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Il confine policromo tra il vero e il falso
Di Donna Tartt lessi tanti anni or sono “Dio di illusioni”, che ho già recensito in questo spazio. Mi sono avvicinato a questo romanzo sia per quanto mi era rimasto dalla lettura del primo romanzo, ma, in particolare, per le forti discordanze che ho avuto modo di leggere in svariati commenti e anche parlandone con altre persone. Sta di fatto che il romanzo ha un’apparenza che invoglierebbe a lasciar perdere (un tomo di circa 900 pagine paragonabile a un classico dell’800 tipo “Guerra e pace” ma senza confronto alcuno), nonostante l’abstract possa attirare l’attenzione in quanto si riferisce a un piccolo dipinto realizzato da un non molto famoso pittore olandese, Carel Fabritius, nel 1654 poco tempo prima che l’artista passasse a miglior vita a causa di un’esplosione che distrusse la sua abitazione nella città di Delft.
Per quanto sopra ho, quindi, affrontato il romanzo con lo spirito di portarlo a termine…ma che fatica!!
Sì, perché la narrazione è lunga e ripetitiva nonostante una trama che si avvicina molto al thriller ma anche al mondo dell’antiquariato, al traffico delle opere d’arte trafugate da musei e/o collezioni private di pregio e all’incessante dissertazione su alcool, stupefacenti e altre pastiglie contenenti intrugli per calmare e combattere (sic!) il mal di vivere.
Tutto ha inizio con un attentato terroristico a un museo dove l’allora adolescente Theo perde la propria madre, e da quel momento iniziano le sue drammatiche vicissitudini che hanno come punto di riferimento, appunto, questo famoso piccolo dipinto, Il cardellino, miracolosamente rimasto intatto e per puro caso in possesso del Nostro, che segue la vita di Theo nelle sue peripezie esistenziali da New York a Las vegas e Amsterdam fino all'età adulta.
Le descrizioni dei molteplici accadimenti sono troppo dettagliati fino quasi al parossismo; gli altri protagonisti, i luoghi, gli ambienti sono analizzati in molte, e spesso inutili, sfaccettature che ne appesantiscono la lettura e, di conseguenza, perde molta della sua verve.
Un lancia, o forse anche due, sono da spezzare a favore dei momenti di riflessione profonda sul senso della vita, sulla casualità degli avvenimenti e sull’esistenza o meno di uno schema prestabilito di cui tutti noi appartenenti all’immanente ne siamo inconsapevoli, sulla solitudine e i suoi mostri.
La parte finale del romanzo riscatta un po’ la pesantezza e, a tratti, la noia della parte iniziale e mediana, con un epilogo che induce alla bellezza della vita e ai valori che un’opera d’arte può dare a tutti coloro di animo sensibile.
Non sono in grado di consigliarne la lettura in assoluto; d’altro canto leggerlo potrebbe essere una sfida dalla quale, almeno per il sottoscritto, si può uscirne vincitori.
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Commenti
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Ferruccio
Intanto complimenti per aver terminato un tomo di 900 pagine...mi stanno simpatiche le persone che si sfidano, non mollano....e arrivare fino in fondo al libro...va sempre bene, a mio avviso.
Con alcune letture, in cui avevo faticato, sono stata contenta di averle terminate, trovando sorprese finali anche del tutto inaspettate.
Quante riflessioni leggendoti...la scena iniziale del libro, che ricorda la strage appena avvenuta in un museo...le argomentazioni importanti...
Io credo si tratti di un libro da leggere, se si è predisposti e con la giusta pazienza...che in questo periodo io davvero non ho.
Grazie come sempre Ferruccio...riesci ad invogliarmi al confronto...
Pia
Ferruccio
Bellissimo e condivido in pieno le tue parole Ferruccio.
Grazie per i nostri arricchenti ed interessanti confronti...
Pia
Ferruccio
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Ricordo di quella volta che, a metà primo tempo, mi alzai e lasciai la sala dove proiettavano "Ti presento Joe Black"; lo ricordo perché consideravo quel film quasi intollerabile ma, nel contempo, il mio venir via una mezza sconfitta. Ciao.