Dettagli Recensione
La Tigre appare
Che effetto fa tornare a Sandokan e avventurosa compagnia dopo tanti anni? Tutto sommato assai piacevole: al netto di qualche ingenuità o ripetizione e malgrado alcuni sbrodolamenti descrittivi di troppo (ma la verbosità della parte ‘scenografica’ è uno dei segni distintivi del tempo in cui il romanzo fu scritto), Salgari risulta ancora capace di tenere il lettore incollato alla pagina, portandolo a percorrere i capitoli con divertita curiosità. Oltretutto, il testo originale aiuta a eliminare vecchie incrostazioni della memoria, di cui ha non poca colpa la visione infantile del bello sceneggiato di Sollima trasmesso a metà anni Settanta: quell’efficace crasi dei primi tre romanzi del ciclo finisce per venire scompaginata dal ritorno alla parola scritta. E’ impossibile per me dare ai personaggi volti diversi da quelli di Kabir Bedi, Philippe Leroy e Carole Andrè, ma il resto – visti anche i lustri trascorsi – riesce ad avere il sapore della novità: dal ruggente apparire della Tigre in cima alla sua rocca fino al perduto innamoramento che lo costringe a scegliere tra la Perla e la carriera piratesca originata dal desiderio di vendetta nei confronti degli inglesi. Sono evidenti le analogie con il Corsaro Nero – il rude bucaniere che si innamora della figlia/nipote del nemico – ma in questo caso la narrazione si fa più dinamica grazie a una bella inventiva riguardante le figure secondarie: Lord Guillonk è il cattivo, ma ha un suo senso dell’onore, molti dei pirati sono caratterizzati con pochi ma efficaci tratti e infine c’è Yanez a controbilanciare con l’astuzia e l’umorismo gli atteggiamenti del suo ‘fratellino’. Va infatti detto che Sandokan ha un ego non poco sovradimensionato, il che non lo rende sempre simpatico: caratteristiche pur’esse figlie degli anni che lo videro nascere (un po’ come gli eccessi di svenevolezza in cui cade ogni tanto Marianna), ma che lo portano a volte auna condotta tra il supereroe e il semplice sbruffone. Al momento giusto, arriva però il suo compagno portoghese, attento e razionale (si ha l’impressione che sia lui il vero regista della vita a Mompracem), nonché capace di un atteggiamento disincantato quanto mai necessario. Non è del resto neppure opportuno mettersi a spaccare il capello in quattro, visto che di libro di avventure si tratta e come tale va giudicato: tra abbordaggi e fughe nella giungla (per non parlare del celeberrimo duello con la tigre) sa appassionare e divertire facendo volare la fantasia in terre lontane e – benché esistenti quasi tutte su una carta geografica – immaginarie oggi come dovevano sembrare cento anni fa. Se poi Salgari non fosse stato pressato dagli editori e si fosse potuto rileggere, magari avrebbe evitato di scrivere ‘darei metà del mio sangue’ ogni tre per due, ma a pensarci bene anche questo fa parte del fascino della sua esperienza letteraria.