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Il grigiore urbano sconfitto dalla fantasia
Scoprire per caso un buon libro e innamorarsene, perchè parla del tuo mondo, di quello che vivi tutti i giorni, quando esci dalle porte della tua grigia ditta e attraversi il traffico delle strade e vieni stordito dai fanali abbaglianti di altri che come te hanno terminato una lunga giornata. Marcovaldo è subito stato un dialogo diretto tra un'autore lungimirante e l'esperienza di vita quotidiana. Calvino ci parla di un uomo qualsiasi e di una città qualsiasi che per comodità chiameremo Torino. E' lì che ambienta i venti episodi che vedono come protagonista un umile manovale italiano, il classico uomo medio che incarna molte delle viltà e dei limiti che ci rendono gli uni simili agli altri. Marcovaldo però ha qualcosa di diverso, egli ricerca la vita oltre il grigiore delle strade, oltre la cortina spessa delle insegne, dei lampioni, dei semafori. Combatte contro il lavoro, il desiderio innato di primeggiare, contro un mondo ostile e spigoloso che egli cerca con la fantasia e l'ingenuità di reinventare.
Gli fanno da contorno una famiglia numerosa, uno scantinato da cui sogna il cielo stellato, un'azienda di fantozziana memoria (o meglio un'azienda a cui Paolo Villaggio si rifarà) e la natura, che spunta timidamente tra l'asfalto e l'indifferenza umana.
Ci fa sorridere Marcovaldo, perchè ci prova sempre, ma non gli riesce mai di uscire dagli schemi. E' una lotta impari tra un'urgenza mediatica globale di informazione, comunicazione e massificazione (che quasi antesignano Calvino aveva già recepito), e il desiderio, il sogno, l'anelito umano verso il paese di Utopia. Questo ritorno all'età dell'oro non avviene per Marcovaldo, ma egli tenta ugualmente di disegnare un mondo nuovo, tutto suo.
Leggetelo, vedrete come parla di tutti noi.