Opinione scritta da Pelizzari
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Ritratto di famiglia
Quarto capitolo della saga di Cazalet, che, mi sento di dire, ha fatto decisamente riprendere verve al ritratto di famiglia che nel terzo capitolo, a mio avviso, era risultato un po’ sbiadito. Tanti sono i colori vivaci ed oscuri degli amori fra i personaggi principali e minori. Tanti sono i tradimenti, i piaceri, le delusioni. Con tanta storia sfumatissima proprio solo sullo sfondo, come una leggera pennellata all’acquarello e tanti attori in primo piano, ognuno con il proprio marcato colore. Di questa saga sto apprezzando l’evoluzione dei protagonisti, quelli che da bambini diventano giovani adulti, quelli che da adulti cominciano ad invecchiare. Con il conseguente “allontanamento” che fa parte della vita di tutti. Forse, se devo trovare un difetto, la lettura è meno scorrevole rispetto alle puntate precedenti.
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Di una bellezza schiacciante
Leggere D’Avenia trasuda cultura. Ti fa respirare vita Ti fa riscoprire la bellezza che c’è dietro ogni parola, perché te ne racconta l’etimologia, la storia, il significato profondo. Divori i suoi libri e nello stesso tempo non vorresti che finissero mai, perché ti fanno stare bene e ti riconciliano con il mondo. Questo è un romanzo epistolare, fatti di capitoli che sono lettere indirizzate niente meno che a Giacomo Leopardi e che sono divise in macro sezioni, che corrispondono alle età della vita. Attraverso la lettura critica di stralci dei suoi canti e dei suoi pensieri, l’autore ci fa scoprire un volto inedito di uno dei nostri poeti più moderni, aprendoci lo spazio-tempo della bellezza, perché Leopardi più di ogni altro poeta ha trasformato ogni limite in bellezza. E’ una lettura meravigliosa, consigliata a studenti ed insegnanti, a figli e genitori, a persone che si sentono sole al mondo, a studiosi e letterati, a persone semplici e comuni. Perché sono pagine ricche di vita e che ci portano a scoprire il significato della vita. Perché sono pagine scritte in uno stile che è di una bellezza schiacciante.
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Il suo branco inconsapevole
Splendido thriller italiano, in cui i bambini sono il perno di una girandola di morte ed allo stesso tempo di speranza, che pone il lettore in un punto di osservazione scomodo sull’animo umano e sulla crudeltà di cui esso è capace. Questi bambini sopravvivono, lottano, amano. Nonostante tutto. L’autrice è una giovane donna italiana, che dimostra una grande maturità sia stilistica sia contenutistica, con una storia intensa, forte, violenta, avente come protagonista Teresa Battaglia, personaggio meraviglioso, almeno tanto quanto la vicenda su cui indaga. La sua storia personale si intreccia al canovaccio narrativo principale e spero che questo sia l’inizio di una lunga serie, perché questa detective mi ha davvero conquistato. Il libro, a modo suo, è un inchino alla vita ed al suo dispiegarsi, anche in assenza di luce e di cure. E’ la vita la più forte, e non i suoi strumenti.
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Mondo da cowboy
Lo stile di questo autore è inconfondibile: crudo, secco, asciutto, come la terra di cui racconta, come il Sudest degli Stati Uniti in cui ambienta le sue storie. I dialoghi sono stretti, incisivi, immersi senza segni di punteggiatura distintivi in tutto il resto del racconto: è particolare questa scelta stilistica, sembra un po’ come la sua firma, un tratto decisamente caratteristico della sua scrittura e del suo stile. La storia, come tutte le sue, è spietata, intrisa di violenza. Un po’ eccessiva per il mio gusto personale. Anche se devo dire che il mondo dei cowboy di Mc Carthy ha il suo innegabile fascino.
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Mosaico di confidenze
Clea e Otto sono due novantenni, ospiti in una casa di riposo, che decidono di diventare in qualche modo amici e confidenti. Esprimono un insieme di solitudine, baldanza e focosa senilità. Sono personaggi straordinari e frizzanti e trasmettono nello stesso tempo malinconia e speranza. Si scambiano confidenze, in modo strano, dopo aver sottoscritto un contratto, che, di per sé, è un momento esilarante della storia. Si raccontano la loro vita, confidandosi segreti, mezze verità, raccontandosi ed omettendosi: bisogna leggere tra le righe di 90 anni di vita per capire il loro sottile male di stare al mondo e nello stesso tempo la loro gioia di viverla questa vita, con tutte le sue luci e le sue ombre. Perché condividere il dolore è come accordare il cuore.
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Troppi dialoghi
Mi aspettavo un thriller di quelli speciali, invece mi sono ritrovata di fronte una specie di chat. Catapultata in una sequenza infinita di dialoghi, senza quasi capire chi sono i personaggi, senza poterli conoscere come occorre fare quando si legge un libro, presi per mano dall’autore. Li ho solo sentiti parlare, interagire, senza tutto l’indispensabile che ci deve essere quando si disegna un personaggio. Il libro mi ha dato la sensazione di una grande fretta di farti entrare in una storia, senza però permetterti di capirla davvero. L’intento sarebbe forse quello di fornire il ritratto di due mamme molto diverse, ma nessuna delle due mi è piaciuta. Ho trovato tutto molto freddo e con pochi sentimenti, o comunque fasulli, non veri.
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Passeggiare per Parigi
Per me Parigi è una vera calamita e, anche se questa storia è sostanzialmente un romanzo rosa, devo dire che l’ho comunque apprezzata. Sia per lo stile, perché è un romanzo ben scritto e scorrevole e capace di creare un legame con il lettore attraverso la scoperta dei suoi personaggi, vedendoli anche attraverso il tempo, sia per l’ambientazione, perché seguire i protagonisti per le vie di questa città meravigliosa, è stato per me come fare mille passeggiate fra i quartieri, gli odori e i rumori che più amo al mondo. Ottimamente descritti, per rendere il piacere di vivere, a piccoli sorsi, la città dalle sue vene.
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Monocromatico
Romanzo ben scritto, ma veramente molto noioso da leggere, e quindi è entrato molto poco nelle mie corde. Mi ha ricordato (vagamente) lo stile dei romanzi di Jane Austen, però ne sembra la brutta copia. La trama si può riassumere dicendo che si tratta di una saga familiare, ma sinceramente l’ho trovata poco scoppiettante, poco emozionante, poco vera. Monocromatica e piatta, nonostante i temi. La famiglia infatti ha equilibri precari e custodisce segreti scomodi, storie d'amore, di lotta e di emancipazione; i temi trattati sono nuovi, se si pensa al momento storico in cui il romanzo è stato scritto, ma non generano interesse, così come i personaggi sembrano tutti un po’ anonimi.
