persona. Ma lui è il babbo, a lui spetta la loro educazione e le lettere testimoniano oltre alla difficoltà a mantenere una reale corrispondenza, la volontà ferma di essere la loro guida.
Si comporta come un grande educatore. Invita i figli a “non guaire come un cagnolino da latte”, a non cedere ai lamenti ma di forzarsi a stare seduti e a pensare per maturare un vero senso di responsabilità grazie allo studio. Comunica questo ai figli progressivamente restituendo loro un padre bambino e fanciullo con una storia personale non semplice ma con una forza d’animo invidiabile. Un bambino che già da piccolo, provato dalla vita, nascondeva le sue lacrime alla mamma, donna capace di instillare in lui un credo pedagogico valido e universale che lui ha cercato di trasmettere ai suoi figli.
Noi abbiamo solo il dovere, tramite Gramsci e questa lettura, di instillarlo anche nei nostri ragazzi per perpetrare l’idea di un’educazione votata al rigore con se stessi, alla tenerezza amorevole, alla guida autorevole.

“...ogni nostra azione si trasmette negli altri secondo il suo valore di bene o di male, passa di padre in figlio, da una generazione all’altra in un movimento perpetuo...”

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siti Opinione inserita da siti    07 Febbraio, 2015
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Ogni modo

Entra in scena un nuovo protagonista, alla diade già nota e analizzata nei precedenti romanzi e rappresentata da Sua Eccellenza il potere politico e da Sua Eminenza il potere economico si affianca ora Sua Santità il potere clericale.
Le regole mafiose diventano il paradigma su cui Sciascia si diverte a declinare le regole clientelari che sottendono ai rapporti stretti tra potere politico e potere religioso.
Il romanzo è nettamente diviso in due parti di cui la prima rappresenta l’antefatto della seconda più ascrivibile al modello letterario del giallo e in cui entrano in scena i protagonisti, i loro rituali, i loro discorsi, il loro modus operandi ( bellissima la pagina della recita- balletto del rosario...a quanti balletti odierni mi ha fatto pensare).
Un pittore, attratto da una scritta “Eremo di Zafer 3”, abbandona la strada principale e si immette in una strada secondaria che lo porta a scoprire un atipico albergo che avrebbe inglobato un presunto eremo e che, apparentemente isolato e vuoto, non può accoglierlo come ospite. Lì si terrà a partire dal giorno successivo un gran raduno di “clienti particolari” guidato dall’enigmatico e discusso Don Gaetano che li guiderà alla pratica degli esercizi spirituali. Per grazia ricevuta potrà parteciparvi anche lui...Proprio Sant’Ignazio di Loyola esortava a tale pratica degli esercizi spirituali con la formula :“ogni modo è valido per ottenere la grazia di Dio”.
Ogni modo?
E qui subentra l’ironia di Sciascia che con una sintassi complessa e una prosa oscura, complicata, filosofeggiante, ricca di rimandi culturali utilizza la prima parte del romanzo per far dialogare il pittore famoso e il prete. Molto fra i due è sottinteso e il loro è un vero e proprio duello verbale, il prete allude, cita in un sottile gioco di rimandi culturali che stordisce. Il pittore rappresenta chiaramente la prospettiva laica e il prete lo beffeggia conducendolo per mano in un mondo imperfetto che è vittima dell’ostinata e laica attribuzione di perfezione che non ha e non può avere.
Il mondo chiuso e riprodotto nell’eremo è criptico nella sua essenza e quando sarà squarciato da una serie di omicidi a catena, in corso le indagini, tale rimarrà.
Il giallo rimarrà insoluto quasi a infrangerne l’essenza, la soluzione del delitto appunto, ma non l’efficacia, l’impianto narrativo fisso, geniale che l’omicidio del movente, voluto da Sciascia, renda tutti sospettabili e quindi nessuno...
Da leggere e rileggere e rileggere.

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"Todo modo" e ancora cerca di capirlo
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siti Opinione inserita da siti    05 Febbraio, 2015
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IERI, OGGI, DOMANI

Il proclama di Francesco Giuseppe “Ai miei popoli” irrompe in un mondo fatto di odore dolciastro di mele al forno e di castagne dei caldarrostai nella piazza.
La voce narrante, il giovane Trotta, figlio di un Trotta del casato di nuova nobiltà asservito agli Asburgo dai tempi dell’eroe di Solferino che salvò l’imperatore, si trova in Slovenia quando si annuncia lo scoppio della I guerra mondiale. È la terra dei parenti, lui è viennese, è un giovane come tanti, frivolo e inetto e non si è accorto delle “deboli avvisaglie” di un prossimo sfacelo.
È scoppiata la prima guerra mondiale, definita tale dal giovane non per il coinvolgimento di tante nazioni ma per il fatto che renderà lui orfano di un mondo, lo stesso “mondo di ieri” redivivo nelle parole dell’amico Zweig.
L’opera scritta nel 1938, l’anno dell’annessione, anticipa l’autobiografia di Zweig; è l’addio romanzato che il suo amico relegò ad un altro genere letterario.
L’ho trovata bellissima e ancor più umana.
Si avverte un sentimento struggente e nella storia di un singolo il destino di una generazione.
La guerra incalza, lui si precipita e sceglie per chi e per cosa combattere.
La guerra modifica il tempo e la sua percezione: i matrimoni pullulano, la morte avanza.
La guerra capovolge le volontà ma non modifica l’essenza di quella generazione, rappresentata, che vi partecipa. “ Erano venuti su troppo viziati nella Vienna nutrita dai paesi della Corona”. Vienna parassita, Vienna matrigna dei suoi figli compianti, Vienna culla dell’impero che si avvia allo sfacelo. Belle queste pagine.
La guerra diventa subitanea e ingloriosa prigionia, al rientro, la sopravvivenza una vita svalutata come la nuova moneta, la vita la costruzione di una nuova identità e il rifiuto di una contemporaneità che non potrà reggere il confronto con un mondo che non c’è più. Un mondo che ora esige il passaporto per avviarsi verso lo sfacelo che però, ora , il nostro protagonista saprà, a differenza di altri, presagire.
Uno sguardo lungo all’ombra della più rassicurante cripta dei Cappuccini che, conservando le spoglie mortali degli imperatori, unica gli dà conforto.

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Stefan Zweig, "Il mondo di ieri"
e altre opere di Roth
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siti Opinione inserita da siti    04 Febbraio, 2015
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Un buon maestro

" Ma non crediate che io stia per svelare un mistero
o per scrivere un romanzo."
E. A. Poe

Lo chiarisce subito, con la citazione in esergo, il suo intento.
L'opera, vista la fortuna de "il giorno della civetta", sfrutta ancora una volta l'impianto narrativo del giallo perché l'autore, consapevole che ad esso " una buona parte dell'umanità si abbevera", con il suo tramite può perseguire il suo intento pedagogico, proprio come un buon maestro. Ancora una volta, come nelle migliori prassi didattiche: repetita iuvant; cambiano movente (il delitto è ora passionale e di stampo mafioso), i protagonisti ( non più l'emiliano Capitan Bellodi ma il più siciliano Professor Laurana) ma invariato è il finale ( vince la connivenza).
Nonostante la scelta di un siciliano come conduttore delle indagini, si chiarirà progressivamente che l'effetto da ottenere è quello di creare un assurdo: il suo novello investigatore è un ingenuo, l'epiteto di cretino che gli si riverserà addosso, il monito di Sciascia a chi ancora non aveva ben chiare alcune interdipendenze. Insomma un personaggio facile da amare che monta il suo ruolo come un vero cavallerizzo senza accorgersi che non conosce né l'arte del cavalcare né tantomeno il cavallo e le sue andature. Si troverà disarcionato ancora prima di capire, mentre l'ironia dell'autore attraversando un paese, un territorio, una nazione beffeggerà chi non capisce il limite della giustizia che cessa di esistere quando è male amministrata.
Lapidario quindi il monito :"A ciascuno il suo".

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siti Opinione inserita da siti    02 Febbraio, 2015
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Con il linguaggio dei fiori

"Pimpinella, n. f.. Pianta erbacea
perenne della famiglia delle Rosacee,
con infiorescenze generalmente rosse.
Nel linguaggio dei fiori, offrire una
pimpinella significa:" Sei il mio unico amore."

Scritto da un pubblicitario apprezzato, ora romanziere noto al pubblico francese e non per il successo di "Le cose che non ho", questo romanzo breve parla di un amore fedele.
Chi ha provato il vero amore sa che non lo tradirà mai e chi ha avuto la fortuna di incrociarlo in giovane età, sa quanto sia prezioso. Tradire questo amore significherebbe tradire se stessi.
La storia è presentata da Louis, in ottica tutta maschile, quando il protagonista è ormai adulto. Ripercorre quindi la nascita di un amore, non corrisposto, di lui, ragazzo, orfano di padre e dalla sensibilità vicina al mondo femminile. Un ragazzo che sa aspettare anche quando i fatti sembrerebbero smentirlo, un ragazzo che sa capire, un uomo che sa accogliere per imparare poi a convivere con un'inquietudine che accompagna l'amore.

Sebbene lo spunto narrativo sia gradevole, si nota una certa labilità nella struttura breve che non riesce ad accogliere quelle caratterizzazioni che sarebbero state necessarie per rendere i personaggi più vivi. In particolare ho trovato quasi abortito un personaggio, la madre-vedova, la cui delicatezza nel rapporto col figlio è lasciata solo all'immaginazione del lettore.
Ne consiglierei la lettura in particolare ai ragazzi a partire dai sedici anni quando i primi turbamenti d'amore rendono complesso districarsi fra le coetanee soprattutto se attratte da mondi adulti ed esperienze inebrianti.
Un gesto semplice, un patrimonio emotivo ( se i genitori lo hanno educato alle emozioni), uno sguardo sincero al proprio io sono sempre una priorità da non tradire per garantirsi un vero amore.

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siti Opinione inserita da siti    31 Gennaio, 2015
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L'ultima parola

Lascito dello scrittore siciliano, esce postumo, offre attraverso una storia emblematica un'amara constatazione: l'opportunismo vince sull'etica, la giustizia è ancora un ideale cui tendere. Tutta una vita spesa a credere a questo valore ma un'ultima opera, emblema ancora una volta della sua sconfitta. Per chi credeva nella ragione , nella libertà e nella giustizia solo il dovere di ricordare a noi tutti che legalità , giustizia, ragione sono prima di tutto da ricercarsi nel singolo, nella sua azione nel quotidiano anche quando esso sia già muffito per ragioni storiche, geografiche, culturali e di appartenenza ad un territorio difficile. L'invito a fare della giustizia un valore intrinseco all'individuo per non ritrovarsi a ricercarla in modo estrinseco in un meccanismo che non è perfetto ma che la ragione può aiutare.

La scrittura magistralmente concisa e semplice offre con questo racconto lungo la possibilità di focalizzare l'attenzione del lettore sul caso di un omicidio che si vuol far passare per suicidio.
Una telefonata muove le indagini, a farla è chi, inconsapevolmente, spezzerà l'immobilità di un commissariato disturbato la vigilia di S. Giuseppe. La stessa telefonata che darà il via ad un curioso via vai di brigadieri, commissari, questore rappresentati immobili nel loro antagonismo fine a se stesso, suscitando indubbia ilarità, decreta anche la condanna a morte di chi quella telefonata farà.
Il caso farà irrompere sulla scena, all'atto della ricostruzione dei fatti, chi nella scena non avrebbe voluto entrarci e che, all'uopo, deciderà di abbandonarla tempestivamente. L'opportunismo vincerà sull'etica mentre un altro piccolo grande uomo, un' altra individualità, fa della sua etica una scelta di vita.

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siti Opinione inserita da siti    29 Gennaio, 2015
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“Breve di giorni, sazio di inquietudine"

“Breve di giorni, sazio di inquietudine”.
E non è questo l’uomo?
In quest’opera vi ho visto fondamentalmente un uomo, Saramago, fortemente pessimista ma di un realismo sconcertante. Accattivante, lo scrittore, nella narrazione della storia di un uomo, Gesù, al pari di lui dilaniato dal dubbio. Pronto a dubitare di tutto e di tutti, compreso se stesso nell’atto della riscrittura della biografia più nota che ci sia.

