Il miglio verde Il miglio verde

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    01 Febbraio, 2021
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Paul, John, Del, Mr. Jingles: le anime del Miglio

«Certe volte a un uomo prende il bisogno di conoscere una cosa e se ne fa un tormento che è peggio di una maledizione, e così fu per me allora. Mi abbassai su un ginocchio e cominciai a slacciarmi una scarpa.»

Correva l’anno 1996 quando “Il miglio verde” fece la sua prima apparizione quale romanzo a puntate su una rivista per riscuotere un successo inaspettato capace di catapultarlo in un volume unico nell’anno 1997. E non stupisce nemmeno che dal titolo sia stato poi tratto anche un grande adattamento cinematografico estremamente fedele alla parola scritta se non per alcuni piccoli dettagli probabilmente dovuti a esigenze di pubblico.
Due le assi temporali con le quali Paul Edgecombe ricompone la storia. Da un lato conosciamo la sua terza età, lo riscopriamo in una casa di riposo ove è stato ricoverato dai nipoti, dall’altro torniamo con lui a quel 1932 e a quando il suo compito era quello di guidare le guardie del braccio della morte, il blocco E, nel carcere di Cold Mountain e di accompagnare i condannati per quel del Miglio Verde, il loro ultimo cammino da vivi. È una calda estate e Paul è affetto da una maledetta infezione alle vie urinarie che non gli offre tregua alcuna. Mentre il dolore ne attanaglia la lucidità sopraggiunge un nuovo detenuto nel luogo di detenzione, un uomo che subito spicca per il suo colore della pelle non bianco e per la sua mole enorme: John Coffey. Quest’ultimo è accusato di un efferato omicidio post violenza sessuale a danno di due bambine sorelle di nove anni. La colpa ricade immediatamente su di lui perché viene rinvenuto nello stringere i loro deturpati corpi privi di alito di vita e in preda a una crisi isterica. L’unica cosa che riesce a dire è di aver provato a rimediare ma senza successo. Affermazione, quest’ultima, che conferma ancor più la sua colpevolezza agli occhi dei sopraggiunti. Ma siamo davvero certi che sia lui l’artefice del duplice omicidio e del doppio stupro? Molti sono i dettagli che iniziano sempre più a non combaciare con la ricostruzione del fatto nonché le misteriose capacità delle quali egli è capace. Tra i detenuti del braccio in quei giorni spicca Delacroix, detto Del, che farà amicizia con il delizioso Mr Jingles, Wharton che nulla teme perché più che la sedia niente può essergli fatto e una guardia, Percy, per niente rassicurante con il suo fregiarsi di alte amicizie e i suoi comportamenti malvagi e schizofrenici.
Le vicende proseguiranno all’interno del carcere in modo regolare, i lassi temporali si altereranno con perfetta sintonia e piano piano la storia prenderà sempre più forma e sempre più carattere.

«La vita reale costa di più e la maggior parte delle risposte che ti dà sono diverse.»

All’interno dell’opera tante sono le tematiche che vengono affrontare con grande asciuttezza e meticolosità da King. Si parla tanto di bullismo quanto di misticismo quanto di giustizia e corresponsione proporzionale della pena in particolare relativamente alla pena di morte che al tempo del libro e all’interno della sua storia esisteva e veniva praticata con la formula della sedia elettrica. E sono tante, in tal senso, le scene riportate che suscitano riflessione e sono capaci di agghiacciare il lettore. Sia quelle antecedenti all’esecuzione con le prove “tecniche” che quelle successive, sia quelle relative a queste anime che hanno compiuto gesti efferati ma che non riescono a vedersi dall’interno in quel male mietuto e che vengono per questo osservate in modo completamente diverso dalle guardie che le riscoprono nel non crimine. Si parla ancora di proporzione della pena, ci si interroga sul quanto sia corretta la pena capitale soprattutto quando il rischio di condannare un innocente è alto e anche quando il vero reo rischia di essere ricoverato in una cella limitrofa.
Oltre alle problematiche che vengono affrontante in questo scritto altro suo elemento peculiare è lo stile narrativo che si presenta al lettore con grande lucidità, non tanto per erudizione quanto per capacità evocativa. La scrittura di King è in queste pagine ancora più una sceneggiatura che di norma e questo la rende vivida. Ogni scena è impressa nella mente del lettore ma è anche resa in modo chiaro quasi come se fosse dipinta immagine per immagine.
Un titolo che tocca il cuore, che incuriosisce anche se si è visto il film, che solletica la curiosità. Da leggere per riflettere.

«Il fatto semplice è che il mondo gira. Puoi sederti e girare con il mondo o puoi alzarti in piedi per protestare e venire catapultato fuori.»

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martaquick Opinione inserita da martaquick    27 Dicembre, 2020
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LA STORIA DI JOHN COFFEY

Leggere Il Miglio verde per me non è stato da subito amore come per altri romanzi di King, e la motivazione ce l’ho avuta subito chiara, ho sentito davvero tanto il fatto che il romanzo inizialmente fosse stato scritto a puntate.
Personalmente non amo i racconti in generale e secondo me questo romanzo, seppur successivamente unificato, risente lo stesso nella lettura di alcune ridondanze che si trovano nei racconti seriali, che vogliono dare dei piccoli riepiloghi al lettore.
Detto questo la storia della prigione di Cold Montain, la tragedia della condanna a morte del gigante Jon Coffey sicuramente mi sono piaciuti al di là di tutto il resto.
La storia è nota a tutti ma oltre alla trama principale ci sono delle piccole sotto trame che funzionano particolarmente e tengono il lettore pieno di curiosità in entrambi i fronti.
Il Paul Edgecombe giovane a capo della prigione è un uomo forte, sensibile a modo suo e con una coscienza pulita sebbene il lavoro che ha scelto di fare.
Accompagnare i detenuti che sono stati condannati per i loro crimini è un compito pesante, ti consuma l’anima ma Paul lo fa con la massima “delicatezza” che può esserci in un lavoro del genere.
Il Paul anziano, colui che narra la storia, è un uomo più debole ma ancora di lucido e sveglio di mente, rinchiuso in un’ospizio ma con un piccolo segreto.
Di sicuro non posso dire che è il mio King preferito ma ho trovato la storia toccante e leggermente da brivido, con questa sottile lotta tra bene e male che non può mai mancare nei suoi romanzi.

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Anna_Reads Opinione inserita da Anna_Reads    17 Dicembre, 2017
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Distruggere ciò che non si sa creare.