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Sentirsi di nessuno
Romanzo breve che trasuda italianità, con intercalari in dialetto che lo rendono vivo e parlante. Lo stile è fatto di parole schiette, scabre, che ben descrivono gli strappi della vita che la bambina protagonista del libro ha dovuto subire. Il libro ci racconta il suo punto di vista, la sua voglia di accettazione, la sua voglia di amore, la sua voglia di calore. E tutto questo passa attraverso momenti di infinita malinconia e solitudine, come quando la senti dire che si sente un pacco, come quando assisti al momento in cui si accende una candelina su una pasta per festeggiare, da sola, il suo compleanno, come quando ti racconta che sul cuscino trova sempre un grumo di fantasmi, come quando senti tutte le sue domande, tutti i suoi perché. Il mondo le fa cadere in testa tutti i pezzettini in cui si è rotto. Le sue domande bruciano in bocca. Ma queste pagine, che sono intrise, a modo loro, di sentimenti molto forti, sono anche un messaggio di quanto la vita è capace di renderci forti.
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Affinare la conoscenza
Terzo capitolo della saga dei Cazalet. Ormai possiamo dire che in questa famiglia ci siamo proprio entrati e, ad ogni lettura, affiniamo la conoscenza dei personaggi e delle dinamiche interpersonali che dominano i rapporti fra di loro. Quella dei Cazalet è indubbiamente una famiglia borghese, un po’ disfunzionale. In questo capitolo prevale, ancora di più che in quelli precedenti, l’aspetto descrittivo, estremamente minuzioso, a volte addirittura estenuante, rispetto all’aspetto contenutistico della trama in sè. Forse dei tre è quello un po’ più stancante, invece che ravvivare la fiamma, un po’ la spegne, ma l’importante è non demordere ed affrontare anche i prossimi due capitoli: ormai il giro di boa è fatto.
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Freddo e spietato
Storia che inizia con un gioco di bambini che finisce male...e da lì deriva una catena di eventi crudeli, che forse non ti aspetti, e che comunque ti sorprendono. All’inizio la lettura non è così facile da ingranare. Poi ti accorgi che è proprio la violenza il messaggio principale che questo libro ti vuole trasmettere. E’ un romanzo cupo, che ti lascia addosso un senso di angoscia ed oppressione non ben definibile. Se riesci a superare questa sensazione, riesci ad apprezzarne le sfumature, così come anche l’ambientazione ed il contesto. Il ritmo è abbastanza buono: in diversi punti forse è tutto un po’ troppo prolisso. Forse per me è comunque stata una lettura troppo fredda.
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La regina dei morti
Giallo di una serie che vede come protagoniste una poliziotta, Rizzoli, ed una patologa, Isles, che sono anche molto amiche. Protagoniste anche di una serie tv tratta da questi libri. Sono due donne veramente eccezionali, grintose, forti, tenaci. In questa storia emerge soprattutto la figura della dottoressa, la cosiddetta regina dei morti, soprattutto nella prima parte. Il libro ha un ottimo ritmo, si legge direi quasi con voracità perché è ricco di eventi poco spiegabili e quindi il lettore è invogliato a proseguire per cercare di capire. Molto buono anche il finale, che si avvia a dare una spiegazione, anche se poi vira improvvisamente ed in modo inaspettato. Di rilievo anche diversi personaggi cosiddetti minori, che danno luce all’insieme, pur rimanendo un libro di colore bianco ghiaccio.
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Se stessi a ruota libera
Questa è la storia di un viaggio di un padre e di una figlia, che si trasforma in un lungo dialogo a due, a ruota libera. Libero, spontaneo, pieno di idee, di difficoltà, di silenzi, di arrabbiature. Fra di loro c’è un filo imperfetto ma inscindibile. E questa è anche la storia del viaggio di una vita insieme, e devo dire che mai come con un padre o una madre è bello fare questo viaggio. Ciò che colpisce prima di tutto, leggendo, è senza dubbio il modo di scrivere. Bello, elegante, pieno, intenso, così come ho sempre trovato lo stile di questo autore nei suoi primi libri. Ciò che colpisce della trama è la facilità istintiva con cui padre e figlia riescono sempre a parlare, così come anche il loro lasciarsi un po’ andare, nel senso di assorbire sensazioni dal mondo, con la sicurezza di avere a fianco una persona a cui si vuole bene. Molto particolare anche la copertina del libro, decisamente naif, ed il particolare dei risvolti di copertina scritti a mano. Anche questa è libertà. E forse la libertà di poter essere se stessi è il messaggio più profondo di questo bel viaggio insieme, in cui è stato splendido essere anche solo spettatori.
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L'orrore con gli occhi di un bambino
La quarta di copertina di questo libro è fantastica, perché non ti racconta nulla del libro. E’ in linea con il mio modo di scegliere le letture, ovvero il lasciarsi prendere dal mix titolo-copertina, ed aspettarsi di tutto, perché in fondo ogni libro è un viaggio e solo dopo un viaggio puoi sapere cosa ti porti dentro. La storia è raccontata con gli occhi di Bruno, un bambino di nove anni, e, anche se molto presto capisci qual è il contesto storico e quali sono i fatti di cui è spettatore, ciò che più ti colpisce sono la semplicità, l’innocenza, la purezza, la delicatezza tipiche dei bambini. Dolcissima è l’amicizia con un altro bambino che compare nella storia, nato casualmente lo stesso giorno di Bruno, il paragone che naturalmente ti viene di fare fra i loro destini, l’aspettativa di quello che, in qualche modo, già ti aspetti che succeda alla fine, visto che sono due piccoli esploratori. Il tutto è raccontato in un modo tale che sembra quasi una favola. Ma una favola non è. E’ realtà. E’ storia. E purtroppo forse non solo storia.