Un’impostazione tesa a prendere atto della realtà in una dimensione temporale che è al tempo stesso diacronica e sincronica, tutto e niente, virtù e peccato. Una lettura che mi ha fatto riflettere, sorridere, raccapricciare, dubitare, credere e soprattutto sguazzare nel mio libero arbitrio.
Uno stile inconfondibile che fa digerire, per l’assenza di punteggiatura, gli innumerevoli dialoghi ( a me non sempre graditi) che però risultano corrosivi nel costringere a continue riletture per cercare di capire chi dice cosa. Se poi ci si sofferma a chiedersi anche il perché a quel personaggio è dato dire ciò, si cade nella tela del ragno. L’autore è riuscito nell’intento: a mio parere, tutto ha voluto, tranne provocare.
Ha , con fine intelligenza, descritto la variabilità del pensiero umano alla luce della contraddizione in termini presente nella realtà. Non c’è bene senza il male, non c’è uomo senza peccato e soprattutto non c’è uomo che possa spiegare niente, tanto meno uno scrittore che, ammiccando al lettore, vela il suo vero messaggio oscurandolo volutamente con un vestito provocatore e provocante. Tra le righe Saramago ci ha offerto la sua sofferenza privata per un Uomo che ancora non sa amare, per un Mondo il cui futuro migliore è ancora da scrivere.


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siti Opinione inserita da siti    22 Gennaio, 2015
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Divertente riflessione

La tragicommedia divisa in cinque atti e ambientata tra Venezia e Belmonte è un testo vivace, originale e godibilissimo. Nel mutar di una scena, nell’ammiccar di un servo, nel rincorrersi dei doppi sensi linguistici, nel delinearsi chiaro e vivace dei pochi protagonisti si assiste,come se si fosse in prima fila, allo spettacolo. La trama vive di una vicenda essenziale: Antonio si indebita con l’ebreo Shylock per facilitare l’amico Bassanio , pretendente di Porzia, ricca ereditiera, gravata da scelta paterna a prender marito attraverso la prova dei tre scrigni a mo’ di lotteria. Chi, fra i pretendenti, sceglierà quello giusto godrà della donna. Antonio cadrà in rovina e si ritroverà nell’impossibilità di saldare il debito la cui mancata restituzione prevede in cambio una libbra della sua carne viva. Altri due destini femminili, di natura squisitamente amorosa, si intrecciano al filone principale arricchendolo di intrecci, sagaci scambi di battute, complicazioni e scioglimenti finali. La materia così vivacemente rappresentata porta alla ribalta alcune tematiche di ben più profonda riflessione: l’amicizia, l’amore, il destino femminile, la peculiarità dei ruoli sociali, la differenza tra i vari ceti, la nobiltà d’animo, il valore del silenzio e l’importanza delle parole. Banalità e vanità a confronto sul filo di una parola. La ricchezza mercantile fa da sfondo ad un mondo rappresentato dall’etica del guadagno in balìa del mare o del proprio animo capace solo di accumulare o di perdonare.
L’avidità, il limite, la cattiveria condensate nell’ebreo, quasi a far apparire un atteggiamento antisemita, in realtà sono difetti trasversali a tutti i personaggi, ebrei e cristiani, ma diversamente dosati per poi essere calibrati da un inatteso giudice che interpreterà al meglio la legge terrena , quasi a far da bilancia agli errori umani, integrandola con quella divina di qualsiasi origine essa sia (ebrea o cristiana). E quali migliori parole, se non queste, a farci capire un semplice e molto chiaro pensiero?

Shylock , scena I, attoIII

“M’ha sempre maltrattato come un cane
(...) E ciò perché? Perché sono giudeo.
Non ha occhi un giudeo?
Un giudeo non ha mani, organi, membra,
sensi, affetti, passioni,
non s’alimenta dello stesso cibo,
non si ferisce con le stesse armi,
non è soggetto agli stessi malanni,
curato con le stesse medicine,
estate e inverno non son caldi e freddi
per un giudeo come per un cristiano?
Se ci pungete, non facciamo sangue?
Non moriamo se voi ci avvelenate?
Dunque, se ci offendete e maltrattate,
non dovremmo pensare a vendicarci?
Se siamo uguali a voi per tutto il resto,
vogliamo assomigliarvi pure in questo!
Se un cristiano è oltraggiato da un ebreo,
qual è la sua virtù di tolleranza?
L’immediata vendetta! Onde un ebreo,
nel sentirsi oltraggiato da un cristiano,
come può dimostrarsi tollerante
se non, sul suo esempio, vendicandosi?
Io non faccio che mettere a profitto
la villania che m’insegnate voi;
e sarà ben difficile per me
rimanere al disotto dei maestri.”

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siti Opinione inserita da siti    18 Gennaio, 2015
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Italia - Sicilia: una terra da amare

Il romanzo breve, ultimato nell'estate del 1960, è la narrazione di un fatto di cronaca cui segue un'indagine.
La particolarità risiede nel fatto che quella cronaca, al momento della pubblicazione, assurgeva, sola o quasi, a verità storica; nella realtà veniva declassata a fatto "passionale". Il fatto narrato è invece il paradigma su cui su declina il SISTEMA MAFIA per rendere inconfutabile una sola verità: IL COLPEVOLE. Sciascia condanna "la borghesia parassitaria", quel ceto sociale intoccabile, dentro lo Stato, che tutto sfrutta.
Condensa in un numero modesto di pagine indimenticabili, la storia della mafia, la storia dell'Italia dall'Unità ai governi giolittiani fino al secondo dopoguerra evidenziandone i protagonisti siciliani.
Sfrutta abilmente il linguaggio cinematografico per creare un codice linguistico espressivo e originale riescendo così a imprimere nella memoria del lettore fatti, atteggiamenti, mentalità, sensazioni. Esemplari in questo senso le pagine dell'incipit in cui si narra staticamente il fuggi-fuggi dell'omertà e le altrettanto belle pagine che descrivono la paura dell'informatore.
Apparentemente una lettura semplice, necessita invece di un alto grado di attenzione anche per certe discontinuità nella prosa, create ad arte, nell'alternarsi di sequenze narrative chiare e circostanziabili con altre più fumose, anonime, indeterminate che nella loro caratteristica hanno il forte potere di alludere all'essenza stessa di ciò di cui si è finora parlato.

Al problema, Sciascia, trovato il colpevole, dà pure una soluzione, semplice e purtroppo ancora inattuata. Lo fa tramite i pensieri del capitano Bellodi che si perde, mentre interroga un intoccabile, a ipotizzare una seria lotta all'evasione fiscale. In un crescendo tutto riservato al finale, lascia ancora stupiti, per l'attualità, l'inefficacia delle interrogazioni parlamentari mentre la scena lentamente sfuma in un epilogo rasserenante e di speranza regalandoci un dolce omaggio alla Sicilia e con essa all'Italia intera.

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siti Opinione inserita da siti    13 Gennaio, 2015
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Assertiva retrospettiva

Teatralità odierna nell’affrontare il dolore, il fatto più privato che la Natura ci abbia concesso, contro un uomo che indossa una maschera fatta di dignità e di congiunta comunione tra l’essere e il fare.
È un maggiordomo, fosse stato altro nella vita, lui sarebbe stato comunque fedele a se stesso, alla sua storia, alla sua famiglia, alla sua collocazione sociale.

Ishiguro ha creato un personaggio che mi rimarrà nel cuore per coerenza, intransigenza , savoir faire, equilibrio, rigore, responsabilità. Non una piega se non il percorso, questo viaggio, raccontato come un diario e impreziosito dalle analessi di una vita. Un viaggio verso il recupero, verso il punto di origine, verso se stesso, sempre negato, mascherato e, in fondo, ritrovato e confermato.

Si è quel che si vuole essere, sempre. Le opportunità, le possibilità sono sempre e comunque anche atti di volontà.
Voler non essere: una possibilità.
Quel che resta? L’accettazione di ciò che è stato.

Non ho altre parole, se non il consiglio di centellinarlo, questo libro, come un buon vino d’annata.
A piccoli sorsi, il suo gusto, il suo calore, il suo sentore avvolgente vi placheranno, ad ogni rigo, l’animo. Stevens, il maggiordomo-voce narrante, ha reso così anche questo servizio: coccolare l’ennesimo ospite. Abnegazione fino alla fine. E in fondo chi ci dice che lui non abbia saputo coglierle le sue possibilità? È stato per trentacinque anni al servizio di Lord Darlington e vivere nella sua dimora gli ha permesso di vivere la storia dell’Europa interessata da due conflitti mondiali “vicino al fulcro della storia del mondo” quindi “orgoglioso e grato” del fatto che gli sia stata concessa questa possibilità “un simile privilegio”: l’ha saputo cogliere appieno. Se si pensa, inoltre, al ruolo di testimone storico che gli attribuisce Ishiguro poi, non mi rimane che invidiarne benevolmente, il ruolo di memoria storica che assume.
Quando gli eventi si allontanano con il loro carico di dolore ed errore, è difficile, con equilibrio, ricordare i percorsi intrapresi, accettati o semplicemente subìti e diventa invece infinitamente più facile con un colpo di spugna cancellare tutto e condannare la Storia, i suoi protagonisti, se stessi.
La vita offre la possibilità di evitare anche questo semplicemente contemplando la sera ed accettandola con il suo carico di nuove opportunità.

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siti Opinione inserita da siti    08 Gennaio, 2015
Top 50 Opinionisti  -  

Crescere

A metà strada tra corrispondenza e diario personale, il romanzo presenta una giovane donna in piena crisi esistenziale anche a causa del fallimento del suo matrimonio. Ai suoi dubbi, alle sue incertezze, alla sua immaturità risponde, in via epistolare, un intermediario fra l'al di qua e l'al di là: un angelo. Egli, a sua volta, in un classico espediente circolare, è il ponte tra l'essere e l'essere stato, il sapere e l'intuire, l'esperienza e l'incertezza, la dimensione ultraterrena e la più bieca realtà.
La donna è Gioconda-Chiara Gamberale, l'angelo è Filemone- Massimo Gramellini, novella rivisitazione dell'amato da Bauci.
La trama è essenziale, la riflessione esasperante quanto un percorso di analisi, necessario ma doloroso.
Il limite è il riconoscimento inevitabile, nell'angelo, del Gramellini stile passaggio televisivo, breve ed aneddotico: uno stile troppo personale (al di là dell'apprezzamento più o meno positivo che gli si possa rivolgere), prevedibile e fedele, troppo, a se stesso.
Una lettura a sprazzi alleggerita dalla penna femminile alla quale si può riconoscere la capacità di delineare un tipo psicologico interessante ma nulla più.
Una tematica angelica in uno sfondo di redenzione universale che consiglierei solo come lettura rasserenante per chi attraversa momenti di vera difficoltà. Vi si riconosce tanto buon senso, molto pratico seppur venato di misticismo, un compendio di buoni sentimenti, una storia lieve lieve.

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siti Opinione inserita da siti    07 Gennaio, 2015
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Sospetti

Ho sospettato di tutto e di tutti, me compresa. Non vorrai mica credere ad una storia di fantasmi? Ridicolo, sono portata ad apprezzare altro, sicuramente non questo genere.
E invece...arrovellata, persa, sbattuta, presa in giro e infine affascinata da questo gioiellino. La mente ha vagato spinta dal sospetto che si è insinuato.
Uno zio poco amabile affida, noncurante, i nipoti orfani all’ennesima istitutrice: perfetto! È affascinante, misterioso e assente: perfetto!
Una presenza fissa, vecchia governante, ingenua e sempliciotta ma detentrice di tanti segreti e portatrice di tante allusioni: perfetta! È il classico elemento deviante: perfetto!
Presenze misteriose, già date per morte, si materializzano apparendo con la loro influenza passata e presente: non possono essere semplici fantasmi! Ci lavoro su parecchio, con la fantasia.
Un’istitutrice giovane e apparentemente sprovveduta che, in un crescendo entusiasmante, pur non essendo finemente caratterizzata, parla in prima persona di sé, del suo lavoro, della sua esperienza in un manoscritto che viene presentato in un’ammaliante cornice iniziale. Si trasforma, la ragazza di campagna, man mano diventa da abile osservatrice padrona di tutta la scena: i miei sospetti ora cadono su di lei. Giro pagina e un episodio mi fa cambiare nuovamente idea, un incontro, un’apparizione, una sparizione, un non detto, un già sentito...turbine: giro come una trottola.
Abile James.
E poi loro, i due bambini, un maschio e una femmina. Vivono in una casa di campagna, il loro destino è quello dell’abbandono o della perdita; hanno perso i genitori, chi si occupava di loro prima, Miles, il maschietto, anche il contatto con l’esterno. La scuola che frequenta lo rispedisce al mittente: nessuna spiegazione...perfetto! Volgi lo sguardo anche lì. I bambini sono rappresentati angelici, ineccepibili, solidali, fuorvianti, subdoli: vittime o carnefici? Il dubbio lavora peggio di un tarlo.
E la prosa? Mi ingarbuglia, mi rimanda al detto, al pensato, al sospettato, al già so ma lo saprai dopo, anche tu. Mai chiara, sempre allusiva, sempre misteriosa, sempre da dipanare.
Un piacevole tormento.
Insomma un racconto scritto ad uso e consumo immediato, pubblicato a puntate e fonte di facile guadagno ma che arriva, consapevole l’autore, alle alte vette del genere, volutamente.
Interpretato in vari modi, ne consiglio semplicemente il godimento.