Il Miglio Verde - Stephen King, 1996

(Lieve Spoiler)
Uscito a puntate come “storia da letto” nel 1996 e poi in volume unico l’anno successivo “Il Miglio Verde” è il romanzo di King – per ora – che mi ha fatto più paura.
Una paura fredda e gelida, molto lontana dal sangue e dai mostri a cui siamo abituati.
Una paura “a freddo”.
C’è l’isolamento, c’è il male stupido, meschino e banale, c’è una figura enorme e quasi muta, goffa e salvifica che nella migliore tradizione umana viene sacrificata e c’è un male “grosso” crudele e quasi demoniaco, che però, alla fine è meno spaventoso di quello piccolo e meschino di cui sopra. Forse perché è associato alla follia, ma i Percy i Brad, le miss Ratched (impossibile non pensare a “Qualcuno volò sul nido del cuculo di Kesey), i “Re della montagna di merda”, fanno più paura dei Billy Wharton, che, in fondo, sono solo folli e turpi assassini e stupratori. Nello stesso modo in cui gli stupidi fanno molta più paura dei cattivi.

Il racconto è portato avanti su due piani temporali da Paul Edgecombe. Anziano vecchietto (ma solo alla fine scopriremo quanto – e perché così – anziano) “ospite” in una casa di riposo che scrive il suo passato e in particolare una storia avvenuta nel 1932, quando era capo delle guardie del braccio della morte - il Blocco E - nel carcere di Cold Mountain.
La vicenda si apre con l’arrivo di John Coffey (“come il caffè, solo che non si scrive alla stessa maniera”) un enorme uomo di colore, taciturno e forse un po’ ritardato, colpevole dello stupro e dell’omicidio di due bambine di nove anni.
Non mancano i casi raccapriccianti nel Blocco E, ma questa storia è davvero terribile. John Coffey, però, appare come un detenuto modello, silenzioso, tranquillo, con un’infantile paura del buio. Nel Braccio, in attesa di “Old Sparky” (“la vecchia scintillante”, ovvero la sedia elettrica), ci sono anche Delacroix, detto Del, “Capo”, “Presidente” e i carcerieri, Paul, il fedele Brute (detto Brutal, probabilmente il mio personaggio preferito, come tutti quelli di poco slancio, ma concreto buonsenso), Harry, Eddie e il nuovo arrivo, Percy.
Con questa copiosa messe di turpi assassini, il personaggio di gran lunga peggiore è Percy.
Per molti aspetti “Il Miglio Verde” è una storia di bullismo e di banalità del male. Di individui meschini e limitati che scaricano la mediocrità di cui sono vagamente consapevoli sui i loro sventurati sottoposti. Percy prova piacere a tormentare i detenuti e si accanirà in particolare su Del e sul topolino che è riuscito ad addomesticare nelle sue ultime giornate. Proprio grazie a questo topino (e complice un’infezione urinaria di Paul) scopriamo lo straordinario potere di John Coffey: l’uomo è in grado di “assorbire” malattie e traumi dagli altri e disperderli, curando i malati.
Paul comincia ad avere dubbi sulla colpevolezza di John, dubbi che poi troveranno conferma nella scoperta del vero colpevole, Billy Wharton, folle e violento assassino appena giunto al Blocco E, condannato per un altro delitto.
Ahimè la scoperta della verità non potrà cambiare le cose e la vita scorrerà in attesa della morte stabilita per tutti.
Raccontare il come questa morte è stata stabilita è la grandezza di King in questo romanzo.
Il freddo e paradossale cerimoniale delle esecuzioni capitali.
De Andrè cantava il “girotondo intorno al letto di un moribondo” qui il girotondo è intorno a qualcuno che verrà messo a morte senza essere moribondo. Con una ritualità precisa – che va “provata” – con una parte specifica per ognuno, con una coreografia che deve muoversi perfettamente e in sincrono. Come un balletto.
Chi ha visto il film (e non stento a crederlo, perché anche le pagine sono sconvolgenti) descrive come particolarmente spaventosa l’esecuzione di Delacroix (Percy, per vendicarsi, manomette la sedia elettrica in modo che il condannato abbia un’agonia lenta e dolorosa e che – di fatto – finisca lentamente e letteralmente cotto vivo). Io però ho avuto davvero paura e orrore per la scena del giorno prima: quando viene “provata” la morte di Del. Mentre alcune guardie distraggono il detenuto ed assistono ai giochi del suo topino ("Un sorriso gli illuminò il volto, così subitaneo e semplice nella sua felicità che provai una piccola fitta al cuore per lui, a dispetto del crimine orrendo di cui era responsabile. Che razza di mondo è quello in cui viviamo, che razza di mondo!") le altre “provano”: la passeggiata, le dichiarazioni, le implorazioni, l’arrivo da Old Sparky, il sistemarsi sulla sedia, bloccare braccia e gambe etc. Con un protagonista ormai specializzato nell’interpretare il condannato "Mai il vecchio Toot era così vivo come quando faceva il morto." Ecco, queste pagine, più di tutte quelle in cui King racconta la vecchiaia, la magia (pericolosa) della scrittura, l’amore, l’amicizia, la follia, la brutalità, sono in assoluto – per ora – le più spaventose, raggelanti e raccapriccianti della mia carriera di lettore. Stanno a pari (a livello visivo) solo con la vecchina con l’orologio senza lancette ne “Il Posto delle Fragole” di Ingmar Bergam.


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Ken Kesey "Qualcuno volò sul nido del cuculo".
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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    03 Ottobre, 2017
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Cronaca di un'esecuzione annunciata