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Il senso di ogni particolare
Terzo libro della trilogia del male di Costantini. In assoluto il più bello. Per ritmo. Per intrecci. Per colpi di scena. E’ un libro che dà senso al tutto. Cuce tutti gli eventi del passato. Riscatta il protagonista, che non è sempre stato un personaggio positivissimo nel corso delle vicende narrate. Sulla zattera alla deriva della propria vita, è fuggito da ciò che era, con dentro di sé il tarlo di capire, di sapere, di chiudere dei cerchi della propria vita. Michele Balestrieri è un uomo che ha lasciato la vita molto prima di morire. Ma in quest’ultimo capitolo rinasce. La verità del passato e quella del presente erano una sola, la stessa. Quando capisce, comprende, perdona, ritrova, prima di tutto se stesso. In una trilogia in cui ogni cosa è stata più sabbiosa del ghibli e più rossa del sangue, un finale, davvero sorprendente, illumina di vita anche gli angoli più bui del passato. Davvero bello, nel profondo, perché il lettore comprende che il disegno iniziale nella testa dell’autore era molto ben definito fin da subito e che ha dosato tutto con magistrale equilibrio. Di cuore, chapeau.
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Frammenti di memoria
Libro delicato, che inizia con un senso di solitudine diffusa, perché racconta la storia di un uomo solitario, che riceve un’inaspettata telefonata che, in qualche modo, lo costringe a rovistare nel suo passato. Emergono frammenti di memoria, che, in un’atmosfera rarefatta, visivamente molto ben rappresentata anche dalla copertina in tinta seppia, permettono a questo uomo, reso estremamente diffidente ed ombroso da una solitudine troppo prolungata, di ricordare a sprazzi eventi importanti del proprio passato, ricostruendone il filo. Emergono delicatamente il senso della protezione, tipicamente femminile, il dramma dell’abbandono e la forza dell’oblio che ci protegge intimamente per smettere di soffrire. Romanzo breve, ma denso di emozioni e denso di vita.
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Breve ed intenso
E’ bello intervallare tanta narrativa contemporanea con la lettura di un classico, in questo caso della letteratura tedesca. Sembra quasi di riuscire a rallentare il tempo, tornando a respirare a pieni polmoni, quasi come si riesce a fare in un bosco. Questo è un racconto che parla di malinconia, che consuma più di ogni improvvisa passionalità, la si percepisce in tante forme come un sentimento allo stesso tempo forte e delicato. E’ un libro che parla, a modo suo, di amore ed anche del desiderio nascosto e struggente delle gioie della normalità. E’ un racconto intenso e profondo che parla di vita, di amore e di arte. Da leggere non solo in età scolastica durante la propria formazione.
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Una fase di passaggio
In questo secondo capitolo della saga familiare dei Cazalet, i personaggi si delineano sempre di più, con una più marcata contrapposizione tra il mondo degli adulti e quello dei ragazzini; ritroviamo lo stile dell’autrice, sempre molto descrittivo e fortemente spinto nei dettagli, già colto nel primo capitolo e la storia prosegue, sia la storia familiare, con i suoi colori vivaci ed oscuri, sia lo scenario storico nel quale la vicenda di questa famiglia è collocata. Mi ha colpito ancora una volta la lentezza della narrazione, che, ancora di più in questo capitolo, è un elemento che accentua la distanza fra la vita normale di una famiglia e la guerra che è sullo sfondo ma è molto più vicina di prima. Ciò che colpisce è proprio la fase del passaggio, ovvero la fase in cui ci si rende conto che qualcosa sta cambiando, con tanta incertezza nel futuro ed il grande punto interrogativo dell’ignoto, quasi più reale di ciò che sta accadendo davvero. Il mio personaggio preferito, in questo segmento di vita, è stata Louise e comunque ritengo che i personaggi femminili siano in assoluto i migliori che l’autrice ha saputo rappresentare.
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Troppa acqua
Avevo grandi aspettative su questo thriller, perché avevo molto apprezzato il libro d’esordio dell’autrice. Ho ritrovato lo stesso stile, ovvero la narrazione a più voci, che è un elemento stilistico che apprezzo sempre particolarmente. Però…forse le voci sono un po’ troppe e davvero molto poco amalgamate fra loro…devo dire che si perde un po’ la concentrazione, a causa anche dei frequenti salti all’indietro nel tempo. La cosa più positiva…nonché tratto distintivo di questa penna…è che comunque, leggendo, i vari punti di vista convergono ad un finale che è comunque buono. Devo anche dire che però nella storia ci sono molto elementi che sono a mio avviso esageratamente forzati, tanto da non dare naturalezza alla lettura ed alla vicenda narrata. Ad esempio la presenza dell’acqua, d’accordo che dà ragione del titolo, però è veramente eccessiva: una forzatura che stona proprio.
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Una rondine chiamata Primavera
Storia fresca e giovane, che racconta la vita scalcinata di una ragazza napoletana ironica, frizzante e vivace. Personaggio schietto e forte, di cui ti innamori, un po’ per la sua sincerità, un po’ per la genuinità dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti, un po’ per gli imprevisti che animano la sua vita, un po’ per la freschezza del dialetto, che rende la lettura molto scorrevole. Leggere il racconto della vita di una giovane donna, raccontato in prima persona da un autore uomo, devo dire che mi ha fatto una certa impressione, perché non è così banale riuscire ad entrare così bene nella testa di una donna. Luce balla con la vita, che sa essere signora e si mette lì ad aspettare paziente prima di invitarti a danzare con lei. E Luce, alla fine, accetta l’invito e balla.
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Una famiglia in fuga
Sendker è uno scrittore che ho sempre amato, ma questa sua opera non mi ha preso il cuore. E’ un romanzo dedicato alla Cina, che racconta le avventure di una coppia di genitori a cui viene rapito il figlio. Il figlio viene ritrovato, ma la famiglia resta minacciata ed intraprende una fuga per la salvezza. È un viaggio in cui occorre nascondersi da tutti, perché non c’è proprio da fidarsi di nessuno. Il sentirsi soli è l’effetto più dirompente che questa lettura mi ha lasciato, anche se forse la sua chiave di lettura più importante è proprio il contesto sociale in cui la vicenda è ambientata, ovvero le esistenze metropolitane contemporanee ed anche il paese della Cina. Lo stile è morbido, indubbiamente il libro è ben scritto, molto curato, però non mi ha emozionato.
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La vita è una clessidra
Romanzo tipicamente italiano, che racconta il rapporto fra due fratelli, che non potrebbero essere più diversi. Domenico, una persona semplice, che ha avuto una vita difficile e che è capace anche di vivere di piccole cose, un uomo che, fra ragione e sentimento, privilegia vivere di sentimento. Marco, un manager moderno, che ha una vita complicata e che, fra ragione e sentimento, privilegia vivere di sentimento. Attraverso il loro rapporto, che lascia trasparire anche uno strano senso di protezione reciproco, viviamo anche ciò che è stato della loro famiglia, con tutti i loro dolori e le loro difficoltà comunicative ed emozionali. Attraverso i loro pensieri, soprattutto quelli di Marco, che è la figura predominante del romanzo, scopriamo quante cose si scompongo dentro l’anima quando si vive un lutto, a maggior ragione quando improvviso, in quanto la vita può davvero cambiare completamente nel tempo di un battito di ciglia. Resta però un romanzo dove prevale la freddezza e questo, sinceramente, mi ha un po’ sorpreso.