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siti Opinione inserita da siti    06 Gennaio, 2015
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SPERIMENTALISMO

Romanzo breve pubblicato a puntate, su rivista, nel 1888 dieci anni prima dell’altro racconto, altrettanto noto, ”Giro di vite” e sette dopo “Ritratto di signora”. Scrittore" transatlantico", una vita tra America ed Europa amando molto la nostra Italia.
Una particolare predisposizione alla scrittura breve in un tentativo di battere se stesso in revisione e perfezione, caratteristica questa necessaria se si vuole mantenere l’equilibrio utile a non far fallire miseramente la propria fatica.
Il racconto è un genere narrativo arduo da scrivere, sintetico nella sostanza, equilibrato nella forma, un raro diamante, se lo si sa incastonare. Questo appartiene alla prima produzione e, pur risentendo di un certo sperimentalismo, risulta comunque molto gradevole.

La trama è semplice e lineare: un critico letterario circuisce con vari espedienti due anziane demodé, zia e nipote, per impossessarsi del carteggio privato della prima, ultracentenaria, musa ispiratrice in gioventù del poeta da lui tanto ammirato. Tutta la narrazione verte su uno spunto reale di cui James venne casualmente a conoscenza, il classico motivo ispiratore insomma.
Certo che, negli anni in cui entravano in scena il grande realismo francese e il nostro verismo, la collocazione di questo scritto pare anacronistica, ma in realtà non lo è: li ha frequentati, l'autore, i maestri del realismo e ne dosa la lezione nutrendosi di altri spunti letterari, americani (Hawthorne e Poe in primis).
L’impianto è quello di un modesto giallo e la suspense è l’elemento di fondo e se si pensa poi che la pubblicazione avvenne a puntate se ne comprende ulteriormente l’importanza. Il tentativo mi pare riuscito in parte, il finale mi ha lasciata di stucco e ho dovuto leggerlo nuovamente per capire se mi fossi persa qualcosa, per cui il racconto mi pare più un bozzetto autobiografico e caricaturale che ha dato all’autore il pretesto per un eccellente esercizio stilistico.
L’ambientazione veneziana è deliziosa: Venezia è bellissima ma scomoda, trasandata e in parte abbandonata, scenario di sogni turistici e luogo di passaggio o di soggiorno cercato e quasi un cimelio di epoche passate nell’immobile e incantevole laguna, zanzare comprese.
L’opera permette inoltre all'autore di inserire spunti di riflessione, interessanti e mai invadenti, nell'economia del racconto: rapporto tra dimensione pubblica e privata dei singoli, celerità delle notizie nell’ “era dei giornali, dei telegrammi e delle fotografie e delle interviste”, la figura dell' intellettuale, il sentore del cambiamento dei tempi.

Se avesse solo immaginato di quali diavolerie si può sporcare, oggi, la vita privata di ognuno di noi chissà quale racconto dell'orrore avrebbe scritto...

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siti Opinione inserita da siti    03 Gennaio, 2015
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Un santo

Testo breve, si legge tutto d’ un fiato. Apparentemente è semplice e per essere stato scritto poco prima della morte, pubblicato postumo, fruito prima dalla cerchia degli intimi, è gravato dal fardello di rappresentare il testamento letterario dell’autore, morto poco tempo dopo, in seguito ad una crisi etilica.

Il titolo contiene tre elementi che ci fanno subito addentrare nella sua complessità, due strettamente intrecciati, leggenda e santo, l’altro di natura puramente biografica. E in effetti la leggenda è, in origine, un testo letterario narrante la vita di un santo e contenente elementi fantastici e miracolosi con fini esemplari. Successivamente si è evoluto in un genere letterario che ha come base una realtà (personaggi, storia, luoghi) deformata in senso religioso.

Questa leggenda è un susseguirsi di miracoli (inattesa e ripetuta disponibilità pecuniaria) a favore di un senzatetto che vive sotto i ponti della Senna. Un incontro fortuito ma non casuale muove l’azione: un anziano signore, recentemente convertitosi al cristianesimo, dona al protagonista una somma e lui, accettandola , promette di restituirla. Su consiglio del donatore, si decide per un’offerta al prete della chiesa che custodisce la statua della santa cui il donatore è devoto: S. Teresa de Lisieux. Il denaro permette ad Andrèas di riappropriarsi della propria vita in modo episodico e frammentario in un crescendo che lo porta a incontrare i tasselli umani della sua trascorsa esistenza. Riallacciando i rapporti umani attraverso il denaro che con ulteriori “miracoli” gli si rendono disponibili in breve tempo, viene reintegrato nella società che però lo allontana dal suo obiettivo lui che , forse, mai ne aveva avuti di così urgenti. La restituzione sarà rimandata varie volte per una sorta di casualità mista a incapacità che intrappolerà Andrèas fino alla scena finale.

La leggenda sembra voler ritrarre un uomo a cui capitano eventi eccezionali che però, se potenzialmente sarebbero potuti diventare un’arma di riscatto sociale, diventano invece complicazioni tese a minare l’integrità morale del protagonista. Egli riuscirà, nonostante tutto, a preservarla.
Metafora, il racconto, probabilmente, della condizione dell’alcolista: una vita non-vita, non inquadrabile, non ingabbiabile che nessuna occasione può redimere se non una morte” lieve” e “bella” che purtroppo a Roth fu negata.
La finzione letteraria ammette il santo peccatore, la realtà forse no, l’arte sì.

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siti Opinione inserita da siti    31 Dicembre, 2014
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un gentiluomo

Successo di pubblico e premio Pulitzer 1960, il romanzo di Harper Lee fu scritto su consiglio di Truman Capote che, come amico, ne conosceva i racconti dell’infanzia vissuta in Alabama, profondo sud.

La voce narrante è una bambina che racconta la sua famiglia, la sua contea, la sua infanzia. Tutto è interessante: la famiglia che gravita sul padre Atticus, vedovo con due figli e aiutato da una governante nera, Calpurnia; la contea con al centro Maycomb dove coabitano bianchi e neri; l’infanzia scandita da anni scolastici che rincorrono agognate estati tese a dipanare il mistero del vicino asserragliato in casa. Infanzia di una bambina sanguigna che si batte come un maschio, infanzia di una futura donna , in nuce, già intelligente e curiosa. Bambina che porta i calzoni e si allontana dal solco tracciato dalle vicine imbellettate per far visita ad una vicina o per partecipare alle riunioni solidali all’insegna del pettegolezzo.

Un episodio coinvolge il padre in prima persona e con forza centripeta l’intera comunità: Atticus è incaricato d’ufficio per difendere un nero accusato di violenza sessuale a danno di una giovane bianca anch’essa ai margini della società. Un conflitto senza vinti né vincitori, tutto è già deciso, un processo, una giustizia dentro e fuori dai tribunali al centro della narrazione. Il resto del romanzo è un inno ad Atticus e, per ciò che mi riguarda, la parte più gradevole del romanzo che , da sola, vale la lettura.
Atticus è un padre meraviglioso, sa conoscere i propri figli, affronta la realtà scomoda anche per loro perché, altrimenti, non sarebbe più credibile come genitore.
LA COERENZA
LA FERMEZZA
IL RIGORE
LA COMPRENSIONE
Giovani genitori o genitori di nuova generazione volgete lo sguardo a questo padre che sa quando un figlio origlia alla porta e coglie l’occasione per fargli arrivare il messaggio più importante. Un padre che comunica e non rifugge dalle domande scomode perché i bambini hanno bisogno di risposte chiare, non evasive: c’è già il resto a confonderli ma il genitore non può farlo. Se poi la confusione è generata da benpensanti razzisti le cose si complicano ulteriormente e un padre, facendo crescere se stesso, indica la via della crescita ai suoi piccoli. Meravigliosa coerenza e un piccolo trucco: “ Se vuoi capire una persona, devi cercare di considerare le cose dal suo punto di vista...”
L’epilogo ne vede la coerenza portata all’estremo ma basta ricordare ciò che già me lo aveva fatto amare:” prima di vivere con gli altri, bisogna che viva con me stesso: la coscienza è l’unica cosa che non debba conformarsi al volere della maggioranza” e ogni tassello torna al suo posto.

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siti Opinione inserita da siti    29 Dicembre, 2014
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UNA PARABOLA ASCENDENTE


Libro d’esordio. Libro potente.
Stile impeccabile, capacità di rappresentazione eccelsa. Pochi personaggi, pochi eventi, un’esistenza sul far della sera.

Quella di David è una parabola ascendente , raggiunto il culmine come un dardo mal scagliato, precipita all’improvviso mantenendo un’orbita che in fondo le era destinata.
Anni ’20 del ‘900, speculazioni finanziarie, affari al sapor di petrolio e l’ombra della grande crisi, del tracollo del re denaro.
Una penna femminile dipinge il mondo finanziario con poche pennellate, qualche dialogo dal sapore tristemente speculativo e un grande protagonista.
Parigi - Un duello verbale apre il romanzo, il protagonista si affaccia prepotente, un uomo esce di scena, suicida. David ha quasi settant’anni e sente la sua età, anche l’aspetto fisico glielo ricorda.
È stanco, spossato, ha investito tutto ciò che poteva ma la smania di concludere affari non lo abbandona. Il cuore però lo tradisce perché l’angina infilza il suo corpo e lo trafigge lentamente quanto il tempo necessario per capire la sua parabola esistenziale.

Magistrale anche in quest’opera la capacità di rappresentare gli uomini e gli animi.
Non è una bella persona l’uomo di cui si narra l’esistenza, ha una famiglia: una moglie e una figlia. I sentimenti che prova nei loro confronti sono ingabbiati da subdoli legami parentali retti dal denaro, il loro valore è quello della compravendita.
Tutto si compra compreso l’amore.
Eppure l’autrice è riuscita a trasmettermi una vicinanza emotiva a questo antieroe e a farmi impietosire da lui fino a far scomparire tutto il marcio che rappresentava.

Un bel grande personaggio, una scrittura potente.

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Romanzi storici
 
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siti Opinione inserita da siti    27 Dicembre, 2014
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UNA GRANDE FAMIGLIA UNIVERSALE

Il romanzo corposo ma scorrevole, ruota, come dice il titolo, intorno alle vicende di una ricca famiglia ebrea di Varsavia dai primi del ‘900 allo scoppio della seconda guerra mondiale. Si entra dentro la storia attraverso il personaggio del suo ricco patriarca, Meshulam Moskat, archetipo dei vizi e delle virtù di una comunità sagacemente dipinta da Isaac B. Singer. Magistralmente entrano in scena, tra i vari gradi di parentela, figli di primo e di secondo letto, la terza moglie e la figlia, i generi, l’amministratore, i nipoti e un giovane, Asa, di cui tutto il romanzo racconta infine la storia.

Come i fili di un ordito Singer abilmente tesse la trama molto gradevole e magnetica. Ogni personaggio è accarezzato e accompagnato dal narratore che, sapientemente, lo utilizza per variare la prospettiva rispetto alla centralità insita nella grande famiglia. Si viene a contatto con un’umanità multiforme e colta nelle sue debolezze e contraddizioni. La cultura è quella ebraica anch’essa fermata in un momento storico che la mette per l’ennesima volta in discussione ma, questa volta, anche dal suo interno.
Gabbani gettati, barbe tagliate, parrucche matronali levate,scioperi, sionismo, libera circolazione di libri profani in traduzione yiddish, scuole riformate, cospirazioni e su tutto un calendario denso di festività tutte rispettate formalmente e santificate.
Il culto cela malumori, dissidi, fragilità, speranze e velleità. Copre, mette a tacere, tarpa le ali, rivisita,dona speranza, crea legami, li dissolve. La comunità- famiglia con le sue contraddizioni è legata alla sua religione anche quando nei comportamenti se ne discosta. Tutti i personaggi vivono, cadono, si rialzano, si allontanano, si avvicinano, sono in eterno movimento. Alcuni,fatalisti, si arrabattano pensando che tutto sia già scritto, altri vivono nella speranza di potersi muovere dalla propria condizione umana, altri ancora non conoscono sosta.
La famiglia è grande ed è osservata da una massa anonima che ne vive la storia e in un modo o nell’altro se ne fa partecipe. Emergono a più riprese atteggiamenti antisemiti , Singer ne fotografa il divenire da malumore a odio. Singer recupera infine, con una famiglia, un’intera comunità . Aiuta il lettore a capire la comunità ebraica offrendola, a mio parere, come un archetipo di un qualsiasi altro spaccato umano ma mostrando quale particolarità la renda unica.