Se questo fosse un fumetto di supereroi, il gigantesco John Coffey con i suoi misteriosi poteri sarebbe di certo il coraggioso eroe protagonista, pronto a salvare gli indifesi abitanti di una metropoli. “Il miglio verde” è invece un romanzo in grado di raccontare il lato peggiore dell’umanità, e di trasformare un potenziale eroe in un essere tormentato non solo da coloro che tenta di aiutare, ma anche dalle sue stesse abilità.
L’ambientazione da sola conferisce alla storia un’atmosfera cupa e angosciante: siamo in un penitenziario statunitense negli anni ’30, per la precisione nell’ala destinata ai prigionieri in attesa della pena capitale. L’autore gioca sulla continua tensione dal momento che tra i protagonisti ci sono appunto alcuni condannati a morte, e per il loro destino non ci sono più garanzie che per quello delle guardie di sorveglianza. Tra queste troviamo la voce narrante degli eventi, il capocerbero Paul Edgecombe che, una volta anziano decide di raccontare la storia di uno straordinario detenuto, ossia proprio il gigante John Coffey.
La vicenda si svolge quindi su due piani temporali: da un lato troviamo Paul nella casa di riposo, deciso dopo molti anni a mettere nero su bianco gli incredibili eventi avvenuti nel penitenziario nell’autunno 1932; dall’altro lato abbiamo un Paul decisamente più giovane che, affiancato da un affiatato gruppo di fedeli guardi (nonché fidati amici), si impegna ad accompagnare nel modo migliore i condannati verso Old Sparky, come viene affettuosamente chiamata la sedia elettrica.
La trama si focalizza in special modo sulla detenzione di Del un vecchio cajun che riesce ad ammaestrare il topo noto come signor Jingles, Wharton un emule di Billy the Kid folle e privo di rimorsi, e il già menzionato Coffey. Sebbene tutti gli eventi siano narrati dal punto di vista di Paul, a mio avviso è John Coffey il vero protagonista, pur con la sua silenziosa presenza.
Sebbene presentino in molti casi degli atteggiamenti peculiari, tutti i personaggi risultano credibili e ridimensionabili. King riesce a mantenere sempre la verosimiglianza dei personaggi, in particolare quando delinea la figura dell’anziano Paul e il suo caratteristico ripetersi creando un po’ di confusione nella time-line; nonostante ciò, l’ex guardia riesce a mantenersi lucido anche mentre racconta scene a dir poco sovrannaturali, capaci di far perdere il lume della ragione a chiunque.
Nella commovente parte finale, King concede al lettore una rapida occhiata al destino dei personaggi, e da’ nuovamente prova della sua abilità nel genere thriller con alcuni colpi di scena da maestro.
Tra i personaggi è però d’obbligo annoverare anche il signor Jingles e Old Sparky; seppur non siano delle persone in senso stretto, Paul parla di loro con tanto affetto e tanta umanità da creare l’illusione che possano esserlo, anche perché viene concesso ad entrambi molto spazio nella storia, a volte con capitoli interamente dedicati.
La particolare struttura del romanzo ha una sua storia (ben illustrata dallo stesso King nell’introduzione) e deriva dai grandi classici ottocenteschi che venivano pubblicati in modo frammentario, su riviste od opuscoli; all’epoca della prima edizioni, “Il miglio verde” venne appunto diviso in sei parti, ognuna con un piccolo cliffhanger finale.
Questa scelta, che ha le sue origini in particolare nei capolavori di Dickens (citato non a caso nel romanzo), compromette però la lettura una volta unificato il volume: il riepilogo di Paul all’inizio di ogni parte è utile per una lettura spezzettata, ma non per una continuata, dove risulta quasi pedante. Inoltre nella prima parte non è presente alcuna suspense sul finale e il tutto risulta essere quasi una lunga introduzione.
Ottimi i brevi extra in cui King parla dell’ispirazione per il romanzo e di alcuni delle scelte narrative: da leggere assolutamente.

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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    16 Agosto, 2017
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A volte il miglio verde è così lungo...

Stephen King è un autore straordinario e se tornasse ai fasti di quel tempo in cui scrisse questo capolavoro che è "Il miglio verde", avrebbe tante altre perle meravigliose da regalarci.
"Il miglio verde" (che ha avuto un adattamento cinematografico di assoluto successo con Tom Hanks come protagonista) è stato per lo scrittore una specie di esperimento letterario, un tentativo di ritorno all'epoca dickensiana, in cui le storie venivano pubblicate spesso e volentieri sulle riviste, a puntate. Beh, non so dirvi quanto l'esperimento sia andato a buon fine sotto l'aspetto delle vendite, ma il tomo che ne è stato generato è un vero e proprio capolavoro. Scorrevole, profondo e avvincente anche se, ahinoi, profondamente triste. Inadatto ai cuori deboli, ma assolutamente da leggere per chi avrà la forza di reggere le sfaccettature di cruda realtà che ci pone davanti.

Paul Edgecombe è il capo delle guardie del cosiddetto Miglio Verde, il corridoio che dalle celle dei condannati a morte porta al destino che li attende: la sedia elettrica, meglio conosciuta come Old Sparky. Sarà lui il nostro narratore, facendoci fare la conoscenza di personaggi variegati e interessantissimi, a partire dalle guardie del penitenziario, tra i quali Percy Wetmore, personaggio tra i più negativi e odiosi del panorama letterario. Faremo la conoscenza del piccolo topolino Mr. Jingles, che diventerà compagno inseparabile di uno dei detenuti, Delacroix, formando la coppia che, almeno io, ho amato di più. Ma l'uomo che è il fulcro di questa storia e che cambierà le vite di tutti è solo uno: John Coffey.
John è un grosso uomo di colore accusato dello stupro e dell'omicidio di due bambine, ritrovato a sbraitare e piangere disperatamente coi loro corpi insanguinati tra le mani. Ci vuole poco a condannare a morte un uomo del genere, in queste condizioni. Ma John Coffey presto mostrerà di possedere un dono particolare, che farà crollare le certezze di tutti, e la sua mansuetudine non farà altro che accentuarne l'intensità.
"Il miglio verde" per il lettore è un vero e proprio viaggio tra le menti dei protagonisti, un pentolone di riflessioni ed emozioni così intense da lasciare scossi e a bocca aperta. Riflessioni sulla vita, sulla morte, sul pentimento, la colpa. Quando tra il lettore e i personaggi si creano legami profondi come tra queste pagine, è difficile che queste non nascondano un libro meraviglioso. Ho sempre avuto un debole per le storie che regalano emozioni intense, positive o negative che siano, ma credo che sia così un po' per tutti i lettori.
E allora, cosa state aspettando per leggere uno dei più grandi capolavori del Re?

"La prima mattina passò e il primo pomeriggio, poi il primo turno di lavoro. Il tempo si prende tutto, il tempo lo porta via, e alla fine c'è solo oscurità. Talvolta incontriamo altri in quell'oscurità e talvolta li perdiamo di nuovo là dentro. E' tutto quello che so, salvo che tutto questo avvenne nel 1932, quando il penitenziario statale era ancora a Cold Mountain. E anche la sedia elettrica, naturalmente."