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Patto di sangue e sabbia
Secondo libro della trilogia del male. Ha tutta una prima parte che racconta la giovinezza del protagonista e, visto che è anche un notevole salto indietro nel tempo, ti chiedi come mai questo sia il seguito del primo volume. Poi, nella seconda parte del libro, tanti tasselli si chiudono e comprendi meglio la storia se effettivamente hai letto il primo volume, anche se non ritengo che sia indispensabile per apprezzare questo giallo che è davvero bello. Ben congegnato. Ben strutturato. Ben composto. Ben scritto. La trama sta in piedi per conto proprio. E’ molto importante però entrare in sintonia con il protagonista e leggere la prima parte della trilogia ti dà un valore aggiunto indispensabile per apprezzare pienamente l’opera. Notevole è la capacità dello scrittore di rallentare il ritmo della narrazione, pur di creare quel senso di attesa e, nello stesso tempo, quel senso di urgenza nel lettore che lo invoglia a proseguire anche se la lettura è indubbiamente impegnativa. Importanti sono i temi storici sullo sfondo, i temi sociali che sono intrecciati nella storia, i risvolti psicologici. Perché tutto è una specie di corsa, di ricerca, in fondo al buco nero dell’anima, perché è in quel punto che si deve tornare, il punto che in tutti i modi si era cercato di dimenticare. Perché se è vero che libertà è poter scegliere tra luce ed ombra, non raggiungi la vera libertà finchè non ti si sono chiusi tutti i cerchi che ti tormentano l’anima.
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Paziente zero
Lui è un uomo solo e ferito. Lei è una donna sola e ferita. Entrambi hanno i propri demoni del passato da sconfiggere. Entrambi vogliono fare bene il proprio lavoro, anche se il mestiere del poliziotto è un mostro che divora. Si incontrano per un’indagine, che non si può negare prende, fin da subito, moltissimo il lettore. Fra di loro nasce in modo spontaneo una forma di fiducia, che resta tale fin quasi verso la fine del libro, trasformandosi in altro solo proprio in ultimo. Scelta che ho molto apprezzato, perché il focus dell’autore non era virare l’attenzione su una storia personale ma era raccontare una storia di brutture, di follia e far capire fino a dove può spingersi una mente umana cattiva e malata. La trama è talmente forte da risultare fin eccessiva, soprattutto quando ci si avvicina alla soluzione dei misteri, ma è ben congegnata ed ha indubbiamente un ritmo elevatissimo.
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I segreti dell'isola
Gran bel thriller, che non dà niente per scontato e che, soprattutto verso la fine, quando pensi ormai di aver capito tutto, ti offre mille possibili soluzioni, perché la linea che separa la vita quotidiana dal caos è davvero molto molto sottile. E’ ambientato in un’isola desolata e selvaggia e la comunità isolana è ciò che più intriga in questa storia davvero ben congegnata, dove la parola d’ordine è prudenza, verso tutto e verso tutti. Lo stile è accattivante, è scritto in prima persona, una scelta stilistica che avvicina il lettore, e la voce narrante è quella dell’antropologo forense protagonista. Uomo dal mestiere raccapricciante forse, ma che esprime, nell’amore per il proprio lavoro, un profondo rispetto per i morti, più forte del rispetto che tante persone hanno per i vivi. Sorprendente.
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Un "libro" accozzaglia
Certo che…leggere un libro della Gamberale appena dopo aver letto un libro di D’Avenia…è un po’ come fare karakiri!!! Libro è decisamente una parola grossa per definirlo. Di mano in mano che leggo i suoi scritti mi rendo sempre più conto che quello che inizialmente pensavo fosse una continua ricerca di uno stile narrativo, molto orientato alla modernità, alla fine non è proprio per nulla uno stile. Un libro non può essere un’accozzaglia di mail e di sms. Certo, dietro c’è una storia. Sembra una storia d’amore di due giovani che si ritrovano, ma è solo una storia di tradimenti. Certo, è un’autrice giovane e moderna. Ma a tutto c’è un limite. L’unica cosa che questo libro mi ha dato è la consapevolezza che le persone che ci stanno attorno, i genitori, i figli, i compagni non sono solo ruoli, ma sono persone, con tutte le loro ricchezze ma anche con tutte le loro debolezze. Però…non avevo bisogno di questo “libro” per capirlo.
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Il filo rosso...
…dell’amore…E’ questo il filo conduttore dell’ultimo libro di D’Avenia, da cui l’azzeccatissima copertina che raffigura un gomitolo rosso che si dipana. Questa è una raccolta di racconti strutturata secondo un disegno ben preciso. Il canovaccio che sta al di sotto di tutto il percorso è costituito da spezzoni dedicati al mito di Orfeo ed Euridice, con tanto di incipit, ad ogni capitolo, tratti dalle Metamorfosi di Ovidio, tutti posizionati lungo la raccolta, in punti ben precisi e secondo un ordine logico molto ben definito. Tali parti sono a loro volta intervallate da triadi di racconti, ciascuno dei quali è dedicato ad una particolare figura femminile, spesso ombre di personaggi maschili ben più noti alla storia ed al tempo. L’argomento comune a tutti è l’amore, in quanto la trama di ogni vita non è altro che l’intreccio di legami d’amore e l’amore è la forza di gravità di tutte le nostre azioni. La struttura del libro è veramente particolarissima ed originale, stupisce ed incanta, così come il modo di scrivere di questo autore, che è sempre ricchissimo di dettagli, di particolari, di spiegazioni in merito all’etimologia delle parole, alle connessioni fra le parole, fra le lingue, antiche e moderne e fra i mondi. E’ uno stile che trasuda cultura e rispecchia lo spessore letterario dell’autore. La lettura non è immediata, a tratti anche faticosa, proprio perché lo stile è di un livello davvero molto alto. Forse è un libro che va preso a piccole dosi, fin dall’inizio bisogna sapere o comunque accorgersi che è un lavoro molto diverso da tutte le sue opere precedenti. Solo così penso che lo si possa apprezzare pienamente.