Un popolo in eterno movimento, milioni di destini incrociati nella storia del mondo, un unico filo conduttore, un medesimo destino.

DOV’È LA DIFFERENZA?

Ognuno nasce, vive, muore, vizi e virtù ci animano, camminiamo su questa terra solcata da tanti altri alla ricerca, più o meno consapevole, di quel filo invisibile che tutti ci lega.

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siti Opinione inserita da siti    19 Dicembre, 2014
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LA GUERRA IN PRIMA PERSONA

Scritto fra il 1936 e il ’37 durante una convalescenza, la prima edizione fu francese nel 1938 e la seconda finalmente italiana nel 1945 a Liberazione avvenuta.

Quando una trincea è uno scavo improvvisato e individuale, quando l’istinto si rivela la sola arma di sopravvivenza, quando il ricordo è vivo e genuino come nel momento in cui la situazione lo ha prodotto.
Nessuna mediazione né psicologica né letteraria abbellisce il ricordo.
“J’ai plus de souvenirs qui j’avais mille ans” cita Baudelaire, in esergo, Emilio Lussu.
Eppure la prosa è bella , la narrazione avvincente e le sensazioni tangenti come il passaggio dal puro interventismo intellettuale al pacifismo necessario. La guerra fa maturare avversione rispetto alle proprie fisime intellettualoidi.
Il libro è una testimonianza sul filo del ricordo decontaminato da esperienze successive: impegno politico – Lussu è tra i fondatori del PSd’Az -, dissidenza parlamentare - partecipa alla secessione aventiniana -, antifascismo - confino, evasione, esilio - .
Emerge un giovane appartenente alla Brigata Sassari, consapevole dello strappo temporale che la guerra ha prodotto nella sua esistenza, lui appena laureato e in virtù della sua cultura già graduato. Un ragazzo, ancora, ma con l’atteggiamento maturo ed equilibrato che solo un uomo può avere. Abile intermediario, coglie tutte le debolezze umane nei soldati e negli eventi. La narrazione è fedele ai fatti e nemmeno la distanza temporale dal processo di scrittura ne modifica il tono. Ciò che è stato brutto, brutto rimane, così ciò che si è potuto apprezzare, nella sua bellezza, bello rimane. Nemmeno la guerra cancella l’ironia nel ricordare episodi comici ai limiti del grottesco. E ci si può ritrovare a gioire come un soldato felice per una gentile concessione che il Fato rispedisce subito al mittente o a capire l’umanità bizzarra , espressa in trincea, che per un’assurdità si è ritrovata a interpretare l’assurdo che è in ogni guerra.

Interessante osservare che la prosa è facilmente fruibile e permette l’accesso a ogni tipologia di lettore che abbia interesse ad approfondire le contraddizioni insite in ogni guerra e nello specifico la partecipazione italiana al conflitto nelle sue drammatiche peculiarità.

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Storia e biografie
 
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siti Opinione inserita da siti    15 Dicembre, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Con dolore e con gioia


“Con dolore e con gioia abbiamo vissuto il tempo e la storia
al di là della nostra piccola esistenza personale...”

Temperamento schivo, mente aperta e un infinito senso di libertà interiore. Poliedrico nella sua attività intellettuale, ha lasciato in campo culturale contributi notevoli come poeta, storico, romanziere e biografo. È stato protagonista della cultura mitteleuropea conoscendo un pieno successo tra gli anni Venti e Trenta del ‘900 prima che Hitler lo mettesse al bando. Dal successo, però, non si è fatto lusingare perseguendo nella vita ideali ben più nobili: la fraternità, la libertà, il senso del vero al di là di ogni ipocrisia o connivenza.

Scrive quest’opera quando da cosmopolita è diventato ormai involontario apolide. Lo scritto è il racconto della sua esistenza personale che, agli occhi di un uomo contemporaneo, tutto può apparire tranne che “piccola”. Il racconto è, al contrario, un eccezionale documento umano di una vita capace di far sognare chi, come me, si fa impressionare dai grandi nomi che quest’uomo, come una calamita, ha saputo attirare a sé.
Nonostante l’eccezionalità del suo vissuto, in realtà la normalità per quell’élite di intellettuali mitteleuropei e non che gravitarono intorno alla sua esistenza, anche questa vita in fin dei conti appare ben misera cosa se riferita ad un senso della storia che la pervade tutta. Ecco perché questo memoriale storico ha un altro protagonista che non è appunto l’autore ma la Storia.

Il racconto segue il criterio cronologico tipico delle autobiografie ma le tappe della vita sono scandite dagli eventi storici che lasciano nel lettore la sensazione del trascorrere inesorabile del tempo permettendone però la sua conoscenza storica nel breve lasso temporale, appunto, rappresentato dalla fine della Belle Epoque alla II guerra mondiale. Un tempo terreno breve ma ricco di rivolgimenti che Stefan Zweig ha voluto, estremo lascito, testimoniare secondo il suo personale punto di vista a beneficio della “generazione futura”. Un peccato non cogliere il suo messaggio che lascio a voi scoprire.

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siti Opinione inserita da siti    09 Dicembre, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

il gioco

Lettura veloce e interessante. Veloce perché la novella è breve e lo stile incalzante, interessante per una serie di motivi, che, nel mio caso, prescindono tutti dal gioco in questione.
Un lessico da strategia militare, la rappresentazione di una partita a scacchi, a più riprese, surreale e grottesca messa in scena dopo una magistrale descrizione di Czentovic, uno zotico campione del mondo, una negazione di tutte le doti intellettive che normalmente attribuiamo ai grandi giocatori, un campione atipico insomma. Un giocatore che mina, casualmente e momentaneamente il suo predominio, l' enigmatico Dottor B con la sua storia dentro la storia.
Un testo breve di cui di più non posso svelare perché il suo fascino è, oltre che nello stile, nella trama.
Un autore interessante che si cimenta con una tematica da tanti affrontata prima e dopo di lui.
Un testo, l'ultimo dell'autore prima del suicidio esule dalla sua tanto amata e compianta Vienna imperiale quando l'annessione tedesca era già un ricordo ma una ferita ancora sanguinante.
Uno scritto che è stato variamente interpretato e al quale sono stati dati molteplici significati, mi limito a segnalarlo come una lettura gradevole ricca di spunti che se si vuole si possono inseguire, personalmente mi sono piaciuti il modo di indagare l’animo umano o meglio la psiche, i riferimenti agli eventi storici e il potere di una storia di farmi pensare a certe altre storture ludiche, meno intelligenti, che purtroppo, legalizzate, si insinuano nelle debolezze dell’uomo contemporaneo.

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“C’è un tempo...”

Citare Cohelet dei versi biblici del Libro Ecclesiaste, celebre per il lamento di Salomone sulla vanità di tutte le cose materiali, è doveroso a inizio commento:

“Per tutto c’è un momento e un tempo per ogni azione, sotto il sole...C’è un tempo per nascere e un tempo per morire.”

È doveroso perché questi versi li ho ritrovati a inizio lettura e mi hanno scossa ricordandomi qualcosa che conoscevo ma vagamente, un ricordo sfumato, sbiadito...la Bibbia!
Chaim Potok mi ha portato a quel messaggio o a parte di esso (quello che riesco a capire) e la sua lettura ne è stata poi influenzata. Ho conosciuto l’arpa eolica, la New York degli anni ’30, orrida agli occhi del romanziere nei suoi scenari urbani e così bella, come il Maine, nei suoi paesaggi marini. Ho conosciuto l’Europa finalmente narrata nel primo scorcio del suo “secolo breve” con l’ottica americana. Che pietà!! Che orrore!! Ho conosciuto una bambina, Davita, e l’ho subito amata e ho preso a contare le sue domande intelligenti e ad apprezzare le risposte finemente etimologiche della mamma.
Domande e risposte: una crescita non solo fisica o emotiva ma intellettiva, un percorso di vita a cavallo di una groppa solida, comunista, anticapitalista, sulle ali della libertà di pensiero e di scelte.

Un ritmo narrativo cadenzato e intervallato dai suoni, l’arpa eolica – su tutti – all’ingresso di una casa, di tante case, di un ingresso, di tanti ingressi a segnare anche inevitabili dipartite.
Cadenzato e intervallato ancora dai fini messaggi dell’autore (il senso della storia, del tempo, del passato, del presente, del futuro, il valore dei nomi, il contrasto tra il messaggio divino e la realtà storica vissuta in prima persona non da spettatore).
Equilibrio, serenità, accettazione, riflessione, crescita e soprattutto religione come mezzo per decifrare la realtà e i suoi contrasti. Nessuna opposizione, nessuna lotta ad una possibile sovrastruttura mentale ma un atteggiamento riflessivo, per l’autore di fede, e per me, al di là di ogni credo personale, di ogni ateismo, di ogni agnosticismo, di ogni materialismo, un messaggio che mi sento di consigliare.

Potok, qui novello Cohelet, a rinnovare il concetto di felicità, a ricordare che l’uomo percepisce un attimo, non il disegno totale, che l’uomo poco percepisce ma può vivere cercando di capire non perseguendo il piacere ma il dovere. “È decisamente la sola cosa giusta da fare” a ricordo di un altro familiare “è cosa buona e giusta...”
Un romanzo che ti cattura decisamente e che ti avvolge nella sua atmosfera con una prosa armoniosa e musicale fatta di intimi rimandi che risuonano, nella memoria, come un sapere mai dimenticato.
Un romanzo capace di toccare le corde dell’animo e di farle vibrare. Potere narrativo eccelso e in grado di coinvolgere il lettore come pochi sanno fare.

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siti Opinione inserita da siti    03 Dicembre, 2014
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UN ATAVICO DESTINO

Ada, la protagonista , entra in scena con la delicatezza dei gesti paterni tesi a proteggerla dal freddo. Intermediario ebreo, il padre, appartiene alla sfera bassa del ceto borghese; vivono ad un passo dal ghetto nella provinciale Kiev, una fra le tante città dello sterminato impero. Una scrittura lieve mi cattura e lo sguardo della bambina mi fa vedere ciò che avevo dimenticato di aver visto: l’alone sul vetro di una finestra lasciato dalla testa appoggiatavi, i giochi con gli anelli di fumo, lo sguardo dal basso verso una realtà ancora impossibile da decifrare.
Una zia, vedova e arrivista, irrompe sulla scena, con lei due figli, un maschio e una femmina , quest’ultima mezzo per realizzare il tanto desiderato riscatto sociale perché gli ebrei sono capaci di salirla, la scala sociale, “fino ad altezze vertiginose”.
Invidia, divieti, ricchezza e povertà, speranza e un eterno movimento in verticale dalla città bassa a quella alta passando per la città di mezzo dimenticando e rinnegando identità, cultura e religione schiacciati dal peso di un atavico destino. Sullo sfondo i mesti, gli onesti , strisciano, rasenti ai muri, sperando di non essere visti. La Storia ne inghiotte uno :il padre.
Ada cresce e con lei la vicenda che, frettolosamente, intrecciandosi con quella del ricco cugino - cagnolino ben nutrito e curato, impaurito dall’ululato famelico dei lupi, suoi fratelli selvaggi - va a naufragare come in una dissolvenza malriuscita .
Mentre gli eventi precipitano la maestria nel tratteggiare i caratteri e i più reconditi pensieri e le emozioni e i sentimenti nella vasta gamma che solo il reale può offrire si alterna ad una scrittura tesa a declinare impietosamente l’ “insolenza giudea”.
Ada, bambina a Kiev, giovane donna a Parigi, povera e libera, presenta molte analogie con Irène, si differenziano però proprio per l’appartenenza sociale, l’una lupo, l’altra forse” cane” ,come Harry nel romanzo, intimorita Irène da una cultura e da una discendenza ebraica che probabilmente non riuscì mai ad accettare. Diverso purtroppo anche il destino per le due: Ada, creatura letteraria, imperitura e protesa al futuro non scritto, Irène , imperitura anche lei ma condannata dalla Storia e da un’appartenenza che non sono riuscite, comunque, a imbrigliare.

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Scienze umane
 
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siti Opinione inserita da siti    02 Dicembre, 2014
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Adolescenti e "adultescenti"

La tesi di fondo del saggio è l'ipotesi che lo sconcerto del mondo adulto nell'osservare l'adolescente di oggi derivi fondamentalmente dal misto di fragilità e spavalderia che lo caratterizza.
Il tentativo è quello di delineare un ritratto degli adolescenti proprio a partire da queste due caratteristiche salienti che vengono messe in relazione ai cambiamenti culturali, sociali ed educativi degli ultimi decenni. L'intento non è quello di offrire un identikit di tutti gli adolescenti perché molti di loro si discostano da tale ritratto, ma almeno di offrire delle chiavi di lettura per aprire un dialogo e un dibattito in prospettiva ottimistica con tutti coloro (genitori, insegnanti, operatori sociali...) che hanno a cuore i ragazzi investendoli di un nuovo responsabile ruolo per il futuro del mondo e prima di tutto di se stessi come belle persone.