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the boy who read Opinione inserita da the boy who read    23 Settembre, 2016
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IL MIGLIOR KING

Ah... il miglio verde, che dire di questo libro che a mio parere, fra qualche anno sarà annoverato tra i classici. Insomma forse lo dico perchè sono pazzo o forse perchè, con il senno di poi, questo libro riesce a navigare tra numerose tematiche senza comunque tralasciare la caratterizzazione di ogni singolo personaggio..... persino il topo è caratterizzato divinamente.
Partiamo con ordine; ci troviamo ad ascoltare anzi a leggere le vicissitudini accadute nel lontano 1932 al capo carcerario Paul Edgecombe. Tutto ciò che ci viene raccontato esce fuori dalla penna dello stesso Edgcombe che 60 anni dopo decide di aprire lo scrigno dei ricordi e di trascrivere tutto ciò che rese speciale quell'anno.
Allora ci ritroviamo catapultati a cavallo tra le 2 guerre mondiali e anche se King non fa un minimo accenno a tutto ciò , si riesce comunque a sentire una certa pressione agire sui nostri protagonisti. Tale pressione all'inizio è solo una piccola scintilla nell'oscurità ma man mano che la storia si snoda tra flashback e flashforwards tale pressione aumenta. Forse tutto ciò è una mia impressione ma sapete com'è la lettura di un libro regala emozioni contrastanti ai lettori. Comunque si narrano le vicende successe nel carcere di Cold Mountain e più precisamente nel blocco E, il cosidetto braccio della morte ove si trova Il miglio verde(semplice linoleum che ha il colore di un lime andato a male).
Ora in questo braccio della morte vediamo succedersi alcuni tra i personaggi meglio riusciti a King, tra cui spiccano le figure di Coffey e Bill Warthon. Non ho scelto a caso questi 2 personaggi, perchè essi sono agli antipodi e King li ha usati come simbolo( a mio parere) del bene e del male, di Dio e di Satana..... insomma avete capito. Comunque il primo si rivela essere la incarnazione della purezza, della fragilità e della speranza. Si, è la speranza ciò che Coffey incarna meglio per varie azioni che non sto a raccontarvi per non rovinarvi il libro, comunque durante tutta la durata del libro lui viene definito come opera di Dio. Piccola digressione: io da ateo non riesco a sopportare la trattazione di temi religiosi nei libri ma King lo fa in un modo tale da rendere la questione meno teologica possibile.
Ora tornando ad analizzare i 2 personaggi vorrei soffermarmi su Bill Wharton, che esemplifica il male, esemplifica gli effetti del razzismo sulla società(riflettete bene su questo punto), esemplifica il periodo in cui vivono...ovvero un periodo non solo aggravato dalle guerre ma anche da una crisi economica che incombe su tutta la società e special modo coloro che ne sono ai margini...ovvero gli afroamericani.....Magistrale non c'è che dire.
Ora analizzerò lo stile che a mio modo di dire è degno di IT ovvero il capolavoro stilistico di King, ma non solo in alcune parti questo libro gli è superiore e questo è tutto dire. L'uso del narratore onniscente è una scelta stilisticamente perfetta a dir poco ineccepibile.
Ora per concludere vorrei sottolineare il fatto di come la storia si svolga in 2 luoghi solamente eppure il ciò non risulta opprimente anzi è un punto a favore del libro.
Questo libro è un'esperienza unica e come tale lo consiglio vivamente

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MatteoADP10 Opinione inserita da MatteoADP10    28 Luglio, 2014
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NOI CI SIAMO STATI

Capolavoro assoluto sfornato, manco a dirlo, dal solito Stephen King. Sorprende l'idea che al momento del concepimento di quest'opera, pare che King non credesse molto nelle potenzialità di questa storia, pubblicata in più parti a mo' di serie e giudicato inadatto per essere proposto fin da subito sul mercato.

La verità è che Il miglio verde è ancora una volta diverso dai romanzi che di solito siamo abituati a leggere del maestro. King decide di cambiare registro e ci trasporta all'interno di un carcere, in prossimità di un braccio della morte. Difficile non provare sensazioni diverse fin dalla prima pagina: disgusto, orrore, indignazione, terrore, inquietudine: l'ambientazione è già da brivido. Ma non è tutto, signori miei, no, non è tutto. King piazza sulla scacchiera secondini bastardi, altri piacevoli, un protagonista(per capirci, il tizio interpretato da Tom Hanks nel film omonimo) che ci appare rassicurante e solerte e uno ... showstealer. Uno showstealer come John Coffey, signori. Un uomo di colore altissimo, un omaccione che potrebbe mangiare montagne a colazione e pianeti a pranzo. Ma anche un uomo sensibile, che ha paura del buio, che piange in solitario, che instaura un rapporto ambiguo con il protagonista. Poi King piazza un mistero: l'omicidio di due bambine. Coffey è davvero colpevole?

Come scritto nell'apertura, si tratta di un romanzo che dà molteplici sensazioni e che dunque svolge il proprio lavoro. King mescola elementi che si adeguano alla vita quotidiana con elementi mistici, soprannaturali, quasi fantastici, oserei dire. Ed è così che assistiamo a fasci di luce, sguardi penetranti che sanno di mostro, descrizioni accurate che ci fanno comprendere fin dalla prima pagina che no, Coffey non è un detenuto come tutti gli altri. Coffey non è chi dice di essere. Coffey non è l'uomo che il braccio della morte desidera.

Ci troviamo di fronte ad un capolavoro, sia dal punto di vista stilistico(per me uno dei migliori King), sia da uno puramente contenutistico. Ho apprezzato molto l'analisi psicologica di tutti i personaggi, a mio avviso creata così bene da permetterti quasi di provare a ricostruire le loro vite a ritroso. King sa quello che vuole fare: stupire, sorprendere, incutere timore reverenziale. E lo fa. Lo fa con una semplicità disarmante e spassionata, con un velo drammatico e triste. E quando chiudi il libro, pensi: "Ma è davvero un libro di Stephen King?". Te lo rigiri tra le mani, guardi la copertina e sospiri: "Sì, è suo", pensi richiudendolo in un cassetto. Ma il libro urla. Vuole essere riletto. Ora tocca a te, te la senti di precipitare nell'incubo ... ancora?

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Opinione inserita da Forack    12 Novembre, 2013

Non solo horror

Ho letto questo libro la prima volta 3 anni fa, attirato a questa lettura dalla visione del film. Non avevo mai letto un libro del Re prima di questo e confesso che ero partito prevenuto, conoscendolo solo per la fama di scrittore dell'orrore, e la sorpresa che provai nel leggere un romanzo che di elementi tipicamente 'horror' non ne contiene praticamente nessuno fu enorme.
Dopo Il Miglio Verde iniziai ad appassionarmi a questo autore, scoprendone anche i lati 'horror' per cui è (giustamente) tanto famoso, e oggi, avendolo riletto altre 2 volte, lo reputo uno dei suoi lavori più riusciti.
Il metodo con cui è stato scritto questo romanzo (uscito inizialmente a puntate, poi riadattato anche in un unico volume) si combina benissimo con la storia, offrendo al lettore dei 'punti di uscita' dal vortice drammatico di eventi che si susseguono nella narrazione, intervallando a questi la storia della casa di riposo, contrapponendo la gravità e il peso degli eventi del carcere alla quotidianità della vita di un anziano all'apparenza come tanti.
Lo stile di King, come ho avuto modo di scoprire in seguito, è unico al mondo, ed è per me di una potenza inimmaginabile, sia nelle sequenze prettamente narrative, sia nelle descrizioni (che, è vero, a volte appaiono interminabili e noiose, ma sono talmente curate e precise da risultare anch'esse affascinanti), sia (soprattutto) nelle conversazioni, con le quali l'autore catapulta il lettore dentro il libro.