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Il cuore è la natura
Già dalle prime pagine respiri aria di America. Non so perché in certi libri capisci così tanto presto dove sono ambientati. In questa storia, che è l’opera prima di questo autore, la parte del leone la fanno i particolari legati alla natura, che viene descritta in modo veramente dettagliato, anche se forse, a tratti, può sembrare che siano descrizioni anche troppo sovrabbondanti ed eccessivamente pignole. L’intento è quello di offrirci un quadro di una natura selvaggia ed ostile, ma a volte lo sforzo di restituirci quest’immagine pare un po’ eccessivo. A livello di trama, il libro è molto poco significativo, l’ho trovato parecchio confuso ed anche un po’ noioso. Ci sono degli incisi in corsivo che ho veramente capito molto poco.
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Una certa mollezza
Chi si appresta a leggere i volumi della saga dei Cazalet deve essere psicologicamente pronto a dosi massicce di vita familiare. Questo è il primo capitolo della saga ed alcune cose mi hanno colpito, anche se non so ancora se queste prime impressioni saranno o meno confermate dai prossimi capitoli: il ritmo è lento e lo stile è molto descrittivo, con tanti dettagli, utili a crearsi delle proprie immagini delle ambientazioni ed anche a prendere la lettura con la lentezza necessaria a farla sedimentare; alla fine di questo primo libro si ha un po’ la sensazione di un “non finito”, proprio perché la volontà è quella di far proseguire il lettore con la lettura del secondo capitolo; mi sembra un po’ un polpettone. L’ambientazione è sicuramente in un mondo dalle atmosfere d’altri tempi e per tutta questa prima parte direi che l’aspetto che più mi ha colpito è la sensazione di una certa mollezza in tutta questa famiglia. La caratterizzazione dei personaggi è abbozzata: direi che forse prevalgono le figure femminili rispetto a quelle dei fratelli Cazalet e comunque anche più le nipoti rispetto ai ragazzini. Per il momento i personaggi che ho più apprezzato sono stati Zoe e Clary…vedremo poi il proseguo…
Revival anni '80
Tanto elegante come giornalista televisivo, quanto profondamente deludente come scrittore. Questo libro è stato per me una vera delusione, un po’ per il contenuto, che penso si possa riassumere come un solo puro revival anni ’80, con una trama fragilissima ed anche poco sensata, ma soprattutto per lo stile, perché questo tuffo nella gioventù di quegli anni è infarcito di una volgarità tanto accentuata da far perdere di naturalezza alla scrittura. Un libro davvero fastidioso, al punto che ne ho interrotto la lettura senza arrivare nemmeno a metà. Un vero flop.
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Non c'è Londra senza sofferenza
Cambiarsi un cappotto e poter passare in un altro mondo: che bello che sarebbe poterlo fare davvero!!! Il protagonista di questo fantasy moderno può muoversi fra universi paralleli, che sono tutte versioni diverse della città di Londra. La Londra Grigia è insolita ed innocua, la più noiosa delle versioni, perché priva di magia; la Londra Bianca è violenta ed inquietante; la Londra Nera e la Londra Rossa sono le versioni più interessanti, perché intrise di magia e la magia vive nella mente, nel cuore e nel sangue. Il messaggio forse più importante è però che non esiste una versione di Londra in cui non ci sia una qualche forma di sofferenza, come è nella vita. La storia è di per sé intrigante, ma il tipo di genere a cui appartiene è molto lontano da me e questo mi ha creato fin da subito una sorta di distacco che non mi ha permesso di apprezzarla appieno.
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Braccato dalla memoria
Questo libro è la storia di un incontro tra due uomini, uno dei quali trova le chiavi del labirinto fortificato in cui si è chiuso l’altro. L’altro è un assassino dichiarato, che ha ormai scontato la sua pena e che non ha mai voluto salvarsi dal proprio destino: questo è proprio uno dei particolari che più incuriosisce della sua personalità, perché il suo campo di battaglia è la sua coscienza a brandelli ed il lettore è spinto a voler capire i tanti perché che ci sono in questa coscienza. Lo sforzo di tutta la storia è quello di tradurre la sua anima, che ha conosciuto il dolore, la caduta, la tenebra e che non si è mai voluta salvare da nulla, nemmeno da se stessa. Lo stile è elegante, i ritmi lenti, i messaggi chiari, i colpi di scena tanti. E’ una storia che ti fa capire che è la solitudine, con il suo tempo ed il suo spazio privato, la cosa più preziosa che ha l’uomo, e che il segreto della felicità è la libertà ed il segreto della libertà è il coraggio.
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Un amore malato
Questa è la storia di un amore malato fra Lidia e Lorenzo, ed è scritta con uno stile moderno, frammentato, misto, condito con intermezzi di altre storie di persone comuni, che però danno poco senso a tutto ’insieme; viene utilizzato lo strumento linguistico delle mail e tanti altri che sono segni di una penna giovane. Questa penna però l’ho trovata molto volgare, troppo, se il senso del libro era più che altro quello di far capire che la zona cieca è quella parte di noi che noi non conosciamo ma che gli altri vedono di noi. Gradevole è solo il personaggio immaginario, che però usa strumenti comunicativi forzati che stonano comunque in un romanzo a tutti gli effetti, a parere mio, davvero brutto. I personaggi sono tutti estremamente negativi e ciò che più colpisce è l’ostinazione della passione che lei ha per lui. Fin dalle prime pagine ti viene da gridare loro di andare ognuno per la propria strada, perché si fanno solo del male a vicenda. Anche il finale non dà nessun colpo di coda e nessuna emozione.
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Personaggi ai margini
La copertina di questo libro è molto indicativa del suo contenuto: un’immagine in bianco e nero che restituisce la sensazione dell’atmosfera cupa della Parigi notturna e che dà una gran sensazione di freddezza. Il protagonista è un tassista che, parlando in prima persona, ci offre uno spaccato dell’umanità varia che incontra durante le sue corse. Conosciamo personaggi ai margini, animali notturni, dietro ognuno dei quali scorgiamo una storia. La cosa meno bella è che ne deriva una carrellata di personaggi, che di fatto sono comparse, quasi come fosse un carosello, che fa un po’ perdere il senso di umanità che poteva essere il punto di forza di questa bella idea narrativa.