Fermiamoci allora e guardiamoli gli adolescenti non subendoli ma osservandoli.
È probabile che sentimenti vari agiteranno il nostro animo e c’è chi tra di noi li vedrà come l’autore: fragili e spavaldi.
Bel titolo ma fuorviante, in realtà il saggio è una rilettura dell’adolescente sugli archetipi di Edipo e di Narciso. Il primo scomparso, il secondo imperante.
Riduttiva ancora una lettura del genere, in realtà si va oltre perché guardare loro significa guardare noi stessi e riflettere sul nuovo modello di genitori e di società. Considerazioni che portano a superare i classici luoghi comuni dal “si stava meglio prima” a “quand’ero giovane io...” per riflettere tutti insieme su più nobili obiettivi : fare di queste nuove generazioni delle belle persone e investirle della responsabilità di fare meglio di chi li ha preceduti.
Un saggio di facile lettura, lontano da approcci vittimistici e da ritratti colpevolizzanti ,che aiuta a indagare sul proprio ruolo di adulto rispetto ai giovani mettendo in evidenza, semmai, le nostre responsabilità.
L'augurio è quello, a lettura terminata, che scompaia invece quella tremenda nuova progenie di "adultescenti" assai più dannosa all'incedere naturale delle stagioni.

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Vittorino Andreoli,"L'educazione( im)possibile"
Maria Rita Parsi, "Maladolescenza"
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siti Opinione inserita da siti    30 Novembre, 2014
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AMERICA-IRLANDA:ANDATA E RITORNO

Racconto autobiografico di un'infanzia infelice e povera in una terra schiacciata da un contesto storico che neanche il moto indipendentista riesce a riscattare.
America e Irlanda: andata e ritorno.
Una famiglia fa la spola tra due continenti, due storie, due miti di libertà, in un destino di povertà e miseria comune a tanti nel secolo scorso.
La narrazione è affidata al punto di vista di un bambino, il piccolo Francis - Frank, tradito dal più maturo e ironico McCourt.

Vita e morte, fame e assistenzialismo, nord e sud, America e Irlanda, carbone, patate, pulci e birra. La foce dello Shannon, culla di Limerick, con il suo fardello di capro espiatorio per un padre alcolizzato purtroppo mitizzato dal narratore. Un bambino pesantemente colpevolizzato da un errare vagabondo, straniero nella patria che gli dà i natali, straniero nell'Irlanda- patria dei genitori, colpevolizzato dalla somiglianza fisica col padre, poiché foriera di somiglianze altre che, fin da piccolo, si profetizzano per lui, colpevole infine di esistere e di chiedere: cibo, casa, famiglia, conoscenza. Una sete di sapere che il mondo adulto, imbruttito dalla lotta contro la vita, non sa soddisfare.
Un'esistenza che, nei momenti di lucidità, un padre sa arricchire con un'intimità fatta di essenziali attenzioni e mitici racconti per dissolversi in amaro disincanto.
Una lettura lenta e amara che un'altra penna avrebbe potuto, sicuramente snaturandola, rendere a me più gradevole.

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siti Opinione inserita da siti    20 Novembre, 2014
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Critica di un bambino al mondo adulto

Catalogato come libro di racconti per bambini e per ragazzi di prima adolescenza, il libro circola anche in edizioni finemente corredate di splendide illustrazioni.
Si tratta, in sostanza, di otto brevi racconti con unico protagonista Peter, un bambino di dieci anni. Il suo ritratto iniziale, offerto dall'autore, serve a fissarlo nella nostra mente come il classico bambino con la testa fra le nuvole, il resto dell'opera a esemplificare le sue incursioni oniriche nel vissuto quotidiano.

Una famiglia qualunque, abitudini e comportamenti stereotipati dal modus vivendi contemporaneo molto borghese e fin troppo scontato e Peter con le sue visioni ipercritiche.
Una qualsiasi scena quotidiana, nella sua ripetitività o anche nella sua straordinarietà, avvia lentamente
lo spunto per il passaggio di dimensione, quella del sogno ad occhi aperti, e lì la realtà viene trasfigurata.

In tali passaggi e nei successivi rientri di dimensione ho scorto il lato più gradevole della narrazione. Nel resto, pur consapevole che il bambino-lettore sarà estremamente divertito dalle situazioni immaginate da Peter, non vi ho trovato altro se non un probabile retaggio di un'autobiografica propensione all'immaginare con un gusto tendente al macabro (vedi "Svanillina", pomata che permette l'annullamento della famiglia) o, ancora peggio al sadico o al mito del bambino stile giustiziere dell'umanità.
Unica nota di piacevolezza nel racconto "Il gatto" di cui consiglio la lettura, soprattutto se, come me li amate, i gatti. Lì, il sentimento di fratellanza bambino-gatto misto al sogno e al brusco rientro nella realtà, oltre alla fantasia onirica di grande potenza descrittiva, mi hanno piacevolmente sorpresa ed emozionata.

Libro per bambini? Valutate voi.
Per me potrebbe esserlo se l'animo conserva ancora la capacità di leggere e di sognare in questi termini o, e qui mi salvo, se lo leggerete insieme ai vostri bimbi ma senza alcun approccio critico e semplicemente per giocare con la fantasia.

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Gli altri libri dell'autore, in particolare la prima produzione.
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siti Opinione inserita da siti    16 Novembre, 2014
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“ALL LOST, NOTHING LOST”

Opera magistrale la cui peculiarità è basata sulle molteplici interconnessioni tra realtà e finzione. Chi affronterà la lettura, così come chi l’ha già fatto, verrà trasportato in un mondo che, paradossalmente, non è esistito (il giardino) e cadrà nella trappola di ricercare un fondamento di verità nella famiglia descritta (i Finzi-Contini), nelle singole persone e nei luoghi (Ferrara). E, di contro, tutto trasuda verità storica : la Ferrara fascistissima nella sua componente ebraica, la tomba di una famiglia illustre nel cimitero ebraico, i riti di una comunità e le sue intime fratture.
Inutile pensare a quei personaggi come reali, sono necessariamente filtrati dal ricordo e dalla memoria, o ancora cercare in essi una perfetta corrispondenza con la famiglia Magrini che, documenti alla mano, è l’alter ego di quella della finzione letteraria. Meno che mai cercare in Giuliana, sepolta a Ferrara, la Micol del romanzo.
Il romanzo è altro: è memoria, è dovere civile, è nostalgia di ciò che si è perso per scelta, il tutto imbastito sul filo del RICORDO a evocare un periodo durante il quale un gruppo di ragazzi “esclusi” vive, a dispetto di tutto, una magica sospensione temporale. Alla base una critica alla comunità, sullo sfondo presenze già date per morte nell’incipit e su tutti la consapevolezza che una famiglia non tornò dall’internamento micidiale.
Questo è per me Bassani: il coraggio di narrare ciò che oggi, in un tripudio memorialistico, non si riesce più a cogliere. È il dolore nostalgico di chi ha vissuto quell’epoca, di chi ne ha fatto una lettura ben precisa fin da subito e in direzione univoca, di chi ha visto non tornare qualcuno a cui, per altre ragioni, aveva già detto addio e in ultimo il tentativo di recuperare un legame, stavolta, sul filo della memoria. Un’ottica invertita rispetto alle pur rispettabilissime, e da me molto apprezzate, testimonianze di coloro che invece tornarono con il loro bagaglio di dolore e un ricordo diverso.
Per la delicatezza del ricordo, consapevoli che anche quando tutto è perduto, niente è perduto, la miglior opera sullo sterminio degli ebrei che io abbia mai letto.

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Storia e biografie
 
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siti Opinione inserita da siti    11 Novembre, 2014
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confessioni di un mick. Teacher man

Un irlandese cerca la propria identità raccontando la sua storia personale ai vari allievi che costellano la sua "carriera". L'irlandese è straniero in America, come la gran parte dei suoi alunni, immigrati di prima o di seconda generazione. Lui, tra i primi, in quanto tale ad accedere all'insegnamento.
Umiltà personale, effetto di una morale cattolica distruttiva e fuorviante, carattere e occasioni completano il quadro. Disarmante, a mio parere.
Un ritratto amaro, quasi una confessione, ai suoi lettori. Perché?
A riscatto sociale avvenuto, vedi il successo editoriale e il premio Pulitzer de "Le ceneri di Angela", scritto a 66 anni, a che pro "regalare" questo ritratto impietoso di se stesso?
Non lo capisco!!!
Indubbio è che il mestiere non sia facile, che non si nasca insegnanti, che ci si possa non sentire all'altezza della professione, che si commettano degli errori, ma è anche vero che l'insegnamento dovrebbe essere una scelta profonda e motivata soprattutto quando si è avuto il coraggio di farlo per tutta la vita.
Avrei preferito un approccio più costruttivo e meno vittimista.
Mi rimane solo una considerazione: McCourt è vittima di una cultura e di una morale che hanno annullato la sua autostima così tanto da far risaltare in lui solo una profonda ma autodistruttiva umiltà.

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siti Opinione inserita da siti    08 Novembre, 2014
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una coatta libertà

Tobino scrisse la sua bellissima memoria del manicomio, dal manicomio e per il manicomio tra il 1951 e il ’52. Il ’53 fu l’anno della prima pubblicazione. Nel ’63, per una nuova edizione, dopo aver raccolto e annotato meticolosamente le reazioni della società sana, accompagnò la sua memoria rinnovandola con nuovi interrogativi. L’avvento dell’uso del psicofarmaco cambiò, nel frattempo, il profilo del manicomio ma non la richiesta che già, in prima istanza, poeticamente, faceva agli uomini, fuori.
PIETÀ
In senso cristiano: avvicinamento dell’uomo all’uomo.
Si aggiunse ad essa la paura che la terapia farmacologica intorpidisse quel mistero che si chiama follia non facendolo più captare.

Nel frattempo nuovi scenari si sono delineati, dalla chiusura dei manicomi all’istituzione dei centri di igiene mentale alle recenti disposizioni di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari.
Cosa è cambiato?

Tobino è morto nel 1991 ma le sue parole ,siglate nel ’63, sono per me ancora valide. I progressi ci sono stati ma l’indifferenza del sano e l’ignoranza sul tema regnano, ancora, purtroppo, sovrane. L’invito è allora alla lettura di un libro che descrive un microcosmo che non c’è più ma che è stato e che ha il potere di graffiare l’anima e di farla sanguinare di pietà.

Un assaggio:
I LUOGHI : il manicomio come castello e come bastione monumentale. 200 infermieri- contadini, 19 suore, 1040 matti “Don Chisciotti non amati”. Ambienti descritti rapidamente e accostati al rumore e all’odore (“le voci come lame, sottili e perforanti”), (“il puzzo di bestia”). Spazi interni, spazi esterni, il confine tra salute e malattia nei viali che congiungono gli ingressi.

LE DIAGNOSI: TUTTE, ma sopra tutte I DELIRI come religioni o come soffi malsani.

LE DONNE: Viola, Sbisà, Oresta, la Panconi, la signora Alfonsa (l’affidabile), la bellissima ragazza di Livorno, la faina, la Lella, la Gabi...Una su tutte la Lella che, descritta minuziosamente, ha il potere di farci conoscere meglio il medico-poeta che da lei si è fatto raccontare.

IL MEDICO: interroga (?), passeggia, osserva, capisce, scherza, viene fagocitato, vive nel manicomio, ne è imperniato, ne è un internato lucido che si chiede: “Dov’è il popolo degli affetti che vive in ogni persona?”. Cura gli ambienti, ama i pazienti, vive in angoscia se non rientrano perché ha concesso pizzichi di libertà alle poche anime che ancora la chiedevano. Ansie e paure e, unico desiderio, coltivare le piccole porzioni di anima delle persone matte.

L’UOMO: ci guida tra gola, nudità, magrezza, agilità, obesità, delinquenza, ingovernabilità della propria volontà, irsutismo, giovinezza, mestizia, vecchiaia, erotismo, a cercare, tra le libere donne, la sensibilità ai complimenti, i sorrisi strappati, gli occhi che brillano o sono lucidi di malinconia e di sopportazione o celano un segreto...(GLI OCCHI, infinite volte rappresentati).Un uomo che invita gentilmente a considerare che “un medico di manicomio, se è vivo, sempre vortica tra il peso dei deliri e la speranza che qualsiasi uomo, anche se pazzo, sia libero”.