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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    23 Settembre, 2013
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The Green Mile

Questo testo inizialmente era nato come romanzo a puntate, successivamente fu ristampato in volume unico.
Prima di leggere il libro avevo visto il film dove il ruolo di protagonista principale viene interpretato da Tom Hanks.
La storia è interamente narrata da Paul Edgecombe, il protagonista principale che lavorava come capo delle guardie nel braccio della morte del celeberrimo carcere di Cold Mountain.
Paul decide di scrivere questa storia dall’ospizio ricordando la sua gioventù in questo luogo pieno di morte ed anche molte ingiustizie.
La narrazione parte quando in questo penitenziario hanno appena giustiziato due criminali ed arriva un nuovo assassino francese di nome Delacroix. Quest’ultimo verrà preso di mira da una delle guardie, la quale farà di tutto per rendergli la vita impossibile.
Il prigioniero che ha destato più interesse in me è stato John Coffey, un tipo apparentemente molto calmo ed innocuo anche se la sua mole è a dir poco normale.
Questo uomo però è accusato dello stupro e dell’omicidio di due bambine ed inoltre possiede dei poteri paranormali.

È un libro davvero molto bello, ricco di emozioni forti ed anche di qualche momento un po’ macabro, ma d’altronde l’ambientazione richiama perfettamente questo tipo di scenari.
L’autore è riuscito ad unire i tratti di una storia verosimile con qualcosa di fantastico e davvero particolare.
Questo testo è riuscito a toccarmi il cuore e far capire che l’aspetto non è quello che può farci decidere se una persona è buona oppure no anche se i fatti la giudicano male.
Inoltre devo dire che il film tratto da questo libro è stato fatto davvero molto bene e rispecchia quasi alla perfezione quello che viene narrato nel testo.

Ogni altro commento è a dir poco superfluo per cui vi incito a leggerlo perché ne vale proprio la pena.

Buona lettura!

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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    22 Settembre, 2013
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John Coffey era un gigante

No, non ho visto il film, ma quando sono arrivata alle ultime pagine ho aperto youtube per spiare i volti cinematografici dei personaggi di questo splendido dramma di amore, morte, ingiustizia e prigionia. John Coffey era perfetto.

King e Philip Dick, il grande autore di fantascienza, hanno qualcosa in comune: il talento nel creare personaggi fantastici più umani dell’umano. John Coffey, l’enorme guaritore nero e candido, mi ricorda un personaggio di un racconto di Dick, che non pensava perché non ne aveva bisogno: i suoi occhi vedevano il futuro, cose che noi ovviamente non possiamo immaginare. Coffey pensa poco e non riesce nemmeno ad allacciarsi le scarpe perché non soltanto sente, vede e legge il dolore e la malattia degli uomini, ma riesce ad assorbire queste orribili scorie come una spugna.

Coffey è un guaritore, un dono di un Dio, un angelo innocente: per questo l’hanno rinchiuso nel braccio della morte. Passa il suo tempo a piangere, non per la condannae, la morte è ciò che vuole, ma perché il suo dono straordinario lo costringe a sentire non soltanto il dolore, ma anche la cattiveria degli uomini e l’ingiustizia della condizione umana. Come l’occhio alieno, la visione dell’angelo guaritore è rivelatrice, desolante, spaventosa. Sì, esiste l’amore, ma i cattivi lo usano per uccidere e torturare gli innocenti.
“È così che va tutti i giorni. In tutto il mondo.”

Il dono di Dio muore nel novembre 1932 tra le braccia di Old Sparky, una vecchia sedia elettrica dal nomignolo terrificante e bonario. Intorno a lui e alla voce narrante vaga una girandola di personaggi che incarnano l’umanità di ogni tempo e l’America razzista e afflitta dalla crisi di quegli anni. Ma oltre il dolore e la cattiveria, l’affresco di King lascia spazio anche alla speranza, ai miracoli, alle piccole gioie incarnate da uno dei suoi personaggi più grandiosi: il signor Jingles, topolino giocoliere che ammaestra gli uomini e, anche se finisce sotto gli stivali del cattivo di turno, riesce a risorgere dalla morte zoppicante, ma con la stessa voglia di correre dietro al suo rocchetto.

Il ritmo, scandito dai rimandi dickensiani della narrazione a puntate, avvince come un valzer, scandito da ritorni e sorprese. Il protagonista ha superato il secolo di età per raccontare fino in fondo una storia che non poteva rimanere nascosta. La pena di morte è assurda, ma il miglio verde aspetta tutti noi, quindi è meglio aiutarci a vicenda, ad alzarci e a proseguire il cammino.

“Fragili come vetro siamo noi, anche nelle condizioni migliori. Ammazzarci l’un l’altro con il gas e l’elettricità e a sangue freddo? Che follia. Che orrore.”

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Christy Unbuonlibro Opinione inserita da Christy Unbuonlibro    17 Luglio, 2013
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Un capolavoro

E' davvero difficile fare una discreta recensione di questo libro, non perché è orribile, anzi... perché è troppo straordinario, troppo bello, troppo emozionante.
Chiunque ha già visto il film (che a mio parere, è ben fatto e si avvicina davvero molto al libro), sa che questa è una storia davvero commovente, che riesce a prenderti dentro, nel profondo. Ogni volta che guardo il film piango, anche se lo conosco a memoria. Con il libro, ho riprovato tutte le medesime sensazioni.


La storia del miglio verde, nasce come serie di racconti, pubblicati settimanalmente. Stephen King sceglie questo metodo di pubblicazione, per invogliare i lettori, per aumentare la loro curiosità. Inizialmente non crede che il suo racconto possa avere successo, infatti spesso la sua idea viene accantonata per scrivere altri libri. Ci sta un bel po' di anni a concludere la storia, ma penso che il risultato sia più che ottimo.
La storia, ambientata negli anni '20, vede come protagonista un poliziotto, Paul Edgecombe a capo del penitenziario Cold Mountain. Ogni giorno ha a che fare con uomini rinchiusi per omicidio e che si stanno preparando per affrontare il loro ultimo “viaggio”, per arrivare alla sedia elettrica, Old Sparky (così la chiamano). Ma un giorno, arriva John Coffey al penitenziario, l'uomo più grosso, più nero e più strano che abbiate mai visto. Perché fa uno strano effetto agli occhi del protagonista?
Conosceremo numerosi personaggi, con tante storie diverse alle spalle. All'interno del penitenziario non mancheranno le amicizie. La superbia di alcuni protagonisti porterà ad un triste finale.
La storia è raccontata in prima persona, è una specie di flashback. Infatti, Paul (interpretato da Tom Hanks nel film), ormai anziano e rinchiuso in una casa di riposo, racconta la sua storia, degli anni passati al Miglio Verde.