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La fata normalità
La malattia tira fuori tante nostre fragilità ma anche tutta la nostra forza. Perché combattere per tornare alla normalità è la più intensa delle fiabe. E perché mai come nella malattia scopriamo la grandezza e l’importanza della normalità. Il protagonista-autore ci racconta, in modo autobiografico, come ha lottato, come ha cercato di trasformare il buio in cielo stellato, ci rende palpabile tutto il suo slancio combattivo, facendoci partecipe anche delle sofferenze del non-detto e del respiro epico della complicità padre-figlio. Spesso l’eco delle nostre angosce rende il vuoto assordante, ma occorre sforzarsi di nascondere con coraggio l’angoscia in fondo alla gola, perché la malattia è anche capace di magnetizzare l’amore e tanti piccoli gesti, tante piccole attenzioni, la rendono da una parte più sopportabile e dall’altra danno la forza per superarla e per andare oltre. Ovunque sia questo oltre. Spesso è un oltre noi stessi. Il racconto è emozionante, forse a volte fin troppo scientifico, ma queste pagine le senti vive, soprattutto perché ti accorgi che sono vere.
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I nostri incerti labirinti
Questa lettura ti lascia addosso un senso di delicatezza e di malinconia, che ben si incastona nel paesaggio di Venezia, che fa da elegante sfondo alla vita del protagonista. La storia è divisa in due frammenti, il primo è riferito a un periodo di maggiore giovinezza, il secondo invece racconta l’ultima stagione dell’uomo ed è stata in assoluto la parte che ho preferito, anche se ti lascia dentro un grande senso di tristezza, perché è innegabile il pensiero della paura della morte e più ancora il pensiero di tutte quelle persone che nella propria vita si sono conosciute frequentate sfiorate amate dimenticate, e che possiamo perdere benprima di andarcene noi. Innegabile, dietro ad ogni pagina, il fascino ed il languore che questa città unica al mondo lascia addosso, con la sua atmosfera metafisica tra cielo ed acqua ed i suoi oltre cinquecento ponti che i veneziani attraversano soffermandosi però una frazione di secondo prima di varcarli.
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Riaprire porte
Quando un cerchio non si chiude, l’anima resta inquieta. Questo giallo tipicamente italiano è il primo volume di un ciclo che ben promette. Va letto con molta attenzione, perché è sostanzialmente diviso in tre parti e la parte centrale sembra essere un intermezzo troppo lungo e poco pertinente con la prima parte della storia che hai già letto e che sai già avrà un seguito. Invece tutti gli elementi sono importanti, tutti i personaggi, tutta la sequenza. E’ una storia fatta di molte rimarchevoli coincidenze, che piano piano capisci che non sono tali ed è stando attento anche a tutti i più piccoli particolari che puoi più apprezzare appieno tutta la girandola di inganni e, soprattutto, la capacità dell’autore di pensarli, costruirli, concatenarli. Davvero notevole. Il protagonista è cinico ed irritante, ma di lui, conoscendolo pagina dopo pagina ed anno dopo anno, colpisce soprattutto la catena della paralisi, ovvero la sequenza tra senso di colpa, rimorso e pentimento, che è un aspetto profondamente umano. Vive in attrito con il mondo, ma ci sono momenti in cui, pur non sopportandolo, un po’ ti identifichi in lui. Splendida la parte finale, in cui il burattinaio indiziato numero uno fa impennare la suspence fino a condurci all’inatteso finale.
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Balikwas
Il rapporto tra un figlio ed un padre è al centro di questa storia tutta italiana, stranamente ambientata nella confusa, poliedrica ed anche un po’ violenta Marsiglia. E’ forse l’essere fuori dall’ordinarietà, per un motivo comunque familiare, che permette questo avvicinamento tra padre e figlio. O forse, più che un avvicinamento è una conoscenza, una scoperta, perché i due, complice una piccola terapia di deprivazione del sonno, arrivano ad un punto inatteso di confidenze. E’ l’effetto baliwkas, una parola straniera che significa saltare all’improvviso in un’altra situazione. In questa storia si salta dall’avere un padre e un figlio abituati ad interagire tra loro in modo ordinario, secondo i classici schemi familiari, all’avere due adulti alla pari, che fino a due giorni prima quasi non si conoscevano nella loro individualità, ma che, in modo estremamente naturale e libero, si svelano l’uno all’altro, in un rapporto maturo figlio-genitore, che è una delle cose più belle che si può desiderare di avere dalla vita. La storia è potente, piena di sentimenti, di affetto, di tenerezza e la scrittura di Carofiglio ci prende per mano e ci conduce piano piano ad un finale, che, in poche righe, riassume in modo magistrale uno dei tasselli più importanti del puzzle della nostra vita.
Il senso dell'assenza
Libro autobiografico di uno dei più importanti scrittori americani contemporanei, che presenta due memoriali, scritti a 30 anni di distanza l’uno dall’altro, in cui l’autore ci fa incontrare prima suo padre e poi sua madre. Ogni genitore ha due dei quattro occhi attraverso cui un figlio cerca di vedere il mondo ed ogni famiglia, vista dall’esterno, sembra molto diversa da come effettivamente è, vista dall’interno. Mi aspettavo un libro straripante di sentimenti, invece l’ho trovato molto freddo, quasi come se l’intento fosse quello di dare quasi solo una cronistoria di fatti. E’ anche vero che, forse, per apprezzare pienamente quest’autore, bisogna essere buoni conoscitori della cultura e della società americana. Certo è che mi aspettavo più calore, più emozioni. Mi è rimasto addosso il senso dell’assenza, e concordo che, raggiunta una certa età e successi determinati fatti, seppure naturali, siano le assenze a circondare e ad insinuarsi in ogni cosa.
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La musica nell'anima
Non sono mai stata molto affascinata dal mondo del fantasy, ma questa rosa bianca racchiusa in una sfera di cristallo in copertina mi ha conquistato, sarà perché nelle rose il bianco è il mio colore preferito. L’ambientazione è nel mondo dei goblin che vivono nel sottosuolo ed i protagonisti sono il Re dei Goblin ed Elizabeth, una giovane donna che viene rapita dal signore degli inganni. L’atmosfera è magica, perché questo è un mondo in cui i confini fra fantasia e realtà sono mescolati a piacimento. E’ una storia piena di magia e di incanto, in cui emerge preponderante l’amore per la famiglia, l’importanza del libero arbitrio, la forza delle donne e, più di tutti, la potenza della musica. Perché Elizabeth ha la musica nell’anima ed è la musica a far innamorare il Re dei Goblin al punto da rapirla e nello stesso tempo liberarla, portandola a fare un lungo viaggio sostanzialmente dentro se stessa. E’ una storia potente, capace di far capire che l’amore può creare ponti tra mondi davvero molto lontani.