Io scrivo questo perché lo penso, ma per onestà intellettuale vi invito alla lettura fattane dall’illustre Vittorino Andreoli nell’opera” Il matto di carta”. Lì è evidente la posizione dello psichiatra che vede in Tobino un conservatore del magistero-manicomio, qui della lettrice un poco avvezza a tali tematiche e legata più ad una lettura col cuore e a certi canoni estetici che portano ad ammirare una prosa toscana finemente descrittiva e ricca di poetiche similitudini.

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Classici
 
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siti Opinione inserita da siti    23 Ottobre, 2014
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Acclimatamento

NECESSARIE PREMESSE:
1) leggo l'opera tradotta da Ervinio Pocar;
2) adoro il titolo "La montagna incantata";
3) mi riservo di leggere la traduzione di Renata Colorni e accetto di buon grado il nuovo titolo " La montagna magica" non tanto per rendere giustizia all'aggettivo magica presente nel titolo in lingua originale, quanto perché magica mi strappa un sorriso che inonda in egual misura la mia anima,
4) fingo di non sapere ciò che so e molto non so e non ho capito, per azzardare una mia lettura.

CAPTATIO BENEVOLENTIAE (è necessaria)
Scrivere qualcosa all'altezza di questa opera è come scalare un ottomila. L'impresa non si può azzardare e non è nemmeno alla portata di tutti.
Perché lo faccio, allora?
Tento l'azzardo?
Sicuramente. Chiedo venia in anticipo.

In realtà covo questi pensieri già da un periodo di tempo ormai fagocitante e allora provo a liberarli e a liberarmi inondando voi come Mann ha fatto con me. Piero Citati mi ha fatto ridere parecchio quando, in un suo articolo su "Repubblica" del 3 novembre 2010, ha ammesso di non amare "le innumerevoli nozioni e idee che la sua regale cornucopia rovescia sopra il nostro capo indifeso". Io invece le ho adorate e mi sento così piccola.
Leggerò l'opera inseguendo un'immagine e cercando di lasciarla in termini utili a voi. Davvero, non è possibile fare altro se non dedicare molto tempo al suo studio e rileggerlo ,il romanzo, per cogliere anche i corposi rapporti tra forma e contenuto.
E allora torniamo all'ottomila...

Chi va in montagna, soprattutto ad alte quote, sa quanto sia INDISPENSABILE, ASSOLUTAMENTE NECESSARIO, DI VITALE IMPORTANZA, fare un corretto acclimatamento.
Dunque questo libro parla di montagna?
Anche, ma di una montagna incantata che è la vita e alla quale , tutti, dovremmo acclimatarci.
E, come sanno bene quelli che vivono l'esperienza montagna, ma anche i meno fortunati, quelli che vivono solo la vita, senza la montagna, di fondamentale importanza è il tempo, vuoi quello strettamente meteorologico, vuoi quello necessario per fare certe esperienze, vuoi quello da calcolare per eventuali ascensioni e ritorno. Tutti sanno, però, in fin dei conti, che il tempo non conta e che la dimensione cercata è un' altra.
E allora la vita non è forse scandita dalla dimensione temporale che le è poi completamente aliena?
Nasci, vivi , muori. Conti, nel frattempo, minuziosamente i giorni, i mesi, i primi anni via via fino a smettere di contarli per poi tornare, orgogliosamente a sbandierarli, i tuoi anni, il tuo tempo, se lo hai vissuto bene. Ma il pensiero che il tempo sia poi indeterminabile ritorna in vita e lo fa proprio in prossimità del limitare di quella vita , unica dimensione temporale che conosciamo ma che non possiamo in fondo calcolare.
E allora l'invito è quello di trascorrerlo il tempo, come Castorp, il protagonista, accettando quello che viene, portando avanti il necessario acclimatamento.
"Dio mio, com'è bella la vita!"
"La vita è un'istituzione quasi favolosa la quale ci rende felici"
E allora, dopo questa lettura corposa, accogliamo la vita e affrontiamola anche da un piano più alto, da una veranda non sempre soleggiata, da una posizione anche orizzontale e contemplativa che questo romanzo ha saputo, in me, rinnovare.

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Racconti
 
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siti Opinione inserita da siti    10 Ottobre, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

"Benchè possa apparire incredibile..."

"Benché possa apparire incredibile..." Buzzati fu un genio incompreso.
Incredibile ma vero, mi viene da pensare leggendo e rivedendo i suoi racconti. Mi hanno sempre affascinata perché proponendo situazioni apparentemente reali e normali ci trasportano in atmosfere magiche, fiabesche, mitiche per portarci alla riflessione sui comportamenti umani. Si trovano rappresentati molti limiti dell'Uomo e quando il riconoscimento è avviato, la situazione narrata ribalta la certezza, mischia le carte, gioca sul senso logico, sfida il doppio senso, ma ti fa perdere fra i mille significati richiamati e tutto sfuma, diventa inquieto e misterioso lasciando un'unica certezza: è vero!!

Come si può non conoscerlo?

In un tempo in cui il racconto è forma narrativa di così difficile esito artistico e di inesistente fortuna editoriale, perché non scoprire queste perle il cui segno distintivo è proprio la rarità e la magia del loro incanto?
Amo particolarmente" Il Colombre", "La giacca stregata", "I sette piani".
VITA, MORTE, VIAGGIO, MALATTIA, CONFINE, PAURE E TERRORE e il dubbio costante che fonde la certezza della realtà e confonde.

La raccolta fu voluta dallo stesso Buzzati.
Il titolo?
Dimenticatevi i prodotti commerciali stile grande magazzino... qui si entra in una vera boutique...del mistero. Solo la precisione e la fantasia del migliore sarto potranno vestire la vostra immaginazione!!

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siti Opinione inserita da siti    01 Ottobre, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

Il lume della ragione

Comune a tutti, chi più chi meno, la visione di noi esseri umani è monca, disturbata, sfuocata e appannata. Una cecità quindi, non totale certo ma molto similare. Tutti la sperimentiamo incrociando il nostro " vedere" con quello degli altri e comprendendone la relatività insita in essa.
Alcuni segnali di questa cecità portano a condannare, nel nostro piccolo le storture in cui siamo quotidianamente immersi e contribuiamo, volenti o nolenti, ad alimentare, ma poi è facile volgere lo sguardo, distratto e superficiale altrove.

Nel libro, tutto questo substrato è presentato con una situazione surreale (un'epidemia di cecità bianca - si vede tutto bianco quindi non si vede - e la gestione della situazione) in un susseguirsi di scenari apocalittici purtroppo già noti ( ce li offre su un piatto d'argento, Saramago, gli accostamenti con le barbarie del genere umano dal suo esordio sulla Terra ad oggi).
E la lettura ti fa male e lì fa centro il nostro caro scrittore, l'aveva anche dichiarato, quando il libro divenne il film "Blindness" presentato a Cannes. Lui parlò della gestione dell'opera come di una sofferenza, di una malattia dalla quale era riuscito a scampare e si augurava che il lettore, leggendo il libro, soffrisse quanto lui.

Il titolo originale è "Saggio sopra la cecità", ridotto a "Cecità" per non scoraggiare il lettore ( ahimè), quindi non si cerchi piacere nella lettura ma si cerchi di intuire il teorema che anima questa prova di "letteratura deduttiva" secondo quella definizione di Calvino tesa a descrivere la letteratura che partendo da un assioma tende a svilupparlo come un teorema e in cui lo stesso Saramago si era ritrovato e riconosciuto.
Qual è l'assioma?
Qual è il teorema?
Parto da quest'ultimo: la società è malata.
La malattia è la cecità.
Il rimedio?
Secondo molti emerge solo una visione pessimistica circa le potenzialità della società.
A me rimane il dubbio.
Perché la moglie del dottore, per tutto il romanzo unica vedente, ha diritto di esistere in questo scenario?
Cosa rappresenta?
Mi piace rispondermi, ma non so se Saramago intendesse un'ipotesi tale, che lei sia quel lume della ragione che per fortuna nostra fatica a spegnersi.

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siti Opinione inserita da siti    25 Settembre, 2014
Top 50 Opinionisti  -  

La fortuna dei libri

Palomar " tende a ridurre le proprie relazioni con il mondo esterno e per difendersi dalla nevrastenia generale cerca quanto più può di tenere le sue sensazioni sotto controllo".

Chi è Palomar?
E' un personaggio fuori dai canoni anche se è lui l'indiscusso protagonista in un susseguirsi di azioni (minime ed essenziali ) ma soprattutto di riflessioni. Il suo nome è quello di un famoso osservatorio astronomico in California. Il suo ragionamento continuo gli rovina il piacere di alcuni gesti ma ci regala infinite possibilità di pensare.
Muovendoci in un insieme di nove racconti per tre sezioni, per un totale di ventisette bozzetti, tutti rigorosamente senza cornice, ci affidiamo al suo essere pensante.
Gustiamo la certezza dell' illusione dei sensi e della mente nei tortuosi suoi pensieri e cerchiamo di cogliere tutte le considerazioni verso le quali Calvino ha voluto che ci soffermassimo.
Coni e bastoncelli e teoria del colore, rilettura dell' EROS, considerazioni ambientaliste, fine semiologia.
Il ritratto di un Io molteplice: l'Io megalomane, l'Io egocentrico, l'Io depressivo, L' Io autolesionista, l'Io parziale....

Una perla di rara e raffinata intelligenza, una scrittura poetica, un saggio sull'animo umano che ti strappa anche momenti (quasi tutti nei finali) di squisita ironia. Spesso la discrepanza tra ciò che Palomar fa e ciò che appare stia facendo genera ilarità in chi lo vede all' azione- contemplazione.

Una efficace e sintetica guida alla lettura è contenuta prima dell'indice e aiuta a capire il tenore delle aree tematiche affrontate e la tipologia di scrittura verso la quale tendono.

Ho gustato tutto prediligendo l'area dell'esperienza visiva ( "Le vacanze di Palomar" ) ma mi sono divertita maggiormente tra Roma e Parigi in " Palomar in città (" Palomar fa la spesa" è squisito!!).
Lo consiglio anche perché è un'opera d'arte, nascosta dallo strano destino e dall' ingiusta Fortuna, che merita di essere conosciuta e, spero, apprezzata.

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siti Opinione inserita da siti    22 Settembre, 2014
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"La letteratura mette i pensieri"

Partendo dalla sua situazione personale l'autrice, Paola Mastrocola oltre che scrittrice è insegnante di italiano in un liceo, e prendendo spunto dalle riflessioni scaturite in lei in seguito ad un momentaneo allontanamento dalla scuola per affrontare un periodo di ricerca all'Università, con il libro fotografa la realtà della scuola secondaria di II grado e il suo inesorabile degrado.
Trascurando una buona parte che riporta un senso di smarrimento tutto personale e che ha suscitato molte critiche tra i suoi colleghi che non la pensano come lei, ho trovato sicuramente più edificante la seconda. Lì l'analisi personale e spietata si trasforma in una critica costruttiva e originale all'insegna dell'amore per la letteratura che "se la incontri, ti cambia la vita" perché ti mette i pensieri, ti obbliga al tempo lungo, lento e paziente della lettura e riporta a quella scuola di un tempo che faceva fare cose difficili e faticose e che non si è mai scontrata con l'ignoranza abissale che dilaga oggi.
DA LEGGERE SE:
1) siete appartenuti ad altre generazioni e la scuola vi ha accreditato un bel sapere sul vostro "conto" personale;
2) appartenete alle nuove generazioni che hanno invece visto assottigliarsi il bagaglio culturale
3) lavorate nella scuola, per aiutare serenamente a riflettere seriamente su di essa;
4) o semplicemente se pensate che sia ancora importante.

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siti Opinione inserita da siti    20 Settembre, 2014
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Marcello Fois D.O.C. e non D.O.P.

"Al femminile carsico che è in me", una dedica stupenda apre il libro. Mi piacciono le dediche soprattutto quando sono auto - riferite.
Un uomo, lo scrittore, parla di donne, due sorelle, Marinella e Alessandra, del loro universo, della loro somiglianza (sono gemelle) e della loro lontananza, di carattere, di sensibilità, di scelte di vita.
Un dualismo continuo anima le pagine, giocato anche sul binomio silenzio- rumore, e fine è l'introspezione psicologica. Quanto conosce le donne quest' uomo!!
Loro sono le protagoniste, la loro identità, la loro conflittualità, i loro nodi irrisolti in un'ambientazione, quella della narrazione, tutta centrata nel luogo sacro: la casa, una casa.
Un padre morto recentemente, un padre che ha fatto dell'abbandono la sua identità, un passato da rileggere, una geografia casalinga, un reticolato geografico in cui cercare le proprie coordinate.
Dialoghi continui e incalzanti e stancanti che giocano nel lettore come i più fitti meandri delle cavità più recondite nella ricerca dello speleologo. Qui sono due anime ad essere scandagliate nel profondo per convergere poi in una certezza dei luoghi comuni, quelli condivisi come una casa o le verità nascoste nel comune pensare.
I silenzi della casa, i silenzi delle sorelle, le verità mai dette e un'altra donna, l'estranea, che funge da collante col ricordo dell'uomo che, pur abbandonandole, le ha sempre ricordate e conosciute, loro che ancora faticano a ritrovarsi...