Non voglio accennarvi nient altro, anche perché chi conosce il film sa già tutto. Penso sia più importante parlarvi del libro, piuttosto della storia.
Non chiedetemi come scrive Stephen King, perché non saprei commentare, dire che riesce a catturare l'attenzione del lettore è poco. Riesce a dettagliare qualsiasi cosa, rendendola nitida alla mente. Non rende assolutamente la lettura noiosa, tutt'altro. Usa una scrittura chiara e lineare.
Il miglio verde è davvero un librone, ma leggendolo passano velocissime le pagine, senza che te ne rendi conto. Sono circa 550 pagine, ma riuscirete a leggerlo davvero in poco tempo. Ti ritrovi alla fine, svuotata. Questa storia, riesce a farti provare tutti i tipi di emozioni: felicità, divertimento, suspance, terrore, odio e purtroppo, sofferenza.

Lo consiglierei 40000 volte. Ovviamente a dei lettori più maturi e soprattutto agli amanti dei thriller. Non potete perdervi una lettura come questa!
Era il primo libro di King che leggevo e penso proprio di voler leggere qualche altro suo libro.

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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    14 Giugno, 2013
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Commento acronimo

Inauguro oggi un esperimento: il commento-acronimo. Ogni paragrafo inizia con le lettere, in sequenza, del titolo del romanzo commentato.

I
Il “mago del brivido”, Stephen King, ci fa riflettere sulla pena di morte.

L
Lo fa in un’opera concepita pensando a un precedente letterario (“Dickens aveva pubblicato molti dei suoi romanzi a puntate, o su inserti di riviste o indipendentemente sotto forma di dispense”) e accogliendo un suggerimento (“Un esperimento del genere potrebbe essere un’avventura interessante per uno scrittore come Stephen King”): le puntate pubblicate sono state poi raccolte nel tomo “Il miglio verde”.

M
Miglio verde è “l’ampio corridoio che percorreva al centro tutto il blocco E”; “era rivestito di linoleum del colore della buccia di un vecchio lime appassito, perciò quello che nelle altre carceri veniva chiamato ‘l’ultimo miglio’, a Cold Mountain si chiamava il miglio verde”

I
Il malinconico narratore è Paul Edgecombe (“Sono il soprintendente del blocco E, cioè il capo degli agenti di custodia”), “vecchia cariatide” ormai ospite in una clinica per anziani, dove verga le sue memorie: “La casa di riposo … si chiama Georgia Pines. E’ a una sessantina di miglia da Atlanta e … duecento anni luce dalla vita come la vive la maggior parte delle persone”; le gesta dei suoi ex collaboratori animano la memoria: “… c’erano quattro o cinque guardie in servizio per ogni turno, ma molti di loro erano stagionali. Dean Stanton, Harry Terwilliger e Brutus Howell (i ragazzi lo chiamavano Brutal…)” e Percy Wetmore, il cattivo, con “la luce di crudele divertimento che gli brillava negli occhi.”

G
“Gli avvenimenti risalgono al 1932, quando il penitenziario di stato si trovava ancora a Cold Mountain. E là c’era naturalmente la sedia elettrica.”

L
“La chiamavano Old Sparky, come dire la Scintillante, o Big Juicy, la Scaricona”; naturalmente – pur in modo scherzosamente macabro - stiamo parlando di lei: la sedia elettrica.

I
I detenuti nel braccio della morte, dei quali vengono celebrati gli atti sino all’esecuzione, sono un capo indiano, lo pseudo-francese Delacroix con il suo topolino ammaestrato (il signor Jingles), l’enorme nero John Coffey, che sembra avere poteri di guaritore ma è accusato di un orrendo duplice omicidio, e William Wharton (“gli piaceva credersi Billy The Kid”; era “un animale astuto e crudele …” e minacciava: “Prima che me ne vada farò della vostra vita un inferno”)

O
Orrore: lo ritroviamo non soltanto nei delitti 'da pena di morte' e nella cronaca delle esecuzioni capitali (“… ho dovuto ricorrere alla manovella. Credo sia perché ero arrivato all’esecuzione di Delacroix e qualcosa dentro di me si rifiutava di riviverla”), ma anche nella descrizione delle malattie che affliggono prima Paul (“… l’inguine, dove la sensazione era che qualcuno mi avesse prima squarciato, poi riempito di tizzoni ardenti e infine ricucito con ago e filo”) e poi la moglie del capo di Paul (che ha un tumore al cervello).

V
“Voce sorda e quegli occhi strani, quegli occhi che in superficie grondavano lacrime sofferenti, ma che dietro erano distanti e misteriosamente sereni”: possibile che John Coffey si sia macchiato di un reato tanto abietto?

E
E allora, se John era innocente, “stavamo per giustiziarlo per il crimine commesso da un altro”?

R
Re della tensione, si riconferma Stephen King.

D
Dimostra di saper coniugare brividi ed emozioni.

E
E obbliga il lettore a riflettere: “Old Sparky mi appare un tale ordigno di perversità … una così micidiale invenzione della follia. Fragili come vetro soffiato, siamo noi, anche nelle migliori condizioni. Ammazzarci l’un l’altro con il gas e l’elettricità e a sangue freddo? Che follia. Che orrore.”
Se lo dice lui, che ne è sovrano e mago!

Bruno Elpis

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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    14 Gennaio, 2013
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Il miglio verde

Sono partito un po' prevenuto nei confronti di questo scrittore pensando che per vendere tante copie dovesse scrivere per forza cose che assecondassero un po' troppo il gusto del pubblico. Mi sono dovuto ricredere. Il libro parte male e sono stato sul punto diverse volte di metterlo via. Stile zoppicante, alcune frasi interrotte in modo fastidioso. Poi ho capito che era una cosa voluta per rendere meglio l'idea che a scrivere era la guardia carceraria e non S. King. In ogni caso la guardia impara il mestiere velocemente, lo stile migliora quasi subito e la trama si fa avvincente.
Io avrei evitato le parti più macabre, certe descrizioni mi sembrano delle cadute di stile ma forse è perché danno fastidio a me. Certi passaggi, il finale ad esempio, sono veramente notevoli. Purtroppo non potrò approfondire la conoscenza con lo scrittore perché l'horror non fa per me.

