Inferno
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Deludente
PESANTE, NOIOSO E CAOTICO!
Ringrazio Dio di non averlo comprato ma di essermelo fatto prestare... sarebbero stati soldi buttati.
Trovo il romanzo pesante e noioso! Ha qualcosa come 450 /500 pagine di troppo... Sono arrivata a metà libro annoiata e in mezzo ad informazione "artistiche" buttate giù alla rinfusa che per una che di storia dell'arte ci capisce il giusto hanno solo aumentato il mio disinteresse verso il libro.
Penso sia stata la prima volta che un libro non mi è piaciuto!
Sconsiglio vivamente di spenderci soldi.
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Mr. Brown elargitore di oasi letterarie
Mi sarei sentito tremendamente in colpa se non avessi per lo meno tentato di scrivere questa recensione. Dan Brown rappresenta una piccola parte della mia crescita letteraria che non voglio dimenticare, né rinnegare, né esaltare. Una recensione, come nella quasi totalità dei casi, serve più a me stesso per chiarirmi le idee a proposito di un libro o a proposito di un autore piuttosto che ai lettori che desiderano informarsi sulla prossima lettura. E quindi, con la possibilità di formarmi un quadro generale e definitivo su Dan Brown, che tanto mi ha dato, approfitto dell’occasione e parlo di questo attesissimo nuovo romanzo, tentando, nel mio piccolo, di contestualizzare non solo “Inferno”, ma anche il mondo che vede svolgere le vicende tremendamente invitanti di Robert Langdon. Come considerazione generale si può affermare che questo ultimo romanzo non si discosta in nessun punto dallo standard proposto dall’autore in tutti i suoi precedenti lavori, sia che si tratti del filone riguardante Langdon, il cui aprifila è “Il codice Da Vinci”, sia che si tratti delle altre due fatiche un po’ meno conosciute, con personaggi a parte, quali “La verità del ghiaccio” e “Crypto”. Lo standard letterario proposto dall’autore è classificabile come thriller, che il più delle volte però acquisisce implicazioni storico-artistiche peculiari e trascinanti, esattamente quelle che hanno fatto del suo esordio un best seller a livello globale. Dan Brown, come sempre, si rivela un abilissimo architetto capace di costruire trame apparentemente complesse e sorprendentemente lampanti man mano che ci si inoltra nelle estenuanti ore che il protagonista deve sostenere in fuga contro il tempo. Risolvendo arcani, eruditi giochi di parole, cacce al tesoro ricche di suspense narrativa che si snodano, in questo come nei precedenti romanzi, tra varie città e vari luoghi di interesse del patrimonio artistico mondiale, Robert Langdon, elegante professore di Storia dell’arte e Simbologia di Harvard, si dimostra sempre un personaggio godibile. Certo non particolarmente indagato, ma non è questo che si cerca leggendo Dan Brown. Ci basta il suo raffinato gusto per le giacche Harris Tweed, i mocassini di scamosciato, il metro e ottanta di altezza e una memoria eidetica straordinaria al suo servizio. Senza dimenticare l’immancabile orologio di Topolino. Ci basta questo perché quello che cerchiamo in un romanzo come questo sono quelle poche ore di distacco mentale dal nostro mondo un po’ monotono e ripetitivo, quelle ore che decidiamo di passare su e giù per l’Italia in un complicato intreccio che vede protagonista l’opera poetico/letteraria per eccellenza, la nostrana “Commedia” di Dante. E’ tramite i suoi versi e le sue evocative, quanto raccapriccianti visioni che Robert Langdon dovrà districarsi per sventare una possibile pandemia in grado di mettere a rischio la sorte dell’umanità. Quest’ultima, parallelamente all’opera dantesca, si rivela come cardine nella narrazione e della parte più riflessiva del romanzo, raccontata con crudezza e verosimiglianza nel suo inesorabile procedere verso la pericolosa sovrappopolazione. Brown questa volta costruisce una trama facendo leva su un concetto che trova una corrispondenza reale nel nostro mondo, tentando di far luce, seppur sempre nelle modalità immaginifiche di un’opera di fantasia, sul futuro che attende la nostra specie e il suo reale accrescimento smisurato. Tramite la figura del visionario scienziato Zombrist, antagonista/benefattore autoproclamatosi salvatore della specie, l’unico in grado di attuare e di prendersi le responsabilità per uno sfoltimento della popolazione che garantirà la sopravvivenza con un forzato sacrificio, il lettore ha modo, oltre ad intrattenersi, anche di incanalarsi verso riflessioni inaspettatamente profonde rispetto alla tipologia di libro che ha scelto di leggere. E questo è senz’altro un punto a favore per l’opera browniana, che, inoltre, redime in parte una fama certamente non compromessa, ma su cui aleggia l’inquietante ombra del cliché. In definitiva, ho trovato azzeccato e ben gestito, ancora una volta, il connubio tra gli arcaismi storico/artistici e storico/letterari e il futuristico contesto delle biotecnologie e dell’ingegneria genetica. Tentare di spiegare il futuro con il passato sembra sia una pratica che l’autore prediliga particolarmente, insieme a quella che vede lo studio della grande eredità culturale che l’Italia ha ricevuto in dono. Uno studio che ha il merito, inoltre, di far conoscere anche al lettore meno dotto alcune nozioni su un’opera così fondamentale come la “Divina Commedia”. A questo proposito, nonostante si presupponga che Dante non abbia necessità di essere pubblicizzato, credo sia meritevole qualsiasi mezzo lo possa portare più lontano di quanto non sia già, a pubblici ancora più vasti. Poiché se il lettore italiano si trova in una posizione di vantaggio e cede alla tentazione di un sorrisetto condiscendente leggendo cose risapute, il lettore che sta dall’altra parte del mondo probabilmente non fa altrettanto.