"Sto studiando una teoria di Fisica...una teoria generale del Tutto.
Dice che esiste un punto in cui anche le ipotesi totalmente antagoniste coincidono. Un unico punto certo difficile da trovare, ma che vale la pena cercare..."

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siti Opinione inserita da siti    16 Settembre, 2014
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LA NOSTAGIA DEL FUTURO? E' UNA QUESTIONE DI STILE!

E' un ossimoro, un'anafora, un chiasmo, è un linguaggio poetico in prosa quello che racconta, o SOSTIENE, la vicenda.
Ambientazione storica, sfondo politico, personaggio qualunque, anonimo e antitesi perfetta del prototipo del giornalista ( quello dell' immaginario collettivo). Un antagonista: il recensore impavido e giovane.
Passato, tempo della vicenda e tempo verbale, intrecciato col presente, tempo verbale dell'onnipresente SOSTIENE che punteggia tutto lo scritto e fa da incipit e da chiosa di ognuno dei venticinque brevi capitoli.
Il presente del "sostiene" funge anche da cerniera per il futuro laddove il passato, pane quotidiano che nutre il ricordo di Pereira, non può essere dichiarato. E il futuro? E' già proiettato nel passato del ricordo.
Tutto il romanzo è inoltre sottilmente giocato sullo stile di una dichiarazione da verbale ( scoprite voi il motivo!!)

ROMANZO DA LEGGERE PERCHE':
1) parla del Portogallo sotto la dittatura di Salazar, collaborazionista del regime franchista;
2) senza pretese ti attacca addosso l'odore del "puzzo di fritto" che aleggia dove vige omertà e tanfo di censura e di sospetto;
3) ti fa scoprire l'autore, fine scrittore e vera enciclopedia letteraria ma soprattutto critico intelligente;
4) ti regala ritratti realistici, sotto forma di necrologi e di ricorrenze, dei maggiori scrittori che attraversando la Storia, decisero di schierarsi, in un modo o nell'altro. Di tutti rimangono però, con le azioni umane, i giudizi dei posteri e quello su D'Annunzio è veramente impietoso, anche se difficilmente sindacabile, quanto quelli di Garcia Lorca o di Majakovskji sono un omaggio all'artista e all'uomo.

MORTE E NASCITA...a proposito

Una forma di scrittura esiste per queste occasioni, ancora oggi sui giornali. Annunci la morte con un necrologio, "la pagina dei morti", ricordi il compleanno di un personaggio illustre quando è morto, "la pagina culturale".
In questo romanzo necrologio e ricorrenza si alternano come la vita e la morte, da sempre.
I necrologi sono impubblicabili e le ricorrenze sono messaggi cifrati.
Nella nota finale, un testo pubblicato su "il Gazzettino", nel settembre del 1994 con firma Antonio Tabucchi, questa connivenza torna ancora magistralmente a chiudere il tutto...una morte e un compleanno e a noi il ricordo di Lui che non c'è più...

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siti Opinione inserita da siti    14 Settembre, 2014
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UN BUON LIBRO

Nata nel '64, nell' '88, quando diede alle stampe il suo primo lavoro, l'autrice aveva ventiquattro anni . Figlia d'arte, il padre noto critico e saggista, irrompeva nella scena letteraria al momento giusto. In Giappone venne accolta trionfalmente da una parte e vista come una meteora dall'altra. Nel 1991, quando venne tradotta, in anteprima mondiale, in Italia divenne anche da noi un caso letterario. Ha dimostrato, vista la nota bibliografica, di non essere stata una meteora.

Per chi si accinge al primo incontro con l'autrice consiglio di leggere la prima edizione Feltrinelli, quella con annesso il racconto Moonlight Shadow, il lavoro letterario, primo vero esordio della penna nipponica, che siglò il suo percorso universitario.
Consiglio di partire da quel delicato racconto perché è struggente ed armonioso ma soprattutto perché contiene tutti i motivi presenti nelle due sezioni - racconti di quello che poi è Kitchen, romanzo in miniatura, di soli due capitoli.
Lo consiglio quest'approccio perché, a digiuno di scrittura nipponica, ho incontrato difficoltà e personali resistenze.
Ho letto il primo racconto tentata fortemente di non ultimare la lettura e dispiaciuta per il mancato incontro con l'autrice, rea confessa, io, di non riuscire ad apprezzarla.
Ho rivalutato tutto grazie al piccolo annesso racconto di laurea, passatemi l'espressione, al postscriptum dell'autrice, umile e deliziosa, alla utilissima postfazione del bravissimo Giorgio Amitrano che aiuta ad inquadrare l'opera.
Il leit-motiv della scrittura, tutta, è il lutto con il doloroso bagaglio che comporta. La tematica è affrontata con il sentimento di una persona giovane ma la maturità e la saggezza di un' anziana. Il dolore è efficacemente accostato al piacere, del cibo in primo luogo, dello spazio o meglio degli spazi, (interni: cucina, divano, pavimento, casa / esterni: vie più o meno deserte, luoghi pubblici, bar o ristoranti in prevalenza, limitare di un fiume o del mare), del tempo (atmosferico e metafisico). Il dolore è accostato ad un'altra tematica: il sogno e alla commistione, dagli esseri umani sempre provata, percepita, accarezzata tra le due dimensioni.

Se come me proverete inizialmente fatica in questa nuova lettura, potrete in alternativa iniziare da capo leggendo il postscriptum dove la giovane autrice candidamente afferma i suoi intenti di scrittura. Se non rimarrete rapiti da quelle parole... fatico a non anticiparle.

BUONA LETTURA comunque la affrontiate.
Per me un libro è buono anche quando mi lascia il gusto di scoprire come saranno le successive prove dell'autore.

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siti Opinione inserita da siti    12 Settembre, 2014
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INVERTIRE LA ROTTA!!!

Andare controcorrente non è semplice.
Lo sa chi lavora nel mondo della scuola ma in fondo lo sappiamo tutti, anche quelli che lo hanno fatto, andare controcorrente, ma da studenti. Lo studente deve essere bravo...è l'aspettativa che si ha di lui ...e se non lo è o non vuole esserlo o nemmeno ci prova il sistema va in crisi e inventa la figura del ripetente. Questo libro ne tesse l'elogio e solo l'esperienza umana di Affinati poteva pensarlo: si è sempre speso per i più deboli.
La scuola italiana vanta tanti docenti; a qualcuno piacerà l'alternativa proposta dall'autore, qualcun altro storcerà il muso. Personalmente ho trovato il libro un'interessante proposta controcorrente e basta con i libri che criticano la scuola per il gusto di farlo, per dimostrare, ora scrittori, l'alto grado di resilienza raggiunto come docenti o semplicemente per far ridere...
BRAVO AFFINATI.
Lascio al lettore il gusto di scoprire i vari aspetti della pratica didattica, quello che succede e soprattutto quello che potrebbe succedere...semplicemente INVERTENDO LA ROTTA e ricordando che è sempre possibile "riportare a scuola Pinocchio".

P.S.: il libro termina con un'entusiasmante BIBLIOGRAFIA PER UN'ALTRA ITALIA...non ci sono autori e titoli di opere letterarie, ma nomi di PERSONE che lavorano nel tentativo di creare un SISTEMA SCUOLA

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siti Opinione inserita da siti    11 Settembre, 2014
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DUE ESISTENZE...UNA VITA

Un estraneo entra nella tua vita.
Quanti sarebbero disposti ad accettarne la presenza, a condividere parte del proprio cammino?
Maudie, la vecchia, lo fa, a modo suo, lo fa
E quanti tentano, hanno tentato o tenteranno, forse, ad un certo punto, di entrare nella vita degli altri?
Jane, la giovane rampante, lo fa.
E quanti infine, tentano, per tutta la vita di stare soli ?
La vita offre infinite varianti.

Jane, io sto con Jane, è piena di difetti (anche se rimanda di sé un' immagine perfetta) e di rimorsi, mi ispira tenerezza nel suo egoistico ricercare una forma di riscatto cercando di accudire un'anziana, sconosciuta. Lei ,che non ha saputo stare vicino ai suoi cari che morivano. Ha sofferto ma cerca un riscatto e il modo più naturale è quello di immolarsi, di SCEGLIERE di farlo il bene, laddove, quando serve, non ci riesce.

Il romanzo si apre con un preambolo teso a presentare gli antefatti (Jane prima del riscatto morale), è breve per fortuna poi la penna scivola nella narrazione diaristica molto più gradevole, priva di date ma comunque con una connotazione temporale ben precisa (anni '80 londinesi).
La trama è scarna, ciò che riempie le pagine è la fine introspezione psicologica delle due donne, la giovane e la vecchia. Il lettore è accompagnato nel continuo gioco di confronti, di vita, di esperienze, di epoche storiche, di sensibilità, di caratteri e ciò che più risulta gradevole è l'impietoso ritratto della debolezza umana sia che si stia leggendo la descrizione della fatica del vivere in un corpo vecchio, sia che si segua la protagonista che fatica a crescere e a maturare, sia che i ricordi della vecchia ti si presentino come somma della propria esperienza terrena.
Il libro fa riflettere per tanti motivi, io l'ho letto pensando che mentre evidenziava i limiti delle due grandi donne protagoniste, ne ritraeva i miei, i suoi, i nostri, quelli della società e della vita stessa.
BELLISSIMO!!!

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Classici
 
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siti Opinione inserita da siti    06 Settembre, 2014
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INTIMO CONFLITTO INTERIORE

Sarebbe interessante condurre un'indagine sociologica su un campione di "vecchi" e mettere a nudo i loro pensieri più reconditi, quelli inconfessati, spesso anche a se stessi e forse inconfessabili.
Il racconto di Svevo, interrotto dalla sua morte in seguito ad un incidente, per cui incompiuto, mi pare proprio una confessione dell'autore ormai vecchio e come sempre ossessionato dal tema della senilità, nelle sembianze del suo vecchio protagonista, il signor Aghios.
Gli si presenta l'occasione di un corto viaggio in autonomia, senza la moglie da Milano a Trieste, in treno. E il piccolo romanzo incompiuto è il racconto di un viaggio, apparente fuga dal ménage quotidiano, che diventa poi un qualcosa di più intimo. Gli incontri fortuiti con vari personaggi si alternano a soliloqui e dialoghi interiori che confermano tante tematiche sveviane.
Vecchiaia come età difficile da vivere, dualismo vecchio-giovane, rappresentato qui dalla conflittualità nascosta nel rapporto tra il protagonista e il figlio, e quello che più mi ha toccato: il tema dell'incomunicabilità assoluta. Ma non tra generazioni, bensì tra membri della stessa famiglia: marito- moglie, padre- figlio o ancora con gli estranei e in genere con il tessuto sociale, il "consorzio umano". O, laddove viene riconosciuto un degno statuto alla comunicazione, questa perde di validità perché intrisa di ipocrisia e mai pervasa da assoluta verità .
Ritornano altri temi cari a Svevo in quella che sembra una degna sintesi della sua attività letteraria . Non nego che la lettura, benché breve, sia complessa non tanto per la trama quanto per il fardello pesante di considerazioni e di riflessioni che ti porta a maturare, scoprire, definire meglio perché, seppure sia una visione fortemente negativa, mi pare sia comunque universale.
Durante la lettura può venire l'istinto di allontanare tutto ciò da noi ma poi, nonostante le varie facce che ha assunto la senilità oggi, mi pare che qualcosa di irrisolto ci sia ancora: un intimo conflitto interiore al quale, presto o tardi siamo chiamati tutti.

"Libero veramente il pensiero non può essere che quando si muove fra fantasmi."