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amedh74 Opinione inserita da amedh74    22 Mag, 2012
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il mio libro preferito

Inutile negarlo con me Stephen King sfonda sempre una porta aperta.
Solo lui è in grado di farmi divorare più di 600 pagine in meno di una settimana, farle scorrere come acqua, una dietro l’altra, senza percepire affaticamento nella lettura o noia (o fame o sonno, se è per questo). Il Miglio Verde non è altro che una grande conferma. Un grande classico moderno, un successo datato 1996 ma appuntamento assolutamente da non mancare per chiunque voglia considerarsi un appassionato Kinghiano ma anche per chi desidera una storia delicata e cruda allo stesso tempo, narrata con maestria incomparabile.
La storia è abbastanza nota, anche grazie all'altrettanto famoso film con Tom Hanks nei panni del protagonista e narratore.
La storia narra di un periodo piuttosto breve, qualche mese, all’interno del braccio della morte di un penitenziario del Maine negli anni ’20 ed in particolare la vicenda degli ultimi mesi di vita di una creatura tanto straordinaria quanto fragile, che, proprio a causa della sua incapacità di difendersi e del generale razzismo imperante dell’epoca, è stato incompreso nelle sue azioni ed è stato condannato alla sedia elettrica.
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, Il Miglio Verde non è mai angosciante o claustrofobico, permeato dal senso di morte incombente. Attraverso il magistrale stile del Re, il lettore non può che percepire una calma ed una pacatezza che dà a tutta la narrazione una connotazione sognante, onirica, favolistica, rendendo anche i dettagli e le scene più incredibili pazzescamente possibili.
Come l’autore ci ha ben abituati, il fiore all’occhiello di questo libro sono i personaggi. Vividi, definiti, precisi fino nel millimetro, vivi in ogni più piccolo difetto e mania. Con dei personaggi così e la ben nota prosa di King non è possibile perdersi in una lettura di questo genere.
La storia è appassionante, il desiderio di scoprire il finale è pressante, sebbene il lettore si accorgerà, esattamente come i protagonisti, che un lieto fine non è possibile.
Ma in fondo un lieto fine a questo romanzo così particolare sarebbe veramente un lieto fine?
Al Fedele Lettore l’ardua sentenza.

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manu chan Opinione inserita da manu chan    26 Febbraio, 2012
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Il Miglio Verde: L'ultimo viaggio verso la morte.

"Il miglio verde", l'ultimo viaggio verso la morte.
Dalla penna di Stephen King, esce fuori un romanzo intenso, che da molti spunti di riflessione. L'America ...uno potrebbe pensare: "cavolo, l'America è l'America", beh forse questo non si rende conto delle innumerevoli contraddizioni che si spandono all'interno di questo paese. Uno di questi è la pena di morte.
Paul è un semplice impiegato statale che assume un compito "normale" per il penitenziario di Cold Mountain: aiutare i condannati a morte verso la loro fine. Basta alzare una leva per uccidere. Sono in molti quelli che hanno vissuto gli ultimi giorni della loro vita in questo piacevole parco divertimenti: tra questi Delacroix, Wharton e infine John Coffey, un uomo grande, grosso e nero incolpato dell'omicidio di due gemelline.
E' una storia avvincente, questa, capace di trattenerti ore ed ore attaccato alle pagine.

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90Peppe90 Opinione inserita da 90Peppe90    06 Febbraio, 2012
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Coffey: il grande gigante buono.

"Il Miglio Verde" è il romanzo del Re che più m'ha fatto emozionare. Fino a qualche mese fa questa posizione era occupata da "22/11/'63", ma adesso l'avventura di Paul, Brutus, Dean, Harry, Mr. Jingles, Del, Coffey e tutti gli altri ha preso il suo posto. Ho elencato tutti quei personaggi e ho aggiunto "tutti gli altri" perché ogni personaggio di questo romanzo è caratterizzato benissimo e lascia un'emozione sempre diversa al lettore. Anche un antipatico (mi limito, ovviamente, con "antipatico") come Percy Wetmore.
Be', le parole da spendere su questo romanzo sarebbero molte, ma non so come strutturarle visto che sono troppe.
Mi limito ad un "emozionante" e a invitare chiunque non abbia ancora letto "Il Miglio Verde" a sbrigarsi a farlo!

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Mephixto Opinione inserita da Mephixto    15 Novembre, 2011
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Un libro letto sperando

Altro che horror... (King) dimostra di esserlo veramente, per quanto l'atmosfera magica e il continuo presentarsi del male in altre forme sia presente non si può certo definire un romanzo horror anzi, questo e quasi un dramma, oppure un horror di vita reale.
Tra tutti i libri di S.K. forse è il più completo e il piu scorrevole; ed è uno dei rari testi che mi sia riuscito a strappare una sincera lacrima di rabbia e commozione, un libro che non ho bisogno di rileggere dato che tanto è stato il coinvolgimento che lo ricordo a memoria a distanza di anni.( come dimenticarlo)
il massimo del paradosso l'ho assaporto con Delacroix e il topolino un rapporto che esula dai crimini del uno e si dipinge di astratto ed inreale per poi sfociare nella cruda realtà.
Mai come in questo romanzo vittime e carnefici si scambiano i ruoli fino a quasi non lasciarti capire chi è nel giusto e chi no, il miglio verde è sicuramente un luogo ai confini del tempo e dello spazio dove le convinzione e gli stereotipi lasciano spazio ai sogni vestiti da incubi !



Buon viaggio !

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Lady Libro Opinione inserita da Lady Libro    16 Ottobre, 2011
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Il miglio della vita e della morte

In questo libro Stephen King, detto "il re del brivido", abbandona momentaneamente il genere che l'ha reso famoso per dedicarsi a qualcosa di più reale, concreto, sensibile e delicato (anche se forse le prime due parole non sono molto azzeccate).
Siamo nel 1932, durante la Grande Depressione, nel penitenziario a Cold Mountain, nel braccio della morte che possiede la sedia elettrica ironicamente soprannominata "Old Sparky" dai carcerieri.
Ed è proprio uno di questi, Paul Edgecombe, ormai anziano e residente in una casa di riposo, il narratore dell'intera vicenda a cui ha assistito.
Tre sono i prigionieri su cui si concentra la storia: William "Wild Bill" Wharton, un ragazzo cattivo e spietato fino al midollo, Eduard Delacroix, un piccolo e fragile ometto francese accompagnato dall'inseparabile e adorato signor Jingles (un topolino che "gli sussurra all'orecchio" come lui sostiene) che si esibisce in numeri da circo, e infine John Coffey.
Il misterioso John Coffey, un gigantesco uomo di colore, accusato dello stupro e dell'omicidio di due bambine. John Coffey, con il cervello di un bambino, terrorizzato dal buio e sempre in lacrime, un uomo che incute stupore, spavento e meraviglia.
Ma nonostante le apparenze e dopo una serie di strani quanto impossibili eventi, quello strano John Coffey sembra qualcosa di molto di più a Paul Edgecombe, qualcosa che gli altri non sanno e non conoscono...