Detestando, come tutti del resto, le recensioni che dicono troppo, e in questi casi bisogna esser cauti, e che spiattellano a sorpresa il finale mi asterrò dal riferire altro ed in particolare con quale parola l’erudito signor Brown conclude il suo tomo, con l’assoluta certezza che tutti i conoscitori di Dante sapranno esattamente di quale si tratta.
Concludo con un sorriso di autoindulgenza: se da un lato amiamo appagare la mente con cli arricchimenti intellettuali che i romanzi impegnati sanno dare, dall’altro è forse giusto concedersi anche una pausa e goderci emozioni, magari un po’ più profane, che sanno mantenerci incollati ad un libro fino a che non si fa troppo tardi e dobbiamo chiuderlo, nostro malgrado. E quando Dan Brown sforna un altro dei suoi tomi io capisco che per me è giunto il momento di una pausa, di spendere una cifra astronomica per un libro da un chilogrammo di peso, e di fare come ho sempre fatto dai tempi del “Codice Da Vinci”, quando dopo una settimana di scuola sulle spalle mi alzavo presto la Domenica mattina per infilare il naso e sapere cosa sarebbe accaduto dopo.
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Non sarà un capolavoro della letteratura ma....
Inferno è il quarto romanzo che vede protagonista il famoso e stimato professore di simbologia religiosa ad Harvard: Robert Langdon (della sua vita privata si sa ben poco salvo che: soffre di claustrofobia, si mantiene in forma, non ha una compagna e indossa sempre un vecchio orologio raffigurante Topolino). Le vicende sono narrate attraverso vari punti di vista (nessun problema per il lettore) ma il principale resta quello del protagonista che stavolta si risveglia in un ospedale di Firenze ricordando poco e nulla (ma ha delle strane visioni legate alla Divina Commedia di Dante e alla Peste) e come se non bastasse qualcuno sta cercando di ucciderlo. Tutto il romanzo è basato su fughe rocambolesche, inseguimenti incredibili, flashback e continue informazioni di natura storica su quadri, luoghi e personaggi (senza dubbio molto interessanti e ben intrecciate con gli avvenimenti ma a volte tendono ad essere fuori posto e ammetto che il romanzo a volte può dare l'impressione di una guida turistica). Ho apprezzato molto l'idea dell'ambientazione fiorentina (non manca una capatina in qualche altra città) e la simbologia dantesca come motore per dar vita a questo thriller storico dalle tinte apocalittiche. Una lettura coinvolgente soprattutto grazie ai numerosi colpi di scena, il ritmo serrato, la trama lineare, lo stile scorrevole e l'immancabile e misteriosa Langdon's girl. E' anche vero che qualche spunto di riflessione c'è e mi riferisco all'idea che tra Bene e Male ci sia un confine sottile e che forse il Male potrebbe essere una scelta necessaria se servisse per un bene superiore, ma niente di approfondito. In conclusione, i libri di Dan Brown vanno intesi come opere di puro intrattenimento (sinceramente ho passato delle ore davvero piacevoli) e come scusa per (ri)visitare i luoghi menzionati nel libro (Partirei domani per Firenze). Aspetto con trepidazione il prossimo libro.
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