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Il viaggio lungo il fronte di guerra (e di pace)
Pakistan, anno 2001: mentre l'Occidente assiste alla controffensiva statunitense dopo il devastante attentato delle Torri Gemelle, Yanis, che significa 'dono del Signore', è il nome di un bambino di origini afghane la cui prima parola che pronuncia a un anno di età è 'jung', il rumore della guerra. Proprio jung gli ha portato via per sempre casa e famiglia, provocandogli uno shock tale da perdere l'uso della parola per tre lunghissime primavere, finché a soli undici anni decide di partire per l'Europa. Un viaggio alquanto complicato che parte dall'anonimo villaggio di Barak e che vede nella catena montuosa dell'Hindu Kush il primo di una serie di ostacoli che culmina con un gravissimo incidente sul Tirich Mir.
Yanis perde i sensi, forse l'uso delle gambe e quasi tutte le speranze, ma ancora non sa che la sua vita sta per cambiare per sempre.
E' attraverso gli occhi innocenti di un bambino che l'io narrante di questo straordinario romanzo di formazione (con illustrazioni di Ernesto Arlende) presenta la guerra nelle sue ingiustizie e nella sua spietata insensatezza. Un protagonista (neanche troppo) fittizio le cui gesta si intrecciano alla realtà di Gino Strada, il medico dalle scelte radicali e rivoluzionarie che ha fondato l'associazione Emergency nel 1994. Si racconta di lui attraverso una serie di aneddoti e testimonianze, dall'infanzia milanese fatta di 'rane del Naviglio della Martesana' e di 'amici e amore al liceo classico' alle specializzazioni nelle università di Pittsburgh e Stanford fino ai viaggi "missionari" in quel di Quetta e di Kabul attraverso un percorso angusto e disagevole.
Esattamente come quella Via della armi, tra devastanti mine e violenti colpi di mortaio, che Yanis lascia alle sue spalle.
Nelle ultime pagine, una strofa di 'Auschwitz' di Guccini e i trenta articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani rappresentano il giusto e preciso compendio a un libro sognante, giusto e speranzoso.
Perché 'A volte basta una piccola buona notizia per far scordare le grandi brutte notizie'.
'A chi crede nella giustizia rimane la possibilità di trasformare i propri sogni in realtà, di infischiarsene dei mostri che hanno perso la coscienza, di non credere che debba per forza essere così per tutti e di non dimenticare la propria dignità.', quella 'dignità, che come diceva mio papà vuol dire avere gli occhi buoni per vedere la bellezza nei posti in cui va a nascondersi.'.
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