Ho letto finora tre libri del bravissimo "Re" e, anche se non sono poi così tanti, questo è il mio preferito.
Perchè non è un semplice libro. E'una metafora della vita e dell'esistenza umana.
La morte è l'unica cosa che accomuna tutte le persone, può venire da sola, essere chiamata da qualcuno o essere costretta a intervenire. "Il miglio verde" parla appunto di quest'ultimo caso.
Ma la morte si diverte anche a smascherare le persone o a rivelare le loro vere identità: sebbene un uomo abbia commesso i più atroci reati, di fronte alla morte questo si dimostra impaurito, calmo, quasi una persona buona a cui ti ci affezioni e provi dolore e repulsione nel giustiziarlo, dimenticando per un momento il motivo per cui lo si deve "uccidere", oppure il pensiero della morte suscita indefferenza o addirittura contentezza. A Cold Mountain ci sono tanti detenuti ognuno con la sua storia e i suoi sentimenti, le sue reazioni ed emozioni, ed è come leggere un grande libro della vita umana. Assassini, ladri o stupratori che siano, non vuol dire che siano tutti quanti mostri spietati che non provano nulla, anzi, spesso è il contrario e forse sono anche più sensibili di gente "perbene" (credo che questo termine ormai non esista più, nessuno dopotutto è "immacolato". Incensurato o no, nessuno è una persona perbene).
Si parla anche di pregiudizi, dubbi e incertezze sempre ad opera dell'uomo che muore eppure manda a morire, anche se non si può più tornare indietro, ma per soddisfare soltanto un desiderio personale di vendetta, senza mai andare fino in fondo e scoprire la verità o l'errore commesso.
E'un toccante e commovente libro di denuncia contro la pena di morte, contro il pregiudizio e la stupidità umana che non avranno mai fine.

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luk74 Opinione inserita da luk74    01 Ottobre, 2010
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Capolavoro.

La storia è narrata da un secondino ormai anziano e vedovo, che lascia scorrere numerose vicende ormai filtrate dalla memoria, ma ancora vivide nella sua mente.Interessante soprattutto il rapporto che si instaura tra i detenuti del braccio della morte e gli agenti di guardia.
La storia è ambientata nei primi anni 30 e un nero viene accusato di aver rapito e violentato due bambine bianche: i pregiudizi e l' odio verso la gente di colore sono chiaramente palpabili.
Direi che il proverbio "l'abito non fa il monaco" calza a pennello al povero John Coffey ed il finale ci lascia parecchio con l'amaro in bocca.
Emozionante, commovente, insomma...consigliatissimo!!

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Cap.harlock Opinione inserita da Cap.harlock    31 Luglio, 2010
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Una denuncia contro la pena di morte!

Nel leggere Il miglio verde, come primo impatto fa strano che una storia simile sia stata scritta da King, ma poi leggendo e riflettendo pagina dopo pagina, scopri non solo che è stato di una grande bravura nel "confezionare" una storia simile, ma è stato magistrale nel modo di scrivere un probema attuale (come la pena di morte) con un metodo da "psicologia" incredibile!

Una storia che non cade mai nel banale, il bene e il male si scontrano, giustizia e ingiustizia si affrontano mescolando sentimenti umani come la rabbia, la pietà, il dolore...il dubbio!

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andrea70 Opinione inserita da andrea70    15 Mag, 2010
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I buoni e i cattivi

Uno dei migliori libri tra gli ultimi di Stephen King, c'è una parte soprannaturale tanto cara all'autore ma anche una morale più decisa , più netta rispetto al passato.
Diventa un bel racconto sull'anima degli uomini, oltre che una denuncia della crudeltà della pena di morte e della crudele e meschina superficialità con cui guardiamo e giudichiamo i "diversi".
Si può tranquillamente obiettare che su questi punti altri scrittori hanno lasciato il segno in maniera più incisiva e che in certi momenti il buon King si fa prendere dal buono e sano finale all'americana in cui i cattivi muoiono, i buoni anche ma diventano quasi martiri...però nel complesso è un bel libro soprattutto se paragonato al desolante "nulla letterario" dei successivi 4-5 romanzi di King...

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Novilunio Opinione inserita da Novilunio    22 Agosto, 2008
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DOLCE E STRUGGENTE

Il sapore di questo libro è dolce ed amaro, i personaggi in contrasto con se stessi in una lotta vana contro il bene travestito da male che non viene perdonato. Il protagonista è un uomo fragile eppure determinato che conoce il volto della pietà e la forza dei sentimenti senza poter fare nulla di ciò che vorrebbe, mentre il co-protagonista ha il classico aspetto del bruto dal cuore tenero. Ciò che serpeggia inesorabile tra le righe è quel senso atroce dell'ingiustizia che nessuno può frenare e il finale lascia tristi e sconsolati.

Poi c'è un topo, una presenza che va e viene e... non dico nulla, bisogna leggerlo, semplicemente proprio il topo induce ad una riflessione confusa e rindondante. Solo il Re può riuscire in un'impresa simile che il film ha abbastanza reso, ma il libro, come ogni libro, è migliore.

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... il Re e lo conosce. Questo romanzo mostra la faccia nascosta del genio.
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Opinione inserita da dave    21 Luglio, 2008

King in declino

So che mi farò dei nemici, ma ho trovato un pò fiacco questo romanzo d'ambientazione carceraria in cui King offre il meglio quando attinge al soprannaturale (le miracolose guarigioni di Coffey) e nel triste finale, quasi un lamento contro la crudeltà della pena di morte. Ma il vecchio King - quello capace di "mordere" il lettore con una narrazione che andava "oltre" quella di ogni altro romanziere horror - sembra sparito per sempre. In questo caso, meglio il film. Voto: Discreto.

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Moth Opinione inserita da Moth    03 Aprile, 2008
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Il miglio verde

Chi apprezza la scrittura di King non può fare a meno di amarlo. Una lettura magica sulla vita e sull'ingiustizia, ricca di personaggi molto umani, interessanti e ben caratterizzati. La trama è intrecciata magistralmente e in modo complesso come solo pochi autori riescono a fare. Sconsigliato ovviamente a chi non tollera il suo particolare stile.

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