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L'occhio che osserva e rivela
Sono sempre stata affascinata dai grandi fotografi che esprimono nel bianco-nero la loro arte. Questo pensavo fosse non solo un libro, ma un inno alla fotografia e soprattutto al potere che ha la lingua universale delle immagini. Inizia in effetti così. Ti insegna ad osservare. In una manciata di pagine ti fa capire quante cose ci sono “dietro” una semplice fotografia, che sembra anche quasi un’immagine banale: tanti particolari, tante sfumature, tanta ricchezza. Ma molto presto il libro si trasforma, di fatto, in un vero e proprio romanzo storico, ricco di fatti, di personaggi, quasi una cronistoria. Molto diverso da quello che mi aspettavo, credo che possa piacere molto di più agli amanti dei romanzi storici, perché fitto di riferimenti a fatti realmente accaduti, visti attraverso la lente di personaggi non comuni e comunque veri.
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La dimensione del ricordo
Fin dalle prime pagine di questo romanzo, che intreccia fatti veri con personaggi inventati, emerge, direi prepotente, la dimensione del ricordo. I protagonisti sono una strana coppia: un giovane, che, con il suo modo di fare un po’ antico ed un po’ fuori dal tempo, cerca di ricostruire il passato del nonno ed un’anziana amica della nonna, che rivive il passato ed i cui ricordi affiorano alla memoria come rami trascinati dalla corrente. Il tutto inizia quasi per caso, con una costante che è la voglia di sapere, in lotta perenne con la paura di scoprire qualcosa che sarebbe stato meglio non sapere. Per tutta la durata della narrazione permane anche un forte senso dell’attesa per la rivelazione finale, che in effetti arriva, anche se un po’ già intuibile. Mi è piaciuto il frequente cambio di io narrante, alternando anche presente e passato, ed a volte il registro cambia anche quando non te lo aspetti proprio: è un modo di raccontare che ti fa entrare molto di più nella storia e nell’animo dei protagonisti. Impressionante il racconto del naufragio della nave, fatto tra l’altro accaduto veramente. Il sentirselo raccontare da uno dei protagonisti fa un certo effetto. Importanti le riflessioni sui rapporti umani e familiari, che invitano a capire l’importanza del confronto e dello scambio, perché il silenzio, anch’esso forma di comunicazione, è il peggior nemico delle relazioni umane.
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Gotham City
Giallo italiano ambientato in una splendida Firenze, allo stesso tempo rinascimentale e solare, ma anche terribilmente gotica. E’ un giallo dalle tante prospettive di soluzione: ambientato nel mondo degli antiquari, a suo modo affascinante, con incursioni nel mondo e nei segreti della Chiesa, ma anche nell’oscurità della massoneria così come nei dolori di una famiglia, segnata da vicende della vita molto, troppo forti da sopportare. Il tutto, indagine compresa, si svolge sotto un’acqua ossessiva ed insistente, da cui il titolo del libro. In modo spiccato emerge l’ironia e la simpatia del protagonista, un giornalista dal lavoro totalizzante e con una figlia pre-adolescente da crescere. Un po’ il carattere del protagonista, un po’, a mio parere, l’immedesimazione forte fra lui e l’autore, rendono la lettura scorrevole, vivace, piacevolissima, con una finale che mette finalmente ordine in questa storia di fantasmi e che cambia la prospettiva del lettore, portandolo a guardare l’intera vicenda attraverso la pietra angolare della disperazione del colpevole.
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'Na fuitina
Scelgo sempre i libri d’impulso, in base ad una combinazione, direi chimica, titolo-copertina-colpo di fulmine, senza soffermarmi troppo a leggere la storia di cui parla. Quando ho scelto questo, pensavo ad una storia romanzata ed un po’ strappa-lacrime, anche se non amo molto la narrativa cosiddetta “rosa”. Il fatto che la storia fosse ambientata in Afghanistan mi aveva attirato, perché speravo ed immaginavo che non fosse un romanzo così “rosa”. Non mi aspettavo che però fosse una storia vera e, men che meno, che fosse raccontata da un giornalista, che è stato toccato sul vivo da questa vicenda e che l’ha raccontata, appunto, dal punto di vista giornalistico, nonché personale, perchè, quando ne è stato toccato, non è riuscito a prenderne le distanze, infrangendo la propria deontologia professionale. Forse lo stile è un po’ troppo schematico, un po’ troppo cronologico, un po’ troppo freddo. Perché se è vero che è una storia che nasce dal potere dei sentimenti, è una storia in cui il calore dei sentimenti si sente veramente molto poco. L’intento era un altro, era quello di raccontare anche tutto il contorno che ha spinto questi giovani ragazzi a sfidare il loro mondo e le loro famiglie. Un punto di vista comunque bello, originale, inaspettato, per raccontare una storia dei giorni nostri. Vera. E quanto abbiamo bisogno di storie vere.
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La bimba perduta e ritrovata
L’incipit è ottimale, ma dopo la prima manciata di capitoli, tutto ti sembra slegato e con poco senso. Giri pagina, incontri uno e ti chiedi: “Ma questo chi è?”. Non dico che arrivi alla fine e ti trovi nella stessa condizione, ma più o meno… Dovrebbe trattarsi di un thriller, perché la protagonista, che da bambina ha avuto un trauma non indifferente, dopo più di trent’anni, ne deve affrontare un altro. Una volta che ti è successa una cosa terribile, non significa che non ti possa succedere di nuovo. Da donna, da un giorno all’altro, sparisce, e non si sa se volontariamente o se perché vittima di qualcuno o di qualcosa di più grande di lei. L’idea non sarebbe male, è il modo con cui tutta la storia si snoda che è davvero noioso ed estremamente prolisso, tanto da farti perdere quasi ogni interesse. La parte che ho apprezzato di più è stato il racconto, a posteriori, del risveglio, di quando era bambina, dopo la strage cui è sopravvissuta. Lei, bambina, si permise di continuare a vivere. Perché è possibile sopravvivere con grazia anche ad un dolore che non passa.