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Fantascienza
 
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siti Opinione inserita da siti    04 Settembre, 2014
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Io, lettore di fantascienza...finalmente

Il libro è una raccolta di racconti, perfette unità narrative o piccoli capitoli di storie concatenate per ambientazione e/o protagonisti. Il lessico è chiaro, la prosa fluente, gli inserti descrittivi ben inseriti nel ritmo narrativo, veloce e avvincente.
Non ti perdi, anzi non osi lasciare a metà un racconto, ne spezzeresti l'essenza anche perché è molto presente la tecnica del ribaltamento di prospettiva, di punto di vista. Un elemento inatteso a fine narrazione subentra e ti fa sorridere e godere della genialità dell'autore e tu a chiederti:" Perché non ci ho pensato?"
Le parole? Molte nuove, ne intuisci l' assonanza con la fisica, la chimica, la robotica il tutto condito dall'ingegno di Asimov che si spinge in ardite incursioni lessicali verso il futuro, mai pesanti ma semplicemente geniali.
Le tre leggi della robotica, il caposaldo di questo filone letterario, sono sotto i tuoi occhi fin da subito e continuamente ribadite, sono il canovaccio dell'azione e tu le leggi e le capisci e subito dopo diventano nebulose, fluttuanti.Si compenetrano perfettamente le tre, creano un equilibrio perfetto, appunto, ma che un nonnulla rompe, altera, mette in pericolo...
L'ironia poi accompagna tutti i racconti, i livelli di lettura molteplici. Mi è parso di scorgere un velato ateismo e un atteggiamento sornione rispetto al senso di onnipotenza che spesso accompagna il progresso umano ma anche una visione in fondo ottimistica verso le capacità di sviluppo tecnologico in dimensione non solo terrena ma interplanetaria.
Da leggere sicuramente per iniziare il tirocinio formativo verso un altro genere letterario magari mai esplorato.

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Classici
 
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siti Opinione inserita da siti    02 Settembre, 2014
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FINALE APERTO

E' una lettura che non ti abbandona, rimarrà scolpita nella tua memoria, non preoccuparti non sarai né la prima né l'ultima " vittima".
Sarai in lieta compagnia: Verne, Melville, Stevenson e perfino Magritte. Ognuno di loro ne è stato affascinato in un modo e nell'altro così come i lettori più comuni, dai contemporanei all'autore, a noi, per le ragioni più diverse. Influssi culturali diversi si sono incrociati e strettamente legati all'opera, vuoi che si volesse ricercare nella lettura di soddisfare le curiosità personali circa le recenti spedizioni nel sud del mondo; sia che si volesse successivamente applicare le teorie freudiane sull' inconscio , sia che si volesse giocare con la realtà e la relatività della sua interpretazione.
L'edizione del mio libro ha proprio in copertina il dipinto La riproduzione vietata. Ritrae Sir Edward James, poeta inglese, appassionato di pittura surrealista, tanto ricco da possedere un' invidiabile collezione privata, amico, in ultimo, di René Magritte.E' ritratto di spalle, di fronte ad uno specchio, elegantemente vestito e accuratamente pettinato, ma la sua immagine non si riflette correttamente perché in luogo di vederne il viso che, in fin dei conti è l'elemento che determina in maniera lampante l'identità di una persona, ne vedi riflessa nuovamente la figura di spalle. I due amici amano Edgar Allan Poe e proprio il suo unico romanzo viene ritratto in questa opera, appoggiato su una sorta di mensola sotto lo specchio, è l'unico elemento che vi si riflette correttamente...
Ho chiesto ad un bambino cosa ci fosse di strano in questa rappresentazione, la risposta è stata, scoperto il trucco, : "E' MAGICO!!"
Anche la narrazione di E.A.P. lo è!!
Sono un lettore del XXI secolo, mi perdo e a volte mi spazientisco: digressioni, descrizioni, dettagli, affannata ricerca della verosimiglianza, tutti elementi utili al suo pubblico, per me diventano interruzione della rocambolesca vicenda del protagonista e vorrei urlargli: "Non mi importa!!Racconta !! Io sono il lettore del XXI secolo!! Poi ti fai riprendere, il monito è lì, costante, te lo ricorda a più riprese l'autore: ti racconterà tali cose che tu stenterai a crederci. In un susseguirsi di avventure arriverai al finale, attraversando una galleria di simboli tutti dentro il più classico dei topoi letterari: il viaggio. Terminata la lettura ci penserai a quel finale per chiederti quale mistero celi e se lo cela effettivamente un mistero oppure se è solo un numero di magia...il finale è aperto NATURALMENTE!!

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Gialli, Thriller, Horror
 
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siti Opinione inserita da siti    31 Agosto, 2014
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Un altro capitolo di storia

Premetto: il libro mi è piaciuto.Ha toccato la mia sensibilità e mi ha aperto una pagina di storia che ignoravo e che forse è ancora da scrivere. Mi ha lasciato lo stimolo a saperne di più ; ad approfondire la realtà storica e per questo ringrazio l'autrice. Eppure ho fatto fatica, non tanto a leggerlo (lo divori un libro come questo) ma a calarmi dentro "l'invenzione romanzata" anche se ispirata ad una storia vera e principalmente per questi motivi:
- ambientazione storica poco efficace: cenni brevi alla storia della Lituania, sporadici riferimenti culturali;
- scrittura poco efficace (il senso di annientamento così ben descritto da Levi viene reso bene ma non abbastanza da farmi dimenticare di non essere al cospetto di una scrittura autobiografica, probabilmente quella più vicina alla mia natura per affrontare queste tematiche)
Rimane un parere comunque positivo e il merito di aver portato alla nostra attenzione un altro capitolo di storia. Evidente anche la sua utilità didattica.

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Romanzi
 
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siti Opinione inserita da siti    29 Agosto, 2014
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"ARO SI' ASCIUTO?"

Non è un libro, è una poesia...no...è un quadro, un autoritratto, anzi no è una poetica autobiografia.
L'autobiografia, però, sembra sigillare tutto in modo ermetico: sono stato un bambino così, sono un adulto così.
E invece no: è il presente dell'autoritratto, quel presente fermato dal tempo della pennellata- scrittura.
E' un bozzetto ma anche una scultura a tutto tondo.
E' raffigurato un corpo, a figura intera, non solo il busto o il volto. E' tutto il corpo e "si trasforma secondo l'uso assegnato, con lentezza di albero", e con esso la mente, l'intelligenza, la sensibilità. Il binomio mente-corpo percorre tutto lo scritto: è il rebus che deve risolvere il piccolo protagonista, un bambino di dieci anni intrappolato in un corpo che non gli piace. Per Erri bambino è la sentinella di una mancata corrispondenza anagrafica tra il corpo e la mente, lui che legge tanto, risolve cruciverba, intuisce la stortura che si perpetua negli adulti che "non erano i giganti che volevano credersi" ma bambini deformati: un corpo ingombrante, un cervello piccolo.
L'autore festeggia così il suo "giubileo privato" facendosi avvicinare dal lettore e vincendo le sue reticenze perché esistono in lui, ancora oggi, delle "chiusure insuperabili".
Il linguaggio poetico, sintetico, evoca immagini, sensazioni ed emozioni solo come la poesia sa fare e tu ti chiedi, come la madre: "ARO SI' ASCIUTO?" - Da dove sei uscito?.
Lo sfondo del quadro è un ritratto, anch'esso a pennellate brevi, dell'Italia e non solo, degli ultimi cinquant'anni. Memorabili le parole sulla perdita dei genitori, su settembre e sulla sua attuale vita sentimentale in una ambientazione marina con, all'orizzonte, non il più infinito dei mari ma la meraviglia suscitata dalla passione per la montagna.

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Romanzi
 
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siti Opinione inserita da siti    28 Agosto, 2014
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Un salto nel vuoto

Lo sapevo, caro Gianrico, che ti piace De Gregori e quando sono arrivata ad una citazione diretta della sua presenza nell'episodio di Enrico che canta "Pezzi di vetro", ho avuto la conferma dell'iniziale "scartare di lato e cadere".
Questo è solo uno dei tanti motivi per cui mi è piaciuto questo libro. Mai letto niente di tuo; è la copertina che il marketing editoriale ha veramente azzeccato, ad avermi ipnotizzata e trascinata in questa situazione.
Un salto nel vuoto...che paura!! Sembra la metafora della lettura...lo prendi il libro, acquistato o in prestito per non appesantire la tua biblioteca magari di un inutile fardello e ogni volta...è un salto nel vuoto.
Non sai cosa ci troverai, se ti piacerà, se ne sarà valsa la pena...E poi il titolo, associato a quell'immagine, è come un sentore che questo libro parlerà anche di te, delle tue paure, della tua crescita, della tua vita.
e allora sei contenta di aver avuto il coraggio di saltare e già hai dimenticato la reticenza che accompagnava la tua decisione e ti senti forte, per un attimo, e forse, più preparata a camminare su quel pericoloso crinale che è la vita.
Romanzo veloce da leggere, dallo stile rapido e diretto, evocativo di suggestioni letterarie, filosofiche e musicali.
DA NON PERDERE!!

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Consigliato a chi ha letto...
a chi ama leggere, studiare, ascoltare musica
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Romanzi
 
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siti Opinione inserita da siti    27 Agosto, 2014
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Inno alla vita

Santiago e Manolin :un vecchio e un giovane.
Santiago è un povero pescatore ,vecchio, colpito dalla malasorte,non pesca pesce commerciale da mesi.
E’ l’esperienza, la profonda conoscenza del mare, il rispetto, l’audacia, il coraggio, il ricordo, la tenacia, l’umiltà …
Manolin è un ragazzetto, allontanato dall’iniziazione alla pesca avviata col vecchio dal volere dei suoi genitori.
E’ la vicinanza, l’amicizia, la comprensione, è il punto di congiunzione tra il vecchio e la società.
Il mare li unisce. Il vecchio lo conosce, lui ha brama di conoscerlo altrettanto bene.
Il mare è la vita.
La vicenda narrata è la sintesi della condizione umana.
Leggi questo bel libro e abbandonati in una breve, piacevole e imperdibile lettura per scoprire un magnifico inno alla vita.
N.B.: non dimenticarti di rendere grazie alla grande Fernanda Pivano che lo ha avvicinato a tutti noi con la sua traduzione e la sua incessante opera di divulgazione. Non perderti la postfazione nell'edizione oscar Mondadori.

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Racconti di viaggio
 
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siti Opinione inserita da siti    25 Agosto, 2014
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Tra leggenda e realtà

La presenza dei due leggendari banditi, Butch Cassidy e Sundance Kid, aleggia, come fanno i fantasmi, fin dalle prime pagine del libro: sono loro i due gringo che fanno compagnia a Luis, in un bar di Barcellona, al suo primo incontro con Bruce. I due scrittori sono lì per sognare, solo come un esule può fare, e forse per pianificare un viaggio in Patagonia alla ricerca dei luoghi del Sud del mondo che misero fine all'avventura terrena dei due rapinatori per consacrarli di diritto al sacro regno dell'immortalità e della leggenda.
E loro, fedeli compagni di viaggio ci saranno quando l'esule potrà tornare in patria ma Bruce no perché partito per un viaggio, inevitabile, verso luoghi infiniti. Eppure anche la sua presenza sarà costante trasfigurata in un raro e prezioso compagno di viaggio...la "moleskine" donata a Luis proprio da Bruce. E lì scrive Luis, come già aveva fatto l'amico, a suo tempo, percorrendo la Patagonia.
Gli appunti vengono titolati e numerati come i capitoli di un romanzo e tu leggendoli scoprirai che il viaggio non sarà " in solitaria" ma ci saranno tanti "indimenticabili compagni" per ritrovarti, tu stesso, dentro il viaggio con un eccezionale e insperato compagno che ti porterà dentro bellissime storie. E ti perderai tra mito e realtà, storia e leggenda fino a che anche tu sentirai salire la rabbia di Butch Cassidy e Sundance kid contro i soprusi della classe dominante, non più rappresentata dai grandi allevatori del mitico West di fine '800, ma dalla brama consumistica che distrugge il nostro pianeta, la sua fauna, la sua flora, il suo delicato ecosistema.
Insomma un chiaro messaggio ecologista percorre, tra le storie, tutto il viaggio che termina a casa di Francisco Coloane per un altrettanto mitico passaggio di testimone.

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Scienze umane
 
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siti Opinione inserita da siti    24 Agosto, 2014
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Tutto è possibile

Spinto dal dubbio che le sue tesi in tema di educazione non siano, oggi, ancora valide, Andreoli tenta di nobilitare l'educazione, ormai privata del suo senso più profondo, cercando di farla convivere con le contraddizioni della società contemporanea.
La sua è un'analisi spietata, colpisce, ferisce ma la trovo estremamente vera e condivisibile.
La sua è una voce fuori dal coro, stonata, che ti colpisce perché ha il coraggio di evidenziare i limiti delle nuove frontiere educative senza il rischio di passare per un anacronistico censore ( la nuova famiglia, l'agonia del matrimonio, i single, la madre single, l'importanza del denaro, l'importanza dell'inutile, l' amore, l'amicizia, il sesso... la nostra vita). Terminata l'analisi, Andreoli procede con la valutazione dello stato di salute dell'educazione rapportandola alla mancata percezione del futuro, al ruolo della bellezza, a quello poi del sesso e di internet. Il fine ultimo è quello di ritrovare l'orientamento in totale assenza di ogni punto di riferimento, visto che, come recita il sottotitolo la nostra, è una società "senza padri". Perché ? Scopritelo voi...ma in fondo già lo sapete...

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Gli sdraiati di Michele Serra
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