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La forza dei sopravvissuti
Strana lettura, che parla di un disastro aereo in cui ci sono due sopravvissuti, Scott, un uomo e JJ, un bambino, che, nel disastro, perde tutta la sua famiglia. Scott ha avuto la forza straordinaria di reagire, ha avuto la lucidità di ragionare per capire da che parte nuotare per cercare di raggiungere la riva, visto che si ritrovava nell’oceano, non è stato sordo e solo concentrato su se stesso, perché ha sentito una voce, un pianto e questo gli ha permesso, con enorme sforzo fisico, di salvare la vita anche a JJ. Tutto il libro è proiettato al passato, per indagare nella vita delle poche persone che erano a bordo (era un jet privato) e per capire le cause del disastro, quasi come se a tutto dovesse e potesse esserci un perché. In questo tentativo, che è il cuore del libro, visto anche al titolo, si concentrano i maggiori sforzi dell’autore, il tutto per arrivare comunque ad una spiegazione e ad un buon finale. Mi sarebbe forse piaciuto di più uno stile più focalizzato sul presente di questi due sopravvissuti, di questa coppia che rimarrà indissolubilmente legata, a vita. Scott nella vita è un artista che dipinge quadri che raffigurano disastri, perché è stato segnato da una tragedia familiare quando era piccolo e la vita può paralizzare, pietrificare, se pensiamo a qualcosa troppo a lungo. Da questo disastro ne esce rinvigorito e questo è un messaggio estremamente positivo, che però è stato lasciato molto sfumato. Così come resta molto sullo sfondo la figura delle madri, che esistono anche per smussare la solitudine esistenziale di un essere umano. Anche questi rapporti avrebbero potuto avere un peso diverso nella narrazione. Raccontando di un bambino rimasto improvvisamente solo al mondo, me lo sarei aspettato.
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Esseri viventi morenti
Questa è un’autrice che o amo o odio. In questo libro, che ho scoperto essere il suo primo romanzo, l’ho sia odiata, perché ci sono parti dove la volgarità è, per i miei gusti, eccessiva e fuori luogo, sia amata, perché, nella stessa storia di Clarissa e Pamela che ho prima maldigerito, ho poi scoperto semi di messaggi molto positivi che l’autrice ha voluto lasciare. La storia in Exit è originale: racconta la vita di persone che scelgono la morte e vogliono un aiuto esterno per varcare la soglia oscura, scegliendo un modo originale per andarsene di proprio pugno. Gli ospiti di questa casa sono accomunati da una profonda delusione esistenziale, il che rende la lettura estremamente malinconica. E se da una parte è vero che la fantasia è il vero segreto del progetto Exit, non bisogna dimenticare che, al di là delle scenografie, tutte queste sono persone che ad un certo punto della loro vita, per ragioni diverse, scelgono di morire, perché sono convinte che la morte sia meglio della vita che si ritrovano a vivere. Questo induce a profonde riflessioni umane. La parte più bella è il mondo che si apre conoscendo ognuno di loro, perchè ogni uomo è davvero un mondo.
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Una stella binaria
Tutti noi ci ricordiamo dove eravamo e cosa stavamo facendo l’11 settembre 2001. E’ una data che ha segnato il nostro tempo. Questo libro ci racconta una storia d’amore di una giovane donna, storia iniziata proprio quel giorno e segnata, anche negli anni seguenti, da quello che è successo quel giorno. Ciò che sorprende è lo stile in cui viene raccontato, morbido, fluido, caldo. Ogni capitolo ha un incipit che ti attrae. Il modo di raccontare è rivolto ad un tu, che non sei tu, lettore, ma è un tu molto specifico e questa è una scelta stilistica originale, sembra quasi di leggere le pagine di un diario personale, ti senti intrecciato in una matassa di sentimenti, tutti veri, tutti profondi, tutti puliti. E non sapresti nemmeno tu, lettore, quale scegliere. Lei e lui sono una stella binaria, l’uno orbita attorno all’altra e viceversa. Però in questi anelli entrano anche altri amori, altrettanto importanti ed altrettanto forti. Mi è piaciuta molto la dedica iniziale alla città di New York, così come il ruolo da protagonista che ha la fotografia, una delle mie passioni, perché è vero che le fotografie influenzano il modo di guardare il mondo, così come mi ha ispirato simpatia il personaggio secondario del fratello di lei, che spiega l’amore usando la tavola periodica. Tutte piccole gemme che fanno da contorno al canovaccio principale della storia, che da una parte è semplice e normale, dall’altra è però raccontata come se fosse una storia unica al mondo. Perché la storia di tutti noi è unica al mondo.
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La linea Attila che divide
E’ un libro che ti fa respirare l’odore della guerra, ti fa provare il dolore della guerra e dei distacchi. Ti fa toccare, direi quasi con mano, la brutalità di quello che può succedere quando la normalità viene ribaltata, perché le famiglie protagoniste di questo romanzo si ritrovano quasi da un giorno all’altro, in modo quasi del tutto inconsapevole, a dover difendere la propria vita, diventando praticamente prigionieri in casa propria, nel bel mezzo di un’occupazione inaspettata della loro città. Città che si svuota della propria anima, perdendo tutta la propria bellezza, il proprio calore, la propria identità. E’ un libro che ti apre una finestra sul male, fino a farti quasi vedere dal vivo lo sguardo distorto dell’avidità, fino a farti sentire nelle ossa il male che il principale personaggio femminile vive sulla propria pelle. Ed è proprio ripercorrendo la metamorfosi di lei che ti accorgi di quanto la vita e gli eventi possono cambiare una vita, e un’anima. La storia ti fa riflettere profondamente su ciò che vuol dire sopravvivere, sui bisogni primari, sull’importanza degli affetti familiari, sulla non importanza del superfluo. Ti apre anche uno spiraglio sull’umanità, soprattutto nel gesto finale del giovane che, a modo suo, vuole pagare il debito della propria libertà a colei alla quale deve tutto.
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Solitudini affollate
Libretto che si legge in un soffio. Racconta la storia di due giovani ragazzi stranieri, ed il cuore di tutto sono i loro sentimenti. Molto molto bella la prima parte, che racconta la storia dal punto di vista di lei, Ifem: mi ha fatto pensare tanto al bisogno di sicurezza familiare ed anche alla solitudine, che non è il restare soli ma anche solo il diventare silenziosi. La timidezza di Ifem è una forma di protezione verso se stessa, ma Ifem è soprattutto una giovane ragazza ricca di interiorità ed un personaggio estremamente positivo. Molto meno bella la seconda parte, più breve, che racconta una parte della storia, dal punto di vista di lui, Yannick. Mi ha molto colpito che lei non venisse praticamente mai citata in questa seconda parte: questo ha dato un maggiore senso anche a tutta la prima parte. Nel titolo del libro è racchiusa una grande doppia verità, che il come stanno veramente le persone è qualcosa che la gente non prende neanche in considerazione, e che non sempre alla domanda “Come stai?” si ottiene una risposta sincera. Io per esempio sono proprio una di quelle che, quando sta male, non lo dice.
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